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«QUESTO MISTERO È GRANDE».

LA RILEVANZA DELL'USO TEOLOGICO DELLA


METAFORA SPONSALE NELLA DEFINIZIONE DELLA SACRAMENTALITÀ DEL
MATRIMONIO
Author(s): Erio Castellucci
Source: Divus Thomas , 2010 - settembre/dicembre, Vol. 113, No. 3, La metafora: teoresi
mancata o criptata? (2010 - settembre/dicembre), pp. 111-139
Published by: Edizioni Studio Domenicano

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DT 113, 3 (2010), pp. 111-139 111

«QUESTO MISTERO È GR
LA RILEVANZA DELL'USO TEOLOGICO
DELLA METAFORA SPONSALE
NELLA DEFINIZIONE DELLA
SACRAMENTALITÀ DEL MATRIMONIO
k

Erio Castellucci

Il Concilio di Trento ha definito la sacramentalità del matrimo-


nio tra battezzati, annoverandolo così tra i sette segni efficaci della
grazia1. Ma mentre per altri sacramenti - come il battesimo o
l'eucaristia e, in un certo senso, anche l'ordine e la penitenza - è
possibile rifarsi a parole e gesti precisi che consentono di parlare
di "istituzione" diretta da parte di Gesù, nel caso del matrimonio
questo procedimento è inadeguato. Dov'è, infatti, che Gesù indi-
cherebbe un segno, accompagnato da una promessa, in cui poter
riscontrare una grazia "specifica" rispetto al matrimonio celebrato
nel mondo ebraico e pagano?
Lo stesso Concilio di Trento, volendo individuare l'origine del
matrimonio sacramentale, evita di utilizzare verbi impegnativi
come "istituire" o "costituire" ed impiega invece quello più tenue
di "accennare": Ef 5,25.32 accenna ( innuit ) al matrimonio sacra-
mentale2. Ciò non significa che non sia Gesù ad averlo istituito:
significa piuttosto che l'origine di questo sacramento va ricercato
in una direzione diversa rispetto a parole e gesti diretti da parte di
Gesù. Questa direzione è precisamente quella della "metafora":

* Facoltà Teologica dell'Emilia Romagna; Scuola di Anagogia di Bologna.


1 Cf. DS 1801.
2 Cf. DS 1799.

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112 E. Castellucci

fu decisivo, nella determinazione della sacramentalità del matri-


monio, il ripetuto utilizzo della metafora sponsale in senso teologico ,
nell'Antico e nel Nuovo Testamento: tra gli ebrei per indicare il
rapporto di Dio con Israele e tra i cristiani per illuminare la relazio-
ne di Cristo con la Chiesa. Se la Bibbia non avesse utilizzato questa
metafora in senso teologico, difficilmente sarebbe maturata nella
Chiesa l'idea che esiste un matrimonio inteso non come mero con-
tratto tra due persone e tra queste e la società civile; e nemmeno
solo come patto sacro tra un uomo e una donna, cioè contratto bene-
detto dalla divinità; ma inteso propriamente come sacramento , cioè
segno efficace della grazia di Cristo sposo per la Chiesa sposa.
Illustrando ora queste tre dimensioni del matrimonio, che pos-
siamo definire "naturale", "sacra" e "sacramentale" - dimensioni
oggi riscontrabili rispettivamente nel matrimonio civile, in un ma-
trimonio religioso non-cristiano e in quello sacramentale cristiano
- incontreremo a poco a poco tutti gli elementi che hanno condotto
gradualmente la Chiesa a rendersi conto di come, tra i segni effica-
ci della grazia donati a lei da Gesù, vi fosse anche il matrimonio
"nel Signore". Emergerà con chiarezza il ruolo decisivo dell'uso
teologico della metafora sponsale in questo processo di maturazio-
ne della sacramentalità del matrimonio e l'assunzione in essa dei
suoi aspetti "naturali" e "sacri".

1. Il matrimonio "naturale" assunto nel sacramento:


PATTO TRA UOMO E DONNA E TRA COPPIA E SOCIETÀ
IN VISTA DELL'AMORE CONIUGALE E GENITORIALE

In molte culture - e specificamente in quella codificata dal dirit-


to romano, sulla quale si è poi innestato anche il diritto canonico
matrimoniale - l'elemento essenziale soggettivo del matrimonio è
stato individuato nel consenso , vertente sull'elemento essenziale
oggettivo che è il contratto , la cui natura viene riferita alla formazio-
ne di una comunità stabile tra uomo e donna, in vista della pro-
creazione ed educazione della prole3.

3 La differenza su questo elemento tra il Diritto romano e quello canonico con-


siste nel fatto che mentre il primo riferisce il consenso all'intera durata del

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In maniera implicita, quindi, il diritto romano, seguito da quello


canonico, fa rientrare negli elementi strutturali del matrimonio
anche gli atti sessuali tra i coniugi il cui reciproco diritto è il conte-
nuto oggettivo del contratto. La sessualità coniugale rimaneva tut-
tavia finalizzata essenzialmente alla procreazione, che rientra nel
suo utilizzo , mentre non era approfondita la realtà della sessualità
in quanto tale - cioè il significato dell'essere maschio e femmina -
né l'altra possibile finalità della sessualità, cioè l'espressione dell'a-
more reciproco tra i coniugi.
Si cominciano dunque a scorgere, già a questo primo livello,
alcuni elementi essenziali che fanno (o possono fare) parte del cosid-
detto significato "naturale" del matrimonio, assunto poi dal sacra-
mento: la sua natura di consenso mutuo (che suppone intelligenza e
libertà) convergente su un contratto tra uomo e donna (che quindi
crea diritti e doveri reciproci) per una comunità stabile di vita (che
dunque assume valenza sociale) la quale implica la relazione ses-
suale anche in vista della procreazione ed educazione della prole
(finalità che implica ulteriori legami sociali). Altri elementi, invece,
risultano secondari o comunque molto diversificati nelle differenti
culture: ad es. il modo di espressione del consenso, la necessità di
"testimoni" esterni alla coppia, l'accordo delle famiglie d'origine
dei coniugi oppure la rilevanza giuridica della consumazione del
matrimonio.
Nel fatto di vantare già a livello "naturale" - a prescindere non
solo dalla rivelazione cristiana ma anche dal significato "sacro" -
uno spessore così definito, risiede la più evidente originalità del
matrimonio rispetto agli altri sacramenti: esso si presenta già ben
strutturato anche come realtà puramente "umana"4, facendo con-
vergere e articolando i tre aspetti sopra accennati, che meritano un
approfondimento: la sessualità, l'amore e il consenso/ contratto.

matrimonio (consenso continuativo), il secondo lo riferisce al momento ini-


ziale di esso, la sua espressione nella celebrazione delle nozze: cf. F. Del Giu-
dice, D. Di Majo e A. D'Angelo, Istituzioni di Diritto Romano e cenni di Diritti
dell'Antichità , Edizioni Giuridiche Simone, Napoli 2007, p. 62; Codex Juris
Canonici, 10 57 § 2.
4 Cf. A. Pompei, «Matrimonio», in G. Barbaglio e S. Dianich, Nuovo Dizionario
di Teologia , Paoline, Alba 1977, p. 893.

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114 E. Castellucci

1.1. Il significato naturale della sessualità umana

La specie umana esiste sessuata , distinta nel genere ma


femminile; questa distinzione, che riguarda l'intera pers
corpo, nella psiche e nello spirito -, ha la sua espressione più
te nella diversità genitale, che è una diversità di tipo complem
questo è un dato naturale che contiene già un primo sig
antropologico: la diversità complementare di due esseri uman
che ciascuno ha una sua individualità, e quindi non può es
ridotto a strumento di un altro, e che nessuno è completo in
autarchico , fatto solo per auto-realizzarsi: ciascun essere
costitutivamente orientato a lasciarsi completare dall'alt
per il fatto stesso di essere o maschio o femmina.
Se il fatto di essere maschio o femmina, cioè sessualm
genitalmente connotati, riguarda tutti gli esseri umani p
plice fatto di essere tali, Yuso della sessualità genitale rien
scelte umane e quindi ricade sotto i criteri che riguardan
genza, la volontà, gli affetti (elementi soggettivi) e i valori (
ti oggettivi). La sessualità genitale, tuttavia, indipendente
come viene vissuta soggettivamente , è oggettivamente ordina
natura, al reciproco completamento dell'uomo e della do
procreazione. Questi due significati provengono alla sess
nitale non da motivi religiosi, ma dalla sua stessa natura:
cioè, essa rivela nel suo esercizio una duplice finalità ogge
che questa venga rispettata sia che venga rifiutata.
La combinazione degli elementi soggettivi e di quelli o
offre un criterio preciso di valutazione morale di un atto
più il soggetto rispetta il significato oggettivo di una realtà
vamente buona, tanto più l'atto è buono, e viceversa. Di
vano almeno tre considerazioni.
Prima di tutto, la moralità dell'atto sessuale andrà valutata glo-
balmente in base all'intenzione di mantenere uniti oppure separati
i due significati della sessualità nelle singole relazioni: quanto più
sono mantenuti entrambi - nel senso che non ne venga positiva-
mente escluso alcuno - tanto più l'atto è buono, e viceversa.
In secondo luogo, il riconoscimento del fine procreativo nell'atto
sessuale porta a respingere una diffusa visione "intimistica" della
sessualità, individuando invece nella sua stessa struttura naturale
un orientamento intrinsecamente sociale ; sebbene la finalità procrea-

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tiva non sia di fatto sempre presente oggettivamente nel singolo atto
sessuale, per la valutazione dell'atto importa solo che non venga
soggettivamente esclusa, ponendo con la volontà un ostacolo ad una
possibile conseguenza dell'atto stesso. Questa finalità è stata gelosa-
mente custodita nella tradizione cristiana, che l'ha ereditata dal di-
ritto romano, al punto da fame il fine primario del matrimonio e da
indicare l'oggetto del consenso nel reciproco "ius in corpus" relativo
agli atti sessuali5. L'integrazione di queste prospettive in una con-
cezione personalista, ad opera del Vaticano II6 e del magistero suc-
cessivo che non parlano di "gerarchia" dei fini e allargano l'oggetto
del consenso al dono reciproco di tutta la persona, non ha co-
munque affatto misconosciuto la componente procreativa della ses-
sualità: il magistero, anzi, continua a riaffermarla contro una anti-
life-mentality che rischia di cancellarla7. Nell'apertura al fine procrea-
tivo risiede infine un primo - ancora semplicemente abbozzato -
motivo di stabilità del rapporto tra uomo e donna: un'adeguata acco-
glienza ed educazione della prole la rende molto opportuna, se non
necessaria. È un motivo di convenienza esposto da S. Tommaso8 e

5 Così recitava il famoso can. 1081 § 2 del Codice di Diritto Canonico del 1917:
«Il consenso matrimoniale è l'atto di volontà con il quale ciascuna delle due
parti trasmette e riceve il diritto sul corpo (ius in corpus ), perpetuo ed esclu-
sivo, in ordine agli atti di loro natura adatti alla generazione della prole».
6 Cf. A. Favale, «Fini del matrimonio nel Magistero del Concilio Vaticano II»,
in Aa. Vv., Realtà e valori del sacramento del matrimonio , LAS, Roma 1976,
pp. 173-207; S. D. Kozul, Evoluzione della dottrina circa l'essenza del matrimonio
dal CIC al Vaticano II, LIEF, Vicenza 1980 (questo volume adotta una ermeneu-
tica conciliare che appare troppo sbilanciata verso l'idea della "discontinuità").
7 Cf. ad es.: Paolo VI, Lettera Enciclica Humanae Vitae , del 25 luglio 1968:
EV 3/587-617; Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris Consortio,
del 22 novembre 1981, nn. 32-33: EV 7/ 1620-1630.
8 Nella Summa Contra Gentiles III, cap. 123 («quod matrimonium debet esse
indivisibile»), tra i motivi "naturali" in favore della indissolubilità del matri-
monio, Tommaso riporta questi due: l'educazione dei figli richiede l'unione
stabile dei genitori; richiede anzi che il padre si preoccupi del figlio vita natu-
rai durante, e non lasci la madre da sola ad occuparsene («femina enim indi-
get mare non solum propter generationem, sicut in aliis animalibus, sed edam
propter gubernationem: quia mas esta ratione perfectior et virtute fortior»).

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ripreso dalla tradizione manualistica9.


In terzo luogo, il riconoscimento del fine unitivo nell'atto
implica il rifiuto di due diffuse visioni - quella istintu
sentimentale - e l'adozione di una visione personalista 10. La
ne dell'atto sessuale come espressione o sfogo di un istinto c
infatti, lo riduce al soddisfacimento di un bisogno fisiolo
mangiare o dormire - sintomatica è l'espressione "fare
implicando la riduzione del partner a strumento di soddi
del "bisogno": il che contraddice direttamente la dignità
degradandolo a mezzo e non rispettandolo quindi come pe
dal punto di vista della sola ragione, quindi, sarebbe
respingere questa visione dell'atto sessuale ed ogni man
che da essa sarebbe logicamente legittimata o almeno
come la prostituzione. Più sottile è la seconda concezion
sessuale, quella sentimentale o romantica ģ. essa ritiene legi
atto quando esprime "affetto" reciproco; escludendo così
zione sessuale che nasca dal puro istinto ed ammettendo
nasce dal sentimento, inserisce alcuni elementi psicologi
corporeo, ma non li integra nella reciproca donazione di tut
sona, che comprende anche la volontà. Il limite di questa
- che pure è ben più elevata della precedente - è fondam
quello di scambiare Y amore con un semplice sentimento.

9 E. Carretti, ad es., ritiene che l'indissolubilità del vincolo sia "s


già nel matrimonio naturale dalla prole, in quanto questa esige l
zione dei genitori per almeno quindici anni (tempo necessario p
la personalità del fanciullo); ma siccome la donna è feconda fino
tacinque e quindi potrebbe avere figli fino a quell'età, «è chiaro c
naturale richiede l'unione e il lavoro assiduo dei coniugi fin verso
tesimo anno. Ma allora, quando la donna ha dato al padre dei suo
tutto: gioventù, bellezza, amore, sacrifici, e personalmente è ri
quasi impossibilità di provvedere a se stessa, quale senso di giust
manità potrebbe permette a un uomo di rigettarla?» ( Lezioni di Sacr
I sacramenti. I Novissimi , Bononia, Bologna 1926, § 156, p. 253).
10 Per approfondire questi accenni, cf. l'articolata riflessione di
Sessualità alla luce dell'antropologia e della Bibbia , San Paolo, Cin
mo 1994.

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Poiché l'atto sessuale è al vertice di una serie di gesti positivi


(stretta di mano, abbraccio, bacio, ecc.) che per loro natura espri-
mono gradi di amore e di unione sempre più intensi (fiducia,
stima, coinvolgimento affettivo, ecc.), fino ad arrivare al culmine
nell'atto sessuale, esso deve esprimere - se vuole essere vero - un
amore completo. Solo se soggettivamente l'atto sessuale esprime quel
dono totale d'amore che oggettivamente significa è un atto "buono".
«La donazione fisica totale sarebbe una menzogna, se non fosse
segno e frutto della donazione personale totale, nella quale tutta la
persona, anche nella sua dimensione temporale, è presente»11.
Ma che cos'è, appunto, l'amore, la donazione completa ? Possiamo
per ora rispondere sinteticamente: non è solo coinvolgimento senti-
mentale, ma - in quanto dono totale - è offerta di tutto se stessi,
senza riserve, senza intenti utilitaristici o edonistici, rispettando
l'altro nella sua dignità. Con questo siamo già entrati nell'argomento
dell'amore coniugale, strettamente legato al tema della sessualità.

1.2. Le caratteristiche dell'amore coniugale


L'amore è la sostanza stessa della vita, «è la fondamentale e nati-
va vocazione di ogni essere umano»12: la sua esperienza la rende
intensa e desiderabile e la sua carenza la rende triste e insopporta-
bile. L'uomo viene da un atto che oggettivamente esprime amore e
ha bisogno viscerale d'amore fin dalla vita prenatale. Una crescita
integrale e armoniosa esige di essere amati nel modo giusto (né ca-
renze né soffocamenti): in tal modo si impara anche ad amare gli
altri nel modo giusto, a relazionarsi ad essi nella forma del dono.
È proprio questa la parola-chiave: dono. L'uomo sperimenta
l'amore prima di tutto come un essere-amato-gratuitamente : quando
ancora non può contraccambiare, viene accolto, accudito, nutrito,
riempito di affetto, educato. Già fenomenologicamente, quindi, è
possibile riconoscere che l'amore è originariamente dono e che va fat-
to circolare come tale, non come istinto o come semplice attrazione.

11 Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, doc. cit., n. 11:
E V 7/1560.
nlbià., n. 11: EV7/1557.

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118 E. Castellucci

Se l'amore autentico, già nel suo spessore naturale, è connota


"dono", allora respinge la logica del mero istinto , inevit
incentrata sull'accaparramento e quindi sullo sfruttamento d
che viene trattato come oggetto e non riconosciuto come sog
considera insufficiente la logica dell 'affetto, inevitabilment
dente dagli alti e bassi dei sentimenti, e quindi ancora u
incentrata su se stessi; queste due logiche vengono purific
rite dall' amore-dono nella logica della volontà : l'ancoraggio
re alla volontà lo custodisce dalla cecità degli istinti e d
dei sentimenti, permettendogli di essere se stesso - don
quando l'istinto o l'affetto non "sentono" di uscire da se s
invitano al dono. Di qui la caratteristica di fedeltà di cui, già
mente, è rivestito l'amore autentico-genitoriale, familiare, a
Quell'amore specifico che è l'amore tra uomo e donna, poi,
il dono volontario di sé secondo due tonalità specifiche: la re
esigita dalla complementarità psico-fisico-spirituale emer
do della sessualità, e la fecondità, intesa come circolazion
di sé nella coppia prima ancora che come procreazione. M
specifico tra uomo e donna irrobustisce anche le altre du
nenti già incontrate: il riconoscimento dell'altro come sog
fedeltà nel dono di sé. Nella coppia, riconoscere l'altro com
to significa - in virtù della complementarità sessuale che
fusione di "due" esseri - riconoscerlo nella sua unicità, e
riconoscerlo meritevole dell'intero dono coniugale di
capace: mantenere questa relazione verso più persone co
rebbe la struttura interna, totalizzante, dell'amore di copp
considerazione naturale dell'amore di coppia, così, deriv
motivo valido per rifiutare la poligamia 13.
L'altra caratteristica dell'amore in generale, irrobustita
di coppia, è la fedeltà nel dono di sé: non si può dire amore t
quindi degno della coppia, quello che condiziona la stabil

13 È un punto messo in evidenza con forza da D. von Hildebrand: «g


coniugale - e non soltanto il vero matrimonio - esclude ogni poliga
l'essenza dell'amore coniugale volgersi a un oggetto solo. Il suo ca
di totale dedizione, di reciprocità, di unità, esclude in modo asso
tale amore possa contemporaneamente volgersi a due creature» {
monio, Morcelliana, Brescia 1959, p. 19).

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relazione ad elementi diversi dalla volontà di dono gratuito : quando


la coppia sta insieme non per questa volontà, ma per un semplice
accordo di sentimenti, una serie di benefici ricavabili dalla convi-
venza, il desiderio di "sperimentare'7 la qualità della relazione e
simili, non si può certo dire, già dal punto di vista naturale, che sia
l'amore a tenerla unita. L'amore di coppia, quando è davvero dono
gratuito e totale, non dice "se" e "finché", ma "per sempre". È la
volontà di dono perpetuo che libera tutte le potenzialità dell'amore
di coppia, lo disincaglia dalle secche del sentimento e dell'istinto,
10 rende davvero libero, perché non più determinato dall'altalena
delle emozioni e delle circostanze interiori ed esteriori. Anche dal
versante dell'amore di coppia, oltre che da quello della sessualità,
si deduce dunque una ragione ulteriore sia per l'unità che per
l'indissolubilità 14.
In conclusione: l'amore di coppia , quando è vissuto nel rispetto
delle sue caratteristiche, è di propria natura orientato all'amore
coniugale, cioè richiede quel reciproco impegno di totalità, fecon-
dità e perpetuità che nel consenso matrimoniale viene espresso15.
11 matrimonio, quindi, si inserisce nella dinamica della sessualità e
dell'amore non come elemento estrinseco, ma come elemento
intrinsecamente da essi richiesto e quasi reclamato per poter spri-
gionare compiutamente tutte le loro potenzialità. Per questo il

14 Lo stesso Tommaso, in un'epoca nella quale l'amore coniugale non era


valorizzato nella trattazione sul matrimonio, ricava da esso ("amicitia")
motivi per l'indissolubilità e l'unità: ancora nella Summa Contra Gentiles III,
cap. 123 («quod matrimonium debet esse indivisibile»), tra i motivi dell' m -
dissolubilità ricorda questo: l'amicizia, quanto più è grande, tanto più si pre-
senta salda e durevole: ora, sembra che la massima amicizia sia quella tra
marito e moglie: infatti sono coniugati non soltanto dall'unione sessuale,
ma anche dal consorzio di tutta la loro vita domestica; e nel cap. successivo
(«Quos matrimonium debeat esse unius ad unam»), tra i motivi dell'unità,
pone anche l'affermazione che «amicitia intensa non habetur ad muitos».
15 Cf. Paolo VI, Lettera Enciclica Humanae Vitae, doc. cit., n. 9: EV 3/595;
Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, doc. cit.,
nn. 18-20: E V 7/1582-1588.

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120 E. Castellucci

Vaticano II arriva a definire il matrimonio come «intima comunità


di vita e di amore coniugale» (GS 48)16.
Si può accennare, a questo punto, ad un problema che - sebbene
discusso quasi esclusivamente nel diritto canonico - riguarda il livello
naturale del matrimonio, in quanto il sacramento assume come ele-
mento essenziale lo stesso contratto naturale. Il problema è se l'amore
coniugale abbia una rilevanza giuridica nel consenso oppure no. Dopo
il Vaticano II, che ha lasciato aperta la questione, si è svolto un serra-
to dibattito tra i canonisti. Per prendere solo due posizioni esemplifi-
cative, accenniamo a Navarrete tra i contrari e a Baldanza tra i favo-
revoli. Navarrete17 ritiene che la trattazione conciliare dell'amore
coniugale non abbia a che vedere con il piano giuridico, il quale è
interessato solo agli elementi essenziali che riguardano l'unità,
l'indissolubilità e gli atti finalizzati alla procreazione, mentre l'amore
giuridicamente è solo un elemento integrante; in quanto tale, è agiu-
ridico o metagiuridico. Baldanza18, al contrario, ritiene che per essere

16 Già Pio XI, neir enciclica Casti Connubii, aveva precisato che l'amore coniu-
gale pervade tutti i compiti della vita coniugale e tiene nel matrimonio cri-
stiano un qualche primato di nobiltà (quemdam... principátům nobilitatis) e si
può perfino definire «causa e ragione primaria del matrimonio, se tuttavia
il matrimonio non viene inteso in senso stretto come istituto per procreare
ed educare legittimamente la prole, ma in senso più lato come comunione,
consuetudine e società di tutta la vita» (cf. AAS 22 (1930), pp. 547-549).
H. Doms, nel volume Du sens et de la fin du mariage , Paris 1937, sulla scia
delle aperture di Pio XI esprime l'idea che ormai vada abbandonato lo
schema tradizionale agostiniano-tomista del matrimonio, a suo parere lon-
tano dal valorizzare la mutua relazione dei coniugi e l'amore coniugale.
Tra coloro che approfondiscono il significato naturale dell'amore coniuga-
le e ne mostrano la piena "convenienza" con il sacramento del matrimonio,
fino alla definizione di GS 48, vanno ricordati K. Wojtyla e P. Adnès, ri-
spettivamente con Amore e responsabilità , Marietti, Torino 1978 (l'originale
polacco è del 1960) e Le mariage, Desclée, Tournai 1962.
17 Cf. U. Navarrete, Structura iuńdica matrimonii secundum Concilium Vaticanum II,
Gregoriana, Roma 1968.
18 Cf. G. Baldanza, «In che senso ed entro quali limiti si può parlare di una
rilevanza giuridica dell'amore coniugale dopo la Costituzione pastorale
"Gaudium et Spes"», in Scuola Cattolica 96 (1968), pp. 43-66.

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«Questo mistero è grande». La sacramentalità del matrimonio 121

fedeli alla dottrina conciliare l'amore debba entrare fra gli elementi
indiretti del consenso, sia in quanto condizione previa che rende
autentico il consenso sia in quanto finalità a cui il consenso si dirige,
se è vero che il matrimonio è una «intima comunità di vita e di
amore coniugale». La questione si può considerare ancora aperta.

1.3. Il significato naturale


del consenso/contratto matrimoniale

Il matrimonio non esiste sulla base della sola sessualità e del


suo esercizio, né del solo amore di coppia e del suo orientamento
coniugale. Sessualità e amore, come è emerso, reclamano sì il matri
monio per potersi esprimere compiutamente, ma non lo costituiscono
da soli: per costituirlo è necessario un consenso esplicito delle due
volontà convergenti su un contratto. Il consenso matrimoniale è
quindi il riconoscimento che la relazione d'amore, che si esprime
si rafforza nella relazione sessuale, non può essere lasciata a s
stessa, ma va custodita per potere essere se stessa: per questo il
consenso è in piena continuità con i significati dell'amore e della
sessualità; se amore e sessualità vogliono essere davvero dono to-
tale e fedele, devono accettare di sganciarsi dalla precarietà de
sentimenti e agganciarsi ad una volontà espressa esteriormente:
una volontà tale, cioè, da produrre effetti anche "storicamente" e
"socialmente" riconosciuti.
Che cosa aggiunge dunque l'espressione del consenso all'amore
di coppia? Può mai un elemento giuridico-esteriore completare un
elemento morale-interiore? Se l'amore venisse inteso solo come
sentimento di attrazione, certo non sarebbe compatibile con un impe-
gno della volontà: nessuno può impegnarsi a mantenere a lungo o
per sempre un sentimento, che di sua natura non dipende dalla
sfera intellettiva né da quella volitiva. Ma se l'amore viene inteso
conforme alle sue intrinseche caratteristiche - anche come volontà
di donazione, allora non solo può esprimersi in un impegno concreto,
ma non sarà compiuto finché non lo farà.
E se per l'amore genitoriale o quello amicale basterà un impe-
gno interiore, una costanza dettata dai fatti, per l'amore coniugale
sarà necessaria anche quella espressione esteriore della volontà di
donarsi che si verifica nella celebrazione delle nozze: da una parte,
infatti, l'amore tra uomo e donna richiede - se vuole essere confor-

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me alla sua doppia caratteristica intrinseca di totalità e fe


venire protetto da un "patto" e di non essere quindi lasc
libera iniziativa dei due; e dall'altra l'unione tra l'uomo e l
crea dei vincoli "sociali" - tra di loro e poi con la nascita
che consigliano di non affidare la relazione alla pura e s
volontà dei due. Entrambi questi elementi sono fortemen
stati dalla mentalità corrente.
Al primo punto, che si potrebbe concentrare nell'espressione
"ti amo così tanto da sposarti" - ossia "voglio a tal punto il tuo
bene, che mi impegno a stare con te non sulla base inaffidabile dei
sentimenti ma su quella della volontà" - oggi si tende a sostituire
preferibilmente l'inverso: "ti amo così tanto che non ti sposo", cioè:
"non c'è bisogno di alcun vincolo giuridico che 'garantisca' il no-
stro affetto, tanto esso è sicuro". Siamo di nuovo in presenza della
confusione tra amore e sentimento, con l'idea implicita che, una
volta esaurito il sentimento, scompare l'amore; ma questo atteggia-
mento rischia di cadere nella "sperimentazione" dell'altro. Il vinco-
lo matrimoniale, oltre a liberare l'amore dalla dipendenza dal senti-
mento, lo rende più capace di affrontare le difficoltà: quando l'amo-
re si è "impegnato" in un patto intenzionalmente indissolubile, è
anche maggiormente disposto a fronteggiare gli inevitabili proble-
mi che gli si presentano davanti: fatica nelle relazioni, sofferenze,
incomprensioni, nuovi affetti per altre persone...; in caso contrario,
se non esiste alcun impegno, basteranno ovviamente le prime diffi-
coltà per dedurre che la "sperimentazione" è fallita.
Il secondo punto - la dimensione sociale del vincolo - mette in
evidenza che il matrimonio custodisce anche quelle caratteristiche
della sessualità e dell'amore che hanno una valenza sociale: la "co-
munità di vita" tra i due e la procreazione ed educazione della
prole. Il matrimonio naturale, così come è assunto nel sacramento,
non è solo contratto, ma è anche contratto. Ed è un contratto che
non viene stipulato solamente tra i due - per questo basterebbe un
accordo privato - ma anche tra essi e la società civile . Come tale, esso
fissa reciproci diritti-doveri che vanno a beneficio sia della società
sia della coppia /famiglia:
- la coppia/famiglia dona alla società (e questa riceve) l'impegno a
svincolare sessualità e amore dalla logica della pura eventua-
lità / istintualità (visione sentimentale) e a immetterla in quella più
impegnativa e costruttiva della volontà /stabilità, in modo che la

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«Questo mistero è grande». La sacramentalità del matrimonio 123

società possa contare sulla coppia e la famiglia per una collabora-


zione costante a tutti i livelli che fanno sussistere e crescere la
società: lavoro, ricambio generazionale, patrimonio, educazione,
cultura. In tal modo l'unità, l'indissolubilità e la procreazio-
ne/educazione della prole ricevono un'ulteriore ragione di caratte-
re sociale;
- la società dona alla coppia/famiglia (e questa riceve) diritti pro-
porzionati all'impegno assunto dalla coppia/ famiglia di collabora-
zione stabile, agli stessi livelli: assistenza lavorativa, sanitaria, edu-
cativa, culturale; per cui anche la famiglia "cresce" facendo cresce-
re la società.
Le unioni non matrimoniali , quindi, già per motivi "laici" non
possono essere equiparate da una società civile alle unioni matri-
moniali: se infatti la coppia non assume dei precisi doveri sociali,
la società non può dare alla coppia i corrispettivi diritti: una società
che equiparasse tutti i tipi di unione a quella propriamente matri-
moniale, farebbe inevitabilmente ricadere il peso dei "doveri" più
impegnativi sulle coppie sposate, finendo per incentivare i tipi di
unione non matrimoniali e, di riflesso, favorirebbe il disgregamen-
to del tessuto sociale che trova nelle famiglie stabili il punto
d'appoggio primario. Anche lo spessore sociale del patto matrimo-
niale reclama quindi, già a livello naturale, una stabilità, che si tra-
duce nel favor iuris per il matrimonio19.

2. Il matrimonio "sacro'7 assunto nel sacramento:


VINCOLO TRA UOMO E DONNA APERTO AL "MISTERO"

Come osserva Rahner, già l'amore umano, se vissuto autentica-


mente, richiama e si apre implicitamente a quello divino :

anche l'ateo, se il suo amore è autentico, fa in esso un'espe-


rienza di Dio, lo sappia o no. Anche nell'ateo l'amore perso-
nale e assoluto verso un altro "tu" umano è un "sì" detto se-
gretamente a Dio stesso. La dedizione totale di sé, che av-
viene nell'amore - e soltanto nell'amore - trae la sua origine

19 Per approfondire: citare i libri sulla coppie di fatto, ecc.

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ultima da Colui che noi chiamiamo Dio e tende a Lui come


al suo ultimo approdo. Proprio in questo riferimento a Dio
si fonda quella profondità abissale, che è propria dell'amore
tra due esseri umani, quella capacità di raggiungere l'altro
fin nel cuore della sua esistenza irrepetibile e personale;
quell'anelito verso una durata intramontabile delle due esi-
stenze; quella fedeltà radicale che tale amore possiede20.

Questa esperienza di assoluto, che fa parte della dimensione reli-


gioso-naturale del matrimonio, trova nella Scrittura alcuni accenti
che già preparano la dimensione sacramentale.

2.1. Dimensione religioso-naturale del matrimonio


L'implicita dimensione "divina" dell'autentico amore umano,
colta da Rahner, diventa in molte culture esplicito riconoscimento
della "sacralità" del vincolo matrimoniale. Si può anzi dire che, fi-
no ai tempi moderni, non si hanno notizie di visioni puramente
"civili" del matrimonio il quale - anche fuori del cristianesimo -
rimane connotato dalla sua relazione con Dio21. Il motivo è piutto-
sto evidente: la sessualità e l'amore sono realtà che richiamano il
"mistero" e che quindi diventano facilmente "segno" del divino e
ne invocano la benedizione. Il trasferimento del matrimonio nella
sfera sacra non ne muta i significati fondamentali, ma li rafforza:
così, ad es., nel diritto romano il matrimonio era «coniunctio maris
et feminae et consortium omnis vitae, divini et humani iuris com-
municatio»22 e, per sottolineare questa "communicatio", veniva
accompagnato da un rito sacrificale. .

20 K. Rahner, «Il matrimonio come sacramento», in Rassegna di Teologia 9


(1968), p. 355.
21 Cf. la voce «Matrimonio /famiglia» in H. Waldenfels (ed.), Nuovo Dizionario
delle religioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1993, pp. 552-565; la voce è com-
posta da diversi specialisti: H. Huber per la prospettiva etnologica generale,
B. Bujo per le religioni africane, G.D. Sontheimer per l'induismo, R. Malek
per l'Asia orientale, R. J. Z. Werblowsky per l'ebraismo, G. Höver per il
cristianesimo e A. T. Khoury per l'islam.
22 È la famosa definzione di Modestino (sec. III): cf. F. Del Giudice, D. Di Majo e
A. D'Angelo, Istituzioni di Diritto Romano e cenni di Diritti dell'Antichità , cit., p. 61.

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«Questo mistero è grande». La sacramentalità del matrimonio 125

Il contesto religioso rinsalda prima di tutto, in quelle culture


nelle quali è praticata la monogamia e la fedeltà, le caratteristiche di
unità e indissolubilità , in quanto il patto umano è stipulato alla pre-
senza delle forze divine: e tuttavia la componente sacrale da sola
non basta a garantirne l'indissolubilità, se è vero che i romani - pur
assegnando un posto al divino nelle nozze - ne ammettevano lo
scioglimento attraverso il divorzio. Ma sono soprattutto la pro-
creazione, e più in generale la sessualità, ad essere facilmente
"sacralizzate" nelle religioni antiche: l'esperienza di piacere e la
possibilità di dare origine a una nuova vita erano viste in questo ca-
so come partecipazione diretta alle prerogative e alle forze divine;
di qui anche la pratica della "ierodulia" o sacra prostituzione, attra-
verso la quale - in varie religioni - si riteneva di entrare in contatto
con le forze divine che reggono il mondo23.
Trasportata nella sfera sacrale, anche la dimensione sociale del
matrimonio riceve una motivazione più salda: il contratto non è più
solo un patto tra due persone e tra queste e la società, ma diventa
"un patto sacro", sigillato davanti alla divinità. Così il matrimonio è
anche un impegno "religioso", che inserisce nel contratto orizzontale
un elemento verticale, il quale rinsalda quello orizzontale. Il vincolo
che si crea è tendenzialmente sottratto alla pura e semplice volontà
dei contraenti (marito, moglie, società) e trasferito in quella della
divinità: non si può quindi violare alla leggera. Un altro motivo per
cui il vincolo matrimoniale viene affidato al divino, nelle antiche cul-
ture, è proprio questa saldezza del vincolo, questa "custodia" che
rappresenta una maggiore garanzia per la stessa società.

2.2. Dimensione religiosa del matrimonio


nell'Antico Testamento

L'Antico Testamento assume la dimensione religiosa del matri-


monio all'interno della metafora sponsale utilizzata in senso teolo-
gico: non solo nella direzione che va dalla coppia uomo-donna
all'alleanza Dio-popolo - un'apertura al mistero presente anche in
altre religioni, come abbiamo appena detto - ma anche in quella
che va dall'alleanza Dio-popolo alla coppia: elemento, questo, spe-
cifico invece di Israele.

23 Benedetto XVI, Deus caritas est , n. 4.

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Nella direzione che va dalla coppia uomo-donna all'alle


popolo, l'Antico Testamento opera una chiara desacralizzaz
sessualità e del matrimonio, senza però demonizzarli ma i
anzi nel progetto di Dio 24 .
Da una parte infatti le metafore di Gen 1-2 si distanz
miti dualisti antichi, che facevano derivare la creazione m
il corpo umano da una divinità malvagia contrapposta ad
na, la quale, eventualmente, creava le anime: per l'Antic
mento non solo la creatura umana è "cosa molto buona" nella sua
unità psicofisica, ma è creata direttamente da Dio, è voluta per se
stessa in due generi - i quali insieme sono "immagine e somiglian-
za di Dio" (cf. Gen 1,27) -, è orientata al completamento reciproco
in vista della procreazione (cf. Gen 1,28) e della formazione di una
strettissima unità (cf. Gen 2,24).
Dall'altra parte, però, questa "bontà" della sessualità e del matri-
monio non è tale da rasentare sacralizzazione : l'Antico Testamento
rifiuta infatti quelle teogonie e cosmologie antiche le quali conside-
ravano sessualità e matrimonio come partecipazione "naturale",
sebbene degradata, alle caratteristiche divine - in genere si trattava
di dèi sessuati, maschi e femmine - immaginando la creazione come
una sorta di "dilatazione" divina: è proprio l'idea di "creazione" a
preservare la distanza qualitativa tra Dio e il creato. L'atto sessuale,
per gli ebrei, non è dunque partecipazione a qualche misteriosa
forza divina25.
Tra le due sponde estreme, l'Antico Testamento opera dunque una
scelta intermedia: la sessualità e il matrimonio sono realtà "buone":
non però emanazione diretta della natura divina, ma "segno" che fa
comprendere qualcosa anche di Dio. Sessualità e matrimonio, però, so-

24 Cf. B. e L. Wachinger, Ehe/Familie, in P. Eicher (ed.), Neues Handbuch theo-


logischer Grundbegriffe , vol. 1, pp. 210-211.
¿:> Nella Bibbia «Dio, l'essere assolutamente trascendente, è al di fuori della
sfera del matrimonio. Il matrimonio è essenzialmente una realtà del mondo

creato, che ha un significato nella vita hic et nunc, ma che con la morte e con
la fine dei tempi perde il suo significato per l'individuo e rispettivamente per
il genere umano nel suo insieme. Il matrimonio è un dono della creazione,
che però appartiene strettamente a questo mondo» (E. Schillebeeckx,
Il matrimonio. Realtà terrena e mistero di salvezza , Paoline, Roma 1980, p. 349).

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«Questo mistero è grande». La sacramentalità del matrimonio 127

no stati toccati dal peccato (cf. Gen 3) e quindi sono un segno ormai
ambivalente, un segno ferito che può essere guarito solo da Dio. La po-
ligamia e la possibilità del divorzio - pratiche così scopertamente
contrastanti il progetto originario di Dio in Gen 1-2 - evidenziano
la profondità di questa ferita. La sessualità-matrimonio sarebbe ca-
pace dunque, per sua natura, di dire qualcosa di Dio, ma storica-
mente non riesce più a farlo, se non interviene Dio stesso. La realtà
naturale, dunque, può tomare a parlare il suo linguaggio pieno se
non è assunta dalla metafora teologica, se non è inserita nella relazione
tra Dio e il suo popolo. Siamo così condotti alla seconda direzione.
L'altra direzione dunque - dall'alleanza Dio-popolo alla coppia
uomo-donna - risulta specifica dell'Antico Testamento nel panora-
ma religioso antico: basata sulla riflessione che l'Antico Testamento
fa sulla "creazione" a partire dall'esperienza dell'alleanza26, questa
seconda direzione evidenzia la capacità del matrimonio di parlare
di Dio a condizione che sia egli stesso ad assumerlo come metafora . Infat-
ti il matrimonio compare più volte, in bocca a Dio, tra i simboli
rappresentativi dell'amore di Dio con il suo popolo (cf. Os 1-3;
Ger 2,1 e 3,1; Ez 16,1-63; Is 54,4-8 e 62,5-5); simbolo più forte, per
molti aspetti, che non quello del pastore, del padrone della vigna,
del condottiero ed altri.
Nell'Antico Testamento quindi il matrimonio, dopo il peccato, non
è consegnato alla "profanità", né tanto meno alla malvagità; anzi,

ha in sé una tale potenza di espressione che è potuto dive-


nire il mezzo profetico mediante il quale fu espressa nel
modo più evidente la dialettica della vita del popolo di Dio
con Dio stesso: la vita coniugale di Osea e Gomer divenne il
simbolo profetico del dialogo storico tra Dio e il suo popo-
lo, e questa alleanza di grazia racchiudeva in sé un messag-
gio morale per la vita coniugale concreta (cfr. Ezechiele)27.

26 Cf. Cf. G. von Rad, «Il problema teologico della fede veterotestamentaria
nella creazione», in Id., Scritti sul Vecchio Testamento, Jaca Book, Milano 1984,
pp. 9-25; G. Barbaglio e G. Colombo, «Creazione», in G. Barbaglio e
S. Dianich (edd.), Nuovo Dizionańo di Teologia, Paoline, Roma 1977, pp. 184-210.
27 E. Schillebeeckx, Il matrimonio, cit., p. 349.

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128 E. Castellucci

Anche in questa seconda direzione, tuttavia, il matrim


"macchiato" e la sua capacità rivelativa è annebbiata: tan
che l'intento principale con il quale le Scritture ebraiche
la metafora sponsale è quello di evidenziare l'infedeltà d
invitarlo al pentimento e alla conversione. La metafora
quindi ambivalente anche in questo caso: essa è nello ste
segno di fedeltà (divina) e infedeltà (umana), di amore gr
parte di Dio e ingratitudine da parte del popolo.
Dentro all'uso di questa metafora risiede allora implicit
come in Gen 1-2, una forza contestatrice anche nei confr
pratiche matrimoniali non più corrispondenti al progett
rio di Dio, la poligamia e il divorzio : se il "modello" ideale de
monio, infatti, è quello dell'unione che Dio instaura con i
polo, e il biasimo riguarda l'infedeltà di Israele, che si pr
ad altri e rompe il legame con il suo Dio, l'unità e l'indi
rimangono sempre presenti, almeno come nostalgia e or
ideale, nella vita e nella coscienza dell'Antico Testamento.

2.3. Dimensione religiosa del matrimonio


nel Nuovo Testamento

L'Antico Testamento, che assume e purifica la dimensione reli-


gioso-naturale del matrimonio, evitando di demonizzarla e di
sacralizzarla, e la completa con la prospettiva storico-salvifica del-
l'alleanza tra Dio e il popolo, viene in parte confermato e in parte
superato nel Nuovo, in entrambe le direzioni: nella prima - dalla
coppia all'alleanza - incontriamo da parte di Gesù e di Paolo sia la
riaffermazione del progetto originario di Dio in Gen 1-2 sia la rela
tivizzazione del matrimonio attraverso la verginità; nella seconda
dall'alleanza alla coppia - incontriamo l'inveramento della metafor
teologica, con l' auto-identificazione con lo Sposo da parte di Gesù
e la lettura del matrimonio in relazione all'alleanza tra Cristo e la
Chiesa da parte di Paolo. Del livello "religioso", che stiamo espo-
nendo, fa parte la prima direzione; tratteremo invece della seconda
passando al livello propriamente "sacramentale".
Gesù e Paolo dunque, in primo luogo, ribadiscono la validità
del progetto originario di Dio come era stato espresso in Gen 1-2,
prima del peccato: Gesù, nei noti dialoghi sul matrimonio e il
divorzio (cf. Mt 19,1-9, Me 10,12), rimanda esplicitamente a

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«Questo mistero è grande». La sacramentalità del matrimonio 129

Gen 1,27 e 2,24 e, sulla base di questo ritorno al progetto originario


di Dio, respinge il divorzio (cf., oltre ai due passi precedenti,
Mt 5,31-32 e Le 16, 18)28, interpretando Deut 24,1 come concessione
mosaica a motivo della "durezza di cuore" (Mt 19,8; Me 10,5); con-
cessione che però non cancella la validità del progetto originario,
riaffermato infatti da Gesù stesso (e da Paolo: cf. 1 Cor 7,10-11 e
Ef 5,31). Il dialogo tra Gesù e i farisei sul divorzio rivela così una
" pretesa " cristologica implicita : Gesù è venuto a rendere di nuovo pos-
sibile il progetto originario di Dio sulla coppia umana, è venuto a
guarire quelle ferite che avevano reso la coppia incapace di corri-
spondere alla volontà di Dio e a rendere di nuovo possibile la realiz-
zazione dell' "una carne sola", nell'unità e indissolubilità29; chi segue
Gesù, quindi, può vivere pienamente la realtà matrimoniale secondo
il suo significato originario. Le eccezioni che erano state concesse per
motivi "pedagogici" - per andare incontro alla "durezza del cuore"
- fanno ormai parte di un'alleanza superata e non hanno più ragion
d'essere. Cristo «rivela la verità originaria del matrimonio, la verità
del "principio" e, liberando l'uomo dalla durezza del cuore, lo rende
capace di realizzarla interamente»30. La volontà del Creatore, recu-
perata dalla nuova alleanza di Gesù, non include la possibilità del
ripudio. Gesù viene quindi in qualche modo a riallacciare l'alleanza
originaria stipulata da Dio con tutta l'umanità prima del peccato o,
per meglio dire, anticipa l'alleanza completa die si instaurerà con
l'avvento del regno di Dio. Con la venuta di Cristo, infatti,

l'odio fraterno, il giuramento, la legge del taglione e il


divorzio sono destinati a scomparire (...) perché il regno di
Dio ormai è tra noi, realmente sebbene in stato indpiente, e
con la grazia di questa fede l'uomo, vivendo l'autenticità

28 Esiste una differenza tra questi passi: In Le e Mt si parla solo dell'uomo che
ripudia, mentre in Me il ripudio è attribuito anche alla donna: perché Le e
Mt rispecchiano la legislazione ebraica, mentre Me quella greco-romana
(dove anche la donna poteva avviare una causa di divorzio): citare un com-
mentario.

29 Cf. C. Caffarra, Sessualità , cit., p. 40.


30 Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, doc. cit., n. 13:
EV 7/1585.

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130 E. Castellucci

umana, può e deve essere perfetto come il Padre cel


(cf. Mt 5,48). Perciò, a causa di Cristo, il matrimonio vo
dal creatore, quando è abbracciato e vissuto da chi cred
lui e lo segue, è attuazione della volontà creatrice di
e, come attuazione di ciò che esso è e deve essere per
natura, per creazione, il matrimonio dei credenti in Cri
un inizio reale della situazione escatologica, è vero trasc
dimento di se stesso31.

Essendo tuffato nella nuova alleanza, il matrimonio tra uomo e


donna per le Scritture cristiane è dunque un segno che non solo
guarda all'origine - all'alleanza prima del peccato - ma che anche
anticipa la fine: compimento dell'alleanza nel Regno. Forse per
questo le nozze, nella predicazione di Gesù, sono una delle imma-
gini indicanti il Regno dei cieli (cf. Mc 2,1-15 e Mt 22,14).
Esiste però nel Nuovo Testamento un altro elemento, la verginità,
che valorizza e nello stesso tempo relativizza il matrimonio: lo va-
lorizza, richiamandolo al senso profondo dell'amore come profezia
del Regno; e lo relativizza, impedendone l'assolutizzazione e invi-
tandolo a guardare in avanti, verso la risurrezione dei morti, dove
non si prenderà più né moglie né marito (cf. Mc 12,15). È molto
significativo che proprio nel momento in cui riafferma la dignità
originaria del matrimonio contro il divorzio, Gesù ricordi che esi-
ste anche la possibilità della verginità in relazione al regno dei
cieli: Mt 19,12, infatti - che parla della rinuncia volontaria al matri-
monio -, segue la piena riaffermazione della dignità che sessualità
e matrimonio assumono nel progetto del Creatore (in Mt 19,4-5
Gesù cita Gen 1,27 e 2,24). Non c'è spazio nei Vangeli per un
disprezzo del matrimonio e della sessualità; la scelta verginale,
anzi, ne fa risaltare il vero significato e la direzione escatologica.
Ed è proprio l'escatologia la chiave di lettura dell'altro grande rife-
rimento alla verginità - nel contesto del confronto con il matrimonio -
che si incontra in 1 Cor 732. Ripetutamente in questo capitolo Paolo

31 A. Pompei, «Matrimonio», art. cit., p. 885.


32 Cf. per le riflessioni seguenti: L. Legrand, «San Paolo e il celibato», in
J. Coppens (ed.), Sacerdozio e celibato. Studi storici e teologici, Ancora, Milano
1975, pp. 427-450.

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«Questo mistero è grande». La sacramentalità del matrimonio 131

afferma la liceità del matrimonio e della sessualità ma anche la supe-


riorità della condizione di non-sposato. Su quali motivi basa questa
superiorità? Probabilmente Paolo coniuga il pensiero stoico, che era
nell'aria, con l'orizzonte escatologico che viveva la prima generazione
cristiana. Così per Paolo il celibato non procura semplicemente la
"libertà" stoica dalle passioni e dalle cure temporali, e neppure per-
mette solamente la "contemplazione" che anticipa e quasi materializ-
za la fine dei tempi; in questo spazio concesso alla storia, Paolo ritiene
condizione ideale la sua, cioè l'essere libero da tutti per farsi servo di
tutti e guadagnarne un maggior numero (cf. 1 Cor 9,19). Il desiderio
di "piacere al Signore", anziché "alla moglie" (cf. 7,32-34), è in nuce
un'affermazione di sponsalità dell'apostolo con la Chiesa, una dichia-
razione di dono totale della propria vita alla Chiesa.
Il matrimonio e la verginità stanno dunque tra loro in una rela-
zione di complementarità, sottolineando il primo il "già" e il secon-
do il "non ancora" del Regno: dimensioni entrambe essenziali al
Regno: quando si guarda alla dimensione storica emerge il primato
del matrimonio, quando si guarda a quella escatologica il primato
della verginità. Le due condizioni sottolineano dimensioni diverse
e complementari del Regno e si "aiutano" a vicenda a non trascu-
rare l'aspetto posto in primo piano dall'altro. Il matrimonio riceve
dalla verginità il richiamo all'universalità e trascendenza dell'amore,
cioè al superamento della tentazione di esaurire l'amore dentro al
cerchio della coppia e della famiglia anziché mantenerlo aperto
agli altri e a Dio; viceversa, la verginità riceve dal matrimonio il ri-
chiamo all'intensità e alla concretezza dell'amore, cioè al supera-
mento della tentazione di svaporare l'amore in una genericità che
trascura le persone concrete e la storia quotidiana33.

3. IL MATRIMONIO SACRAMENTALE:
SEGNO EFFICACE DELL'AMORE TRA CRISTO E LA CHIESA

Quando si arriva, passo dopo passo, al terzo livello, il matrimo-


nio ha già una tale consistenza, che l'originalità del "sacramento"
sembrerebbe rimanere in sordina: che cosa si potrebbe aggiungere

33 Cf. FC 16.

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132 E. Castellucci

alla teologia del matrimonio rispetto a quanto già detto


due livelli? Se tuttavia consideriamo da vicino anche l'altra direzio-
ne che prende nel Nuovo Testamento il matrimonio - dall'alleanza
alla coppia , ossia il pieno compimento della metafora sponsale nel
suo uso teologico - ci rendiamo conto che il "sacramento" perfezio-
na tutto quanto detto sinora a livello naturale e religioso. Senza il
"sacramento" rimarrebbe comunque arduo, per non dire impossibile,
realizzare la natura, i compiti e le finalità del matrimonio.

3.1. La "sacramentalità" del matrimonio

A questo punto risulta chiaro in che senso la "sacramentalità"


del matrimonio vada ricercata, più che in singole parole di Gesù,
nella sponsalità della quale egli si riveste e che realizza nel mistero
pasquale: nei Vangeli egli si autoidentifica con Dio-Sposo; in
Ef 5,21-33 Paolo legge l'opera salvifica di Cristo in termini sponsal
ed inserisce il matrimonio tra un uomo e una donna nel circuito di
grazia di questa metafora teologica.
Gesù ha riferito a se stesso e ai suoi discepoli la relazione spon-
sale che nell'Antico Testamento era metafora della relazione di Dio
con il suo popolo. Implicitamente nell'episodio delle nozze di Cana
(cf. Gv 2,1-12), dove Gesù - supplendo alle carenze dello sposo
umano - dona vino buono a tutti; ed esplicitamente nel logion registra-
to da Me 2,19, Mt 9,15; Le 5,34, in cui Gesù chiede come possono gli
invitati a nozze (i suoi discepoli) digiunare mentre è con loro lo
sposo, il quale è venuto a portare vino nuovo, Gesù si mette nei
panni del Dio d'Israele: come Dio era sposo dell'antico popolo, così
ora Gesù è sposo dei discepoli, che sono il germe del nuovo popolo.
Il vino buono di Gv o il vino nuovo dei Sinottici indicano, in que-
sto contesto sponsale, la novità dell'alleanza instaurata in Gesù:
egli non è semplicemente venuto a ripetere il "vecchio", ma ad
anticipare il "nuovo". È un altro richiamo escatologico - nel Regno
ci sarà vino buono e abbondante per tutti - che riorienta la metafo-
ra sponsale dell'alleanza verso il futuro.
Ha visto bene il Concilio di Trento quando, come già accennato,
ha individuato in Ef 5 il testo biblico più significativo per la sacra-
mentalità del matrimonio: effettivamente in esso Paolo approfon-
disce l'alleanza sponsale tra Gesù e la Chiesa e la relaziona al ma-
trimonio, offrendo le basi per la riflessione che porterà alla defini-

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«Questo mistero è grande». La sacramentalità del matrimonio 133

zione del matrimonio come sacramento. In questo testo si saldano le


due linee , dall'alleanza alla coppia e dalla coppia all'alleanza:
è l'unico passo biblico che le metta in relazione diretta e ne espliciti
il rapporto. Da una parte, infatti, Paolo si colloca nella linea dell'u-
so veterotestamentario della metafora nuziale per indicare
Y alleanza tra Dio e il popolo , concretizzandola - sulle orme dell'iden-
tificazione sponsale operata da Gesù tra lui e il Dio degli ebrei -
come alleanza tra Cristo e la Chiesa; dall'altra, egli ha come scopo
diretto quello di esortare i coniugi a vivere relazioni ordinate e per
questo propone la relazione Cristo-Chiesa come modello della rela-
zione uomo-donna: modello di sottomissione della donna all'uomo
(cf. vv. 22-24) e modello di amore come dono di sé dell'uomo verso
la donna (cf. vv. 25-30). Modello di sottomissione della donna
all'uomo è la sottomissione della Chiesa a Cristo, suo capo e salva-
tore; modello dell'amore dell'uomo verso la donna è l'amore di
Cristo che dà se stesso, offre il lavacro e la parola, vuole trasforma-
re la sua Chiesa in sposa santa e immacolata. Fino qui il paralleli-
smo potrebbe anche risolversi allegoricamente, se non venisse stabi-
lita una relazione precisa fra la coppia Cristo-Chiesa e la coppia
uomo-donna. Ed ecco infatti la relazione: dopo avere ricordato
Gen 2,24, Paolo conclude: "questo mistero è grande; lo dico in rife-
rimento a Cristo e alla Chiesa" (v. 32).
Che cosa indica Paolo con l'espressione "questo mistero"?
Esistono tre possibilità interpretative34: il matrimonio dei cristiani, il
matrimonio naturale o l'unione tra Cristo e la Chiesa. L'interpreta-
zione classica è la prima: il "mistero" sarebbe il matrimonio dei cri-
stiani di cui Paolo aveva parlato nei w. 21-30; in tal modo - anche
per la traduzione della Vulgata di mysterion con sacramentum - il
testo affermerebbe una sacramentalità esplicita. Ma ormai la co-
munità esegetica ha abbandonato questa interpretazione, soprattutto
perché tra la trattazione del matrimonio dei cristiani (che arriva
fino al v. 30) e l'esclamazione "questo mistero"... (v. 33) vi è il v. 32,
che parla del matrimonio come "istituzione naturale" così come è
uscito dalle mani del Creatore (citando Gen 2,24). Quindi il v. 32 -
seconda ipotesi - parla del matrimonio naturale, simboleggiato

34 Cf. L. Ligier, Il matrimonio. Questioni teologiche e pastorali , Città Nuova,


Roma 1988, pp. 28-30.

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134 E. Castellucci

dall'unione di Adamo ed Eva, che ne sarebbe il prototipo


pazione profetica? Sembra proprio di sì, tanto più che la
tesi sembra pure oggi abbandonata: dire infatti che il
grande" è l'alleanza tra Cristo e la Chiesa sarebbe una sor
tologia o almeno un'ovvietà tale che non merita un'escla
così solenne; e oltretutto non renderebbe conto dell'espr
"in riferimento a Cristo e alla Chiesa": eis. Resta dunque i
seconda ipotesi: "questo mistero" è il matrimonio nat
Paolo definisce "grande" eis Cristo e la Chiesa. Allora più
l'espressione "in riferimento", eis può essere tradotto - pi
mente - con "verso", "in vista di", "allo scopo di". Paolo s
do che il matrimonio naturale, quello di cui Adamo ed E
prototipo, non è una realtà che trovi la sua completa spie
sé, che in sé abbia il proprio baricentro e tutto il suo signifi
che è una sorta di "profezia" dell'unione tra Cristo e la C
primo passo verso la méta finale del matrimonio tra
Gesù e il suo popolo, tra il Capo e il corpo35. Per l'Apostolo i
monio naturale è "ordinato verso" l'alleanza tra Cristo e l
dove trova il suo archetipo e perfetto modello. Il rapport
Eva è un preannuncio del rapporto Cristo-Chiesa, lo rich
suo vero e ultimo scopo, lo reclama come suo compiment
Il matrimonio creaturale, per Paolo, ha perciò una
cristologica, è simbolo di una unità più grande, quella d
della Chiesa36. Quindi il matrimonio non trova il suo com
semplicemente sul piano della creazione, ma è ordinat
della redenzione. È questo il legame tra coppia umana
Cristo-Chiesa che supera la pura e semplice allegoria, la
ficilmente poteva invece essere superata nell'Antico Test
matrimonio non è per Paolo solamente un "esempio" del
Cristo-Chiesa, ma quest'ultimo è un "modello /arche

35 Cf. Ibid., p. 29.


36 «Il ragionamento di Paolo è chiaro: il matrimonio come ordinam
creazione e il matrimonio dei cristiani come ordine di fede costituiscono

una profonda unità, poiché in ambedue è presente velatamente, misterio-


samente, la realtà cristologica ecclesiologica dell'alleanza attuata in Cristo,
la quale è designata pertanto come "grande mistero"» (A. Pompei,
«Matrimonio», art. cit., p. 886).

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primo; il fatto che il matrimonio naturale sia un "mistero grande"


in quanto orientato al suo compimento nell'alleanza Cristo-Chiesa
fonda davvero la sua caratteristica - una volta assunto nella dina-
mica della nuova alleanza - di essere "segno efficace" che attualiz-
za quel rapporto. Con questo testo paolino, l'uso teologico della
metafora sponsale raggiunge il culmine del realismo, in quanto sta-
bilisce che l'alleanza sponsale tra Cristo e la Chiesa è la "forza"
interiore e l'ultimo scopo del matrimonio già nella sua dimensione
naturale. Se non ancora nel linguaggio, siamo però già nella logica
"sacramentale"37.

3.2. La grazia specifica del matrimonio sacramentale

In quanto sacramento, il matrimonio trasmette la grazia, che


perfeziona l'amore naturale e conferma l'indissolubile unità, santi-
ficando i coniugi38. La grazia sacramentale comporta un momento
negativo, la grazia sanante, e uno positivo, la grazia santificante.
Il momento negativo era indicato nella tradizione tomista con
l'espressione remedium concupiscentiae , che denotava il contenimento
di una pulsione sessuale entro limiti più onesti39, per cui i "beni"
compensano il "danno". Oggi, nella prospettiva personalista, risulta
più adeguato parlare della integrazione di tutte le dimensioni umane
nell'amore autentico. La concupiscenza a cui il matrimonio pone
"rimedio" non è quindi un disordine puramente sessuale, ma una
mancata integrazione delle diverse componenti umane sotto il
segno dell'amore, dovuta al potere del peccato40. Alla pari degli

37 Non possiamo seguire la "storia degli effetti" del basilare testo paolino che,
attraverso i Padri, ci condurrebbe alla riflessione medievale sulla sacra-
mentalità del matrimonio. Vanno però ricordati almeno due testi del
Crisostomo: il matrimonio è "icona" dell'alleanza di Cristo e della Chiesa
(cf. Omelia 56 sulla Genesi : PG 54,487); il matrimonio di Adamo ed Eva era
per loro un "abbozzo" in cui si annunciava la realtà piena del matrimonio
di Cristo e della Chiesa ( Omelia 20 su Efesini : PG 62,140).
38 Cf. DS 1801.
39 Cf. IV Sent. d. 26 q. 2 ad 3-5.
40 Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, doc. cit.,
n. 3: EV 7/ 1529-1531.

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136 E. Castellucci

altri sacramenti, il matrimonio apporta una forza sanante c


mette di ricostruire l'armonia perduta: permette cioè di integr
forze del rapporto di coppia e della sessualità in un proget
stenziale di "amore" a Dio e al prossimo.
Il momento positivo , per cui il matrimonio è già per To
"segno sacro" e "realtà santa"41, è la grazia che opera la santific
dei coniugi , secondo il modello e con la forza dell'alleanza tra C
e la Chiesa. Le caratteristiche dell'unione tra Cristo e la Chiesa
sono dunque anche quelle dell'amore tra l'uomo e la donna. In che
cosa consistono?
L'alleanza tra Cristo e la Chiesa è segnata dall'amore, che ha
come contenuto il dono di sé, inteso come offerta : da Cristo alla
Chiesa, nella direzione oblativa dell'amare e dalla Chiesa a Cristo
nella direzione recettiva del lasciarsi amare42. Poiché l'amore di
Cristo e della Chiesa è marcato dalla triplice dimensione del mistero
cristologico - e di riflesso ecclesiologico - della incarnazione , croce e
risurrezione, anche il matrimonio sacramentale è marcato da queste
tre dimensioni dell'amore ed è abilitato a viverle con la forza pro-
veniente dall'alleanza tra Cristo e la Chiesa.
L' incarnazione dice che il dono di sé è condivisione indissolubile.
L'unione di Cristo e della Chiesa compie Y una-sola-carne profetizza-
to in Gen 2,24. Più specificamente: in quanto sacramentalmente
partecipi dell'amore di Cristo che prende l'iniziativa associandosi la
Chiesa come suo "corpo" (cf. Ef 1,22-23; Col 1,18), entrambi gli
sposi cristiani sono segno e strumento di un amore che condivide
fedelmente e perennemente, senza ripensamenti, come è l'amore di
Cristo; in quanto sacramentalmente partecipi dell'amore della
Chiesa che accoglie l'iniziativa di Cristo, entrambi gli sposi cristiani
sono segno e strumento di un amore che si lascia completamente
coinvolgere e cerca di corrispondere fedelmente e costantemente,
creando a sua volta condivisione.

41 Cf. IV Sent. d. 31, q. 1, a. 1 ad. 7; IV Sent. d. 31, q. 1, a. 2, ad 4 e ad 7; Summa


Contra Gentiles, 1, IV, cap. 78.
42 Per una presentazione - diversamente strutturata rispetto a quella da noi
adottata - della sacramentalità del matrimonio secondo la categoria di
offerta /accoglienza, cf. A. Mattheeuws, «Le sacrament du mariage», in
Nouvelle Revue Théologique 121 (1999), pp. 595-611.

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«Questo mistero è grande». La sacramentalità del matrimonio 137

La croce rivela il dono di sé come sacrificio. L'unione di Cristo e


della Chiesa è segnata dall'offerta, dalla rinuncia. Più specificamente:
in quanto sacramentalmente partecipi dell'amore di Cristo che prende
l'iniziativa dando se stesso per la Chiesa (cf. Ef 5,25), suo "corpo",
entrambi gli sposi cristiani sono segno e strumento di un amore che
conduce la condivisione fino al culmine (cf. Gv 13,1), passando
attraverso l'annientamento di sé, la rinuncia per l'altro, il "dare la
vita", come è l'amore di Cristo; in quanto sacramentalmente parte-
cipi dell'amore della Chiesa che accoglie l'iniziativa di Cristo,
entrambi gli sposi cristiani sono segno e strumento di un amore che
si lascia completamente coinvolgere e cerca di corrispondere, facen-
do a sua volta della propria vita un'offerta sacrificale a lui. Ne
fanno parte le difficoltà e i momenti in cui la vita matrimoniale più
che dono reciproco è perdono reciproco, più che attrazione pazien-
za, più che esaltazione attesa, più che parola silenzio.
La risurrezione svela il dono di sé come piena realizzazione: gioia
reciproca, fecondità. L'unione di Cristo e della Chiesa è per la vita,
poiché si compie nella risurrezione di Cristo che è pegno della glo-
ria della Chiesa, quando anch'essa sarà senza macchia né ruga
(cf. Ef 5,27). Più specificamente: in quanto sacramentalmente parte-
cipi dell'amore di Cristo che prende l'iniziativa dando vita al suo
corpo e rendendolo continuamente fecondo - la parola, i sacra-
menti e la carità con cui la Chiesa "genera" sono gli stessi elementi
da cui essa è prima "generata" da Cristo nello Spirito - entrambi
gli sposi cristiani sono segno e strumento di un amore che dona
vita, gioia e fecondità all'altro, come è l'amore di Cristo; in quanto
sacramentalmente partecipi dell'amore della Chiesa che accoglie
l'iniziativa di Cristo, entrambi gli sposi cristiani sono segno e stru-
mento di un amore che accoglie la vita che l'altro dona e cerca di
corrispondere fedelmente e costantemente, mantenendo vitale la
relazione e aprendosi anche all'accoglienza di una vita nuova.
Nell'esposizione di queste caratteristiche dell'amore coniugale
"sacramentale" sono implicati anche i motivi di perfezionamento e
consolidamento della natura, delle proprietà essenziali e delle fina-
lità che il matrimonio portava in sé già nel suo spessore naturale e
religioso. Così la relazione sessuale coniugale, inserita nella simboli-
ca sacramentale, "compie" e sigilla il patto nuziale, in quanto rap-

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presenta l'unione fisica e reale di Cristo con la Chiesa43. L


unitive e procreative della sessualità, quindi, in quanto a
elevate e perfezionate nel sacramento, diventano segno
strumento dell'amore tra Cristo e la Chiesa: amore gioios
do, amore sofferto e fedele. Anche l'unita e l'indissolubilità
il loro ultimo e definitivo fondamento dall'alleanza tra Cristo e la
Chiesa, in quanto unione totale, fedele, irrevocabile. Nel sacramen-
to l'indissolubilità non è un'ulteriore esigenza imposta al matrimo-
nio dall'esterno, ma irrobustisce le stesse motivazioni naturali.
Il "sì" degli sposi diventa partecipazione all'irrevocabile "sì"
di Cristo al Padre nell'unirsi indissolubilmente con gli uomini
(cf. 2 Cor 1,19-20).

Nella definizione della sacramentalità del matrimonio cristiano,


raggiunta a poco a poco dalla Chiesa, ha svolto dunque un ruolo
decisivo l'assunzione della metafora sponsale nella definizione del
rapporto tra Dio e Israele e soprattutto tra Cristo e la Chiesa. Il
fatto che il matrimonio godesse di una notevole consistenza già sul
piano naturale e su quello religioso, ne ha facilitato una lettura
"sacramentale": l'alleanza Cristo-Chiesa è stata infatti considerata
- specialmente in Ef 5,21-33 - non come un semplice "modello"
allegorico, ma come un vero e proprio "archetipo", "in vista" del
quale e a partire dal quale prende energia l'alleanza sponsale tra
un uomo e una donna celebrata "nel Signore".

Riassunto

Il Concilio di Trento ha definito la sacramentalità del matrimo-


nio tra battezzati, ma mentre per altri sacramenti è possibile parla-
re di "istituzione" diretta da parte di Gesù, nel caso del matrimo-
nio questo procedimento è inadeguato. Ciò significa che l'origine
di questo sacramento va ricercata in una direzione diversa rispetto
a parole e gesti diretti da parte di Gesù. Questa direzione è precisa-

43 Cf. Clemente Alessandrino, Omelie sul Vangelo di Giovanni II: PG 73,228;


cf. anche Origene, Omelie sul Vangelo di Matteo 14,16-23: PG 13,1223-1246.

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«Questo mistero è grande». La sacramentalità del matrimonio 139

mente quella della "metafora" sponsale in senso teologico. Illustran-


do le tre dimensioni del matrimonio, "naturale", "sacra" e "sacra-
mentale", lo studio lascia emergere con chiarezza il ruolo decisi-
vo dell'uso teologico della metafora sponsale.

The Council of Trent has defined the sacramental quality of marriage


between baptised individuals. However ; whereas it is possible to discuss
the direct "institution" of the other sacraments by Jesus , in the case of
matrimony , this procedure is inadequate. This suggests that the origin of
matrimony has to be researched in a different way , going beyond the
words and direct gestures of Jesus. This new direction is precisely the
spousal metaphor in the theological sense. By illustrating the three
dimensions of matrimony: "natural", "sacred" and " sacramental ", this
present study allows the decisive role of the theological use of the spousal
metaphor to emerge with clarity.

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