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L’Illuminismo è un movimento culturale che nasce in Francia e si sviluppa nel XVIII secolo nei maggiori paesi europei.
Esso è caratterizzato da uno specifico modo di rapportarsi alla ragione: consiste nell'impegno di avvalersi della ragione in
modo “libero” e “pubblico” per migliorare il proprio vivere.
Secondo gli illuministi infatti l’uomo, pur possedendo l’intelletto, non ne ha fatto un giusto impiego nel passato, rimanendo
in una sorta di «minorità» che lo ha reso vittima di forze irrazionali, da cui deve assolutamente distaccarsi.
Il filosofo Kant alla domanda “che cos’è l’Illuminismo?” sostiene che sia l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità, minorità
che consiste nella mancanza di coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Il motto
dell’Illuminismo è infatti Sapere aude!, ovvero abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza!
Per gli illuministi il “filosofo”, inteso come intellettuale, non è più il “sapiente” distaccato dalla vita e dedito alle speculazioni
metafisiche, bensì un uomo in mezzo agli altri uomini, che cerca di rendersi utile agli altri
ILLUMINISMO E BORGHESIA
L’Illuminismo è simbolo della rivoluzione sociale compiuta dalla borghesia, e non a caso i rappresentanti dell’Illuminismo
sono perlopiù borghesi.
Essa diventa infatti la classe “portatrice del progresso”, che vuole spezzare il legame con il passato e le antiche
consuetudini (istituzioni feudali e Chiesa).
Nasce inoltre un nuovo ideale di essere umano: l’Illuminismo si rispecchia nelle figure del “filosofo” e del “ mercante”, che
riunisce nel personaggio del “mercante-filosofo”, esplicitando così la tendenza a teorizzare modelli e valori di tipo
borghese.
ILLUMINISMO E RINASCIMENTO
L’Illuminismo può essere considerato come “secondo Rinascimento” poiché si configura come continuazione ideale del
Rinascimento. Come analogie vi sono per esempio la celebrazione dell’individuo, la difesa della sua dignità, il rifiuto di
sottomettere la ragione al principio di autorità, l’avversione per il Medioevo.
Con gli illuministi il programma rinascimentale subisce però una radicalizzazione. Per esempio l’umanesimo illuminista
risulta più accentuato: eliminando qualsiasi concezione religiosa, la intende unicamente come un riscatto operato
dall’uomo per l’uomo. Dio, nonostante non venga dichiarato inesistente, viene tuttavia relegato in una sfera che ha poco a
che fare con il mondo degli uomini (deismo). In questo modo l’uomo diventa l’unico artefice del proprio destino.
Inoltre l’Illuminismo accelera la laicizzazione della cultura sganciando la ragione da ogni fondamento trascendente.
ILLUMINISMO E METAFISICA
Con gli illuministi si ha una critica delle grandi costruzioni metafisiche. Espressione di questa tendenza è la polemica
contro il “sistema” e lo “spirito di sistema”.
Al “sistema” e all’ideale deduttivo della scienza cartesiana, gli illuministi contrappongono l’ideale analitico della scienza
newtoniana, che consiste nell’ osservazione dei casi particolari e nella formulazione di princìpi generali sempre certificati
da nuove esperienze. Lo “spirito di sistema” viene così sostituito con l'esigenza sistematica, che consiste nello sforzo di
determinare quell’ordine e quella connessione strutturale delle conoscenze di cui l'Enciclopedia è testimonianza.
L’Illuminismo rinuncia inoltre a dibattere i problemi riguardanti l’essenza ultima del reale e le questioni relative alla
sostanza-spirito o alla sostanza-corpo poiché considerati irrilevanti ai fini di una conoscenza effettiva del mondo. Questo
non significa che tutto il discorso metafisico sia bandito, bensì l’Illuminismo si mantiene perlopiù entro una metafisica
deista, la quale non pretende di spiegare “l’essenza” degli esseri, ma ritiene almeno di poter dimostrare che alla base del
mondo c’è Dio.
Tuttavia Dio viene visto semplicemente come una forza che ordina il reale e a cui si accede attraverso la pura ragione.
Nei confronti degli uomini e del loro destino Dio è totalmente indifferente.
In sostanza l’Illuminismo svolge la funzione di diffondere per la prima volta nel mondo moderno una certa cautela critica
nei confronti dei sistemi ontologici tradizionali.
ATEISMO E DEISMO
Nella critica illuministica alla religione sono due i filoni principali:
Il deismo scinde tra ragione e superstizione, e giunge a una forma di religione naturale fondata su verità comuni a
tutti gli uomini, quali l’esistenza di Dio e i precetti morali riguardanti l’amore e il rispetto per i propri simili.
Per gli illuministi questa forma di religione risulta la sola capace di garantire sia l’ autonomia degli esseri umani che l’idea
dell’ esistenza di una mente superiore. Essa si contrappone quindi alle religioni “positive”, le quali presentano dogmi o
credenze inutili.
Il deismo scinde il razionale dall'irrazionale. La corrente atea ritiene che la religione sia un fenomeno irrazionale,
che scaturisce dal timore e dal disagio dell’uomo di fronte all’universo.
Anche Dio è visto come soltanto una falsa proiezione della mente, e dunque l’unica verità è da ricercarsi nel mondo reale,
ovvero nella natura.
Questa interpretazione del mondo storico trova espressione anche nella storiografia illuministica, che ha dovuto porsi il
problema di un’indagine storica fondata, facendo valere il principio del vaglio critico delle testimonianze tramandate, e del
rigetto di quelle “false” o "contraffatte".
Inoltre, nei confronti della storiografia tradizionale, incentrata prevalentemente sulla dimensione politica, diplomatica e
militare dei fatti, l’Illuminismo non considera solo gli eventi storici ma anche la vita economica, il progresso scientifico e
tecnico, la cultura letteraria e artistica ecc.
Infine essa ha elaborato un quadro storico “universale” del cammino della civiltà, impegnandosi a valutare le varie epoche
alla luce del contributo fornito all'incivilimento dell’uomo e al miglioramento delle sue condizioni di vita.
ILLUMINISMO E POLITICA
Inizialmente vi era una scarsa attenzione nei confronti della politica perché questa all’interno dello stato trovava pochi
stimoli e non aveva uno spazio adeguato. Successivamente però con la nascita di movimenti che si opponevano
all’assolutismo di Luigi 14, nacque un interesse generale nei confronti della politica e delle sue problematiche, si verifica
infatti un’esplosione della pubblicistica storica e filosofico-politica.
ROUSSEAU
IL DISCORSO SULLE SCIENZE E LE ARTI
Questo scritto, composto da Rousseau in occasione di un quesito posto dall'accademia di Digione (“se il progresso delle
scienze e delle arti abbia contribuito a corrompere o a purificare i costumi”), è formato da una prefazione e da due parti.
Nella prefazione Rousseau presenta il suo diritto di pensare in modo autonomo (libertà di pensiero).
Nella prima parte presenta la sua tesi, ovvero quella per cui le scienze e le arti abbiano contribuito a corrompere i
costumi, in quanto secondo lui rappresentavano solamente degli ornamenti non necessari che servivano solo ad abbellire
la realtà delle cose. Inoltre portavano gli uomini ad apparire e non ad essere seguendo comportamenti non naturali. Vi è
quindi un’antitesi tra natura e civiltà: condanna della cultura in nome della natura.
Nella seconda parte introduce il pensiero secondo cui le scienze non siano nate dalle virtù degli uomini, ma dai vizi
(superstizione, ambizione, avarizia, curiosità) e queste abbiano contribuito alla perdita delle virtù e alla disuguaglianza
sociale.
Rousseau inoltre espone questo suo ragionamento non solo in rapporto alla storia contemporanea, ma in rapporto
all’intera civiltà umana. Successivamente però le tesi di Rousseau vennero criticate, in particolare dal re Stanislao di
Polonia, il quale riteneva che a corrompere i costumi non fossero le scienze e le arti, ma le ricchezze. Così il filosofo si
vide costretto a rivedere il suo pensiero. Questo cambiamento risulta evidente del secondo discorso (discorso sull’origine
della disuguaglianza).
NUOVA ELOISA
Nella Nuova Eloisa Rousseau afferma la santità del vincolo familiare che è fondato sulla libera scelta degli istinti naturali e
qui racconta di due giovani amanti il cui amore è impedito dalla volontà dei parenti e dalle convenienze sociali.
CONTRATTO SOCIALE
Rousseau propone una rifondazione etico-politica della società che vede l'uomo come cittadino vivente nella dimensione
artificiale dell'io comune.
SOVRANITÀ E GOVERNO
Secondo Rousseau il compito della sovranità è l'esercizio della volontà generale. La sovranità è assoluta, poiché guida
tutti coloro che sono commessa e non è limitata da alcuna legge fondamentale, inalienabile, poiché rinunciare alla
sovranità è come rinunciare a essere uomo, e indivisibile, poiché non si può avere una divisione dei poteri. Il compito
della sovranità è emanare le leggi e il governo ha come obiettivo quello esecutivo. Rousseau distingue tre forme di
governo: la democrazia, dove il popolo ha il potere grazie al corpo sovrano, l'aristocrazia, che restringe il potere in una
minoranza del popolo, e la monarchia, che invece lo concentra in un'unica persona. Rousseau predilige l'aristocrazia
elettiva anche se ritiene che ognuna di queste forme di governo sia adatta ad una particolare situazione.
UGUAGLIANZA E PROPRIETÀ
Rousseau sostiene che l'altro maggiore bene della società, oltre alla libertà, sia l’uguaglianza. Si oppone così ai
giusnaturalisti affermando che in natura non esiste la proprietà di diritto ma esclusivamente il possesso di fatto. Solo
grazie ai patti i beni diventano proprietà tutelata dalla legge che è però subordinata al bene comune e contenuta in certi
limiti.
KANTONE :)
IL PROBLEMA GENERALE
La Critica della ragion pura è sostanzialmente un’analisi critica dei fondamenti del sapere, in particolare sulla scienza e la
metafisica. Agli occhi di Kant la scienza e la metafisica si presentavano in modo diverso. La prima appariva come un
sapere fondato e in continuo progresso, mentre la seconda, con il suo voler procedere oltre l’esperienza e con il suo
fornire le soluzioni più disparate, non sembrava affatto aver trovato il cammino sicuro della scienza. Però Kant respinge lo
scetticismo scientifico di Hume, ritenendo che il valore della scienza sia ormai un dato di fatto di cui non ha senso
dubitare; ne condivide invece lo scetticismo metafisico.
La ricerca Kantiana sui fondamenti del sapere assume dunque la forma concreta di un’indagine rivolta alla matematica,
alla fisica e alla metafisica. Tuttavia, nel caso della metafisica si tratta in realtà di scoprire “se” esistano condizioni tali che
possano legittimare le sue pretese di porsi come scienza.
I GIUDIZI A PRIORI
Per rispondere all’ultima domanda della Critica, ovvero “se la metafisica sia possibile”, Kant deve partire dall’analisi di
quelle discipline la cui scientificità è indubitabile. Una volta individuato il fondamento della scientificità della matematica e
della fisica, sarà infatti possibile verificare se esso fondi la metafisica.
Il punto di partenza della riflessione gnoseologica kantiana è lo scetticismo radicale di Hume. Inoltre Kant intende
mostrare che la conoscenza umana può essere universale e necessaria, ma al tempo stesso feconda. Per questo motivo
egli apre la Critica della ragion pura su un’ipotesi che risulta convalida dall’esistenza di “giudizi sintetici a priori”. Infatti
Kant è convinto che la conoscenza umana offra il tipico esempio di principi assoluti, cioè di verità universali necessarie,
che valgono ovunque e sempre allo stesso modo. Questi pilastri, come “Tutto ciò che accade ha una causa”, Kant li
denomina giudizi sintetici a priori”: giudizi perché connettono un predicato con un soggetto, sintetici perché il predicato
dice qualcosa di nuovo rispetto al soggetto, a priori perché non possono arrivare dall’esperienza.
Dal punto di vista di Kant, i giudizi fondamentali della scienza non sono né giudizi analitici a priori, né giudizi sintetici a
posteriori.
I primi sono giudizi che vengono enunciati a priori senza bisogno di ricorrere all’esperienza, in quanto in essi il predicato
non fa che esplicitare quanto è già implicitamente contenuto nel soggetto. I secondi sono giudizi in cui il predicato dice
qualcosa di nuovo rispetto al soggetto, aggiungendosi o sintetizzandosi a quest’ultimo in virtù dell’esperienza, cioè a
posteriori.
I principi della scienza, invece, secondo Kant ,sono al tempo stesso “sintetici” e “a priori” e quindi irriducibili ai giudizi
analitici a priori (poiché richiamano la concezione razionalistica della scienza) e a quelli sintetici a posteriori (in quanto
richiamano all’interpretazione empiristica). Kant ritiene contro il razionalismo che la scienza derivi dall’esperienza, ma
ritiene anche contro l’empirismo che alla base dell’esperienza vi siano dei principi inderivabili dall’esperienza stessa.
Infatti si può sintetizzare la concezione kantiana della scienza con la formula:
SCIENZA= ESPERIENZA PRINCIPI SINTETICI A PRIORI
Da questo punto di vista, l’errore di Hume, secondo Kant, è stato quello di non cogliere la differenza tra i giudizi sintetici e
il principio di casualità “ogni evento ha una causa”, che altro non è che un giudizio sintetico a priori. A differenza dello
scienziato humiano, quello kantiano è certo a priori di verità come “il calore dilata i metalli”, anche se per sapere quali
siano le cause che producono gli eventi o che cosa vi sia nello spazio e nel tempo ha bisogno di ricorre alla testimonianza
dell’esperienza.
LA “RIVOLUZIONE COPERNICANA”
Dopo aver messo in luce il dato di fatto che il sapere poggia su giudizi sintetici a priori, Kant si trova di fronte al problema
di spiegare la provenienza di questi ultimi. Infatti, se non derivano dall’esperienza, da dove provengono i giudizi sintetici a
priori? Kant risponde articolando la sua ipotesi gnoseologica di fondo ed elaborando una nuova teoria della conoscenza
(ovvero al molteplicità caotica delle impressioni sensibili), intesa come sintesi di materia e forma (l’insieme delle modalità
fisse attraverso cui la mente umana ordina), ossia di un elemento a posteriori e un elemento a priori. Kant ritiene che la
mente filtri i dati empirici attraverso forme che le sono innate e che risultano comuni a tutti i soggetti pensanti (infatti tutti
le possiedono e le applicano allo stesso modo). Questo modo nuovo di interfacciarmi ai problemi della conoscenza
comporta quella rivoluzione copernicana che Kant si vantò di aver operato in filosofia. Così come Copernico aveva
ribaltato i rapporti tra lo spettatore e le stelle, allo stesso modo Kant ribalta i rapporti tra soggetto e oggetto , affermando
che non è la mente che si modella in modo passivo sulla realtà ma la realtà che si modella sulle forme a priori attraverso
cui la percepiamo. Ciò comporta anche la distinzione kantiana tra: fenomeno (cioè la realtà quale ci appare tramite le
forme a priori) e la cosa in sé (ovvero la realtà considerata indipendente da noi e dalle forme a priori)
L'art 2 della nostra Costituzione recita i diritti inviolabili del cittadino e pone come primo la libertà, l'articolo 3 invece
afferma il principio dell'uguaglianza. Questi due articoli sono legati in quanto il nucleo fondamentale della nostra
Costituzione è appunto la libertà e l'uguaglianza di tutti i cittadini. Nella storia si è sempre pensato che gli individui
dovessero essere tra loro differenti però aspetto, professione, condizione sociale e anche davanti alla legge. Il concetto di
uguaglianza quindi si è fermato solo successivamente con la rivoluzione francese e si è poi affermato con il pensiero
democratico dell'800.
La costituzione italiana elenca una serie di libertà inviolabili di cui gode ogni cittadino: libertà personale, libertà di
circolazione, libertà di pensiero, parola e stampa, libertà religiosa, libertà e segretezza della corrispondenza, diritto di
associazione e inviolabilità del domicilio. Per quanto riguarda la libertà religiosa, l'art 19 riconosce ad ogni individuo il
diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, che questa sia individuale o associata, purché non vada contro
al buon costume, tutelando così non solo il singolo ma anche l'intera comunità di fedeli. L'art 7 stabilisce i rapporti tra lo
Stato italiano e la Chiesa cattolica che sono e devono essere regolati dai Patti Lateranensi stipulati l’11 febbraio del 1929.
L'articolo successivo, l’art 8, afferma che le religioni sono tutte ugualmente libere davanti alla legge poiché lo Stato
italiano è uno Stato laico e non confessionale. La costituzione italiana quindi riconosce ad ogni religione la possibilità di
organizzarsi secondo le proprie regole, purché queste non siano in contrasto con le norme giuridiche italiane.