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Didattica della lingua italiana – Prof.

ssa Di Matteo
Riassunto libro: La Buona Scuola- Fiorin

Presentazione:
Per buona scuola si intende non una scuola facile, ma una scuola significativa cioè che sa far capire agli
alunni che quel che propone ha un significato per la loro vita. Tale scopo si raggiunge quando i docenti
lavoro non come singoli individui ma come membri di una comunità educativa che condivide l’idea che la
scuola non è solo il luogo in cui si trasmettono conoscenze e si sviluppano capacità necessarie per
guadagnarsi la vita, ma in cui ci si apprendono le norme del vivere e del convivere cioè quelle norme che
servono per diventare cittadini responsabili non solo del proprio paese ma anche del proprio pianeta.

Introduzione:
Una scuola si può considerare ‘’buona’’ non solo quando sa adempiere meglio di altre alle sue principali
missioni ma quando sa ben interpretarle. Le principali missioni della scuola sono oggi le stesse del passato:
1. Consegna Trasmissione del passato, cioè del patrimonio culturale di una comunità affinché non si
disperda.
2. InnovazioneRiguarda il futuro, consiste nel fornire ai giovani quelle conoscenze ed abilità considerate
indispensabili della società in cui vivono.
3. AccompagnamentoRiguarda il presente, si riferisce alla formazione della sua personalità.

I compiti della scuola odierna non sono nuovi, ma è nuovo il contesto in cui opera la scuola visto che ci sono
sempre nuove sfide da risolvere (società in cui l’economia è guidata dalla conoscenza, aumento di
disuguaglianze, guerre, disastri ecologici). Una buona scuola dovrà quindi interpretare la sua missione
tradizionale non in astratto ma misurandosi con le nuove sfide.
Oggi ci sono due grandi modelli capaci di risolvere le sfide del cambiamento. Tali modelli sembrano
alternativi:
1. Prospettiva funzionalista  Intende la scuola al servizio del progresso economico e considera giusto che
sia il mercato a stabilire i saperi che devono guidare i curricoli scolastici fissando le competenze ritenute
indispensabili.
2. Prospettiva antropocentricaCostruisce il curriculum in base alle esigenze di sviluppo della persona. Il
curriculum nasce dal basso. Tale modello però non è indifferente alle necessità di garantire allo studente le
competenze finali necessarie in vista della professione scelta o del successivo indirizzo universitario.
Imparare ad apprendere, è uno dei valori guida, ma altrettanto lo sono l’imparare a viver, a convivere. La
prospettiva antropocentrica non vuole sostituire la la logica pedagogica con quella economica. Rifiuta di
lasciarsi giudicare solo in termini di ‘’utilità’’. Non solo i saperi funzionali sono importanti ma anche quelli
etici e estetici.
Viviamo in una società nella quale si riconosce un enorme importanza alla razionalità: la razionalità intesa
come efficacia/efficienza delle azioni è un valore pervasivo e riguarda tutti gli ambiti della nostra vita. La
metafora di questi valori ai quali la scuola è invitata a guardare è oggi ne nostro paese l’impresa. La
metafora della scuola impresa non è l’unica disponibile; una diversa metafora sta sorgendo e sembra più
promettente, ed è quella della scuola-comunità perché capace di integrare le esigenze e le efficienze,
efficacia e produttività con le altre quali significatività, cooperazione e cittadinanza.

SCUOLA-IMPRESA O SCUOLA-COMUNITA’?
Se si prende come riferimento la Costituzione che è alla base della legge sull’autonomia scolastica
(L.53/2000) e che valorizza la persona umana che non è vista come un individuo ma come membro di una
società, non ci sono dubbi: è all’interno della comunità che la persona è pienamente accolta, riconosciuta,
sostenuta nel suo processo di crescita abilitata a diventare responsabile e autonoma. Al suo interno gli
insegnanti nono sono tecnici e i dirigenti non sono ridotti a manager dell’organizzazione ma sono
considerati educatori e i genitori non sono percepiti semplicemente come clienti o utenti ma come partner
in un’impresa condivisa.

È dentro la scuola intesa come comunità che il discorso sulla persona, sulla personalizzazione sull’inclusione
trova il suo significato pieno.
La buona scuola è una scuola che sa offrire agli studenti una prospettiva non solo in termini di preparazione
alle professioni ma di sviluppo della propria personale identità e che è impegnata oltre che nel compito di
consegnare una tradizione o di preparare i giovani a fronteggiare le nuove richieste di un economia in
evoluzione e di un mercato del lavoro in continua trasformazione, ad offrire un contributo per cambiare in
meglio la realtà.
Nella scuola si manifesta un apparente antinomia. La scuola è un’istituzione e come tale tende a conservare
se stessa mediante meccanismi di assimilazione/accomodamento, ma è anche fattore di innovazione e in
quanto tale ha una natura anti-istituzionale. L’antinomia si può risolvere se si vede come interno alla natura
della buona scuola, il rapporto tra istituto (regole date) e istituente (la spinta a superare la situazione
consolidata, ad innovare e, perciò a creare regole nuove). La scuola allora non è soltanto un’organizzazione
burocratica ma una organizzazione che apprende dall’esperienza che riflette che si misura con le nuove
sfide con un identità pedagogica che si sviluppa nel tempo in una ricerca continua di miglioramento.
Una buona scuola è quella che non dimentica che il suo primo servizio è verso lo studente nei cui confronti
ha il compito di orientamento e proposta.

Capitolo primo: IL PROCESSO DI RIFORMA DELLA SCUOLA


I sistemi scolastici non sono immodificabili. Quanto più una società si evolve tanto più diventa necessario
adeguare la scuola alle nuove esigenze. Nella maggior parte degli stati europei è in corso un incessante
azione riformatrice, tanto che si parla della scuola come di un cantiere aperto. Queste continue riforme
creano spesso perplessità ed incomprensioni nelle famiglie, ma è un disagio inevitabile perché la società
cambia a ritmo incalzante e la scuola deve adeguarsi.

1.Gli orientamenti internazionali e il motivo delle riforme.


In un tempo relativamente breve si è passati dalla società industriale a quella post-industriale. Nel modello
industriale l’economia è rivolta alla produzione, di beni materiali, con una concezione di crescita
quantitativa, fondata su una organizzazione che ha nella catena di montaggio la sua espressione più tipica.
La cultura della modernità era dominata da una concezione economica centrata sul capitale, quindi
materialista come anche il suo opposto comunismo. Le conseguenze sulla persona sono state evidenti :
sfruttamento, riduzione della persona a numero, concezione materialistica della vita.
Anche oggi, nella post modernità, l’economia resta il paradigma culturale dominante in modo ancora più
forte dopo il crollo dei totalitarismi.
La sconfitta delle ideologie moderne sembra aver lasciato il campo di un’economia di mercato che non
conosce limiti né spaziali (globalizzazione), né etici (il mercato ha le sue leggi autonome). All’economia
basta sulla produzione di materiali è subentrata l’economia immateriale fondata sulla finanza.
Il mercato da locale è diventato globale. I rischi per la persona sono : riduzione a individuo frammentato,
precario, privo di appartenenza, sollecitato a competere per sopravvivere.
Nel mutato quadro economico e sociale ritroviamo nuove povertà materiali e spirituali. L’educazione oggi
deve affrontare grandi sfide che si presentano come ANTINOMIE che appaiono irriducibili: valore del
pluralismo e deriva del relativismo o dell’indifferenza, dualismo etico: distinzione tra moralità pubblica e
privata, la sfida tra progresso e conservazione della tradizione, tra ricerca e limiti etici, tra competitività e
solidarietà.
All’interno di questo contesto socio-culturale in ambito internazionale, si cominciano a delineare nuovi
orientamenti in tema di formazione. Ci si riferisce a documenti UNESCO e UE.
1. Circa l’UNESCO si devono ricordare il Rapporto Faure (Pronuncia for) del 1972, il rapporto Delors e il
Documento Mayor. Il Rapporto Delors si pone in continuità il rapporto Faure poiché affronta anche esso la
crisi dei sistemi scolastici per poi offrire delle prospettive di soluzione individuando i 4 pilastri
dell’educazione: che costituiscono i compiti della scuola:
IMPARARE A CONOSCERE: (Non si intende l’acquisizione di nuove informazioni, ma l’apprendimento di
nuove modalità per apprendere sempre cose nuove ‘’apprendere ad apprendere’’)
IMPARARE A FARE: (Non si rivolge alla formazione professionale, ma indica lo sviluppo della competenza
necessaria per affrontare situazioni nuove e lavorare con gli altri)
IMPARARE A VIVERE INSIEME: Cioè imparare a comprendere gli altri, a realizzare progetti comuni
IMPARARE AD ESSERE: La scuola viene intesa come ambiente significativo per la vita e non luogo di pura
preparazione al futuro sbocco professionale.

Il Rapporto Delors ha contribuito molto all’attuale modo di vedere il compito della scuola. In tale rapporto
si evidenziano 3 temi che la scuola deve affrontare: la globalizzazione, la socialità, lo sviluppo dei talenti.

Il documento di Mayor (direttore generale dell’UNESCO) affronta il problema dell’educazione per tutti e per
tutta la vita. Mayor propone la questione di come debba essere cambiato il mondo per essere all’altezza di
uno sviluppo a misura di talenti. Secondo Mayor se non si ripensa il paradigma di sviluppo che caratterizza i
rapporti tra i paesi del mondo, la situazione diventerà esplosiva perché non si potrà evitare che si rompa
l’equilibrio precario espresso con la formula ‘’economia del quinto’’ (l’espressione si riferisce al fatto che
attualmente il 20% degli abitanti del pianeta controlla l’85% del reddito globale). Per rendere positiva la
globalizzazione occorre realizzare veri e propri contratti aventi lo scopo di umanizzarla: contratto sociale,
naturale, culturale ed etico. Un ruolo chiave affidato all’educazione e ai sistemi di istruzione e formazione
( il tema dell’educazione è visto principalmente all’interno del contratto culturale). Bisogna contrastare
l’effetto deleterio dell’economia del quinto in educazione, quello che preferisce investimenti selettivi e che
punta a garantire poche scuole di qualità riservate a chi detiene il potere.
Già dagli anni ’90 (Libro Verde e Libro Bianco) in ambito europeo i vari ordinamenti convergono sempre più
in materia di istruzione e formazione. Si prende coscienza della sfida che la globalizzazione pone alla scuola
a causa delle profonde trasformazioni del mercato del lavoro. Si prendono in considerazione in particolare
due grandi problemi:
1. IL RAPPORTO CHE I SISTEMI SCOLASTICI DEVONO AVERE CON IL FUTURO e quindi il TIPO DI
INSEGNAMENTO che la scuola deve impartire ai giovani perché possano acquisire le competenze richieste
dal mondo del lavoro; tale rapporto è reso difficile dalla velocità e complessità dei cambiamenti in atto nella
società.
2.CHE TIPO DI RAPPORTO va intrattenuto con il passato, con la propria tradizione culturale, con la propria
storia e con le proprie radici. Ci si chiede cosa si debba conservare di una cultura in tempi di accentuato
pluralismo. Quale identità va conservata in un mondo che è diventato un villaggio multietnico.
Da questi interrogativi è emersa l’urgenza di riformare profondamente i curricoli per permettere alla scuola
di rispondere alle mutate esigenze. In senso all’UE si discute intensamente per mettere a punto criteri
condivisi da tutti i membri. Il documento che ha maggiormente influenzato la riflessione sulle riforme è il
‘’Libro Bianco dell’Istruzione’’ (Bruxelles 1995) da cui si evince un principio accettato da tutti ‘’insegnare e
apprendere’’. Non basta insegnare vale a dire trasmettere conoscenze poiché queste diventano
velocemente obsolete, ma occorre insegnare strategie per risolvere problemi sempre nuovi che si pongono
continuamente; sviluppare competenze e mettere gli studenti in grado di saper fare.
Il Rapporto ridefinisce i compiti della scuola in base alle esigenze del mondo produttivo ed evidenzia il ruolo
fondamentale della formazione che deve abbracciare l’intera vita. Abbandonato un approccio didattico
trasmissivo e contenutistico gli insegnamenti vanno finalizzati a fornire gli strumenti cognitivi adeguati per
far fronte alle continue richieste di nuovi compiti e di nuovi skills.
Soprattutto è necessaria una generalizzata alfabetizzazione riguardante le nuove tecnologie.
Nei rapporti dell’UNESCO e in quelli dell’UE si evidenziano due diverse visioni del compito della scuola: in
entrambi viene riconosciuta la centralità dell’apprendimento, ma con qualche divergenza .
Nei documenti dell’Unione Europea prevale una concezione funzionalista secondo cui è soprattutto
l’economia che deve indicare il compito della scuola e la scuola è valida se sa corrispondere alla sfera
antropocentrica: qui è molto forte la concezione del valore della persona nella sua dimensione personale e
sociale ed è molto sentita la necessità di agire per rimuovere le disuguaglianze penalizzanti. Nel primo caso
si impone la logica economica dell’apprendimento come impresa utilitaristica e individuale, nel secondo la
logica pedagogica della centralità della persona.

2.Il processo di riforma in Italia


Dalla metà degli anni ’90 la nostra scuola è oggetti di numerose riforme. I dibattiti a livello internazionale
hanno fatto emergere due problemi:
1.Riguarda quali risposte dare alle esigenze di un’economia in trasformazione. Non basta ridisegnare il
profilo dei licei o degli istituti tecnici, ma occorre una riforma didattica che si fondi sull’apprendimento. Da
qui un depotenziamento dei contenuti classici a favore dello sviluppo delle competenze.
1. Ha come centro il soggetto di apprendimento ed è quindi più sensibile alla qualità dell’esperienza che si
svolge nell’aula intesa come luogo di vita e non come semplice luogo in cui ci si prepara al futuro. Il
problema della cittadinanza è anche molto avvertito in considerazione di realtà di vita sempre più
multiculturali e multietniche.
L’Italia ha più degli altri stati la necessità di una riforma totale della scuola poiché finora ha attuato solo
riforme parziali che hanno riguardato unicamente la scuola elementare e media. Non si è saputo rendere la
scuola superiore (che da Gentile non ha subito cambiamenti) più rispondente ai cambiamenti socioculturali
ed economici subiti dal nostro paese. L’Italia è in ritardo rispetto agli altri stati sia per mancanza di una
riforma generale della scuola, sia per l’impianto centralistico di questa derivante Legge Casati del 1859, che
aveva lo scopo di fare gli italiani, aveva cioè uno scopo pedagogico. Questa legge prevedeva
un’organizzazione centralistica e piramidale della scuola.
La scuola doveva essere statale e quindi il suo modello di amministrazione non poteva che essere quella
ministeriale. La scuola pubblica, intesa come statale appare storicamente non solo come scuola burocratica
ma anche come scuola di tipo ministeriale.
Da molto tempo però si erano iniziati a sentire i limiti di tale organizzazione, ma soprattutto dagli anni ’70
si è sviluppata una forte tendenza a rivelare in senso più autonomistico l’impianto centralistico della scuola.

Già con la Costituzione del 1948 si delinea un diverso rapporto tra Stato e Società affermando l’importanza
centrale della persona. Con la Costituzione c’è stato un radicale cambiamento di logica: il cittadino non
deve essere più il risultato dell’azione pedagogica statale, ma espressione della comunità di appartenenza,
rispetto alla quale le istituzioni si devono porre in relazioni di servizio. Se l’odierna costituzione si può
considerare il documento che fonda l’autonomia della scuola e la sua appartenenza alla comunità di fatto
non è stato facile superare il centralismo. I Decreti Delegati del 1974, prevedono la partecipazione e la
gestione sociale, mediante l’istruzione degli organi collegiali costituiti non solo dai docenti e dirigenti
scolastici, ma anche dai genitori, amministratori e personale amministrativo, si possono considerare la
pietra miliare dell’autonomia e dell’appartenenza della scuola alla società in cui opera.
Nel 1997 la legge n°59 (detta Bassanini) ha riconosciuto l’autonomia della scuola e con Berlinguer inizia la
cosiddetta ‘’Grande Riforma’’ della nostra scuola. Il Ministro però non riuscì a portarla a termine a causa
della caduta del Governo. Tale riforma prevedeva il riconoscimento dell’autonomia alle istituzioni
scolastiche, la riforma di tutto l’ordinamento scolastico, dalla materna ai licei, dei curricoli dei diversi ordini
e gradi della scuola. Si sta sempre più comprendendo che i tempi attuali non sono adatti alle grandi riforme
perché richiedono tempi lunghi e al momento della realizzazione sarebbero già superate. Bisogna quindi
optare per criteri generali e puntare sull’autonomia delle istituzioni scolastiche. I rapporti internazionali
indicano nella scuola dell’apprendimento la direzione da proseguire perché in un mondo dove tutto cambia
velocemente diventa indispensabile apprendere cose nuove. ‘’Apprendere ad apprendere’’ appare come la
più importante della competenza. Se la finalità e quella di insegnare ad apprendere vanno ripensate le
modalità di insegnamento utilizzate e vanno rivisitati i curricoli.
Il problema principale è il senso complessivo da attribuire all’azione educativa e didattica. I rapporti
internazionali ci indicano 2 possibili percorsi di riforma in base a 2 differenti opzioni culturali: la visione
funzionalista contrapposta a quella antropocentrica. La prima ritiene corretto che sia il mercato a dettare i
curricoli e stabilire le competenze indispensabili. Il curricolo ha un andamento top down. Le competenze da
sviluppare riguardano i contenuti considerati utili, cioè funzionali alla domanda del mercato.
Inevitabilmente gli insegnamenti meno spendibili sono marginalizzati.
La prospettiva antropocentrica invece, costruisce il curricolo in base alle esigenze di sviluppo della persona.
Il curricolo quindi nasce dal basso. Ciò non significa trascurare l’esigenza di garantire agli studenti buone
competenze finali in vista della professione scelta o della facoltà universitaria, ma prevale grande
attenzione all’unitarietà della persona. Il criterio dell’imparare ad apprendere, è importante ma lo è anche
l’imparare a vivere e l’imparare a convivere: l’imparare a vivere richiede non solo conoscenze, ma la
trasformazione della conoscenza acquisita in sapienza. La prospettiva antropocentrica non è disposta a
sostituire la logica pedagogica con quella economicista. Non rifiuta la necessità che la scuola debba
insegnare i saperi professionali ma non vuole farsi giudicare solo in termini di utilità. I saperi funzionali sono
importanti, ma lo sono anche quelli estetici, sociali, etici. Dice Gadner : l’educazione deve ruotare incontro
a 3 componenti
1. La sfera della verità
2. La sfera della bellezza
3. La sfera della morale

3.La scuola dell’autonomia


La scuola della autonomia.
Nel 1997 nasce l’autonomia amministrativa delle singole scuole che prendono il nome di istituzioni
scolastiche. L’autonomia è una vera e propria rivoluzione culturale . Ne consegue che la scuola si trasforma
da verticistica in orizzontale e policentrica nel senso che si attenuano le relazioni verticistiche e la
dipendenza gerarchica perché le competenze sono più ripartite in favore degli enti locali, delle regioni e
soprattutto delle singole scuole. Il successivo regolamento del 1999 stabilisce le competenze della scuola
dell’autonomia e quale rapporto deve tenere con il ministero. Alle istituzioni scolastiche si riconoscono
maggiori competenze negli ambiti progettuale, organizzativo, didattico, di ricerca e sviluppo
dell’innovazione. La riforma ha avuto come principale conseguenza la fine dei Programmi Nazionali che
vengono sostituiti in parte dalle Indicazioni emanate dal Ministero e in parte dal POF.
Caratteristiche del Programma Nazionale sono:
1) garantire l’uniformità dell’istruzione ,
2) durare nel tempo.
I programmi nazionali offrono indicazioni uniformi e, perciò, così generali da finire per risultare generiche e
comportano inevitabilmente una certa estraneità rispetto al contesto culturale e sociale in cui si opera . Per
questo in passato sono stati criticati in quanto visti come strumento di omologazione culturale.
Il POF sostituisce in parte i programmi nazionali, è elaborato dalle scuole ed ha come componente
principale il curricolo. IL POF comprende i principi di fondo , i valori guida e le regole che la comunità
educativa intende darsi ,nel curricolo i docenti manifestano i loro orientamenti metodologici, esplicitano gli
obiettivi della loro azione didattica, delineano i percorsi didattici, le attività extracurricolari, le iniziative di
verifica e valutazione. L’autonomia curricolare comporta offerte eterogenee a livello nazionale e locale. Ci si
è quindi chiesti: come garantire l’unitarietà dei programmi visti i tanti curricoli? Occorre cercare di
raggiungere un punto di equilibrio capace di garantire le istanze nazionali e quelle locali. I Regolamenti del
1999 risolvono il problema riservando al centro gli obiettivi essenziali che tutte le scuole dovranno
perseguire, i vincoli organizzativi e gli orari da rispettare, gli standard relativi alla qualità del servizio che
tutte le scuole dovranno garantire ed indica gli indirizzi generali per la valutazione degli alunni.
Il Ministero, attraverso le Indicazioni, fornisce la “mission” a tutte le scuole di quel ciclo ed assegna le
risorse umane e il budget. La scuola accetta la mission e la integra. Il POF è così costituito:
1. mission (principi generali uguali per tutti)
2. curricolo didattico (piano di lavoro, orari, organizzazione dei laboratori, piani di lavoro individualizzati)
3. l’organizzazione, progetti comuni, partecipazione e gestione sociale
4. sistema di monitoraggio, verifica e valutazione .
Tutti i soggetti della comunità educativa concorrono alla elaborazione del POF ognuno secondo le proprie
competenze. Conclusione: il POF integra le Indicazioni Generali dettate dal Ministero, ma non ne può
prescindere e non si esaurisce una volta compilato, ma va continuamente aggiornato. Il POF è un
documento che si dovrebbe costruire mediante l’ascolto delle esigenze degli studenti , delle richieste dei
genitori e delle attese della comunità, ma non deve riflettere piattamente la domanda sociale e delle
famiglie perché questa è spesso superficiale e consumistica. E’ una ipotesi educativa, non deve soddisfare a
tutti i costi i clienti.

Capitolo due: Il curricolo nella scuola dell’autonomia


Con il riconoscimento dell’autonomia alle scuole si passa “Dalla scuola del Programma alla scuola del
curricolo “ , come dice il testo di Stenhouse. Si realizza cioè, nella metà degli anni 90, il conferimento di
potere alle scuole in ordine alla progettualità e alla gestione organizzativa e didattica.
1. Orientamento curricolare Che cosa si intende per curricolo? Ce ne sono diverse accezioni. C’è chi intende
il piano di studi, le materie scolastiche, i corsi che lo studente deve seguire, gli obiettivi che debbono essere
raggiunti in termini di risultati da certificare. Per uscire dal labirinto delle molteplici interpretazioni occorre
partire dalla etimologia della parola. Il termine curricolo implica l’idea di percorso , includendo la meta , ma
anche l’insieme delle operazioni necessarie per raggiungerla. Secondo Tyler il curricolo deve rispondere a 4
domande fondamentali.
1. quali sono le finalità che con il mio insegnamento mi propongo? (obiettivi) 
2. quali esperienze educative posso utilizzare per conseguire tali finalità? (contenuti)
3. In che modo, concretamente, posso realizzare tali esperienze? (metodi)
4. In che modo al termine del percorso potrò sapere se ho raggiunto le finalità che mi ero prefisso?
(valutazione).
Tyler, di fronte al problema della modalità di realizzazione del curricolo, ha un approccio molto pragmatico
e può essere sintetizzato in 4 parole-chiave: obiettivi, contenuti, metodi, valutazione. La definizione di
Stenhouse fa invece emergere meglio la caratteristica sociale del curricolo: deve essere qualcosa di
comunicabile, trasparente in modo da poter essere sottoposto ad analisi e ridefinizione continua. Per
entrambi il curricolo nasce dal basso, è progettato a partire da una analisi della realtà nella quale si opera ,
deve essere significativo in un dato contesto. Secondo Scurati la logica del curricolo poggia su 4 cardini
fondamentali: la realtà, la razionalità, la socialità , la trasparenza  Il riferimento alla realtà è un elemento
essenziale del curricolo che è simile ad un vestito su misura della scuola considerata nel suo radicamento
territoriale; la razionalità consiste nel saper individuare obiettivi precisi, nella efficacia nel raggiungere tali
obiettivi, nell’efficienza nel predisporre risorse e nell’impiegare modalità operative per raggiungerli , per
socialità si intende che il curricolo è un prodotto sociale scaturente dalla collaborazione tra le diverse
professionalità interne alla scuola ed anche esterne (istituzioni presenti sul territorio) . La trasparenza. (=
quanto predisposto deve essere comprensibile, socialmente comunicato e verificabile )è condizione della
possibilità di rielaborazione e di miglioramento. Il curricolo si caratterizza come sintesi tra due poli
complementari, locale/nazionale, e si configura come strumento di progettazione e ricerca educativa. Nel
tempo si sono evidenziate proposte curricolari tra loro anche molto diverse. La loro analisi consente di
mettere in evidenza tre principali componenti: 1. le teorie che esprimono una certa visione del compito
della scuola 2. i modelli didattici, anche essi teorici, che offrono interpretazioni della visione orientate
all’azione didattica; 3. i percorsi , cioè la traduzione in pratiche didattiche degli orientamenti valoriali e
teorici

a) Le teorie Prima di essere una lista di obiettivi da raggiungere o un elenco di esperienze da realizzare, il
curricolo esprime una visione pedagogica. . Le teorie del curricolo conoscono un particolare sviluppo tra la
fine degli anni 50 e gli inizi degli anni 60 dopo la crisi dell’attivismo pedagogico e si snodano lungo 3
principali percorsi:
1. quello del miglioramento degli insegnamenti disciplinari,
2. quello della razionalizzazione della azione didattica,
3. quello della partecipazione sociale. Il primo filone ha visto il fiorire di progetti sperimentali volti al
rinnovamento dei programmi e dei metodi di insegnamento. Si delineano progetti anche sperimentali
indirizzati ad importare nel campo dell’insegnamento metodi e concetti desunti dal mondo della ricerca
scientifica. Il secondo filone si occupa dell’organizzazione complessiva del fare scuola. L’intenzione è quella
di introdurre una maggiore razionalità nel modo di programmare, di organizzare e di valutare gli
apprendimenti. Questa posizione attribuisce molta importanza alla definizione degli obiettivi che deve
essere chiara e dettagliata . Il terzo filone è sensibile agli aspetti sociali e culturali della progettazione . Ci si
interroga sul rapporto che la scuola dovrebbe avere con il territorio di appartenenza e si ritiene che la
scuola deve avere la capacità di intercettare i bisogni concreti presenti nella comunità sociale in cui la
scuola opera.

RIFERIMENTI EMBLEMATICI VALORI GUIDA MODELLI DIDATTICI DOMINANTI


-Dewey -Centralità dell’alunno Attivismo
-Montessori -Educazione democratica (Learning by doing)
-Tylor Razionalità dei processi e Operazionalizzazione degli
-Bloom controllabilità dei risultati obiettivi: individualizzazione
(Mastery learning)
-Freire -Partecipazione democratica -Analisi e discussione
-Don Milani -Alfabetizzazione culturale -Assemblea e gruppo
-Bruner -Culturalismo Approccio socio-culturale ed
-Gardner -Multidimensionalità euristico
dell’apprendimento
-Bateson Paradigma della complessità
Approccio olistico
-Morin
-Hoz -Persona Personalizzazione
-Mc Inthry -Comunità
ORIENTAMENTI PRESENTI NEI DOCUMENTI INTERNAZIONALI ATTUALI
Unione europea Apprendere ad apprendere Approccio funzionalista
UNESCO Apprendere a vivere e convivere Approccio antropocentrico
OCSE-PISA Sviluppare competenze Approccio ‘autentico’
(Apprendimento situato)

b) i modelli didattici E’ chiaro che ogni modello teorico per essere applicato nella realtà ha bisogno di
modelli didattici coerenti con la teoria proposta. Es: un curricolo di tipo attivistico dà grande rilevanza
all’alunno (puerocentrismo) . E’ chiaro perciò che il modello didattico capace di trasformare la teoria in
pratica non può essere quello trasmissivo ma dovrà prevedere un ruolo attivo per l’alunno. Il celebre motto
“se faccio capisco” sintetizza questa scelta. Oppure in una concezione della scuola come introduzione alla
vita della cultura saranno privilegiati i modelli didattici che concepiscono le discipline come strumenti di
sviluppo del pensiero (Bruner) . La tabella mette in luce la numerosità degli orientamenti ma anche la
complessità del problema della scelta del curricolo. Prima di scegliere il modello curricolare occorre
stabilire a che cosa serve oggi la scuola. Secondo Fiorin l’elemento valoriale è quello fondativo.

Osservando la tabella possiamo inserire le diverse teorie in alcune aree:


A) razionale- funzionalistica (TYLER/BLOOM), orientata a conseguire gli obiettivi in base all’efficienza ,
all’utilità del curricolo che deve corrispondere alle richieste dell’economia. In tale teoria il valore guida è
dato dallo sviluppo economico. Pertanto il compito della scuola è servire lo sviluppo di una economia
fondata sulla conoscenza.
B) sociale-partecipativa. Tale teoria (Freire , Don Milani,in parte DEWEY) ) è attenta al problema delle
situazioni di svantaggio socio-economico e mira a contrastarle ed è sensibile al primato dello sviluppo
sociale e considera l’istruzione, nutrita di valori morali e civili, un mezzo per concorrere a tale sviluppo.
C) scientifico-tecnologica (OCSE-PISA): questa teoria dà rilevanza ai nuovi saperi e linguaggi e al ruolo che il
sapere scientifico gioca in una società sempre più tecnologica. Pertanto ritiene che la scuola debba
promuovere la conoscenza scientifica e l’alfabetizzazione tecnologica.
D) psico-socio-culturale(GARDNER). Tale teoria è particolarmente attenta all’interazione tra persona,
gruppo e cultura di appartenenza. Tale teoria è debitrice al costruttivismo , e alla psicologia di Vygotskij,
alla psicologia culturale di Bruner e alla teoria delle intelligenze multiple di Gardner.

c) i percorsi

I modelli didattici influiscono sulla elaborazione dei percorsi di apprendimento perché ne garantiscono
l’accordo con i principi generali . La progettazione e la realizzazione dei percorsi didattici rappresentano il
momento della verifica delle idee-guida. Siamo sul terreno delle esperienze che si verificano in aula .
Sarebbe sbagliato intendere la progettazione dei percorsi come momento applicativo di modesto significato
perché qui si pongono problemi importanti come scegliere che cosa è rilevante insegnare.
2.Dai programmi al curricolo.
Le teorie del curricolo, già presenti in USA e in molti stati europei, arrivano in Italia agli inizi degli anni 70
dove vengono accolti con particolare favore per vari motivi. Si sente la necessità di aprire la scuola alla
società: prima di tutto alle famiglie, agli enti locali, alle istituzioni , al mondo economico. I programmi
nazionali vengono considerati superati perché uniformanti e centralizzati.
Si richiede inoltre all’istruzione maggiore efficienza. Ci si propone di accantonare la trasmissività da parte
dell’insegnante di conoscenze uguali per tutti. Si auspica una offerta formativa più razionale, più efficiente
nella organizzazione scolastica, più capace nel conseguire i risultati e più disponibile alla verifica e alla
trasparenza. Alle esigenze esterne si sommano le esigenze interne degli insegnanti che vogliono contare di
più nell’ambito della scuola. Ci si è chiesti come abbiano influito le teorie curricolari sul nostro sistema
scolastico. La prima legge rilevante sono i Decreti Delegati del 1974. Questi prevedono la costituzione degli
organi collegiali che recepiscono la richiesta di partecipazione e gestione sociale della scuola e delineano
una nuova figura professionale di docente e dirigente. I decreti cambiano totalmente le relazioni interne
alla scuola e quelle della scuola con l’ambiente sociale in cui opera. La scuola viene vista sempre più come
“comunità educante” in cui tutti i membri, anche se nel rispetto dei reciproci ruoli, sono chiamati a
collaborare. La legge n. 517 del 1977, nota come la legge che ha reso obbligatorio l’inserimento degli alunni
con disabilità nelle classi comuni, ha però anche introdotto la programmazione curricolare. Questa legge
prevede una scuola in cui i docenti agiscono collegialmente e dialogano con il contesto sociale in cui
operano, una didattica non più fissa, ma flessibile , una valutazione formativa e non sanzionatoria (viene
abolito il voto) e una programmazione curricolare. L’idea chiave è che la scuola non può affidare il compito
educativo ad un solo insegnante per quanto bravo perché la responsabilità educativa deve essere di tutta la
scuola . Inoltre tutti i componenti della realtà scolastica si devono preoccupare che ogni alunno apprenda le
cognizioni propostegli indipendentemente dalla sua personale posizione di partenza. La strategia da
adottare riguarda tutta la collettività , non solo i docenti , visto che i principi educativi sono stabiliti dal
Consiglio di Circolo(scuola primaria) o di Istituto (medie-superiori) , che comprende, non solo la scuola, ma
anche altre istituzioni tra cui la famiglia.

Sotto questa ottica si comprende la funzione del sostegno da fornire a chi si trova in situazione di
svantaggio. 
La legge 517 ha comportato  l’emanazione dei Nuovi programmi per la scuola media nel 1979, nel1985 per
la scuola elementare, nel 1991 i Nuovi orientamenti per la scuola materna. In realtà i Programmi per la
scuola media sono quelli che più danno spazio alla libertà dell’insegnante e alla discrezionalità della scuola.
Sono quindi prescrittivamente deboli , ma questa debolezza è la loro maggiore forza. Gli orientamenti della
Scuola materna, pur essendo nazionali, lasciano ampia libertà ai docenti . Per concludere non siamo ancora
nella scuola “del curricolo”, ma si comincia a superare la scuola “dei programmi” . Ora l’insegnante non è
più una specie di impiegato dei programmi, avente il compito di applicarli quasi alla lettera, ma un
professionista che fa delle scelte, si assume delle responsabilità e soprattutto adegua il programma
nazionale al contesto sociale in cui opera. Ci si è chiesti come si debba intendere l’attenzione alla realtà
locale, quanto debba pesare, come debba essere finalizzata. Bisogna stare molto attenti a non incorrere in
una serie di rischi: a) l’enciclopedismo . Si intende l’insegnamento che si disperde nell’enumerazione dei
particolari senza evidenziare ciò che è veramente importante. b) il nozionismo . L’insegnamento è
nozionistico quando non sa scindere le nozioni particolari dai concetti generali capaci di dare loro
significato. c) il “presunto interesse”. Si è detto che è bene privilegiare lo studio della realtà locale perché
gli alunni si interessano di più a ciò che hanno sempre davanti agli occhi. Questo però non è sempre vero
perché spesso si è più interessati ai modi di vivere diversi dai nostri e attraverso il confronto con realtà
diverse dalla nostra vediamo con occhi nuovi ciò che davamo per scontato. d) la presunta maggiore
semplicità .Un’altra credenza diffusa , ma priva di fondamento, è quella che considera lo studio della realtà
locale come più semplice e quindi si è incluso nel curricolo della scuola primaria lo studio della realtà
locale . Quindi il motivo il motivo della sua inclusione nel curricolo deriverebbe dal rispetto della gradualità
didattica (passaggio dal semplice al complesso) . Non si è considerato che il bambino di oggi non vede solo
l’ambiente in cui vive , ma grazie alla tecnologia e ai viaggi , spazia in località diversissime dalle sue. Per
concludere non si studia il proprio quotidiano perché più facile da apprendere o perché l’insegnamento
risulta più efficace. In realtà non è scontato che limitando l’attenzione al proprio ambiente si approfondisca
di più e si eviti di cadere nell’enciclopedismo. Bruner invita ad andare oltre l’informazione, cioè ci invita a
favorire la scoperta delle idee e delle ipotesi che si nascondono dietro i singoli dati. Il problema della
didattica locale è quello di evitare la banalizzazione e il localismo esasperato. La realtà locale in verità viene
studiata non perché più semplice, ma perché nella sua complessità contiene tutti gli elementi fondamentali
della cultura umana . Il processo di costruzione dell’identità personale non avviene nel vuoto ma dentro la
cultura di appartenenza. C’è però anche il rischio opposto da evitare che è quello della perdita della propria
identità culturale a causa della globalizzazione massificante. Rispetto a queste sfide il compito insostituibile
della scuola è educare sia alla cittadinanza nazionale che a quella europea e planetaria.

3.Autonomia, indicazione e curricolo


La legge sulla autonomia del 1997 segna la svolta definitiva. I programmi nazionali cessano la loro funzione
e viene riconosciuta l’autonomia progettuale, oltre che didattica, organizzativa e di ricerca , della scuola. Il
regolamento del 1999 introduce il POF e il curricolo, però per evitare la dissoluzione di ogni riferimento
unitario, specifica le competenze delle scuole autonome e chiarisce le competenze del centro: i principi
generali e gli obiettivi che si dovranno raggiungere e i criteri da seguire per la valutazione. I principi, gli
obiettivi e i criteri di valutazione sono indicati non più nei Programmi ma nelle Indicazioni (o Indirizzi) . Alle
singole scuole spetta il compito di elaborare il proprio curricolo didattico che risulterà così formato dalla
integrazione di due fondamentali componenti: quella nazionale, che stabilisce il minimo comune a tutti, ed
indispensabile alla tenuta del sistema scolastico e quella delle singole scuole , a cui viene riconosciuta piena
autonomia di progettazione, didattica, organizzativa, di ricerca e sviluppo. 
In conclusione :
• il curricolo deve essere elaborato a scuola , quindi parte dal basso e non più dall’alto dal Ministero , non
viene elaborato dal centro per essere applicato dalle scuole
• l’istanza centrale e normativa del Ministero e le istanze locali , pragmatiche e flessibili, devono trovare un
accordo
• Il curricolo richiede una idea di scuola come luogo di ricerca di rapporto dialettico con diverse istanze:
della comunità scientifica, sociale e quelle etiche.
Il Passaggio dalla cultura dei programmi a quella delle indicazioni non è stato facile né per i docenti e
dirigenti scolastici né per lo stesso ministero. In questo ultimo decennio si sono succeduti 3 diversi testi: gli
Indirizzi per l’attuazione dei curricoli (De Mauro) , le Indicazioni per i Piani di Studio Personalizzati (Moratti
2003 ), le Indicazioni per il curricolo (Fioroni 2007 ) . Il Ministro Fioroni aveva intenzione di sperimentarlo
per un biennio prima di arrivare al testo finale , ma poi è caduto il governo. Gli Indirizzi di De Mauro, del
2000, sono ancora molto simili ai programmi nazionali, mentre le Indicazioni della Moratti sono più simili al
curricolo che ad indicazioni perché indicano obiettivi estremamente dettagliati invadendo la sfera di
competenza dei docenti. Le indicazioni di Fioroni sono il giusto mezzo tra centro ministeriale e scuole
autonome.

4.Che cosa indicano le ‘Indicazioni’


Le indicazioni non sono programmi e non si devono nemmeno identificare con il curricolo. Anche se le
Indicazioni e il curricolo sono strettamente correlati, i due documenti non vanno intesi come sovrapposti, il
primo (le indicazioni) riferito a ciò che tutte le scuole devono garantire e l’altro (il curricolo) riferito a ciò
che compete specificatamente a ciascuna scuola. In realtà il curricolo comprende le Indicazioni, le accetta e
le utilizza. Caratteristiche delle Indicazioni:
1. Essenzialità . Le indicazioni devono essere essenziali per non limitare l’autonomia delle scuole
2. Unitarietà e continuità. I diversi ordini di scuola (materna, primaria, media superiore) non si devono
considerare scissi l’uno dall’altro, ma interdipendenti. La loro unitarietà è ben sottolineata dalla Indicazioni
di Fioroni. La riforma dei cicli e il prolungamento dell’obbligo scolastico fino a 16 anni hanno creato le
premesse per creare un impianto molto più unitario dei diversi ordini di scuola
3. Centralità della persona. I tre documenti citati pongono al centro dell’istruzione la persona intesa come
singolo ma anche come membro della società.
4. Competenza. La didattica deve essere finalizzata allo sviluppo delle competenze
5. L’idea di insegnamento-apprendimento. Le indicazioni lasciano piena libertà di metodo, ma considerano
vincolante il riconoscimento e la valorizzazione dell’esperienza degli alunni, delle loro conoscenze e idee.
6. Ricerca. Le indicazioni, aventi carattere di provvisorietà, sono suscettibili di revisioni e quindi di
miglioramenti coinvolgendo le scuole.

Capitolo terzo: La scuola dell’apprendimento


L’espressione “scuola dell’apprendimento” si usa per mettere in evidenza la centralità dell’alunno nella
relazione didattica e l’importanza del ricorso a sistemi di insegnamento attivi e responsabilizzanti. Il
pensiero pedagogico, come dice Lawton, oscilla come un pendolo tra due opposte teorie: quella classica e
quella romantica a seconda che privilegino le ragioni dell’insegnare o quelle dell’apprendere.

1.L’Alunno protagonista
Come l’Attivismo si era contrapposto alla scuola tradizionale trasmissiva , così il cognitivismo si
contrappone alla concezione lineare del comportamentismo (metà 900) . Oggi parliamo di alunno attivo
non secondo le teorie dell’attivismo, che considerava fondamentale l’azione esercitata direttamente, il “se
faccio capisco” ma in modo nuovo per il quale non è necessario compiere azioni come l’osservare
direttamente la realtà o fare manualmente qualcosa, ma azioni mentali. Pertanto oggi si considera attivo
l’alunno cognitivamente attivo. Essere cognitivamente attivo vuol dire possedere un pensiero strategico.
Ecco perché diventa fondamentale insegnare a pensare più che insegnare nozioni. All’insegnante spetta il
compito di insegnare ad apprendere , all’alunno quello di apprendere ad apprendere. Il pensiero
strategico è un pensiero esperto, proprio di chi sa affrontare situazioni complesse ed esaminare diverse
ipotesi. Questo pensiero va sviluppato nel bambino da subito.
Piaget ha individuato nell’ambiente fisico l’elemento che consente al bambino di cominciare a “costruire le
sue prime conoscenze’’.
Vygotskij invece l’ha individuato nell’ambiente sociale. Egli crede che lo sviluppo del pensiero, del
linguaggio e sociale si incrementino dall’interazione sociale con gli altri (opposto a Piaget).
Piaget infatti riteneva che il bambino sviluppi in modo solitario la propria intelligenza ed il proprio
linguaggio . La teoria socio-costruttivistica di Vygotskij è la più diffusa avendo il merito di conferire grande
rilevanza all’influenza della cultura.
Il bambino sviluppa le proprie competenze in un ambiente culturalmente valido e nella interazione
continua con gli altri impara ad affrontare le diverse situazioni di vita sfruttando i mezzi offerti dalla cultura.
Lo sviluppo del pensiero strategico si può stimolare attraverso varie forme di mediazione. I materiali,
l’ambiente e lo spazio fisico fungono da mediatori, ma il mediatore per eccellenza è l’interazione sociale . Le
strategie co- costruttive si fondano proprio su queste convinzioni(cioè sull’apprendimento di tipo
collaborativo) Esse comportano una revisione profonda della didattica e contribuiscono a decentralizzare il
ruolo del docente investendo gli alunni di nuovi compiti ( dalla didattica direttiva si passa alla didattica
indiretta) . Il de-centramento comporta 2 conseguenze:
1. l’attenzione ai processi di costruzione di significato,
2 la valorizzazione dei gruppi cooperativi . Decentralizzarsi comporta per il docente una maggiore
attenzione all’ascolto degli studenti , dare spazio ai loro pensieri così da sviluppare le proposte didattiche
partendo dalla situazione. Un gruppo docente co-costruttivo può comprendere meglio gli alunni se riflette
sul loro modo di fare significato (= attribuire senso e comprendere in profondità la realtà) piuttosto che se
si limita ad accertare le loro effettive acquisizioni . Secondo la teoria co-costruttiva i bambini fanno
significato grazie agli scambi con i docenti (relazione asimmetrica) e tra di loro quando progettano la
realizzazione di qualcosa o discutono su qualche problema. ( relazione simmetrica). Il gioco collaborativo,
l’aiuto reciproco, il tutoring, il cooperative learning mettono in evidenza le principali caratteristiche
dell’apprendimento socio-costruttivo:
A. Comunità pratiche : gli alunni imparano molto quando lavorano o progettano insieme, impegnati in un
compito comune, in questo modo condividono pensieri, confrontano punti di vista, collaborano alla ricerca
di soluzioni.
B. Comunità di discorso: le discussioni tra studenti sono un ottimo mezzo di apprendimento perché
l’alunno, confrontando le sue opinioni con quelle degli altri, impara che può anche non avere ragione, che
ci sono altri punti di vista e che si possono trovare punti di intesa mediante la negoziazione.
C. Comunità di diversità : oggi le classi sono più eterogenee di una volta perché viviamo in una realtà
sempre più multiculturale e perché l’apprendimento extrascolastico offre agli alunni conoscenze maggiori
rispetto a quelle fornite dalla scuola e tali conoscenze sono apprese secondo modalità legati ai diversi
contesti non scolastici nei quali i bambini vivono. Il carattere comunitario della scuola permette di includere
alunni aventi particolari bisogni educativi o disabili. Quando la classe diventa gruppo ognuno trova non solo
sostegno nelle sue difficoltà ma anche gratificazione per quel che può offrire alla comunità. Bruner dice che
la psicologia ci fa capire che apprendere significa fare significato, cioè rielaborare in termini personali le
conoscenze , negoziare con gli altri il proprio punto di vista, ma non dice nulla circa i contenuti di tale
apprendimento, le finalità educative. Questo compito, infatti spetta al curricolo.

2.Dal curricolo all’aula


Il curricolo didattico elaborato dalla scuola è costituito dai progetti dei docenti inerenti alle discipline
insegnate o al progetto che stanno realizzando. Tale curricolo rispecchia i principi pedagogici enunciati nel
POF e le teorie tipiche della scuola curricolare, ma si confronta anche con quanto si deve insegnare e con la
realtà concreta della classe in cui si opera. Si pone perciò il problema di tradurre le linee guida generali
nella realtà didattica. Si devono cioè specificare in termini molto concreti gli obiettivi perseguibili nel breve
e medio periodo nonché le strategie metodologiche ritenute più efficaci. Si tratta in altre parole di passare
dalla programmazione curriculare ad ampio raggio alla programmazione di singole unità di lavoro che
lentamente la realizzano. Questo passaggio si può compiere secondo 2 categorie :
1. l’agire deduttivo è molto lineare e sistematico e consiste nell’analizzare a fondo i contenuti da
trasmettere e poi nell’impostare le unità di insegnamento in modo da affrontare in senso progressivo i
singoli argomenti. Le unità saranno ordinate in base ai contenuti a prescindere dalla realtà della classe e
dalle situazione individuali.
2. l’agire euristico invece agisce considerando la realtà della classe pur senza trascurare gli obiettivi
didattici,nell’agire euristico il docente opera da ricercatore e secondo un processo di soluzione di problemi
che sorgono nella pratica educativa. . La identificazione di questi problemi comporta l’elaborazione di una
strategia avente lo scopo di risolverli tutti o in parte. L’insegnante si comporta da ricercatore in quanto
considera il rapporto tra insegnamento e apprendimento non unilaterale e trasmissivo, ma interattivo. Non
è solo il docente a dare e l’alunno a ricevere , ma c’è una continua interazione , un dialogo , il docente non
è soltanto l’emittente e l’alunno il ricevente , c’è uno scambio tra l’uno e l’altro che porta il docente , se
necessario, a modificare il proprio itinerario di insegnamento inizialmente elaborato. La relazione tra
insegnante ed alunno può essere vista come un accordo, un patto nel quale le due parti danno ciascuna
qualcosa ed hanno molto in comune da condividere. Sebbene gli itinerari scolastici elaborati dai docenti
tendano ad esaminare i contenuti di studio bisogna considerare che l’insegnamento avviene all’interno di
contesti particolari e di relazioni umane. Tempo, spazi e soprattutto emozioni giocano il loro ruolo.
Nell’approccio lineare tutto è finalizzato a raggiungere gli obiettivi e lo sforzo è il raggiungerli
possibilmente in tempi brevi (efficacia) , secondo le strategie più economiche possibili (efficienza) Se la
relazione è solo trasmissione non si tiene conto del ricevente , al contrario la comunicazione tiene presente
l’altro. Bisogna però evitare che l’attenzione all’alunno e la disponibilità ad accoglierne i messaggi
stravolgano la programmazione dando luogo ad una didattica delle occasioni .La capacità di ascoltare
l’alunno , cogliere i suoi messaggi e assumerli all’interno di un percorso didattico intenzionale deve farsi
competenza professionale. Bisogna però evitare che l’attenzione ad accogliere i messaggi dell’alunno
stravolga la programmazione dando luogo ad una dispersiva “didattica delle occasioni “. La preoccupazione
fondamentale della programmazione deve essere di rispondere ai bisogni di crescita. Alla sistematicità di
partenza del modello lineare non va sostituita l’assoluta mancanza di intenzionalità, ma la sistematicità di
arrivo che risulta dalla organizzazione delle idee e dei contenuti che l’alunno stesso va ordinatamente
scoprendo.

3.Insegnare il meno possibile, far scoprire il più possibile.


Quando l’insegnante si pone dal punto di vista dell’apprendimento comprende più facilmente che il suo
compito consiste nel facilitare i processi di conquista personale dei significati da parte degli alunni piuttosto
che far loro acquisire informazioni e concetti preconfezionati. Per arrivare a tale risultato il docente deve
seguire una legge generale che si può esprimere in modo apparentemente paradossale: insegnare il meno
possibile, far scoprire il più possibile ; tale principio richiede di abbandonare le due opposte posizioni: 1. la
posizione trasmissiva e 2. quella sostitutiva. La prima si fonda sulla centralità del programma i cui
contenuti vanno trasmessi con sistematicità ed esaustività. E’ la scuola del manuale e della lezione.
All’alunno non resta che ascoltare, eseguire e ripetere. La seconda vede l’insegnante così preoccupato di
facilitare l’apprendimento da portarlo a sostituirsi allo sforzo dell’alunno di cui previene le domande e le
azioni. Agendo così finisce per privare l’alunno della preziosa esperienza dell’errore che gli permette di
apprendere strategie per non rifarlo. La scuola dell’apprendimento, invece, non è né banale né esecutiva
ma è molto impegnativa, sia per l’insegnante , che deve continuamente rivedere consolidate modalità di
comunicazione, sia per l’alunno che deve costruire il proprio personale sistema di conoscenza. Rivedere il
proprio comportamento professionale significa per l’insegnante perdere consistenti quote di potere
didattico . Questa scelta strategica può essere indicata con l’espressione empowerment ( dal verbo
inglese to empower che significa conferire il potere) Ne consegue che l’insegnante responsabilizza gli alunni
dando loro la massima autorità possibile, portandoli a prendere decisioni autonome. I programmi centrati
sull’empowerment tendono ad. aumentare il senso di potere personale del soggetto, ma anche la sua
capacità di leggere la realtà che lo circonda , individuando condizionamenti e minacce, ma anche
opportunità e condizioni favorevoli. Gli ambiti oggetto di potere didattico e quindi delegabili sono tre: la
progettazione, l’attività didattica, la valutazione. ………….????????????
Lo spostamento dell’enfasi sull’apprendimento comporta una riduzione più o meno marcata, ma
intenzionale del potere didattico assoluto esercitato in classe. L’insegnante da manager dell’organizzazione
didattica diventa leader educativo, impegnato ad aiutare gli alunni ad esprimere il massimo del loro
potenziale. L’insegnante -Leader non pensa solo al programma da svolgere ma anche all’atmosfera da
instaurare nella classe che deve essere di entusiasmo, incoraggiamento, serenità. Nel passaggio dalla scuola
dell’insegnamento a quella dell’apprendimento c’è una progressione tra i 2 poli estremi : quello della
direttività , cioè del massimo controllo del potere didattico esercitato dall’insegnante, e quello della
costruttività che vede l’alunno protagonista del proprio apprendere.

Dall’INSEGNAMENTO → all’APPRENDIMENTO

DIRETTIVITA’ DIR-ATTIVITA’ ATTIVITA’ COSTRUTTIVITA’


-Ascolto -Azione su consegna -Azione per iniziativa -Ricerca a partire dai
-Memorizzazione -Esecuzione personale problemi
-Riproduzione -Applicazione -Tentativi ed errori -Sperimentazione e
-Esercitazione -Imitazione -Osservazione diretta messa alla prova di
ipotesi
-Negoziazione dei
significati
-Metacognizione

Non è facile passare da un estremo all’altro e molte esperienze si collocano in posizione intermedia. La
seconda posizione intermedia si può definire con un gioco di parole: “dir-attività”.
Dir-attivo è quell’insegnante che pensa di promuovere un apprendimento attivo attraverso una serie di
richieste che richiedono all’alunno un impegno sul piano motorio o sul piano dell’azione concreta
dirigendone l’azione. Non basta che l’alunno faccia, osservi, ritagli, esca dall’aula perché sia attivo. E’ ancora
un alunno che l’insegnante dirige e a cui assegna compiti da eseguire.
La teoria attivistica si avvicina di più all’apprendimento costruttivo perché l’attivismo riconoscendo la
centralità dell’alunno mette in discussione la didattica della lezione frontale uguale per tutti ( mentre ogni
alunno ha esigenze diverse) e passivizzante ( mentre si impara facendo e non ascoltando) . L’attivismo però
non sa dare agli alunni i mezzi culturali per diventare veramente autonomi ed attivi L’ultima posizione è
quella dell’apprendimento significativo che ha come caratteristica distintiva la modalità costruttiva di
elaborazione delle conoscenze mediante la ricerca personale, la negoziazione dei significati all’interno di
gruppi di lavoro cooperativo, l’abitudine a riflettere sul percorso effettuato, sui risultati raggiunti, sulle
emozioni provate. Punto cruciale dell’apprendimento significativo è la dissonanza.
Nella progettazione delle unità di apprendimento l’insegnante può partire dalle indicazioni del Ministero o
dalla esperienza degli alunni . Quello che importa è che si favorisca l’emergere delle dissonanze cognitive e
non cognitive perché da esse nasce la ricerca personale. L’alunno interessato a trovare le risposte che la
situazione problematica crea , sperimenta che le richieste che la scuola gli fa sono importanti e significative
per lui. Venendo alla pratica il metodo che sembra meglio interpretare dissonanza e significatività è quello
euristico perché si fonda sulla continua problematizzazione e sulla ricerca autonoma degli alunni.
La scuola dei problemi richiede all’insegnante l’allestimento di contesti anche organizzativi favorevoli e
quindi il ricorso alle svariate modalità di apprendimento collaborativo. Nell’ottica socio costruttiva la
capacità di ascolto , la ricerca dell’accordo tra posizioni differenti e la messa in comune di idee sono parte
integrante della crescita cognitiva degli allievi. L’apprendimento significativo è favorito e si consolida grazie
alla competenza meta riflessiva (riflettere sulla riflessione mentre si agisce) che gli studenti sviluppano
quando viene data loro la possibilità di rivisitare le proprie esperienze, rileggendo criticamente i risultati cui
sono pervenuti e ancora di più il percorso compiuto. Le caratteristiche principali dell’apprendere ad
apprendere sono essenzialmente due: la consapevolezza delle strategie usate per apprendere ed il loro
controllo. Per concludere l’apprendimento significativo o costruttivo si sviluppa grazie ad una didattica
fondata sull’esplorazione e sui problemi e che privilegia la ricerca , la negoziazione dei significati e la
collaborazione con i pari.

4.Progettare unità di apprendimento.

(vedi anche lezione Fiorin allegata pag. 38)

Le unità didattiche (tappe intermedie nel curricolo) da qualche tempo sono indicate come unità di
apprendimento. Che cosa si intende per unità di apprendimento? Non si tratta solo di aggiornamento
linguistico e non bisogna contrapporre unità didattica e unità di apprendimento come se si trattasse di una
cosa nuova. . La più recente formulazione ha l’aspetto positivo di porre l’accento sull’apprendimento quasi
a voler indirizzare l’insegnante nella direzione del coinvolgimento dell’alunno. In ogni caso insegnamento e
apprendimento si richiamano reciprocamente. Ogni unità di insegnamento è inevitabilmente unità di
apprendimento. Appare importante invece riflettere sulla relazione che lega l’insegnare e l’apprendere. Un
conto è intendere tale relazione in modo deterministico , quasi che l’insegnamento produca
automaticamente apprendimento, un conto è intendere la relazione in senso circolare intrecciato come è il
caso in cui l’insegnante parte dall’esperienza degli alunni , procede in maniera interattiva, affidi loro un
ruolo fondamentale nella costruzione dei significati. E’ in questo modo che diventa interessante l’enfasi
sull’apprendimento cosicché possiamo intendere per unità di apprendimento l’unità di lavoro pensata,
progettata e realizzata a partire dall’alunno , dai suoi bisogni, dalla sua esperienza e dal suo modo di
apprendere. Chiamiamo invece scuola dell’insegnamento quella in cui prevale la preoccupazione della
trasmissione dei contenuti disciplinari.  La distinzione tra unità didattiche di insegnamento e unità didattiche
di apprendimento riguarda la loro funzione prevalente ( di trasmissione o formativa) Più che contrapposta
all’unità didattica l’unità di apprendimento è una unità didattica pensata non dal punto di vista dei
contenuti da trasmettere, ma dal punto di vista dei processi che portano l’alunno alla loro acquisizione.
Nella delineazione delle unità di apprendimento i docenti sono chiamati a tener conto di tre riferimenti
fondamentali:
1. gli obiettivi da raggiungere per ottenere certe competenze
2. i contenuti culturali , discipline
3. esigenze degli alunni tenendo presente la loro situazione di partenza e il contesto.
Le Indicazioni ministeriali indicano gli obiettivi generali, le competenze principali che tutti gli alunni devono
conseguire ed i saperi che tutti debbono conoscere ed apprendere a cominciare dalla scuola dell’Infanzia. Ai
docenti invece spetta la progettazione delle unità di apprendimento, cioè l’individuazione e la selezione
degli obiettivi che si possono realmente conseguire in breve tempo e tenendo presente la situazione degli
alunni. Tali obiettivi sono detti formativi.
L’unità di apprendimento si può considerare una tappa di un lungo viaggio, ma ha anche un senso unitario
avendo una destinazione : gli obiettivi , un percorso( : il processo di insegnamento/ apprendimento che si
articola mediante vari momenti) , una conclusione( la valutazione del tratto di strada fatto è necessaria per
vedere se si è arrivati alla meta prefissata) . Ha lo scopo di far partecipare gli alunni prevedendo l’uso di
metodi di tipo attivo che valorizzano la loro capacità di utilizzare il loro sapere . Ma quanto deve durare
questa unità di apprendimento? Non c’è una durata standard , è bene però tener presente, nel
programmare il tempo necessario, che questo è dato dalla possibilità che ha l’alunno, una volta finita la
tappa, di ripercorrerla con la propria riflessione senza dimenticare , a causa della eccessiva lunghezza o
complessità, gli aspetti più salienti e senza perdere di vista la sua complessiva articolazione. Per non far
durare troppo a lungo l’unità di apprendimento occorre che il percorso sia semplice e che gli alunni
l’abbiano ben appreso. Per concludere l’unità di apprendimento si deve strutturare tendendo presenti 4
punti:
• indicazione degli obiettivi formativi
• indicazione dei contenuti o esperienze didattiche
• l’indicazione dei metodi da seguire
• indicazione dei sistemi per la verifica e la valutazione.
L’aspetto più innovativo è costituito dagli obiettivi formativi. Ci si è chiesti che cosa si intenda
per formatività. Essa riguarda lo sviluppo di competenze autentiche cioè tali da essere richieste ed
utilizzate in ogni contesto anche non scolastico Gli obiettivi formativi sono significativi anche quando
l’esperienza di apprendimento si è conclusa e quindi essi non ricevono senso dalla conclusione del viaggio,
ma dalla loro possibile riutilizzazione. . Gli obiettivi formativi sono definiti dai docenti . Ogni obiettivo
formativo ha 2 livelli, uno di carattere più generale riferito ai traguardi per lo sviluppo delle competenze
disciplinari e trasversali, fissati dalle Indicazioni ministeriali e recepiti dalla scuola nel POF , e un secondo
livello strettamente legato allo specifico compito della unità di apprendimento Ciò che caratterizza il
compito di apprendimento è una situazione problematica che l’alunno deve essere in grado di superare
mediante l’attivazione di una strategia efficace.

5.Una ipotesi di lavoro


Una progettazione attenta alle interazioni con gli alunni non si può definire rigidamente, ma si deve
considerare aperta alle modiche in relazione agli interventi degli alunni . E’ però indispensabile avere in
mente una traccia delle attività che si intendono proporre. Al termine l’itinerario realmente seguito sarà
probabilmente diverso rispetto al canovaccio iniziale e gli obiettivi saranno stati riprecisati o integrati. Infatti
una buona unità di apprendimento non si progetta completamente a tavolino e la sua buona realizzazione
non coincide necessariamente con il rispetto del piano originale. Se spetta all’insegnante la predisposizione
di un canovaccio, bisogna poi mettere tale progetto alla prova, prevedendo che gli alunni possano
intervenire con un ruolo attivo. Questo porterà il docente ad assumere anche un ruolo di osservatore per
rilevare gli apporti degli alunni ed un ruolo di regista , per favorire la partecipazione di tutti gli studenti ,
protagonisti appunto e non semplici spettatori. Un itinerario può prevedere deviazioni, senza però perdere
di vista la destinazione finale. Un canovaccio può sollecitare integrazioni, così è anche per una buona unità
di apprendimento che all’inizio è un’ipotesi aperta. Da queste considerazioni nasce la possibilità di rileggere
la progettazione educativa come modalità di s viluppo dell’intelligenza narrativa. La dimensione temporale
è la struttura fondamentale della narrazione, che si svolge nel tempo in un rapporto continuo tra passato,
presente e futuro. Così avviene anche nella unità di apprendimento che si misura con il futuro, nella fase
della prima ideazione del progetto, con il presente, nella fase di realizzazione, con il passato, una volta
concluso il lavoro nella fase di bilancio e di riflessione critica.
Ad esempio lo svolgimento della unità di apprendimento può essere ipotizzato seguendo la struttura della
fiaba.
Le fasi di attuazione di una unità di apprendimento sono essenzialmente tre:
l’INCIPIT, lo SVOLGIMENTO; la CONCLUSIONE.
A. L’incipit enuncia le funzioni dell’apprendimento che sono: l’attivazione degli alunni dal punto di vista
della motivazione, l’instaurazione di un patto circa il compito di apprendimento; dare spazio da subito
all’esperienza degli alunni che si ottiene in vari modi: richiamando i pre-requisiti utilizzando le pre-
conoscenze favorendo la produzione di ipotesi promuovendo la messa a fuoco di ipotesi.
I prerequisiti sono quei requisiti indispensabili ad affrontare il nuovo impegno e che si ritiene che gli alunni
possiedano grazie ai precedenti apprendimenti scolastici. Essi servono a connettere quanto
precedentemente studiato con il nuovo apprendimento.
Le pre-conoscenze sono invece le conoscenze che gli alunni hanno appreso in vari contesti a prescindere
dalla scuola e costituiscono la matrice cognitiva, cioè un sapere implicito che , se non viene chiarito e
utilizzato bene, ostacolerà l’azione dell’insegnante. Mentre la matrice cognitiva ci offre la mappa mentale
che gli alunni possiedono, il fatto che li si inviti a produrre ipotesi personali di fronte a situazioni
problematiche ci consente di vedere come utilizzano le loro informazioni.
B. Svolgimento: lo svolgimento di una unità di apprendimento prevede vari momenti. Si tratta di momenti
rilevanti nell’ambito della Unità di apprendimento spesso accompagnati da un modifica dell’organizzazione
della classe ( lavoro a coppie, di gruppo, cooperative learning) , anche i mediatori possono segnalare tali
passaggi ( discussione, visione di diapositive, drammatizzazione) . In genere ogni snodo risponde a una
funzione didattica precisa (fornire informazioni, definire il problema, controllare le ipotesi , comunicare il
proprio punto di vista).
C. Conclusione. Si ha una buona conclusione quando gli alunni acquisiscono concetti idonei a dare
significato alle informazioni ed esperienze che l’unità di apprendimento ha proposto loro.

6.L’unità del sapere


Che cosa si intende per unità? L’unità rappresenta una sequenza compiuta , nel nostro caso l’unità di
apprendimento è una sequenza all’interno di un percorso più ampio. Per unità di apprendimento si
intende una tappa di un lungo viaggio e se si indaga più in profondità si evidenzia un ulteriore significato: in
questa seconda accezione unità significa l’unità del sapere, superamento delle conoscenze frammentate,
dell’enciclopedismo nozionistico.. Si è riflettuto sul processo di unificazione delle varie conoscenze acquisite
e si è notato che tale processo avviene sia a livello delle singole discipline sia a livello interdisciplinare . A
livello disciplinare occorre acquisire idee capaci di dare senso alle singole informazioni. A livello
pluridisciplinare si tratta di cogliere le interazione reciproche delle singole discipline. L’interdisciplinarità si
configura come sapere di sintesi, modo di soluzione di problemi complessi. Oggi molti pensano che le
singole discipline siano superate e che le unità didattiche debbano essere interdisciplinari , ma sbagliano
perché dimenticano che non esiste interdisciplinarità senza la disciplinarità e che il sapere disciplinare è,
anch’esso, un sapere di sintesi, sia pure parziale. Un altro significato che il termine unità presenta è riferito
al processo di costruzione di significato da parte dell’alunno . Quest’ultimo significato sembra a Fiorin
preferibile . Infatti la progettazione della UA spetta all’insegnante , ma la conquista dei significati che
l’esperienza didattica propone chiama in gioco le modalità di costruzione della conoscenza dell’alunno. Solo
se infatti, al termine del percorso, l’alunno sarà riuscito ad andare oltre la numerosità delle nozioni e la
frammentazione delle conoscenze per pervenire ad un senso complessivo e se questo gli risulterà
veramente significativo allora potremo parlare di unità di apprendimento.

Capitolo quarto: La qualità dell’insegnamento


La scuola dell’apprendimento si può realizzare solo quando è anche la scuola del buon insegnamento, che è
quello che sa sviluppare nell’alunno la capacità di apprendere. L’insegnamento è una professione
impegnativa: che include non solo la conoscenza della materia , ma anche la capacità di comunicare i
contenuti , di coinvolgere gli alunni nella formazione di abilità di indagine. Essere bravi insegnanti significa
saper mediare e tessere relazioni tra sé e gli alunni , sapere incoraggiare gli allievi nella non facile conquista
dei significati. Tale compito è così difficile che è considerato un’arte, per dirla con un libro l’arte
dell’incoraggiamento. Padroneggiare l’arte dell’incoraggiamento significa saper innescare un processo di
cooperazione tra insegnanti e allievi che mira a ingenerare in questi ultimi uno stato d’animo positivo
rispetto alle possibilità di superare le diverse situazioni. La qualità della relazione che unisce insegnanti e
alunni e alunni tra loro diventa il metro di giudizio per la valutazione della qualità della didattica.

1.Significatività dell’esperienza di apprendimento


Quando si parla di qualità dell’insegnamento non si può prescindere dalla significatività che è costituita,
secondo Lawton, : da 4 elementi:
1. significatività cognitiva,
2.affettiva, (polo del soggetto)
3.scientifica,
4.sociale e culturale (polo dell’oggetto) .

SIGNIFICATIVITA’ COGNITIVA Un buon insegnamento non deve limitarsi ad insegnare a ripetere e a


riprodurre le parole dell’insegnante o ad accumulare nozioni, ma deve sollecitare un lavoro cognitivo di
integrazione- ricostruzione, rielaborazione delle conoscenze nuove e pregresse, per arrivare alla produzione
di nuove conoscenze. Si considera valido un metodo didattico che riesce a realizzare l’apprendimento
significativo . Non tutto l’apprendimento però è significativo perché molte situazioni comportano risposte
meccaniche. Tale meccanicità si considera negativa se costituisce l’unica modalità di apprendimento, se
tutto ciò che si vuole dagli alunni è che memorizzino nuove nozioni o che acquisiscano automatismi. Se
però, oltre all’apprendimento di nuove nozioni o di meccanismi automatici si sviluppano anche le azioni
cognitive che consentono di utilizzare le conoscenze apprese mediante sistemi di rielaborazione, di
soluzione di problemi allora tale automatismo diviene accettabile.

SIGNIFICATIVITA’ AFFETTIVA
Un buon apprendimento coinvolge l’alunno non solo sotto il profilo cognitivo . Il compito più difficile
consiste nel motivare gli alunni ad apprendere.
La motivazione è qualcosa di più profondo rispetto all’interesse o alla curiosità perché riguarda i bisogni
esistenziali dell’alunno. La motivazione esterna (sia attraverso il premio di una buona votazione sia
attraverso il castigo di una bocciatura) non è sufficiente a lungo termine a far studiare, anzi è quasi
controproducente. E’ preferibile ricorrere alla motivazione interna, anche se non è facile farla insorgere. Si
può far leva sul sentimento di autoefficacia che l’alunno prova quando supera un impegno che sente
importante.
L’alunno ha bisogno che l’adulto riconosca il suo impegno e che sappia valorizzare i risultati da lui raggiunti.

SIGNIFICATIVITA’ SCIENTIFICA
Il cuore dell’insegnamento resta l’apprendimento, ma altrettanto importante è il problema dei contenuti.
Morin suggerisce di privilegiare lo studio “in profondità” più che “in estensione.” Per far questo però è
necessario saper selezionare i contenuti. Se è vero che solo facendo di meno si può far meglio , bisogna
saper selezionare e ciò che si sceglie deve essere veramente importante. L’insegnante , per poter
selezionare al meglio i contenuti, deve disporre d i criteri di selezione non arbitrari. L’analisi approfondita
della disciplina consente di evidenziare i concetti fondamentali o, fondanti, della disciplina.

SIGNIFICATIVITA’ CULTURALE Un buon insegnamento deve saper intercettare i problemi che agitano la
realtà di vita dell’alunno e trasformarli in occasioni di apprendimento.
Un buon insegnamento è in grado di fornire all’alunno gli strumenti per comprendere il mondo di oggi e -
anche quando si occupa di questione antiche o di problemi tecnici e specialistici - sa intravedere la
relazione che intercorre tra la vita passata ed odierna.
Negli anni 60/70 ci fu una polemica tra Ausubel e Bruner. Per Bruner i metodi di insegnamento più validi
sono quelli volti a favorire la personale scoperta dell’alunno mediante la ricerca e ciò in polemica con i
metodi trasmissivi. Ausubel risponde che anche i metodi trasmissivi possono portare all’apprendimento
significativo purchè interpretati correttamente. Secondo lui, infatti, è importante che l’alunno apprenda
modificando la propria struttura cognitiva sia che tale modifica venga ottenuta grazie al metodo euristico
oppure espositivo . Nell’apprendimento per scoperta l’alunno arriva alle nuove informazioni senza l’aiuto
del docente , in quello per ricezione le informazioni vengono date direttamente dal docente.
L’apprendimento è sempre il risultato di una relazione, l’azione dell’insegnante consiste nel far incontrare
soggetto e oggetto di conoscenza. I metodi didattici servono a facilitare tale incontro. Esistono a proposito
dei metodi molte proposte interessanti. 1) l’approccio per “modelli”
Per modello si intende lo schema concettuale secondo cui si possono mettere in relazione e ordinare i vari
aspetti della vita educativa in rapporto ad un principio teleologico che ne assicuri coerenza e organicità. . In
base a tale definizione Baldacci distingue 4 modelli di insegnamento :
1. il modello fondato sulle competenze di base,
2. il modello fondato sui processi cognitivi superiori,
3. il modello fondato sui talenti personali,
4 il modello fondato sull’arricchimento culturale.
1. Modello delle competenze di base è particolarmente finalizzato all’apprendimento di conoscenze
considerate basilari all’interno dei vari campi del sapere con particolare attenzione verso l’alfabetizzazione
di base (leggere, scrivere, far di conto) a cui oggi si devono aggiungere l’informatica e le lingue straniere. Il
concetto di competenza sembra inteso in senso un po’ riduttivo (sapere e saper fare) . Tale modello ha il
pregio di focalizzare l’attenzione al raggiungimento individualizzato degli obiettivi previsti ma presenta il
rischio di una eccessiva standardizzazione dei risultati.
2. Modello dello sviluppo dei processi cognitivi superiori. Tale modello finalizza l’insegnamento alla
formazione della mente, alla “testa ben fatta” .
3. Modello dello sviluppo del talento personale . Questo è particolarmente attento allo sviluppo di forme
specifiche di intelligenza e di talento in termini di eccellenza. In tale modello prevale l’idea di
personalizzazione intesa come privilegio della differenza qualitativa e competitiva (opposto al modello delle
competenze di base)
4. Modello dell’arricchimento culturale . Questo modello mira all’arricchimento spirituale introducendo gli
alunni al mondo dei significati e valori della cultura.

2) L’approccio tassonomico
Secondo tale approccio il docente ha a disposizione numerose possibilità (in termini di metodi) e deve
saper scegliere di volta in volta quello più adatto ai suoi scopi. E’ perciò basilare che sappia bene che cosa
intende ottenere . Occorre avere chiari 2 punti:
1. qual è il problema (trasmettere conoscenze, fornire abilità?)
2. analisi del contesto in cui l’insegnamento si svolge ( risorse disponibili, richieste dell’utenza)

Tassonomia dei metodi


1. metodo direttivo- funzionale: la funzione guida dell’insegnante ha un ruolo centrale, il programma di
insegnamento è predefinito, rigido e finalizzato all’addestramento.
2. metodo non direttivo : si fonda sulla motivazione ad apprendere dell’alunno e ha lo scopo di svilupparne
la tendenza all’autorealizzazione. Si fonda su empatia e fiducia . Si basa sulla teoria dell’apprendimento
significativo. Non va identificato con il cosiddetto “laisser faire”.
3. metodo Skinneriano: si fonda sulla teoria del condizionamento operante e considera il comportamento
umano programmabile in basi ad opportune azioni di rinforzo
4. metodo di animazione (lavoro di gruppo) : i processi di apprendimento si basano sul gruppo e sulla sua
interazione .
5. Team teaching : insegnamento a squadre o gruppi di docenti. Il lavoro didattico è organizzato in maniera
sistematica utilizzando le competenze di ciascuno . Vantaggi : interazione tra docenti nella scelta degli
obiettivi , ristrutturazione dei gruppi di apprendimento
6. Mastery learning.(letteralmente apprendimento per maestria) : si basa sulla capacità dell’alunno di
raggiungere la padronanza nell’apprendimento e sul rinforzo derivante dal successo raggiunto .

3) approccio didattico
Differenza tra strategia, metodo e tecniche
Per strategia si intendono scelte di carattere molto generale, per certi aspetti trasversali ai metodi es
orientamento euristico/ ricerca , orientamento espositivo/lezione, insegnamento individualizzato (mastery
learning), insegnamento collaborativo (cooperative learning)
Per metodi didattici si intendono le modalità concrete di gestione del processo di insegnamento secondo
una impostazione coerente e unitaria che riguarda sequenze didattiche compiute (es unità di
apprendimento)
Nei diversi metodi didattici si distinguono 2 aspetti: la metodologia ( parte che contiene le giustificazioni
teoriche che consentono di scegliere le diverse tecniche didattiche, in altre parole principi psico- pedagogici
su cui si fonda l’azione didattica ) le tecniche didattiche ( neutre e non esclusive di un solo metodo ad
esempio la tecnica di costruzione di una carta tematica in geografia si può utilizzare tanto all’interno di un
metodo euristico che espositivo).
Per dare un ordine alla pluralità dei metodi disponibili, può essere utili raggrupparli in 2 orientamenti
strategici : espositivo ed euristico.
L’orientamento espositivo ha come preoccupazione prevalente trasmettere i contenuti dell’insegnamento
e si posiziona sul polo classico; l’orientamento euristico invece si posiziona sul polo romantico essendo più
attento alle esigenze del soggetti. Si deve subito dire che ogni metodo (che sta all’interno di questi
orientamenti es: metodo della ricerca , della didattica per concetti etc) non è mai puro- o solo euristico o
solo trasmissivo – ma ricorre , anche se in misura diversa, ad entrambe le modalità.. Classifichiamo i diversi
metodi come euristici se la predominanza è data da momenti nei quali si richiede il lavoro autonomo
dell’alunno e si stimola il problem-solving, come trasmissivi se ha maggior rilevanza la comunicazione
verbale dell’insegnante su un certo argomento. Il modello trasmissivo emblematico è la lezione .
L’orientamento euristico comprende tutti quei metodi didattici che sono particolarmente focalizzati sul
soggetto in apprendimento . Tuttavia Richmond parla di metodo euristico (mentre Fiorin preferisce
considerarlo orientamento) ma la sua definizione individua chiaramente i punti di forza di questa
impostazione: riferimento al modello scientifico, funzione delle ipotesi degli allievi, l’apprendimento
tramite sperimentazione diretta. All’interno di tale orientamento si individuano posizioni diverse.

Orientamento
espositivo:
-Lezione frontale
-Lezione strutturata
-Didattica per concetti
-Didattica per problemi
-Ricerca attivistica

Orientamento euristico:
-Problem solving

Osservando lo schema ai poli opposti si contrappongono i metodi della lezione frontale e del problem
solving. Il primo si caratterizza per rigidità dell’impostazione tutta centrata sui contenuti, poca attenzione
alla diversità degli alunni considerati spettatori, uso del solo mediatore verbale. Il secondo all’opposto
privilegia solo l’attivazione dei processi cognitivi rischiando di essere troppo funzionalista. Al centro dello
schema ci sono la didattica per concetti e la didattica per problemi che suggeriscono un punto di
equilibrio. La didattica per concetti, pur sbilanciata verso il polo dei contenuti, è però molto sensibile al
problema della mediazione e del coinvolgimento degli alunni. La didattica per problemi sottolinea
l’importanza del soggetto costruttore di conoscenza, ma non dimentica le ragioni della disciplina da cui
mutua le modalità della ricerca per finalizzarle alla soluzione del problema .

2.Criteri di qualità
Sono criteri che servono per valutare l’efficacia dei metodi di insegnamento. Pellerey propone 7 criteri utili
all’insegnante per monitorare il proprio comportamento didattico:
1. principio di significatività : l’insegnante deve favorire la relazione tra le conoscenze pregresse
dell’alunno , i suoi significati e le proposte della scuola
2. principio di motivazione: non bastano i prerequisiti e le capacità cognitive dell’alunno , ma ai fini
dell’apprendimento occorre un impegno personale che si può sviluppare e mantenere vivo solo se c’è la
motivazione
3. principio di direzione: l’azione didattica efficace è intenzionale. L’insegnante non deve inseguire gli
interessi occasionali e passeggeri . Non solo deve sapere dove vuole arrivare, ma deve anche saperlo
comunicare agli alunni i quali sono più disponibili ad impegnarsi se sanno quali sono gli obiettivi e perché li
devono conseguire
4. principio di continuità e ricorsività : da un lato nell’insegnamento bisogna muoversi per tappe
successive, dall’altro bisogna prevedere riprese dei concetti più importanti e complessi precedentemente
acquisiti
5. principio di integrazione o organizzazione interna : tale principio riguarda i collegamenti orizzontali tra
le diverse aree disciplinari che si possono effettuare per superare la frammentarietà di conoscenze troppo
specialistiche . L’alunno deve poi essere stimolato a interiorizzare gli apprendimenti.
6. principio di stabilizzazione : un apprendimento è tale se le acquisizioni diventano patrimonio del
soggetto il quale è in grado di collegarle tra loro e di applicarle a campi nuovi
7. principio di trasferibilità linguistica e di applicabilità : si dimostra di comprendere non quando si ripete
ma quando si riesce ad applicare quanto appreso in contesti nuovi e diversi. Un importante indicatore è il
linguaggio .

A questi 7 Fiorin ne aggiunge altri 3:


1. Principio di individualizzazione e personalizzazione : La classe è un insieme eterogeneo di alunni con
situazioni di partenza, cognitive e motivazionali, molto diverse. L’insegnante deve tener presenti due
obiettivi complementari: a) garantire a tutti di raggiungere gli obiettivi indispensabili rendendo flessibile il
suo set didattico (individualizzazione); b) garantire a ciascuno, nella sua diversità, (personalizzazione) lo
sviluppo e la valorizzazione delle proprie risorse affinchè l’acquisizione degli obiettivi comuni avvenga in
forma personalizzata e l’apprendimento consenta di sperimentare i propri punti di forza e di debolezza e di
orientare i propri interessi. ( in poche parole sfruttare tutte le intelligenze, cd multiple, perché ciascuno
apprenda)
2. principio di negoziazione: la classe è un insieme di individui che deve diventare gruppo. La dimensione
sociale rappresenta una risorsa da utilizzare . Attraverso il lavoro di gruppo si confrontano diversi punti di
vista, si elaborano nuove idee.
3. principio di riflessività : il buon apprendimento è quello consapevole: l’alunno , che impara a valutare i
propri progressi o difficoltà e a rivedere criticamente l’esperienza, apprende meglio e più durevolmente .
La padronanza dei metodi è condizione necessaria ma non sufficiente per favorire l’apprendimento .
Secondo Bruner la comunicazione didattica si realizza al meglio a tre condizioni: 1. l’insegnante deve
conoscere a fondo ciò che insegna (piano dei contenuti) 
2. deve saper mediare i contenuti del suo insegnamento (piano dei metodi) 
3. deve saper dimostrare con il suo atteggiamento che ciò che ritiene importante che gli studenti
apprendano è importante prima di tutto per lui (piano della relazione interpersonale) .
Il metodo è mediazione e il primo mediatore è l’insegnante.

3.Individualizzazione,personalizzazione e didattica su misura


Come si interpretano i termini individualizzazione e personalizzazione dell’insegnamento?
I due concetti, nell’ambito didattico, non si contrappongono ma sono due diverse preoccupazioni educative
tra loro complementari . Il termine individualizzazione si ricollega al problema di far conseguire gli obiettivi
didattici programmati a tutti gli alunni indipendentemente dalla loro situazione di partenza . Ogni classe
presenta infatti una varietà di situazioni di partenza, anche a prescindere da casi limite come gravi
disabilità, che non è facile tenere adeguatamente presente.
Il termine personalizzazione riflette una diversa attenzione alle modalità di acquisizione delle conoscenze .
Come la ricerca sull’apprendimento ha dimostrato, ognuno di noi ha un personale stile di pensiero ed ha
diverse modalità di interpretazione e rappresentazione della realtà. Quindi la personalizzazione riguarda la
particolare modalità di apprendimento che caratterizza ogni persona. I due termini riflettono 2 diverse ma
altrettanto importanti preoccupazioni.
L’individualizzazione si riferisce all’istanza di uguaglianza , di democraticità , al diritto di ogni persona a
raggiungere i traguardi ritenuti indispensabili quali che siano le condizioni di partenza . Promuovere
l’individualizzazione significa contrastare l’ingiustizia di trattare situazioni diseguali allo stesso modo .
( situazioni di svantaggio culturale o linguistico vanno affrontate diversamente da situazioni di partenza
favorevoli) La personalizzazione invece ha lo scopo di soddisfare una diversa , ma altrettanto importante
istanza, quella della libertà della persona a percorrere la propria strada , a veder riconosciuta la propria
originalità, ad esprimere la propria creatività.
L’insegnante deve tener presenti entrambi i principi.
L’individualizzazione dell’insegnamento riflette 2 preoccupazioni: l’efficacia didattica e l’uguaglianza
sociale. L’attivismo pedagogico e l’istruzione programmata hanno dato particolare rilevanza a questo
principio .

L’ATTIVISMO PEDAGOGICO
Nell’attivismo pedagogico l’idea chiave (rivoluzione copernicana) è data dalla centralità dell’alunno nel
sistema educativo (puerocentrismo) e l’individualizzazione della didattica è la logica conseguenza . Alla
nozione biologica di bisogno del positivismo l’attivismo contrappone quella psicologica di interesse ;  mentre
il positivismo privilegia l’istruzione , l’attivismo invece privilegia l’apprendimento . Per l’attivismo il centro
della scuola è occupato dall’alunno . Claparede dice che i metodi e i programmi gravitano intorno al ragazzo
e non viceversa , Decroly sostiene l’importanza di partire dagli interessi degli alunni e ritiene che l’ambiente
sia il contesto fondamentale per le esperienze di apprendimento . Il puerocentrismo ha come conseguenza
lo sviluppo di una attenzione riferita specificatamente a ciascun alunno. Si modifica l’organizzazione
scolastica: gli alunni debbono poter lavorare in piccoli gruppi , le classi sono aperte, il curricolo consente
una scelta opzionale. Una delle più significative realizzazioni del principio di individualizzazione si è
realizzata in USA nelle scuole di Winnetka (Illinois) promosse da Washburne, che aveva conosciuto in
Europa le Scuole Nuove.
Washburne rinnovò non solo i programmi, ma anche la loro impostazione metodologica . Il programma
venne diviso in 2 parti , una comprendente il minimo indispensabile comune a tutti e un’altra di sviluppo. La
parte comune riguardava lo studio individuale ( la velocità di esecuzione dei compiti era adattata alle
possibilità di ciascuno), la parte di sviluppo era invece affrontata attraverso il lavoro di gruppo. Qualcosa di
analogo si verificava nella scuola di Dalton diretta da Helen Parkhurst.
In questa scuola gli insegnanti stipulavano con gli alunni dei contratti di lavoro per responsabilizzarli.

William Kilpatrick viene ricordato per il metodo dei progetti . Il progetto non era però un piano di lavoro
già completamente definito, ma un filo conduttore che si specificava via via attraverso la ricerca degli
alunni. Kilpatrick distingue 4 tipi di progetto: progetto del produttore, del consumatore, progetto-problema
rivolto a come si studia, il progetto di addestramento che riguarda l’acquisizione di abilità specifiche.
L’organizzazione flessibile dell’attività didattica ai fini dell’individualizzazione fa emergere la pratica del
lavoro di gruppo di cui Freinet e Cousinet furono grandi sostenitori. Attraverso l’esperienza della
collaborazione, che il gruppo richiede, l’alunno si educa alla vita sociale. Freinet inventò la tipografia per
rendere più significativa la pratica della lettura-scrittura. Attorno alla tipografia scolastica la classe si era
organizzata in una redazione di giornale e i ragazzi sperimentavano a turno i diversi ruoli (redattore,
correttore di bozze) .

L’ISTRUZIONE PROGRAMMATA
Si tratta di un approccio all’individualizzazione molto diverso dall’attivismo. Il pioniere di questo approccio
fu Edward Thorndike che immaginò la realizzazione di un libro didattico costruito in modo da guidare
l’alunno passo passo con la possibilità di passare da una pagina precedente a quella successiva solo dopo
aver risposto correttamente alle domande precedenti. . Il libro a prova di errore apre la strada alla prima
teaching machine che verrà realizzata da un suo allievo. Tale macchina ha l’aspetto di una comune
macchina da scrivere , però ha un congegno che propone allo studente domande a risposta chiusa . Questa
macchina fu realizzata solo negli anni 60 per motivi economici.
Lo psicologo comportamentista Skinner studiò le leggi del comportamento umano e coltivò l’ideale di
intervenire per modificare in senso positivo i comportamenti inadeguati. La prestazione ritenuta adeguata
viene rinforzata grazie a rinforzi gratificanti. I punti principali dell’istruzione programmata sono:
• segmentazione rigorosa del programma
• passaggi graduati da un punto all’altro del programma
• la strutturazione del programma deve prevenire il più possibile la possibilità di errori
• la risposta data deve essere immediatamente controllabile dall’alunno
• ogni risposta esatta va rinforzata positivamente
IL MASTERY LEARNING
La strategia del mastery learning , sempre attribuibile al cognitivismo, si propone come particolarmente
adatta a realizzare l’individualizzazione dell’insegnamento . Tale strategia è stata elaborata da Bloom e da
Block con lo scopo di mettere a punto modalità di intervento didattico finalizzate alla realizzazione di una
educazione individualizzata. Secondo questa strategia la grande maggioranza degli studenti può
raggiungere la padronanza degli obiettivi prefissati purchè gli vengano dati il tempo sufficiente, gli aiuti
indispensabili e una adeguata organizzazione dell’ambiente di apprendimento. Le premesse di base del
mastery learning si possono così riassumere:
• tutti possono apprendere
• ognuno apprende in modo diverso e con diverse velocità
• in presenza di condizioni favorevoli la diversità dei risultati individuali tende a svanire
• gli errori nell’insegnamento sono responsabili della maggior parte delle difficoltà di apprendimento

4.Le ragioni della personalizzazione.


(empowerment)
I vari approcci didattici all’ individualizzazione hanno come obiettivo il raggiungimento dei risultati di
istruzione previsti attraverso una modifica delle strategie utilizzate . Anche se le strade utilizzate sono
diverse lo scopo comune è far sì che la maggior parte degli alunni possa raggiungere gli stessi risultati di
apprendimento. L’attenzione alla personalizzazione, invece sposta l’accento dal piano dei contenuti di
apprendimento a quello delle modalità attuate dal soggetto per farlo proprio. Questa preoccupazione si
manifesta in 3 modi :
• l’adozione, da parte dell’insegnante, di una strategia di empowerment 
• l’attenzione ai diversi stili di apprendimento
• la valorizzazione dei diversi modi di apprendimento

a) La strategia dell’empowerment (=acquisto di autonomia e responsabilità)


L’empowerment si realizza quando l’insegnante si pone l’obiettivo di sviluppare negli alunni i processi di
personale conquista delle conoscenze , piuttosto che far loro memorizzare e ripetere informazioni e
concetti già preconfezionati. Attraverso l’empowerment l’insegnante responsabilizza gli alunni conferendo
loro la massima autorità possibile e portandoli a prendere decisioni autonome. Lo spostamento
dell’attenzione sull’apprendimento comporta una riduzione del potere didattico assoluto esercitato in
classe. L’insegnante da manager dell’organizzazione didattica diventa leader educativo , impegnato ad
aiutare gli alunni a sviluppare il massimo del loro potenziale. L’insegnante leader non è attento solo al
programma da svolgere ma cura il clima complessivo della classe. Il clima di incoraggiamento favorisce lo
sviluppo della partecipazione personale al compito di apprendimento in termini non esecutivi e ripetitivi ma
originali e personalizzati.

b) L’attenzione agli stili di apprendimento


I compiti di apprendimento coinvolgono una serie di elementi importanti come le competenze già
possedute, la motivazione posseduta, l’atteggiamento nei confronti della nuova situazione da affrontare .
Per rispondere al compito lo studente mette in atto vari processi di pensiero che per poter essere efficaci
devono strutturarsi in tattiche ( sequenze funzionali alla situazione). Una serie di tattiche definisce le
strategie. Nell’orientamento al compito, in definitiva, ritroviamo alcuni tratti relativi all’atteggiamento
complessivo nei confronti della realtà ( minore o maggiore autoefficacia ) e tratti relativi al funzionamento
cognitivo (attenzione) . Ne derivano stili conoscitivi diversi: : analitico-descrittivi, concettuali-inferenziali
(deduttiva) , tematico-relazionali. Gli studiosi hanno proposto numerosi esempi di diversi stili.
• adattatore – innovatore (Kirton)
• assimilatore-esploratore (Kaufmann)
• stile di pensiero sinistro-destro di Torrance
• Stile olistico-seriale di Pask.
Lo stile di apprendimento secondo Kolb
Kolb propone un modello in cui si situano diversi stili di pensiero: accomodatore : aperto al coinvolgimento
in nuove esperienze assimilatore: portato alla concettualizzazione e alla elaborazione di concetti generali a
partire da casi particolari convergente: capace di misurarsi con problemi di natura pratica e di prendere
rapidamente decisioni divergente: dotato di capacità immaginative , aperto alle idee, sensibile ai valori.

c) La valorizzazione dei diversi modi di apprendimento


Correlato al tema degli stili di apprendimento è quello relativo ai modi di apprendimento. Tale tema si
riferisce alle modalità di rappresentazione della realtà che ciascuno di noi possiede e che riguardano sia la
dimensione cognitiva dell’intelligenza quanto quella affettiva. Bruner nel suo libro”la mente a più
dimensioni” anticipava la visione che il suo discepolo Gardner avrebbe poi sviluppato mediante la sua
teoria sulle intelligenze multiple . Gardner distingue 8 tipi di intelligenza:
• logico-matematica
• linguistica
• visivo-spaziale.
• musicale
• cinestetica
• interpersonale
• intrapersonale
• naturalistica
Oggi però viene messa in evidenza anche l’intelligenza emotiva (consapevolezza sociale, gestione dei
rapporti ) vista non in antitesi all’intelligenza cognitiva ma come complementare. Questa intelligenza è
utile nella riuscita di compiti che richiedono una buona gestione delle emozioni.
L’attenzione agli aspetti affettivo-emotivi dell’apprendimento chiama in causa gli atteggiamenti e le idee
che lo studente ha su di sé . quali:

a) il locus of control : l’espressione indica il luogo in cui il soggetto ritiene risiedano le cause dei suoi
successi o insuccessi : Se questi ritiene che esse risiedano fuori da sé riterrà i successi o gli
insuccessi frutto del caso e non si sentirà responsabilizzato a riguardo,. Se, invece, li riferisce a
fattori personali è importante vedere a quali parti di sé li attribuisce (alla sua simpatia, alla sua
capacità) . Se uno studente è convinto di non poter influire sulle cause dei suoi insuccessi
abbandona ogni tentativo e rischia di cadere in depressione ;
b) lo stile di attribuzione.(=modo in cui il soggetto tende a spiegarsi gli eventi in cui è coinvolto,
come successi o insuccessi , attribuendoli a cause interne a lui o esterne e quindi estranee al
controllo della persona ) Lo stile è strettamente connesso al locus of control ed è il risultato di
una concatenazione di esperienze che porta l’alunno ad attribuire la sua riuscita al suo impegno (in
questo caso deriva da un locus interno) o alla fortuna (in questo deriva da un locus esterno) . La
caratteristica principale è la stabilità : si tratta infatti di un atteggiamento consolidato che risulterà
difficile modificare. . Al riguardo conta molto l’atteggiamento dell’insegnante: se infatti questi in
caso di insuccesso si dimostrerà irritato il ragazzo attribuirà il proprio insuccesso alla mancanza di
impegno (causa instabile, controllabile e modificabile) e quindi penserà in futuro di potercela fare,
se invece l’insegnante si dimostrerà compassionevole il ragazzo ricercherà più probabilmente la
causa del proprio fallimento nella mancanza di capacità innate (causa stabile e incontrollabile) e
penserà di avere meno possibilità di futura riuscita.
c) Il senso di autoefficacia(=grado in cui un soggetto si sente competente in un certo campo) . Tale
senso si riferisce al concetto che l’alunno ha delle proprie capacità. Chi possiede un buon senso di
autoefficacia non si scoraggia facilmente, anzi sa porsi obiettivi impegnativi
d) Autostima: (=valutazione globale che il soggetto fa su di sé come persona) L’autostima è il
risultato di un insieme di esperienze positive che si riferiscono ad una molteplicità di aree
(scolastica, familiare, emozionale).
L’autoefficacia si riferisce più a giudizi in merito alla capacità di eseguire una certa attività che a qualità
personali (caratteristiche fisiche o psicologiche). Non è una percezione generalizzata: la stessa persona può
avere convinzioni di efficacia molto forte in alcuni campi, ma debole in altri (es: bravo musicista, ma
pessimo studente o bravo medico, ma pessimo marito)

5.Criteri per l’azione didattica


Quanto detto in tema di individualizzazione e personalizzazione porta ad una conseguenza sulla azione
didattica: non si deve scegliere tra le due alternative (individualizzazione e personalizzazione) ma
impostare l’insegnamento in modo da rispettare entrambi i principi. A questo proposito non esiste metodo
didattico in assoluto migliore di altri, anzi sul piano operativo sono possibili ed opportune diverse modalità
di lavoro. Spetta all’insegnante scegliere le impostazioni metodologiche che giudica più idonee . La varietà
dei metodi è una risorsa, ma non legittima allo stesso modo tutte le scelte . Una volta che gli indirizzi
proposti dalla normativa vigente siano orientati a promuovere la “scuola dell’apprendimento” si richiede
coerenza e non tutto è legittimato. La società del cambiamento richiede di superare le modalità didattiche
trasmissive, nelle quali i contenuti proposti sono ancora intesi come aventi valore assoluto e non c’è
attenzione per le diverse situazioni psicologiche e ambientali in cui gli alunni si trovano. La scelta didattica
prevista dalle Indicazioni è molto netta e riguarda sia l’orientamento metodologico sia l’attenzione alla
concreta e differenziata situazione degli alunni. Se si prende sul serio tale affermazione si conclude che la
didattica puramente trasmissiva dovrebbe essere eliminata dalle nostre aule. In positivo però non sono
indicati specifici metodi didattici , ma vengono dati i seguenti criteri da rispettare nelle scelte professionali:

1. valorizzare l’esperienza e le conoscenze degli alunni


2. attuare interventi adeguati nei riguardi delle diversità
3. favorire l’esplorazione e la scoperta
4. incoraggiare l’apprendimento collaborativo
5. promuovere la consapevolezza del proprio modo di apprendere
6. realizzare percorsi in forma di laboratorio
Tutti i criteri citati suggeriscono il passaggio dall’insegnamento diretto all’insegnamento indiretto

1.Valorizzare l’esperienza e le conoscenze degli alunni


L’insegnante , se desidera che i suoi alunni prendano sul serio l’apprendimento deve partire dal loro
mondo, tenere in particolare conto i loro bisogni , anche quelli non esplicitati: il bisogno di sentirsi
apprezzati, competenti, accettati, utili, indipendenti . Il desiderio di ogni buon insegnante è di trasmettere
agli alunni non solo conoscenze e abilità ma l’interesse per gli argomenti insegnati. Perché questo sia
possibile è indispensabile che si crei un’alleanza, che nasce dalla reciproca fiducia e apprezzamento .

2.Attuare interventi adeguati nei riguardi delle diversità


Quando l’insegnante entra in aula si trova di fronte ad una difficilissima sfida pedagogica: quella di prestare
attenzione ad ogni alunno, non genericamente alla classe, e di promuovere proposte attente a rispettare
le tante diversità. La lezione tradizionale non è in grado di affrontare le diverse situazioni degli alunni ai
quali si rivolge perché si colloca ad un livello di difficoltà medio, che non può risultare soddisfacente per
tutti gli alunni . Se l’insegnante semplifica troppo il proprio intervento non ottiene i risultati sperati perché
l’eccessiva semplificazione comporta il rischio della banalizzazione e gli alunni non si sentono coinvolti se il
compito è troppo facile. Se però il compito è troppo difficile il risultato è scoraggiante perché molti alunni
non riescono a seguire. Vygotskij utilizzando il concetto di discrepanza ottimale vuole indicare il punto di
equilibrio tra ciò che un individuo possiede in termini di apprendimento e ciò che può acquisire alla fine di
un nuovo itinerario di apprendimento. Non è facile però per l’insegnante trovare questo punto di
equilibrio.
La discrepanza ottimale rappresenta la giusta sfida per ciascun alunno. La sfida pedagogica
dell’individualizzazione porta l’insegnante a ricercare modalità didattiche su misura, capaci di fornire a tutti
l’occasione di conseguire il massimo delle possibilità di ciascuno. (es asta del salto in alto posta in modo
obliquo: ognuno salta secondo le sue possibilità)

3.Favorire l’esplorazione e la scoperta


Le competenze si sviluppano quando si devono affrontare situazioni complesse e che richiedono sfide .
Questo porta ad indicare tra i criteri di qualità dell’insegnamento la promozione dell’esplorazione dei
problemi e della scoperta di significati da parte di alunni incoraggiati a farlo.

4.Incoraggiare l’apprendimento collaborativo


E’ importante offrire agli alunni diversi percorsi e temi di studio favorendo la loro possibilità di scelta, ma
l’individualizzazione dei compiti non deve far perdere di vista la dimensione sociale della classe. Gli alunni
costituiscono un gruppo e possono apprendere meglio attraverso le tante occasioni di interazione e
discussione che si creano in un lavoro comune. Rispetto all’idea di una individualizzazione realizzata al di
fuori della dimensione sociale dell’apprendimento , e perciò per alcuni escludente , si deve privilegiare una
modalità inclusiva. Le varie forme di apprendimento collaborativo (tutoring, gruppi di ricerca, cooperative
learning,) offrono molteplici possibilità. L’aspetto cooperativo è un’ottima risorsa per l’insegnante che
attraverso il buon utilizzo dei gruppi può mirare a 2 obiettivi: sotto il profilo educativo è evidente
l’importanza che assume la collaborazione, il confronto; sotto il profilo dell’efficacia cognitiva molte
ricerche dimostrano i vantaggi offerti dal lavoro di gruppo. Gli insegnanti però devono favorire l’evoluzione
da classe a gruppo gestendo gli inevitabili conflitti.

5.Promuovere la consapevolezza del proprio modo di apprendere


La diversificazione dei metodi e le modalità cooperative consentono di mettere in gioco la diversità delle
intelligenze e di sperimentare le modalità per ciascuno più efficaci. Ma è fondamentale sviluppare
l’autoconsapevolezza dei propri processi di acquisizione delle conoscenze e dei propri stili di pensiero.
L’insegnante può aiutare l’alunno a diventare sempre più consapevole dei propri processi mentali
favorendo la riflessione sull’esperienza che si sta facendo e sul funzionamento delle varie strategie di
memorizzazione, rielaborazione , di problem solving.

6.Realizzare percorsi in forma di laboratorio


Il richiamo al laboratorio ha lo scopo di segnalare una modalità di lavoro non legata a questa o quella
disciplina né alla disponibilità di certe aule o materiali. Infatti la dimensione laboratoriale
dell’apprendimento rimanda prima di tutto al fare dell’alunno in un contesto di lavoro formativo nel quale
l’insegnante è maestro di bottega , nel laboratorio si opera con progettualità alla realizzazione di qualcosa
che si sente importante. .

Capitolo quinto: Insegnare che cosa?


Le Indicazioni Nazionali- come una volta i Programmi- prescrivono dei contenuti che vanno garantiti. Nella
scuola d’infanzia il problema è meno avvertito, perché non ci sono le materie scolastiche, tuttavia anche in
questa ci sono i traguardi da raggiungere in termini di competenza degli alunni e vengono proposti i campi
di esperienza. A partire dalla scuola primaria entrano in campo gli insegnamenti disciplinari. Nella loro
autonomia le scuole possono integrare tali insegnamenti ma resta il fatto che c’è un corposo elenco di
discipline di studio che sono prescritte e sono le stesse per tutte le scuole di un dato ordine e grado.

1.Discipline scientifiche e discipline scolastiche.


Che cos’è un insegnamento disciplinare ?
Nel linguaggio comune i termini disciplina e materia vengono utilizzati indifferentemente, ma nella storia
della didattica il passaggio da un insegnamento basato sul concetto di materia ad uno basato sulla disciplina
ha segnato una tappa importante. Bruner e lo strutturalismo didattico hanno trovato una differenza tra di
loro. La parola disciplina è costituita da 2 elementi: materia( o sostanza o contenuti) e metodo ( o sintassi).
Schwab , parlando delle materie scientifiche, distingue tra struttura sintattica e struttura concettuale. La
struttura concettuale corrisponde al contenuto dell’insegnamento, cioè all’insieme delle conoscenze
proprie di un sapere disciplinare. Ogni disciplina ha i suoi specifici contenuti . La struttura sintattica, invece,
riguarda le regole che un ricercatore segue quando intraprende una ricerca . E’ qui che si trova il vero
significato del termine disciplina: procedimento secondo regole, non in modo casuale finalizzato a risolvere
problemi e a produrre nuove conoscenze. Le discipline pertanto non sono archivi di conoscenze
inventariate e immobili, ma percorsi di una inesauribile esplorazione, che alimentano il nostro sapere con
nuove conoscenze e nello stesso tempo contribuiscono a riesaminare le conoscenze consolidate, spesso
modificandole se le nuove scoperte ne fanno comprendere la loro inadeguatezza. Tutto ciò è reso possibile
dalla sintassi utilizzata, cioè da quell’insieme di regole metodologiche che si sono elaborate nel corso del
tempo. La “materia” è costituita dall’insieme dei contenuti di conoscenza disponibili . Ogni disciplina ha una
propria materia, cioè un patrimonio di informazioni, di concetti, di teorie che si riferiscono al suo specifico
campo di indagine. Es: la materia della storia è data dalla conoscenza che noi abbiamo delle vicende e
società umane nello spazio e nel tempo. La disciplina comprende al suo interno la materia , ma non
coincide con essa perché una disciplina possiede non solo i contenuti ma anche un repertorio di metodi
ed è proprio grazie a questo che si possono possedere dei contenuti: cioè una materia.
La ricerca storica ad esempio non avviene a caso , ma richiede ben precise competenze procedurali ,è
rigorosa, disciplinata, appunto.
Se l’insegnante prende in considerazione esclusivamente la struttura sostanziale è insegnante di materie.
Al centro dell’attenzione richiesta agli studenti ci sono le nozioni, talvolta imbalsamate in manuali
anacronistici . L’insegnante trasmette questo carico di contenuti , privi di contesto, pretendendo in cambio
un po’ di attenzione. La situazione cambia se il docente sposta la sua attenzione dai contenuti(sostanza) alla
ricerca (sintassi). In questo caso diventa prioritario far scoprire agli alunni come si lavora nel campo di
conoscenza considerato, quali sono i problemi che fanno nascere la ricerca, quali ipotesi la guidano e quali
metodi si usano per risolvere i problemi che hanno provocato la ricerca. Per concludere l’insegnante, che
vuole far comprendere ai propri alunni il linguaggio della disciplina e le regole che vi sono implicate ,
abbandona la didattica della trasmissione dei contenuti per coinvolgerli nell’avventura della scoperta.
L’adozione della prospettiva disciplinare è possibile se si passa dal paradigma (=modello)
dell’insegnamento al paradigma dell’apprendimento.
Adottare la prospettiva dell’apprendimento comporta la scelta della qualità al posto della quantità,
dell’empowerment al posto del controllo , responsabilizzando gli alunni e trasformandoli in protagonisti del
loro percorso di studio. Bruner definisce le discipline “strumenti della mente” perché aumentano il potere
del nostro pensiero. Le intende anche come alfabeti culturali, indispensabili per leggere la nostra e le altrui
culture e per comunicare.
Ma, proprio perché strumenti o alfabeti, le discipline si insegnano solo facendole praticare.
Resta aperto il problema dei contenuti. Una volta scelto l’ insegnamento finalizzato a porre gli alunni nella
condizione di pensare in senso disciplinare bisogna pur sempre affrontare i contenuti , o meglio la materia
della disciplina. Si rischia di aumentare le difficoltà dei docenti perché non possono garantire una buona
formazione disciplinare e nello stesso tempo dare la stessa quantità di contenuti che veniva impartita
applicando l’ottica trasmissiva. Essi sono ostacolati nella pratica dal poco tempo disponibile e
dall’organizzazione rigida. E’ forse ancora più difficile per gli alunni quando si vedono sfilare in rapida
successione una molteplicità di docenti che introducono argomenti molto diversi tra loro.
Per risolvere questo problema bisognerebbe rivedere i curricoli e ridurre il carico dei contenuti.
Una semplice riduzione quantitativa però non basta, non si può alleggerire un programma a caso.
All’eccessiva estensione del curricolo non si può contrapporre la semplice riduzione della materia di studio,
ma la maggiore qualità dei temi selezionati. Il criterio da utilizzare è quello della significatività che, rispetto
all’oggetto di studio , riguarda due dimensioni: quella scientifica e quella culturale .
Un esempio molto suggestivo di essenzializzazione ci viene da Gardner che propone tre grandi riferimenti
sintetici:
1.la dimensione della bellezza e della creatività
2.la dimensione della scienza e della ricerca della verità
3.la dimensione della giustizia e il problema del bene e del male.
Secondo Gardner ad ognuna di queste teorie corrisponde un contenuto paradigmatico (esemplificativo) :
alla bellezza la musica di Mozart, alla ricerca scientifica l’opera di Darwin , al problema del bene e del male
l’Olocausto.
Per esplorare le dimensioni indicate occorre intendere le discipline come linguaggi che si intrecciano e
cooperano per raggiungere una visione più profonda. La prospettiva che fa da orizzonte è quello della
interdisciplinarietà.
La proposta di Gardner introduce un secondo tipo di significatività , quella culturale.
Non è sufficiente scegliere nuclei tematici caratterizzanti la struttura della disciplina, ma occorre anche
considerare la funzione formativa dell’esperienza scolastica. La scuola ha infatti due compiti ugualmente
importanti: 1. l’alfabetizzazione strumentale, 2. aiutare i giovani non solo a formarsi le competenze che i
cambiamenti del mondo del lavoro richiedono, ma anche a non perdere la memoria del passato e a
diventare cittadini consapevoli e responsabili.
Sul piano didattico le implicazioni principali per i docenti sono:
-conoscere la struttura sostanziale delle discipline che si insegnano per selezionare i nuclei irrinunciabili in
un curricolo essenziale;
-essere sensibili alla realtà sociale e culturale, ai problemi locali e generali;
-conoscere la struttura sintattica delle discipline per far conoscere agli alunni i metodi di indagine e far loro
sperimentare specifici metodi e tecniche.
Ogni scienza si occupa di un limitato aspetto della realtà affrontando solo i problemi propri del suo
particolare oggetto di indagine . Anche il modo di sviluppare modalità di indagine è peculiare. L’elemento
comune è dato dalla logica di ricerca che caratterizza tutte le discipline.
Più che ragionare in termini di contrapposizione tra metodi scientifici e scolastici è utile ragionare in
termini di imitazione adattiva per cui le discipline scientifiche fanno da modello, non per essere copiate da
quelle scolastiche, ma perché se ne importi la logica.
I passi fondamentali del metodo scientifico sono tre :
1. incorriamo in un problema
2. tentiamo di risolverlo inventando una teoria provvisoria
3. verifichiamo la bontà della soluzione e procediamo imparando dagli errori.
In tre parole: problemi, teorie e critiche.

2.Dalla frammentazione alla ricomposizione.


Le discipline di studio sono elementi basilari del curricolo . Le discipline sono essenziali strumenti di
conoscenza ma da sole non sono sufficienti . Il rischio è quello di una visione troppo parziale dove la
scomposizione dell’analisi disciplinare conduce alla frammentazione del sapere. Le discipline non vanno
considerate isole senza relazioni tra loro, ma spazi aperti dai confini sfumati. Si pone perciò il problema di
come intendere i rapporti tra le discipline in campo didattico. La questione non è nuova. La preoccupazione
di garantire un insegnamento che non si disperdesse nei rivoli dei diversi approcci disciplinari era già
presente nella scuola dell’Attivismo e la risposta tendeva a organizzare lo studio degli alunni intorno ai
centri di interesse. Il grande raccoglitore delle varie proposte didattiche era l’ambiente naturale e sociale . Il
metodo che si privilegiava era quello della ricerca d’ambiente fondata su : osservazione diretta,
comunicazione di ciò che si era visto in forma verbale o espressiva, riflessione sull’esperienza. Tale modello
è stato a lungo coltivato anche nelle nostre scuole tanto più che i Programmi della scuola elementare del
1955 facevano propria questa impostazione. Ancora oggi quando si parla di interdisciplinarietà il modello
di “centro di argomento” è quello più diffuso. Si tratta però di un modello fragile e contraddittorio che
produce risultati contrari alle intenzioni: l’unitarietà ricercata è presente all’inizio ma si sbriciola durante il
percorso.
Negli anni 70/80 la ricerca di una didattica interdisciplinare è meno forte, anche se non scompare. Forse ha
ragione Agazzi quando afferma che ciò accade a causa delle motivazioni poco convincenti. Quali sono
queste motivazioni poco convincenti? Il 68 si ribellò al nozionismo e, visto che le nozioni si apprendevano
tramite le materie di insegnamento, si ribellò all’intera impostazione dei curricoli. I contenuti delle
discipline si consideravano superati e incapaci ad aiutare a comprendere la società contemporanea e le sue
contraddizioni. Si volevano sostituire il tradizionale con l’attuale, la didattica tradizionale con la didattica
alternativa, ispirata all’attualità, per superare così la vecchia logica delle materie scolastiche e la loro
frammentazione. Si verificò però non il superamento dell’impostazione disciplinare, ma la sostituzione dei
contenuti tradizionali con quelli ritenuti più significativi perché più capaci di interpretare la realtà presente
e le sue contraddizioni, senza con questo ottenere una migliore organicità del sapere.
In seguito i Programmi della scuola media del 1979 e quelli della scuola elementare del 1985 , criticando sia
l’impostazione attivistica sia quella delle esperienze alternative proprie della contestazione, contribuirono
molto a superare la logica delle materie in favore di quella più corretta di discipline. La loro impostazione è,
infatti, marcatamente disciplinare.
Oggi l’approccio interdisciplinare torna alla ribalta. Secondo Morin siamo di fronte all’esaurimento del
paradigma di semplificazione (che a partire da Cartesio ha governato l’affermarsi della scienza moderna )
vista l’attuale moltiplicazione delle discipline e delle loro specializzazioni.
Il nuovo paradigma è quello della complessità. Le singole discipline sono insufficienti, le scienze devono
dialogare, integrarsi fino a produrre nuove forme di sapere. Ritornando al mondo della didattica è
opportuno che questo si apra al dialogo non solo tra discipline affini , ma anche tra sapere scientifico e
sapere umanistico, come ben emerge dalle Indicazioni .
In una prospettiva interdisciplinare la scuola potrà perseguire alcuni obiettivi, oggi prioritari:
-insegnare a ricomporre gli oggetti della conoscenza (l’universo, la natura, il corpo, la storia ) in una
prospettiva complessa volta cioè a superare la frammentazione delle discipline;
-promuovere i saperi propri di un nuovo umanesimo : la capacità di cogliere gli aspetti essenziali dei
problemi, di comprendere le implicazioni per l’uomo degli sviluppi delle scienze e della tecnologia; di
valutare i limiti e le possibilità delle conoscenze, la capacità di vivere in un mondo in continuo
cambiamento;
-diffondere la consapevolezza che i grandi problemi della società odierna (degrado ambientale,crisi
energetiche, bioetica) si possono risolvere solo grazie ad una stretta collaborazione non solo tra le nazioni,
ma anche tra le discipline e le diverse culture. Se in teoria ci sono indicazioni ad adottare modalità
didattiche non cristallizzate in saperi separati, in pratica non è facile trovare buone soluzioni. La riflessione
deve mirare a produrre modelli didattici più convincenti di quelli del passato, attenti ad evitare la trappola
dell’unitarietà apparente. Il modello proposto da Fiorin ( v. figura p 165) è concepito come il quadrante di
una bussola che ha i seguenti punti cardinali :
-orientamento centripeto contro orientamento centrifugo;
-orientamento sul soggetto contro orientamento sull’oggetto .

Per orientamento centrifugo si intende un orientamento didattico che, pur partendo da un argomento
unitario , sviluppa a partire da tale centro una serie di attività didattiche che producono conoscenze o
sviluppano abilità senza collegamenti autentici tra loro (esempio: si parte dal tema animali per poi
sviluppare unità didattiche che prevedono in scienze:l’ osservazione su qualche animale domestico, in
matematica un grafico degli animali preferiti , in italiano una poesia sul gatto , ma senza che sia possibile
trovare un collegamento tra queste attività)
L’orientamento centripeto invece intende le discipline come punti di vista tra loro integrati , che dialogano
e collaborano nella realizzazione di un progetto o nella soluzione di un problema impegnativo (es :
esplorazione del fenomeno dell’emigrazione e delle sue cause partendo da un certo evento : es la morte di
un ex emigrante in un paese della Sardegna ). In questo caso tante discipline (storia, geografia, economia)
sono necessarie per comprendere il problema ed ottenere un quadro complessivo unitario.
L’insegnante che opera in una prospettiva interdisciplinare deve sapersi raccordare al lavoro dei colleghi.
Il grafico di pagina 167 esemplifica alcuni possibili legami tra discipline o aree disciplinare.
S) ogni area presenta una parte di specificità . L’insegnante che ha le competenze specifiche per quella
disciplina garantisce l’insegnamento di ciò che è fondamentale nel suo campo.
C) = Collegamento . Ogni area disciplinare ha confini sfumati e molte possibili sovrapposizioni di
contenuti , metodi con altre discipline. Si evidenzia così una zona di collegamento nella quale si può
operare insieme .
T) (trasversalità) al centro del grafico c’è una zona di trasversalità che comprende i problemi che fanno da
riferimento interdisciplinare, ma anche le competenze trasversali (le competenze trasversali sono le abilità
cognitive e relazionali che entrano in gioco in più contesti o discipline es. problem-solving).
La ricerca del dialogo tra discipline e delle interconnessioni è possibile non a partire da argomenti ritenuti
unificanti , ma da problemi . L’approccio per problemi apre interessanti prospettive di innovazione
didattica. . In ogni disciplina gli studenti impareranno a chiedersi:
1.da che punto di vista stiamo leggendo o vedendo?
2.Che prova abbiamo di quello che sappiamo?
3.Come sono connesse le cose o gli eventi? Qual è la causa e qual è l’effetto?
4.Perché questa cosa è importante, che cosa significa , a chi interessa?
Non si tratta di rinunciare alle discipline, ma di intendere correttamente gli insegnamenti scolastici . Tale
scelta è importante anche per ottenere una maggiore motivazione. Tra le ragioni della noia ci sono la
mancanza di interesse e il fatto che gli studenti non riescano a percepire il senso delle richieste della scuola
per la loro vita.
In questa situazione l’adozione di una strategia , che promuova la ricerca personale e responsabilizzi gli
studenti dando incarichi per loro adeguati , è di grande efficacia motivazionale.

3.Oltre le discipline, le competenze


Il tema della competenza in questi ultimi anni sta diventando sempre più rilevante. Il significato di
competenza però non è univoco , ma la ricerca propone diverse interpretazioni. Tale mancanza di univocità
rischia di confondere le idee dei docenti. Per evitare questo è bene rendere noto il significato che ne danno
le Indicazioni Nazionali del Ministero. Nella parte dedicata alla scuola per l’Infanzia dicono:” sviluppare la
competenza significa imparare a riflettere sull’esperienza mediante l’esplorazione, l’osservazione e
l’esercizio al confronto; descrivere la propria esperienza e tradurla in tracce personali, sviluppare
l’attitudine a porre domande, a riflettere e a negoziare significati”.
Da questo testo e dalle Indicazioni Nazionali per i curricolo riferite al 1° ciclo (scuola primaria + media) si
evince che la competenza è il risultato di un apprendimento, al quale contribuiscono le attività svolte nei
vari campi di esperienza e nelle diverse aree disciplinari . Inoltre la competenza non è fine a se stessa , ma
deve essere volta ai valori della cittadinanza e del bene comune.
Nella scuola d’infanzia si parla di competenza al singolare, nel primo ciclo si parla al plurale di competenze
perché il plurale si ricollega al contributo fornito dalle singole aree disciplinari e sottolinea la pluralità degli
strumenti culturali utilizzati , mentre il singolare sottolinea l’unitarietà complessiva delle esperienze di
apprendimento volte a favorire lo sviluppo della competenza che, all’età della scuola di infanzia, va inteso
in senso globale ed unitario.
La nozione di competenza - secondo il progetto PISA ( Programme for International Student Assesment)
dell’OCSE , cui le Indicazioni si sono ispirate- include componenti cognitive, motivazionali, etiche, sociali e
comportamentali . PISA-OCSE distingue tra abilità , conoscenze e competenze . Per abilità si intende la
capacità di utilizzare le proprie conoscenze in modo relativamente facile per l’esecuzione di compiti semplici
ad esempio leggere, scrivere e far di conto. La conoscenza si intende riferita a fatti o idee acquisiti
attraverso lo studio, l’esperienza o la ricerca e indica un insieme di informazioni che sono state comprese,
mentre il concetto di competenza si riferisce alla capacità di far fronte a richieste di un elevato livello di
complessità e comporta azioni complesse.
L’OCSE parla di competenze essenziali. Che differenza c’è con quelle di base?
Per competenze di base si intendono i saperi fondamentali utilizzabili nella vita quotidiana e lavorativa e
trasferibili nei diversi contesti.
L’idea di basilarità introduce però una prospettiva gerarchica ( dopo le competenze di base ci si aspettano
competenze più elevate) e diacronica ( Le competenze di base vengono prima delle altre) . Questa
concezione è però riduttiva. La NOZIONE DI COMPETENZE ESSENZIALI ( o competenze chiave) SUPERA
QUESTI LIMITI perché ciò che è essenziale non può mai mancare in nessun momento della vita e non può
essere subordinato ad altro.
Il rapporto OCSE indica 3 criteri per selezionarle:
1.agire in modo autonomo . Competenze essenziali di questa categoria sono : saper difendere i propri
diritti, realizzare programmi di vita e realizzare obiettivi significativi, saper agire in un contesto ampio.
2.servirsi di strumenti in maniera interattiva ci si riferisce a strumenti cognitivi (es la lingua), sociali e
materiali. Competenze essenziali di questa categoria sono: saper utilizzare la lingua e testi in maniera
interattiva, saper utilizzare le informazioni e conoscenze per compiere le proprie scelte, saper utilizzare le
nuove tecnologie
3.interagire in gruppi socialmente eterogenei . Questo criterio riguarda le relazioni sociali e la convivenza
con persone di lingua e cultura diverse dalle proprie.
Caratteristica distintiva della competenza chiave è di avere una natura complessa (costituita da
conoscenze, abilità operative , disposizioni riguardanti le emozioni , la motivazione , i valori) di essere
trasferibile in vari contesti e di essere sempre incrementabili.
Nell’idea di competenze non c’è soltanto il sapere e il saper fare (conoscenza e abilità) ma anche
l’affettività, la motivazione, l’immagine di sé e i valori.
Come ci accorgiamo che una persona è competente? Quando la vediamo impegnata a misurarsi con un
problema difficile . In tale caso si deve far appello non solo alle conoscenze o abilità, ma anche alle nostre
emozioni, alla fiducia che abbiamo in noi, ai valori in cui crediamo.
Nel concetto di competenza c’è sempre l’idea dell’ulteriorità , di ciò che non si è ancora raggiunto e che non
raggiungeremo mai del tutto, ma che ci spinge a migliorarci.
Dal punto di vista didattico sviluppare competenze significa mettere gli alunni davanti a sfide . Va
perseguita l’idea di una scuola sfidante , appassionante che punti allo sviluppo della competenza che va
intesa più come punto di riferimento che di arrivo. Es: competenza a comunicare nella lingua materna:
anche chi ha un eccellente livello di competenza può ulteriormente migliorarlo, anzi più uno è competente
più vuole migliorare.
La competenza deve essere intesa come meta provvisoria, non definitiva
Le indicazioni propongono dei traguardi per lo sviluppo delle competenze che scandiscono diacronicamente
(attraverso il tempo) il curricolo e rappresentano riferimenti per gli insegnanti riconoscendo con ciò
l’importanza per chi insegna di avere degli indicatori che guidino l’azione didattica.
Ma la competenza è davvero la meta? In verità considerarla tale comporta un rischio molto grave. Non
basta dare le competenze, ma occorre orientarle verso i valori altrimenti si corre il rischio di formare
persone competenti, ma che usano la propria competenza per manipolare gli altri.

Capitolo sesto: Insegnare e apprendere in una scuola comunità educativa.


1.Essere insegnanti oggi
Una buona scuola è quella nella quale il corpo docente sa diventare qualcosa di più di un formale collegio,
nel quale i membri sono legati da vincoli burocratici , una comunità nella quale sperimentare rapporti
professionali e personali non solo superficiali, ma molto più profondi, legati da una comune preoccupazione
educativa
La comunità professionale – come ricorda Sergiovanni- non nasce da legami di affinità , ma dalla
condivisione di compiti, tuttavia questo non è un dato di partenza, ma di arrivo, qualcosa che si costruisce
nel tempo. Ci sono delle scuole che non diventano mai comunità professionali e rimangono imprigionate in
una identità burocratica che non sa cogliere le opportunità di cambiamento. Perché una scuola possa
svilupparsi come comunità professionale occorre che i suoi membri imparino a riflettere e a ricercare
insieme. Una comunità professionale è una comunità che condivide pratiche, idee, ricerche. La ricerca
obbliga gli insegnanti a discutere e a confrontarsi su ciò che è importante, promuove l’apprezzamento del
lavoro altrui.
Inoltre un buon insegnante sa che la sua responsabilità non si esaurisce dentro l’aula o la scuola, ma è
anche rivolta al territorio di appartenenza e questo è ancora più vero nella scuola della autonomia.
Concepire la scuola come comunità professionale ed educativa porta a considerare gli studenti non come
semplici utenti del servizio dell’istruzione, definiti esclusivamente dal loro ruolo sociale di “alunni” , ma
prima di tutto come persone. La domanda principale che un alunno-persona pone non è di tipo disciplinare,
ma esistenziale.
La preparazione professionale e la competenza tecnica sono requisiti necessari ma non sufficienti a
rispondere alla domanda di significato che i giovani pongono. I giovani non cercano negli adulti dei
semplificatori della complessità della vita , sono molto esigenti nelle loro richieste.

SCUOLA COME COMUNITA’ PROFESSIONALE ED EDUCATIVA


La comunità professionale dunque non nasce da legami di affinità , ma dalla condivisione di compiti,
tuttavia non è un dato di partenza, ma di arrivo, qualcosa che si costruisce nel tempo. Ci sono delle scuole
che non diventano mai comunità professionali e rimangono imprigionate in una identità burocratica che
non sa cogliere le opportunità di cambiamento.
La scuola può essere esaminata dal punto di vista dei MODELLI ORGANIZZATIVI.
Partendo dall’analisi dei diversi modelli che una organizzazione aziendale può assumere e adattando
l’analisi alla organizzazione scolastica otteniamo lo schema di cui

vedi tavola 23 pag 198 .


Lo schema si presenta come bussola che indica i seguenti punti cardinali:
-Il NORD indica il CAMBIAMENTO. Ogni scuola affronta il cambiamento ed è spinta a modificarsi dalle
trasformazioni socio-economiche e dal mercato del lavoro
-Il SUD indica la CONSERVAZIONE. La scuola agisce tra apertura al futuro e riferimento al passato
-L’EST indica i valori di riferimento
-L’OVEST indica le procedure cioè le regole e le modalità di lavoro.
La bussola indica 4 quadranti. A seconda di come la scuola si colloca all’interno di tali quadranti si
delineano diversi tipi di organizzazione. Es:
1.Modello Burocratico: si colloca tra il rispetto delle regole (procedure) e la preoccupazione di conservare
le modalità consuete. L’attenzione è concentrata sulle procedure, sul rispetto delle regole formali . Il
cambiamento è sentito come disturbo.
2,Modello Ideologico: questo modello, pur essendo sensibile alla tradizione, non è indifferente ai valori . La
leadership è di tipo personale, preoccupata di preservare l’istituzione dal cambiamento. E’
un’organizzazione ripiegata su se stessa , non è capace di vedere nuovi problemi e di aprirsi all’innovazione
3.Modello funzionalista : è attento al cambiamento e disposto a coglierne la sfida accettando la
modernizzazione delle tecnologie, ha modalità organizzative flessibili , abbandona le modalità consolidate
dalla tradizione ed è più disponibile ad accettare nuove pratiche più adatte ai nuovi tempi. . Riportandolo
alla scuola tale modello è molto presente negli orientamenti internazionali, specie europei. Questo modello
è attratto dall’idea di utile e considera improduttivo continuare ad insegnare cose del passato. La scuola
deve misurarsi con i problemi della società che cambia, quindi sostiene l’idea dell’apprendere ad
apprendere che considera valore di riferimento . E’ centrato su obiettivi, risultati e sulla flessibilità.
Punto di forza: affronta il cambiamento, ha capacità di rispondere alle richieste che arrivano dall’esterno .
Punto di debolezza: Scarsa criticità nei confronti del nuovo , esposizione alle mode., non problematizza
adeguatamente, non indaga i motivi del cambiamento alla luce di valori che facciano da filtro critico.
Pertanto mostra debolezza pedagogica in quanto la missione della scuola viene definita dall’esterno., cioè
dalle richieste economiche della società .
4.Modello personalista : tale modello (preferito da Fiorin) condivide con quello ideologico l’attenzione ai
valori e con quello funzionalista la disponibilità al cambiamento e richiede capacità di trasformazione e di
innovazione. Tra il passato da conservare e il futuro da fronteggiare, questo modello è molto attento al
presente.
Concludendo i due modelli posti sulla parte superiore della bussola (funzionalista e personalista) sono i più
interessanti . A questi si possono applicare la metafora della scuola-impresa e della scuola –comunità. La
prima è caratterizzata da valore della razionalità, la quale è strettamente connessa alla logica degli obiettivi
da raggiungere nei modi più efficienti possibili. Efficienza ed efficacia sono caratteristiche della razionalità e
sono anche valori importanti e la scuola che li segue è molto apprezzata, mentre quella che se ne discosta
viene criticata.
La metafora della scuola-comunità è caratterizzata dal valore della relazione. Questo tipo di scuola si
fonda sulla relazionalità tra docenti, docenti e genitori e tra ragazzi e le loro esperienze didattiche. Punti di
forza sono il senso di appartenenza, dimensione affettiva coltivata insieme a quella cognitiva,
l’orientamento (ai valori) .
Questi 2 modelli non sono del tutto contrapposti , ma neppure sullo stesso piano. Ci sono buone ragioni
per volere la scuola efficiente, ben organizzata e capace di preparare i giovani al lavoro. Sarebbe insensato
trascurare tale aspetto dell’insegnamento e sarebbe inadeguata al suo compito una scuola tutta centrata
sulle relazioni, ma incapace di sviluppare buone competenze e di fornire una preparazione all’altezza delle
richieste socioeconomiche. La scuola che vuole essere comunità deve includere anche i valori propri della
metafora dell’impresa. Una scuola che intende educare istruendo è attenta a promuovere le competenze
senza però ridurre tutto il percorso della conoscenza a questo.
La scuola in cui la persona è al centro ha l’aspetto della comunità non quello dell’organizzazione burocratica
efficientistica . In quanto comunità educante coltiva le relazioni, valorizza le diversità, si prende cura di tutti,
sviluppa in ciascuno la condivisione dei valori, favorisce il confronto, insegna il rispetto e l’assunzione di
responsabilità. E’ pertanto luogo di educazione alla libertà..

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