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Vita di Wulflaich, stilita e santo longobardo del sesto secolo.

Abstract: a description and interpretation of the strange choice of a Langobard saint of the late VI century
in his fight against the veneration of a statue of Diana. Why would a Langobard monk choose stylitism (in a
time in which almost the whole Langobard people was not even catholic), and why the extraordinary life of
Wulflaich has been almost completely ignored by historians both ancient and modern.

Sono pochissimi i santi longobardi o presunti tali 1: proprio per questo solo l’estrema scarsità di fonti
può giustificare l’assenza dal novero ufficiale di Wulflaich. Del resto sembra proprio che anche la Chiesa
cattolica, oltre agli storici, si sia quasi del tutto dimenticata di lui. La sua vicenda viene esaminata in
dettaglio soltanto da coloro che si occupano della sopravvivenza del paganesimo nella tarda antichità 2, per
le ovvie ragioni che vedremo in seguito. Gasparri 3 accenna rapidamente a questo personaggio e lo
accomuna alla figura molto più tarda di Gausfrido (IX sec.), presentando entrambi i casi come esempi del
valore non etnico ma geografico dell’aggettivo “longobardo”. Nel caso di Wulflaich non credo che la
conclusione sia giustificata, per due ragioni che espongo in seguito, dopo aver riassunto le scarse notizie su
di lui.

L’unica fonte che sono riuscito a reperire contemporanea a Wulflaich – e in effetti, l’unica che
fornisca notizie originali su di lui vivente – è Gregorio di Tours 4, che lo chiama Vulfelaicus o Vulfilaicus. Fonti
più tarde presentano le forme Wolfilaicus, Wolffilaicus, Wulfilaïcus, Ulfilaicus ecc. Per semplicità useremo la
forma Wulflaich, che è forse un po’ più vicina alla pronuncia originale: è quella del tedesco moderno (quella
francese è Walfroy), proprio come Gregorio è una forma attuale di Gregorius.

Recatosi a Eposium (poi Ivodium, oggi Carignan), presso Treviri, Gregorio viene ospitato nel
monastero costruito e retto da Wulflaich, uomo genere Langobardus, e – conoscendolo di fama come santo
e operatore di miracoli – gli chiede di raccontargli la sua vita. Gregorio è attento a sottolineare che il suo
ospite è assai modesto e parco di informazioni, il racconto non è quindi dettato da vanagloria. Anzi:
Gregorio giura che non rivelerà mai quello che gli viene raccontato, giuramento che fortunatamente per noi
ha poi infranto.

Wulflaich è stato fin dall’infanzia devoto di san Martino (lo stesso santo di cui Gregorio conserva le
principali reliquie), nonostante non sapesse praticamente niente di questo santo. In seguito apprende a
scrivere prima ancora di conoscere l’alfabeto (l’ordine delle lettere). Abbiamo già qui informazioni
straordinarie sulla cristianizzazione e l’alfabetizzazione dei longobardi. Da queste scarne parole si intuisce
tutto un mondo di ignoranza, fervore e incertezza, un cambiamento epocale di cui quest’uomo fu
certamente un pioniere. Siamo infatti alla fine del sesto secolo. L’invasione longobarda dell’Italia è un
evento recente: la gens pratica un cristianesimo eretico (arianesimo) peraltro solo di facciata, al di sotto del
quale si agitano etiche e pratiche pagane che riusciamo soltanto a intuire, grazie agli squarci nel buio
rappresentati da pochi passi di Gregorio Magno e da fonti molto più tarde come Paolo Diacono e la Vita di
san Barbato. Cosa abbia spinto un bambino longobardo – certamente ignorante, probabilmente ariano se
non addirittura pagano, visto che Gregorio parla di conversione – verso il culto di san Martino e un
durissimo apprendimento da autodidatta della scrittura di una lingua straniera e sempre più distante da

1
In effetti l’unico sicuramente longobardo è Anselmo di Nonantola, non importa quale delle due identificazioni
comunemente proposte si scelga di accettare, mentre nel caso di Barbato e Ansovino le cose non sono così chiare.
2
Ad es. FLETCHER, R., The Conversion of Europe: From Paganism to Christianity, 371-1386 AD, HarperCollins, 1997.
3
GASPARRI, S., Le molteplici identità etniche dei Longobardi in Italia. Linguaggi politici e pratiche sociali, in
Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Institut, Römische Abteilungen, 118 (2012).
4
GREGORIO DI TOURS, Historia Francorum, VIII, 15 e seguenti.
quella parlata, va al di là di ogni mia possibilità di ragionevole congettura. Tutto si spiegherebbe più
facilmente se Wulflaich fosse stato uno dei rari longobardi cattolici (niceni) di cui dà testimonianza lo stesso
Gregorio, eppure il capitolo 15 dell’VIII libro si intitola proprio De conversione Vulfelaici diaconi.

Dopo la devozione e lo studio, segue uno iato apparentemente incolmabile. Ritroviamo Wulflaich
presso l’abate Aridio, che finalmente gli dà un’istruzione vera e propria, in un monastero presso Limoges.
Wulflaich segue l’abate in pellegrinaggio alla basilica di San Martino, e al ritorno al monastero la polvere
raccolta sul sepolcro del santo opera un miracolo. Wulflaich decide allora di partire e si reca nella regione di
Treviri, dove diviene eremita e stilita. Di nuovo, perché mai un giovane longobardo entra in un convento
presso Limoges e poi viaggia ancora più lontano per diventare eremita e – tra tutte le forme che la
devozione e l’ascesi possono assumere – sceglie quella di stilita? Almeno a quest’ultima domanda,
cercheremo di dare una risposta.

Il luogo in cui Wulflaich si stabilisce è quello di un tempio pagano abbandonato in cima a un monte,
o forse un tempietto annesso a una villa abbandonata. I riferimenti sono davvero troppo scarsi: del resto la
questione non è rilevante per il nostro discorso. Ci viene detto che sulla collina c’era una grande statua di
Diana, tanto grande che il santo non è in grado di abbatterla da solo. In seguito c’è un breve accenno a
immagini più piccole. Il luogo è abbandonato ma gli abitanti della regione praticano ancora una qualche
forma di culto. La scelta di vivere sulla colonna ha un fortissimo impatto simbolico: si tratta di una lotta tra
la statua immobile e muta ma abitata dai demoni e la statua vivente, l’asceta immobile che sopporta
scomodità e intemperie per predicare il Verbo. Wulflaich fonda anche una piccola comunità di monaci che
gli portano pane e acqua.

La storia termina con la “conversione” della popolazione (già cristiana in realtà) che aiuta il santo ad
abbattere la statua. In seguito, i vescovi della regione obbligano Wulflaich a scendere dalla colonna,
sostenendo che il clima è troppo rigido e che lui non è comunque all’altezza di Simeone (presumibilmente il
Vecchio), santo siriaco inventore di questa pratica ascetica. La colonna viene abbattuta non appena
Wulflaich si allontana. Non c’è nulla di strano in questo: gli stiliti non hanno mai avuto fortuna in occidente.
Quello che è strano, anzi come abbiamo già detto sorprendente, è che un eremita longobardo abbia deciso
di erigerla, o anche solo che un longobardo alfabetizzato tardi sapesse cosa fosse uno stilita.

Esiste una spiegazione molto semplice del perché Wulflaich conoscesse la pratica dello stilitismo: è
possibile che l’abbia imparata in Siria. La Siria è infatti la terra d’origine degli stiliti. La presenza di un’armata
longobarda in Siria alla fine del VI secolo (a. 575) è testimoniata da Giovanni di Efeso 5:

Il patrizio Giustiniano è già in marcia e ha al suo seguito sessantamila longobardi.

Sono passati tre anni dall’assassinio di Alboino, uno dall’assassinio di Clefi. Nel regno longobardo
non c’è più un re, e non ci sarà per altri dieci anni. Molti proprietari romani vengono uccisi per avidità di
denaro, dice Paolo Diacono. Governano i duchi longobardi: alcuni si sottomettono almeno formalmente
all’Impero (in cambio di denaro) 6, altri no. Alcuni invadono la Francia 7, non per conquistarla ma per
saccheggiarla. Alcuni combattono in Siria per l’imperatore. Alcuni assediano Roma 8. Nell’ultimo anno della
vacanza reale, almeno uno di loro combatte in Italia per l’imperatore (Drocton)9. È evidente qui la logica del
5
GIOVANNI DI EFESO, Historia Ecclesiastica, 6, 13. Vedi BERGAMO, N., Anabasi longobarda in Siria: sessantamila
guerrieri al servizio dell’impero, in “Porphyra”, anno IV, numero X, dicembre 2007, “La Siria bizantina”.
6
MENANDRO PROTETTORE, frammento 49.
7
GREGORIO DI TOURS, Historia Francorum, IV, 42. FREDEGARIO, Chronicum, XLV.
8
DUCHESNE, Le Liber Pontificalis texte introduction et commentaire, Paris 1886, p. 308 n. 10.
9
PAOLO DIACONO, Historia Langobardorum.
ciascuno per sé: bisogna fare preda il più in fretta possibile, finché ce n’è la possibilità, non importa come. Si
possono chiedere tributi all’imperatore dei romani e al tempo stesso uccidere o minacciare i romani
d’Italia, si organizzano spedizioni militari al solo fine di saccheggiare, senza preoccuparsi delle rappresaglie
o di occupare territori.

Questi avvenimenti eccezionali possono o meno spiegare la straordinaria vita di Wulflaich. Tutto sta
nel determinare la sua età all’epoca della visita di Gregorio. La visita avviene nel XXIII anno del regno di
Guntrano, cioè nel 585. La succinta autobiografica di Wulflaich ci dice che egli aveva ricevuto un’educazione
formale in età giovanile piuttosto che da bambino: in maiore aetate proficiens, litteras discere studui…
Deinde [cioè dopo essere entrato nella maggiore età] Aridio abbati coniunctus ab eoque edoctus…

Che cos’è la maggiore età per un longobardo del sesto secolo? Rotari 10 ci parla di una legitima aetas
di 12 anni. Siamo comunque ben lontani da una chiara formulazione dei concetti di capacità
giuridica/capacità di agire. La maggiore età era per la gens più realisticamente un dato non anagrafico ma di
fatto: la consegna delle armi davanti all’assemblea. Non credo sia a questo rito che Wulflaich si riferisce
(proficiens si riferisce a un processo durativo, non a un cambiamento di stato istantaneo come nella
tradizione barbarica) bensì al concetto di maggiore età della tradizione classica, che Wulflaich ha recepito
tramite la chiesa di cui è diventato membro. Questo concetto – maturità fisica e intellettuale, piuttosto che
la semplice capacità di operare violenza con una spada – viene infine recepito anche dalla legislazione
longobarda nell’ottavo secolo, per opera del re cattolico per eccellenza, Liutprando (117): Si infans ante
decem et octo annos, quod nos instituimus, ut sit legetima etas…

Credo quindi che Wulflaich abbia cominciato a studiare con Aridio dopo i 18 anni. La spedizione in
Siria non può essere successiva alla tonsura, quindi l’ipotesi siriaca ci dà un eremita e fondatore di
monastero insolitamente giovane: al massimo un trentenne. Non impossibile, ma certo straordinario, come
altre cose nella vita di questo santo. L’età non avanzata spiega anche la sopravvivenza al duro inverno della
regione. Riguardo al fatto che un ragazzo longobardo interessato alle lettere fosse inviato a combattere
all’estero invece non c’è niente di strano, per un popolo organizzato in fare: famiglie/unità militari. È da
notare che sempre nel 575 avvenne l’invasione del territorio franco da parte di tre duchi longobardi. Di
nuovo, immaginare che Wulflaich abbia partecipato a entrambe le campagne è forse azzardato, ma non
impossibile nel periodo di estrema turbolenza che abbiamo descritto. Nella pressoché totale mancanza di
altri dati oltre a quelli bellici, questi hanno almeno il merito di formare un quadro coerente, per quanto
improbabile esso possa apparire. Perché allora non raccontare queste peripezie a Gregorio? Probabilmente
perché per un aspirante santo gloriarsi di imprese belliche sarebbe stato assurdo. Dunque gli eventi della
colonna e della statua descritti da Wulflaich si sono verificati non molto prima della visita di Gregorio?
Credo di sì, perché in seguito non si trova più nessuna notizia su di lui, segno che la sua popolarità era
molto diminuita terminato il periodo ascetico.

L’idea di longobardi che si convertono durante una campagna militare non è mia, è proprio
Gregorio di Tours a descrivere un episodio di questo genere, che sarà poi ripreso da Paolo Diacono. Ed è del
resto del tutto naturale, visto che persino gli uomini liberi in tempo di pace non hanno quasi modo (almeno
nella fase immediatamente successiva all’invasione) di abbandonare la propria fara e provincia 11.
Convertirsi individualmente in casa propria vuol dire rischiare l’isolamento sociale. Niente di strano quindi
che chi si converte si metta sotto la protezione di un’autorità religiosa. Negare che Wulflaich fosse
10
Edictus Rothari, 154.
11
Sono consapevole del fatto che nell’Editto provincia in genere e fin dal prologo indica il regno, ma non sempre è
così: in Roth. 264 il senso sembra essere proprio quello di circoscrizione territoriale all’interno del regno mentre in 177
si usa “regni”, probabilmente perché il legislatore si è accorto che provincia potrebbe essere ambiguo.
originariamente un longobardo etnico (cioè un membro dell’esercito/popolo invasore ariano; meglio: il
membro di una fara) per il semplice fatto che il personaggio esula dagli schemi soliti, dalla periodizzazione
accettata della fusione tra longobardi e latini, non è ammissibile. Né gli schemi moderni sono condivisi dalle
fonti; ecco l’esempio di precoce conversione accennato come ce lo presenta Paolo Diacono 12:

Igitur vir iste sanctus adventum Langobardorum in Gallias hoc modo praedixit… Tunc unus, extracto
gladio, ut caput eius amputaret, mox eius dextera in ipso ictu suspensa diriguit, nec eam ad se
potuit revocare… Langobardus autem qui sanatus fuerat ad fidem Christi conversus, statim clericus,
deinde monachus effectus est atque in eodem loco usque ad finem vitae suae in Dei servitio
permansit.

Questo longobardo avrebbe potuto benissimo essere Wulflaich. Gasparri dà per scontata l’equivalenza tra
l’espressione genere langobardus e l’origine italiana, al di là della questione etnica. Non condivido questa
opinione perché:

- Il nome germanico, nell’Italia del VI secolo, è13 indicatore dell’etnicità (mentre già non lo è più,
o non lo è più in maniera sistematica, nel regno franco 14).
- Gregorio ci dice che Wulflaich si è convertito. Questo vuol dire che in precedenza era ariano o
pagano – a meno che non si interpreti De conversione diaconi Vulfilaici nel senso di
“conversione operata da”, cosa che non mi sembra giustificabile. Al massimo, avrebbe potuto
essere un discendente di soldati imperiali di origine germanica e religione ariana (goti? 15).

Pohl16, che pure accenna rapidamente a questo santo, non ne mette in dubbio l’appartenenza etnica e lo
accomuna invece ad altri precoci esempi di conversione tra la gens.

Che ne è stato in seguito di lui? Non è pervenuta alcuna notizia. I testi da me consultati 17
contengono una sola ulteriore informazione originale: la traslazione del feretro nell’anno 979 ad opera del
vescovo di Treviri Egbert, accompagnata da alcuni miracoli. Deludente è constatare che le agiografie di
Wulflaich sono semplici parafrasi del testo di Gregorio, a volte completate con frasi generiche riferite al
decesso del santo o al fatto che venisse dall’Italia, cosa che in Gregorio non si trova.

12
Historia Langobardorum, III, 1. Siamo nel 574.
13
FRANCOVICH, N., Discontinuità e integrazione nel sistema onomastico dell’Italia tardoantica: l’incontro coi nomi
germanici, in “La trasformazione del mondo romano e le grandi migrazioni. Nuovi popoli dall’Europa settentrionale e
centro-orientale alle coste del Mediterraneo”. Atti del Convegno internazionale di studi, Cimitile-Santa Maria Capua
Vetere, 2011.
14
Nella Historia Francorum troviamo ad es. un “Gundulfum ex domestico duce facto, de genere senatorio” (VI, 12). Più
in generale, l’insistere di Gregorio sulla “nazionalità” (genere) dei personaggi presentati dimostra appunto la non
sufficienza del nome ad indicare le origini. In Fredegario quest’uso è sistematico e i casi di nomi ingannevoli
frequentissimi.
15
Un indizio in questo senso può essere la consonante iniziale del nome, ma questo argomento è troppo complesso
per essere trattato qui.
16
POHL, W., La discussa identità etnica dei longobardi, in “I Longobardi e le Alpi. Atti”, p. 13-24, 2005.
17
Di questi testi di difficile reperibilità segnalo il collegamento alla versione elettronica:
- d'ACHERY, L., (a cura di), Historia trevirensis in Spicilegium siue Collectio veterum aliquot qui in Galliae
bibliothecis delituerant, Parigi, 1723. http://google.it/books?id=mIHwJkIQ3o0C&hl=it
- BROUWER C., e MASEN, J., Antiquitatum et annalium Trevirensium libri XXV. Cologna, 1626.
http://books.google.com.sg/books?id=a4FFAAAAcAAJ&lr=&hl=it&sitesec=reviews
- PALMÉ, V. (a cura di), Vita s. Magnerici ep. et confessoris in Acta sanctorum Julii tomus sextus, Parigi, 1868.
http://books.google.it/books/reader?id=Is4-
AAAAcAAJ&hl=it&printsec=frontcover&output=reader&pg=GBS.PA189
Ancora più deludente scoprire che il monte dove si era svolta l’epica lotta contro il simulacro
pagano, al tempo della traslazione era tornato nuovamente abbandonato, anzi lo era addirittura “ ab
antiquitate”: ed è per questo che i resti furono traslati. In un curioso parallelo con il precedente santuario di
Diana, anche quello cristiano finisce quindi nell’abbandono - pur non venendo meno, proprio come nel caso
di Diana, la devozione popolare. Può darsi che l’origine etnica del santo gli abbia nuociuto presso i franchi
dopo la morte, così come la pratica aliena dello stilitismo gli aveva nuociuto presso le gerarchie
ecclesiastiche in vita, e che gli intellettuali delle epoche successive lo abbiano praticamente condannato
all’oblio, preferendogli santi autoctoni. Un caso di damnatio memoriae che ricorda quello molto più tardo
della figlia di Desiderio, ripudiata da Carlo Magno. Ma se si può ipotizzare che gli scrittori franchi abbiano
trascurato Wulflaich per questioni di nazionalismo e gli storici moderni perché è un personaggio fuori dagli
schemi, risulta davvero inspiegabile però che non parli di lui Paolo Diacono, che ha in Gregorio una delle
sue fonti principali e che è sempre ansioso di nobilitare la stirpe segnalando casi precoci di ortodossia.

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