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Si è soliti far analogia tra il sistema immunitario e la possibile copertura dalle aggressioni dell’ambiente
esterno. Questo in parte è vero, ma se consideriamo la manifestazione finale di protezione come il risultato
di un complesso meccanismo di attivazioni e inibizioni non possiamo più separare le relazioni interne dal
risultato finale, l’omestasi. Oggi così definita, l’omeostasi è un riflesso di quella struttura immunitaria che si
chiama “tolleranza”. Aggiungo, vale sempre la pena ricordarlo, che l’uomo (noi ci occupiamo di lui)
determina, sempre, il suo modo di reagire.
Diceva un filosofo indiano: “quel che è fuori è anche dentro, ciò che non è dentro non è da nessuna parte”.
Quindi se le relazioni biologiche dentro di noi sono in dialogo armonico il patogeno non può nulla. Quello
stesso antigene può essere devastante per un’altra creatura, proprio perché il sistema immunitario è
considerato a tutti gli effetti un organo di “senso” in grado di riconoscere stimoli sia cognitivi che non.
Nel 1984 Blalock sul journal of immunology ha segnato la fase di passaggio ad un nuovo paradigma
scientifico: comportandosi come un organo di senso il SI è in grado di afferire segnali al SNC che elaborati
con un fine intergioco col SNE si traducono in una risposta neuroimmunoendocrina con il supporto di una
preziosa mediazione citochimica.
Due secoli fa, nel 1798 il medico inglese Edward Jenner (1749-1823) presentò al mondo occidentale il primo
vaccino contro il vaiolo, questo segna l’inizio dell’immunizzazione. Già in altri paesi, però ad onor di cronaca
si effettuavano queste pratiche (Cina e Africa). Anche se tali pratiche non avevano il risultato sperato,
Jenner ebbe un colpo di genio quando si accorse che nelle campagne dove c’era il vaiolo bovino l’incidenza
del vaiolo umano era minore. Da qui l’idea di smettere di inoculare croste di vaiolo umano, e al loro posto,
usare materiale infetto da vaiolo “vaccino”. Ovviamente come tutte le novità, la medicina non venne
toccata dall’eccezionalità dell’evento e solo negli anni ottanta del XIX secolo, il francese Louis Pasteur, i
tedeschi Robert Kock, Paul Ehrlich ed Emil von Behring, il russo Ilia Mečnikov, diedero vita ad una serie di
studi e sperimentazioni che consentirono di ipotizzare cosa accadesse nel corso di una malattia infettiva.
Con Pasteur e Kock si acquisisce la prova sperimentale che esiste un mondo microscopico capace di
provocare le malattie.
Marco Russo D.O. Anatomia e Fisiologia Immunitaria Pagina 1
Nel 1880 Pasteur identificò il microrganismo responsabile del colera (malattia infettiva del tratto
intestinale) nei polli, dimostrando che l’inoculazione di un ceppo meno virulento proteggeva il pollo da un
successivo contatto con un ceppo più virulento. Nel 1884 Mečnikov dimostrò l’esistenza di particolari
globuli bianchi, capaci di fagocitare batteri e altro materiale estraneo, li battezzò macrofagi.
Nel 1888 Emil Roux, dimostrò che nel siero delle persone ammalate di difterite (patologia batterica delle vie
respiratorie era possibile identificare le tossine che scatenavano la malattia. Sulla base di queste
osservazioni von Behring dimostrò che nel siero di animali contagiati da difterite e tetano, conteneva
sostanze che erano in grado di incidere sulla malattia, fino a bloccarla, se somministrate a malati in fase
iniziale. Queste sostanze miracolose vennero battezzate antitossine o più genericamente anticorpi. Da quel
momento si era convinti che con la sieroterapia fosse possibile curare tutte o quasi le malattie. In realtà le
cose non andarono così e purtroppo non vanno così anche oggi. Infatti si credeva e si crede ancora, per
certi versi, che l’anticorpo sia sinonimo di immunità.
Dalla prima guerra mondiale fino alla fine degli anni cinquanta, la ricerca in campo immunologico è
dominata dagli studiosi di chimica: massima è la sua distanza dalla medicina. Oggetto principale delle
ricerche è lo studio della relazione antigene-anticorpo identificata (all’epoca) come la chiave fondamentale
della risposta immunitaria.
Stabilito che l’organismo è in grado di produrre anticorpi, ovvero sostanze che sono in grado di
neutralizzare antigeni, come è possibile che per ogni antigene diverso venga prodotto un anticorpo
specifico?
Linus Pauling nel 1940 elaborò una risposta che sembrò la soluzione definitiva: gli anticorpi assumono la
forma specifica richiesta dall’antigene, si modella alla sua configurazione, come nel caso di uno stampo.
La teoria dello stampo non dava risposta a due osservazioni:
1. Perché gli anticorpi sono in quantità superiori agli antigeni?
2. Perché se un antigene si presenta una seconda volta, vedi vaccinazioni, la risposta è più rapida e
massiccia?
Ecco che nel 1955 il danese Niels Kaj Jerne (1911-1994) propone un modello per
l’interpretazione delle principali caratteristiche della comparsa di anticorpi in
risposta all’iniezione di un antigene. Propose, quindi un cambiamento teorico
radicale cioè, invece che dell’antigene si preoccupò di ricercare le cellule che li
producono ed è ciò che fece nel 1959 Frank Macfarlane Burnet (1899-1985),
proponendo la teoria della “selezione clonale”.
Secondo questa teoria le cellule produttrici di anticorpi
hanno recettori specifici e ogni cellula ne produce un solo tipo. Con Burnet si
scopre una proprietà essenziale: la sua capacità di memoria. Jerne nel 1974
propone di ampliare lo sguardo: 1) al complesso modello di rete e 2) la diffusione
del sistema immunitario nella gran parte dei tessuti. ① Per Jerne il SI funziona
come un network, una rete caratterizzata non solo
dalla relazione antigene-anticorpo ma anche dalla
relazione interno-interno e quindi come un
anticorpo viene riconosciuto da altri anticorpi. Ovvero la complessa tenuta di
equilibrio dinamico del sistema di riconoscimento. La conclusione di questo
esame del comportamento degli anticorpi è che non ha senso distinguere tra
che riconosce e chi è riconosciuto.
② la complessità e la diffusione del SI lo assimilano al sistema nervoso infatti
Jerne scrive: ambedue i sistemi penetrano nella massima parte dei tessuti
Pertanto la definizione attuale di immunità si riferisce a una reazione nei confronti di sostanza estranee. Le
cellule e le molecole responsabili dell’immunità costituiscono nel loro insieme il sistema immunitario e le
loro risposte complessive e coordinate conseguenti, vengono denominate risposte immunitarie.
L’immunologia è la disciplina che studia l’immunità cioè gli eventi cellulari e molecolari che si verificano in
seguito al contatto con l’antigene. Quando le risposte volgono in uno stadio di malattia vengono chiamate
reazioni immunopatologiche. L’immunologia clinica e l’allergologia studiano queste reazioni anomale.
Alcune componenti del sistema immunitario sono già presenti nell’organismo e non necessitano alcun tipo
di allenamento in quanto la loro attività non viene modificata dall’incontro con il patogeno, praticamente
rimane sempre la stessa (poco discriminativa, non producono memoria) è l’immunità naturale o nativa.
Altre componenti del sistema immunitario sono stimolate dall’esposizione degli agenti esterni (o dal
network interno) e si incrementano enormemente, ma specificatamente, in seguito ad ogni successiva
esposizione ai medesimi (discriminativa e produce memoria) è l’immunità acquisita o specifica. Le sostanze
che sono in grado di indurre una risposta immune sono chiamati antigeni. L’immunità specifica si basa su
molti meccanismi che rendono il complesso immunitario efficace nelle proprietà di specificità, diversità,
memoria, autoregolazione e discriminazione tra il self e il non self. Le cellule coinvolte sia nell’immunità
naturale che acquisita possono essere distinte e identificate attraverso una serie di marcatori fenotipici
(molecole che le cellule esprimono sulla loro superficie) durante le varie fasi del loro sviluppo e/o la loro
attivazione. Queste molecole sono designate CD (Cluster of Differentiation).
Comunque sia, tutte le cellule del sistema immunitario, per poter efficacemente assolvere alla loro funzione
di “pattugliamento” dell’organismo devono poter circolare liberamente nel sangue e nella linfa; ogni
restrizione di movimento, anche a livello di distretti molto piccoli, diviene una minaccia costante nel tempo.
Ricordo che la fissazione osteopatica è una zona in restrizione di mobilità che si associa sempre ad
iperemia, congestione, edema, alterazioni della coagulazione del sangue, fibrosi etc. etc.
L’apparato genito-urinario in condizioni normali è sterile ad accezione della parte distale dell’uretra, dove
tuttavia la colonizzazione risulta difficile causa del continuo lavaggio espletata dalla minzione, del basso pH
e, nel maschio dell’azione battericida del fluido prostatico. Nella donna in condizioni normali la flora
batterica della vagina, prevalentamente rappresentata da lattobacilli producenti acido lattico, mantiene
basso il pH e quindi ostacola la colonizzazione da parte di microrganismi estranei.
Ovviamente il sistema linfatico, che raccoglie fluido interstiziale proveniente dai capillari (linfa) nei
linfonodi (centri di raccolta) che sono il luogo dove avviene l’incontro tra linfocita e antigene. La linfa
raccolta arriva, attraverso il dotto toracico e il dotto linfatico destro a livello della base del collo che
riversano tutto nella circolazione sanguigna.
Con il sangue non c’è organo che non sia interessato dal sistema immunitario. La cellula immunitaria ha
sviluppato la capacità di passare attraverso la parete dei vasi sanguigni per raggiungere così il luogo preciso
dove è richiesta la propria azione.
Il cervello non possiede vasi linfatici, in questo momento ci è interessante sapere che il ruolo drenante del
sistema linfatico è svolto dal liquido cerebrospinale (prodotto dai plessi corioidei) che si riversa nel torrente
sanguigno attraverso il sitema venoso.
Le NK sono dei marker molto sensibili per la valutazione del rapporto tra stress e sistema immunitario.
Nel 1522 Jacopo da Carpi scoprì negli uccelli il timo, mentre ottant’anni dopo un altro zoologo italiano,
Jeronimus Frabicius Acquapendente, scoprì, sempre nei volatili , un organo denominato in suo onore borsa
di Fabrizio. Abbiamo atteso più di 400 anni per dare un ruolo immunitario al timo e all’equivalente umano
della Borsa di Fabrizio che è il midollo osseo. Nel 1962 J. F. Miller individuò due distinte popolazioni
linfocitarie, denominate T e B. I linfociti B producono anticorpi, mentre i linfociti T svolgono funzioni di
regolazioni nell’esecuzione della risposta immunitaria. Ambedue possiedono un proprio recettore per
l’antigene: BCR (recettore della cellula B) e TCR (recettore della cellula T). Il BCR può riconoscere l’antigene
senza bisogno di alcuna mediazione, il TCR ha bisogno che l’antigene sia presentato associato ad un
complesso MHC o HLA.
Altre differenze, importanti: 1) il BCR funge da anticorpo che, separato dalla cellula viaggia nei fluidi. Il TCR,
invece, è saldamente ancorato alla cellula; e 2) il TCR non cambia nel passaggio da vergine ad attivo, mentre
il BCR subisce modificazioni e aggiustamenti stimolati dall’antigene. La caratteristica comune alle due
grandi classi linfocitarie è la loro estrema versatilità. Le cellule B sono capaci di produrre qualcosa come 10 15
di anticorpi diversi (non solo,… se aggiungiamo che i loci delle regioni variabili del recettore hanno un
numero simile per il riconoscimento dell’antigene siamo davanti ad una impressionanante manifestazione
di diversità). Il tutto contenuto in meno di 400 geni.
LINFOCITI B
L’immunità umorale è mediata dagli anticorpi prodotti dai linfociti B. La funzione degli anticorpi è quella di
legarsi ai determinanti antigenici causandone neutralizzazione e/o eliminazione.
Generalmente nei testi d’immunologia si trova, sempre, scritto che la produzione di anticorpi ha bisogno sia
della stimolazione antigenica, ma anche dell’aiuto dei linfociti T (ovviamente, helper). Però, desidero
ricordarvi che l’ambiente dove vivono alcune cellule (APC, Mɸ e linfociti T) è immerso in una matrice che
riceve stimoli modulanti dal sistema nervoso neuroipofisario e le stesse cellule (ciascuna cellula è un’entità
con espressione genica diversa), rielaborano il contenuto dell’informazione con il rilascio di citochine che
tornano a modulare il SNC.
Lo sviluppo dei linfociti B può essere diviso in due grandi fasi. La prima si realizza negli organi linfoidi
primari (il fegato nel feto e il midollo osseo nell’adulto), si conclude con la formazione di immunoglobuline
(Ig) di superficie, ancorate alla membrana plasmatica della cellula B immatura.
Successivamente la B immatura fuoriesce dal midollo osseo e completa la sua maturazione negli organi
linfoidi secondari (milza, linfonodi e MALT). La fase dello sviluppo si conclude con l’incontro dell’antigene
che conduce alla formazione di:
Cellule capaci di produrre anticorpi denominate plasmacellule;
Cellule capaci di produrre, in tempi più brevi rispetto alla prima esposizione, un’efficace risposta
verso l’antigene, denominate cellule B di memoria.
Innanzitutto diamo uno sguardo generale al prodotto di queste cellule, ovvero gli anticorpi.
La cellula B è il campione della mutevolezza e della plasticità. È una cellula capace di rispondere a qualsiasi
elemento estraneo poiché ha sviluppato grandi capacità di manipolazione del suo patrimonio genetico.
Questo è la sua forza, ma al tempo stesso la sua pericolosità perché sono possibili errori nella
ricombinazione che portano a produzione di anticorpi che si legano in modo più o meno efficiente a
strutture del self. Ovviamente il sistema ha i suoi meccanismi di controllo che inducono all’apoptosi i
linfociti B potenzialmente autoreattivi.
Ma non solo la mutazione del patrimonio genico è l’arma della cellula B. Infatti l’altro sistema con cui questi
tipi di linfociti raffinano la specificità nei confronti dell’antigene riguarda la produzione di anticorpi che nella
prima fase è di tipo M. Successivamente, perdurando la stimolazione antigenica, il linfocita B è in grado di
spostare la produzione anticorpale dalle IgM alle IgA, IgG e IgE. Questo spostameto si chiama switch
isotopico, è chiaro che non è un meccanismo lasciato al caso me è regolato (indovinate un po’?) dalle
citochine e quindi proprio dall’ambiente in cui si è prodotta la risposta immunitaria. Quindi le citochine
sono vere e proprie switch factors. In particolare il TGF-β sostituisce la risposta anticorpale IgM (fortemente
infiammatoria) con un arisposta IgA meno infiammatoria.
Quindi, il riarrangiamento genico, l’ipermutazione somatica, lo switch isotopico conferiscono estrema
flessibilità al linfocita B, tale adattamento è possibile per l’estrema flessibilità del genoma di queste cellule
che, in base alle informazioni che riceve riarrangia e modifica l’espressione dei suoi geni.
Desidero mettere alla vostra attenzione che recentemente è stata segnalata una sottopopolazione di
linfociti B denominati B1, chiamate così, perché a dispetto della loro recente individuazione sono le cellule
più antiche che si formano per prime nello svilupppo del feto infatti, originano da cellule staminali
ematopoietiche derivate da fegato fetale. Esprimono CD5 + e nell’adulto si trovano nel peritoneo, nelle
pleure e nelle mucose come popolazioni in auto-rinnovamento. Secernono spontaneamente IgM (sono
chiamati anticorpi naturali, perché sono presenti senza evidente immunizzazione) ed è possibile che la flora
batterica dell’intestino ne stimola la produzione. Le cellule B1 sono analoghe alle cellule Tγδ, ambedue
rispondono nella fase precoce della risposta immunitaria.
Le cellule B possono attivarsi autonomamente oppure tramite linfociti T helper.
L’attivazione indipendente si realizza, per lo più, a contatto con antigeni che presentano siti antigenici
ripetitivi. In sostanza quando il messaggio è chiaro e con ripetute stimolazioni.