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I MURI BIANCHI
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E S T R E M A E U R O PA . O c c i d e n t e
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Eduardo Lourenço
D I A B A S I S
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Eduardo Lourenço
Il labirinto della saudade
9 Prefazione
Per una rivisitazione improbabile
13 Breve chiarimento
19 Capitolo primo
Psicanalisi mitica del destino portoghese
69 Capitolo secondo
Il Portogallo come destino: drammaturgia
culturale portoghese
149 Capitolo terzo
Della letteratura come interpretazione
del Portogallo (da Garrett a Fernando Pessoa)
189 Postfazione
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Nota editoriale
Circa l’apparato, si è adottato un criterio economico, proprio per non
attenuare con interruzioni e supplementi accessori la prosa di Eduardo
Lourenço. Gli interventi dunque sono stati limitati allo stretto necessa-
rio, ossia quando si è ritenuto che ad un lettore italiano non necessaria-
mente informato su aspetti generali della storia e della cultura portoghe-
se potesse sfuggire il senso complessivo di alcuni riferimenti. Quando la
prosa stessa contribuisce a illuminare, ancorché nelle sue linee essenzia-
li, il discorso, in questo caso ci si è astenuti dall’intervenire. Così come,
le note esplicative non vengono ripetute, nel corso dei saggi, ipotizzando
una lettura sequenziale dei tre testi che rendono accessorie ripetizioni
informative. Lungi quindi da una pretesa – peraltro impraticabile – di
esausitività, le note – dispensabili per chi conosca mediamente il conte-
sto della cultura portoghese – si succedono per lo stretto necessario e
perseguono come obiettivo quello di allargare il raggio dei fruitori di
saggi capitali per la comprensione del Portogallo contemporaneo. I tito-
li delle opere citate sono stati mantenuti tendenzialmente in lingua origi-
nale, tranne sparute eccezioni (per esempio, I Lusiadi camoniani).
Per quanto riguarda la curatela del presente volume, Vincenzo Russo
si è occupato della traduzione e ha redatto la nota biobibliografica rela-
tiva ad Eduardo Lourenço e alla sua opera, Roberto Vecchi ha invece ela-
borato l’ introduzione e curato l’apparato di note.
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Prefazione
Per una rivisitazione improbabile
tita che la forza delle cose infligge loro. Senza sorpresa, que-
sta totale dissoluzione delle entità classiche che chiamavamo
nazioni è compensata dalla rivendicazioni di virulente mi-
croidentità o simboliche superidentità di cui i Paesi Baschi,
l’Irlanda, le Fiandre, i nuovi stati balcanici, la Catalogna, la
Lombardia sono esempi. E nessuno può sapere se sono solo
resti di un arcaismo tribale di nuova specie, o l’annuncio di
un mondo al contempo globalizzante e intimamente fram-
mentato. E a noi cosa è accaduto? In Portogallo come desti-
no, che è la possibile rivisitazione del Labirinto, ho provato
a rispondere alla questione. Nei suoi ormai lunghi otto se-
coli di esistenza – formula, in fondo, difficile da pensare,
poiché non tiene conto del riciclaggio permanente di se
stesso che è la vita di ogni popolo – il Portogallo non ha
mai subito metamorfosi paragonabile a quella degli ultimi
venti anni. Non è stato soltanto un cambiamento esteriore,
una dilatazione paragonabile a quella del tempo in cui di-
venne il paese delle Scoperte, ma una trasformazione onto-
logica, se ciò si applica a un popolo. Siamo talmente dentro
di essa che non possiamo pensarla. Quanto non fosse altro,
la caratterizza il fatto che tale metamorfosi non è opera sua,
o eminentemente sua, come lo è stato in altre epoche. Si
tratta di un fenomeno più vasto, la fine della civiltà europea
sotto il paradigma cristiano e illuminista, se è lecito associa-
re le due matrici della millenaria e ormai defunta Europa.
Non c’è giubileo, di altri o nostro, che possa mascherare,
non la mera fine di un conflitto che ha segnato il nostro se-
colo, ma l’esaurimento, non solo nella testa e nella sensibi-
lità di una elite come nel XIX secolo, bensì nel cuore e nel-
l’intelligenza del cittadino comune, di una cultura con due-
mila anni di passato. In poco più di venti anni, l’Occidente,
ma soprattutto l’Europa, è entrato, con più facilità degli
Ebrei nel Mar Rosso, nell’età post-cristiana.
Molti troveranno allucinatoria la diagnosi, soprattutto co-
loro che di più contribuiscono a darle vita. Il futuro lo dirà.
Alcuni mi ricorderanno che il folclore cristiano è ancora in-
tatto, come se quello del paganesimo fosse mai scomparso.
Altri penseranno, come già riteneva Eça de Queirós alla fi-
ne del XIX secolo, che una religiosità vagamente ecumeni-
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Breve chiarimento
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suo amore per la patria esigeva, solo lui stesso avrebbe potu-
to ricompensarsi con le sue stesse mani, confondendo in un
unico canto l’erranza patria e la sua mortale peregrinazione.
Quale più alta ricompensa?
Vence, 25 aprile 1978
Note
1 Armando Silva Carvalho (1938) poeta e narratore. In Portuguex, il
romanzo pubblicato nel 1977, denuncia la sottomissione del Porto-
gallo all’ Europa, oltre a criticare, con una prosa tagliente e trasgres-
siva, il capitalismo selvaggio che investe il Paese.
2 Si riferisce Eduardo Lourenço al volume complessivo del Labirinto da
saudade costituito nell’insieme, oltre che da due saggi, il primo ed il
terzo, qui riproposti, anche da altri sette contributi più brevi («Re-
pensar Portugal», «A emigração como mito e os mitos da emi-
gração», «Somos um povo de pobres com mentalidade de ricos», «A
imagem teofiliana de Camões no presente», «Sérgio como mito cultu-
ral» e «Psicanálise de Portugal»).
3 Tra le opere qui citate, oltre al romanzo di Armando Silva Carvalho
della epigrafe, l’analisi della società rurale dell’Alentejo dell’antropo-
logo José Cutileiro (1934- ), il romanzo del prima e dopo 25 Aprile
intessuto su monologhi drammatici di Maria Velho da Costa (1938- )
infine di Almeida Faria (1943- ), sempre sugli effetti della Rivoluzio-
ne, Cortes (1978), secondo romanzo della “tetralogia lusitana” realiz-
zata tra il 1965 e il 1983.
4 Non si può non considerare anche sintomatica la rivisitazione del «seba-
stianesimo» attraverso riflessioni e opere letterarie di natura diversa, da
Joel Serrão e João Medina a Natália Correia, e recentemente, in termini
esoterici, d’altronde, di ben diversa configurazione, visioni dell’itinerario
patrio come in quello di António Telmo e Dalila Pereira da Costa
(N.d.A.)
5 Riferimento al periodo delle lotte liberali di inizio Ottocento, in par-
ticolare ai momenti, nel 1823 e nel 1828, della reazione degli assolu-
tisti (i miguelistas, appunto) che costringono esponenti del costitu-
zionalismo a prendere la via dell’esilio europeo.
6 Gli estrangeirados sono quegli intellettuali e scrittori portoghesi che
in particolare nel XVIII secolo accedono alle corti e ai cenacoli cul-
turali europei promovendo poi in patria processi fondamentali di
modernizzazione estetica e culturale.
7 Si rievoca qui l’episodio biografico di Luís de Camões che dopo avere
dato alle stampe il poema della celebrazione delle gesta nazionali, I
Lusiadi (1572) ottiene a dura pena una tença, un vitalizio, dal sovrano.
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Capitolo primo
Psicanalisi mitica del destino portoghese
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che vale bene anche per quelle future, messe sul conto ricco
e umanistico di Nostra-Signora-La Dialettica. Da prigionieri
a signori di sogno del mondo, da umiliati e offesi della sto-
ria a eletti, serviti dagli altri, visione paranoica ma generosa,
parallela a quella che lo stesso Vieira prometteva in cielo
agli schiavi senza redenzione terrestre degli zuccherifici e
delle proprietà terriere del Brasile, Pombal pensò di liberar-
ci con un europeismo alla Pietro il Grande di Russia, che
non convinse i nostri boiardi locali, analfabeti, voraci e pi-
gri, così come li troverà William Beckford. Ogni periodo di
dinamismo forzato è di solito sempre seguito da quello che,
nel linguaggio freudiano, si chiamerebbe ritorno del repres-
so. Gli inizi del XIX secolo, momento in cui il fulmine della
storia ci cadde in casa, nella tranquilla e sonnambula casa
portoghese, faranno di questo processo una struttura che
continua a manifestarsi senza discontinuità da centottanta
anni. In nessun momento del suo percorso, l’esistenza na-
zionale fu vissuta in termini così schizofrenici come nel XIX
secolo. Al centro di questo percorso, si situa simbolicamen-
te il «nessuno» del Frei Luís de Sousa8 mentre nella dram-
matica e quotidiana realtà sta un Paese per la prima volta
posto sulla bilancia d’Europa che era, allo stesso tempo,
quella dei suoi interessi e delle sue ideologie, tappeto di
guerra civile o monarchia da salvare con l’invasione di stra-
nieri. Inauguratosi con la fuga della famiglia reale in Brasile,
il secolo liberale termina con la liquidazione fisica, se non
morale, di una monarchia a cui si faceva soprattutto pagare
una fragilità nazionale che era opera della nazione intera.
Il XIX secolo è stato il secolo in cui per la prima volta i
portoghesi (alcuni) hanno posto in causa, sotto tutti i piani,
la loro immagine di popolo dalla vocazione autonoma, tanto
da un punto di vista politico quanto culturale. Che avessimo
meritato di essere un popolo, e un popolo con un posto sul
palco universale, non era in discussione. Solo per bocca di
Antero9 e della sua generazione ci interrogavamo per sapere
se eravamo ancora validi, data l’offuscante decadenza che es-
si ci attribuivano. Curiosamente, l’esame di coscienza parri-
cida intentato all’«essere nazionale» avrebbe avuto luogo
nello stesso periodo in cui il Portogallo si legava nuovamen-
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Note
1. Le epigrafi rinviano al saggio di Joaquim de Carvalho (1892-1958)
professore di filosofia presso la Università di Coimbra, tra gli espo-
nenti di spicco della autoriflessione filosofica portoghese (autore pe-
raltro di una Problemática da saudade, nel 1950) di cui Eduardo
Lourenço fu assistente negli anni postuniversitari e al sonetto del
poeta “vate” della nazione, Luís de Camões (1524?-1580) autore del
poema epico per eccellenza, Os Lusíadas, ma anche di una significa-
tiva opera lirica: «Correm turvas as águas deste rio...» («Corrono agi-
tate le acque di questo fiume…»).
2. Alexandre Herculano (1810-1877) letterato, storico, dottrinario della
prima generazione romantica, noto soprattutto per l’opera di moder-
nizzazione, in senso laico, della esegesi storiografica patria.
3. Allusione al carattere traumatico della fondazione, con la guerra tra
Afonso Henriques (1109-1185), il primo re del Portogallo, contro la
madre Teresa sconfitta nella battaglia di São Mamede del 1128. Egas
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Capitolo secondo
Il Portogallo come destino:
drammaturgia culturale portoghese
insieme.
Alla fine del XX secolo, ormai inondata dalla moda cul-
turale di tutte le forme trionfalistiche di irrazionalismo e
oscurantismo, rimossa od osteggiata per due secoli dall’esi-
genza dello «spirito critico», un’evocazione del destino por-
toghese in prospettiva mitica o mitologica sarebbe un con-
tributo ulteriore al conformismo universale. Il nostro propo-
sito – rivisitando, con compiacimento, quanto ci sembra ca-
ratteristico dell’immagine e dei mutamenti del destino por-
toghese nel corso di otto secoli – non è quello di capire la
realtà di questo destino, ancora in divenire, ma quello piut-
tosto d’insinuare non soltanto che esso non è inseparabile
dalle finzioni attive con cui i Portoghesi hanno vissuto e vi-
vono, ma anche che la sua lettura è impossibile senza tenere
nel giusto conto quelle finzioni, ossia, la mitologia che esse
configurano. Sin dal XIX secolo, con la nascita di una storia
degna di questo nome, si è immaginato, e a ragione, che sa-
rebbe stata proprio la storia il luogo per eccellenza della
comprensione di noi stessi in quanto passato collettivo e, di
conseguenza, sarebbe diventata la lettura più adeguata di un
popolo come destino. Dalla poetica di questa storia si esclu-
deva, per definizione, tutto quanto, sul piano dell’informa-
zione del passato, risaliva alla leggenda o al mito. Era il
prezzo da pagare per una nuova intelligibilità dei fatti, dei
successi, degli avvenimenti che, espurgati dal piano del fin-
zionale e dell’inverificabile, acquisiscono un «significato»
specificatamente storico. Si presupponeva così un’intrinseca
razionalità nell’agire umano e si rinviava nell’ombra non so-
lo ciò che non lascia traccia di esistenza verificabile, ma an-
che ciò che può lasciarne nei suoi effetti, verificati o presagi-
ti: intenzioni, progetti, fantasmagorie dell’azione, deliri, so-
gni, cioè, la rêverie umana che anticipa e crea lo spazio in
cui tutti gli atti umani acquistano o falliscono il significato
ideale che li condiziona. Insomma, la massa di ombra lumi-
nosa che chiamiamo «immaginario», la faccia non illuminata
frontalmente da nessuna conoscenza «storica». Solo in fun-
zione dell’immaginario, e non il contrario, è possibile co-
struire qualcosa come l’autognosia. L’immaginario trascende
la mitologia costituita o plausibile, pur essendo nella mitolo-
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muno, nel più celebre dei suoi libri, includeva Antero fra i
quattordici grandi nomi che nel secolo scorso avrebbero in-
carnato «il sentimento tragico della vita». Se l’onore è meri-
tato, ha indotto tuttavia Unamuno, spirito paradossale e an-
gosciato, a pensare che, sull’esempio di Antero, nobile suici-
da, il Portogallo e la sua cultura esemplificassero, come po-
chi paesi o culture, quel famoso sentimento tragico dell’esi-
stenza. Solo alcune apparenze e lo stato poco brillante degli
affari pubblici e della società portoghese tra la fine del XIX
secolo e gli inizi del XX davano alla diagnosi di Unamuno
una qualche verosimiglianza. Ieri, come oggi, si scambiava
una certa propensione malinconica, peraltro complessa, del
popolo portoghese con una percezione della vita e del desti-
no come essenzialmente «tragico».
È possibile che un po’ di verità ci sia in quest’immagine
che di solito si evoca a proposito di questo popolo che can-
ta «il fado» o nel fado si canta. Ma questa verità si riferisce
solo al sentimento di precarietà e di dipendenza, non in
rapporto al destino e alla fortuna, come si diceva pagana-
mente nel Rinascimento, in cui gli individui avevano perdu-
to il loro «posto stabilito» nella società, ma piuttosto in rap-
porto alla provvidenza, quando sembra eclissarsi. Tuttavia,
questa esperienza è poca cosa o nulla in confronto con il
più profondo e quotidiano riflesso di un popolo che da se-
coli, se non da millenni, affida tutto a Dio e alla sua miseri-
cordia. Non essendo così, ne consegue che il popolo e la
cultura in cui esso si esprime non siano molto diversi da
tutte le altre culture nelle quali Dio e il destino non si op-
pongono, ma si confondono. In particolare, la cultura dell’I-
slam, se non fosse per quella familiarità con cui in terra cri-
stiana si vive o non vive la relazione senza nome tra gli uo-
mini (e soprattutto le donne) e Dio. Dunque, questa relazio-
ne è tutto meno che tragica, benché possa esserlo il suo mo-
tivo. E contro questa intrinseca imperturbabilità, convertita
in trascendente pragmatismo, esperienza comune del senti-
mento delle cose, degli esseri e del prossimo nella società
portoghese simbolicamente immobile e felice, un’anima e
uno spirito come quelli di Antero – sradicato da quel luogo
archetipico e materno di una religione che abbia risposte
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e diffusa nell’universo.
Non tutti gli attori della Generazione del ’70 hanno colti-
vato con questa disposizione alla tristezza e con questa lar-
ghezza di punti di vista una religiosità così poco «domesti-
ca», così estranea al nostro millenario cattolicesimo, offren-
do a chi coltiva le lettere un orizzonte e un’eccitazione mai
conosciuta prima nella nostra cultura. Al contrario, tutti
uscivano, almeno con l’immaginazione, dal piccolo Portogal-
lo con l’idea di aprirgli lo spazio limitato e sprovincializzar-
lo. L’epoca era, in Europa, cosmopolita e l’Europa era en-
trata, senza alcun problema di coscienza, nella sua stagione
d’imperialismo coloniale, pacifico o guerriero. Il romantici-
smo aveva importato, timidamente, un’altra cultura o un’al-
tra sensibilità europee in Portogallo. Nell’ultimo quarto del
XIX secolo siamo noi a stare, come non succederà mia più,
in questa Europa che decolla vertiginosamente da se stessa.
Eravamo andati per il mondo – soprattutto in Oriente, nel
Cinquecento – come cristiani e mercanti. Adesso ce ne sta-
vamo come spettatori, clienti, studiosi o semplicemente co-
me curiosi di quanto la Civiltà avrebbe avuto da insegnarci.
Non è stato ancora fatto il rilevamento serio di questo «eu-
ropeismo», che è stato meno passivo e meno dilettantesco
di quanto lo stesso Eça, affascinato e umiliato da tanta ci-
viltà, ci faccia credere, non solo nei romanzi che vivono di
questo scenario – fascino-delusione –, ma anche nelle
straordinarie cronache, mai uguagliate, che inviava in Porto-
gallo e in Brasile da quel «cuore del mondo», analizzato con
divertente intelligenza e ironia.
Sebbene riguardasse solo un’elite, questa emigrazione, al-
lo stesso tempo, reale e fittizia, della nostra cultura verso il
circolo della cultura considerata universale ha creato, quasi
dal nulla, una relazione schizofrenica del Portogallo con
l’Europa che non era mai esistita in questi termini. Altri
paesi avevano vissuto situazioni analoghe (forse tutti, dentro
o fuori dell’Europa), tranne l’Inghilterra, o anche culture
che, per la loro intrinseca autonomia o per il loro ontologi-
co isolamento (la Cina, per esempio), non si leggevano o
mal si leggevano alla luce della civiltà europea in fase ege-
monica. Ma per pochi paesi tale questione diventerà così
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tro moderno.
12. Riferimento indiretto al movimento neoromantico, tardo ottocente-
sco ma con propaggini anche nel Novecento, del “neo-garrettismo”
ispirato a un recupero in senso nazionalistico delle tradizioni e alle
radici autenticamente portoghesi (di qui il richiamo a Garrett).
13. Francisco Manuel de Melo (1608-1666) scrittore poligrafo e cosmo-
polita, nonché militare e uomo politico, formatosi nel clima della mo-
narchia duale, partecipa alla restaurazione portoghese, autore di una
vasta e poliedrica opera, iscritta nell’orizzonte del barocco iberico.
14. Camilo Castelo Branco (1825-1890) e Júlio Dinis (1838-1871) sono
due prosatori – il primo prolifico autore in particolare di novelas, il
secondo di un non ampio ma molto coeso corpo di romanzi – che
per ragione diverse e irriducibili (Camilo per una doppia critica al-
l’ultraromanticismo di metà Ottocento e alle mode del realismo-na-
turalismo dei decenni successivi, Dinis per l’influenza della narrativa
del realismo inglese e del romanzo balzacchiano) sono gli involontari
prodromi del realismo nel campo letterario portoghese.
15. Antero de Quental (1842-1891) poeta, filosofo, prosatore, la più luci-
da mente pensante della Generazione del ‘70 e insieme la sua figura
più tragica, non solo per il suicidio con cui pone fine alla propria esi-
stenza, ma in particolare per gli estremi irricomponibili a cui appro-
da la sua elaborazione teorica rispetto alla condizione culturale e ma-
teriale del Portogallo. Eça de Queirós (1845-1900) è il principale ro-
manziere della Generazione, con un’opera vasta e innovatrice im-
prontata a un’ estetica realista-naturalista, sostenuta da una impecca-
bile sensibilità stilistica. Oliveira Martins (1845-1894) scrittore, politi-
co, autore di una vasta opera in particolare storiografica (tra le altre,
la História de Portugal, del 1882, la História da República romana, del
1885) che, pur movendo da posizioni storiche molto controverse,
esercita un enorme influenza sul pensiero contemporaneo e anche
sulle sue propaggini novecentesche. Teófilo Braga (1843-1924) critico
letterario, professore presso il Corso Superiore di Lettere della Uni-
versità di Lisbona, uomo politico con una vasta azione all’interno del
Partito repubblicano (dopo la proclamazione della Repubblica, nel
1910, giungerà a occupare la carica di presidente del Governo prov-
visorio e in seguito sarà eletto Presidente della Repubblica).
16. Ulteriore riferimento al “neo-garrettismo”.
17. In italiano nel testo originale.
18. Protagonista del romanzo di Eça de Queirós, A ilustre casa de Rami-
res (1897) che tra l’altro indirettamente allegorizza la vicenda dell’Ul-
timatum inglese del 1890.
19. Insieme costituiscono il progettato ciclo delle Scene portoghesi che
avevano come bersaglio l’ elite del Portogallo costituzionalista.
20. I due romanzi appartengono all’ultimo periodo di vita dello scritto-
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re, anzi A cidade e as serras viene pubblicato postumo, dopo una re-
visione dei manoscritti condotta dall’amico Ramalho Ortigão.
21. Notissimo verso dei Lusiadi (X, 145) entrato poi a fare parte del lin-
guaggio comune.
22. Accanto a Sérgio, viene menzionato il medioevista Vitorino Ma-
galhães Godinho (1918) storico dell’epoca delle Scoperte, ex mini-
stro dell’ educazione e della cultura; António Sardinha (1887-1925)
tra i fondatori della rivista Nação Portuguesa da cui sorge il movi-
mento dell’ “Integralismo lusitano” a difesa di una monarchia tradi-
zionale, organica e antidemocratica; Álvaro Ribeiro è, come già det-
to, tra i fondatori della “filosofia portoghese”.
23. Presença è la rivista pubblicata a Coimbra tra il 1927 e il 1940 che
contribuisce a storicizzare l’esperienza di quello che si definisce “pri-
mo Modernismo portoghese” (la Generazione di Orpheu, di Pessoa,
Sá Carneiro etc.). Di tendenza psicologico-estetizzante, il suo lascito
critico è rilevante anche e forse soprattutto per le polemiche e le dis-
sidenze che la sua linea antideologica e astensionista provoca presso i
suoi collaboratori.
24. Nell’elenco, alcuni tra i principali esegeti novecenteschi della Gene-
razione del ’70.
25. Aquilino Ribeiro (1885-1963) autore di un’opera soprattutto narrati-
va di ampio respiro che, attraverso un’idea di realismo del tutto per-
sonale e concentrata soprattutto sui valori di una ricerca linguistica
insieme popolare ed arcaicizzante, fonda una stile mai riducibile per
intero ad alcun movimento letterario.
26. Si tratta dello scultore João Cutileiro il cui D. Sebastião eretto a La-
gos nel ’73 fu oggetto di una vivace polemica.
27. Allusione ad uno dei miti di fondazione della storia portoghese, l’as-
sassinio della nobile Inês de Castro amante e sposa segreta del prin-
cipe D. Pedro commissionato dal padre di questi, il re D. Afonso IV
nel 1355. Una volta incoronato re, nel 1357, D. Pedro non solo con-
sumerà una crudele vendetta nei confronti dei sicari, ma procederà
con una macabra cerimonia all’ incoronazione postuma della nobile
galiziana.
28. Il film di Manoel de Oliveira del 1990 raccorda insieme il piano del-
la storia presente (il fronte angolano est della guerra coloniale pro-
prio a ridosso della Rivoluzione) e una ricognizione sui traumi della
storia portoghese in cui spicca la figura allucinata del giovane re che
si perderà nella battaglia di Alcácer-Quibir.
29. Fontes Pereira de Melo (1819-1887) è il ministro delle opere pubbli-
che che nel XIX secolo, in piena “Regeneração”, avvia un ambizioso
progetto di modernizzazione delle infrastrutture del Paese (fonti-
smo). Duarte Pacheco, ingegenere e ministro dei lavori pubblici negli
anni ’30 responsabile del piano di espansione di Lisbona.
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30. Riferimento alla piazza centrale del Rossio e alla Casa Havaneza nel-
lo Chiado, luoghi assai noti di Lisbona, peraltro celebrati da Eça de
Queirós nel romanzo Os Maias.
31. Primo verso dell’inno nazionale “A portuguesa” (parodiato in un ro-
manzo eponimo di António Lobo Antunes).
32. Allusione alla prima traversata aerea dell’Atlantico compiuta da Ga-
go Coutinho e Sacadura Cabral, nel 1922.
33. Carrellata storica che va dalla fondazione del Portogallo (battaglia di
Ourique) passando per la battaglia di Aljubarrota (1385) contro i ca-
stigliani, la Restaurazione dopo la sottomissione alla Spagna (1640),
fino alle campagne africane del XIX secolo che formulano il proget-
to del Terzo Impero (quello africano). La periodizzazione indicata è
quella che va da Afonso de Albuquerque, dal 1509 Governatore del-
l’India a Joaquim Augusto Mouzinho de Albuquerque, tra il 1896 e
il 1897 Governatore del Mozambico.
34. Il riferimento è alla Guerra Coloniale (o Guerra do Ultramar, o
Guerra de África) che il Portogallo combatte contro i movimenti in-
dipendentisti delle colonie a partire dal 1961 e che di fatto costituirà
la causa efficiente della insurrezione dell’ MFA, il Movimento delle
Forze Armate, che porrà fine, il 25 aprile 1974, al regime salazarista.
35. Il riferimento è al “Monólogo do Vaqueiro” dell’Auto da visitação,
l’opera esordiale di Gil Vicente (1502).
36. Si tratta dellla figura del “povero lusiade” cantata da António Nobre
(1867-1900) nella celebre “Lusitânia no Bairro Latino” del volume
Só (Parigi, 1892).
37. Marcelo Caetano (1906-1980) giurista e professore della Università
di Lisbona, dagli anni ’40 intraprende un’importante carriera politica
che lo porta ad occupare alcuni degli incarichi di maggior rilievo nel
regime salzarista (ministro delle colonie, presidente della camera cor-
porativa etc.) Nel 1968, a seguito dell’infermità di Salazar, viene no-
minato Presidente del Consiglio, in una fase in cui, per le conse-
guenze della guerra coloniale, anche i tenui propositi di riforma del-
la cosiddetta “primavera marcelista” erano ormai più che tardivi.
Viene deposto dalla Rivoluzione del 25 Aprile 1974 e muore in esilio
in Brasile.
38. La genealogia ampia di autori selettivamente citati, di autori e critici,
attraversa per intero la storia della cultura portoghese dal Cinque-
cento con Camões fino al Novecento con lo storico Magalhães Go-
dinho.
39. La mitologia a cui rinvia il saggista è quella dei grandi miti nazionali:
Ulisse quale fondatore leggendario di Lisbona, Viriato simbolo della
resistenza lusitana contro la colonizzazione romana, Nun’Álvares, il
nobile cavaliere che sostiene l’ascesa del primo monarca portoghese,
Afonso Henriques, Bandarra il ciabattino che nella prima metà del
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Capitolo terzo
Della letteratura come interpretazione del Portogallo
(da Garrett a Fernando Pessoa)
La santa chiarezza con cui i Poeti parlano nelle tenebre delle cose più oscure.
Raul de Carvalho
siasi altro posto batte il cuore del mondo», cosa che non gli
impedirà, qualche anno dopo, vivendo a Parigi, di percorre-
re le banchine della Senna alla ricerca di vecchi libri rilegati
nella buona bazzana lusitana, come chi raccoglie pezzi della
sua stessa pelle o accumula malinconici mattoni per rico-
struire nella sua solitudine esiliata un Portogallo di sogno e
di fiaba in cui rovescia il suo amor patrio senza occupazio-
ne; ma anche esaltazione dionisiaca per questa Patria che
non è civilizzata e sa ancora cucinare quel brodo e quelle fa-
ve divine della divina Tormes, solo per il fatto d’esser quel-
l’anti-Parigi che l’aspettava per distillargli in un’ultima lezio-
ne senza maestro la pozione immortale di garrettiana e lusi-
tana saudade.
A un Portogallo rude, provinciale, analfabeta, a una Ca-
pitale mimetica, indolente, mediocre da far piangere le pie-
tre, i giovani Eça e Ramalho hanno preteso di insegnare tut-
to – anche quello che non sapevano – trasformare l’uno e
l’altra in una piccola Francia che non li facesse vergognare e
di cui non aver vergogna. Dopo vent’anni, in ammirevole
capoverso, di lucidità intellettuale ed etica, della Prefazione
alle Farpas, Eça avrà perfetta coscienza della natura auto-
provocatoria, disperata e, in poche parole, «ingiustificabile»
dell’interrogazione alla realtà nazionale così com’era stata
concepita dalla Generazione: «Ma chi ero io, che forze o ra-
gione superiore avevo ricevuto dagli dèi per assurgere nel
mio paese a giustiziere distruttore di mostri?». Se una trage-
dia culturale è esistita per Eça de Queirós, è stata una trage-
dia a occhi aperti. Ci sono pochi documenti così superiori
nella nostra letteratura come la lettera in cui «il vecchio
Eça» – che mai è giunto a esser tale – ringrazia il petulante
Alberto de Oliveira per averlo omaggiato con un esemplare
di Palavras loucas, discreta ma chiara impugnazione, in stile
lambiccato, dell’immaginario della Generazione del ’70, o
meglio della sua superficiale ma comune versione. Gli en-
trava in casa, seppur in termini a un tempo semplificatori e
perentori, l’apologia del Nativismo e del Tradizionalismo,
non solo come esaltazione lirica delle nostre realtà folclori-
che, ma come promozione a valori ideologici la cui contem-
plazione ci sarebbe bastata per riconciliare la coscienza por-
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La Notte originaria
Che in sé conteneva la strana Natura;
Il Tamigi, il Marão, in vette di bronzo,
La Bibbia, la Sfinge, il volto della Tristezza…
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Note
1. Il passo di Pessoa è tratto dal saggio «A nova poesia portuguesa no
seu aspecto psicológico» collaborazione del settembre del 1912 alla
rivista saudosista A Águia II serie. Raul de Carvalho (1920-1984)
poeta alentejano di ispirazione neorealista. L’ «Ode marítima» dell’e-
teronimo pessoano Álvaro de Campos viene pubblicata nel numero
2 della rivista Orpheu (luglio del 1915).
2. António Feliciano de Castilho (1800-1875), pedagosista e cultore
della lingua, viene a rappresentare dalla metà dell’Ottocento il cori-
feo dell’accademismo romantico, un ruolo questo che lo contrappo-
ne, in una famosa polemica, ad Antero de Quental e al gruppo di
giovano studenti conimbricensi che costituiranno in seguito la Gene-
razione del ’70.
3 Camões è il poema narrativo di Almeida Garrett (Parigi, 1825) e
Mensagem è il volume di poesie epiche pubblicato da Fernando Pes-
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Postfazione
L’ora dei fantasmi: il labirinto del destino portoghese
Labirinto
Se un centro, sia pure fluido, si può individuare nel di-
scorso poliedrico, intessuto su molteplici crinali critici e di
pensiero, di Eduardo Lourenço, questo va ricercato
senz’altro nella funzione e nel peso che in esso occupa l’im-
magine. Anzi, nella dialettica complessa che si instaura tra
immagine e immaginario. Non a caso, è lo stesso critico,
nell’introdurre il volume del ’78, che delinea il metodo con
cui configurare l’esercizio “drammatico” – per la circostan-
za storica e psicologica in cui è iscritto – di autocompren-
sione, quando si riferisce a un’imagologia, un’iconologia in-
somma, fondata in quanto discorso critico sulle immagini
che il Portogallo ha prodotto di se stesso nel corso della
storia.
È immediato scorgere in questa scelta di campo l’im-
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Saudade e destino
Fuori dalla riflessione teorica e dentro la storia, il Portogal-
lo probabilmente è il Paese europeo al quale meglio si atta-
glia la corrosiva Seconda considerazione inattuale. Sull’ utilità
e il danno della storia per la vita di Nietzsche. Il passato mo-
numentale dell’Impero che ha disseminato le vestigia della
sovranità portoghese per le “sete partidas do mundo” risul-
ta ipertrofico e schiacciante per una nazione in fondo esi-
gua, confinata su una costa estrema d’Europa. Non a caso,
quando la coscienza di tale condizione finalmente prenderà
forma (e l’evento dell’Ultimatum inglese del 1890 che san-
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Riferimenti essenziali
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Il testo
Il labirinto della saudade. Portogallo come destino, in accordo
con le intenzioni dello stesso autore, raccoglie tre saggi – scritti in
diversi momenti – della vasta produzione saggistica di Eduardo
Lourenço. Il primo si intitola «Psicanalisi mitica del destino por-
toghese» e fu scritto tra il 1977 e il 1978 come recita la formula fi-
nale così tipica di Lourenço (S. Pedro, estate del ’77 – Vence, pri-
mavera del ’78) presente sin dalla prima edizione e omessa invece
nella sesta edizione del 2000 licenziata dalla Gradiva di Lisbona.
La «Psicanalisi mitica del destino portoghese» pubblicata come
saggio iniziale del libro O labirinto da saudade. Psicanálise mítica
do destino português (D. Quixote, Lisboa, 1978) costituisce non
solo il testo più famoso del saggista ma la prima e fondamentale
interpretazione della cultura portoghese realizzata dopo la Rivolu-
zione dei Garofani del 25 Aprile del 1974, cioè dopo la caduta
del regime salazarista in Portogallo e la fine dell’Impero coloniale
più longevo d’Europa.
Il secondo saggio dal titolo «Il Portogallo come destino. Dram-
maturgia culturale portoghese», secondo quanto lo stesso Eduardo
Lourenço ha ammesso, è la possibile continuazione o rivisitazione
di «Psicanalisi mitica del destino portoghese» pur essendo stato
scritto a venti anni di distanza in condizioni storiche e politiche as-
sai diverse. Concepito in Francia nel 1998 e pubblicato l’anno suc-
cessivo a Lisbona all’interno della raccolta di saggi intitolata ap-
punto Portugal como destino seguido da mitologia da saudade (Li-
sboa, Gradiva, 1999), il testo de «Il Portogallo come destino» recu-
pera i risultati «a caldo» della psicanalisi mitica condotta da Lou-
renço (a ridosso dell’evento rivoluzionario) sulle immagini culturali
che i portoghesi hanno costruito di sé lungo la loro storia, per dar
forma al nuovo tempo portoghese che non è solo quello del passa-
to ma anche di un futuro in quanto destino di un popolo tra i po-
poli e non più “eletto” o detentore privilegiato di un destino.
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L’autore
Il filosofo, il saggista, il critico letterario e il critico d’arte, lo sto-
rico della cultura, il “mitologo” – ma se volessimo provare a dare
conto della sua sterminata bibliografia, anche l’occasionale e rimos-
so poeta e narratore – che Eduardo Lourenço è ed è stato ascende
necessariamente al novero di uno dei maggiori pensatori del Nove-
cento portoghese. Da oltre cinquant’anni, pur vivendo lontano dal
Portogallo, più da assente che da esiliato (come lo stesso ha sempre
tenuto a dire), Eduardo Lourenço “pensa” il Portogallo e la sua
Cultura come pochi altri, tanto da far scrivere nel 1998 al critico
Miguel Real che le sue analisi sul Paese – insieme a quella del so-
ciologo Boaventura de Sousa Santos e dello storico José Mattoso –
resisteranno al passaggio del secolo e saranno ancora per molto
tempo oggetto del dibattito sullo stato della cultura nazionale.
Eduardo Lourenço è nato a São Pedro do Rio Seco, nella re-
gione della Beira Alta, il 23 Maggio del 1923. Dopo gli studi se-
condari a Guarda e a Lisbona, ottiene la laurea in Scienza Stori-
co-Filosofiche presso l’Università di Coimbra nel 1946, dove la-
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confronti della filosofia […] non significa che io abbia trovato nel-
la letteratura la ‘verità’ che la filosofia mi aveva rifiutato. Vi ho tro-
vato solo una realtà più conforme al sentimento generale che cer-
co della vita e del mondo, qualcosa che si impone perché in essa
(parlo della grande letteratura) la vita manifesta in termini di para-
dossale splendore (ciò che chiamiamo poesia) il carattere di finzio-
ne della nostra relazione con la realtà».
Dalla storia letteraria portoghese del XIX e XX secolo, senza
tuttavia tralasciare gli autori canonici nazionali (Camões e Vieira)
e non solo (Montaigne), fino agli studi monografici su scrittori,
in particolare su poeti come Antero e Pessoa, Lourenço opera
una revisione totale della teoria letteraria e soprattutto della sto-
riografia culturale alla luce di una potente decostruzione delle
mitologie storiche-culturali del Portogallo. La profonda riflessio-
ne – sempre più urgente, dopo il 1974-75, con la fine dell’Impe-
ro – intorno all’identità portoghese che egli analizza in termini di
iperidentità (immagine sproporzionata che la cultura nazionale ha
prodotto di sé), la rivisitazione delle figure dell’immaginario lu-
síada (dalla saudade al messianesimo, dalla nazione-imbarcazione
alla lusofonia più o meno imperiale), il tentativo di riformulare
l’immagine culturale del Portogallo e riadattarla a se stesso e al-
l’Europa, normalizzandola nel presente (e nel futuro) a discapito
del «prodigioso irrealismo» del tempo onirico portoghese: ecco
alcune delle grandi ossessioni culturali che hanno fatto del pen-
siero di Eduardo Lourenço il riferimento maggiore per chi voglia
conoscere non solo la realtà solare e fattuale del Portogallo e del-
la sua storia ma anche il suo contenuto d’ombra e di sogno e le
sue irriducibili rifrazioni immaginarie.
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Traduzioni italiane
Fernando re della nostra Baviera, a cura di D. Stegagno, Empíria, Ro-
ma 1997.
Il tempo dell’Europa, trad. it di D. Stegagno, Marsilio, Venezia 2002.
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Cruciale
saggio di saggi identitari
sull’Estrema Europa portoghese
o sul labirinto del mondo
in cui l’Europa si è spinta
e poi perduta e oggi forse
con il Portogallo cerca
il suo volto
e il suo destino
questo libro
viene stampato
nel carattere Garamond
su carta Arcoprint
dellle cartiere Fedrigoni
dalla tipografia SAGI di Reggio Emilia
per conto di Diabasis
nell’aprile duemila
sei