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Lucrezio

Le uniche informazioni ricavabili su Lucrezio appartengono al lascito pervenutoci di San Girolamo.


La data di nascita viene collocata intorno al 99/98 a.c, ma non è certa, mentre la morte avviene
intorno al 55 a.c.
Veniva detto in giro che fosse impazzito a causa di un filtro d’amore e che in seguito si sia
suicidato, ma sono solo ipotesi.
Nemmeno all’interno della sua unica opera, il De Rerum Natura, l’autore offre delle indicazioni
cronologiche.
In questa sua opera, che ci è giunta postuma, Lucrezio, in primo luogo, vuole smascherare le diverse
forme di alienazione politica e religiosa del suo tempo, in secondo, vuole esortare il lettore ad
approcciarsi alla dottrina espressa dalla massima filosofica “late biosas” (trad. vivi nascosto), per
cui l’individuo dovrebbe distaccarsi dalle forme da ogni forma di convenienza pubblica e vivere una
vita tranquilla.
Il poeta inoltre si fa portavoce fra i romani della dottrina epicurea, fondata intorno al 341-270 in
Grecia da Epicuro. Difatti il titolo del poema non è nient’altro che la versione romana del titolo che
in greco che veniva dato a numerosi trattati di filosofia: perì fuseos.
Anche se la volontà di Lucrezio si scontra con ciò che diceva Epicuro, poiché egli aveva espresso
severe critiche sulla poesia, giudicando le parole dei poeti inutili al raggiungimento della verità e
fuorvianti. Lucrezio invece si sente sia investito dalle muse nella sua volontà di scrivere il poema e
dal procedere verso strade mai affrontate da altri, ma soprattutto sapeva che per far leggere qualcosa
di significativo ai romani bisognava adornarlo: egli appunto sosteneva che la filosofia da lui esposta
dovesse essere in versi perché in questo modo era come una medicina amara a cui intorno al bordo
del bicchiere era stato messo del miele.
La forma didascalica di questo era la forma più congeniale al gusto alessandrino, che si andava
diffondendo a Roma nel I secolo a.c, inoltre Lucrezio prese come modello un autore greco che
aveva scritto con questa forma, cioè Empedocle di Agrigento (V secolo a.c), che a sua volta aveva
scritto un poema intitolato Sulla natura.
Il poema si apre con un inno a Venere, progenitrice e protettrice dei Romani, la cui presenza si
carica di diversi e nuovi significati: in quanto dea dell’amore e del piacere ella rappresenta anche il
simbolo di forza generatrice della natura e della felicità che investe l’essere umano nella conoscenza
e accettazione delle leggi naturali. La richiesta alla dea di assicurare pace ai Romani si spiega come
un omaggio di Lucrezio alla tradizione letteraria, poiché si tratta a tutti gli effetti di una captatio
benevolentiae nei confronti del pubblico e in primo luogo al destinatario dell’opera, Memmio, la cui
gens aveva in Venere il suo nume tutelare.
Il proemio continua con un breve ma fervido elogio di Epicuro, considerato l’eroe salvatore
dell’umanità, il quale ha sconfitto l’orribile mostro della religio. Per paura che la sua dottrina venga
ritenuta empia, continua descrivendo l’episodio di cui Ifigenia, la figlia di Agamennone, viene
sacrificata per assicurarsi il consenso per la partenza della flotta greca verso Troia; qui Lucrezio
afferma che la religione, soprattutto se usata a fini politici, spesso causa fatti empi e scellerati,
dunque per far risaltare l’epicureismo e scagionarlo dall’accusa di empietà, sottolinea come questa
dottrina dia grandissimo risalto alla polemica antireligiosa che costituisce uno dei motivi conduttori
del suo poema.
Entrando in merito degli argomenti esposti da Lucrezio, il primo libro presenta la dottrina atomista
di Democrito e della funzione del clinamen all’interno di essa, cioè della deviazione che interviene
a modificare le traiettorie verticali di questi atomi che si muovono nel vuoto. Il libro terzo invece
tratta dell’anima e della mente, risaltando la loro natura materiale e mortale, poiché, essendo
entrambe costituite da atomi, si disperdono al momento della morte. L’anima non può sussistere
senza corpo e dopo il distacco da esso si dissolve, terminando così ogni forma di coscienza.
Il libro quarto illustra la teoria delle sensazioni, provocate da atomi sottilissimi – detti simulacra –
che si staccano dagli oggetti e che influiscono sui sensi. Il quinto libro mostra come l’universo non
sia stato creato dagli dèi, difatti questo avrà una fine, poiché è anch’esso aggregazione di atomi;
inoltre descrive come i fenomeni metereologici provochino negli esseri umani delle sensazioni di
timore che sono del tutto irrazionali e dovute alla superstitio.
Infine l’ultima parte del libro è dedicata alle epidemie e alle loro cause, per cui il poema viene a
concludersi con un’ampia e particolareggiata descrizione della terribile peste di Atene del 430 a.c.,
facendo in questo modo una citazione al racconto dello stesso evento narrato dal greco Tucidide.
Lucrezio viene definito anche “poeta della ragione”, poiché il suo intento principale è quello di
poter fare in modo che le persone non siano più turbate da eventi quotidiane, al fine da distaccarsi
da dottrine sbagliate, rispetto a quella esposta da Epicuro; difatti, per il poeta, gli esseri umani si
perdono e struggono nel seguire falsi scopi e miraggi illusori, non accorgendosi che la natura non
richiede altro che l’assenza di dolore fisico e spirituale, condizioni ottenibili nel momento in cui
vengono appagati i bisogni elementari, per cui il piacere (scopo della vita umana secondo Epicuro)
consiste nella eliminazione delle paure irrazionali e delle passioni perturbatrici (amore, odio, ira,
cupidigia, ambizione, ecc).
Per la roma di quel tempo, il messaggio fu fortemente percepito come anticonformista, soprattutto
nella ricerca di eliminazione dell’ambizione della carica politica e della lotta politica. Inoltre una
delle passioni che struggono più di tutte l’essere umano è difatti la voluptas, un desiderio funesto e
tormentoso che viene scambiato per amore, ma che fa entrare in una spirale di insoddisfazione e
dolore, anche se Lucrezio riconosce come espressione massima di stoltezza la paura della morte e la
paura degli dèi: egli sostiene che la morte è un male che dura un tempo così breve che nemmeno se
ne accorge e che non si deve aver paura di essa poiché l’anima, come stato detto sopra, nel
momento del decesso viene meno, mentre ritiene che gli dèi siano esistenti, ma sostanzialmente
estranei delle condotte umane e incuranti dei comportamenti di questi.
Tracciando un quadro così negativo Lucrezio in realtà è abbastanza contrastante con le originarie
posizioni epicuree, ma il suo intento è quello di accentuare degli aspetti per confutare non soltanto
la esistenza di un Dio creatore, ma anche l’ottimismo naturalistico e l’antropocentismo. La tesi del
pessimismo lucreziano è stata spesso sostenuta da studiosi mossi da pregiudizi ideologici verso il
poeta, ma se si studia accortamente il testo del poeta si nota come egli sostenga la possibilità per
l’essere umano di vivere in un modo privo di dolore, a patto che egli accetti la dottrina vera, quella
epicurea.

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