Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Il Giorno della memoria cade ogni anno il 27 gennaio. L'evento si celebra ogni anno
in Italia e nel resto del mondo: ma cosa si intende per “memoria”? E perché, e
soprattutto cosa è importante ricordare?
Il 27 gennaio 1945 è il giorno in cui, alla fine della Seconda Guerra Mondiale - i
cancelli di Auschwitz vengono abbattuti dalla 60esima armata dell’esercito sovietico.
Il complesso di campi di concentramento che conosciamo come Auschwitz non era
molto distante da Cracovia, in Polonia, e si trovava nei pressi di quelli che erano
all’epoca i confini tra la Germania e la Polonia. Con l’avvicinarsi dell’Armata Rossa,
già intorno alla metà di gennaio, le SS (un'organizzazione paramilitare del Partito
Nazionalsocialista Tedesco ) iniziarono ad evacuare il complesso: circa 60.000
prigionieri vennero fatti marciare prima dell’arrivo dei russi. Di questi prigionieri,
si stima che tra 9000 e 15000 sarebbero morti durante il tragitto, in gran parte uccisi
dalle SS perché non riuscivano a reggere i ritmi mostruosi della marcia. Altri
prigionieri, circa 9000, erano stati lasciati nel complesso di campi di Auschwitz
perché malati o esausti: le SS intendevano liquidarli, ma non ebbero il tempo
necessario per farlo prima dell’arrivo dei sovietici. Queste riuscirono invece ad
eliminare qualcos’altro: quante più prove possibile dei crimini che avevano
commesso, facendo esplodere diverse strutture, alcune delle quali contenevano i
forni crematori industriali (dove venivano bruciati i cadaveri delle persone uccise ad
Auschwitz), ed altre proprietà delle vittime dello sterminio.
Tutto questo è stato deciso in maniera programmatica dal governo tedesco che si
dichiarava e era ritenuto moderno come popolo civile. L'Antisemitismo
(Avversione nei confronti dell'ebraismo) aveva origini antiche, c'erano stati altri
momenti nella storia in cui agli ebrei erano state addossate delle colpe soprattutto di
attività finanziarie e economiche, Gli ebrei erano quel ceppo visto come degli
usurai senza scrupoli che si insinuano a spese della società. Nel episodio della
peste del 300 venne data la colpa agli ebrei di aver propagato il contagio. Tuttavia è
con la decisione programmatica della via da seguire del Mein Kampt di Hitler ,
l'Antisemitismo diventa una regola da applicare. L'Ideologia nazista si basa sulla
certezza che gli ariani sono una razza superiore che non deve corrompersi con
gli ebrei. Gli ebrei sono una razza inferiore e a essi viene assegnata la
responsabilità della situazione negativa in cui si trovava la Germania tra gli anni
20 e gli anni 30. Il popolo ebraico secondo i nazisti avrebbe creato un complotto per
far perdere la Prima Guerra Mondiale ai tedeschi. Anche le relative conseguenze
della Prima Guerra Mondiale come la grave crisi economica e questo risentimento
nei confronti della pace della Versailles erano in capo al Popolo Ebraico. Questo era
il cosiddetto capro espiatorio, cioè il responsabile di tutto il male che la Germania
viveva negli anni 20 del 900.
Quello stesso giorno vennero firmati altri due decreti: il primo per la trasformazione
dell’Ufficio centrale demografico in Direzione generale per la demografia e la razza,
il secondo per l’istituzione, presso il ministero dell’Interno, di un Consiglio superiore
per la demografia e la razza.
Essi erano anche facilmente riconoscibili perché erano molto radicati nella società e
avevano altissimi livelli in vari settori produttivi e perché avevano molte tradizioni
religiose e culturali che gli connotavano in maniera chiara.
Nel novembre del 1938 avvenne uno degli eventi più significativi del regime nazista
Con notte dei cristalli vengono indicate le sommosse popolari, condotte dagli ufficiali
del Partito Nazista, nella notte tra il 9 e 10 novembre 1938 in Germania, Austria e
Cecoslovacchia. In questa furono bruciate o completamente distrutte almeno 1406
sinagoghe e case di preghiera ebraiche, distrutti i cimiteri, i luoghi di aggregazione
della comunità ebraica, migliaia di negozi e case private.
Però l’origine della definizione "notte dei cristalli”, più correttamente "notte dei
cristalli del Reich" è una locuzione di scherno che richiama le vetrine distrutte, fatta
circolare da parte nazionalsocialista e diffusa poi anche nella storiografia comune.
Dello stesso atteggiamento di beffa nei confronti dei cittadini classificati "ebrei"
fece parte anche l'obbligo imposto alle comunità ebraiche di rimborsare il
controvalore economico dei danni arrecati e di demolire a loro spese le
sinagoghe danneggiate. Nessuno tra i vandali, assassini e incendiari venne
processato, con l'eccezione di quattro nazisti, riconosciuti colpevoli di stupro, i
quali furono condannati non per le violenze, ma per aver trasgredito le leggi
razziali, che condannavano rapporti sessuali di tedeschi con "non ariani".
Alla fine, il numero degli ebrei uccisi fu di circa 400, tra i 1300 e i 1500 se si
calcolano anche i circa 400 che morirono in episodi di violenza nei giorni
successivi e i circa 700 tra gli arrestati, i quali trovarono la morte nei campi di
concentramento.
Questi ordinarono poi, agli Ebrei residenti nei ghetti, di indossare targhette di
identificazione o bracciali, e ne obbligarono molti al lavoro forzato per il Terzo
Reich. Inoltre, le autorità germaniche proibirono generalmente anche qualunque
forma di istruzione, a tutti i livelli. Inoltre , la vita quotidiana nei ghetti veniva
amministrata dai Consigli Ebraici, che erano nominati dai Nazisti. La polizia del
ghetto si occupava di far rispettare gli ordini delle autorità tedesche e i decreti dei
Consigli Ebraici, inclusa l'agevolazione delle deportazioni verso i campi di sterminio.
Allora dopo aver separato e isolato tutte le popolazioni di razza ebraica da quella
ariana bisognava solo far partire l’ultima fase del piano tedesco: l’eliminazione di
massa. Queste vennero organizzate con liste dettagliate di vittime presenti, future e
potenziali. Oltre a ciò, uno sforzo considerevole fu speso per trovare metodi sempre
più efficienti per uccidere persone in massa, passando dalle fucilazioni,
all'avvelenamento con monossido di carbonio in appositi campi di sterminio.
Quindi nel 1940 diedero inizio a questa ultima fase o anche detta Soluzione Finale.
Iniziarono cosi le deportazioni in tutta Europa.
Tra l’ottobre e il dicembre del 1941, le autorità tedesche deportarono circa 42.000
Ebrei provenienti dalla cosiddetta Grande Germania, la quale includeva l’Austria, la
Bohemia e la Moravia: quest’ultime erano state sottratte alla Cecoslovacchia e
annesse alla Germania. Gli Ebrei tedeschi mandati a Lodz nel 1941, insieme a quelli
trasferiti nella prima metà del 1942 a Varsavia vennero poi deportati con gli Ebrei
polacchi.
Tra il novembre 1941 e la fine d’ottobre 1942, le autorità tedesche deportarono altri
50.000 Ebrei provenienti dalla cosiddetta Grande Germania. Una volta arrivati a
destinazione, le SS e le forze di polizia ne fucilarono subito la maggior parte. I pochi
Ebrei selezionati per i lavori forzati furono tenuti separati da quei pochi risparmiati
dalle SS in quanto utili in qualche specifico settore e dopo di questo, le autorità
tedesche deportarono la maggior parte degli Ebrei rimasti in Germania
direttamente nei centri di sterminio di Auschwitz-Birkenau o di Theresienstadt.
Il viaggio dei deportati incominciava dalle città natali quando l’esercito nazista
strappava dalle loro case tutti coloro che erano riconosciuti come ebrei. I bagagli
venivano confiscati dagli ufficiali delle SS e non tornavano più ai loro proprietari. Gli
uomini erano quindi caricati su vagoni merci che erano di piccole dimensioni se
considerate in rapporto al numero di persone che vi erano stipate. Alcune persone
morivano di freddo, di fame, di soffocamento, durante il viaggio che poteva durare
anche diversi giorni a seconda della destinazione e dal luogo di imbarco. A bordo non
venivano concesse né razioni di cibo né d’acqua, né la possibilità di conoscere la
meta o di espletare alle proprie funzioni fisiologiche. I vagoni erano bui e le feritoie
chiuse da filo spinato; la gente si accalcava vicino agli spiragli di luce per scorgere il
mondo al di fuori del veicolo. Alcuni impazzivano e avevano allucinazioni.
Tra le vittime della Shoah ricordiamo Anna Frank una ragazzina ebraica che durante
la sua vita ,passata a nascondersi dai tedeschi , scrisse un diario. Anneliese Marie
Frank, chiamata da tutti Anna, nacque a Francoforte sul Meno (Germania) il 12
giugno 1929. Il padre Otto Frank, proveniva da una famiglia molto agiata ed ebbe
un'educazione di prim'ordine. Purtroppo gran parte del patrimonio familiare andò
perduto, a causa dell'inflazione, durante la prima guerra mondiale, in cui combatté
valorosamente.
La famiglia Frank si era trasferita dalla Germania a Amsterdam nel 1933, anno in cui
i nazisti hanno ottenuto il controllo in Germania. Nel 1940 la famiglia rimane
intrappolata a Amsterdam dall’occupazione tedesca dei Paesi Bassi. Con l’acuirsi
delle persecuzioni, nel 1942, per i Frank diventa sempre più complicato non farsi
trovare durante i rastrellamenti. Il padre di Anna decide perciò di nascondersi
insieme alla famiglia in un alloggio ricavato nel retro della sua fabbrica, accogliendo
anche Hermann van Pels con la moglie e il figlio sedicenne Peter e, poco dopo, il
dentista Fritz Pfeffer.
Anna intanto per passare il suo tempo scriveva su questo quadernetto che le era
stato regalato per il compleanno. Su questo quaderno la giovane cominciò così a
scrivere il suo Diario nel quale raccontava la difficile vita nella “casa sul retro” e le
continue emozioni dovute ad una situazione così strana e surreale.
Anna Frank e i suoi compagni di sventura vissero per quasi due anni nel
nascondiglio segreto, ma il 4 agosto 1944 un ignoto delatore rivelò i nazisti il
nascondiglio e tutti gli occupanti dell’appartamento vennero arrestati e
immediatamente deportati. I soldati misero a soqquadro l’edificio ma una volta che se
ne furono andati, Miep Gies riuscì a introdursi nell’appartamento e recuperò i fogli
scritti da Anna che dopo la guerra diventarono il celebre diario.
Quando tornò a casa scoprì che l’intera famiglia era stata sterminata e Miep Gies gli
consegnò ciò che aveva salvato dal giorno dell’arresto.
Nel 1947, dopo aver corretto e revisionato gli scritti della figlia, Otto Frank diede
alle stampe la prima versione del diario intitolata ‘’ La casa sul retro’’.
Poi ricordiamo anche Primo Levi fu senz’altro uno degli scrittori italiani più
importanti del secolo scorso: considerato una pietra miliare della letteratura italiana, è
soprattutto una figura fondamentale per capire il dramma e le conseguenze
dell'Olocausto, o Shoah.
Primo Levi nasce a Torino nel 1919 da una famiglia ebrea di intellettuali
piemontesi. Laureato in chimica e chimico di professione, diventa scrittore dopo la
traumatica esperienza della deportazione nel campo di lavoro di Monowitz, che
faceva parte dello stesso complesso del più noto Auschwitz.
È questo l’evento centrale della vita di Levi, che fa scattare la molla della scrittura,
sentita come una necessità di confessione, di analisi, oltre che un dovere morale e
civile. Il ricordo ed il trauma mai superato della deportazione e dell'esperienza di
Auschwitz è anche probabilmente alla base del suo suicidio, avvenuto nel 1987.
Fino al '38 Primo Levi è un normale studente con la passione della chimica; le
leggi razziali gli fanno aprire gli occhi sulla natura del fascismo e lo spingono verso
l’azione politica. Alla fine del '42 entra nel Partito d’Azione clandestino e dopo
l’armistizio dell’8 settembre del '43 si unisce a un gruppo partigiano della Valle
d’Aosta. Ma catturato dalla milizia fascista il 13 dicembre dello stesso anno, viene
internato nel campo di concentramento di Fossoli e nel febbraio del '44 deportato
ad Auschwitz.
Nel Lager, dove rimane circa un anno, Primo Levi riesce a sopravvivere grazie a
circostanze fortunate, che ricorderà per tutta la vita. Racconterà infatti:
"Sono stato fortunato: per essere stato chimico, per avere incontrato un muratore
che mi dava da mangiare, per avere superato le difficoltà del linguaggio…; mi sono
ammalato una volta sola, alla fine, e anche questa è stata una fortuna, perchè ho
evitato l’evacuazione dal lager: gli altri, i sani, sono morti tutti, perchè sono stati
deportati verso Buchenwald e Mauthausen, in pieno inverno".
A testimonianza di questa tragica esperienza, Primo Levi scrive nel '46 e pubblica nel
'47 Se questo è un uomo, il libro che 10 anni più tardi sarà riconosciuto come il
capolavoro della letteratura concentrazionaria.
. Le sue pagine hanno svelato al mondo, con una prosa lucidissima e asciutta, la
sconvolgente vergogna dei campi di concentramento, raccontata attraverso gli occhi
di un uomo impegnato nel preservare la propria dignità sopravvivendo a una tragedia
indicibile. Scrive lo stesso Primo Levi che la sua scrittura scaturisce dalla necessità
che la memoria storica non vada smarrita, e soprattutto da “l’impossibilità di
rassegnarsi al fatto che il mondo dei lager sia esistito, che sia stato introdotto
irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono e quindi sono possibili”
Dal momento in cui le truppe russe entrano nel Lager di Auschwitz, abbandonato
dai tedeschi in ritirata, prende avvio il secondo libro di Levi, La tregua, pubblicato
nel '63 e considerato da alcuni la sua opera più alta. La tregua narra il tormentato
viaggio di ritorno in patria dell’autore con un gruppo di compagni attraverso
un’Europa ancora sconvolta dalla guerra. Così come l’esperienza del Lager è
associabile all’inferno, l’odissea del viaggio di ritorno, nel quale avviene una lenta
resurrezione alla vita, rimanda al purgatorio, in una sorta di percorso dantesco; ma
l'analogia con Dante si ferma qui: Levi, infatti non potrà mai raggiungere la completa
liberazione.
Con questo secondo libro Levi capisce che scrivere non è un fatto occasionale e, al
dolente testimone del Lager, si affianca uno scrittore dall’ispirazione varia, che
sperimenta forme letterarie diverse.
Il filone memoriale-saggistico prosegue con Se non ora, quando? ('82), che descrive il
viaggio di un gruppo di partigiani ebrei russi dalla Bielorussia all’Italia passando per
la Palestina, e il libretto I sommersi e i salvati ('86) che torna sulla tragedia di
Auschwitz con l’intento non più di raccontare ma di riflettere, riallacciandosi a Se
questo è un uomo.