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La paleoecologia è la scienza che studia il rapporto fra la specie e l’ambiente del passato.

Vi è un forte
rapporto fra ecologia e paleoecologia, infatti gli stessi strumenti dell’uno sono utilizzati nell’altro, ma con
profonde differenze basilari. L’ecologo ha a disposizione di più elementi di studio essenzialmente perché
studia il presente, infatti il calendario degli eventi sono in scala umana, mentre per un paleontologo lo
studio paleoecologico è sempre in scala geologica in quanto in pochi cm di substrato vi possono essere
registrati eventi accaduti in giorni o in anni in base alla velocità di sedimentazione, che tra l’altro è un
processo discontinuo in quanto vi sono periodi o eventi di deposizione ed eventi o periodi di erosione, per
un paleontologo è difficile registrare eventi consequenziali o periodici, come le variazioni stagionali. Un
ecologo ha a disposizione lo studio diretto della nicchia e del suo habitat, in quanto lui stesso le può vedere,
mentre un paleontologo la maggior parte delle volte deve dedurre l’uno o l’altro, spesso tramite
l’individuazione di similitudini con l’ambiente presente.

Le differenze insomma si trovano nella differente nella scala dei tempi, in quanto si parla di tempi geologici
non perfettamente continui

Un’altra sostanziale differenza sta nel campo preferito di studi. Data la facilità con cui un ecologo vi ci può
accedere, il suo campo preferito è l’ecosistema continentale, invece per un paleontologo il campo preferito
è l’ecosistema marino, in quanto l’ambiente marino favorisce la formazione di strati sedimentari, mentre
quello continentale favorisce l’erosione.

L’ambiente marino si può suddividere prendendo in considerazione l’ambiente pelagico o bentonico dove
vivono gli esseri viventi, oppure seguire un aspetto del tutto morfologico.

Per l’aspetto morfologico si parla di piattaforma continentale fino a 200m, da 200 m fino ai 3000m scarpata
continentale, poi piana abissale fosse e bacini profondi.

Per quanto riguarda l’ambiente pelagico, vi è: la zona epipelagica, che comprende lo strato eufotico cioè
altamente illuminato, questa zona varia in base al livello di torbidità dell’acqua e per esempio acque
limpide possono avere una zona epipelagica oltre i 120m. Poi vi è la zona mesopelagica omprendente lo
strato oligofotico, dove la luminosità è talmente bassa che vi sono meno specie viventi, soprattutto alche
rosse che riescono a compiere la fotosintesi anche a bassa luminosità, questa arriva in media a 200m. Dopo
vi è la zona infrapelagica, che parte dal limite della zona precedente fino al livello della isoterma dei 10°C,
più o meno a 700 m. dopo vi è la zona batipelagica, parte dal limite dell’ultima fino al livello della isoterma
di 4°C, a circa 2500m. infine vi sono le zone abissopelagica e adopelagica, comprendenti le fosse fino ai
6000m e le acque più profonde.

La suddivisione per l’ambiente bentonico è stato fatto per due modelli:

Quello della scuola di endoume prende in considerazione i seguenti piani o zone: piana sopralitorale,
abitato da organismi che non richiedono mai la totale immersione ma richiedono una certa quantità di
umetizzazione, è la zona degli spruzzi. La prossima zona è quella mesolitorale, dove vivono gli organismi che
sopportano emersioni occasionali, compresa fra la linea di alta e bassa marea. La zona infralitorale è abitata
da quegli oraganismi che non tollerano l’emersione, scende fino ai 70m. poi vi è la zona circalitorale, che
parte da dove finisce la zona infralitorale fino al livello dove non è più possibile la fotosintesi, nel
mediterraneo è in media 150m. La piana batiale si estende fino alla fine della scarpata continentale, circa
2000m. pio vi è la piana abissale che si estende fino ai 3000m, cioè il limite superiore delle fosse, infine la
piana adale che comprende le parti più profonde.

Il secondo modello è quello basato sull’idrodinamica delle spiagge. Si intende spiaggia emersa, la zona
abitata da organismi che non richiedono l’emersione, ma almeno un certo grado di umetizzazione. Spiaggia
interditale, compresa fra il livello di alta e bassa marea. Poi spiaggia sommersa, che arriva fino al livello
influenzato dalle onde di tempesta. Infine abbiamo la zona di transizione che arriva fino a dope filtra la luce,
cioè la fine della zona illuminata e poi vi è il mare aperto.

Gli organismi che vivono negli oceani si dividono in tre grandi gruppi in base allo stile di vità e alla capacità
di movimento. Plancton, composto dagli organismi che si muovono passivamente trasportati dalla corrente.
Necton, organismi liberi di muoversi agilmente, alcuni hanno imparato a sfruttare il substrato, utilizzando
delle strategie difensive o predatorie, sono detti organismi nectonbentonici. Bentos, composto da
organismi che vivono sopra, quindi epifaunali, o dentro, quindi infaunali, il substrato, si distinguono per gli
infaunali organismi fossatori se abitano substrati mobili e organismi perforatori se abitano substrati duri.

Ovviamente gli organismi marini si distribuiscono in una catena trofica, la cui base è composta dai
produttori, poi vi sono i consumatori divisi in più livelli. Nei più bassi di solito ci sono detritivori,
depositivori, sospensivori e filtratori, poi abbiamo nei livelli più alti gli erbivori, i predatori e i parassiti.

A distribuzione degli organismi dipende da fattori ecologici, quali la luminosità, la salinità, l’ossigenazione, i
nutrienti, il substrato, la temperatura, l’idrodinamismo e la profondità.

La luminosità è un fattore essenziale per le alghe eufotiche, nelle acque torbide la zona illuminata può
anche non sorpassare i 20 metri, mentre nelle acque più limpide può arrivare anche ai 250m. in ogni caso a
profondità molto elevate la luminosità e molto ridotta, perciò vi sono meno organismi fotosintetici e quindi
vi è meno ossigeno.

La salinità degli oceani è più o meno costante, ma vi sono zone dove il tasso di salinità non è stabile e gli
organismi devono sperimentare variazioni elevate di essa. Nelle zone degli estuari per esempio, dove
l’acqua dolce si mischia all’acqua salata degli oceani, il tasso di salinità può variare anche in base alla
quantità di precipitazione avvenute. Molti organismi non resistono a queste variazioni, sono gli organismi
euralini riescono a sopravvivere, perciò queste sono zone abitate da un’associazione con bassa variabilità.

L’ossigenazione dipende molto dalla quantità degli organismi e dalla presenza di quelli fotosintetici, è per
questo che la maggior parte dell’ossigeno è concentrato quasi in superficie e tende a diminuire con la
profondità, ma raggiunto un livello la concentrazione di esso aumenta perché vi è meno consumazione da
parte degli organismi e maggiore ridistribuzione da parte delle correnti.

I nutrienti si trovano sottoforma di nitrili, fosfati e silicati di K,Mg,Ca e Fe. La loro distribuzione non è
uniforme, le zone con molti nutrienti sono dette eutrofiche e sono ambienti solitamente instabili che
ospitano organismi non specializzati che si riproducono in massa, queste zone lasciano numerosi fossili
appartenenti ad una specie dominante. Zone con una quantità di nutrienti bassa sono detti oligostrofici,
essendo particolarmente stabili ospitano associazioni ridotte di organismi con alta diversità.

Il substrato in paleontologia è il fattore che viene per primo studiato, da esso si ricavano informazioni, quali
la profondità e l’energia dell’ambiente. Si distinguono essenzialmente due tipi di substrati, duri e mobili. La
presenza di strati duri favorisce la proliferazione di organismi epifaunali, di solito questi substrati si formano
a causa della diminuzione o della mancanza di sedimentazione. I substrati mobili sono favorevoli per gli
organismi infaunali, in particolare detritivori e depositivori. La granulometria del sedimento è un ottimo
indice della profondità, in particolare la granulometria di ciottoli e ghiaie indicano un ambiente ad alta
energia, mentre granulometrie fini indicano bassa energia e anche una maggiore profondità.

L’idrodinamismo influisce più sulla morfologia che sulla distribuzione, è risaputo che esso diminuisce
all’aumentare della profondità, ma questo dato non è l’unico, infatti gli organismi in presenza di
un’ambiente ad alta energia preferiscono rinforzare il proprio scheletro o guscio. I coralli formano bracci
più corti e robusti, le conchiglie dei molluschi sono più spesse e decorate.
La profondità è un fattore che influisce e conivolge altri fattori ecologici, in particolare la temperatura e la
salinità. All’aumentare della profondità aumenta la pressione e diminuisce la temperatura, i Sali per questo
motivo aumentano la loro solubilità. Gli esoscheletri degli organismi possono subire il processo di
dissoluzione diagenetica, che avviene perché oltre un certo livello chiamato isoclino i Sali cominciano a
dissolversi dai gusci perché l’oceano è sotto saturo, raggiunta una certa profondità si ha il livello di
compensazione, oltre la quale il sale è totalmente disciolto. Questi livelli dipendono da sale a sale, in
particolare i primi a dissolversi sono i carbonati, prima l’aragonite e poi la calcite, gli ultimi sono i silicati,
queste zone si possono indentificare nelle rocce sedimentarie chimiche, se sono rocce carbonatiche o
silicee, e quindi si può identificare la profondità di formazione delle rocce.

La temperatura infine è un fattore che dipende dalla latitudine, dalle correnti e dalla profondità. La
solubilità del carbonato di calcio dipende da essa, nelle zone calde la solubilità e bassa e perciò vi è una
soprassaturazione di esso, i gusci degli organismi sono più spessi e decorati, ma l’elevata temperatura ne
accelera il metabolismo e quindi ne diminuisce la durata di vita e la grandezza. In acque fredde vi è il caso
opposto, perciò gli organismi hanno gusci meno spessi e decorati, ma questi possono vivere più al lungo e
di solito hanno una grandezza del corpo in se maggiore.

La distribuzione degli organismi nel mondo marino ci permette di ricostruire le comunità o biocenosi e
l’ambiente in cui queste vivevano. Le biocenosi o associazioni sono composte da popolazioni, una
popolazione è un gruppo formato da una specie viventi in un determinato luogo e in un determinato
periodo.

Si individuano specie k selettive e r selettive. Le popolazioni k selettive sono quelle che vivono territori
instabili dove vi possono essere periodi dove i nutrienti scarseggiano e periodi dove i nutrienti sono
tantissimi, queste specie in questi territori dominano e prolificano, possono rappresentare in alcuni casi
anche l’unica popolazione di un ambiente, ma poi si riducono tantissimo appena le condizioni favorevoli
scarseggiano, sono le così dette specie opportuniste. Le specie r selettive vivono in ambienti stabili, non
sono mai la specie dominante e perciò vivono in popolazioni con alta varietà, tendono a riprodursi
lentamente, raggiunto poi un momento non aumentano più il numero degli individui.

La sinecologia si occupa del rapporto che vi è fra gli organismi viventi nello stesso territorio.

Fin ora abbiamo studiato la distribuzione degli organismi, che dipende dall’autoecologia, ossia dal rapporto
fra ogni individuo e il suo ambiente di vita. Gli studi sinecologici studiano i rapporti fra diverse specie e
quindi comunità e biocenosi.

In paleontologia si studiano le popolazioni trovate allo stato fossile. Si individuano tre gruppi: tanatocenosi
ossia associazione di organismi morti non ancora seppelliti. Tafocenosi ossia associazione seppellita, a volte
contenente diverse tafocenosi. Orictocenosi ossia popolazioni trovate allo stato fossile.

Per lo studio delle paleocomunità sono importanti l’individuazione di alloctonia e autoctonia di una
associazione, perché come già detto possono essere state seppellite diverse tanatocenosi in una stessa
tafocenosi. Sono indizzi di autoctonia resti di organismi integri non disarticolati, come valve chiuse o semi
aperte, presenza di quantità uguali di valve destre e sinistre, depositi non orientiati. Sono invece indizzi di
alloctonia presenza nel deposito di un solo tipo di valva, ugual grandezza dei resti, deposizione orientata,
resti frantumati o molto erosi.
Questo studio è importante per ricostruire l’ambiente delle paleocomunità, possono esistere anche
associazioni miste. Conoscendo l’autoecologia e la sinecologia è possibile ricostruire l’ecosistema del
passato, di cui si vogliono conoscere le strutture trofiche e la diversità

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