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ssa Di Matteo
Riassunto libro: La Buona Scuola- Fiorin
Presentazione:
Per buona scuola si intende non una scuola facile, ma una scuola significativa cioè che sa far capire agli
alunni che quel che propone ha un significato per la loro vita. Tale scopo si raggiunge quando i docenti
lavoro non come singoli individui ma come membri di una comunità educativa che condivide l’idea che la
scuola non è solo il luogo in cui si trasmettono conoscenze e si sviluppano capacità necessarie per
guadagnarsi la vita, ma in cui ci si apprendono le norme del vivere e del convivere cioè quelle norme che
servono per diventare cittadini responsabili non solo del proprio paese ma anche del proprio pianeta.
Introduzione:
Una scuola si può considerare ‘’buona’’ non solo quando sa adempiere meglio di altre alle sue principali
missioni ma quando sa ben interpretarle. Le principali missioni della scuola sono oggi le stesse del passato:
1. Consegna Trasmissione del passato, cioè del patrimonio culturale di una comunità affinché non si
disperda.
2. InnovazioneRiguarda il futuro, consiste nel fornire ai giovani quelle conoscenze ed abilità considerate
indispensabili della società in cui vivono.
3. AccompagnamentoRiguarda il presente, si riferisce alla formazione della sua personalità.
I compiti della scuola odierna non sono nuovi, ma è nuovo il contesto in cui opera la scuola visto che ci sono
sempre nuove sfide da risolvere (società in cui l’economia è guidata dalla conoscenza, aumento di
disuguaglianze, guerre, disastri ecologici). Una buona scuola dovrà quindi interpretare la sua missione
tradizionale non in astratto ma misurandosi con le nuove sfide.
Oggi ci sono due grandi modelli capaci di risolvere le sfide del cambiamento. Tali modelli sembrano
alternativi:
1. Prospettiva funzionalista Intende la scuola al servizio del progresso economico e considera giusto che
sia il mercato a stabilire i saperi che devono guidare i curricoli scolastici fissando le competenze ritenute
indispensabili.
2. Prospettiva antropocentricaCostruisce il curriculum in base alle esigenze di sviluppo della persona. Il
curriculum nasce dal basso. Tale modello però non è indifferente alle necessità di garantire allo studente le
competenze finali necessarie in vista della professione scelta o del successivo indirizzo universitario.
Imparare ad apprendere, è uno dei valori guida, ma altrettanto lo sono l’imparare a viver, a convivere. La
prospettiva antropocentrica non vuole sostituire la la logica pedagogica con quella economica. Rifiuta di
lasciarsi giudicare solo in termini di ‘’utilità’’. Non solo i saperi funzionali sono importanti ma anche quelli
etici e estetici.
Viviamo in una società nella quale si riconosce un enorme importanza alla razionalità: la razionalità intesa
come efficacia/efficienza delle azioni è un valore pervasivo e riguarda tutti gli ambiti della nostra vita. La
metafora di questi valori ai quali la scuola è invitata a guardare è oggi ne nostro paese l’impresa. La
metafora della scuola impresa non è l’unica disponibile; una diversa metafora sta sorgendo e sembra più
promettente, ed è quella della scuola-comunità perché capace di integrare le esigenze e le efficienze,
efficacia e produttività con le altre quali significatività, cooperazione e cittadinanza.
SCUOLA-IMPRESA O SCUOLA-COMUNITA’?
Se si prende come riferimento la Costituzione che è alla base della legge sull’autonomia scolastica
(L.53/2000) e che valorizza la persona umana che non è vista come un individuo ma come membro di una
società, non ci sono dubbi: è all’interno della comunità che la persona è pienamente accolta, riconosciuta,
sostenuta nel suo processo di crescita abilitata a diventare responsabile e autonoma. Al suo interno gli
insegnanti nono sono tecnici e i dirigenti non sono ridotti a manager dell’organizzazione ma sono
considerati educatori e i genitori non sono percepiti semplicemente come clienti o utenti ma come partner
in un’impresa condivisa.
È dentro la scuola intesa come comunità che il discorso sulla persona, sulla personalizzazione sull’inclusione
trova il suo significato pieno.
La buona scuola è una scuola che sa offrire agli studenti una prospettiva non solo in termini di preparazione
alle professioni ma di sviluppo della propria personale identità e che è impegnata oltre che nel compito di
consegnare una tradizione o di preparare i giovani a fronteggiare le nuove richieste di un economia in
evoluzione e di un mercato del lavoro in continua trasformazione, ad offrire un contributo per cambiare in
meglio la realtà.
Nella scuola si manifesta un apparente antinomia. La scuola è un’istituzione e come tale tende a conservare
se stessa mediante meccanismi di assimilazione/accomodamento, ma è anche fattore di innovazione e in
quanto tale ha una natura anti-istituzionale. L’antinomia si può risolvere se si vede come interno alla natura
della buona scuola, il rapporto tra istituto (regole date) e istituente (la spinta a superare la situazione
consolidata, ad innovare e, perciò a creare regole nuove). La scuola allora non è soltanto un’organizzazione
burocratica ma una organizzazione che apprende dall’esperienza che riflette che si misura con le nuove
sfide con un identità pedagogica che si sviluppa nel tempo in una ricerca continua di miglioramento.
Una buona scuola è quella che non dimentica che il suo primo servizio è verso lo studente nei cui confronti
ha il compito di orientamento e proposta.
Il Rapporto Delors ha contribuito molto all’attuale modo di vedere il compito della scuola. In tale rapporto
si evidenziano 3 temi che la scuola deve affrontare: la globalizzazione, la socialità, lo sviluppo dei talenti.
Il documento di Mayor (direttore generale dell’UNESCO) affronta il problema dell’educazione per tutti e per
tutta la vita. Mayor propone la questione di come debba essere cambiato il mondo per essere all’altezza di
uno sviluppo a misura di talenti. Secondo Mayor se non si ripensa il paradigma di sviluppo che caratterizza i
rapporti tra i paesi del mondo, la situazione diventerà esplosiva perché non si potrà evitare che si rompa
l’equilibrio precario espresso con la formula ‘’economia del quinto’’ (l’espressione si riferisce al fatto che
attualmente il 20% degli abitanti del pianeta controlla l’85% del reddito globale). Per rendere positiva la
globalizzazione occorre realizzare veri e propri contratti aventi lo scopo di umanizzarla: contratto sociale,
naturale, culturale ed etico. Un ruolo chiave affidato all’educazione e ai sistemi di istruzione e formazione
( il tema dell’educazione è visto principalmente all’interno del contratto culturale). Bisogna contrastare
l’effetto deleterio dell’economia del quinto in educazione, quello che preferisce investimenti selettivi e che
punta a garantire poche scuole di qualità riservate a chi detiene il potere.
Già dagli anni ’90 (Libro Verde e Libro Bianco) in ambito europeo i vari ordinamenti convergono sempre più
in materia di istruzione e formazione. Si prende coscienza della sfida che la globalizzazione pone alla scuola
a causa delle profonde trasformazioni del mercato del lavoro. Si prendono in considerazione in particolare
due grandi problemi:
1. IL RAPPORTO CHE I SISTEMI SCOLASTICI DEVONO AVERE CON IL FUTURO e quindi il TIPO DI
INSEGNAMENTO che la scuola deve impartire ai giovani perché possano acquisire le competenze richieste
dal mondo del lavoro; tale rapporto è reso difficile dalla velocità e complessità dei cambiamenti in atto nella
società.
2.CHE TIPO DI RAPPORTO va intrattenuto con il passato, con la propria tradizione culturale, con la propria
storia e con le proprie radici. Ci si chiede cosa si debba conservare di una cultura in tempi di accentuato
pluralismo. Quale identità va conservata in un mondo che è diventato un villaggio multietnico.
Da questi interrogativi è emersa l’urgenza di riformare profondamente i curricoli per permettere alla scuola
di rispondere alle mutate esigenze. In senso all’UE si discute intensamente per mettere a punto criteri
condivisi da tutti i membri. Il documento che ha maggiormente influenzato la riflessione sulle riforme è il
‘’Libro Bianco dell’Istruzione’’ (Bruxelles 1995) da cui si evince un principio accettato da tutti ‘’insegnare e
apprendere’’. Non basta insegnare vale a dire trasmettere conoscenze poiché queste diventano
velocemente obsolete, ma occorre insegnare strategie per risolvere problemi sempre nuovi che si pongono
continuamente; sviluppare competenze e mettere gli studenti in grado di saper fare.
Il Rapporto ridefinisce i compiti della scuola in base alle esigenze del mondo produttivo ed evidenzia il ruolo
fondamentale della formazione che deve abbracciare l’intera vita. Abbandonato un approccio didattico
trasmissivo e contenutistico gli insegnamenti vanno finalizzati a fornire gli strumenti cognitivi adeguati per
far fronte alle continue richieste di nuovi compiti e di nuovi skills.
Soprattutto è necessaria una generalizzata alfabetizzazione riguardante le nuove tecnologie.
Nei rapporti dell’UNESCO e in quelli dell’UE si evidenziano due diverse visioni del compito della scuola: in
entrambi viene riconosciuta la centralità dell’apprendimento, ma con qualche divergenza .
Nei documenti dell’Unione Europea prevale una concezione funzionalista secondo cui è soprattutto
l’economia che deve indicare il compito della scuola e la scuola è valida se sa corrispondere alla sfera
antropocentrica: qui è molto forte la concezione del valore della persona nella sua dimensione personale e
sociale ed è molto sentita la necessità di agire per rimuovere le disuguaglianze penalizzanti. Nel primo caso
si impone la logica economica dell’apprendimento come impresa utilitaristica e individuale, nel secondo la
logica pedagogica della centralità della persona.
Già con la Costituzione del 1948 si delinea un diverso rapporto tra Stato e Società affermando l’importanza
centrale della persona. Con la Costituzione c’è stato un radicale cambiamento di logica: il cittadino non
deve essere più il risultato dell’azione pedagogica statale, ma espressione della comunità di appartenenza,
rispetto alla quale le istituzioni si devono porre in relazioni di servizio. Se l’odierna costituzione si può
considerare il documento che fonda l’autonomia della scuola e la sua appartenenza alla comunità di fatto
non è stato facile superare il centralismo. I Decreti Delegati del 1974, prevedono la partecipazione e la
gestione sociale, mediante l’istruzione degli organi collegiali costituiti non solo dai docenti e dirigenti
scolastici, ma anche dai genitori, amministratori e personale amministrativo, si possono considerare la
pietra miliare dell’autonomia e dell’appartenenza della scuola alla società in cui opera.
Nel 1997 la legge n°59 (detta Bassanini) ha riconosciuto l’autonomia della scuola e con Berlinguer inizia la
cosiddetta ‘’Grande Riforma’’ della nostra scuola. Il Ministro però non riuscì a portarla a termine a causa
della caduta del Governo. Tale riforma prevedeva il riconoscimento dell’autonomia alle istituzioni
scolastiche, la riforma di tutto l’ordinamento scolastico, dalla materna ai licei, dei curricoli dei diversi ordini
e gradi della scuola. Si sta sempre più comprendendo che i tempi attuali non sono adatti alle grandi riforme
perché richiedono tempi lunghi e al momento della realizzazione sarebbero già superate. Bisogna quindi
optare per criteri generali e puntare sull’autonomia delle istituzioni scolastiche. I rapporti internazionali
indicano nella scuola dell’apprendimento la direzione da proseguire perché in un mondo dove tutto cambia
velocemente diventa indispensabile apprendere cose nuove. ‘’Apprendere ad apprendere’’ appare come la
più importante della competenza. Se la finalità e quella di insegnare ad apprendere vanno ripensate le
modalità di insegnamento utilizzate e vanno rivisitati i curricoli.
Il problema principale è il senso complessivo da attribuire all’azione educativa e didattica. I rapporti
internazionali ci indicano 2 possibili percorsi di riforma in base a 2 differenti opzioni culturali: la visione
funzionalista contrapposta a quella antropocentrica. La prima ritiene corretto che sia il mercato a dettare i
curricoli e stabilire le competenze indispensabili. Il curricolo ha un andamento top down. Le competenze da
sviluppare riguardano i contenuti considerati utili, cioè funzionali alla domanda del mercato.
Inevitabilmente gli insegnamenti meno spendibili sono marginalizzati.
La prospettiva antropocentrica invece, costruisce il curricolo in base alle esigenze di sviluppo della persona.
Il curricolo quindi nasce dal basso. Ciò non significa trascurare l’esigenza di garantire agli studenti buone
competenze finali in vista della professione scelta o della facoltà universitaria, ma prevale grande
attenzione all’unitarietà della persona. Il criterio dell’imparare ad apprendere, è importante ma lo è anche
l’imparare a vivere e l’imparare a convivere: l’imparare a vivere richiede non solo conoscenze, ma la
trasformazione della conoscenza acquisita in sapienza. La prospettiva antropocentrica non è disposta a
sostituire la logica pedagogica con quella economicista. Non rifiuta la necessità che la scuola debba
insegnare i saperi professionali ma non vuole farsi giudicare solo in termini di utilità. I saperi funzionali sono
importanti, ma lo sono anche quelli estetici, sociali, etici. Dice Gadner : l’educazione deve ruotare incontro
a 3 componenti
1. La sfera della verità
2. La sfera della bellezza
3. La sfera della morale
a) Le teorie Prima di essere una lista di obiettivi da raggiungere o un elenco di esperienze da realizzare, il
curricolo esprime una visione pedagogica. . Le teorie del curricolo conoscono un particolare sviluppo tra la
fine degli anni 50 e gli inizi degli anni 60 dopo la crisi dell’attivismo pedagogico e si snodano lungo 3
principali percorsi:
1. quello del miglioramento degli insegnamenti disciplinari,
2. quello della razionalizzazione della azione didattica,
3. quello della partecipazione sociale. Il primo filone ha visto il fiorire di progetti sperimentali volti al
rinnovamento dei programmi e dei metodi di insegnamento. Si delineano progetti anche sperimentali
indirizzati ad importare nel campo dell’insegnamento metodi e concetti desunti dal mondo della ricerca
scientifica. Il secondo filone si occupa dell’organizzazione complessiva del fare scuola. L’intenzione è quella
di introdurre una maggiore razionalità nel modo di programmare, di organizzare e di valutare gli
apprendimenti. Questa posizione attribuisce molta importanza alla definizione degli obiettivi che deve
essere chiara e dettagliata . Il terzo filone è sensibile agli aspetti sociali e culturali della progettazione . Ci si
interroga sul rapporto che la scuola dovrebbe avere con il territorio di appartenenza e si ritiene che la
scuola deve avere la capacità di intercettare i bisogni concreti presenti nella comunità sociale in cui la
scuola opera.
b) i modelli didattici E’ chiaro che ogni modello teorico per essere applicato nella realtà ha bisogno di
modelli didattici coerenti con la teoria proposta. Es: un curricolo di tipo attivistico dà grande rilevanza
all’alunno (puerocentrismo) . E’ chiaro perciò che il modello didattico capace di trasformare la teoria in
pratica non può essere quello trasmissivo ma dovrà prevedere un ruolo attivo per l’alunno. Il celebre motto
“se faccio capisco” sintetizza questa scelta. Oppure in una concezione della scuola come introduzione alla
vita della cultura saranno privilegiati i modelli didattici che concepiscono le discipline come strumenti di
sviluppo del pensiero (Bruner) . La tabella mette in luce la numerosità degli orientamenti ma anche la
complessità del problema della scelta del curricolo. Prima di scegliere il modello curricolare occorre
stabilire a che cosa serve oggi la scuola. Secondo Fiorin l’elemento valoriale è quello fondativo.
c) i percorsi
I modelli didattici influiscono sulla elaborazione dei percorsi di apprendimento perché ne garantiscono
l’accordo con i principi generali . La progettazione e la realizzazione dei percorsi didattici rappresentano il
momento della verifica delle idee-guida. Siamo sul terreno delle esperienze che si verificano in aula .
Sarebbe sbagliato intendere la progettazione dei percorsi come momento applicativo di modesto significato
perché qui si pongono problemi importanti come scegliere che cosa è rilevante insegnare.
2.Dai programmi al curricolo.
Le teorie del curricolo, già presenti in USA e in molti stati europei, arrivano in Italia agli inizi degli anni 70
dove vengono accolti con particolare favore per vari motivi. Si sente la necessità di aprire la scuola alla
società: prima di tutto alle famiglie, agli enti locali, alle istituzioni , al mondo economico. I programmi
nazionali vengono considerati superati perché uniformanti e centralizzati.
Si richiede inoltre all’istruzione maggiore efficienza. Ci si propone di accantonare la trasmissività da parte
dell’insegnante di conoscenze uguali per tutti. Si auspica una offerta formativa più razionale, più efficiente
nella organizzazione scolastica, più capace nel conseguire i risultati e più disponibile alla verifica e alla
trasparenza. Alle esigenze esterne si sommano le esigenze interne degli insegnanti che vogliono contare di
più nell’ambito della scuola. Ci si è chiesti come abbiano influito le teorie curricolari sul nostro sistema
scolastico. La prima legge rilevante sono i Decreti Delegati del 1974. Questi prevedono la costituzione degli
organi collegiali che recepiscono la richiesta di partecipazione e gestione sociale della scuola e delineano
una nuova figura professionale di docente e dirigente. I decreti cambiano totalmente le relazioni interne
alla scuola e quelle della scuola con l’ambiente sociale in cui opera. La scuola viene vista sempre più come
“comunità educante” in cui tutti i membri, anche se nel rispetto dei reciproci ruoli, sono chiamati a
collaborare. La legge n. 517 del 1977, nota come la legge che ha reso obbligatorio l’inserimento degli alunni
con disabilità nelle classi comuni, ha però anche introdotto la programmazione curricolare. Questa legge
prevede una scuola in cui i docenti agiscono collegialmente e dialogano con il contesto sociale in cui
operano, una didattica non più fissa, ma flessibile , una valutazione formativa e non sanzionatoria (viene
abolito il voto) e una programmazione curricolare. L’idea chiave è che la scuola non può affidare il compito
educativo ad un solo insegnante per quanto bravo perché la responsabilità educativa deve essere di tutta la
scuola . Inoltre tutti i componenti della realtà scolastica si devono preoccupare che ogni alunno apprenda le
cognizioni propostegli indipendentemente dalla sua personale posizione di partenza. La strategia da
adottare riguarda tutta la collettività , non solo i docenti , visto che i principi educativi sono stabiliti dal
Consiglio di Circolo(scuola primaria) o di Istituto (medie-superiori) , che comprende, non solo la scuola, ma
anche altre istituzioni tra cui la famiglia.
Sotto questa ottica si comprende la funzione del sostegno da fornire a chi si trova in situazione di
svantaggio.
La legge 517 ha comportato l’emanazione dei Nuovi programmi per la scuola media nel 1979, nel1985 per
la scuola elementare, nel 1991 i Nuovi orientamenti per la scuola materna. In realtà i Programmi per la
scuola media sono quelli che più danno spazio alla libertà dell’insegnante e alla discrezionalità della scuola.
Sono quindi prescrittivamente deboli , ma questa debolezza è la loro maggiore forza. Gli orientamenti della
Scuola materna, pur essendo nazionali, lasciano ampia libertà ai docenti . Per concludere non siamo ancora
nella scuola “del curricolo”, ma si comincia a superare la scuola “dei programmi” . Ora l’insegnante non è
più una specie di impiegato dei programmi, avente il compito di applicarli quasi alla lettera, ma un
professionista che fa delle scelte, si assume delle responsabilità e soprattutto adegua il programma
nazionale al contesto sociale in cui opera. Ci si è chiesti come si debba intendere l’attenzione alla realtà
locale, quanto debba pesare, come debba essere finalizzata. Bisogna stare molto attenti a non incorrere in
una serie di rischi: a) l’enciclopedismo . Si intende l’insegnamento che si disperde nell’enumerazione dei
particolari senza evidenziare ciò che è veramente importante. b) il nozionismo . L’insegnamento è
nozionistico quando non sa scindere le nozioni particolari dai concetti generali capaci di dare loro
significato. c) il “presunto interesse”. Si è detto che è bene privilegiare lo studio della realtà locale perché
gli alunni si interessano di più a ciò che hanno sempre davanti agli occhi. Questo però non è sempre vero
perché spesso si è più interessati ai modi di vivere diversi dai nostri e attraverso il confronto con realtà
diverse dalla nostra vediamo con occhi nuovi ciò che davamo per scontato. d) la presunta maggiore
semplicità .Un’altra credenza diffusa , ma priva di fondamento, è quella che considera lo studio della realtà
locale come più semplice e quindi si è incluso nel curricolo della scuola primaria lo studio della realtà
locale . Quindi il motivo il motivo della sua inclusione nel curricolo deriverebbe dal rispetto della gradualità
didattica (passaggio dal semplice al complesso) . Non si è considerato che il bambino di oggi non vede solo
l’ambiente in cui vive , ma grazie alla tecnologia e ai viaggi , spazia in località diversissime dalle sue. Per
concludere non si studia il proprio quotidiano perché più facile da apprendere o perché l’insegnamento
risulta più efficace. In realtà non è scontato che limitando l’attenzione al proprio ambiente si approfondisca
di più e si eviti di cadere nell’enciclopedismo. Bruner invita ad andare oltre l’informazione, cioè ci invita a
favorire la scoperta delle idee e delle ipotesi che si nascondono dietro i singoli dati. Il problema della
didattica locale è quello di evitare la banalizzazione e il localismo esasperato. La realtà locale in verità viene
studiata non perché più semplice, ma perché nella sua complessità contiene tutti gli elementi fondamentali
della cultura umana . Il processo di costruzione dell’identità personale non avviene nel vuoto ma dentro la
cultura di appartenenza. C’è però anche il rischio opposto da evitare che è quello della perdita della propria
identità culturale a causa della globalizzazione massificante. Rispetto a queste sfide il compito insostituibile
della scuola è educare sia alla cittadinanza nazionale che a quella europea e planetaria.
1.L’Alunno protagonista
Come l’Attivismo si era contrapposto alla scuola tradizionale trasmissiva , così il cognitivismo si
contrappone alla concezione lineare del comportamentismo (metà 900) . Oggi parliamo di alunno attivo
non secondo le teorie dell’attivismo, che considerava fondamentale l’azione esercitata direttamente, il “se
faccio capisco” ma in modo nuovo per il quale non è necessario compiere azioni come l’osservare
direttamente la realtà o fare manualmente qualcosa, ma azioni mentali. Pertanto oggi si considera attivo
l’alunno cognitivamente attivo. Essere cognitivamente attivo vuol dire possedere un pensiero strategico.
Ecco perché diventa fondamentale insegnare a pensare più che insegnare nozioni. All’insegnante spetta il
compito di insegnare ad apprendere , all’alunno quello di apprendere ad apprendere. Il pensiero
strategico è un pensiero esperto, proprio di chi sa affrontare situazioni complesse ed esaminare diverse
ipotesi. Questo pensiero va sviluppato nel bambino da subito.
Piaget ha individuato nell’ambiente fisico l’elemento che consente al bambino di cominciare a “costruire le
sue prime conoscenze’’.
Vygotskij invece l’ha individuato nell’ambiente sociale. Egli crede che lo sviluppo del pensiero, del
linguaggio e sociale si incrementino dall’interazione sociale con gli altri (opposto a Piaget).
Piaget infatti riteneva che il bambino sviluppi in modo solitario la propria intelligenza ed il proprio
linguaggio . La teoria socio-costruttivistica di Vygotskij è la più diffusa avendo il merito di conferire grande
rilevanza all’influenza della cultura.
Il bambino sviluppa le proprie competenze in un ambiente culturalmente valido e nella interazione
continua con gli altri impara ad affrontare le diverse situazioni di vita sfruttando i mezzi offerti dalla cultura.
Lo sviluppo del pensiero strategico si può stimolare attraverso varie forme di mediazione. I materiali,
l’ambiente e lo spazio fisico fungono da mediatori, ma il mediatore per eccellenza è l’interazione sociale . Le
strategie co- costruttive si fondano proprio su queste convinzioni(cioè sull’apprendimento di tipo
collaborativo) Esse comportano una revisione profonda della didattica e contribuiscono a decentralizzare il
ruolo del docente investendo gli alunni di nuovi compiti ( dalla didattica direttiva si passa alla didattica
indiretta) . Il de-centramento comporta 2 conseguenze:
1. l’attenzione ai processi di costruzione di significato,
2 la valorizzazione dei gruppi cooperativi . Decentralizzarsi comporta per il docente una maggiore
attenzione all’ascolto degli studenti , dare spazio ai loro pensieri così da sviluppare le proposte didattiche
partendo dalla situazione. Un gruppo docente co-costruttivo può comprendere meglio gli alunni se riflette
sul loro modo di fare significato (= attribuire senso e comprendere in profondità la realtà) piuttosto che se
si limita ad accertare le loro effettive acquisizioni . Secondo la teoria co-costruttiva i bambini fanno
significato grazie agli scambi con i docenti (relazione asimmetrica) e tra di loro quando progettano la
realizzazione di qualcosa o discutono su qualche problema. ( relazione simmetrica). Il gioco collaborativo,
l’aiuto reciproco, il tutoring, il cooperative learning mettono in evidenza le principali caratteristiche
dell’apprendimento socio-costruttivo:
A. Comunità pratiche : gli alunni imparano molto quando lavorano o progettano insieme, impegnati in un
compito comune, in questo modo condividono pensieri, confrontano punti di vista, collaborano alla ricerca
di soluzioni.
B. Comunità di discorso: le discussioni tra studenti sono un ottimo mezzo di apprendimento perché
l’alunno, confrontando le sue opinioni con quelle degli altri, impara che può anche non avere ragione, che
ci sono altri punti di vista e che si possono trovare punti di intesa mediante la negoziazione.
C. Comunità di diversità : oggi le classi sono più eterogenee di una volta perché viviamo in una realtà
sempre più multiculturale e perché l’apprendimento extrascolastico offre agli alunni conoscenze maggiori
rispetto a quelle fornite dalla scuola e tali conoscenze sono apprese secondo modalità legati ai diversi
contesti non scolastici nei quali i bambini vivono. Il carattere comunitario della scuola permette di includere
alunni aventi particolari bisogni educativi o disabili. Quando la classe diventa gruppo ognuno trova non solo
sostegno nelle sue difficoltà ma anche gratificazione per quel che può offrire alla comunità. Bruner dice che
la psicologia ci fa capire che apprendere significa fare significato, cioè rielaborare in termini personali le
conoscenze , negoziare con gli altri il proprio punto di vista, ma non dice nulla circa i contenuti di tale
apprendimento, le finalità educative. Questo compito, infatti spetta al curricolo.
Dall’INSEGNAMENTO → all’APPRENDIMENTO
Non è facile passare da un estremo all’altro e molte esperienze si collocano in posizione intermedia. La
seconda posizione intermedia si può definire con un gioco di parole: “dir-attività”.
Dir-attivo è quell’insegnante che pensa di promuovere un apprendimento attivo attraverso una serie di
richieste che richiedono all’alunno un impegno sul piano motorio o sul piano dell’azione concreta
dirigendone l’azione. Non basta che l’alunno faccia, osservi, ritagli, esca dall’aula perché sia attivo. E’ ancora
un alunno che l’insegnante dirige e a cui assegna compiti da eseguire.
La teoria attivistica si avvicina di più all’apprendimento costruttivo perché l’attivismo riconoscendo la
centralità dell’alunno mette in discussione la didattica della lezione frontale uguale per tutti ( mentre ogni
alunno ha esigenze diverse) e passivizzante ( mentre si impara facendo e non ascoltando) . L’attivismo però
non sa dare agli alunni i mezzi culturali per diventare veramente autonomi ed attivi L’ultima posizione è
quella dell’apprendimento significativo che ha come caratteristica distintiva la modalità costruttiva di
elaborazione delle conoscenze mediante la ricerca personale, la negoziazione dei significati all’interno di
gruppi di lavoro cooperativo, l’abitudine a riflettere sul percorso effettuato, sui risultati raggiunti, sulle
emozioni provate. Punto cruciale dell’apprendimento significativo è la dissonanza.
Nella progettazione delle unità di apprendimento l’insegnante può partire dalle indicazioni del Ministero o
dalla esperienza degli alunni . Quello che importa è che si favorisca l’emergere delle dissonanze cognitive e
non cognitive perché da esse nasce la ricerca personale. L’alunno interessato a trovare le risposte che la
situazione problematica crea , sperimenta che le richieste che la scuola gli fa sono importanti e significative
per lui. Venendo alla pratica il metodo che sembra meglio interpretare dissonanza e significatività è quello
euristico perché si fonda sulla continua problematizzazione e sulla ricerca autonoma degli alunni.
La scuola dei problemi richiede all’insegnante l’allestimento di contesti anche organizzativi favorevoli e
quindi il ricorso alle svariate modalità di apprendimento collaborativo. Nell’ottica socio costruttiva la
capacità di ascolto , la ricerca dell’accordo tra posizioni differenti e la messa in comune di idee sono parte
integrante della crescita cognitiva degli allievi. L’apprendimento significativo è favorito e si consolida grazie
alla competenza meta riflessiva (riflettere sulla riflessione mentre si agisce) che gli studenti sviluppano
quando viene data loro la possibilità di rivisitare le proprie esperienze, rileggendo criticamente i risultati cui
sono pervenuti e ancora di più il percorso compiuto. Le caratteristiche principali dell’apprendere ad
apprendere sono essenzialmente due: la consapevolezza delle strategie usate per apprendere ed il loro
controllo. Per concludere l’apprendimento significativo o costruttivo si sviluppa grazie ad una didattica
fondata sull’esplorazione e sui problemi e che privilegia la ricerca , la negoziazione dei significati e la
collaborazione con i pari.
Le unità didattiche (tappe intermedie nel curricolo) da qualche tempo sono indicate come unità di
apprendimento. Che cosa si intende per unità di apprendimento? Non si tratta solo di aggiornamento
linguistico e non bisogna contrapporre unità didattica e unità di apprendimento come se si trattasse di una
cosa nuova. . La più recente formulazione ha l’aspetto positivo di porre l’accento sull’apprendimento quasi
a voler indirizzare l’insegnante nella direzione del coinvolgimento dell’alunno. In ogni caso insegnamento e
apprendimento si richiamano reciprocamente. Ogni unità di insegnamento è inevitabilmente unità di
apprendimento. Appare importante invece riflettere sulla relazione che lega l’insegnare e l’apprendere. Un
conto è intendere tale relazione in modo deterministico , quasi che l’insegnamento produca
automaticamente apprendimento, un conto è intendere la relazione in senso circolare intrecciato come è il
caso in cui l’insegnante parte dall’esperienza degli alunni , procede in maniera interattiva, affidi loro un
ruolo fondamentale nella costruzione dei significati. E’ in questo modo che diventa interessante l’enfasi
sull’apprendimento cosicché possiamo intendere per unità di apprendimento l’unità di lavoro pensata,
progettata e realizzata a partire dall’alunno , dai suoi bisogni, dalla sua esperienza e dal suo modo di
apprendere. Chiamiamo invece scuola dell’insegnamento quella in cui prevale la preoccupazione della
trasmissione dei contenuti disciplinari. La distinzione tra unità didattiche di insegnamento e unità didattiche
di apprendimento riguarda la loro funzione prevalente ( di trasmissione o formativa) Più che contrapposta
all’unità didattica l’unità di apprendimento è una unità didattica pensata non dal punto di vista dei
contenuti da trasmettere, ma dal punto di vista dei processi che portano l’alunno alla loro acquisizione.
Nella delineazione delle unità di apprendimento i docenti sono chiamati a tener conto di tre riferimenti
fondamentali:
1. gli obiettivi da raggiungere per ottenere certe competenze
2. i contenuti culturali , discipline
3. esigenze degli alunni tenendo presente la loro situazione di partenza e il contesto.
Le Indicazioni ministeriali indicano gli obiettivi generali, le competenze principali che tutti gli alunni devono
conseguire ed i saperi che tutti debbono conoscere ed apprendere a cominciare dalla scuola dell’Infanzia. Ai
docenti invece spetta la progettazione delle unità di apprendimento, cioè l’individuazione e la selezione
degli obiettivi che si possono realmente conseguire in breve tempo e tenendo presente la situazione degli
alunni. Tali obiettivi sono detti formativi.
L’unità di apprendimento si può considerare una tappa di un lungo viaggio, ma ha anche un senso unitario
avendo una destinazione : gli obiettivi , un percorso( : il processo di insegnamento/ apprendimento che si
articola mediante vari momenti) , una conclusione( la valutazione del tratto di strada fatto è necessaria per
vedere se si è arrivati alla meta prefissata) . Ha lo scopo di far partecipare gli alunni prevedendo l’uso di
metodi di tipo attivo che valorizzano la loro capacità di utilizzare il loro sapere . Ma quanto deve durare
questa unità di apprendimento? Non c’è una durata standard , è bene però tener presente, nel
programmare il tempo necessario, che questo è dato dalla possibilità che ha l’alunno, una volta finita la
tappa, di ripercorrerla con la propria riflessione senza dimenticare , a causa della eccessiva lunghezza o
complessità, gli aspetti più salienti e senza perdere di vista la sua complessiva articolazione. Per non far
durare troppo a lungo l’unità di apprendimento occorre che il percorso sia semplice e che gli alunni
l’abbiano ben appreso. Per concludere l’unità di apprendimento si deve strutturare tendendo presenti 4
punti:
• indicazione degli obiettivi formativi
• indicazione dei contenuti o esperienze didattiche
• l’indicazione dei metodi da seguire
• indicazione dei sistemi per la verifica e la valutazione.
L’aspetto più innovativo è costituito dagli obiettivi formativi. Ci si è chiesti che cosa si intenda
per formatività. Essa riguarda lo sviluppo di competenze autentiche cioè tali da essere richieste ed
utilizzate in ogni contesto anche non scolastico Gli obiettivi formativi sono significativi anche quando
l’esperienza di apprendimento si è conclusa e quindi essi non ricevono senso dalla conclusione del viaggio,
ma dalla loro possibile riutilizzazione. . Gli obiettivi formativi sono definiti dai docenti . Ogni obiettivo
formativo ha 2 livelli, uno di carattere più generale riferito ai traguardi per lo sviluppo delle competenze
disciplinari e trasversali, fissati dalle Indicazioni ministeriali e recepiti dalla scuola nel POF , e un secondo
livello strettamente legato allo specifico compito della unità di apprendimento Ciò che caratterizza il
compito di apprendimento è una situazione problematica che l’alunno deve essere in grado di superare
mediante l’attivazione di una strategia efficace.
SIGNIFICATIVITA’ AFFETTIVA
Un buon apprendimento coinvolge l’alunno non solo sotto il profilo cognitivo . Il compito più difficile
consiste nel motivare gli alunni ad apprendere.
La motivazione è qualcosa di più profondo rispetto all’interesse o alla curiosità perché riguarda i bisogni
esistenziali dell’alunno. La motivazione esterna (sia attraverso il premio di una buona votazione sia
attraverso il castigo di una bocciatura) non è sufficiente a lungo termine a far studiare, anzi è quasi
controproducente. E’ preferibile ricorrere alla motivazione interna, anche se non è facile farla insorgere. Si
può far leva sul sentimento di autoefficacia che l’alunno prova quando supera un impegno che sente
importante.
L’alunno ha bisogno che l’adulto riconosca il suo impegno e che sappia valorizzare i risultati da lui raggiunti.
SIGNIFICATIVITA’ SCIENTIFICA
Il cuore dell’insegnamento resta l’apprendimento, ma altrettanto importante è il problema dei contenuti.
Morin suggerisce di privilegiare lo studio “in profondità” più che “in estensione.” Per far questo però è
necessario saper selezionare i contenuti. Se è vero che solo facendo di meno si può far meglio , bisogna
saper selezionare e ciò che si sceglie deve essere veramente importante. L’insegnante , per poter
selezionare al meglio i contenuti, deve disporre d i criteri di selezione non arbitrari. L’analisi approfondita
della disciplina consente di evidenziare i concetti fondamentali o, fondanti, della disciplina.
SIGNIFICATIVITA’ CULTURALE Un buon insegnamento deve saper intercettare i problemi che agitano la
realtà di vita dell’alunno e trasformarli in occasioni di apprendimento.
Un buon insegnamento è in grado di fornire all’alunno gli strumenti per comprendere il mondo di oggi e -
anche quando si occupa di questione antiche o di problemi tecnici e specialistici - sa intravedere la
relazione che intercorre tra la vita passata ed odierna.
Negli anni 60/70 ci fu una polemica tra Ausubel e Bruner. Per Bruner i metodi di insegnamento più validi
sono quelli volti a favorire la personale scoperta dell’alunno mediante la ricerca e ciò in polemica con i
metodi trasmissivi. Ausubel risponde che anche i metodi trasmissivi possono portare all’apprendimento
significativo purchè interpretati correttamente. Secondo lui, infatti, è importante che l’alunno apprenda
modificando la propria struttura cognitiva sia che tale modifica venga ottenuta grazie al metodo euristico
oppure espositivo . Nell’apprendimento per scoperta l’alunno arriva alle nuove informazioni senza l’aiuto
del docente , in quello per ricezione le informazioni vengono date direttamente dal docente.
L’apprendimento è sempre il risultato di una relazione, l’azione dell’insegnante consiste nel far incontrare
soggetto e oggetto di conoscenza. I metodi didattici servono a facilitare tale incontro. Esistono a proposito
dei metodi molte proposte interessanti. 1) l’approccio per “modelli”
Per modello si intende lo schema concettuale secondo cui si possono mettere in relazione e ordinare i vari
aspetti della vita educativa in rapporto ad un principio teleologico che ne assicuri coerenza e organicità. . In
base a tale definizione Baldacci distingue 4 modelli di insegnamento :
1. il modello fondato sulle competenze di base,
2. il modello fondato sui processi cognitivi superiori,
3. il modello fondato sui talenti personali,
4 il modello fondato sull’arricchimento culturale.
1. Modello delle competenze di base è particolarmente finalizzato all’apprendimento di conoscenze
considerate basilari all’interno dei vari campi del sapere con particolare attenzione verso l’alfabetizzazione
di base (leggere, scrivere, far di conto) a cui oggi si devono aggiungere l’informatica e le lingue straniere. Il
concetto di competenza sembra inteso in senso un po’ riduttivo (sapere e saper fare) . Tale modello ha il
pregio di focalizzare l’attenzione al raggiungimento individualizzato degli obiettivi previsti ma presenta il
rischio di una eccessiva standardizzazione dei risultati.
2. Modello dello sviluppo dei processi cognitivi superiori. Tale modello finalizza l’insegnamento alla
formazione della mente, alla “testa ben fatta” .
3. Modello dello sviluppo del talento personale . Questo è particolarmente attento allo sviluppo di forme
specifiche di intelligenza e di talento in termini di eccellenza. In tale modello prevale l’idea di
personalizzazione intesa come privilegio della differenza qualitativa e competitiva (opposto al modello delle
competenze di base)
4. Modello dell’arricchimento culturale . Questo modello mira all’arricchimento spirituale introducendo gli
alunni al mondo dei significati e valori della cultura.
2) L’approccio tassonomico
Secondo tale approccio il docente ha a disposizione numerose possibilità (in termini di metodi) e deve
saper scegliere di volta in volta quello più adatto ai suoi scopi. E’ perciò basilare che sappia bene che cosa
intende ottenere . Occorre avere chiari 2 punti:
1. qual è il problema (trasmettere conoscenze, fornire abilità?)
2. analisi del contesto in cui l’insegnamento si svolge ( risorse disponibili, richieste dell’utenza)
3) approccio didattico
Differenza tra strategia, metodo e tecniche
Per strategia si intendono scelte di carattere molto generale, per certi aspetti trasversali ai metodi es
orientamento euristico/ ricerca , orientamento espositivo/lezione, insegnamento individualizzato (mastery
learning), insegnamento collaborativo (cooperative learning)
Per metodi didattici si intendono le modalità concrete di gestione del processo di insegnamento secondo
una impostazione coerente e unitaria che riguarda sequenze didattiche compiute (es unità di
apprendimento)
Nei diversi metodi didattici si distinguono 2 aspetti: la metodologia ( parte che contiene le giustificazioni
teoriche che consentono di scegliere le diverse tecniche didattiche, in altre parole principi psico- pedagogici
su cui si fonda l’azione didattica ) le tecniche didattiche ( neutre e non esclusive di un solo metodo ad
esempio la tecnica di costruzione di una carta tematica in geografia si può utilizzare tanto all’interno di un
metodo euristico che espositivo).
Per dare un ordine alla pluralità dei metodi disponibili, può essere utili raggrupparli in 2 orientamenti
strategici : espositivo ed euristico.
L’orientamento espositivo ha come preoccupazione prevalente trasmettere i contenuti dell’insegnamento
e si posiziona sul polo classico; l’orientamento euristico invece si posiziona sul polo romantico essendo più
attento alle esigenze del soggetti. Si deve subito dire che ogni metodo (che sta all’interno di questi
orientamenti es: metodo della ricerca , della didattica per concetti etc) non è mai puro- o solo euristico o
solo trasmissivo – ma ricorre , anche se in misura diversa, ad entrambe le modalità.. Classifichiamo i diversi
metodi come euristici se la predominanza è data da momenti nei quali si richiede il lavoro autonomo
dell’alunno e si stimola il problem-solving, come trasmissivi se ha maggior rilevanza la comunicazione
verbale dell’insegnante su un certo argomento. Il modello trasmissivo emblematico è la lezione .
L’orientamento euristico comprende tutti quei metodi didattici che sono particolarmente focalizzati sul
soggetto in apprendimento . Tuttavia Richmond parla di metodo euristico (mentre Fiorin preferisce
considerarlo orientamento) ma la sua definizione individua chiaramente i punti di forza di questa
impostazione: riferimento al modello scientifico, funzione delle ipotesi degli allievi, l’apprendimento
tramite sperimentazione diretta. All’interno di tale orientamento si individuano posizioni diverse.
Orientamento
espositivo:
-Lezione frontale
-Lezione strutturata
-Didattica per concetti
-Didattica per problemi
-Ricerca attivistica
Orientamento euristico:
-Problem solving
Osservando lo schema ai poli opposti si contrappongono i metodi della lezione frontale e del problem
solving. Il primo si caratterizza per rigidità dell’impostazione tutta centrata sui contenuti, poca attenzione
alla diversità degli alunni considerati spettatori, uso del solo mediatore verbale. Il secondo all’opposto
privilegia solo l’attivazione dei processi cognitivi rischiando di essere troppo funzionalista. Al centro dello
schema ci sono la didattica per concetti e la didattica per problemi che suggeriscono un punto di
equilibrio. La didattica per concetti, pur sbilanciata verso il polo dei contenuti, è però molto sensibile al
problema della mediazione e del coinvolgimento degli alunni. La didattica per problemi sottolinea
l’importanza del soggetto costruttore di conoscenza, ma non dimentica le ragioni della disciplina da cui
mutua le modalità della ricerca per finalizzarle alla soluzione del problema .
2.Criteri di qualità
Sono criteri che servono per valutare l’efficacia dei metodi di insegnamento. Pellerey propone 7 criteri utili
all’insegnante per monitorare il proprio comportamento didattico:
1. principio di significatività : l’insegnante deve favorire la relazione tra le conoscenze pregresse
dell’alunno , i suoi significati e le proposte della scuola
2. principio di motivazione: non bastano i prerequisiti e le capacità cognitive dell’alunno , ma ai fini
dell’apprendimento occorre un impegno personale che si può sviluppare e mantenere vivo solo se c’è la
motivazione
3. principio di direzione: l’azione didattica efficace è intenzionale. L’insegnante non deve inseguire gli
interessi occasionali e passeggeri . Non solo deve sapere dove vuole arrivare, ma deve anche saperlo
comunicare agli alunni i quali sono più disponibili ad impegnarsi se sanno quali sono gli obiettivi e perché li
devono conseguire
4. principio di continuità e ricorsività : da un lato nell’insegnamento bisogna muoversi per tappe
successive, dall’altro bisogna prevedere riprese dei concetti più importanti e complessi precedentemente
acquisiti
5. principio di integrazione o organizzazione interna : tale principio riguarda i collegamenti orizzontali tra
le diverse aree disciplinari che si possono effettuare per superare la frammentarietà di conoscenze troppo
specialistiche . L’alunno deve poi essere stimolato a interiorizzare gli apprendimenti.
6. principio di stabilizzazione : un apprendimento è tale se le acquisizioni diventano patrimonio del
soggetto il quale è in grado di collegarle tra loro e di applicarle a campi nuovi
7. principio di trasferibilità linguistica e di applicabilità : si dimostra di comprendere non quando si ripete
ma quando si riesce ad applicare quanto appreso in contesti nuovi e diversi. Un importante indicatore è il
linguaggio .
L’ATTIVISMO PEDAGOGICO
Nell’attivismo pedagogico l’idea chiave (rivoluzione copernicana) è data dalla centralità dell’alunno nel
sistema educativo (puerocentrismo) e l’individualizzazione della didattica è la logica conseguenza . Alla
nozione biologica di bisogno del positivismo l’attivismo contrappone quella psicologica di interesse ; mentre
il positivismo privilegia l’istruzione , l’attivismo invece privilegia l’apprendimento . Per l’attivismo il centro
della scuola è occupato dall’alunno . Claparede dice che i metodi e i programmi gravitano intorno al ragazzo
e non viceversa , Decroly sostiene l’importanza di partire dagli interessi degli alunni e ritiene che l’ambiente
sia il contesto fondamentale per le esperienze di apprendimento . Il puerocentrismo ha come conseguenza
lo sviluppo di una attenzione riferita specificatamente a ciascun alunno. Si modifica l’organizzazione
scolastica: gli alunni debbono poter lavorare in piccoli gruppi , le classi sono aperte, il curricolo consente
una scelta opzionale. Una delle più significative realizzazioni del principio di individualizzazione si è
realizzata in USA nelle scuole di Winnetka (Illinois) promosse da Washburne, che aveva conosciuto in
Europa le Scuole Nuove.
Washburne rinnovò non solo i programmi, ma anche la loro impostazione metodologica . Il programma
venne diviso in 2 parti , una comprendente il minimo indispensabile comune a tutti e un’altra di sviluppo. La
parte comune riguardava lo studio individuale ( la velocità di esecuzione dei compiti era adattata alle
possibilità di ciascuno), la parte di sviluppo era invece affrontata attraverso il lavoro di gruppo. Qualcosa di
analogo si verificava nella scuola di Dalton diretta da Helen Parkhurst.
In questa scuola gli insegnanti stipulavano con gli alunni dei contratti di lavoro per responsabilizzarli.
William Kilpatrick viene ricordato per il metodo dei progetti . Il progetto non era però un piano di lavoro
già completamente definito, ma un filo conduttore che si specificava via via attraverso la ricerca degli
alunni. Kilpatrick distingue 4 tipi di progetto: progetto del produttore, del consumatore, progetto-problema
rivolto a come si studia, il progetto di addestramento che riguarda l’acquisizione di abilità specifiche.
L’organizzazione flessibile dell’attività didattica ai fini dell’individualizzazione fa emergere la pratica del
lavoro di gruppo di cui Freinet e Cousinet furono grandi sostenitori. Attraverso l’esperienza della
collaborazione, che il gruppo richiede, l’alunno si educa alla vita sociale. Freinet inventò la tipografia per
rendere più significativa la pratica della lettura-scrittura. Attorno alla tipografia scolastica la classe si era
organizzata in una redazione di giornale e i ragazzi sperimentavano a turno i diversi ruoli (redattore,
correttore di bozze) .
L’ISTRUZIONE PROGRAMMATA
Si tratta di un approccio all’individualizzazione molto diverso dall’attivismo. Il pioniere di questo approccio
fu Edward Thorndike che immaginò la realizzazione di un libro didattico costruito in modo da guidare
l’alunno passo passo con la possibilità di passare da una pagina precedente a quella successiva solo dopo
aver risposto correttamente alle domande precedenti. . Il libro a prova di errore apre la strada alla prima
teaching machine che verrà realizzata da un suo allievo. Tale macchina ha l’aspetto di una comune
macchina da scrivere , però ha un congegno che propone allo studente domande a risposta chiusa . Questa
macchina fu realizzata solo negli anni 60 per motivi economici.
Lo psicologo comportamentista Skinner studiò le leggi del comportamento umano e coltivò l’ideale di
intervenire per modificare in senso positivo i comportamenti inadeguati. La prestazione ritenuta adeguata
viene rinforzata grazie a rinforzi gratificanti. I punti principali dell’istruzione programmata sono:
• segmentazione rigorosa del programma
• passaggi graduati da un punto all’altro del programma
• la strutturazione del programma deve prevenire il più possibile la possibilità di errori
• la risposta data deve essere immediatamente controllabile dall’alunno
• ogni risposta esatta va rinforzata positivamente
IL MASTERY LEARNING
La strategia del mastery learning , sempre attribuibile al cognitivismo, si propone come particolarmente
adatta a realizzare l’individualizzazione dell’insegnamento . Tale strategia è stata elaborata da Bloom e da
Block con lo scopo di mettere a punto modalità di intervento didattico finalizzate alla realizzazione di una
educazione individualizzata. Secondo questa strategia la grande maggioranza degli studenti può
raggiungere la padronanza degli obiettivi prefissati purchè gli vengano dati il tempo sufficiente, gli aiuti
indispensabili e una adeguata organizzazione dell’ambiente di apprendimento. Le premesse di base del
mastery learning si possono così riassumere:
• tutti possono apprendere
• ognuno apprende in modo diverso e con diverse velocità
• in presenza di condizioni favorevoli la diversità dei risultati individuali tende a svanire
• gli errori nell’insegnamento sono responsabili della maggior parte delle difficoltà di apprendimento
a) il locus of control : l’espressione indica il luogo in cui il soggetto ritiene risiedano le cause dei suoi
successi o insuccessi : Se questi ritiene che esse risiedano fuori da sé riterrà i successi o gli
insuccessi frutto del caso e non si sentirà responsabilizzato a riguardo,. Se, invece, li riferisce a
fattori personali è importante vedere a quali parti di sé li attribuisce (alla sua simpatia, alla sua
capacità) . Se uno studente è convinto di non poter influire sulle cause dei suoi insuccessi
abbandona ogni tentativo e rischia di cadere in depressione ;
b) lo stile di attribuzione.(=modo in cui il soggetto tende a spiegarsi gli eventi in cui è coinvolto,
come successi o insuccessi , attribuendoli a cause interne a lui o esterne e quindi estranee al
controllo della persona ) Lo stile è strettamente connesso al locus of control ed è il risultato di
una concatenazione di esperienze che porta l’alunno ad attribuire la sua riuscita al suo impegno (in
questo caso deriva da un locus interno) o alla fortuna (in questo deriva da un locus esterno) . La
caratteristica principale è la stabilità : si tratta infatti di un atteggiamento consolidato che risulterà
difficile modificare. . Al riguardo conta molto l’atteggiamento dell’insegnante: se infatti questi in
caso di insuccesso si dimostrerà irritato il ragazzo attribuirà il proprio insuccesso alla mancanza di
impegno (causa instabile, controllabile e modificabile) e quindi penserà in futuro di potercela fare,
se invece l’insegnante si dimostrerà compassionevole il ragazzo ricercherà più probabilmente la
causa del proprio fallimento nella mancanza di capacità innate (causa stabile e incontrollabile) e
penserà di avere meno possibilità di futura riuscita.
c) Il senso di autoefficacia(=grado in cui un soggetto si sente competente in un certo campo) . Tale
senso si riferisce al concetto che l’alunno ha delle proprie capacità. Chi possiede un buon senso di
autoefficacia non si scoraggia facilmente, anzi sa porsi obiettivi impegnativi
d) Autostima: (=valutazione globale che il soggetto fa su di sé come persona) L’autostima è il
risultato di un insieme di esperienze positive che si riferiscono ad una molteplicità di aree
(scolastica, familiare, emozionale).
L’autoefficacia si riferisce più a giudizi in merito alla capacità di eseguire una certa attività che a qualità
personali (caratteristiche fisiche o psicologiche). Non è una percezione generalizzata: la stessa persona può
avere convinzioni di efficacia molto forte in alcuni campi, ma debole in altri (es: bravo musicista, ma
pessimo studente o bravo medico, ma pessimo marito)
Per orientamento centrifugo si intende un orientamento didattico che, pur partendo da un argomento
unitario , sviluppa a partire da tale centro una serie di attività didattiche che producono conoscenze o
sviluppano abilità senza collegamenti autentici tra loro (esempio: si parte dal tema animali per poi
sviluppare unità didattiche che prevedono in scienze:l’ osservazione su qualche animale domestico, in
matematica un grafico degli animali preferiti , in italiano una poesia sul gatto , ma senza che sia possibile
trovare un collegamento tra queste attività)
L’orientamento centripeto invece intende le discipline come punti di vista tra loro integrati , che dialogano
e collaborano nella realizzazione di un progetto o nella soluzione di un problema impegnativo (es :
esplorazione del fenomeno dell’emigrazione e delle sue cause partendo da un certo evento : es la morte di
un ex emigrante in un paese della Sardegna ). In questo caso tante discipline (storia, geografia, economia)
sono necessarie per comprendere il problema ed ottenere un quadro complessivo unitario.
L’insegnante che opera in una prospettiva interdisciplinare deve sapersi raccordare al lavoro dei colleghi.
Il grafico di pagina 167 esemplifica alcuni possibili legami tra discipline o aree disciplinare.
S) ogni area presenta una parte di specificità . L’insegnante che ha le competenze specifiche per quella
disciplina garantisce l’insegnamento di ciò che è fondamentale nel suo campo.
C) = Collegamento . Ogni area disciplinare ha confini sfumati e molte possibili sovrapposizioni di
contenuti , metodi con altre discipline. Si evidenzia così una zona di collegamento nella quale si può
operare insieme .
T) (trasversalità) al centro del grafico c’è una zona di trasversalità che comprende i problemi che fanno da
riferimento interdisciplinare, ma anche le competenze trasversali (le competenze trasversali sono le abilità
cognitive e relazionali che entrano in gioco in più contesti o discipline es. problem-solving).
La ricerca del dialogo tra discipline e delle interconnessioni è possibile non a partire da argomenti ritenuti
unificanti , ma da problemi . L’approccio per problemi apre interessanti prospettive di innovazione
didattica. . In ogni disciplina gli studenti impareranno a chiedersi:
1.da che punto di vista stiamo leggendo o vedendo?
2.Che prova abbiamo di quello che sappiamo?
3.Come sono connesse le cose o gli eventi? Qual è la causa e qual è l’effetto?
4.Perché questa cosa è importante, che cosa significa , a chi interessa?
Non si tratta di rinunciare alle discipline, ma di intendere correttamente gli insegnamenti scolastici . Tale
scelta è importante anche per ottenere una maggiore motivazione. Tra le ragioni della noia ci sono la
mancanza di interesse e il fatto che gli studenti non riescano a percepire il senso delle richieste della scuola
per la loro vita.
In questa situazione l’adozione di una strategia , che promuova la ricerca personale e responsabilizzi gli
studenti dando incarichi per loro adeguati , è di grande efficacia motivazionale.