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Molto spesso gli informatori delle culture studiate sono collocati in un tempo “altro”, senza considerare il
dialogo fra antropologo e l’informatore.
Collocando, invece, gli informatori e gli antropologi sul piano della “contemporaneità”, si restituisce all’
“altro” una parola precedentemente negata: fatti e idee che prendono forma in un determinato contesto
culturale si ripercuotono su altri contesti e sulla vita degli essere umani appartenenti a culture diverse.
Grazie alla globalizzazione società e culture sono analizzabili all’interno di un contesto più ampio, che li
connette con altre culture.
Quindi avere in progetto di studiare l’antropologia della contemporaneità significa studiare le culture oggi e
nel loro ambiente globale, prendendo in considerazione i rapporti che tali culture hanno tra loro,
considerando il passato come una base per il presente, né in un ottica di uno studio classico né pensando
ad una “autointerrogazione”.
La comprensione del mondo attuale dovrebbe avere, in più, la necessità di rivolgersi criticamente a sé
stessa per meglio utilizzare il proprio patrimonio concettuale, dovrebbe applicare strumenti analitici e
teoretici della disciplina alle condizioni della vita culturale presente.
Paul Farmer in “Patologie del potere: salute, diritti umani e la nuova guerra dei poveri “ del 2003 analizza
le nozioni di violenza e sofferenza strutturale applicandole alla società di Haiti.
Per “violenza strutturale” si intende uno stato di sofferenza come prodotto di più fattori (economici,
politici, ideologici), per cui è difficile uscirne.
Questa violenza viene incorporata dai soggetti, si inscrive nel loro modo di essere e di “non-progettare” la
propria vita. La violenza strutturale è generatrice di altra violenza, che porta ad un aumento della
sofferenza stessa.
Farmer assume una prospettiva critica rispetto alle posizioni dei governi occidentali, ed in particolare di
quello europeo e americano: la sofferenza è il prodotto di una cultura incapace di gestire determinati
problemi che vede questi problemi solo in una logica di emergenza e di intervento umanitario
Nancy Scheper-Hughes in “Morte senza lacrime: la violenza della vita quotidiana in Brasile” del 1992 ha
studiato la dinamica della violenza e della sofferenza strutturale tra i poveri brasiliani e l’instaurazione di
comportamenti di resistenza e rifiuto nei confronti del potere.
Ne “Il traffico di organi nel mercato globale” del 2000, Scheper-Hughes dà un quadro piuttosto crudo degli
squilibri che favoriscono il commercio di organi umani tra Nord e Sud del mondo.
Dal punto di vista socio-antropologico il traffico di organi umani tocca diversi aspetti della vita culturale,
come la concezione dell’integrità del corpo umano e l’idea di contaminazione.
Il concetto di violenza strutturale si adatta bene per esempio al fatto di considerare la vendita di un organo
del proprio corpo per sopravvivere o tentare di emigrare.
Dal 1960 grazie alle teorie di Geertz sulla cultura l’interesse per la dimensione culturale delle discipline di
altre aree delle scienze umane fu sicuramente più diffuso:
-Affermazione delle denominazioni accademiche di alcuni insegnamenti in “Antropologia culturale”
- Il concetto di cultura riassume in modo più funzionale i termini: struttura sociale, gruppo, etnia.
- Affermazione dell’antropologia americana, poi degli Studi Culturali in Gran Bretagna poco dopo il 1960
Gli Studi Culturali nascono in Gran Bretagna grazie a Hoggart che nel 1964 fondò a Birmingham il Centre for
Contemporary Cultural Studies (CCCS).
Nuovi fenomeni come l’immigrazione dalle ex colonie facevano emergere le dimensioni identitarie, dove la
dimensione legata all’etnia, genere, sesso, corpo e diritti si univano già ai problemi generati dalla crisi del
movimento operaio e alle nascenti discussioni sul genere e l’identità sessuale.
Il concetto antropologico di cultura viene ri-problemizzato nel contesto britannico fra gli anni 1960-70.
Diventa un’arena di confronto, disputa-dibattito e incontro-scontro per l’affermazione di idee e diritti da
parte di gruppi diversi, tesi al riconoscimento.
La cultura diventa un discorso che si costruisce intorno alle donne, ai neri, agli immigrati, che in questi
gruppi producono la rappresentazione di sé stessi o di altri gruppi.
Stuart Hall sintetizza la capacità che gli individui hanno di dare significato a eventi e rappresentazioni del
mondo con il concetto di “agency”: grazie allo stimolo proveniente da tali eventi, accogliendoli o
rifiutandoli, essi promuovono una propria forma di soggettività.
I lavori di Hall sono stati ripresi nelle ricerche antropologiche sui temi della resistenza, della posizione del
soggetto di fronte al dominio, dell’emarginazione e dello sfruttamento, che richiedevano l’utilizzo di
categorie normalmente non impiegate.
Per il concetto di “versatilità” i cultural studies hanno goduto di grande successo e hanno contribuito a far
usare il termine “cultura” in contesti diversi rispetto a quello dell’antropologia.
Negli anni 1970-1990 molti antropologi svilupparono una critica alla cultura come insieme di tratti
distinguibili fra culture diverse, come “mosaico culturale” in cui emergono principalmente le differenze.
Dopo la seconda guerra mondiale le migrazioni e la diffusione dei media hanno messo in comunicazione le
culture come mai era avvenuto prima.
Il concetto di cultura attualmente nei media viene inteso come gli antropologi di una volta nei discorsi dei
politici, dei politologi.
E’ utile a dare consistenza ai modi di pensare, rende visibile agli occhi degli occidentali i costumi dei popoli
esotici.
Attualmente il concetto è usato soprattutto per indicare gusti alimentari, nomadismo, conoscenze
tecnologiche, stile di vita dei giovani, modo di condurre un’azienda o di arredare una casa.
E’ deludente come politologi e analisti di affari internazionali abbiano usato il concetto di cultura per
avvalorare tesi del ritardo e del sottosviluppo di certe aree del pianeta.
L’uso diffuso e disinvolto del concetto do cultura lo rende buono per tutte le occasioni e serve per
stigmatizzare le diversità.
Gli antropologi intendevano far emergere i popoli altri dalle nebbie della storia, per cui continuano a
parlare di cultura/culture sebbene tutte le precauzioni che non adottano i giornalisti e i non specialisti della
materia.
Arjun Appadurai in “Modernità in polvere” del 1996 sostiene l’utilizzo dell’aggettivo “culturale” al posto
del termine “cultura”. Il termine “culturale” va utilizzato unitamente al sostantivo di cui si voglia
sottolineare il carattere mobile, fluido, relativo, “culturalmente costruito”.
La sfera del “culturale” può così dotarsi di nuovi significati, conferendo alla cultura una capacità descrittiva
assoluta e un potere denotativo.
Nel quadro della globalizzazione conia i termini:
- etno-rama: i nuovi paesaggi umani del pianeta (migranti, rifugiati, turisti, espatriati)
- medio-rama: i flussi di immagini e informazioni generati dai media che creano nuovi immaginari in
persone appartenenti ad ambiti culturali diversi
- ideo-rama: le idee che viaggiano da un capo all’altro del mondo incontrandosi con le tradizioni locali,
dando luogo a nuovi modi diversi di intendere quelle stesse idee (libertà, democrazia, sessualità).
- finanzio-rama e tecno-rama: consentono di parlare in maniera più appropriata di quei fenomeni culturali
che siamo soliti interpretare come effetti della globalizzazione.
Marc Augé è un antropologo francese africanista, egli chiama “surmodernità” quell’eccesso di modernità
che si realizza attraverso tre fenomeni tipici del mondo contemporaneo:
1- accelerazione della storia=un eccesso di eventi di cui siamo quotidianamente informati e che rende la
storia difficilmente pensabile
2- restringimento dello spazio=un eccesso di immagini che tendono a riportare all’individuo lo spazio del
mondo
3- individualizzazione dei destini=un eccesso di riferimenti individuali che si traduce in una solitudine che
porta alla secolarizzazione ed alla “fine delle ideologie” .
Augé ritiene che le società europee e nordamericane stanno vivendo oggi in maniera meno traumatica ciò
che i popoli africani sperimentarono con la colonizzazione: cambiamenti sociali, fine delle religioni
tradizionali e arrivo di nuove divinità, irruzione di beni materiali sconosciuti, contatto con stranieri portatori
di immagini, comportamenti e idee inizialmente incomprensibili.
Tutto dovette fare in modo che gli africani si ritrovassero disorientati in un mondo diventato privo di punti
di riferimento certi, così come oggi il mondo appare a molti occidentali. Così l’antropologia si presenta
come una chiave di interpretazione del mondo contemporaneo attraverso l’esperienza degli altri, con il
compito di esplorare mediante strumenti concettuali e analitici della disciplina antropologica, considerando
il fatto che la cultura è sempre più coinvolta nelle logiche della globalizzazione.