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Il Sistema Immunitario

Si è soliti far analogia tra il sistema immunitario e la possibile copertura dalle aggressioni dell’ambiente
esterno. Questo in parte è vero, ma se consideriamo la manifestazione finale di protezione come il risultato
di un complesso meccanismo di attivazioni e inibizioni non possiamo più separare le relazioni interne dal
risultato finale, l’omestasi. Oggi così definita, l’omeostasi è un riflesso di quella struttura immunitaria che si
chiama “tolleranza”. Aggiungo, vale sempre la pena ricordarlo, che l’uomo (noi ci occupiamo di lui)
determina, sempre, il suo modo di reagire.
Diceva un filosofo indiano: “quel che è fuori è anche dentro, ciò che non è dentro non è da nessuna parte”.
Quindi se le relazioni biologiche dentro di noi sono in dialogo armonico il patogeno non può nulla. Quello
stesso antigene può essere devastante per un’altra creatura, proprio perché il sistema immunitario è
considerato a tutti gli effetti un organo di “senso” in grado di riconoscere stimoli sia cognitivi che non.
Nel 1984 Blalock sul journal of immunology ha segnato la fase di passaggio ad un nuovo paradigma
scientifico: comportandosi come un organo di senso il SI è in grado di afferire segnali al SNC che elaborati
con un fine intergioco col SNE si traducono in una risposta neuroimmunoendocrina con il supporto di una
preziosa mediazione citochimica.
Due secoli fa, nel 1798 il medico inglese Edward Jenner (1749-1823) presentò al mondo occidentale il primo
vaccino contro il vaiolo, questo segna l’inizio dell’immunizzazione. Già in altri paesi, però ad onor di cronaca
si effettuavano queste pratiche (Cina e Africa). Anche se tali pratiche non avevano il risultato sperato,
Jenner ebbe un colpo di genio quando si accorse che nelle campagne dove c’era il vaiolo bovino l’incidenza
del vaiolo umano era minore. Da qui l’idea di smettere di inoculare croste di vaiolo umano, e al loro posto,
usare materiale infetto da vaiolo “vaccino”. Ovviamente come tutte le novità, la medicina non venne
toccata dall’eccezionalità dell’evento e solo negli anni ottanta del XIX secolo, il francese Louis Pasteur, i
tedeschi Robert Kock, Paul Ehrlich ed Emil von Behring, il russo Ilia Mečnikov, diedero vita ad una serie di
studi e sperimentazioni che consentirono di ipotizzare cosa accadesse nel corso di una malattia infettiva.
Con Pasteur e Kock si acquisisce la prova sperimentale che esiste un mondo microscopico capace di
provocare le malattie.
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Nel 1880 Pasteur identificò il microrganismo responsabile del colera (malattia infettiva del tratto
intestinale) nei polli, dimostrando che l’inoculazione di un ceppo meno virulento proteggeva il pollo da un
successivo contatto con un ceppo più virulento. Nel 1884 Mečnikov dimostrò l’esistenza di particolari
globuli bianchi, capaci di fagocitare batteri e altro materiale estraneo, li battezzò macrofagi.
Nel 1888 Emil Roux, dimostrò che nel siero delle persone ammalate di difterite (patologia batterica delle vie
respiratorie era possibile identificare le tossine che scatenavano la malattia. Sulla base di queste
osservazioni von Behring dimostrò che nel siero di animali contagiati da difterite e tetano, conteneva
sostanze che erano in grado di incidere sulla malattia, fino a bloccarla, se somministrate a malati in fase
iniziale. Queste sostanze miracolose vennero battezzate antitossine o più genericamente anticorpi. Da quel
momento si era convinti che con la sieroterapia fosse possibile curare tutte o quasi le malattie. In realtà le
cose non andarono così e purtroppo non vanno così anche oggi. Infatti si credeva e si crede ancora, per
certi versi, che l’anticorpo sia sinonimo di immunità.
Dalla prima guerra mondiale fino alla fine degli anni cinquanta, la ricerca in campo immunologico è
dominata dagli studiosi di chimica: massima è la sua distanza dalla medicina. Oggetto principale delle
ricerche è lo studio della relazione antigene-anticorpo identificata (all’epoca) come la chiave fondamentale
della risposta immunitaria.
Stabilito che l’organismo è in grado di produrre anticorpi, ovvero sostanze che sono in grado di
neutralizzare antigeni, come è possibile che per ogni antigene diverso venga prodotto un anticorpo
specifico?
Linus Pauling nel 1940 elaborò una risposta che sembrò la soluzione definitiva: gli anticorpi assumono la
forma specifica richiesta dall’antigene, si modella alla sua configurazione, come nel caso di uno stampo.
La teoria dello stampo non dava risposta a due osservazioni:
1. Perché gli anticorpi sono in quantità superiori agli antigeni?
2. Perché se un antigene si presenta una seconda volta, vedi vaccinazioni, la risposta è più rapida e
massiccia?
Ecco che nel 1955 il danese Niels Kaj Jerne (1911-1994) propone un modello per
l’interpretazione delle principali caratteristiche della comparsa di anticorpi in
risposta all’iniezione di un antigene. Propose, quindi un cambiamento teorico
radicale cioè, invece che dell’antigene si preoccupò di ricercare le cellule che li
producono ed è ciò che fece nel 1959 Frank Macfarlane Burnet (1899-1985),
proponendo la teoria della “selezione clonale”.
Secondo questa teoria le cellule produttrici di anticorpi
hanno recettori specifici e ogni cellula ne produce un solo tipo. Con Burnet si
scopre una proprietà essenziale: la sua capacità di memoria. Jerne nel 1974
propone di ampliare lo sguardo: 1) al complesso modello di rete e 2) la diffusione
del sistema immunitario nella gran parte dei tessuti. ① Per Jerne il SI funziona
come un network, una rete caratterizzata non solo
dalla relazione antigene-anticorpo ma anche dalla
relazione interno-interno e quindi come un
anticorpo viene riconosciuto da altri anticorpi. Ovvero la complessa tenuta di
equilibrio dinamico del sistema di riconoscimento. La conclusione di questo
esame del comportamento degli anticorpi è che non ha senso distinguere tra
che riconosce e chi è riconosciuto.
② la complessità e la diffusione del SI lo assimilano al sistema nervoso infatti
Jerne scrive: ambedue i sistemi penetrano nella massima parte dei tessuti

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corporei, ma sembrano evitarsi a vicenda: la barriera emato-encefalica impedisce ai linfociti di entrare in
contatto con le cellule nervose. Da ricordare che dopo alcuni anni i due sistemi in realtà comunicano sia a
livello centrale che periferico.
I punti di svolta che costituiscono una nuova visione delle caratteristiche e del funzionamento in salute e
malattia del SI possono essere così riassunte:
1) Il sistema è capace di auto-organizzazione (autopoiesi) e questa è la sua modalità normale di
funzionamento;
2) Il sistema funziona come organo di senso interno e, quindi partecipa attivamente alla regolazione
dell’equilibrio dinamico dell’organismo umano: in questo senso si comporta da grande sistema di
regolazione fisiologica che è influenzato e influenza gli altri sistemi regolatori (il SN ed il SNE);
3) Le normali modalità di risposta immunitaria attivano circuiti che hanno polarità oscillanti: i sistemi
centrati sui linfociti T helper (Th1, Th2, Th17, T regolatori) o anche quelle centrati sui cambiamenti
di polarità nella medesima cellula per esempio le NKT possono produrre sostanze di significato
opposto (IL-4 oppure IFN-γ)
4) Nella costruzione e nel mantenimento dell’equilibrio del sistema, centrale è la tolleranza acquisita
dal sistema immunitario delle mucose (MALT, Mucosal Associated Limphoid Tissue) e
segnatamente dalla sua porzione intestinale (GALT, Gut Associated Limphoid Tissue);
5) Nella specie umana, il sistema ha una forte impronta sessuale; la diversità maschio-femmina
influenza potentemente le modalità di risposta e la suscettibilità alle malattie.
Quindi il sistema immunitario come “organo di senso” può apparire una mera disquisizione teorica, però ci
sono ricerche che cercano di spiegare come funzionano le malattie autoimmuni in base alla quale se il
network non conosce se stesso non può sapere se un antigene appartiene o no all’organismo.
Si è accennato poco fa della parziale comunicazione che al tempo di Jerne era un dogma, ovvero
l’impermeabilità emato-encefalica alle cellule e ai prodotti del sistema immunitario.
Invece:
Le ricerche di David Felten e di Karen Bulloch (ricerca del 1985) hanno dimostrato con l’evidenza
delle microfotografie elettroniche lo stretto contatto esistente tra fibre nervose che innervano tutti
gli organi linfoidi (timo, midollo osseo, milza, linfonodi, tessuto linfoide intestinale) e le cellule
immunitarie formando delle vere e proprio sinapsi, chiamate giunzioni neuroimmunitarie (per
avere un’idea di quanto sia intima la connessione tra terminazione nervosa e linfociti, basti pensare
che nella milza lo spazio intersinaptico nella sinapsi neuroimmunitaria e di soli 6 nm, mentre nella
sinapsi classica tra neurone e neurone è di 20 nm);
Le ricerche di Candace Pert (1946-2013) di Edween Blalock hanno dimostrato che il linfocita è
dotato di recettori per i principali neurotrasmettitori e neuropeptidi
e, al tempo stesso, è in grado di produrre neuro ormoni e, in
generale, sostanze attive sul sistema nervoso;
Le ricerche di Hugo Basedovsky (ricerche del 2007) hanno
documentato che la comunicazione tra sistema nervoso e sistema
immunitario è bidirezionale nel senso che le citochine rilasciate dal
SI influenzano l’attività cerebrale, che, a sua volta, tramite il SN
(simpatico, parasimpatico, enterico, sensoriale) e gli ormoni,
influenza l’attività del sistema immunitario.
Oggi sappiamo che il sistema immunitario reagisce in modo diverso se deve
fronteggiare virus (parassiti intracellulari in genere), anziché batteri (o parassiti extracellulari).

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I primi possono essere distrutti solo annientando la cellula infettata che funge da incubatrice per la loro
sopravvivenza e riproduzione, per questo motivo il sistema mette in atto una risposta basata sull’azione dei
linfociti T killer (chiamato più comunemente citotossico o CD8 +) che distrugge la cellula infettata.
Nel caso dell’infezione batterica, la fagocitosi e la successiva esposizione degli antigeni sulla superifcie
delle cosiddette “cellule presentanti l’antigene” (APC) inducono produzione di anticorpi dai linfociti B
tramite attivazione dei linfociti T helper (o più comunemente Th o CD4 +)
Anche nel caso di un’infezione parassitaria, da vermi il sistema reagisce producendo anticorpi soprattutto
IgE.

Prima suddivisione, per ricapitolare, la prima


risposta si chiama “cellulo-mediata”, il secondo
tipo “umorale”.
T. R. Mosmann nel 1986, lavorando nei linfociti T
helper dimostrò che questa popolazione di
cellule immunitarie poteva essere sudivisa in due
sottoclassi: Th1 e Th2 (sempre CD4+).
Mosmann nell’89 e Romagnani nel 1991
dimostrarono che:
 I due tipi son collegati a due diversi profili
citochinici: il Th1 correlato alla
produzione di IL-2, IFN-γ, TNF-α, IL-6, IL-
12; mentre il Th2 alla IL-4,IL-5, IL-13;
 Il Th1 induce, generalmente, una forte risposta cellulo-mediata; mentre il Th2 una risposta
anticorpale = umorale.
Ovviamente non è così semplice nella realtà, perché:
 Il sistema dei Th è più articolato. È stato identificato un circuito Th17 (stimolato dall’IL-17) che
interviene nella risposta ai batteri sollecitando l’attivazione dei neutrofili (cellule di prima linea ad
alto potere infiammatorio). Questa è una delle basi dell’infiammazione cronica = patologie
autoimmuni. Quindi Th1 e Th17 in questi casi sono in relazione;
 Esistono, ovviamente, i pompieri del sistema (ruolo di regolazione della risposta immunitaria) che
sono prodotte dal timo conosciute come o CD4 +, CD25+ o Treg. Quelle cellule (i pompieri) sono
anche prodotte da citochine regolatorie (IL-10 e TGF-β) = Tr1 e Th3 (prevalenti nell’intestino,
producono TGF-β).
 Ovvio che la polarizzazione “eccessiva” della risposta Th1 porta alla comparsa di malattia
autoimmune da non controllo dei linfociti T citotossici con aumento delle citochine infiammatorie
(tra le tante alcune ricordo TNF-α, IL-1 etc.). La polarizzazione “eccessiva” di Th2 porta ad un
eccesso di risposta anticorpale, o verso gli allergeni oppure verso i propri TESSUTI (autoantigeni) =
comparsa di malattie autoimmuni da autoanticorpi. Se a questo aggiungiamo il Th17 che attiva
cronicamente l’infiammazione possiamo immaginare il paziente che calvario passa.
Ricordo, che la risposta dei linfociti T è solo una parte della risposta immunitaria. C’è un intreccio forte e
costante tra le cellule dell’immunità naturale e la risposta linfocitaria. La prima è il presupposto dell’altra,
anche se prima ho detto che i Th17 possono attivare i neutrofili. È il funzionamento del network che va
messo in campo per capire il funzionamento del sistema.
Quindi l’induzione alla “tolleranza” immunitaria è uno dei mezzi fondamentali per evitare il
danneggiamento delle strutture proprie (self). Le risposte distruttive del self vengono prevenute da molti

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meccanismi. Il primo luogo è il timo, certamente essenziale, ma non l’unico in quanto esiste una selezione
anche nel midollo osseo verso i linfociti B. La costruzione della tolleranza immunitaria è un lungo processo
con fasi della vita e soprattutto con luoghi privilegiati. Questi luoghi sono il fegato e i due reparti del
sistema immunitario delle mucose (GALT e NALT) dove il contatto con gli antigeni è costante. Bottaccioli fa
questa domanda: è possibile proporsi di curare qualcuno senza avere informazioni adeguate sul
funzionamento del sistema immunitario? E fa due esempi che ora vi leggo…(pag.18)

Pertanto la definizione attuale di immunità si riferisce a una reazione nei confronti di sostanza estranee. Le
cellule e le molecole responsabili dell’immunità costituiscono nel loro insieme il sistema immunitario e le
loro risposte complessive e coordinate conseguenti, vengono denominate risposte immunitarie.
L’immunologia è la disciplina che studia l’immunità cioè gli eventi cellulari e molecolari che si verificano in
seguito al contatto con l’antigene. Quando le risposte volgono in uno stadio di malattia vengono chiamate
reazioni immunopatologiche. L’immunologia clinica e l’allergologia studiano queste reazioni anomale.
Alcune componenti del sistema immunitario sono già presenti nell’organismo e non necessitano alcun tipo
di allenamento in quanto la loro attività non viene modificata dall’incontro con il patogeno, praticamente
rimane sempre la stessa (poco discriminativa, non producono memoria) è l’immunità naturale o nativa.
Altre componenti del sistema immunitario sono stimolate dall’esposizione degli agenti esterni (o dal
network interno) e si incrementano enormemente, ma specificatamente, in seguito ad ogni successiva
esposizione ai medesimi (discriminativa e produce memoria) è l’immunità acquisita o specifica. Le sostanze
che sono in grado di indurre una risposta immune sono chiamati antigeni. L’immunità specifica si basa su
molti meccanismi che rendono il complesso immunitario efficace nelle proprietà di specificità, diversità,
memoria, autoregolazione e discriminazione tra il self e il non self. Le cellule coinvolte sia nell’immunità
naturale che acquisita possono essere distinte e identificate attraverso una serie di marcatori fenotipici
(molecole che le cellule esprimono sulla loro superficie) durante le varie fasi del loro sviluppo e/o la loro
attivazione. Queste molecole sono designate CD (Cluster of Differentiation).
Comunque sia, tutte le cellule del sistema immunitario, per poter efficacemente assolvere alla loro funzione
di “pattugliamento” dell’organismo devono poter circolare liberamente nel sangue e nella linfa; ogni
restrizione di movimento, anche a livello di distretti molto piccoli, diviene una minaccia costante nel tempo.
Ricordo che la fissazione osteopatica è una zona in restrizione di mobilità che si associa sempre ad
iperemia, congestione, edema, alterazioni della coagulazione del sangue, fibrosi etc. etc.

DIFESE FISICHE E BIOCHIMICHE DELL’ORGANISMO


I soggetti normali si proteggono dall’attacco degli agenti esterni di origine biologica, potenzialmente ostili
per l’organismo, attraverso due modalità. La prima linea di difesa è rappresentata dalla barriera fisica della
cute e delle membrane mucose. Cute e membrane mucose sono di per se capaci di prevenire l’infezione da
parte di microrganismi; le membrane mucose sono più vulnerabili della cute e pertanto rappresentano la
più importante porta d’ingresso per i microrganismi. Oltre a costituire una barriera meccanica, la cute e le
membrane mucose utilizzano altri meccanismi difensivi.
La cute. Possiede uno strato corneo protettivo la cui desquamazione provoca la rimozione di un notevole
numero di batteri; inoltre il basso pH creato dagli acidi grassi prodotti dalle ghiandole sebacee e dall’acido
lattico prodotto dalle ghiandole sudoripare rappresenta un freno alla colonizzazione dei microrganismi, così
come il lisozima presente nel sudore, una sostanza capace di uccidere alcuni tipi di batteri.
Le membrane mucose. Forniscono una minore protezione meccanica per la mancanza dello strato corneo e
la maggiore sottigliezza dello strato delle cellule epiteliali; tuttavia, a livello mucoso intervengono altri

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meccanismi difensivi. A livello dell’apparato digerente, i microrganismi sono rimossi meccanicamente
mediante la saliva, la deglutizione, la peristalsi, la defecazione.
La secrezione gastrica. A causa del suo pH acido è battericida.
A livello dell’apparato respiratorio la produzione di muco, il movimento delle ciglia vibratili e la tosse
contribuiscono a impedire la penetrazione nelle vie aeree di qualsiasi particella estranea in maniera così
efficace che è difficile in condizioni di normalità rilevare la presenza di germi al di sotto della glottide. Inoltre
nelle prime vie respiratorie (naso, bocca, faringe) la microflora residente previene l’impianto di altri
microrganismi attraverso i meccanismi di competizione biologica e la produzione di lisozima.
Gran parte delle sostanze estranee e potenzialmente reattive (antigeni) entrano nel corpo quando
mangiamo e respiriamo. Se entrano dall’aria tonsille e adenoidi sono i centri di attivazione immunitaria che
vengono interessate. Se ingeriti con il cibo, sono le cellule M intestinali, con gli ammassi di tessuto linfoide
(comunemente conosciuto come placca del Peyer) ad essere attivati.

L’apparato genito-urinario in condizioni normali è sterile ad accezione della parte distale dell’uretra, dove
tuttavia la colonizzazione risulta difficile causa del continuo lavaggio espletata dalla minzione, del basso pH
e, nel maschio dell’azione battericida del fluido prostatico. Nella donna in condizioni normali la flora
batterica della vagina, prevalentamente rappresentata da lattobacilli producenti acido lattico, mantiene
basso il pH e quindi ostacola la colonizzazione da parte di microrganismi estranei.
Ovviamente il sistema linfatico, che raccoglie fluido interstiziale proveniente dai capillari (linfa) nei
linfonodi (centri di raccolta) che sono il luogo dove avviene l’incontro tra linfocita e antigene. La linfa
raccolta arriva, attraverso il dotto toracico e il dotto linfatico destro a livello della base del collo che
riversano tutto nella circolazione sanguigna.
Con il sangue non c’è organo che non sia interessato dal sistema immunitario. La cellula immunitaria ha
sviluppato la capacità di passare attraverso la parete dei vasi sanguigni per raggiungere così il luogo preciso
dove è richiesta la propria azione.
Il cervello non possiede vasi linfatici, in questo momento ci è interessante sapere che il ruolo drenante del
sistema linfatico è svolto dal liquido cerebrospinale (prodotto dai plessi corioidei) che si riversa nel torrente
sanguigno attraverso il sitema venoso.

Immunità naturale o aspecifica


L’immunità naturale si avvale di un complesso di cellule e di molecole operanti in maniera cooperativa. Le
cellule dell’immunità naturale sono i fagociti mononucleati, le cellule dentritiche, i granulociti, i mastociti
e le cellule NK. I fattori solubili sono le proteine del sistema del complemento e le citochine
proinfiammatorie. I recettori di queste cellule e dei fattori solubili sono in grado di provvedere al
riconoscimento grossolano di alcuni costituenti comuni dei microrganismi patogeni (per esempio il
lipopolisaccaride o LPS o meglio ancora endotossina), ed anche al riconoscimento della perdita dell’MHC-I
dovuta all’azione di virus o alla trasformazione tumorale della cellula (cellula NK).
La caratteristica fondamentale dell’immunità naturale è che non produce memoria, quindi quando
l’antigene viene catturato, possibilmente distrutto non produce memoria dell’incontro. I neutrofili (p.e.
possono incontrare cento volte lo stesso batterio, ma ogni volta si comportano come fosse la prima. L’altra
differenza con l’immunità specifica è il fatto che l’innata possiede un piccolo numero di geni ben definiti che
vengono trasmessi per via ereditaria, mentre il repertorio dei linfociti viene costruito durante la quotidiana
relazione con l’ambiente. Comunque sia, ricordiamoci che nonostante le diversità ci deve sempre essere un
collegamento costante tra i due tipi di immunità, quindi non chiudiamoli in meccanismi separati. Proprio
perché l’innata è la radice della acquisita, così come quest’ultima consente la piena espressione della
prima.
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Quando un microrganismo attraversa le barriere fisiche e biochimiche oppure quando segnali provengono
da tessuti sotto stimolo infiammatorio (p.e. traumi) viene immediatamente messo in moto il sistema delle
cellule fagocitiche, ovvero i macrofagi del tessuto connettivo, della microglia del sistema nervoso centrale,
delle cellule endoteliali dei sinusoidi vascolari epatici e le cellule reticolari degli organi linfoidi. Questi sono
definite cellule del sistema reticoloendoteliale (SRE o come le si chiamano oggi in immunologia cellule del
sistema fagocitico mononucleato o SFM).
Le cellule del SFM originano dal midollo osseo
e al termine del loro processo maturativo e in
seguito ai fenomeni di attivazione possono
acquisire aspetti morfologici diversi. La prima
cellula che entra in circolo è il monocita. Un
monocita che dal sangue entra in un tessuto si
trasforma in un macrofago o istiocita. Questo
evento si realizza normalmente sotto
infiammazione, quando un insieme di fattori
( fattori rilasciati da eventuali patogeni,
dall’endotelio attivato, da altre cellule
immunitarie, da segnali nervosi e endocrini)
richiama il monocita circolante nel luogo
dell’infiammazione. In genere questi monociti sono
dotati di una forte carica infiammatoria, a differenza
dei macrofagi residenziali. I macrofagi sono in grado di
selezionare e indirizzare la risposta linfocitaria
producendo diversi set di citochine. Quindi può
attivare la risposta Th1, la risposta Th2 e Th3-Tr1
(questa conduce alla tolleranza immunitaria)

Da ricordare che il macrofago da cellula chiave


dell’integrità immunitaria si trasforma in cellula
che:
 Mantiene l’infiammazione;
 In alcune situazioni possono svolgere un
ruolo trofico nei confronti dei tumori,
che infiltrano, ma non combattono, anzi
ne proteggono la crescita, inducendo
uno stato di tolleranza immunitaria
verso i nemici mortali dei tumori: i
linfociti T citotossici e le NK;
 Si caricano di lipoproteine colesteroliche a bassa densità (LDL), ossidate, trasformandosi in cellule
schiumose che vanno a infiltrarsi sotto la parete del vaso sanguigno, dando origine a quella sequela
di eventi che condurrà alla formazione della placca aterosclerotica.
Come si evince dall’immagine sopra, i macrofagi prendono nomi diversi a seconda della localizzazione.

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Alcuni fagociti mononucleati si possono
differenziare in un altro tipo cellulare
chiamato cellula dendritica, importantissima
cellula che svolge la fondamentale funzione di
presentazione dell’antigene ai linfociti T per
attivare il processo di riconoscimento.
La principale funzione dei fagociti è la
fagocitosi (generalmente verso particelle
estranee, ma come si può immaginare data la
grande quantità di recettori, si possono
attivare attraverso la stimolazione di altri
fattori e indurre eccesso di risposta per via
riflessa verso il self) e la produzione di sostanze ad attività battericida (prodotti intermedi O 2 e dell’NO),
citochine per reclutare i granulociti (responsabili di effetti sistemici, azione attivante sui fibroblasti e sulle
cellule endoteliali dei vasi)
I fagociti mononucleati svolgono funzioni fondamentali:
 Nella fase induttiva dell’immunità specifica, contribuendo insieme alle cellule dendritiche e ai
linfociti B alla presentazione dell’antigene ai linfociti T;
 Nella fase effettrice dell’immunità specifica attraverso la capacità dei macrofagi e dei linfociti T di
stimolare reciprocamente le rispettive funzioni.
Tutto ciò significa che le cellule del SFM sono il punto d’incontro tra l’immunità naturale e specifica e
queste due modalità si amplificano e si autoregolano reciprocamente.
Cellule dendritiche.
Le cellule dendritiche (chiamate anche cellule accessorie o CD,
oppure DC in inglese Dendritic Cells) svolgono un ruolo
fondamentale nell’induzione della risposta immune. Sono noti
due tipi di CD con differenti proprietà e funzioni:
1) Le CD interdigitate presenti nell’interstizio di molti
organi, sono abbondanti nelle aree ricche di linfociti T
dei linfonodi e della milza. A livello cutaneo sono note
come cellule di Langherans (nel 1868 vennero scoperte
da Paul Langherans, uno studente di medicina). Queste
cellule sono estremamente efficienti per la
presentazione di antigeni proteici ai linfociti T helper
(CD4+) e per l’attivazione dei linfociti T naive;
2) Le CD follicolari presenti nei centri germinativi dei follicoli linfatici nei linfonodi, nella milza e nel
tessuto linfatico associato alle mucose. Catturano gli antigeni complessati da alcuni anticorpi e/o
dai prodotti del complemento e dispongono gli antigeni sulla loro superficie per il riconoscimento
da parte dei linfociti B (tramite recettore BCR o B Cell Receptor).
Sulla capacità di produrre citochine diverse è stata ipotizzata l’esistnza di CD1 e CD2 in quanto responsabili
della differenziazione dei linfociti Th1 e Th2 (anche qui il marcatore è importante in quanto la presenza del
Cluster of Differentation 11 o CD11+ producono IFN-γ Th1, mentre il CD11- produce IL-4 Th2)
Insomma, sono cellule con la capacità di presentare l’antigene ai linfociti come nessun altra cellula sa fare.
Cellule mobili che si caricano l’antigene e dopo un viaggio attraverso tessuti e vie linfatiche arrivano nei
linfondi.

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Come se non bastasse e come ormai siete abituati a ragionare, potevano le dinamiche dendritiche essere
così semplici? La risposta è ovvia, no!!!...perchè nel 2000 è stato dimostrato che le cellule dendritiche
possono, a secondo del fattore tempo secernere citochine differenti e quindi la stessa cellula può stimolare
sia i Th1 che i Th2. Per concludere queste cellule attivano anche il circuito Th17.
Le CD presentano sia virus, sia batteri, sia peptidi derivanti da cellule morte per cause naturale o per
necrosi. Non tutti i virus inducono risposta Th1, anzi, quelli dell’influenza, del morbillo sopprimono la
risposta Th1, QUINDI CHE SENSO HA VACCINARE I BAMBINI DI POCHI MESI CONTRO IL MORBILLO CON UN
SISTEMA IMMUNITARIO ANCORA IMMATURO DAL LATO DELLA RISPOSTA Th1? … apro parentesi …ricordo
che quasi tutti i vaccini posizionano il sistema immunitario (immaturo in Th1) nel Th2… chiusa parentesi.
Nel 2005 vengono scoperte una popolazione di cellule immunitarie presenti nella milza, fegato, linfonodi e
timo che condividono un marcatore di membrana delle NK (il NK1.1) e il CD11c. Queste cellule sono una
sottopopolazione dendritica in grado di uccidere cellule tumorali e presentare l’antigene e sono catalogate
come NKDC.
Granulociti
I granulociti insieme al SFM (sistema fagocitico mononucleato) hanno la funzione di fagocitare e rimuovere
strutture in degenerazione e quindi svolgono un’importante ruolo nell’immunità naturale. Come riportato
sopra anche queste cellule possono essere attivate da citochine prodotte dai linfociti e partecipare alla fase
effettrice della risposta immune specifica (non presentano antigeni ai linfociti T). Il termine granulociti
deriva dalla loro morfologia istologica per l’abbondante presenza di granuli nel citoplasma.
Vengono distinti in neutrofili, eosinofili e basofili. I neutrofili oscillano tra il 42 e il 75% dei globuli bianchi,
gli eosinofili tra lo 0 e il 10% mentre i basofili tra lo 0 el’1%.
I granulociti neutrofili (detti anche leucociti polimorfonucleati),
rappresentano la popolazione più numerosa nelle reazioni
infiammatorie (sono chiamate proprio cellule infiammatorie) e la loro
degenerazione provoca la formazione di pus. I neutrofili rispondono
rapidamente agli stimoli chemiotattici e possono essere attivati da
citochine prodotte primariamente dai macrofagi e da cellule
endoteliali. Sono dotati di recettori per anticorpi IgG e per le
componenti attivate del complemento.
I neutrofili, insieme ai macrofagi, costituiscono l’altro gruppo di fagociti
professionisti. Si formano all’interno del midollo osseo, circolano nel
sangue e seguendo il richiamo dell’infiammazione ne escono per
entrare nei tessuti e svolgono il proprio ruolo fino alla morte. Quindi i
neutrofili arrivano per primi nel luogo dell’infiammazione e sono le
cellule dell’infiammazione acuta, quindi prima differenza generale è
che i neutrofili fanno parte della reazione acuta mentre i macrofagi
della reazione cronica. Ricordiamoci però, che esiste la relazione tra i Th17 e i neutrofili che mantengono
l’infiammazione in una situazione cronica. Vedremo dopo come funziona la migrazione extravasale
attraverso la stimolazione chemiotattica, per adesso focalizziamo l’attenzione sulla fagocitosi che avviene
dopo “opsnizzazione” del materiale da fagocitare. L’opsonizzazione è quell’evento nel quale anticorpi (IgG1
e IgG3 soprattutto) e complemento (C3b) marchiano e fanno divenire più appetitoso l’elemento da
fagocitare e ovviamente le opsonine sono le proteine (anche fibronectina, fibrinogeno e proteina C reattiva)
che marcano. Da tener presente che i neutrofili hanno enzimi (lisozima) che formano, giustamente, dei
potenti radicali liberi che serve loro per distruggere batteri e virus ma se non adeguatamente controllate da
molecole antiossidanti possono avere come effetto indesiderato un danneggiamento dell’organismo stesso.

Marco Russo D.O. Anatomia e Fisiologia Immunitaria Pagina 9


La fagocitosi
Quindi macrofagi e neutrofili fagocitano, anche se non sono le uniche che hanno questo compito (eosinofili,
dendritiche immature, cellule epiteliali etc.) sono loro i professionisti del settore. La fagocitosi è
l’incameramento all’interno del fagocita di materiale da inattivare. Si realizza secondo due modalità:
1. Una via diretta, tramite il riconoscimento recettoriale;
2. Una via mediata dalle opsonine (opson dal greco che significa preparare da mangiare). Oltre alle
IgG gli anticorpi IgA, oltre alla frazione del complemento C3b anche il C1q.
Alcuni patogeni hanno sviluppato (non sono così stupidi!!!) la capacità di neutralizzare la “camera della
morte” dei fagociti e trasformano il macrofago e il neutrofilo in una cellula ai propri comandi. Evitano il
burst ossidativo (attivazione della NADPH-ossidasi e la NO sintetasi potenti battericidi), o esprimendo
enzimi capaci di sciogliere la membrana del fagosoma, oppure producendo ammoniaca che contrasta
l’acidosi della camera. Ma cosa succede di fronte a questo evento? I macrofagi si uniscono (ovviamente
tramite previa segnalazione proteica) a monociti e a linfociti T (i γδ e i αβ) formando in aggregato
infiammatorio: il granuloma. Rilevante è da tenere a mente che il granuloma si forma anche in assenza di
stimoli microbici (corpi estranei, spine di animali e piante etc.) come nel caso di malattie autoimmuni (p.e. il
morbo di Crohn)
I granulociti eosinofili svolgono funzioni fagocitaria, ma liberano
anche sostanze dotate di azione citotossica. A differenza dei neutrofili si
trovano numerosi nelle malattie allergiche e nelle reazioni contro gli elminti
(parassiti, commensali dell’uomo). Notiamo quanto scritto sopra la relazione
tra IgE particolarmente prodotta in fase allergica e la elmentiasi.
Identificati da P. Ehrlich (1854-1915) sono ancora molti i punti oscuri o che
hanno bisogno di ulteriori conferme. Con certezza si sa che queste cellule
hanno un ruolo importante nelle patologie allergiche e in generale
infiammatorie a carico delle mucose: bronchiale e gastrointestinale
soprattutto. Derivano da un precursore che matura e si differenzia nel
midollo osseo, poi passa nel sangue e da questo ambiente ai tessuti (con
meccanismo simile a quello dei neutrofili). La gran parte degli eosinofili si
trova normalmente nell’intestino, nel colon in particolare. Mentre i
neutrofili sono i primi ad arrivare nel luogo dell’infiammazione, gli eosinofili giungono normalmente entro
24-48 ore, cioè quando è pronto il “traghetto” vascolare di pertinenza il VCAM-1 che si lega alla molecola
eosinofila VLA-4. Questa attività di seconda battuta deriva dalle loro caratteristiche peculiari: poca capacità
macrofagica e grande capacità di amplificazione del fuoco infiammatorio che deriva dal contenuto dei
granuli citoplasmatici. La principale proteina contenuta nei granuli degli eosinofili è la Proteina Basica
Maggiore (MBP). È la principale responsabile della iperattività bronchiale che si manifesta in caso di asma,
ha un’azione citotossica diretta soprattutto verso i parassiti e, al tempo stesso, è in grado di attivare basofili,
mastociti e neutrofili inducendoli alla degranulazione. I granuli contengono anche una neurotossina (EDN
Eosinophil-Derived Neurotoxin) e un enzima importante, la perossidasi eosinofila, che converte l’acqua
ossigenata in radicali liberi dotati di potere citotossico, nei confronti di alcuni virus (tra cui l’HIV).
Interessante è la presenza di corpi lipidici che contengono acido arachidonico, da cui derivano, per azione di
due sistemi enzimatici (lipossigenasi e ciclossigenasi), potenti mediatori dell’infiammazione come
leucotrieni, prostanglandine e trombossani. Nei granuli sono contenute anche alcune citochine, tutte del
set Th2 con aggiunta dell’ IL-1α che invece produce infiammazione sistemica.
Presentano recettori per catturare segnali di attivazione: innanzitutto recettori per immunoglobuline (IgA,
IgE, IgG). In genere il recettore (codificato come FcƐRII) per le IgE è a bassa affinità (c’è bisogno di una

Marco Russo D.O. Anatomia e Fisiologia Immunitaria Pagina 10


stimolazione abbastanza sostenuta perché gli eosinofili si attivino). Nelle persone allergiche, gli eosinofili
diventano molto sensibili alla segnalazione delle IgE e montano un recettore ad alta affinità (FcƐRI, proprio
come quello dei mastociti). In questi casi il legame FcƐRI-IgE attiva la perossidasi e la conseguente
attivazione degli eosinofili.
I granulociti basofili (dette anche cellule mastoidi o mastcellule)
derivano dal midollo osseo, da una cellula ematopoietica (CD34 +)
rappresentano una popolazione di granulociti più simile per certi aspetti ai
mastociti tissutali. Al pari dei mastociti, sono ricchi di potenti mediatori
vasoattivi conservati in forma di deposito nei loro granuli (quantità
notevoli di istamina) e posseggono recettori ad alta affinità per anticorpi
della classe IgE (FcƐRI). Per tali motivi svolgono un ruolo molto importante
nella comparsa delle manifestazioni cliniche in corso di malattie allergiche
(lo scrivo tra parentesi ma è importante: la liberazione della
degranulazione arriva, anche, da stimoli adrenergici e colinergici).
Tuttavia, come i neutrofili e gli eosinofili, queste cellule si trovano in
circolo e migrano nei tessuti solo quando vengono reclutate nelle sedi
d’infiammazione.
Per un certo periodo i biologi hanno pensato che i basofili fossero precursori dei mastociti penetrati nel
tessuto, in realtà non è così.
I Mastociti, derivano da progenitori midollari; dal midollo osseo passano in circolo e vanno a
colonizzare i tessuti, in particolare gli epiteli, in prossimità dei vasi e dei nervi dove subiscono la loro
completa maturazione. Si tratta di cellule che in condizioni normali non vengono ritrovate in circolo, ma
rimangono prevalentemente nei tessuti. Anche loro possiedono depositi di istamina e presentano recettori
per le IgE, denominato FcεRI (mastociti, granulociti basofili, cellule di Langerhans della cute) che presentano
alta affinità per le IgE. La localizzazione dei mastociti è sotto gli epiteli di superficie, dai fibroblasti traggono
il principale stimolo allo sviluppo, mentre il contatto con la matrice extracellulare costituisce il principale
segnale di attivazione per queste cellule. Esistono due tipi di mastociti chiamati rispettivamente mastociti
mucosi (T-dipendenti), ricchi di condroitinsolfato, ma poveri di istamina e mastociti del tessuto connettivo
(T- indipendenti), ricchi di eparina e istamina. Se degranulano i mastociti del derma si hanno i classici pomfi
dell’orticaria, se degranulano quelli della mucosa bronchiale si ha un attacco d’asma abbinato a gonfiore ed
edema della glottide. Dato lo stretto rapporto tra mastociti e terminazioni nervose, anche peptidi liberati
dal sistema nervoso – CGRP (Calcitonin Gene Related Protein), sostanza P, VIP (Vasoactive Intestinal
Peptide), NTR neurotrofine (tra cui NGF, fattore di crescita nervoso, e BDNF fattore nervoso di derivazione
cerebrale) possono rappresentare un segnale importante di degranulazione. L’orticaria da stress, altre
patologie dermatologiche, ma anche l’asma possono avere uno snodo importante nella stretta relazione tra
sistema nervoso mastociti e eosinofili. Quindi patologie allergiche e autoimmuni, intestinali e del connettivo
in particolare.
Le Natural Killer (NK), sono elementi cellulari presenti nel sangue e nei tessuti linfoidi, in particolare
nella milza, dotati di capacità di distruggere alcune linee ematopoietiche neoplastiche, nonchè cellule
infettate da virus in assenza di presensibilizzazione. Presentano una morfologia simile ai linfociti e sono
state designate anche grandi linfociti granulari, inoltre attraverso l’esocitosi dei granuli (che contengono
perforine e proteoglicani) agiscono come linfociti T citotossici (CD8 +). Mi sembra interessante il fatto che
durante l’attività citotossica le NK usino i proteoglicani durante l’esocitosi e nel contempo producano IFN-γ
(il segnale più precoce e significativo per l’attivazione Th1 e lo producono sotto stimolazione dell’IL-12) e
TNF. L’altro sistema di killeraggio viene realizzato tramite un recettore per le IgG (IgG1 e IgG3 per

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l’esattezza, recettore FcγRIIIA) che le riconosce depositate sul target, questo secondo sistema si chiama
ADCC (Antibody Dependent Cell Citotoxicity). Siccome le NK sono molto sensibili allo stress psichico e fisico
sono soggette a facili depressioni della loro attività. Nei pazienti depressi, l’attività simpatica è elevata
mentre sono ridotte sia la proliferazione linfocitaria che le funzioni citotossiche NK (aumento del cortisolo
plasmatico). Quindi un lutto o una notte insonne possono ridurne l’attività.

Le NK sono dei marker molto sensibili per la valutazione del rapporto tra stress e sistema immunitario.

Immmunità specifica o adattativa


Le cellule del sistema immunitario adattativo sono normalmente presenti come cellule circolanti:
nel sangue e nella linfa;
in gruppi negli organi linfoidi
come singole cellule disseminate praticamente in tutti i tessuti.
L’organizzazione anatomica di queste cellule e la loro capacità di circolare tra sangue, linfa e tessuti sono di
vitale importanza per generare delle risposte immunitarie.
La capacità del sistema immunitario a far fronte alle sue funzioni protettive dipende dalle molteplici
proprietà delle cellule e dei tessuti che lo compongono e cioè:
 alcuni tessuti specializzati, denominati organi linfoidi periferici (o secondari rappresentati da milza,
linfonodi e tessuto linfoide associato alle mucose e alla cute), esercitano la loro azione
concentrando gli antigeni che si sono introdotti attraverso le comuni vie di accesso (cute, tratto
gastrointestinale e respiratorio). La cattura dell’antigene e il suo trasporto rappresentano le prime
tappe della risposta immunitaria adattativa. Gli antigeni, trasportati agli organi linfoidi vengono poi
presentati dalle cellule accessorie ai linfociti specifici.
 I linfociti naїve (cioè linfociti che non hanno ancora incontrato l’antigene) migrano all’interno degli
organi linfoidi secondari, dove riconoscono gli antigeni e danno il via alla risposta immunitaria. I
linfociti effettori e di memoria sono generati dalla progenie delle cellule naїve stimolate
dall’antigene.
 I linfociti effettori e di memoria circolano nel sangue, si dirigono verso i siti periferici di ingresso
dell’antigene e vengono efficientemente trattenuti in questi siti.
Esistono due tipi di risposta immunitaria adattativa denominati immunità umorale e immunità cellulare;
sono mediate da componenti diversi del sistema immunitario e hanno il compito di eliminare tipi diversi di
patogeno.
L’immunità umorale è mediata da molecole presenti nel sangue e nelle secrezioni mucosali chiamati
anticorpi che sono prodotte da cellule denominate linfociti B. L’attività umorale è il principale meccanismo
di difesa contro patogeni extracellulari e loro tossine (tipica risposta Th2), poiché gli anticorpi secreti
possono legarsi sia ai microbi e sia alle tossine agevolandone l’eliminazione. Gli anticorpi possiedono diversi
gradi di specializzazione e, a seconda del tipo, attivano maccanismi effettori diversi.
L’immunità cellulare (o cellulo-mediata) è mediata dai linfociti T, la loro attività si esercita nei confronti di
virus e patogeni intracellulari, in quanto alcuni virus o batteri sopravvivono all’interno della cellula umana e
diventano inaccessibili agli anticorpi circolanti.
Comunque, sia le risposte umorali e sia cellulari possiedono delle proprietà, esse sono:
Specificità e diversificazione. Le risposte immunitarie sono specifiche verso porzioni distinte di una
singola proteina complessa, di un polissaccaride o di altre macromolecole. Preciso che la proprietà
di una molecola di indurre una risposta specifica da parte del sistema immunitario si chiama
immunogenicità, mentre la capacità di essere riconosciuta dalle strutture specifiche del sistema
immunitario si definisce antigenicità. Ciò significa che tutte le molecole immunogeniche sono
Marco Russo D.O. Anatomia e Fisiologia Immunitaria Pagina 12
anche antigeniche, mentre non tutti gli antigeni sono immunogeni. La porzione degli antigeni,
specificatamente riconosciuti dai linfociti sono chiamati determinanti antigenici o epitopi. I
linfociti di un individuo possiedono la capcità di riconoscere un enorme numero di antigeni definito
repertorio clonale.
Memoria. L’esposizione del sitema immunitario a un antigene estraneo aumenta la sua futura
capacità a rispondere a quell’antigene. Le risposte secondarie, sono in genere, più rapide, più
potenti e spesso qualitativamente diverse dalle risposte primarie.
Espansione clonale. In seguito all’incontro con l’antigene i linfociti vanno incontro a una forte
proliferazione. Il termine espansione clonale si riferisce al numero di linfociti che esprimono un
recettore identico per il medesimo antigene e quindi che appartengono allo stesso clone.
Specializzazione. Nell’ambito delle risposte immunitarie (umorali o cellulari) la natura degli
anticorpi o dei linfociti T varia in base alla classe dei patogeni coinvolti.
Risoluzione e omeostasi. Tutte le risposte immuitarie normali si esauriscono nel tempo dopo la
stimolazione antigenica, riportando il sistema immunitario al suo stato di riposo, una condizione
definita omeostasi. Cioè eliminando lo stimolo s’induce il linfocita all’apoptosi.
Non reattività verso il self. Una delle proprietà più importanti del sistema immunitario sano è la sua
capacità di riconoscere, rispondere ed eliminare antigeni estranei all’organismo (non self) senza
reagire pericolosamente alle sostanze antigeniche proprie dell’individuo (self). La non responsività
immunologica è anche detta tolleranza. La tolleranza self viene preservata grazie a molti
meccanismi come l’eliminazione dei linfociti che esprimono recettori per alcuni antigeni self. Molto
spesso l’incontro tra self e linfocita può non suscitare risposta auto-reattiva. Alterazioni
dell’induzione o nel mantenimento della tolleranza inducono uno stato di patologia autoimmune.
Le cellule principali sono i linfociti (per alcuni autori fanno parte del sistema adattativo anche le cellule
accessorie ovvero le APC conosciute come le dendritiche, e le natural killer).
I linfociti rappresentano le cellule immunocompetenti. La principale funzione dei linfociti, quindi, è la
risposta immune (specifica) agli antigeni. Esistono sottopopolazioni distinte di linfociti che differiscono per il
modo di riconoscimento dell’antigene (TCR-CD4 + con MHCII e TCR-CD8+ con MHCII, mentre i BRC con gli
anticorpi) nelle loro funzioni effettrici (anticorpale o citochinico).
I linfociti B (immunità umorale, dopo attivazione CD4 +) sono le sole cellule in grado di produrre anticorpi;
essi riconoscono antigeni extracellulari e si differenziano in cellule secernenti anticorpi (plasmacellule).
I linfociti T (immunità cellulare quando attivati CD8 +) riconoscono antigeni intracellulari e agiscono
uccidendo microbi e cellule infettate. I linfociti T non producono anticorpi. Il loro recettore (il TCR) è
costituito da molecole diverse dagli anticorpi, ma sono strettamente correlate. I linfociti T hanno una
specificità ristretta cioè riconoscono soltanto parti di antigeni associati ad alcune proteine conosciute con il
nome di MHC (complesso maggiore di istocompatibilità) che sono espresse sulle cellule che presentano la
frazione del patogeno. Le cellule T sono distinte in :
T helper (Th1, Th2, Th3 e Th17) hanno un ruolo di registi, di organizzatori della risposta immunitaria sia
verso i linfociti B e verso i linfociti T citotossici. Sia verso altre cellule come le APC segnatamente ai
macrofagi e alle cellule dendritiche ;
T citotossici o citolitici (CTL);
T regolatori (Tr);
T γδ che maturano fuori dal timo, ovvero nell’intestino;
sono di questo elenco, anche, le natural killer.
I diversi linfociti sono distinti sulla base dell’espressione di molecole di superficie chiamate CD.

Marco Russo D.O. Anatomia e Fisiologia Immunitaria Pagina 13


I linfociti ricevono un’educazione durante l’ontogenesi nel timo, da cellule (cellule dello stroma) che
identificano le cellule dotate di un recettore per l’antigene corretto ed eliminano quelle potenzialmente
pericolose che riconoscono con elevata affinità gli antigeni
self.
Il timo
Il timo è un organo impari e all’incirca simmetrico,
sviluppatosi al davanti del condotto respiratorio. Esso deriva
dalla terza tasca branchiale. Occupa contemporaneamente la
parte inferiore del collo e la parte antero-superiore della
cavità toracica. Nel collo è posto davanti al condotto
respiratorio, nel torace si trova immediatamente dietro lo
sterno. Le dimensioni del timo variano con l’età, poiché
quest’organo aumenta di volume fino ad una certa età e si
riduce in seguito gradualmente. I mezzi di fissità (a livello
cervicale) sono rappresentati dai legamenti timo-tiroidei in
alto, lateralmente dalla guaina dei vasi del collo e in avanti
dalla fascia cervicale media. Nel torace, invece, la faccia
posteriore aderisce fortemente al pericardio e ai grossi vasi
della base del cuore, in avanti alla faccia posteriore dello
sterno, lateralmente sulla fascia endotoracica (zona
segmento interno delle coste e dei nervi intercostali). Il timo
è irrorato da arterie che provengono superiormente da vasi che si distaccano dalla arteria tiroidea inferiore,
lateralmente dalle arterie timiche laterali (si staccano dalla toracica interna) e dalla parte posteriore nel
quale si da il nome di arteria timica centrale (nasce dal tronco arterioso brachiocefalico). Il sistema venoso
sfocia in varie vene tra le quali vene toraciche interne, vene tiroidee inferiori, pericardiche etc, ma
soprattutto nella vena brachiocefalica sinistra. Il timo è innervato sia da fini rami derivanti dal vago, sia dal
simpatico (gangli cervicali superiore e inferiore) e da qualche ramo dal frenico. Il timo interagisce con altre
ghiandole endocrine e ovviamente, con il sistema immunitario. Anticamente il termine “timico” era riferito
all’umore e all’affettività di una persona; infatti questo vocabolo deriva dalla parola greca “thymos” che
significa emozione, mente e affetto.
Ha un ruolo principale nell’immunità, ma è fondamentale anche in alcuni processi endocrini.
Nell’immunità regola la maturazione dei linfociti T, il suo funzionamento è basilare nei primi anni di vita,
declina con l’età ed è correlata al declino delle funzioni dell’ipotalamo e dell’ipofisi.
Il surrene, la tiroide, le gonadi, l’ipofisi, la pineale e il sistema nervoso autonomo rivestono un ruolo
indispensabile per l‘integrità e il funzionamento di questa ghiandola. La crescita timica è stimolata da GH,
PRL, T3 e T4. Gli steroidi gonadici, ad alti livelli, inducono involuzione timica. Gli estrogeni favoriscono lo
sviluppo e la funzione dei CD4, gli androgeni dei CD8. Le cellule epiteliali timiche (TEC) producono citochine
neuropeptidi e secernono ormoni timici: timulina, timosina-α 1 e timopoietina.
Oltre le TEC esiste un’altra popolazione di cellule denominate timociti, le quali secernono anch’esse ormoni
e neuropeptidi come per esempio: glucocorticoidi, PRL, vasopressina, OS, CRH, ACTH etc.
Gran parte dei linfociti che popolano l’organismo umano esce dal timo, dopo che hanno subìto un
durissimo processo di addestramento.

Marco Russo D.O. Anatomia e Fisiologia Immunitaria Pagina 14


Quindi 2 tipi di cellule: i timociti che sono praticamente linfociti a
vari stadi di maturazione e le TEC immerse nello stroma,
rappresentano una specie di microcosmo antigenico che
rappresenta il macrocosmo dell’organismo umano.
Lo stroma è una rete di cellule epiteliali di vario tipo (fibroblasti,
APC soprattutto cellule dendritiche e macrofagi). I progenitori
indifferenziati dei linfociti T entrano nella ghiandola, che è dotata
di un’adeguata rete linfatica, vascolare e nervosa, senza ancora
esprimere il recettore specifico (TCR), in questo stadio di sviluppo
sono chiamate “doppi negativi” (CD4- e CD8-), ma già nella
corteccia diventano “doppi positivi” cioè esprimono TCR sia CD4 + che CD8+. A questo punto i doppi positivi
ricevono un segnale di attivazione del giovane recettore. Chi riesce a legarsi all’antigene presentati dalle
cellule stromali può proseguire oltre, gli altri moriranno, perché inutili.
Il recettore dovrà subire un successivo aggiustamento. Il timocita che esprime CD4 e CD8 riconoscendo
MHC di I (prima) classe sottoregolerà il recettore non stimolato = diventeranno MHCI-CD4 -CD8+ (citotossici).
Mentre riconoscendo MHC di II classe = MHCII-CD4 +CD8- (helper). A questo punto il massacro è già ampio
solo il 15% prosegue il viaggio. Nel 2007 è stato dimostrato che le cellule midollari timiche sono in grado di
presentare virtualmente tutti i tessuti di cui è composto l’organismo, ed è proprio questo meccanismo che
costruirà la base per avviare un altro processo di selezione ancora più duro che porterà alla distruzione del
98% dei linfociti in base alla troppa reattività verso il self. Apro una piccola parentesi per ricordarvi che non
tutti i linfociti hanno derivazione timica. Nel 1967 venne dimostrato sperimentalmente che linfociti
intraepiteliali dell’intestino della mucosa intestinale non derivano dal timo. L’origine di questi linfociti
chiamati Tγδ (gamma-delta) è intestinale e sono stimolati dalla produzione di ormoni tiroidei intestinali, i
quali T sono essenziali nella regolazione della crescita dell’epitelio intestinale. Chiusa parentesi.
Ma cos’è l’MHC? Il Complesso Maggiore d’Istocompatibilità o
HLA viene comunemente associato alla presentazione
dell’antigene, perché l’antigene non può essere presentato da
solo ma legato a questo complesso proteico. Questo complesso
permette il corretto riconoscimento dell’antigene da parte dei
linfociti, discriminandone la natura (pericolosa o innocua) e il
tipo (virus o batterio). Costituisce quindi un aspetto
fondamentale dell’organizzazione della risposta nel senso della
tolleranza (self) o della reattività (se l’antigene è estraneo. Infatti
l’MHC venne prepotentemente all’aperto nei primi trapianti
d’organo = rigetto. Nel topo verso il 1936).
L’MHC (HLA) esprimono due varianti fondamentali: di I e II tipo.
Praticamente tutte le cellule esprimono HLA (MHC) di I tipo, che
serve a presentare antigeni propri normali (mostrerà al linfocita
il proprio recettore che lo accomuna alle cellule dell’organismo), antigeni di cellule trasformate (tumori,
ovvero segnalerà una trasformazione maligna) e antigeni di ospiti indesiderati (virus e batteri intracellulari.
Quindi un’infezione intracellulare). I linfociti che riconoscono HLA-I sono i citotossici (CD8 +) perché sono
loro che una volta stimolati hanno la possibilità di distruggere cellule infettate da parassiti intracellulare o
cellule neoplastiche.
L’HLA di II tipo, invece, viene espresso (macrofagi, cellule dendritiche e linfociti B) in modo più ristretto
serve a presentare materiale esogeno: batteri extracellulari, virus che non si integrano nella cellula e in

Marco Russo D.O. Anatomia e Fisiologia Immunitaria Pagina 15


genere proteine extracellulari. I linfociti che si legano a HLA-II sono del tipo CD4 +, ovvero T helper che
organizzano una risposrta adeguata all’antigene, sollecitando nel frattempo i linfociti B a produrre anticorpi.

Nel 1522 Jacopo da Carpi scoprì negli uccelli il timo, mentre ottant’anni dopo un altro zoologo italiano,
Jeronimus Frabicius Acquapendente, scoprì, sempre nei volatili , un organo denominato in suo onore borsa
di Fabrizio. Abbiamo atteso più di 400 anni per dare un ruolo immunitario al timo e all’equivalente umano
della Borsa di Fabrizio che è il midollo osseo. Nel 1962 J. F. Miller individuò due distinte popolazioni
linfocitarie, denominate T e B. I linfociti B producono anticorpi, mentre i linfociti T svolgono funzioni di
regolazioni nell’esecuzione della risposta immunitaria. Ambedue possiedono un proprio recettore per
l’antigene: BCR (recettore della cellula B) e TCR (recettore della cellula T). Il BCR può riconoscere l’antigene
senza bisogno di alcuna mediazione, il TCR ha bisogno che l’antigene sia presentato associato ad un
complesso MHC o HLA.
Altre differenze, importanti: 1) il BCR funge da anticorpo che, separato dalla cellula viaggia nei fluidi. Il TCR,
invece, è saldamente ancorato alla cellula; e 2) il TCR non cambia nel passaggio da vergine ad attivo, mentre
il BCR subisce modificazioni e aggiustamenti stimolati dall’antigene. La caratteristica comune alle due
grandi classi linfocitarie è la loro estrema versatilità. Le cellule B sono capaci di produrre qualcosa come 10 15
di anticorpi diversi (non solo,… se aggiungiamo che i loci delle regioni variabili del recettore hanno un
numero simile per il riconoscimento dell’antigene siamo davanti ad una impressionanante manifestazione
di diversità). Il tutto contenuto in meno di 400 geni.

LINFOCITI B

L’immunità umorale è mediata dagli anticorpi prodotti dai linfociti B. La funzione degli anticorpi è quella di
legarsi ai determinanti antigenici causandone neutralizzazione e/o eliminazione.
Generalmente nei testi d’immunologia si trova, sempre, scritto che la produzione di anticorpi ha bisogno sia
della stimolazione antigenica, ma anche dell’aiuto dei linfociti T (ovviamente, helper). Però, desidero
ricordarvi che l’ambiente dove vivono alcune cellule (APC, Mɸ e linfociti T) è immerso in una matrice che
riceve stimoli modulanti dal sistema nervoso neuroipofisario e le stesse cellule (ciascuna cellula è un’entità
con espressione genica diversa), rielaborano il contenuto dell’informazione con il rilascio di citochine che
tornano a modulare il SNC.
Lo sviluppo dei linfociti B può essere diviso in due grandi fasi. La prima si realizza negli organi linfoidi
primari (il fegato nel feto e il midollo osseo nell’adulto), si conclude con la formazione di immunoglobuline
(Ig) di superficie, ancorate alla membrana plasmatica della cellula B immatura.
Successivamente la B immatura fuoriesce dal midollo osseo e completa la sua maturazione negli organi
linfoidi secondari (milza, linfonodi e MALT). La fase dello sviluppo si conclude con l’incontro dell’antigene
che conduce alla formazione di:
 Cellule capaci di produrre anticorpi denominate plasmacellule;
 Cellule capaci di produrre, in tempi più brevi rispetto alla prima esposizione, un’efficace risposta
verso l’antigene, denominate cellule B di memoria.
Innanzitutto diamo uno sguardo generale al prodotto di queste cellule, ovvero gli anticorpi.

Marco Russo D.O. Anatomia e Fisiologia Immunitaria Pagina 16


Le immunoglouline costituiscono una classe di
molecole abbastanza omogenea dal punto di vista
delle caratterisiche fisiche e della struttura chimica.
Sono presenti nel siero e nei fluidi di tutti i vertebrati
e sono capaci di legarsi all’antigene e per questo
chiamati da P. Ehrlich “antikorper”. Nello stesso
istante funzionano da recettore di membrana delle
stesse cellule (sono strumento essenziale dello
sviluppo, dell’attivazione e del controllo dei linfociti
B).
La struttura di una Ig venne definitivamente descritta
nel 1969 da G. Edelman.
Ogni anticorpo è composto da due catene pesanti (H)
e due leggere (L di due tipi: kappa k e Lambda λ),
legate da ponti disolfuro (S-S in giallo). Le catene H
sono organizzate in cinque classi: mu (m), gamma (γ), delta (δ), alfa (α) ed epsilon (ε). Sono loro che danno
il nome alle immunoglobuline IgM, IgG, IgD, IgA ed IgE. Le IgA si distinguono in IgA1 e IgA2. Le IgG in IgG1,
IgG2, IgG3 e IgG4.
Come si può notare dalla figura le IG comprendono una regione “variabile” (V) avente funzione di
riconoscimento e deputata al legame con l’antigene (chiamati anche Fab ovvero Fragment antigen-binding).
Ed una regione costante (C) avente funzione effettrice e deputata ad assolvere funzioni biologiche
secondarie, come la fissazione del complemento o il legame con i fagociti.
La regione Fc è invece il recettore che si lega a recettori presenti sulla superficie di tipi cellulari diversi.
IgG = le IgG sono le immunoglobuline più abbondanti nei fluidi (sangue, linfa, fluido peritoneale e
cerebrospinale) e la loro emivita è di circa 23 giorni. Oltre l’80% di tutte le Ig del sangue sono IgG,
diffondono rapidamente nel compartimento extravascolare dove neutralizzano tossine batteriche e si
legano con microrganismi al fine di facilitare la fagocitosi. Abbiamo già detto che esistono 5 sottoclassi e
tutte 5 le classi si definiscono ridondanti (cioè la stessa funzione può essere svolta da IgG diverse), ma al
tempo stesso è possibile individuare, tendenzialmente, specifiche funzioni.
Il loro compito è migliorare l’opsonizzazione, attivazione del complemento, citotossicità anticorpo-
dipendente, immunità neonatale (hanno la proprietà di attraversare la placenta), ed hanno feedback
inibitorio dell cellule B. Vengono prodotte, anche, quando i livelli di IgM iniziano a calare e quando c’è una
reimmunizzazione.
IgM = questi anticorpi, in passato chiamati macroglobuline per il fatto di essere grossi polimeri (pentameri
ed esameri), sono strutture antichissime molto ben conservate dall’evoluzione. Rappresentano circa il 10%
delle immunoglobuline sieriche e la loro emivita è di circa 10 giorni. Sono distribuite prevalentemente nel
compartimento intravascolare e compaiono precocemente nella risposta a numerosi antigeni
(rappresentano la risposta primaria diffusa sia nel sangue sia nelle mucose). Importante il loro ruolo come
sostituti delle IgA (ed essendo delle forti attivattrici del complemento possono avere effetti sistemici =
cascata infiammatoria). Essendo globuline (immunitarie) di prima linea una loro eccessiva presenza nel
plasma indica un recente contatto antigenico.
IgA = sono le immunoglobuline delle mucose, presenti in due forme: IgA 1 e IgA2. La prima è un monomero,
presente nel plasma (IgA plasmatica) mentre la seconda è un dimero presente nelle secrezioni mucosali
(IgA secretorie o IgAs). Si pensa che l’IgA2 sia un adattamento della IgA 1 a causa dell’ambiente (intestino e
bronchi) ricco di proteasi capaci di digerire l’anticorpo. Quindi le IgA 2 sono molto resistenti alle proteasi del

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nostro organismo (pepsina, tripsina etc. etc.) e a quelle dei microrganismi patogeni (HIV per esempio).
Anche se attivano anch’esse il complemento non attivano una risposta infiammatoria ma intrappolano
l’antigene espellendolo con il muco.
IgD = non si conosce la loro funzione, se non quella di marker di membrana per le cellule B. Rappresentano
meno dell’1% delle immunoglobuline sieriche. Sono, insieme, alle IgM le principali immunoglobuline di
membrana espresse dai linfociti B e si ritiene che abbiano un ruolo chiave nell’attivazione dei linfociti
(quindi recettore dei linfociti B naїve) da parte dell’antigene.
IgE = sono le immunoglobuline dell’allergia e della risposta antiparassitaria. Sono monomeri a bassissime
concentrazioni nel siero (lo 0,5 – 1% delle Ig con emivita di 2 giorni). Sono molto potenti nell’attivazione
della risposta infiammatoria. I linfociti B (cioè le plasmacellule) che producono IgE si ritrovano soprattutto
nel polmone e nella cute. Una volta secrete le IgE vanno a caricare recettori specifici (FcεI) montati su
basofili e mastociti (I MASTOCITI SONO SPARSI NEL TESSUTO CONNETTIVO). Possono rimanere anche per
mesi legati a questi recettori, ma un successivo incontro con l’antigene (importante notare che nei soggetti
allergici anche se sono normalmente caricati di IgE vi è la sensibilizzazione a diversi tipi di antigene) fa
partire un segnale che scatena la degranulazione responsabile delle reazioni anafilattiche, oppure, se il
fenomeno resta localizzato, di manifestazioni come asma e rinite.

La cellula B è il campione della mutevolezza e della plasticità. È una cellula capace di rispondere a qualsiasi
elemento estraneo poiché ha sviluppato grandi capacità di manipolazione del suo patrimonio genetico.
Questo è la sua forza, ma al tempo stesso la sua pericolosità perché sono possibili errori nella
ricombinazione che portano a produzione di anticorpi che si legano in modo più o meno efficiente a
strutture del self. Ovviamente il sistema ha i suoi meccanismi di controllo che inducono all’apoptosi i
linfociti B potenzialmente autoreattivi.
Ma non solo la mutazione del patrimonio genico è l’arma della cellula B. Infatti l’altro sistema con cui questi
tipi di linfociti raffinano la specificità nei confronti dell’antigene riguarda la produzione di anticorpi che nella
prima fase è di tipo M. Successivamente, perdurando la stimolazione antigenica, il linfocita B è in grado di
spostare la produzione anticorpale dalle IgM alle IgA, IgG e IgE. Questo spostameto si chiama switch
isotopico, è chiaro che non è un meccanismo lasciato al caso me è regolato (indovinate un po’?) dalle
citochine e quindi proprio dall’ambiente in cui si è prodotta la risposta immunitaria. Quindi le citochine
sono vere e proprie switch factors. In particolare il TGF-β sostituisce la risposta anticorpale IgM (fortemente
infiammatoria) con un arisposta IgA meno infiammatoria.
Quindi, il riarrangiamento genico, l’ipermutazione somatica, lo switch isotopico conferiscono estrema
flessibilità al linfocita B, tale adattamento è possibile per l’estrema flessibilità del genoma di queste cellule
che, in base alle informazioni che riceve riarrangia e modifica l’espressione dei suoi geni.
Desidero mettere alla vostra attenzione che recentemente è stata segnalata una sottopopolazione di
linfociti B denominati B1, chiamate così, perché a dispetto della loro recente individuazione sono le cellule
più antiche che si formano per prime nello svilupppo del feto infatti, originano da cellule staminali
ematopoietiche derivate da fegato fetale. Esprimono CD5 + e nell’adulto si trovano nel peritoneo, nelle
pleure e nelle mucose come popolazioni in auto-rinnovamento. Secernono spontaneamente IgM (sono
chiamati anticorpi naturali, perché sono presenti senza evidente immunizzazione) ed è possibile che la flora
batterica dell’intestino ne stimola la produzione. Le cellule B1 sono analoghe alle cellule Tγδ, ambedue
rispondono nella fase precoce della risposta immunitaria.
Le cellule B possono attivarsi autonomamente oppure tramite linfociti T helper.
L’attivazione indipendente si realizza, per lo più, a contatto con antigeni che presentano siti antigenici
ripetitivi. In sostanza quando il messaggio è chiaro e con ripetute stimolazioni.

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Oppure, l’attivazione indipendente, può avviarsi con due scenari diversi:
1: con antigeni che sono stati già agganciati da “anticorpi naturali” (per lo più IgM) e dal
complemento;
2: antigeni presentati da cellule dendritiche follicolari, presenti in strutture particolari dei linfonodi
chiamati centri germinativi.
Il linfocita B può comportarsi come una cellula APC e cioè una volta che incontra l’antigene, lo processa e lo
presenta legato al complesso HLA-II al linfocita T helper (CD4 +).
C’è da dire che anche i linfociti B (effettrici) sono divise in prima e seconda classe. In un articolo su Nature
Immunology del 2000 si sono dimostrate scientificamente le due classi con stretta analogia dei due gruppi
funzionali T helper (Th1 e Th2) e cioè i gruppi Be1 e Be2. Il bello è, … che usano lo stesso ambiente
citochinico e quindi IL-12 e IFN-γ differenziano Be1, mentre IL-4 differenzia Be2 (porca miseria, questo
complica le cose….i linfociti B non sono solo induttori di Th2…e mo?).
Comunque sia, i linfociti B hanno memoria lunga e ricircolano continuamente, soprattutto nelle mucose. Se
incontrano l’antigene di cui hanno memoria, con grande rapidità danno origine a cloni di plasmacellule che
producono anticorpi (vaccini).
LINFOCITI T

I linfociti T rappresentano insieme ai linfociti B le cellule immunocompetenti, cioè le cellule fondamentali


dell’immunità specifica. Essi agiscono quali cellule effettrici per l’eliminazione degli agenti microbici
intracellulari. Ricordo che i linfociti T non producono anticorpi.
Il termine linfocita T deriva dal fatto che tali cellule subiscono il loro processo maturativo a livello del timo.
Ai linfociti T è affidato il riconoscimento di tutte le possibili specificità antigeniche presenti in natura
(repertorio clonale T). Questo repertorio si basa su due caratteristiche fondamentali: 1) il riconoscimento
dell’antigene è ristretto dalle molecole MHC autologhe, in quanto le cellule T di ogni individuo
riconoscono peptidi derivanti dal processing da parte delle APC di antigeni esogeni, esclusivamente in
associazioni con molecole MHC proprie; 2) il repertorio clonale al termine della maturazione dei linfociti T
è tollerante verso il self, cioè non riconosce molecole MHC da sole o associate a peptidi autologhi.
I processi che portano alla formazione del repertorio clonale, allo stabilirsi del fenomeno della tolleranza
nei confronti del self e all’acquisizione da parte dei linfociti T di tutte le molecole accessorie caratteristiche
dei linfociti T maturi, avvengono indipendentemente dall’incontro con l’antigene e si verificano durante
l’ontogenesi a livello del timo. Il grande S. Romagnani pone, però, un dubbio, cioè:… è pertanto verosimile
che tali processi possono verificarsi anche a livello di strutture extratimiche tutt’ora sconosciute.
I precursori dei linfociti T (cellule pre-T) originano nel midollo osseo. Una volta giunte nel timo le cellule
pre-T prendono il nome di timociti; quelli più immaturi si ritrovano a livello corticale mentre nella midollare
sono presenti linfociti T maturi. I timociti maturi sono dotati sia del recettore specifico per l’antigene (T cell
receptor TCR) sia delle molecole CD4 + e CD8+ che caratterizzano le due principali sottopopolazioni reattive
con le molecole MHC I e II rispettivamente devolute alla funzione helper e a quella citotossica. Apro una
piccola parentesi che riguarda i recettori in generale ed i TCR in particolare, cioè, … il colesterolo che tanto
viene demonizzato rappresenta il collante dinamico di ancoraggio per i recettori cellulari, questa semplice
asserzione ci spiega perché le statine (riducendo il numero dei recettori e quindi riducono la funzione di
comunicazione cellulare) siano causa di patologie ormonali, neurologiche (quindi psichiatriche, in quanto
svolgono funzione modulatrice nell’attività dei recettori di neuromediatori come la 5-HT) e immuno-
infiammatorie. Chiusa parentesi.
Andiamo avanti.

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La peculiarità della cellula T è quella di riconoscere, con il TCR, l’antigene presentato da una cellula capace
di farlo, cioè da un’APC.
I linfociti T si dividono in due grandi classi: T helper CD4 + e Linfociti T citotossici CD8+.
CD4 e CD8 sono due proteine di membrana, strettamente collegate al TCR, che funzionano da corecettori,
da stabilizzatori del legame tra complesso HLA-antigene e TCR. Nel frattempo CD4 e CD8 fungono da
elementi di distinzione da una cellula T helper e una T citotossica. I T helper, sono così definiti per il loro
ruolo di registi, di organizzatori della risposta immunitaria sia verso i linfociti B (tramite le citochine
stimolano la produzione di anticorpi, trasformando le B in plasmacellule e poi in cellule memoria) e i
linfociti T citotossici (per la formazione dei linfociti T citotossici memoria) e sia verso altre cellule che
presentano l’antigene, segnatamente Mɸ (l’interazione tra macrofagi e Th serve a stimolare la capacità
citotossica dei macrofagi stessi, tramite la produzione di citochine e di specie reattive dell’ossigeno) e DC.
I T helper sotto l’influsso di svariati fattori (tipo di
antigene con cui vengono a contatto, citochine e
altre sostanze prodotte dal microambiente dove
operano) si differenziano ulteriormente in gruppi
funzionalmente diversi e antagonisti, Th1, Th2,
Th17 e T regolatori.
La risposta Th1 è orientata in senso citotossico
nei confronti di batteri intracellulari e virus. È
sostenuta dall’IFN-γ (produzione di radicali liberi,
NO che inibisce la risposta Th2) e dall’IL-12
(stimola le NK a produrre IFN-γ). Questo tipo di
risposta è carente nei paesi industrializzati ove
prevale la risposta Th2.
La risposta Th2 è orientata in senso anticorpale
ed è tipica delle malattie allergiche. Sostenuta dall’IL-4 (attiva i linfociti B e la produzione di IgE), dall’IL-5
(recluta eosinofili in presenza di parassiti), dall’IL-10 (su questa citochina ci sono controversie in quanto per
alcuni autori è regolatoria per tutt’e due i bracci della bilancia mentre per altri è antiinfiammatoria per
blocco della produzione di IFN-γ, quindi blocco del Th1; ed è proinfiammatoria nei confronti dei processi
allergici). Apro parentesi… non tutti i virus inducono una risposta Th1, per esempio il virus dell’influenza, del
morbillo, della parotite, della rosolia sopprimono la risposta Th1 e vaccinando tutti i bambini con sistema
immunitario immaturo è possibile squilibrarlo in senso Th2 con conseguente iperattività allergica. Chiusa
parentesi.
Nel 1994 un gruppo di ricerca della Harvard Medical School di Boston identifica un’altra popolazione di
CD4+ che produce solo TGF-β, è questa una citochina con potente azione regolatoria che spegne la reazione
immunitaria sia di tipo Th1 sia di tipo Th2, queste cellule vennero battezzate Th3.
Vi ricordo anche l’esistenza del circuito Th17 basato
sulla produzione di IL-23 e IL-17. Ma quali sono i
fattori che condizionano la prevalenza dell’uno o
dell’altro?
Sono numerosi e di varia natura:
1) Innanzitutto il tipo di antigene: se virus o
batterio intracellulare si attiverà Th1. Se,
invece, l’antigene è un microrganismo
extracellulare o di allergeni allora il sistema

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tenderà ad assestarsi su un profilo Th2. Infine se lo stimolo è provocato da funghi come la candida
albican si attiva il Th17.
2) La quantità dell’antigene. Questi studi sono ancora molto incerti.
3) Tipo di cellule coinvolte e il rapporto tra citochine chiave, sia nella presentazione dell’antigene sia
nella risposta infiammatoria. Se le APC sono macrofagi e DC e la prima risposta è sostenuta dalle NK
è molto probabile che si produca una differenziazione in Th1. Se l’ambiente è ricco di mastociti,
eosinofili, basofili è più probabile differenziazione in Th2. L’ambiente dove si svolgono tutte le
interazioni è la base del differenziamento. Proprio perché segnali delle citochine possono
convertire il passaggio da un braccio all’altro della bilancia immunitaria in qualsiasi momento.
4) L’ambiente interno: ormoni, neurotrasmettitori, neuropeptidi, sostanze infiammatorie, nutrienti,
vitamine. Le cellule immunitarie non agiscono nel vuoto, ma in un contesto estremamente
complesso caratterizzato dalla presenza di tessuti, vasi e nervi e dalle numerose sostanze prodotte
localmente o che arrivano con la circolazione sanguigna e linfatica.
I linfociti T citotossici sono cellule specializzate nella distruzione di cellule infettate da virus. Lo fanno
attivando un doppio sistema: induzione dell’apoptosi e lisi cellulare tramite granzimi (ovvero enzimi dei
granuli). Anche i citotossici si polarizzano in Tc1/Tc2. Emerge, quindi una doppia bilancia Th1-Tc1/Th2-Tc2.
Una bilancia che continuamente ricerca il proprio equilibrio, che tende a non polarizzarsi per un tempo
eccessivamente lungo.
La memoria del sistema immunitario è nelle mani dei linfociti T e B. I linfociti B, abbiamo visto formano
cellule capaci di riprodurre anticorpi specifici; la cellula T (una volta attivata) è in grado di dividersi in due
cellule figlie ogni sei ore. Con la stessa rapidità, per effetto della battaglia immunitaria, oltre il 90% muore.
Le cellule memoria T, quindi sono quelle cellule che arrivando per ultime non subiscono la morte e venendo
attivate con una stimolazione antigenica sufficiente permangono nella formazione di memoria.
Esistono due tipi di memoria: una denominata memoria centrale costituita da cellule non attivate ma
pronte ad attivarsi le TCM (T Central Memory) e l’altra denominata memoria effettrice (le TCM che si
trasformano in cellule attive).
LE CITOCHINE
Il sistema immunitario è composto da migliaia di miliardi di cellule distribuite in tutto l’organismo ed il suo
funzionamento è quindi strettamente dipendente dalla comunicazione tra le cellule del sistema e tra loro e
i tessuti. La comunicazione si realizza tramite il contatto diretto e tramite una vasta gamma di sostanze
rilasciate nei tessuti e nella circolazione: le citochine e le chemochine.
Le citochine (letteralmente kutos, cellula e kinesis movimento) sono segnali con cui le cellule immunitarie
(?) comunicano tra loro e con l’ambiente interno. Sono segnali che, una volta recepiti, inducono importanti
modificazioni nelle cellule. Sono, fondamentalmente delle proteine e glicoproteine secrete dalle cellule (per
lo più immunitarie, … alias quasi tutte le cellule) e comprendono:
 Interleuchine (IL);
 Interferoni (IFN-α,β e γ);
 Fattori di crescita di granulociti (G-CSF Colony Stimulating Factor), di macrofagi (M-CSF) e di
granulociti e macrofagi (GM-CSF);
 Fattori di necrosi tumorale (TNF-α e β);
 Fattore di crescita trasformante (TGF-β).
Si legano a specifici recettori, sulla membrana delle cellule bersaglio, e questo legame innesca una serie di
segnali di trasduzione; ne consegue un’attivazione genica, responsabile di una nuova codifica proteica e di
specifi effetti biologici correlati alle caratteristiche delle diverse citochine.
Le citochine presentano le seguenti proprietà:

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Pleiotropia (una singola citochina può svolgere diverse funzioni, come ormoni e anticorpi).
Ridondanza (diverse citochine possono indurre lo stesso effetto).
Sinergismo (l’effetto combinato di due citochine sull’attività cellulare è maggiore della somma
degli effetti di ciascuna citochina presa individualmente).
Antagonismo (l’effetto di una citochina inibisce o controbilancia l’effetto di un’altra citochina).
Capacità di innescare un sistema a cascata (inducono la cellula bersaglio a secernere una o più
citochine in grado, a loro volta, di stimolare alle cellule bersaglio a produrre altre citochine).
Introduco qui un concetto che a mio avviso è fondamentale e richiede approfondimenti perché sono la
base della comprensione completa del funzionamento del sistema nervoso. Le citochine agiscono sul
cervello attraverso una via nervosa e una via ematica. La via nervosa è mediata, principalmente, dal nervo
vago, importante per i messaggi dall’apparato gastrointestinale (…e non solo, p.e. segnali della memoria
all’amigdala e all’ippocampo). Per via ematica alcune citochine superano la barriera ematoencefalica, altre
entrano attraverso gli organi circumventricolari dove la barriera è permeabile. Qui inducono la produzione
di mediatori infiammatori, come la prostaglandina E 2 e la sintesi di citochine nel cervello da parte delle
cellule microgliali e degli astrociti.
Le chemochine (chemotactic cytochine) sono come dei navigatori per le
cellule immunitarie all’interno dei tessuti, vengono prodotte sia da altre
cellule immunitarie (soprattutto DC e monociti-macrofagi) e sia dalla
gran parte delle cellule dei tessuti. Una rete di segnali che indicano alle
cellule (che viaggiano nel torrente circolatorio) immunitarie dove c’è una
presenza potenzialmente pericolosa (ma, … ma … nel marzo del 2001 è
stata dimostrata su Nature il ruolo delle chemochine nella diffusione
delle metastasi. Vedi foto) e le conducono dentro i linfonodi o nel
bersaglio tissutale. Questo lavoro di segnalazione è essenziale anche
nelle fasi di sviluppo del cervello e del sistema nervoso centrale compresi
altri organi, mentre la descrizione iniziale delle chemochine aveva
focalizzato soprattutto il loro ruolo fondamentale nel processo di
extravasazione o transmigrazione leucocitaria o diapedesi leucocitaria
verso i siti della infiammazione. Concludo dicendo che sono tante le case
farmaceutiche che in questi anni stanno tentando di definire come i
recettori chemochinici possono essere influenzati per essere disattivati,
proprio per le proprietà di segnalazione nella crescita tumorale. E così
facendo, ovviamente si manifestano effetti paradossali come riduzione
del tumore in un distretto e l’aumento in un'altra regione (per esempio
come disegnato in figura nell’osso).
Per concludere bisogna fare un piccolo passo indietro, nell’immunità
aspecifica per esattezza, e dire due paroline su un altro sistema che somiglia molto alla sequenza della
coagulazione del sangue e cioè al “complemento”….
Il complemento
Accanto agli anticorpi, sul finire del secolo XIX venne identificata un’altra componente attiva nella
distruzione dei batteri che G. Nuttal e H. Buchner battezzarono questa sostanza come “alessina” (vuol dire
sostanza che protegge). Dieci anni dopo, nel 1898, P. Ehrlich alla stessa sostanza dette il nome di
complemento proprio per indicare l’azione complementare a quella degli anticorpi. Ci vollero altri 30 anni
per capire che il complemento non è una sola sostanza, ma un sistema molto articolato e complesso.

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Oggi sappiamo che è costituito da oltre 30 proteine che si attivano secondo schemi ben precisi seguendo
una specie di reazione a catena con sequenze che ricordano da vicino i meccanismi di coagulazione del
sangue. Dal punto di vista filogenetico rappresenta un dispositivo comparso 500 milioni di anni fa. L’uomo
ha conservato questo dispositivo ancestrale inserendo ulteriori modificazioni che rendono il sistema del
complemento un elemento di raccordo e amplificazione importante sia 1) dell’immunità naturale, che fa
perno sulla fagocitosi e sull’infiammazione, e sia 2) a quella specifica, centrata sulla produzione di anticorpi
da parte dei linfociti B.
Il sistema nei mammiferi si attiva seguendo tre diverse vie: 1) l’alternativa, la più antica; 2) la classica, la più
specifica e 3) la via della lectina, che è specifica per alcuni microrganismi.
Le componenti del complemento vengono indicate con la lettera C seguita da un numero da 1 a 9. Ma
attenzione perché la sequenza di attivazione è C1-C4-C2-C3-C5-C6-C7-C8-C9.
Chi è che produce il 90% delle proteine del complemento? Il fegato! … ma la C1 viene prodotta dall’epitelio
intestinale e dai monociti\Mɸ. Una quota della C7, circa il 40% viene prodotta dai granulociti.
Rilevante è il fatto che sia i monociti\Mφ che gli astrociti e la microglia sono in grado di sintetizzare tutta la
sequenza del complemento. Tutto ciò accade non in condizioni normali ma sotto infiammazione.
Il sistema del complemento, quindi è costituito, da
numerose proteine plasmatiche attivato da
microrganismi in grado di promuovere l’uccisione
dei microbi e di indurre una risposta infiammatoria.
Per far ciò segue le tre vie su menzionate e tutte
sono preposte per arrivare a C3 che è l’elemento
cardine che produce due subunità (C3a e C3b
rispettivamente per attrarre cellule immunitarie nel
luogo di infiammazione e per migliorare
l’opsonizzazione. Quest’ultima azione si chiama
anafilassi).
Dal C3b deriva anche il C5, altro elemento cardine,
che con la sua frazione C5a insieme alla C3a
vengono definite anafilatossine proprio per la loro azione centrale nell’organizzazione della risposta
infiammatoria acuta di tipo anafilattico. Dalla C5b parte un meccanismo che si chiama “complesso di
attacco” che è in grado di bucare la parete del microrganismo determinandone la morte per lisi (proprio
scioglie la parete batterica).
Ma che ce frega a noi del complemento? Innanzitutto stabiliamo il fatto, che modelli animali in cui è stata
eliminata la possibilità di slegare la sequenza ha portato alla morte l’animale stesso.
Il complemento è il principale attore che interviene per eliminare e controllare gli immmunocomplessi.
Cosa sono gli immunocomplessi? Sono legami stabili tra anticorpi con antigeni, questo è un fenomeno
fisiologico dell’attività del sistema immunitario, che se non controllato porta ad accumulo nel sangue di
immunocomplessi che provocano malattie come malattie reumatiche o Lupus Eritematoso Sistemico (LES).
Il complemento interviene o con i fagociti oppure con i globuli rossi. Tutt’e due tipi di cellule portano
recettori su cui si legano gli immunocomplessi (CR1) e portano il loro “fardello” al fegato dove cellule
specializzate (Kupffer) provvederà alla loro demolizione. Altro ruolo del fegato.
Il complemento è in stretto collegamento con altri due sistemi proteici plasmatici: il sistema della
coagulazione e il sistema delle chinine.

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La centralità del sangue nella produzione dell’infiammazione viene ulteriormente confermata. Questi sono
tre sistemi distinti che si autoalimentano. Sono tre sistemi a cascata dove il complemento rappresenta
l’asse immunologico, la coagulazione e l’anticoagulazione (chinine) l’asse sanguigno.
Guardando la figura qui a lato, si nota come
sia la coagulazione sia le chinine possono
incrementare l’infiammazione. Da una parte
la cascata della coagulazione porta alla
formazione della trombina (con notevoli
funzioni infiammatorie per alterato assetto
dell’endotelio vascoalre), dall’altro lato il
controllo della coagulazione, la fibrinolisi, può
ulteriormente incrementare l’infiammazione
tramite il plasminogeno (che è vero che
degrada la fibrina) che formando plasmina
attiva il sistema del complemento che sotto
forma di C3a funziona da chemiotassi e da
anafilassi.
Perché sapere tutto ciò? Perché è
fondamentale ancora una volta, che il sistema immunitario (il complemento in questo caso) si attiva anche
al di fuori di una presenza di microrganismi esterni. In questo caso si attiva da elementi della coagulazione
del sangue che sono normalmente presenti nel nostro organismo.
Quindi riepilogando quali sono le principali funzioni del complemento?
 Deposito di frammenti (C3b) sul patogeno e comunque su materiale che neutrofili e macrofagi
fagociteranno;
 Lisi della parete cellulare tramite il complesso di attacco C5-C9;
 Induzione della degranulaione dei mastociti e basofili;
 Regolazione degli immunocomplessi, sia riducendone la taglia sia favorendo la solubilità e quindi
l’eliminazione;
 Azione chemiotattica sui fagociti: soprattutto richiamo dei neutrofili sul luogo dell’infiammazione;
 Azione immunoregolatoria in senso positivo nel senso che favorisce la cattura e la processazione
dell’antigene nonché lo sviluppo e la funzione dei linfociti B (come ricordato qui sopra).

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