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Per approcciarci al concetto di intercultura è fondamentale considerare che al giorno d'oggi nessuna cultura è una

monade chiusa in sé stessa: tutte le culture e ciascun individuo entrano in relazione con individui e culture diverse.
Inoltre, ciascuno di noi ha al proprio interno un'identità composta di altre sottoidentità a seconda dei vari elementi che
possiamo considerare → sfaccettature identitarie che compongono le culture plurime cui gli individui appartengono.
Porsi in una prospettiva interculturale ci permette di mettere in discussione i nostri modelli culturali e comprendere
quelli altrui.
Esiste un modo corretto per comunicare con gli altri?, si chiedono Balboni e Caon nel 2015. Si è risposto a questa
domanda attraverso lo sviluppo di modelli di competenza comunicativa interculturale. Questa competenza sfugge alle
diefinizioni e non può essere insegnata come tale: può però essere osservata, tenendo in considerazione linguaggi
verbali e non verbali, ad esempio il cinema può offrire ottimo materiale per analizzare questi aspetti.
Cosa sono i linguaggi non verbali? Sono linguaggi che utilizzano la cinesica (modo in cui ci muoviamo), la prossemica,
la vestemica, la cronemica. Ad oggi non esistono grammatiche della cultura, e per questo è importante imparare ad
osservare in un movimento multidirezionale e dinamico, né appiattendosi sull'assimilazione, né su una posizione
ipercritica nei confronti della propria cultura (portando all'estremo il concetto di relativismo culturale).
Due dei modelli più importanti di competenza comunicativa interculturale sono stati sviluppati da Bennet nel 1993 e da
Balboni nel 1999, partendo dal presupposto che non si può insegnare la competenza comunicativa interculturale ma
osservarla e sensibilizzare gli apprendenti al suo utilizzo.
• Modello dinamico di sensibilità interculturale (Bennet): è necessario sottolineare che questo modello è
finalizzato allo sviluppo di una convivenza pacifica fra le diverse identità che convivono nell'ambito di società
multiculturali. Fa riferimento a due macro-fasi fondamentali: fase etnocentrica e fase etnorelativa. La prima
racchiude le fasi di negazione-difesa-minimizzazione, la seconda quelle di accettazione-adattamento-
integrazione. Se ci ritroviamo nella prima fase mettiamo la nostra cultura al centro della nostra esperienza e
usiamo i parametri della nostra cultura per giudicare tutte le situazioni; quando sperimentiamo il contatto con
la differenza invece facciamo i primi passi verso la fase etnorelativa, fase in cui ci si sente a propro agio con
abitudini e standard diversi, adattando giudizi e comportamento secondo la situazione (secondo la definizione
di Castiglioni del 2005).
◦ Negazione: non ho bisogno di conoscere le altre culture in quanto esse non apportano niente di utile
all'arricchimento della mia cultura. Può avvenire perché si vive in un gruppo isolato ed omogeneo in modo
involontario o volontario (creazione di barriere fisiche e sociali, es. nazionalismi e regionalismi che
pretendono di orientare la propria comunità al rifiuto del contatto con culture diverse). È molto difficile
uscire da questa fase perché in questa fase viene precluso il contatto con l'alterità.
◦ Difesa: in questa fase esistono molti sottomodelli, ma tutto nasce sempre dalla paura che si manifesta
nell'attribuire superiorità alla propria cultura e utilizzando stereotipi dispregiativi verso le altre culture.
Denigrazione → uso di stereotipi dispregiativi che rimarcano le differeze tra due culture e il modo di
interpretarle, che etichettano gruppi facendo leva su motivazioni apparentemente razionali; difesa al
contrario → atteggiamento che sembra così attento alle culture discriminate da portare alla denigrazione
della propria cultura ma anche questo non è funzionale al contatto interculturale perché rappresenta
comunque una visione polarizzata della complessità.
◦ Minimizzazione: in questa fase si usa un approccio assimilativo e si sceglie di ignorare l'alterità. I modelli
altri non vengono valorizzati. Come afferma Bennet, il fatto che ci accorgiamo che noi e gli altri siamo
portatori di culture diverse (che hanno un impatto sul modo in cui vediamo la realtà) è comunque una
svolta ed un passaggio da un pdv etnocentrico a quello relativo. Nell'ambito di questa fase abbiamo la
capacità dei protagonisti di sospendere il giudizio. Sappiamo che l'altro non appartiene alla nostra cultura,
per cui ci diamo l'opportunità di pensare a come agire per garantire il successo di comunicazione.
◦ Accettazione: fase che potrebbe essere considerata come una fase in cui vengono valorizzati gli elementi
di diversità dei protagonisti degli eventi comunicativi. Concetto di giusta distanza → nell'ambito di questa
fase il nostro atteggiamento è quello di limitarci ad apprezzare le differenze senza giudicarle. Possiamo
cominicare a sentirci creatori di valori e non solo veicoli di valori, ruolo molto più attivo.
◦ Adattamento: siamo in grado di creare uno spazio virtuale fra noi e gli altri, in cui le culture si possono
incontrare. Spazio che consiste nella creazione di una terza dimensione, perché fa uso dell'empatia oltre la
comodità delle similitudini per sviluppare la nostra capacità di metterci nei panni degli altri, ci muoviamo
fluidamente tra il modello culturale nostro e quello altrui, siamo capaci di cambiare prospettiva.
• Modello di Balboni: si basa sul modello di interazione di Heims, dando per assodato che nella nostra mente
esistano tre nuclei di competenza comunicativa → competenze linguistiche, competenze extra-linguistiche e
competenze contestuali (socio-linguistiche, para-linguistiche, interculturali). Queste competenze vengono
applicate per creare testi (orali o scritti) che contribuiscono a creare eventi comunicativi, regolati da
convenzioni sociali, culturali e pragmatiche. È fondamentale che gli interlocutori tengano in considerazione le
convenzioni degli altri partecipanti all'evento comunicativo riguardanti gli aspetti appena menzionati e valutino
la propria partecipazione all'evento comunicativo in questa luce.
In che modo possiamo allenare la comunicazione interculturale? Possiamo, secondo il modello di Balboni, identificare
dei nodi intorno ai quali è possibile riflettere ed eventualmente modificare il nostro comportamento comunicativo, sia
nel linguaggio che nel modo di agire: il primo riguarda la formalità/informalità, in secondo luogo la
politeness/impoliteness (buone maniere, adeguatezza alla situazione); poi abbiamo la forza mascherata o implicita
(messaggio troppo assertivo, personalità troppo forte); il politicamente corretto/scorretto, che riguarda aspetti come
etnicità, parità uomo/donna, orientamento sessuale; elementi che sono oggetto di uso libero/tabù (malattia e morte,
secrezioni); atteggiamento cooperativo/arroccato; associazione cattivo o brutto (a cosa associamo il bene o il male).
Anche per Balboni la comunicazione interculturale prevede un atteggiamento di apertura agli altri modelli culturali,
abbattendo pregiudizi e stereotipi e rispettando le differenze, con la consapevolezza che si possano trovare elementi più
adatti al nostro stile di vita in altre culture. Secondo il modello di Balboni e Caon i problemi che caratterizzano gli
eventi comunicativi interculturali (d’ora in poi, abbreviato in IC) possono essere raggruppati in due macrocategorie
legate 1) alla lingua, ai gesti e al corpo; 2) a valori culturali che si scontrano. Ci sono contesti in cui questi probemi
possono rivelarsi più gravi, in quanto determinano la buona convinvenza tra persone: si pensi alla situazione
comunicativa dell'ufficio postale. La mancanza della conoscenza delle relative regole implicite può determinare
un'incomprensione e quindi una forma di sanzione sociale da parte dei partecipanti all'evento culturale (d’ora in poi,
abbreviato in EC) che invece sono a conoscenza di quelle stesse regole (es. numerino per fare la coda). Se la pesona che
viola la regola appartiene ad un'altra cultura si possono avere strumentalizzazioni basate sul malinteso interculturale.

La capacità di un docente di sensibilizzare gli studenti sulla possibilità che esistano più culture e valori di riferimento è
fondamentale. Le azioni di sensibilizzazione permettono la messa in atto delle strategie di mediazione che permettono
di creare siutazioni non conflittuali. Le competenze di mediazione sono così strategiche che sono state inserite nel
Companion volume, pubblicato nel 2018 in supplemento al QCER che valorizza maggiormente le competenze IC.

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