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NOZZE IN SOGNO NRLI PDF Pubblicazione
NOZZE IN SOGNO NRLI PDF Pubblicazione
XXI, 1 2018
Nuova
Rivista
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Nuova Rivista di Letteratura Italiana • XXI, 1 2018
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EDIZIONI ETS
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periodico semestrale
Autorizzazione del Tribunale di Pisa n. 15 del 1998
ISSN 1590-7929
abbonamento individuale: Italia € 48,00, estero € 60,00, pdf € 36,60
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Nuova
Rivista
di
Letteratura Italiana
XXI, 1
2018
Edizioni ETS
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INDICE
SAGGI
MARIA CRISTINA CABANI, L’Aretino continuatore dell’Ariosto: quattro
abbozzi in ottava 11
FABRIZIO FRANCESCHINI, Giudeo-romanesco a Livorno.
L’ebreo stregone e il teatro delle lingue nelle Nozze in sogno (1665) 47
TESTI E DOCUMENTI
EMILIO TORCHIO, Un frammento antico del commento di Iacomo
della Lana 71
DARIO BRANCATO, Varchi e Aristotele. Nuovi materiali per il commento
agli Analytica priora 99
MICHELE COMELLI, Considerazioni sui manoscritti delle Epoche
della lingua italiana del Foscolo (Epoche III, IV, V e VI) 157
DISCUSSIONI
GIULIO VACCARO, Il Livro del governamento dei re e dei principi.
Note da una recente edizione 199
RAFFAELE ALBERTO VENTURA, Carlo Goldoni economista 211
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FABRIZIO FRANCESCHINI
GIUDEO-ROMANESCO A LIVORNO
L’EBREO STREGONE E IL TEATRO DELLE LINGUE
NELLE NOZZE IN SOGNO (1665)*
* Ringrazio per gli stimoli e i suggerimenti Lorenzo Bianconi, Lucia Frattarelli Fischer, Mi-
chele Olivari, Franco Angiolini, Luca D’Onghia e i revisori anonimi. Nella trascrizione di voci
ebraiche uso il sistema adottato da «La Rassegna Mensile di Israel».
48 FABRIZIO FRANCESCHINI
1 Le nozze in sogno, dramma civile, rappresentato in musica nell’Accademia de’ signori Infoca-
ti, dedicato al sereniss. e reverendiss. principe card.le Carlo de’ Medici, Firenze, all’Insegna della
Stella 1665, col nome dell’autore Pietro Susini alla fine della dedica; il dedicatario, nato nel 1596,
sarebbe morto nel giugno 1666. Cito il testo (anche nel sito https://archive.org) adeguando pun-
teggiatura, maiuscole e u/v all’uso moderno e indicando la scena e/o la pagina; salvo diversa in-
dicazione, le scene sono dell’Atto primo. Cfr. LORENZO BIANCONI, Cesti, Antonio, in Dizionario
Biografico degli Italiani, 24, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana 1980, pp. 281-98 (anche in
linea); SALOMÉ VUELTA GARCÍA, Il teatro di Pietro Susini. Un traduttore di Lope e Calderón alla
corte dei Medici, Firenze, Alinea 2013, specie pp. 113-16 (col censimento degli esemplari); NICO-
LA MICHELASSI, SALOMÉ VUELTA GARCÍA, Il teatro spagnolo a Firenze nel Seicento, I, Firenze, Ali-
nea 2013, pp. 151-85; ID., EAD., Antonio Cesti e la partitura delle «Nozze in Sogno» (Firenze
1665), «Il Saggiatore Musicale», XXII (2015), pp. 203-14.
2 Ivi, pp. 205-7, e vedi Ricordi [dell’Accademia degli] Infocati (1664-1682), Firenze, Biblio-
teca Nazionale Centrale, Panciatichi 213, pp. 39, 40, 41 (da cui la citazione) e sgg.
3 Cfr. ELENA FASANO GUARINI, Esenzioni e immigrazione a Livorno tra sedicesimo e dicias-
settesimo secolo, in Atti del Convegno «Livorno e il Mediterraneo nell’età medicea» (23-25 settem-
bre 1977), Livorno, Bastogi 1978, pp. 56-76.
4 Le due redazioni (integrate) si leggono in RENZO TOAFF, La nazione ebrea a Livorno e a
Pisa (1591-1700), Firenze, Olschki 1990, pp. 419-31; vedi ora LUCIA FRATTARELLI FISCHER, Le
leggi livornine 1591-1593, Livorno, Debatte 2016, pp. 42-58: 42.
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GIUDEO-ROMANESCO A LIVORNO 49
50 FABRIZIO FRANCESCHINI
‘ornamenti di stile minuti e vani’ (Dizionario della lingua italiana, nuovamente compilato da NI-
COLÒ TOMMASEO e BERNARDO BELLINI, Torino, Unione Tipografico-Editrice 1861-1879, s.vv.);
scorbio, qui anche come sostantivo («un scorbio», p. 55), è variante fiorentina di sgorbio, usata da
Michelangelo Buonarroti il Giovane e Giovan Battista Fagiuoli (vedi Grande dizionario della lin-
gua italiano, diretto da SALVATORE BATTAGLIA e quindi da GIORGIO BÀRBERI SQUAROTTI, Torino,
UTET 1961-2004, d’ora in poi GDLI, s.v. sgorbio).
10 La Tancia. Commedia rusticale, Firenze, Cosimo Giunti 1612; ed. moderna in Teatro del
Seicento, a c. di LUIGI FASSÒ, Milano-Napoli, Ricciardi 1956, pp. 855-1004; cfr. TERESA POGGI
SALANI, Il lessico della «Tancia» di Michelangelo Buonarroti il Giovane, Firenze, La Nuova Italia
1969. La Fiera si legge in MICHELANGELO BUONARROTI IL GIOVANE, Opere, a c. di PIETRO FANFA-
NI, I, Firenze, Felice Le Monnier 1860, e vedi ID., La Fiera. Redazione originaria (1619), a c. di
UBERTO LIMENTANI, Firenze, Olschki 1984.
11 Il testo si legge in GIO. ANDREA MONIGLIA, Delle poesie drammatiche, III, Firenze, Stam-
Poema di Perlone Zipoli, Finaro 1676 (ma probabilmente Firenze, gennaio 1677), e quindi con le
annotazioni di Paolo Minucci e il titolo Malmantile racquistato. Poema di Perlone Zipoli, con le
note di Puccio Lamoni, dedicato alla gloriosa memoria del sereniss. e reverendiss. sig. principe cardi-
nale Leopoldo de’ Medici e risegnato alla protezione del sereniss. e reverendiss. sig. principe cardina-
le Francesco Maria, nipote di Sua Altezza Reale, Firenze, Stamperia di S.A.S. alla Condotta 1688
(che cito per il testo e, come MINUCCI, ed. 1688, per le relative note). Per tali edizioni e le succes-
sive, annotate da Anton Maria Salvini e Antonio Maria Biscioni, cfr. CHIARA D’AFFLITTO, CINZIA
CARMINATI, Lippi, Lorenzo, in Dizionario Biografico…, 65, 2005, pp. 216-24 (anche in linea); per
le testualità implicate vedi MARIA CRISTINA CABANI, Testo e commento nel «Malmantile racquista-
to», in EAD., Eroi comici. Saggi su un genere seicentesco, Lecce-Brescia, Pensa 2010, pp. 115-51.
13 Toscanismo della tradizione comica per ‘cocciuto, ostinato’: GDLI, s.v. (primo es. G. B.
Fagiuoli); PIETRO FANFANI, Vocabolario dell’uso toscano, Firenze, Barbèra 1863, s.v.
14 Cfr. già «e più ribobol hai ch’un ciurmadore» in BUONARROTI IL GIOVANE, La Tancia, A. I,
Malmantile (II 2 1, IV 72 5, XII 39 1) ed è detta dal MINUCCI, ed. 1688, p. 220, «poco usata, fuor
che nel contado» toscano, ov’era diffuso il passaggio antifiorentino dell’esse postconsonantica ad
affricata (il sezzo > il zezzo).
16 Fradicio mezzo vale ‘bagnato zuppo’ (Malmantile VII 26 4), quindi ‘tu mi hai sommerso’
GIUDEO-ROMANESCO A LIVORNO 51
registri più bassi e demotici, inanellando detti proverbiali noti alla tradizio-
ne comica, talora ancor vivi e comunque presenti nel Malmantile: bastino
ad esempio le battute di Scorbio nelle sc. II e III («e già di servitor fatto
bastiere / vo battendo la borra a più potere17 / […] n’abbiam fatto la zup-
pa nel paniere»)18, oppure nell’A. II sc. XV, «Se costei d’ingegno gioca, /
bell’è fatto il becco all’oca19. / Con la donna ch’ha cervello / il politico e ’l
monello / l’arte perdono e ’l sentiero». I due servi attingono inoltre ai ger-
ghi storici, come mostrano in Scorbio il citato «monello»20 e «amic[o] di
calca» ‘furfante’ (A. III, sc. II)21 o in Fronzo «batter il taccone» (A. I, sc.
XIV)22 e «pigliate il puleggio» (A. II, sc. V)23. Lo stesso Fronzo fa infine
uso della cosiddetta lingua ionadattica, basata sulla sostituzione di certe
parole con altre di identica sillaba iniziale, come mostrano nella sc. XI (pp.
25-26) rama invece di rabbia («Che gli venga la rama!»)24, incette invece di
inchieste ‘richieste’ («O ve’ che incette»)25 e uria ‘augurio’ invece di ubbia
17 Battere la borra è un’espressione legata alla lavorazione dei cascami della lana (con cui si
imbottivano basti e selle) e vale per metafora, dato il caratteristico rumore dell’operazione, «bat-
tere i denti per causa del freddo» (MINUCCI, ed. 1688, p. 384, a Malmantile VIII 6 3-4: «Le Nin-
fe, ch’il vedean batter la borra / tutte gli son co’ panni caldi attorno»).
18 Modo ancor vivo per ‘fare una cosa inutile, assurda’, già in Cecchi, Buonarroti il Giovane,
nel Malmantile, II 13 5.
20 ‘Furfante, birbone’, voce gergale: cfr. Malmantile, III 67 5 «maestro de’ bianti e de’ mo-
nelli» (ove pure bianti «bricconi e vagabondi»: MINUCCI, ed. 1688, p. 179); SALVATOR ROSA, Le
Satire, Milano, Istituto Editoriale Italiano s. i. d., La Pittura, p. 130 «e facchini e monelli e taglia-
borse». Per la discussione sul lemma, con contributi di Gianfranco Folena, Ottavio Lurati ecc.,
rinvio per brevità a FRANCESCHINI, Livorno, la Venezia…, pp. 124-26 e note.
21 Cfr. PULCI, Morgante, XVIII 122 7, «in furba o in calca o in béstrica» e Malmantile, I 37
7, «son di calca e borsaiuoli»; per più ampi confronti ANGELICO PRATI, Voci di gerganti, vagabon-
di e malviventi studiate nell’origine e nella storia, Pisa, Cursi 1940, ed ERNESTO FERRERO, Dizio-
nario storico dei gerghi italiani. Dal Quattrocento a oggi, Milano, Mondadori 1991, s.v. calca ‘ac-
cattonaggio, compagnia di ladri’ (con anche calcosa ‘via’, per quanto segue).
22 A. I, sc. XIV: «voglio battere il taccone»; in Malmantile, III 70 6 «fa di mestieri battere il
taccone», con MINUCCI, ed. 1688, pp. 181-82: «batter il taccone è lo stesso che batter la calcosa
[…] cioè ‘camminar via, andarsene’. Si dice anche battersela. E taccone si dice il suolo della scar-
pa, cioè quella parte che posa in terra».
23 Cfr. Malmantile, I 80 3, annotato dal MINUCCI, ed. 1688, p. 61, «pigliar il puleggio, ‘andar
via, pigliar il cammino’. È frase marinaresca»; l’espressione, che include un lemma dantesco (Pd.
XXIII 67, secondo certi mss. e con variazione della prima vocale), è già in PULCI, Morgante, XX-
VII 261 5, trova ampi riscontri nella tradizione comica toscana (GDLI, s.v. pileggio, n° 6) e torna
in FANFANI, Vocabolario dell’uso…, s.v. puleggio.
24 Cfr. Malmantile, IV 69 7, «pensa s’allor mi venne la rapina», con MINUCCI, ed. 1688, p.
219: «mi venne la rapina ‘mi venne rabbia’ […]. Rapina vuol dire ‘rubamento violento’ […], ma
dalle nostre donne è presa in cambio di rabbia».
25 Analogamente il Panciatichi, amico del Susini, mostra incettare ‘far incetta’ invece di rac-
cettare ‘dar ricetto’: LORENZO PANCIATICHI, Contraccicalata alla cicalata dell’Imperfetto [Orazio
Rucellai] sopra la lingua ionadattica [1662], in ID., Scritti vari, a c. di CESARE GUASTI, Firenze,
Felice Le Monnier 1856, pp. 89-112: 93.
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52 FABRIZIO FRANCESCHINI
26 Cfr. Malmantile, III 71 4, «un segno, che le ha data cattiv’uria» ‘cattivo augurio’, e
MINUCCI, ed. 1688, p. 182: «questa voce uria, corrotta da augurio […], s’intende […] che sia
usata invece di uggia […], o forse invece d’ubbia, che suona lo stesso».
27 Arricchiscono i valori espressivi del Podestà di Colognole il tartagliare di Desso e i finti in-
cantesimi di Bruscolo, e tali espedienti tornano, non a caso, nei personaggi di Tartaglia (con forti
effetti di doppio senso) e del Mago in [FILIPPO ACCIAIUOLI], Girello. Dramma musicale burlescho
del signor N. N., Ronciglione, In Navona all’insegna della Pace 1668 (anche in linea), musica del-
lo stesso Jacopo Melani e, per il prologo, di Alessandro Stradella, nuova ed. a c. di ALESSIO BAC-
CI, CARLO IPATA, Pisa, Fondazione Teatro di Pisa-Pacini 2017. Per un confronto tra Podestà di
Colognole e Nozze in sogno, ma sotto il profilo artistico e musicale, cfr. JAMES S. LEVE, Humor
and Intrigue. A Comparative Study of Comic Opera in Florence and Rome during the Late Seven-
teenth Century, Ph, D. Dissertation, Yale University 1998, pp. 138-71, cit. da MICHELASSI, VUEL-
TA GARCÍA, Antonio Cesti…, pp. 213-14.
28 Così GIOVANNI CINELLI, Vita dell’autore, in Malmantile racquistato…, ed. 1676.
29 MINUCCI, ed. 1688, p. 520.
30 Malmantile, IV 14 6-8
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Acchucchiare, -i vale ‘accoppiare, mettere insieme’ < ADCOPULARE (GERHARD ROHLFS, Nuovo di-
zionario dialettale della Calabria, Ravenna, Longo 1977, s.v.). Faiu, invece di cal. fazzu, pare co-
niato su aju ‘ho’, come il toscano fò su ho. Spantiusa, modellato sui maschili in -usu (ID., Gram-
matica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino, Einaudi 1966-69, § 1125), rinvia a
spantu ‘stupore’ o a spanticare ‘spaventare’, ‘sbalordire’ (ID., Nuovo dizionario…, s.vv.).
32 Cutrona pare un incrocio tra il dialettale Cutronu, Cutruni ‘Crotone’ (ID., Dizionario topo-
nomastico e onomastico della Calabria, Ravenna, Longo 1974, s.v.) e Cortona, sempre in omaggio
al «parlar tuscanoso» di Giangurgolo.
33 Zan richiama il settentrionale Zanni e Gurgolo il lat. curculio ‘gorgozzule’, sicché «Zan
Gurgolo rispecchia […] una raffigurazione realistica del contadino bergamasco […] dal volumi-
noso gozzo»: PAOLO TOSCHI, Le origini del teatro italiano. Origini rituali della rappresentazione
popolare in Italia, Torino, Boringhieri 1976², p. 212.
34 Cfr. BENEDETTO CROCE, I teatri di Napoli, dal Rinascimento alla fine del secolo decimotta-
vo, Napoli, Pierro 1891, quindi Milano, Adelphi 1992, p. 46 e vedi pp. 51, 81, 117.
35 Cortedazze ‘coltellacci’ mostra il rotacismo di l preconsonantica, la realizzazione invertita
54 FABRIZIO FRANCESCHINI
FRONZO
Forse gl’Ebrei? […]
Appunto han le Capanne;
sarebbe cosa spanta37.
GIANGURGOLO
Tuozzola l’amparanta38.
dincele che n’ voi far lo mormorizo
con iddi39, e nui pe’ dintu ce schiaffamo
e le trotoleiamo40.
febbre delira (1659), in Scritti vari…, p. 80: «per aver qualcosa spanta / […] egli in villa i pini
pianta / colla barba volta in su»; analogamente Malmantile, VI 55 1, «si maraviglia, si stupisce e
spanta», in serie sinonimica, su cui MINUCCI, ed. 1688, p. 290.
38 ‘Bussa alla capanna’, cioè, secondo il termine ebraico, alla sukkà costruita ritualmente
presso la sinagoga, ove gli ebrei sono riuniti per la detta festa. Cfr. ROHLFS, Nuovo dizionario…,
s.vv. tozzulïare ‘bussare’ e parata ‘capanna del pastore’ (a Serrastretta e Filadelfia nel catanzare-
se), qui con doppio infisso nasale (mparanta) a fini espressionistici.
39 ‘Diglielo che vuoi fare due chiacchere con loro’. In dìncele si ha nci < *HINCE per ‘gli o ‘ci’
(ROHLFS Grammatica storica…, §§ 458, 460, 464). Murmurizzu ‘mormorio’ è in ID., Nuovo dizio-
nario…, p. 443; iddi muove da ILLI con sviluppo in retroflessa di -LL-.
40 ‘E noi ci precipitiamo dentro e li bastoniamo’: trottoleare sembra incrocio burlesco tra il
toscano trottola e il citato tozzulïare, ‘bussare (alla porta)’ ma anche ‘bussare, bastonare’.
41 Questa organizzazione dello spazio, funzionale alle esigenze sceniche, non corrisponde però
a quella reale, dato che Livorno non aveva ghetto e gli ebrei abitavano in città, mentre il loro cimi-
tero (l’«abitazione / ch’alla morta Giudea Livorno alloga») all’epoca era fuori delle mura e senza
recinti: cfr. STEFANO VILLANI, Alcune note sulle recinzioni dei cimiteri acattolici livornesi, «Nuovi
Studi Livornesi», XI (2004), pp. 35-51; PANESSA, LAZZERINI, La Livorno delle Nazioni…, p. 7.
42 Vedi già Malmantile, IV 23 5, «o ser Isac, o Abramo, o Iacodino», col commento di MI-
NUCCI, ed. 1688, p. 202. Iacodino è un apparente nome proprio costruito sul pl. ebraico yehudìm
‘ebrei’. Nei testi di ambiente romano la forma figura in effetti al plurale: cfr. «tra li altri Iacodim-
mi» in Li strapazzati. Farsa di norcini e giudiata, commedia nova di Giovanni Briccio romano, Ro-
ma, Guglielmo Facciotti 1627, A. II sc. 3, su cui BARBARA SANTAMBROGIO, Il giudeo-italiano nelle
fonti esterne: «Li Strapazzati» di Giovanni Briccio, «ACME», L, 1 (1997), pp. 245-57: 247; «o Iac-
codimmi, / dateci qualche aiuto!» in GIUSEPPE BERNERI, Il Meo Patacca ovvero Roma in Feste nei
Trionfi di Vienna, XII 19 7-8, nell’ed. a c. di BARTOLOMEO ROSSETTI, Roma, Avanzini e Torraca
1966, p. 413; Raccolta di voci romane e marchiane riprodotta secondo la stampa del 1768, con pre-
fazione di CLEMENTE MERLO, Roma, Società Filologica Romana 1932, p. 40. L’estensione al sin-
golare («il più ruvinato Hiecodì che sia fra tutti li Hiecodì») è già in Lo Schiavetto, comedia di
Gio. Battista Andreini, comico fedele detto Lelio, Milano, P. Malatesta 6 ottobre 1612, ora in
Commedie dei Comici dell’Arte, a c. di LAURA FALAVOLTI, Torino, UTET 1982, pp. 57-213: 110
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GIUDEO-ROMANESCO A LIVORNO 55
va conciando le quoia
per rifar i calcetti43 a Tentennino.
L’immagine di ‘ser Iacodino che concia e tira le cuoia per rifare gli scar-
pini a Tentennino’ riprende il riferimento alle attività di conciatori e cia-
battini degli ebrei (vedi sopra causari ‘calzari’), allude a comuni metafore
toscane per ‘morire’44, appropriate al paesaggio cimiteriale, ma indica so-
prattutto uno stretto rapporto tra l’ebreo e Tentennino cioè il diavolo45,
anticipando gli sviluppi successivi. A questo punto arriva gente e Giangur-
golo, allarmato, grida «Ieh, cumpagnuni, / ’ncafognamoce dintu all’infra-
scuni»46, mentre Fronzo, si nasconde in una «sepoltura» e «scend[e] pian
pian dal popol d’Isdraelle» (sc. XXII).
(e vedi l’ed. Venezia, Gio. Battista Ciotti 1620, p. 64, consultabile anche in linea nel sito
https://archive.org): cfr. MARIA MAYER MODENA, A proposito di una scena «all’ebraica» nello
«Schiavetto» dell’Andreini, «ACME», XLIII, 3 (1990), pp. 73-81: 75, e UMBERTO FORTIS, La vita
quotidiana nel ghetto. Storia e società nella rappresentazione letteraria (sec. XIII-XX), Livorno, S.
Belforte 2012, pp. 171-80: 176.
43 Calcetti, anche in Malmantile, X 6 3, vale «scarpini di panno lino […] e […] ancora quel-
le scarpe di quojo sottile […] che usano i ballerini» (MINUCCI, ed. 1688, p. 465).
44 Vedi Malmantile, IV 20 1-4, e MINUCCI, ed. 1688, p. 200: «Tirar le quoia […] come fanno
i ciabattini e i calzolai, che tirano i quoi per condurgli a quella misura, che vogliono […]. Lo
scherzo dell’equivoco nasce da tirar le quoia, che vuol dir ‘morire’». Analogo senso ha l’espres-
sione tirare i calcetti o il calzino.
45 Vedi Malmantile, III 69 1-2, «Costei è quella strega maliarda, / che manda i cavallucci a
Tentennino», cioè evoca il diavolo, col commento di MINUCCI, ed. 1688, pp. 180-81: mandare i
cavallucci vale ‘inviare citazioni del giudice criminale’ («in Firenze […] cavallucci»), mentre
«Tentennino [è] nome dato dalle nostre donne al Demonio per non lo chiamare Diavolo, quasi
tentatore», voce con cui Tentennino, secondo il principio ionadattico, condivide le lettere iniziali.
Analogamente FANFANI, Vocabolario dell’uso…, s.v. Tentennino.
46 ‘Su, compagni, infogniamoci tra le frasche’; ieh o ia’ è tipico intercalare calabrese per
‘andiamo!’.
47 La numerazione dei versi è mia; gli interventi di Filandra citati sono tra quadre, quelli
56 FABRIZIO FRANCESCHINI
GIUDEO-ROMANESCO A LIVORNO 57
Samuel Samuel / venit a bess, venit a bess /Adanai che l’è lo Goi / ch’è ve-
nut con lo moscogn [‘pegno’] […]. L’è sabbà cha no podem»48.
Dal punto di vista lessicale, l’impronta giudeo-italiana è garantita da nu-
merosi ebraismi, alcuni assai noti e diffusi (Sciabà < ebr. Shabbat ‘sabato,
festa’49; goi < ebr. goy ‘gentile, cristiano’50) e molti altri, invece, dall’aria
esotica e dal senso criptico, che il contesto e talora le stesse parole di Mosè
aiutano però a chiarire:
zaù ‘quattrini, denari’ (8), dall’ebr. postbiblico zahuv ‘moneta d’oro’; vedi nelle
Novantanove disgrazie di Pulcinella del Mancinelli, zacù («li cinquanta mengoti
[…] li cinquanta zacù») o zagù («li cinquanta zagù […] li cinquanta scudi»)51; za-
gurri ‘quattrini’, passato dal giudeo-romanesco ai non ebrei52; zevvin ‘quattrini’,
dal pl. ebraico zehuvim, in Andreini, Lo Schiavetto, a. II, sc. VI53;
callà ‘sposa, fidanzata’, qui f. pl. (14), dall’ebr. kallà, ‘id.’, praticamente di tutte
le varietà giudeo-italiana (Roma, Livorno, Firenze e, come calà per degeminazione,
Modena, Mantova, Venezia, Trieste, ecc.)54;
cacam, ‘sapiente, saggio’, qui m. pl. (17), dall’ ebr. chakhàm, ‘rabbino’ o ‘perso-
na importante della comunità’55;
argato ‘ucciso’ (18), dall’ebr. haràg ‘uccidere’ integrato nella coniugazione. in -
are, già in Briccio, Li Strapazzati, A. II sc. III, «Oh che singa achargato»’, e nelle
parlate di Roma, Pitigliano, Livorno56, Verona e del Piemonte57;
no 1597, p. 32; vedi, anche per altri confronti, FORTIS, La vita quotidiana…, pp. 139-53: 146;
ERICA BARICCI, La scena «all’ebraica» nel teatro del Rinascimento, «ACME», LXIII, 1 (2010), pp.
135-63: 141-49.
49 Cfr., per la Toscana, FANFANI, Vocabolario dell’uso… s.v. sciabà, ‘giorno di festa, allegria’, e
analogamente GIUSEPPE MALAGOLI, Vocabolario pisano, Firenze, Accademia della Crusca 1939, s.v.
50 Cfr. FABRIZIO FRANCESCHINI, Tre voci di origine giudeo-italiana dal primo Ottocento a oggi:
«bagitto» ‘giudeo-livornese’, «gambero» ‘ladro’, «goio» ‘sciocco’, «Lingua Nostra», LXXII, 3-4
(2011), pp. 106-15.
51 Le novantanove disgrazie di Pulcinella, commedia sesta presa dall’improvviso, composta, ac-
cresciuta ed abbellita […] da Gregorio Mancinelli romano, Roma 1769 e quindi ivi, Gio. Battista
Cannetti 1807 (anche in linea), da cui cito, pp. 57-58.
52 GIGGI ZANAZZO, Parole del gergo ebraico-vernacolo usate anche dal popolo di Roma, in ID.,
Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma, Torino, Società tipografico-editrice nazionale 1908,
pp. 467-70: 470 (altra ipotesi in MARCELLO APRILE, Grammatica storica delle parlate giudeo-italia-
ne, Galatina, Congedo 2012, p. 246).
53 FALAVOLTI, Commedie dei Comici…, p. 110; cfr. MAYER MODENA, A proposito di una
scena…, p. 75, e FORTIS, La vita quotidiana…, p. 172 e n. 81; APRILE, Grammatica…, p. 245.
54 UMBERTO FORTIS, La parlata degli ebrei di Venezia e le parlate giudeo-italiane, Firenze,
to’, in GUIDO BEDARIDA, Ebrei di Livorno. Tradizioni e gergo in 180 sonetti giudaico-livornesi, Fi-
renze, Le Monnier 1956, p. 165 e n. 1.
57 APRILE, Grammatica storica…, p. 171.
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58 Ivi, p. 287; ZANAZZO, Gergo dei numeri dei «Bagarini», in ID., Usi e costumi…, p. 465.
59 FORTIS, La parlata…, pp. 303-4; APRILE, Grammatica storica…, p. 249.
60 CRESCENZO DEL MONTE, ATTILIO MILANO [1955, 1964], Glossario del dialetto giudaico-ro-
manesco, ora in DEL MONTE, Sonetti giudaico-romaneschi, sonetti romaneschi, prose e versioni, a
c. di MICAELA PROCACCIA, MARCELLO TEODONIO, Firenze, La Giuntina 2007, pp. 615-71: 643;
APRILE, Grammatica storica…, p. 247.
61 Vedi anche, dal veneziano geto e quindi ghetto (Marin Sanudo, ante 1536), ghetti (sing.:
20, forse, e più oltre) vicino al giudeo-romanesco ghette, alternante con ghett (25), giudeo-anco-
netano oltre che nord-italiano: APRILE, Grammatica storica…, p. 253.
62 Vedi MARCO MANCINI, Sulla formazione dell’identità linguistica giudeo-romanesca fra tardo
Translations of Isaiah, «Romance Philology», X (1957), p. 254, «la più costante caratteristica del
giudeo-italiano», presente a Roma, Firenze, Livorno, Mantova ecc., e già nel testo studiato da
UMBERTO CASSUTO, Un’antichissima elegia in dialetto giudeo-italiano, «Archivio Glottologico Ita-
liano», XXII-XXIII (1929), pp. 349-408: 380-83, e in antichi testi giudeo-romaneschi. Manca in-
vece dai coevi testi romani (MANCINI, Sulla formazione…, pp. 101 e 122, ma vedi anche LUISA
FERRETTI CUOMO, Una traduzione giudeo-romanesca del libro di Giona, Tübingen, Niemeyer
1988, pp. 46-47).
64 Vedi in generale GIOVANNA MASSARIELLO MERZAGORA, Giudeo-Italiano. Dialetti italiani
parlati dagli Ebrei d’Italia, Pisa, Pacini 1977, con FRANCESCHINI, Livorno, la Venezia…, pp. 201-
10. Anche l’estensione di -i a singolari quali Iacobbi 33, e più oltre, un incanti, un corpi, ecc. trova
confronti giudeo-livornesi in un’imbasciati, un’urtonati della Betulia liberata in dialetto ebraico e
in santa paci, roba tareffi del Guarducci (FABRIZIO FRANCESCHINI, Giovanni Guarducci, il bagitto
e il Risorgimento. Testi giudeo-livornesi 1842-1863 e Glossario, Livorno, S. Belforte 2013, p. 201).
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vantanove disgrazie…, p. 56, «spendereti poco e stareti bene»; p. 58 «non dubitati […] veniti
[…] sentiti» ecc.
67 Cfr. La Vedova, commedia di M. Giovambattista Cini, rappresentata in onore del Serenissi-
mo Arciduca Carlo d’Austria nella venuta sua in Fiorenza l’anno MDLXIX, Firenze, Giunti 1569,
e quindi, con introduzione di BENEDETTO CROCE, Napoli, Philobiblon 1953: qui, in contesto to-
scano, compaiono napoletano, siciliano, veneziano e bergamasco.
68 Ove abbiamo il «villano delle montagne di Norcia» padre di Violetta l’amorosa, Zanni il
facchino, «Pantalone veneziano, Babbione villano goffo, Pasquarello napoletano […], un Giudio
ed alcuni compagni» (SANTAMBROGIO, Il giudeo-italiano…, p. 246).
69 Li diversi linguaggi, comedia del sig. Vergilio Verucci, Gentil’huomo romano Dottor di legge
ecc., Venezia, Spineda 1627 (anche in linea nel sito https://archive.org) e già ivi, Alessandro Vec-
chi 1609, mostra «questo romano» e altre nove varietà, indicate nel Prologo da Giorgetto: «un
Franzese, un Venetiano, un Bergamasco, un Napolitano, o un parlar Fiorentino, o Matricciano, o
Ceciliano, o Perugino, o Bolognese» (ed. Spineda 1627, p. 4, e vedine ora l’edizione in LUCIANO
MARITI, Commedia ridicolosa. Comici di professione, dilettanti, editoria teatrale nel Seicento. Sto-
ria e testi, Roma, Bulzoni 1978, pp. 109-206: 110). Su questo testo e più in generale sull’ambiente
teatrale romano vedi CLAUDIO GIOVANARDI, Roma e le sue lingue nelle commedie del Rinascimen-
to, in Scrivere il volgare fra Medioevo e Rinascimento, a c. di NADIA CANNATA, MARIA ANTONIET-
TA GRIGNANI, Pisa, Pacini 2009, pp. 199-211, e ID., Sulla lingua delle commedie “ridicolose” ro-
mane del Seicento, «La lingua italiana», VI (2010), pp. 101-21.
70 LUCA D’ONGHIA, Aspetti della lingua comica di Giovan Battista Andreini, «La lingua ita-
liana», VII (2011), pp. 57-80: 68-69. Alcune composizioni, benché di altro genere, di Giulio
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notare che il tipico schema a coppie della Commedia dell’Arte (gli amorosi
Flammiro-Lucinda e Lelio-Emilia, i due mercanti, i due servi) e l’assegna-
zione stereotipa dei registri linguistici ai personaggi qui sono integrati o
meglio superati, come nello Schiavetto dell’Andreini (1612)71, tramite l’in-
serimento di varietà eccentriche o molto marcate quali, nel nostro caso, il
calabrese e il giudeo-romanesco, tanto più stravagante dato il contesto to-
scano (ma di questo più oltre).
5. L’ebreo stregone
Cesare Croce giungono a impiegare sino a «diecisette linguaggi», come detta il titolo delle sue
Disgratie del Zane ecc., Bologna, Heredi di Bartol. Cochi 1621: cfr. FABIO FORESTI, Per una lettu-
ra critica dell’opera di Giulio Cesare Croce, «Rivista Italiana di Dialettologia. Lingue dialetti so-
cietà», XXXVI (2012), pp. 193-234, e FEDERICO BARICCI, Sogno del Zambù in lingua bergamasca,
descritto in un soneto di molti linguaggi, in Giulio Cesare Croce autore plurilingue, a c. di LUCA
D’ONGHIA, Alessandria, Edizioni dell’Orso 2017, pp. 7-37.
71 Ove troviamo in particolare «il fiorentino demotico dell’albergatrice Succiola, il furbesco
dei malandrini […], il giudeo-italiano dei mercanti ebrei»: vedi D’ONGHIA, Aspetti della lingua
comica…, p. 68.
72 ‘Strega’, da ebr. mekhashefà ‘id.’; cfr. mahhasefà: ‘id.’ a Torino, machascèffe ‘stregone’ a Ro-
GIUDEO-ROMANESCO A LIVORNO 61
75 Così la stampa, ma si potrebbe emendare in a ffetti, con plur. in -i di fetta: ‘il tutto, fatto a
pezzetti, si bruci’.
76 ‘Coltello’, da ebr. sakìn ‘id.’, in giudeo-romanesco come zachìmme (ZANAZZO, Parole del
gergo…, p. 470) o zachinìmme, pl. con valore di sing. (DEL MONTE, MILANO, Glossario del dialet-
to…, p. 670). Per la possibile, ma discussa, derivazione da questa voce del gergale saccagno, zac-
cagno ‘id.’ vedi FERRERO, Dizionario storico dei gerghi…, p. 291.
77 ‘Povero me’: vedi scuri iornati, scuro Satan in GIOVANNI BRICCIO, Li Strapazzati, Roma,
Facciotti 1627, A. II, sc. III; scuri Sciabadai ‘poveri noi Ebrei’ in BERNERI, Il Meo Patacca…, XII
19 4; DEL MONTE, MILANO, Glossario del dialetto…, s.v. scurore ‘tristezza’; il bagitto ha invece
negro de me (BEDARIDA, Ebrei di Livorno…, p. 15), modellato sul portoghese negro de mim.
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62 FABRIZIO FRANCESCHINI
Il Susini dunque, come gli autori degli Strapazzati, dello Schiavetto e già di
certe rappresentazioni quattrocentesche78, sciorina una serie di nomi ebrai-
ci e chiude con la bastonatura degli ebrei; l’episodio però si incentra sul
più scabroso e originale tema magico.
Prima troviamo riferimenti alle più diffuse tecniche di divinazione o fat-
tura, citate anche nel Malmantile colle note del Minucci («fare lo staccio, o
il pentolino, o la caraffa»)79 e descritte in dettaglio, perché in odore d’ere-
sia, nei manuali per inquisitori80. In questi riti si invocano santi e angeli81,
ma la magia più potente si lega al mondo ebraico, al suo alfabeto e ai suoi
teonimi82: ad esempio, gli atti di un processo celebrato a Pisa nel 165683
mostrano, in un disegno, le forbici usate per il rituale dello staccio dal fio-
rentino Francesco Palandri, con la scritta «adonai i(n) principiu(m)» e quat-
78 Cfr. La rappresentazione d’uno miracolo del corpo di Cristo, in NERIDA NEWBIGIN (a c. di),
Dieci sacre rappresentazioni fra Quattro e Cinquecento, «Letteratura Italiana Antica», 10 (2009),
pp. 74-97: 96: «El Podestà dice al Cavaliere e a’ Birri: Chiamate […] questi giudei […]: Abràm,
Davìd, Jacòb e Salamone / Sabbato, Isaac, Jacòb ed Abramino / e Samuel, Josefe quel ghiotto-
ne, / Natàl e Giubba e quel Manovellino, / e quell’altro Josefe Quadroballa, / Amicca, Acadde
e Rechilla e Jacalla. Ora va el Cavaliere a trovare e Giudei e bastonangli quanto possono». Questo
dramma, conservato da stampe del 1495 ca., fu rappresentato da attori fiorentini a Roma, l’8
giugno 1473, nelle feste per Eleonora d’Aragona organizzate dal cardinal Riario: cfr. NERIDA
NEWBIGIN, Feste d’Oltrarno: plays in churches in fifteenth-century Florence, I, Firenze, Olschki
1996, pp. 140-41; PIETRO DELCORNO, The Roles of Jews in the Florentine «Sacre Rappresentazio-
ni»: Loyal Citizens, People to Be Converted, Enemies in the Faith, in JONATHAN ADAMS, JUSSI
HANSKA (eds.), The Jewish-Christian Encounter in Medieval Preaching, New York, Routledge
2015, pp. 253-81: 258-59. Riferimenti a questa rappresentazione, in un ampio quadro europeo,
in ENRICO GIACCHERINI, L’“ebreo” nella letteratura inglese medievale, Pisa, University Press
2016, pp. 79-123.
79 MINUCCI, ed. 1688, p. 181.
80 Cfr. UMBERTO LOCATI, Opus quod iudiciale inquisitorum dicitur, Roma 1570, cit. da ADRIA-
NO PROSPERI, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Torino, Einaudi 1996,
p. 396 n. 77; Prattica per provedere nelle cause del tribunale del Sant’Officio, redatta in volgare nel
primo Seicento ed edita da GIAN LUCA D’ERRICO, I sortilegi, in Sortilegi amorosi, materassi a nolo
e pignattini. Processi inquisitoriali del XVII secolo fra Bologna e il Salento, a c. di UMBERTO MAZ-
ZONE, CLAUDIA PANCINO, Roma, Carocci 2008, pp. 119-70: 169 per la caraffa e 167 per lo staccio
con le forbici e le «statue di cera, trafiggendole con aghi e facendole a poco a poco dileguare al
fuoco».
81 Vedi D’ERRICO, I sortilegi…, p. 139, per la testimonianza di Elena Dall’Aglio (Bologna,
28 novembre 1662), con la formula magica «per San Pietro per San Paolo, se il tale ha avuto …
[si nominava l’oggetto rubato], il Setaccio si mova», e cfr. MARINA CAFFIERO, Legami pericolosi.
Ebrei e cristiani tra eresia, libri proibiti e stregoneria, Torino, Einaudi 2012, p. 107, per l’editto
del gennaio 1692 che condanna «l’esperimento della caraffa, del crivello, per trovar […] tesori,
cose nascoste o rubbate o perdute […], massime con abuso de’ sacramenti, o di cose sacre o
benedette».
82 Ivi, pp. 97, 122-33 e passim.
83 PAOLO CASTIGNOLI, Filtri d’amore e malie. Appunti sulle fattucchiere a Livorno nel Seicento,
in Sul filo della scrittura. Fonti e temi per la storia delle donne a Livorno, a c. di LUCIA FRATTARELLI
FISCHER, OLIMPIA VACCARI, Pisa, PLUS 2005, pp. 177-91: 180-81.
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GIUDEO-ROMANESCO A LIVORNO 63
tro segni ebraici interpretabili come eloì 84, mentre alla caraffa divinatoria è
associata la scritta «(eloi) adonatos», forse incrocio tra adonai e il greco
athánatos ‘immortale’.
Il nostro stregone ebreo però va ben oltre queste pratiche della magia
popolare e non si accontenta nemmeno delle formule magiche ebraizzanti
già note al teatro toscano di argomento sacro85, ma passa alle magie di
massima potenza, cui non a caso si associa una carica antigiudaica assai più
forte. Ecco dunque l’identificazione degli ebrei col maiale, presente anche
nelle giudiate romane del Sei-Settecento86, e l’immagine del sabba in Sina-
goga, con follitti e donne cristiane a cavalcioni dei «rabbini nostri / in for-
ma di gazzir»87. L’operazione estrema è il prelievo del «cor umano» di un
ebreo morto, da bruciare con «funi, chiodi, capelli» in modo da legare e
inchiodare il cuore dell’amato alla donna che ordina la malia. Simili opera-
zioni magiche su cadaveri potevano esser suggerite da Apuleio, tradotto
dal Firenzuola88, o dal Basile che, in una novella rifatta dal Lippi, parla di
una magia con «lo core de no drago marino»89. Difficile però non vedere,
84 Attorno al manico circolare delle forbici sono disposti, da destra a sinistra, i caratteri א
aleph in forma corsiva, לlamed, וwaw (invece di )ה, יyod, sicché la scritta imita in malo modo
l’ebraico אלהי.
85 Nella Rappresentazione di Costantino Imperatore, San Silvestro Papa e Sant’Elena, Firenze
1510 ca., ristampata a Firenze, Siena e, ancora nel 1618, a Orvieto, un negromante cerca vana-
mente di salvare dalla morte il crudele Quirino, colpevole del martirio di San Timoteo, con for-
mule come «Berith: Charith: Surith»; più oltre il mago ebreo Zambrì opera un prodigio (vedi ol-
tre) «con parola che nessuno intende» ma che contiene «el nome santo e pio / del vero creator e
magno Dio»: cfr. ALESSANDRO D’ANCONA, Sacre rappresentazioni dei secoli XIV, XV, XVI, Firen-
ze, Le Monnier 1872, II, pp. 187-234: 201 e 217-18, e ora GIANNI CICALI, L’«Inventio crucis» nel
teatro rinascimentale fiorentino. Una leggenda tra spettacolo, antisemitismo e propaganda, Firenze,
Società Editrice Fiorentina 2012, pp. 85-88 e sgg.
86 Secondo le proteste inviate dall’Università ebraica alle autorità di Roma, nei cortei di carri
con scene antigiudaiche organizzati nel carnevale del 1711 si fingeva «di scorticare un Hebreo,
ferendolo a guisa di un porco», mentre nel 1715 si derideva «il pane azzimo e altri riti della detta
Legge Mosaica, facendo comparire Moisè e i Rabbini in figura di mezzo uomo e mezzo porco»:
CAFFIERO, Legami pericolosi…, pp. 363-64 e cfr. p. 116.
87 Di presunte orge di cristiane ed ebrei, nella festa del sabato, si parla nel 1756 a Landskron
in Carinzia: vedi CHARLES NOVAK, Jakob Frank le faux messie. Déviance de la kabbale ou théorie
du complot, Paris, l’Harmattan 2012, p. 50.
88 Vedi Metamorfosi, III, cap. 18, così reso: «Quivi era […] piastre di metallo piene di non
conosciute lettere […]; quivi si trovavan de’ sepolti corpi infinite membra […]; più là un’ampol-
la di sangue di morti da omicida coltello […]. E avendo dette molte parole sopra tutte quelle co-
se […], e avviluppando que’ capelli insieme con molti odori, gli gettò ad abbruciare» (APULEIO,
Dell’Asino d’oro, tradotto per m. Agnolo Firenzuola fiorentino, Firenze, Filippo Giunti 1598,
quindi L’Asino d’Oro di Lucio Apuleio volgarizzato da Agnolo Firenzuola, Milano, G. Daelli e
Comp. 1863, pp. 114-15 dell’edizione in linea nel sito liberliber.it).
89 Cfr. GIOVAN BATTISTA BASILE, Lo cunto de li cunti ovvero lo trattenemiento de’ peccerille
[I. 9], a c. di CAROLINA STROMBOLI, Roma, Salerno 2013, I, p. 184. L’episodio (ripreso anche nel
film di Matteo Garrone) è degradato nel Malmantile, II 12 8, con l’espressione «cuor […] d’asi-
no marino», giocata anche sull’effettiva esistenza del bue marino.
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64 FABRIZIO FRANCESCHINI
in questa scena, l’immagine dei perfidi ebrei che con forbici e zacchin infie-
riscono sui corpi umani, come nelle narrazioni e nelle xilografie del «beato
Simonino martire dela cità di Trento»90.
90 Cfr. ARIEL TOAFF, Pasque di sangue. Ebrei d’Europa e omicidi rituali, Bologna, il Mulino
2008², pp. 197-204 e tav. 16, con la riproduzione di una di tali incisioni (Italia settentrionale,
1475-1485).
91 CAFFIERO, Legami pericolosi…, p. 112. Lo stesso figlio spurio di Cosimo de’ Medici don
Giovanni aveva coltivato qabbalà e magia con Benedetto de Blanis e col rabbino Samuel Hagès:
cfr. EDWARD L. GOLDBERG, Jews and Magic in Medici Florence. The Secret World of Benedetto
Blanis, Toronto-Buffalo-London, University of Toronto Press 2011; ARIEL TOAFF, Storie fiorenti-
ne. Alba e tramonto dell’ebreo nel ghetto, Bologna, il Mulino 2013, pp. 169-77.
92 Vedi i suoi pellegrinaggi al santuario di S. Domenico di Soriano in Calabria e la richiesta
ai parenti del Tirolo, il 27 settembre 1639, di «alcune trecce che hanno toccato la reliquia di San
Bastiano, in questi sospetti di peste»: GAETANO PIERACCINI, La stirpe de’ Medici di Cafaggiolo, Fi-
renze, Vallecchi 1947², II, parte seconda, pp. 92-118: 98.
93 PROSPERI, Tribunali della coscienza…, p. 397.
94 Vedi CAFFIERO, Legami pericolosi…, pp. 78-143, e ad indicem per il Morosini e Paolo Se-
bastiano Medici.
95 VALENTINA NIDER, La censura del «Disparate»: l’«Entremés de la Infanta Palancona» (Pisa
GIUDEO-ROMANESCO A LIVORNO 65
resto non s’intende volere esercitare incantesimi o fattucchierie, che sono contra-
rie alla nostra Santa Fede ed a’ buoni costumi. Vivi felice.
Questo accenno allo «scherzo» va forse preso sul serio. Davanti alle pra-
tiche magiche che l’Inquisizione riconduce all’eresia, il nostro testo non
può rispondere nei termini di rappresentazioni cinquecentesche come
quella di San Silvestro Papa e Sant’Elena, citata sopra (nota 85). Qui la ma-
dre di Costantino, fattosi ormai cristiano, propende invece per l’ebraismo
e l’altercatio tra le due fedi, svolta inizialmente in punto di dottrina, si ri-
solve nel confronto diretto tra il mago ebreo Zambrì e San Silvestro (come
già negli Actus Silvestri e nella Legenda Aurea). Il mago, per provare il pri-
mato dell’ebraismo, fa venire un focoso toro e dice «Senza timor suo’ lega-
mi sciogliete / ché presto morto in terra lo vedrete. Sciolto el toro Zambri
gli parla nell’orecchio [con l’impronunciabile teonimo] e il toro casca mor-
to». San Silvestro però, assai più potente, lo risuscita dicendo, ad alta voce,
«per la virtù di quel che morì in croce / levati vivo su, toro feroce», e il
prodigio determina la conversione degli ebrei96. Anche nelle Nozze in so-
gno lo stregone ebreo è sconfitto da una sorta di resurrezione, operata
però non da un papa ma dal servo scaltro Fronzo, dominus dei registri lin-
guistici e delle situazioni: mentre lo stregone ne «cava […] dalla sepoltu-
ra» il corpo e sta per estrargli il cuore, egli salta su, grida «o perfido Giu-
deo e maladetto» e «dà un pugno all’Ebreo», dando il via all’«abbattimen-
to d’Ebrei». Questo formidabile colpo di teatro poteva forse dissolvere,
nella risata degli spettatori, i dubbi che la scena evidentemente suscitava.
66 FABRIZIO FRANCESCHINI
nostri ignoranzi» (p. 39), ove si notano la II plurale in -ti e l’estensione di -i nei femminili plurali
(se non si tratta di singolari, come negli esempi citati sopra, n. 64). Le forme giudeo-romanesche
più caratteristiche sono però attribuite al pittore romano Iacaccia che, tra altre espressioni dialet-
tali e gergali, presenta tavarre (pp. 49, 70-71) col plur. tavarimme (p. 52), dall’ebr. davar ‘azione,
parola, cosa’ giunto a significare ‘nulla, cosa da nulla’, e de monà dall’ebr. emunà ‘fede, fiducia’:
cfr. SANDRA DEBENEDETTI, Parole in giudaico-romanesco in una commedia del Bernini, «Lingua
Nostra», XXXI (1970), pp. 87-89; MARCO MANCINI, Su tre prestiti giudaici nel romanesco comu-
ne, «Studi Linguistici Italiani», XIII (1987), pp. 85-101.
98 Carlo fu creato cardinale il 2 dicembre 1615 mentre, diciannovenne, aveva iniziato a stu-
diare la lingua ebraica (GIAMPIERO BRUNELLI, Medici, Carlo de’, in Dizionario Biografico…, 73,
2009, s.v.). All’epoca il più famoso insegnante della «lingua santa» era Cosimo Svetonio, nato a Fi-
renze da padre ebreo, docente nell’Università di Pisa e protetto da Cosimo II e da Ferdinando II
(«Giornale de’ Letterati», XCVIII, 1795, p. 100). Con lui studiarono l’ebraico altri giovani nobili
di Firenze: vedi MARIA PIA PAOLI, Ricasoli, Pandolfo, in Dizionario Biografico…, 87, 2016, s.v.
99 Cioè il palazzo in Campo Marzio o Palazzo Firenze, il palazzo alla Trinità de’ Monti ossia
Villa Medici e il palazzo Madama oggi sede del Senato, preferito da Carlo come residenza, dei
quali si occupavano Antonio Quaratesi e, dal febbraio 1638, Monanno Monanni: Il Cardinale
Carlo, Maria Maddalena, Don Lorenzo, Ferdinando II, Vittoria della Rovere, a c. di PAOLA BAROC-
CHI, GIOVANNA GAETA BERTELÀ, Firenze, Studio per edizioni scelte 2005 (Collezionismo mediceo
e storia artistica, II, 1), p. 483 e nn. 2 e 3. Agostino Monanni, occupandosi più tardi delle colle-
zioni medicee e dell’addobbo dei palazzi, l’8 novembre 1664 scrive da Roma al cardinale circa
l’«apparato fattosi da’ Signori Principe e Principessa di Bransvich in questo Palazzo di Vostra Al-
tezza Reverendissima»: «la prima camera […] si è parata dagl’Ebrei con arazzi ben ordinati»,
mentre «le camere di sopra l’hanno fatte accomodar pure dagl’Ebrei semplicemente e servono
per le donne e gentiluomini»: ivi (Collezionismo mediceo e storia artistica, II, 2), pp. 1060-61.
100 FRANCESCHINI, Livorno, la Venezia…, pp. 198-211, e vedi LUCIA FRATTARELLI FISCHER, Vi-
vere fuori dal ghetto. Ebrei a Pisa e Livorno (secoli XVI-XVIII), Torino, Zamorani 2008, pp. 135 e
183, per «l’italianizzazione delle Nazioni sefardite […] a partire dalla fine del Seicento».
101 In una lunga battuta di questo personaggio, di professione sensale, si intrecciano tratti an-
titoscani di ampia diffusione giudeo-italiana (ad es «me bece[ri]» invece di mi b-), modi toscani
paragonabili a quelli dei servi delle Nozze in sogno (ad es. «fare un bel tiro, tor molta roba, legare
il paletto» o «sarà fatto il becco alla papera») ed ebraismi come ganavar ‘rubare’, mamon ‘dena-
ro’, ecc. (FALAVOLTI, Commedie dei Comici…, pp. 110-12, su cui FORTIS, La vita quotidiana…,
pp. 176-79). Sul tema, più complesso, tornerò in un contributo dal titolo Le lingue degli ebrei nel
teatro italiano dei secoli XVI-XVII, presentato nel seminario Shem nelle tende di Yafet. Ebrei ed
ebraismo nei luoghi, nelle lingue e nelle culture degli altri (Pisa,14 febbraio 2018) e destinato alla
pubblicazione negli atti del convegno conclusivo dell’omonimo Progetto di Ricerca di Ateneo.
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102 Riti e costumi degli ebrei descritti e confutati dal dottore Paolo Medici, sacerdote e lettor
bando col quale si proibiva, con multa di 50 ducati o due tratti di corda agli insolventi e frustate ai
minori, di molestare gli ebrei, i loro servi e i loro schiavi» (TOAFF, La nazione ebrea…, p. 108).
106 Ancora nella prima metà dell’Ottocento le satire antiebraiche in giudeo-livornese veniva-
no stampate non a Livorno ma in Corsica, per evitare problemi con le autorità granducali: cfr.
ELIO TOAFF, Giovanni Guarducci: un poeta livornese antisemita, «La Rassegna Mensile di Israel»,
XXXVI (1970), pp. 453-63: 458.
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107 MICHELE LUZZATI, La casa dell’ebreo. Saggi sugli Ebrei a Pisa e in Toscana nel Medioevo e
nel Rinascimento, Pisa, Nistri-Lischi 1985, p. 293.
108 TOAFF, La nazione ebrea…, pp. 233-34 e 533-37.
109 Ivi, pp. 661-83: 666, Memoriale al Governatore di Livorno di Leone Treves, settembre
1647. Aron Mercado fu effettivamente Massaro nel 1647 e in anni successivi (ivi, pp. 455-57); le
fanciulle cui si riferiscono i supposti abusi erano probabilmente le ebree orfane o povere assistite
dalla Chevrà o Confraternita costituita nel 1644 dal fior fiore dei “portoghesi” e detta in ebraico
mohar ha-betulot ‘dote per le vergini’, in giudeo-portoghese Hebrà de Cazar Orfas e Donzelas e in
italiano Maritar Donzelle (ivi, pp. 263-68).
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Finito di stampare nel mese di giugno 2018