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TRA STORIA E DIRITTO:

DALL’IMPERO AUSTRO-UNGARICO
AL NATION BUILDING
DEL PRIMO DOPOGUERRA
La parabola della Repubblica cecoslovacca
(1918-2018)
a cura di
Romano Orrù - Francesca F. Gallo - Lucia G. Sciannella
Il presente volume è stato pubblicato con il contributo dei fondi «FAR-
DIB» (2019) dell’Università di Teramo.

Orrù, R.; Gallo, F.F.; Sciannella, L.G. (a cura di)


Tra storia e diritto: dall’impero austro-ungarico al Nation Building del primo dopoguerra
La parabola della Repubblica cecoslovacca (1918-2018)
Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane, 2020
pp. 348; 24 cm
ISBN 978-88-495-4334-6

© 2020 by Edizioni Scientifiche Italiane s.p.a.


80121 Napoli, via Chiatamone 7
Internet: www.edizioniesi.it
E-mail: info@edizioniesi.it
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scun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla siae del compenso previsto dal-
l’art. 68, comma 4 della legge 22 aprile 1941, n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra siae,
aie, sns e cna, confartigianato, casa, claai, confcommercio, confesercenti il 18 di-
cembre 2000.
INDICE

Introduzione 7

Relazioni
Francesco Caccamo
Le parabole della Cecoslovacchia attraverso il secolo breve 13

Oliver Panichi
Genesi culturale e politica di uno scisma religioso: la Chiesa
nazionale cecoslovacca (1918-1920) 35

Fabrizio Politi
La nascita della Corte costituzionale austriaca e la tutela delle
libertà nella Costituzione austriaca del 1920 63

Mauro Mazza
La dissoluzione dell’impero austro-ungarico e la questione delle
nazionalità 81

Angela Ferrari Zumbini


Il diritto di essere sentiti nell’Impero austro-ungarico 101

Andrea Gratteri
Il principio proporzionale nelle Costituzioni del primo dopo-
guerra 115

Francesco Duranti
Il processo di Nation Building del primo dopoguerra nel con-
testo nordico: la Costituzione finlandese del 1919 137

© Edizioni Scientifiche Italiane ISBN 978-88-495-4334-6


6 Indice

Comunicazioni
Giulio M. Salzano
Immaginare la Nazione. Rappresentazioni dell’identità mu-
sulmana nella Jugoslavia socialista 151

Lorenzo Venuti
Le associazioni calcistiche ebree come fenomeno transnazionale
dopo la disgregazione dell’impero austro-ungarico: i casi
del Makkabi Brünn e dell’Hakoah Vienna 195

Alessandro Volpato
La Legione Cecoslovacca in Italia contro l’Austria-Ungheria:
genesi, sviluppo e contraddizioni 211

Fabrizio Rudi
La fine della Grande Guerra, l’Italia, il processo di edifica-
zione nazionale di Cecoslovacchi e Jugoslavi 225

Alessandro Tedde
Dentro e contro Weimar: corporativismo e privatizzazione del
conflitto sociale 259

Marco Rizzuti
Diritto di famiglia e Costituzione nella vicenda Fiume 283

Mattia Gambilonghi
Diritto del lavoro, consigli aziendali e democrazia economica
nell’opera di Hugo Sinzheimer 299

Fiore Fontanarosa
Il ruolo dei poteri statali nell’equilibrio costituzionale della Re-
pubblica Ceca 315

Elenco degli Autori 347

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COMUNICAZIONI
Giulio M. Salzano
IMMAGINARE LA NAZIONE.
RAPPRESENTAZIONI DELL’IDENTITÀ MUSULMANA
NELLA JUGOSLAVIA SOCIALISTA

1. Premessa. – La Costituzione della Repubblica socialista della


Bosnia-Erzegovina, promulgata il 25 febbraio 1974, sancì, de jure, la
«nascita» della nazione musulmana di Bosnia-Erzegovina, la sesta na-
zione costituente della Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia1.
Fu l’ultimo atto di un complesso percorso politico avviato dal Par-
tito comunista jugoslavo nell’ambito della lotta popolare di Libera-
zione, durante le fasi decisive del Secondo conflitto mondiale. L’ap-
proccio dei comunisti jugoslavi alla questione nazionale musulmana
aveva da subito evidenziato alcune criticità rispetto al tradizionale
orientamento iperlaicista della dottrina marxista-leninista. L’elemento
predominante di una presunta identità collettiva musulmana, in ef-
fetti, era e restava saldamente ancorato al patrimonio religioso isla-
mico. L’idea di fondare la nazione musulmana su tali presupposti, no-
nostante l’opera di persuasione da parte di alcuni esponenti del mondo
accademico bosniaco, fu considerata, dai comunisti più intransigenti,
incompatibile con quei principi sui quali il partito aveva fondato, le-
gittimato e preteso il consenso popolare nell’immediato secondo do-
poguerra.
Le strategie adottate dai funzionari politici comunisti favorevoli
all’affermazione nazionale della componente bosniaco-musulmana si
svilupparono essenzialmente in due direzioni: attraverso gli strumenti
della storiografia e della pubblicistica di regime, tesi a rintracciare gli
elementi della presupposta identità nazionale musulmana lungo un

1
Ustav Socijalističke Republike Bosne i Hercegovine in Službeni list SRBiH,
25.02.1974, n.4, pp. 90 e segg. La Jugoslavia del secondo dopoguerra nacque dall’u-
nione di sei repubbliche (Slovenia, Croazia, Serbia, Bosnia-Erzegovina, Macedonia e
Montenegro) e cinque popoli-nazioni costituenti (sloveni, croati, serbi, macedoni e
montenegrini).

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percorso ideale che dalla tradizione medievale bogumila giungeva, tra-


mite il complesso processo di islamizzazione di epoca ottomana e le
riforme dell’amministrazione asburgica, fino ai più recenti anni della
Resistenza partigiana; l’altra, attraverso un articolato progetto istitu-
zionale, contraddistinto dall’adozione di una serie di provvedimenti
legislativi e atti amministrativi, che, nel tempo, favorirono il processo
di inclusione della componente bosniaco-musulmana nel novero delle
nazioni costituenti jugoslave. Il successo dell’azione politica comuni-
sta di orientamento «liberale» causò, inevitabilmente, alcuni assesta-
menti degli equilibri di potere all’interno del partito e aprì nuovi sce-
nari nell’ambito delle relazioni tra le repubbliche, le nazioni e il go-
verno federale jugoslavo.

2. Il protonazionalismo slavo nella Bosnia-Erzegovina tra i due


Imperi. – Nella prima metà degli anni Sessanta del Novecento, la
Lega dei comunisti jugoslavi favorì la proliferazione di numerose ri-
cerche di carattere storiografico sui musulmani della Bosnia-Erzego-
vina. Le cause che spinsero diversi esponenti del mondo accademico
a confrontarsi con un argomento tanto complesso quanto delicato,
sono da ricondurre alla volontà del partito di legittimare un partico-
lare indirizzo politico, i cui sforzi erano tesi essenzialmente a «rico-
noscere» e affermare l’esistenza della nazione bosniaco-musulmana.
Sin dalle sue prime fasi, il processo di affermazione nazionale della
componente musulmana incontrò una decisa resistenza sia tra gli stessi
vertici del partito che in alcuni ambienti della società civile e acca-
demica jugoslava. A partire dagli scritti di Enver Redžić e Atif Pu-
rivatra, l’approccio di una certa storiografia, che si affermò tra la metà
degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, nell’ambizioso tentativo
di rintracciare gli elementi «laici» dell’identità «etnica» musulmana, si
orientò inizialmente verso le vicende politiche che segnarono l’ultima
fase del governo ottomano e i quattro decenni dell’amministrazione
asburgica2. In questo primo paragrafo, il cui scopo è essenzialmente
introduttivo, saranno evidenziati i momenti decisivi e i principali ele-

2
Enver Redžić, Prilozi o nacionalnom pitanju, Svjetlost, Sarajevo 1963; Salim Će-
rić, Muslimani srpsko-hrvatskog jezika (I musulmani di lingua serbo-croata), Svje-
tlost, Sarajevo 1968; Atif Purivatra, Nacionalni i politički razvitak Muslimana, Svje-
tlost, Sarajevo 1969; Muhamed Hadžijahić Od tradicije do identiteta. Geneza nacio-
nalnog pitanja Bosanskih Muslimana (Dalla tradizione all’identità. Genesi della que-
stione nazionale dei musulmani bosniaci), Svjetlost, Sarajevo 1974.

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Immaginare la Nazione 153

menti all’origine della questione nazionale musulmana, che sarebbero


confluiti, molto tempo dopo, nel dibattito politico e accademico che
si sviluppò a partire dai primi anni Sessanta del Novecento nella Ju-
goslavia socialista.
Tra il 1839 e il 1876, la Bosnia-Erzegovina fu interessata dalle
riforme «progressiste» (Tanzimat) che il governo ottomano aveva
avviato nei territori soggetti all’Impero per la riorganizzazione del
sistema giuridico, delle strutture militari, delle finanze e dell’istru-
zione scolastica. Il passaggio repentino dei territori bosniaci all’Au-
stria-Ungheria, in seguito alle decisioni scaturite dal Congresso di
Berlino (1878), fu caratterizzato da un’ulteriore riorganizzazione
delle strutture governative e da una rigida pianificazione burocra-
tica, attraverso cui la nuova amministrazione imperiale intese tra-
sformare la provincia ottomana in un «moderno stato europeo». In
entrambi i casi, i provvedimenti imperiali suscitarono reazioni di
dissenso tra le popolazioni locali, che sfociarono spesso in rivolte,
coinvolgendo a più riprese sia i notabili musulmani (in particolare
tra il 1839 e il 1851), sia gli esponenti delle correnti panslaviste serbe
e croate, che avvertirono tali iniziative come l’ennesima ingerenza
da parte di agenti politici stranieri negli affari interni dei rispettivi
territori3.
Le prime sollevazioni dei «patrioti» serbi contro l’Impero otto-
mano (1804-1813; 1814) riscossero importanti successi e furono ri-
compensate con la nascita di un principato autonomo (1815) la cui
reggenza fu affidata a Miloš Obrenović. Nel corso degli anni Trenta
dell’Ottocento, il croato Ljudevit Gaj (1809-1872) diede vita a un
movimento culturale e politico, riconducibile al diffuso fenomeno del-
l’Illirismo, e idealmente, al breve esperimento napoleonico delle Pro-
vince illiriche (1809-1814), il cui principale obiettivo, all’inizio del se-
colo, era stato riunire, in una sorta di unica entità amministrativa, i
territori sottratti all’Austria e quelli del litorale adriatico abitati pre-
valentemente dalle popolazioni slave: Istria e Dalmazia. A differenza
del passato, però, questa volta la «grande Illiria» avrebbe dovuto in-
cludere i territori compresi tra le regioni abitate dagli sloveni e dai

3
J.R. Lampe, Yugoslavia as History. Twice There was a Country, Cambridge
University Press, Cambridge, 1996 (2000), pp. 65-66; Fikret Karčić, Opšti građan-
ski zakonik u Bosni i Hercegovini: kodifikacija kao sredstvo transformacije pravnog
sistema, in Zbornik Pravnog fakultet u Zagrebu, vol. 63, n. 5-6, 2013, pp. 1027-1036,
pp. 1027-1028.

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bulgari, compresa la Bosnia-Erzegovina4. A partire dal 1860, il pro-


getto di riunire i popoli slavi sulla base della condivisione di elementi
culturali e religiosi comuni fu ripreso e ampliato dal vescovo di
Djakovo, Josip Juraj Strossmayer e dal sacerdote e storico Franjo
Rački. In un articolo dal titolo Jugoslovjenstvo, pubblicato sulla rivi-
sta Pozor nel mese di ottobre del 1860, Rački pose le basi teoriche
dello «jugoslavismo». Gli elementi politici, culturali e ideologici dello
jugoslavismo ottocentesco avrebbero influenzato, negli anni succes-
sivi, generazioni di politici e, circa un secolo dopo, attraverso una
singolare rilettura dei principi teorici del marxismo-leninismo e la loro
declinazione in chiave locale, anche l’approccio del Partito comuni-
sta alla questione nazionale jugoslava5.
A partire dagli anni Quaranta del XIX secolo, diverse formazioni
«patriottiche» provenienti dalla Serbia e dalla Croazia, che avevano
già sviluppato, seppur in forma embrionale, una certa coscienza proto-
nazionale, iniziarono a guardare con particolare interesse alla «dor-
miente» Bosnia come a uno spazio in cui sviluppare e ampliare il
processo di unificazione delle popolazioni jugo-slave. La Bosnia e i
bosniaci, secondo una diffusa convinzione che circolava tra i gruppi
nazionalisti più intransigenti, erano percepiti dalle élite serbe e croate
come «parti naturali delle rispettive comunità nazionali»6. Questo at-
teggiamento avrebbe favorito, con il passare del tempo, l’insorgere di
tensioni tra la componente musulmana, i cui riferimenti identitari si
erano sviluppati attraverso l’adesione ai principi della tradizione isla-
mico-ottomana, e le componenti serbe e croate i cui elementi cultu-
rali fondanti erano riconducibili rispettivamente ai valori e ai principi
del cristianesimo ortodosso e del cattolicesimo romano. Gli ambiziosi

4
M.R. Leto, Danica Ilirska i pitanje hrvatskoga Književnog jezika, in Slavica
Tergestina, 2004, pp. 163-188, p.181; J.R. Lampe, Yugoslavia as History. Twice there
was a Country, cit., pp. 39-50; Sulle diverse forme che assunse il fenomeno dell’Il-
lirismo si rimanda al testo di E. Ivetić, La Jugoslavia sognata. Lo jugoslavismo delle
origini, Franco Angeli, Milano, 2012, in particolare al capitolo terzo: «Dall’Illirismo
alla cultura jugoslava», pp. 91-126.
5
J.R. Lampe, Yugoslavia as History. Twice there was a Country, cit., pp. 58-60;
Egidio Ivetić, La Jugoslavia sognata…, cit., p. 116; William Klinger, A vent’anni
dalla dissoluzione della Jugoslavia: le radici storiche, in Fiume, rivista di studi adria-
tici, XXXII, n.1-6, 25, pp. 67-71. A Rački è attribuita la paternità del neologismo
Jugoslovjenstvo.
6
E. Hajdarpašić, Whose Bosnia. Nationalism and Political Imagination in the
Balkans, 1840-1914, Cornell University Press, Ithaca and London, 2015, pp. 9-11.

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Immaginare la Nazione 155

progetti dei nascenti movimenti nazionali serbi e croati trovarono


quindi l’opposizione dei notabili musulmani e dei legati ottomani, e
più tardi, tra il 1878 e il 1914, dinanzi a qualsiasi ipotesi di autono-
mia, o, peggio, di secessione da Vienna, la decisa fermezza dei fun-
zionari asburgici.
Edin Hajdarpašić ha analizzato gli aspetti più rilevanti delle dina-
miche del nazionalismo tra Otto e Novecento in Bosnia-Erzegovina,
attraverso l’analisi di alcuni esempi tratti dalla tradizione letteraria lo-
cale di carattere «patriottico». Lo storico di origini bosniache ha ri-
volto la sua attenzione all’eterogenea produzione culturale del XIX se-
colo con l’obiettivo di evidenziare le poetiche comuni e maggiormente
rappresentative del protonazionalismo slavo-meridionale. E lo ha fatto
principalmente attraverso la rilettura delle opere dei serbi Dositej Obra-
dović7, «che per primo percorse tutto il Meridione slavo e intese gli
slavi meridionali come un’unica popolazione»8, e Vuk Stefanović Ka-
radžić9, il riformatore della lingua serba; del croato Ljudevit Gaj10, dei
francescani croato-bosniaci Ivan Franjo Jukić e Grgo Martić11, e, quindi,
dei croati Ante Starčević12 e Antun Radić13. Se da una parte la lettera-
tura patriottica riuscì a veicolare e instillare nelle élite locali i primi
concetti rudimentali di appartenenza «nazionale», dall’altra servì a infor-
mare gli ambienti cattolici europei e quelli ortodossi dell’Impero russo
riguardo le drammatiche condizioni di vita delle popolazioni cristiane

7
M.R. Leto, Il capolavoro imperfetto: forme narrative e percorsi culturali in «Vita
e avventure di Dositej Obradović», Liguori, Napoli, 2011.
8
Egidio Ivetić, op. cit., p. 101.
9
M. Melichárek, The Role of Vuk Karadžić in Histoy of Serbian Nationalism
(In the Context of Europen Linguistic in the First Half of 19TH Century), Serbian
Studies Research, vol. 6, n.1, 2015, pp. 55-74.
10
E.M. Despalatović, Ljudevit Gaj, panslavist i nacionalist, in Radovi: Radovi
Zavoda za Hrvatsku povijest Filozofskog Fakulteta Sveučilišta u Zagrebu, 1973, pp.
111-122.
11
J. Grbić, Etnografska građa u putopisima bosanskih franjevaca I.F. Jukića i G.
Martića (Mogučnosti istraživanja razvoja identita i međuetnickih odnosa), in Na-
rodna Umjetnost: Časopis za etnologiju i folkloristiku, 1995, pp. 109-126.
12
T. Markus, Društveni pogledi Ante Starčevića, in Časopis za suvremenu po-
vijest, 2009, pp. 827-848.
13
J. Čapo Žmegać, Antun Radić i suvremena etnološka istraživanja, in Narodna
Umjetnost, vol. 34/2, Institut za etnologiju i folkloristiku, Zagreb, 1997, pag. 9-33.
Antun Radić è considerato il padre dell’etnologia croata. È stato, inoltre, co-fonda-
tore, assieme al fratello Stjepan, del Partito Contadino Croato (HSS). L’attività in-
tellettuale di Radić fu intensa sia come scrittore che come editore della rivista Zbor-
nik za narodni život i običaje Južnih Slavena.

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nei domini ottomani. Uno dei tratti che sembra accomunare gli autori
passati in rassegna, nonostane l’appartenenza a contesti storici e geo-
grafici eterogenei, era la convinzione che le popolazioni slave di fede
cristiana in Bosnia-Erzegovina, in larga parte serbi e croati, avrebbero
potuto riscattare la propria condizione di popoli oppressi solo attra-
verso la riconquista dei territori occupati e l’assimilazione dei musul-
mani slavofoni nelle rispettive compagini nazionali. I musulmani bo-
sniaci, infatti, secondo un’opinione ancora oggi diffusa in alcuni am-
bienti nazionalisti, erano considerati serbi o croati convertiti all’islam.
Ciò sarebbe bastato a giustificare qualsiasi iniziativa posta in essere dai
gruppi nazionali antagonisti per «ricondurre» i musulmani bosniaci
nelle rispettive culture di origine. Circa un secolo dopo, la storiogra-
fia comunista avrebbe rigettato certe pretese come espressione della
«borghesia serba e croata» e affermato, contestualmente, il diritto dei
musulmani, in linea di massima, di poter rivendicare la propria indi-
pendenza, l’autonomia e la sovranità nazionale e territoriale.
Alcuni tra gli elementi più frequenti e abusati della letteratura pa-
triottica per descrivere il «pathos collettivo» delle popolazioni autoc-
tone di fede cristiana, sui quali si sofferma a lungo l’indagine di Haj-
darpašić, sono riconducibili essenzialmente al tema generale della «sof-
ferenza» e alla sua evoluzione nel motivo letterario della «povera –
misera – Bosnia” (jadna Bosna). Uno dei primi testi che inaugurò
questa tendenza fu, secondo lo storico bosniaco, il breve e noto poe-
metto pubblicato nel 1835 dallo scrittore croato Mate Topalović, dal
titolo Tužna Bosna (la triste Bosnia). A questo primo esempio di let-
teratura «impegnata» seguì, qualche anno dopo, precisamente nel 1842,
Echoes from the Balkans, The Tears of the Bulgarian, Herzegovinian,
and the Bosnian Christians di Ognjeslav Utješenović (Ostrožinski),
funzionario del confine militare (Vojna krajina o Militärgrenze), di
origine serba, croato di adozione, che poteva vantare, tra le sue co-
siddette amicizie strette, il bano Jelačić e Ljudevit Gaj. Il breve poema
ottenne un successo inaspettato. Esso fu dapprima pubblicato in croato
con il titolo Jeka od Balkana, ili suze bugarskih, hercegovačkih i bo-
sanskih hristianah, quindi in tedesco, e successivamente tradotto in
francese e in italiano. Attraverso il lavoro di Utješenović, le dram-
matiche vicende della raja, ovvero le locali comunità cristiane, ini-
ziarono a circolare nei più importanti salotti europei14. La «soffe-

14
E. Hajdarpašić, op. cit., pp. 59-61. Il termine Raja era utilizzato all’epoca per
riferirsi alla popolazione cristiana di Bosnia.

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Immaginare la Nazione 157

renza», nella sua funzione di espediente narrativo, rappresenta uno


degli elementi letterari che ricorre con una certa frequenza anche nel
resoconto del viaggio in Bosnia di Matija Mažuranić: Pogled u Bo-
snu: ili kratak put u onu krajinu, učinjen 1839-40. Po jednom do-
morodcu (Uno sguardo sulla Bosnia: oppure breve viaggio in quella
regione, compiuto tra il 1839 e il 1840. Dal punto di vista di un na-
tivo). Si tratta di un volumetto che raccoglie le impressioni del viag-
gio che l’autore intraprese nei territori della «Turchia croata […] a
rischio della propria vita», per verificare «alcune notizie sulle rivolte
dei musulmani e dei serbi contro i turchi». Matija, spinto a compiere
il viaggio dai suoi fratelli, i quali avevano abbracciato l’idea pan-illi-
rica di Gaj, descrisse le misere condizioni di vita dei cristiani e dei
musulmani slavofoni (o Turci, come venivano spesso identificati dai
croati), nei territori bosniaci.
Oltre a definire i musulmani bosniaci serbi o croati convertiti al-
l’Islam alcuni autori, riportando certe opinioni ampiamente diffuse
tra le popolazioni locali, identificavano i seguaci dell’islam, senza ul-
teriori distinzioni, come turchi ottomani. Alcuni di questi elementi
emergerebbero anche in una delle opere più discusse dell’epoca. Il
ministro serbo Ilija Garašanin e alcuni dei suoi più stretti collabora-
tori si erano dedicati, proprio in quegli stessi anni, alla stesura del
Načertanje («Il piano» o «il progetto»); un testo dai contenuti con-
troversi, considerato da diverse prospettive storiografiche l’espressione
più acuta del nazionalismo serbo anti-imperiale15. Il Načertanje, tra
le altre cose, affermava, nei fatti, il «naturale» protettorato serbo in
Bosnia per difendere gli interessi dei «serbi delle tre religioni». In
quegli stessi anni, d’altronde, certe posizioni erano diffuse anche tra
gli intellettuali croati. Ante Starčević, ad esempio, sosteneva con par-
ticolare enfasi la presunta origine croata dell’aristocrazia musulmana
di Bosnia16.
Verso la metà dell’Ottocento, il dibattito politico riconducibile alle
attività di alcuni gruppi nazionalisti e alle iniziative di certi funzio-
nari locali iniziò a diffondersi anche attraverso le pubblicazioni pe-
riodiche nelle lingue slavo-meridionali e in quelle delle amministra-
zioni imperiali. Le riforme progressiste ottomane (Tanzimat), an-

15
J.R. Lampe, op. cit., pp. 52-53; Edin Hajdarpašić, op. cit., pp. 95-96; N. Stančić,
Problem ‹Načertanja› Ilije Garašanina u našoj historiografiji, Historijiski Zbornik,
21-22 (1968-1969), pp. 179-196.
16
E. Redžić, op. cit., p. 72.

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renza», nella sua funzione di espediente narrativo, rappresenta uno


degli elementi letterari che ricorre con una certa frequenza anche nel
resoconto del viaggio in Bosnia di Matija Mažuranić: Pogled u Bo-
snu: ili kratak put u onu krajinu, učinjen 1839-40. Po jednom do-
morodcu (Uno sguardo sulla Bosnia: oppure breve viaggio in quella
regione, compiuto tra il 1839 e il 1840. Dal punto di vista di un na-
tivo). Si tratta di un volumetto che raccoglie le impressioni del viag-
gio che l’autore intraprese nei territori della «Turchia croata […] a
rischio della propria vita», per verificare «alcune notizie sulle rivolte
dei musulmani e dei serbi contro i turchi». Matija, spinto a compiere
il viaggio dai suoi fratelli, i quali avevano abbracciato l’idea pan-illi-
rica di Gaj, descrisse le misere condizioni di vita dei cristiani e dei
musulmani slavofoni (o Turci, come venivano spesso identificati dai
croati), nei territori bosniaci.
Oltre a definire i musulmani bosniaci serbi o croati convertiti al-
l’Islam alcuni autori, riportando certe opinioni ampiamente diffuse
tra le popolazioni locali, identificavano i seguaci dell’islam, senza ul-
teriori distinzioni, come turchi ottomani. Alcuni di questi elementi
emergerebbero anche in una delle opere più discusse dell’epoca. Il
ministro serbo Ilija Garašanin e alcuni dei suoi più stretti collabora-
tori si erano dedicati, proprio in quegli stessi anni, alla stesura del
Načertanje («Il piano» o «il progetto»); un testo dai contenuti con-
troversi, considerato da diverse prospettive storiografiche l’espressione
più acuta del nazionalismo serbo anti-imperiale15. Il Načertanje, tra
le altre cose, affermava, nei fatti, il «naturale» protettorato serbo in
Bosnia per difendere gli interessi dei «serbi delle tre religioni». In
quegli stessi anni, d’altronde, certe posizioni erano diffuse anche tra
gli intellettuali croati. Ante Starčević, ad esempio, sosteneva con par-
ticolare enfasi la presunta origine croata dell’aristocrazia musulmana
di Bosnia16.
Verso la metà dell’Ottocento, il dibattito politico riconducibile alle
attività di alcuni gruppi nazionalisti e alle iniziative di certi funzio-
nari locali iniziò a diffondersi anche attraverso le pubblicazioni pe-
riodiche nelle lingue slavo-meridionali e in quelle delle amministra-
zioni imperiali. Le riforme progressiste ottomane (Tanzimat), an-

15
J.R. Lampe, op. cit., pp. 52-53; Edin Hajdarpašić, op. cit., pp. 95-96; N. Stančić,
Problem ‹Načertanja› Ilije Garašanina u našoj historiografiji, Historijiski Zbornik,
21-22 (1968-1969), pp. 179-196.
16
E. Redžić, op. cit., p. 72.

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nunciate nel 1839 con l’editto del sultano Abdülmecid I, furono ac-
colte con un certo scetticismo dalla rivista Danica Ilirska17. Il 16 mag-
gio 1866, su iniziativa dei funzionari ottomani, fu stampato il primo
numero del foglio Bosna. Questo progetto editoriale, presumibilmente
il primo del genere che vide la luce a Sarajevo, rappresentava chiara-
mente gli interessi della Sublime Porta. Bosna era uno dei mezzi adot-
tati dagli amministratori del sultano per sensibilizzare la componente
bosniaco-musulmana sui valori condivisi della tradizione islamico-ot-
tomana e «al progresso e ai doveri civili» contemplati dalle recenti
riforme. La rivista serba Zastava non tardò a manifestare il proprio
disappunto nei confronti della pubblicistica ottomana, considerata una
minaccia agli interessi strategici dei serbi in Bosnia-Erzegovina: «così
al posto della lingua serba, essi scrivono lingua ‘bosniaca’ e popolo
‘bosniaco’, ora essi vogliono distruggere la nostra appartenenza na-
zionale, il nostro patrimonio sacro, il nostro orgoglioî»18.
La pubblicistica ebbe un ruolo di primo piano nel sensibilizzare
e nel rendere edotte le élite locali sugli sviluppi delle politiche na-
zionali, anche attraverso un uso sapiente dell’apparato linguistico-
simbolico19. L’offerta l’offerta editoriale si ampliò notevolmente con
la pubblicazione di Sarajevski Cvjetnik (1868-1872, Sarajevo) del
giovanissimo editore Mehmed Šaćir Kutćehajić, in lingua turca e
nella variante jiekavica della lingua bosniaca, utilizzando in parte i
caratteri dell’alfabeto arabo e in parte quelli dell’alfabeto cirillico; la
Neretva (1876, Mostar) in cirillico e arebica20, il Bosanski Vjestnik
(1866-1867, Sarajevo) in cirillico e il Bosanski Prijatelji (1850-1870,
Zagabria), di Ivan Franjo Jukić, Ljudevit Gaj e Antun Knežević, in
croato, con i caratteri latini21. In epoca austriaca, l’attività editoriale

17
La rivista Danica Ilirska fu fondata da Ljudevit Gaj nel 1835, cfr. M.R. Leto,
Danica Ilirska i pitanje hrvatskoga Knji_evnog jezika, in Slavica Tergestina, 2004,
pp. 163-188.
18
E. Hajdarpašić, op. cit., pp. 165-166.
19
A. Sokol, Lingua e identità nazionale in Bosnia-Erzegovina. Dal multicultu-
ralismo all’esclusivismo linguistico, in Scienze e Ricerche, 2015, pp. 92-98.
20
Si tratta di un particolare utilizzo dei caratteri arabi e persiani nella scrittura
della lingua bosniaca.
21
In epoca austro-ungarica la lista dei periodici si ampliò con la pubblicazione
delle riviste Босанска Вила (Bosanska Vila) stampata in cirillico nella variante jieka-
vica della lingua bosniaca (1885-1914); Bošnjak, in bosniaco stampato con i caratteri
latini (1891-1910); Nada, la rivista edita dal governo territoriale austriaco della Bo-
snia-Erzegovina, stampata con i caratteri latini e cirillici, a cura di Kosta Hormann
(1895-1903) e Sarajevski list, in caratteri latini e cirillici (1878-1918). Per una pano-

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Immaginare la Nazione 159

conobbe un ulteriore sviluppo diventando il principale veicolo sia


della propaganda imperiale che del diffuso atteggiamento anti-im-
periale22.
Nel 1875 ampi territori della provincia bosniaca furono teatro di
gravi tumulti popolari. Il pretesto all’origine dei disordini fu la rea-
zione dei contadini di confessione cristiana, principalmente serbi e
croati, alle pressioni fiscali dei funzionari ottomani e alle dure con-
dizioni imposte dai notabili musulmani. Fu subito evidente che l’in-
surrezione bosniaca si fondava su chiare «motivazioni socio-econo-
miche e potenziali sviluppi irredentistici»23. In seguito al trattato di
Berlino del luglio 1878, i territori bosniaci, come è noto, furono af-
fidati alla tutela dell’Impero asburgico. Il passaggio repentino dalla
plurisecolare amministrazione ottomana, i cui riferimenti normativi e
culturali si fondavano sui precetti della legge sciaraitica e sugli ele-
menti del patrimonio giuridico islamico (šerijat/shar a e fikh/fiqh), a
quella austriaca, il cui sistema giudiziario, di tradizione cristiano-cat-
tolica, alterò sensibilmente i rapporti di forza sia tra le componenti
nazionali della regione che tra queste e la nuova amministrazione24.
Ad esempio, nonostante alcuni articoli del trattato austro-turco del
1879 garantissero la libertà di culto e la tutela delle tradizioni reli-
giose islamiche, si registrarono diversi casi di soprusi da parte dei
funzionari asburgici, puntualmente denunciati dai rappresentanti delle
comunità locali25.

ramica sulle lingue e la scrittura in Bosnia-Erzegovina nel periodo ottomano e asbur-


gico si veda: G. Selvelli, Caratteri arabi per la lingua bosniaca. Esempi di scrittura
fra influssi ottomani e riappropriazioni locali, in Contatti di lingue-contatti di scrit-
ture, Filologie medievali e moderne, 2015, pp. 197-217; Id., Sistemi di scrittura, con-
fini e identità nazionali. Uno sguardo su alcune ideologie alfabetiche in ex-Jugosla-
via, in Eurasiatica. Quaderni di studi su Balcani, Anatolia, Iran, Caucaso e Asia Cen-
trale, 3, Cà Foscari, Venezia e i Balcani, pp. 101-111.
22
N. Ćukac, Dva neobična stara časopisa, in Vjesnik bibliotekara Hrvatske, 2013.
23
M. Dogo, Movimenti risorgimentali in Europa sud-orientale: appunti di lavoro
per una prospettiva comparata, Contributi italiani al IX Congresso Internazionale
dell’Association Internationale d’Études du Sud-Est Européen, Tirana 30 agosto-3
settembre 2004, a cura di A. Basciani, A. Tarantino, in Romània orientale, XVII,
2004, pp. 29-47.
24
In alcuni casi, i termini che indicano particolari istituti della tradizione reli-
giosa islamica sono riportati, rispettivamente, nella variante della lingua bosniaca e
araba.
25
P. Pizzo, Fonti ottomane sui musulmani della Bosnia-Erzegovina asburgica
(1878-1908), in S. Trinchese, F. Caccamo (cur.), Rotte adriatiche, tra Italia, Balcani

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160 Giulio M. Salzano

Le autorità asburgiche, sin dal loro insediamento nella regione, in-


tesero trasformare la provincia ottomana in un «moderno stato euro-
peo». Nel perseguire questo fine, la nuova amministrazione si sforzò
continuamente di limitare «la penetrazione – da tempo già in atto –
delle ideologie nazionaliste serbe e croate in Bosnia» e di concedere
maggiori autonomie alla comunità religiosa islamica, anche nel tenta-
tivo di recidere i legami tra Sarajevo e Istanbul26. Ciò provocò, inevi-
tabilmente, crescenti e diffusi malumori tra le fazioni che avevano in-
teressi diretti nella regione. «L’occupazione della Bosnia-Erzegovina
aveva infatti mortificato ogni ulteriore aspirazione serba in tale con-
testo»27. Nel 1882, in seguito all’insediamento del ministro delle Fi-
nanze Benjamin Kállay, delegato imperiale per la Bosnia-Erzegovina,
la comunità musulmana ottenne importanti concessioni riguardo l’au-
tonomia nella gestione degli affari religiosi28. Lo stesso anno fu isti-
tuito il consiglio degli ulema/‘ulama-’ (ulema medžlis) e contestual-
mente fu insediato il reis/raı-s Mustafa Hilmi efendija Hadžiomerović,
la cui nomina fu decisa a Vienna. Questo atto spostò di fatto il bari-
centro del potere politico-religioso da Istanbul nel cuore dell’Impero
asburgico. Con l’istituzionalizzazione della Comunità islamica furono
adottati nuovi regolamenti per la gestione dei beni appartenenti agli
enti religiosi (vakuf/waqf)29. Il sistema scolastico fu riformato e nel
1887 fu inaugurata la šerijatska sudačka škola, l’istituto per la forma-
zione degli esperti di diritto islamico, i kadija/qa-d.ı30.
L’attenzione di Kállay nei confronti della comunità musulmana
era chiaramente dettata da ragioni riconducibili a un sistema di al-

e Mediterraneo, collana Temi di Storia, Franco Angeli, Milano, 2011, pp. 82-94 e
89-90.
26
F. Karčić, Opšti građanski zakonik u Bosni i Hercegovini: kodifikacija kao
sredstvo transformacije pravnog sistema, in Zbornik Pravnog fakultet u Zagrebu,
2013, pp. 1027-1036, p.1028; X. Bougarel, Survivre aux empires. Islam, identité na-
tionale et allégeances politiques en Bosnie-Herzégovine, Karthala, Paris, 2015, p.34;
27
E. Ivetić, op. cit., p. 68.
28
P. Purivatra, H. Muhamed. ABC Muslimana, Muslimanska Biblioteka, Sarajevo,
1990, p. 24.
29
Letteralmente “capo degli ulema”.
30
F. Giomi, Tra Istanbul e Vienna. I musulmani di Bosnia nel periodo austro-
ungarico (1878-1918): ricerca di identità fra tradizione islamica e suggestioni mitte-
leuropee, in D. Melfa, A. Melcangi, F. Cresti (cur.), Spazio privato, spazio pubblico
e società civile in Medio Oriente e in Africa del nord, Atti del Convegno di Cata-
nia della Società per gli studi sul Medio Oriente, 23-25 febbraio 2006, Collana del
Dipartimento di Studi politici, Università di Catania, pp. 459-480, p. 468.

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Immaginare la Nazione 161

leanze strategiche. Già in un memorandum redatto nell’aprile 1877,


il governatore di origini ungheresi avrebbe sottolineato la necessità di
rafforzare l’elemento musulmano per evitare qualsiasi alleanza tra que-
sti e i movimenti indipendentisti serbi. Kállay perseguiva l’idea di una
«nazione» bosniaca separata, incentrata sull’elemento musulmano, la
cui identità andava rintracciata innanzitutto nella tradizione della no-
biltà bogomila di epoca medievale. L’intenzione di Kállay era inde-
bolire i gruppi nazionali antagonisti, serbi e croati, e limitare, quindi,
le loro pretese territoriali sulla Bosnia-Erzegovina31.
In seguito all’improvvisa e arbitraria annessione della Bosnia da
parte dell’Austria (1908) i movimenti irredentisti e le neo-nate for-
mazioni politiche serbe e croate inasprirono le loro attività di pro-
paganda anti-imperiale, trovando spesso il sostegno di alcuni espo-
nenti del notabilato musulmano. Quella che all’inizio assunse la
forma di una dissidenza relativamente pacifica si tramutò ben pre-
sto in concrete azioni dimostrative dai risvolti spesso violenti. Le
misure repressive della polizia austriaca e la politica estera asbur-
gica, particolarmente severa e aggressiva nei confronti della Serbia,
favorirono la proliferazione di numerose formazioni clandestine. Le
attività illegali dei gruppi eversivi si inasprirono a ridosso delle guerre
balcaniche, che tra il 1912 e il 1913 ridisegnarono ancora una volta
il profilo della geopolitica regionale e gli equilibri tra le fazioni in
lotta.
Per chiarire meglio il clima di tensione che in quegli anni aveva
raggiunto il dibattito pubblico sulla questione nazionale bosniaca, è
opportuno rivolgere brevemente l’attenzione alle strategie della pro-
paganda anti-imperiale riguardo la strumentalizzazione di alcuni fatti
di cronaca. Il primo caso riguarda gli attivisti serbo-bosniaci Vladi-
mir Gačinović, esponente del movimento Mlada Bosna (La Giovane
Bosnia), e Bogdan Žerajić, lo studente che il 15 giugno 1910 tentò
di assassinare, a Sarajevo, il governatore imperiale Marijan Varešanin.

31
D.T. Bataković, Prelude to Sarajevo: The Serbian Question in Bosnia-Erzego-
vina, 1878-1914, in Balcanica, 1996, p. 123. È interessante notare che Bataković, sto-
rico dell’Accademia Serba delle Scienze e delle Arti (SANU), a un anno dalla fine
della guerra in Bosnia-Erzegovina e dal trattato di Pace di Dayton (1995), poche ri-
ghe oltre, a proposito dell’identità musulmana bosniaca, dichiara: «L’intera teoria di
Kállay era una voce isolata dall’essere storicamente fondata: la maggioranza della no-
biltà bosniaca cessò di esistere dopo la conquista ottomana, e i Musulmani erano
prevalentemente discendenti di Serbi o Croati islamizzati (ogni famiglia musulmana
conosce le proprie origini)».

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162 Giulio M. Salzano

Il suicidio di Žerajić, in seguito al fallito attentato, fu descritto da


Gačinović nei termini di un martirio per la libertà. Nelle parole di
Gačinović confluirono tutti quegli elementi che la letteratura «pa-
triottica» del secolo precedente aveva sviluppato attorno all’immagine
mitica dell’eroe (junak, heroj); la rappresentazione iconografica di Že-
rajić assunse da subito i caratteri di una «figura apostolica»32. Il se-
condo caso riguarda un espisodio che si verificò a Sarajevo, due anni
dopo, nel 1912. Durante un’azione della polizia, intervenuta per se-
dare una protesta degli studenti croati contro l’amministrazione im-
periale, fu ferito gravemente lo studente musulmano Salih Salko Šahi-
nagić. Negli ambienti del nazionalismo croato, Šahinagić fu elevato a
figura martire (mučenik) della causa nazionale. Il caso Šahinagić e
quello di Luka Jukić, lo studente serbo che qualche mese dopo tentò
di eliminare, fallendo, il governatore della Croazia Slavko Cuvaj, su-
scitarono l’ammirazione di due attivisti particolarmente vicini alla
Mlada Bosna: Gavrilo Princip e Ivo Andrić. Lo stesso Princip, e in
modo diverso Andrić, sarebbero diventati a loro volta i simboli di
una tensione sociale diffusa, sui quali si esercitarono, fino a tempi
molto recenti, gli ideologi e i censori delle varie espressioni del na-
zionalismo regionale33.
Le riforme imperiali avviate dall’Impero ottomano a partire da-
gli anni Trenta dell’Ottocento e le successive politiche dell’ammini-
strazione asburgica nei territori bosniaci favorirono l’insorgere di ten-
sioni diffuse e la formazione di movimenti indipendentisti. Nono-
stante i numerosi tentativi di opporsi alla riorganizzazione ammini-
strativa ottomana e quindi alla presenza asburgica, tra i musulmani
bosniaci, almeno fino alla vigilia della Prima guerra mondiale, non
sembrò affermarsi alcun movimento di carattere nazionalista para-
gonibile, almeno sul piano politico, a ciò che stava avvenendo tra i

32
V. Gačinović, Smrt jednog heroja, Beograd, Pijemont, 1912; N. Malcom, Sto-
ria della Bosnia. Dalle origini ai giorni nostri, Bompiani, Milano, 1994 (2000).
33
E. Hajdarpašić, op. cit., p. 153; R.J. Donia, Iconography of an assassin: Ga-
vrilo Princip from Terrorist to Celebrity, in Prilozi, 43, Sarajevo 2014, pp. 57-78; V.
Pavlović, Le reazioni interne in Bosnia-Erzegovina di fronte all’annessione del 1908,
in A. Basciani, A. D’Alessandri (cur.) Balcani 1908. Alle origini di un secolo di con-
flitti, Beit, Trieste, 2009, pp. 101-113 B. Aleksov, Forgotten Yugoslavism and Anti-
Clericalism of Young Bosnians, in Prilozi, 43, Sarajevo, 2014, pp. 79-87; V.Katz, Ideo-
logical use of Memorial Plaques dedicated to Gavrilo Princip in the upbringing and
education of generations of youth in Bosnia and Herzegovina, in Prilozi, 43, Sarajevo,
2014, pp. 99-111.

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Immaginare la Nazione 163

serbi e i croati. L’élite musulmana, che in quegli anni era rappre-


sentata dai grandi proprietari terrieri, dai mercanti, dagli artigiani e
dagli esponenti della Comunità religiosa islamica, aveva mostrato una
certa unità d’intenti a causa della necessità, particolarmente sentita,
di salvaguardare i non pochi privilegi conquistati a fatica sia in epoca
ottomana che durante la breve esperienza asburgica. La minaccia
principale, se si escludono alcune scelte impopolari delle ammini-
strazioni imperiali, proveniva dai locali movimenti nazionalisti. Que-
sto timore, che si diffuse particolarmente tra i notabili musulmani,
avrebbe caratterizzato le attività di quelle prime formazioni politi-
che, espressione degli interessi della comunità musulmana, che si af-
fermarono in maniera più strutturata solo a partire dall’immediato
primo dopoguerra.

3. L’incognita jugoslava tra le due guerre. – Il 17 agosto 1917,


Šerif Arnautović, notabile di Mostar, direttore del locale vakuf e at-
tivista dell’Ujedinjena Muslimanska Organizacija34, e Safvet-beg Baša-
gić, scrittore e presidente del locale consiglio bosniaco-erzegovese,
consegnarono a Carlo I d’Austria un memorandum con le istanze
di quei musulmani che avrebbero optato, una volta finita la guerra,
per l’autonomia politico-territoriale della Bosnia-Erzegovina nel-
l’ambito della compagine imperiale asburgica35. Il documento fu una
diretta reazione sia alla ventilata ipotesi di una possibile cessione della
Bosnia alla sola Ungheria sia alle attività parlamentari, e alla succes-
siva «dichiarazione di maggio» del club jugoslavo (Jugoslovenski club)
di Anton Korošec e Marko Laginija, i quali avrebbero invece desi-
derato affidare l’amministrazione dei territori bosniaci a una coali-
zione governativa serbo-croata-slovena «sotto lo scettro della dina-
stia d’Asburgo-Lorena»36. «Questa unione – affermò Arnautović –
con nostra profonda convinzione non porterebbe alcun vantaggio,
ma, come temiamo, sarebbe per noi solamente dannosa». Il reis-ul-
ulema Džemaludin Čaušević sembrò, al contrario, quasi entusiasta

34
Organizzazione musulmana unita.
35
Cfr. A. Jahić, Vrijeme izazova. Bošnjaci u prvoj polovini XX stoljeća, Bošnjačka
nacionalna zajednica za Grad Zagreb i Zagrebačku županju, Zagreb, Bošnjački In-
stitut - Fondacija Adila Zulfikarpašića, Sarajevo, 2014, p. 85 ss.
36
M. Trogrlić, La vita, la morte e la politica in Dalmazia durante la Grande
Guerra, in S. Trinchese, F. Caccamo (cur.), Rotte adriatiche. Tra Italia, Balcani e
Mediterraneo, Franco Angeli, Milano, 2011, p. 135; E. Ivetić, op. cit., p. 29.

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164 Giulio M. Salzano

della «soluzione jugoslava» così come gli era stata prospettata dallo
stesso Korošec durante un’incontro avvenuto a Sarajevo poco tempo
prima37.
Intanto, il 20 luglio 1917 si erano incontrati a Corfù i rappresen-
tanti del Comitato jugoslavo (Jugoslavenski odbor), presediuto dal
croato Ante Trumbić e da alcuni esponenti del governo serbo in esi-
lio. Nonostante le opinioni divergenti riguardo l’assetto che avrebbe
dovuto assumere il futuro stato jugoslavo, a Corfù furono comun-
que individuati i presupposti politici attorno ai quali i serbi, i croati
e gli sloveni avrebbero sancito la loro unione e affidato il loro de-
stino alla dinastia Karađorđević. Il successo di Corfù, nonostante «il
difficile avvicinamento tra il Comitato jugoslavo e il governo serbo
in esilio», fu tale che a maggio dell’anno seguente, secondo la testi-
monianza del generale croato dell’esercito austro-ungarico Stjepan
Sarkotić, gran parte della popolazione bosniaca era stata «infettata»
dall’idea jugoslava38.
All’interno della nuova compagine statale del Regno dei Serbi,
Croati e Sloveni (Kraljevina SHS), la cui proclamazione avvenne for-
malmente il primo dicembre 1918, gli esponenti della comunità bo-
sniaco-musulmana tentarono di sviluppare un percorso politico au-
tonomo attraverso l’Organizzazione Musulmana Jugoslava (JMO) e
altre formazioni minori, tra cui il Partito popolare musulmano, il Par-
tito radicale musulmano e il Partito contadino musulmano39. In se-
guito alla riforma agraria del 1919, che ridimensionò innanzitutto la
posizione sociale ed economica delle famiglie musulmane più influenti
della Bosnia-Erzegovina, il JMO, nel tentativo di salvaguardare gli
interessi dei notabili musulmani e limitare l’ingerenza della classe di-

37
H. Kamberović, Hod po Trnju. Iz bosansko hercegovačke historije 20. stoljeća,
Posebna Izdanja, Institut za istoriju Sarajevu, Sarajevo, 2011, p.13; X. Bougarel, Fa-
rewell to the Ottoman Legacy? Islamic Reformism and Revivalism in Inter-War Bo-
snia-Herzegovina, in N. Clayer, E. Germain, Islam in Inter-War Europe, Hurst, pp.
313-343, 2008.
38
E. Ivetić, op. cit., pp. 28-29; J.R. Lampe, op. cit., p. 108. Il governatorato di
Sarkotić in Bosnia fu contrassegnato da una feroce repressione dell’elemento serbo.
Si trattò, secondo Lampe, di una «pulizia etnica» nei confronti dei serbi di Bosnia,
che contribuì ad aggravare le tensioni tra le comunità locali.
39
S. Ćerić, Muslimani Srpsko-Hrvatskog jezika, Svjetlost, Sarajevo, 1968, pp. 187-
188. L’Organizzazione Musulmana Jugoslava (Jugoslovenska Muslimanksa Organi-
zacija o JMO) fu fondata a Sarajevo nel febbraio del 1919. Il primo presidente eletto
fu Ibrahim Maglajić. Mehmed Spaho (1883-1939) subentrò alla guida dell’organiz-
zazione nel 1921.

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Immaginare la Nazione 165

rigente serba nei propri affari, assunse i caratteri di un vero e pro-


prio partito politico ispirato ai principi della tradizione religiosa isla-
mica40. Nelle elezioni per la Costituente, convocate per il 28 novem-
bre 1920, i voti dei musulmani bosniaci confluirono in larga parte
nel JMO e il partito ottenne il maggior numero di consensi in Bo-
snia-Erzegovina. Le elezioni del 1920 segnarono il tracollo delle al-
tre formazioni politiche musulmane che raccolsero, al contrario, solo
qualche manciata di voti. Un successo inatteso fu invece registrato
dal Partito comunista jugoslavo (Komunistička Partija Jugoslavija o
KPJ)41, che ottenne numerosi seggi in Serbia, Macedonia e Montene-
gro. I risultati del KPJ, però, destarono preoccupazione in alcuni am-
bienti politici ostili. Subito dopo le elezioni, una coalizione governa-
tiva formata dal Partito radicale e dal Partito democratico, entrambi
espressione della scena politica serba, riuscì a far approvare, nono-
stante l’opposizione dei rispettivi sostenitori, un bando (obznana) con
il quale fu interdetta ogni attività politica pubblica organizzata o co-
munque riconducibile al Partito comunista jugoslavo42. Due settimane
prima delle votazioni per la ratifica della Costituzione, il Partito co-
munista rinunciò, per protesta, a presenziare i lavori dell’Assemblea
costituente. L’astensione dei comunisti e del Partito contadino croato
contribuì a rafforzare la posizione parlamentare dell’elemento serbo.
Il disegno costituzionale ottenne quindi i consensi necessari e il 28
giugno 1921 la Costituzione fu promulgata. Il sostegno del JMO al
Partito radicale serbo per l’approvazione della Costituzione fu ri-
compensato con la promessa di garantire l’integrità «etnica» dei ter-
ritori bosniaci compresi entro i confini di 6 dei 33 distretti (oblast)
in cui fu organizzata l’amministrazione territoriale del regno SHS43.
Le prime tensioni tra i vertici del JMO si manifestarono a causa
dei disaccordi che emersero quando al Parlamento si tornò a discu-
tere un disegno di legge su una possibile riorganizzazione ammini-
strativa e territoriale della Bosnia-Erzegovina. L’ala minoritaria del
JMO si riunì nell’Organizzazione nazionale musulmana jugoslava (Ju-

40
E. Mutapčić, Pravno-historijski kontekst agrarne reforme u BiH posle Prvog
Svjetskog Rata, in Tranzicija/Transition, »asopis za ekonomiju i politiku tranzicije/Jour-
nal of economic and politics of Transition, Anno XIII, Tuzla-Travnik-Beograd-Buku-
rest, 2011, pp. 143-156.
41
Il Partito comunista jugoslavo fu fondato a Belgrado nel 1919.
42
A. Purivatra, Nacionalni i politički razvitak Muslimana, Svjetlost, Sarajevo,
1969, pp. 46-47; J.R. Lampe, op. cit., pp. 124-125.
43
A. Purivatra, M. Hadžijahić, op. cit., p. 31.

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166 Giulio M. Salzano

goslovenska muslimanska narodna organizacija o JMNO), guidata dal


Mufti Ibrahim Maglajilić. Tuttavia, alle elezioni del 18 marzo 1923,
il JMO di Mehmed Spaho ottenne un ampio consenso conferman-
dosi come l’unica forza politica dei musulmani bosniaci in grado di
vantare una propria rappresentanza parlamentare44. Simili risultati fu-
rono confermati nelle elezioni del 1925 e del 192845. Eccetto una breve
parentesi a supporto del governo Davidović, tra luglio e novembre
del 1924, il JMO restò all’opposizione fino alle elezioni del 1927,
quando, avendo ben chiare le limitate risorse per difendere i propri
interessi, accettò di entrare a far parte della coalizione di Velimir
Vukičević. In cambio dell’alleanza politica Mehmed Spaho ottenne il
Ministero delle Finanze46.
I primi a esprimere apertamente i malumori e il dissenso nei con-
fronti delle politiche governative furono gli esponenti del Partito co-
munista jugoslavo. Nel corso della Terza conferenza territoriale del KPJ
(Belgrado, gennaio 1924) i comunisti criticarono il serbo-centrismo del
Regno SHS. La risoluzione che seguì la conclusione dei lavori affermò
il «principio di autodeteminazione e di secessione dei popoli (nazioni)»
e la necessità di convogliare le aspirazioni dei popoli oppressi nella «lotta
della classe operaia contro la dominazione del capitalismo»47. Nel corso
delle successive riunioni del partito, in occasione del terzo congresso di
Vienna (17-22 maggio 1926), del quarto congresso di Dresda (ottobre
1928) e della quarta conferenza territoriale di Ljubljana (24-25 dicem-
bre 1934), si palesò sempre più la necessità, in linea con le indicazioni
del Komintern, di assumere un chiaro impegno riguardo la «questione
nazionale» dei popoli jugoslavi «oppressi» dal regime assolutistico dei
Karađorđević e dai «partiti borghesi» serbi e croati. L’iniziale approc-
cio politico del dirigente comunista Sima Marković, che considerava i
serbi, i croati e gli sloveni come «tre rami della stessa nazione» jugo-
slava, fu abbandonato già a partire dalla metà degli anni Venti a favore
di una visione generale che contemplasse e garantisse separatamente a
ognuno dei popoli jugoslavi il diritto all’autodeterminazione48.

44
Ivi, pp. 31-32.
45
S. Ćerić, op. cit., p.197.
46
H. Kamberović, Mehmed Spaho (1883-1939). Politička biografija, Vijeće Kon-
gresa bošnjačkih intelektualca, Sarajevo, 2009, pp.69-70; R. Petrović, Il fallito mo-
dello federale della ex Jugoslavia, Rubettino, Catanzaro, 2005, p. 40; A. Purivatra,
M. Hadžijahić, op. cit., p. 32.
47
A. Purivatra, op. cit., p.48.
48
«Oslobođenje», 10 novembre 1968, anno XXV., n. 7343, A.Purivatra, Put do

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Immaginare la Nazione 167

La riforma amministrativa e territoriale dello Stato, attuata qual-


che mese dopo l’instaurazione della dittatura del 6 gennaio 1929 (še-
stojanuarska diktatura), tolse ogni dubbio a coloro che avevano spe-
rato in un miglioramento della questione musulmana. Il JMO e al-
tre formazioni politiche furono estromesse dalle attività di governo.
Il 31 gennaio 1930, malgrado l’opposizione degli esponenti della co-
munità islamica, tra i quali Mehmed Spaho e il reis Čaušević, fu ema-
nata una nuova legge che di fatto sospendeva gran parte di quelle au-
tonomie in materia religiosa che la componente musulmana aveva
conquistato in epoca asburgica. A causa delle sue posizioni critiche,
Čaušević fu invitato a dimettersi49. La sede della Comunità religiosa
islamica (Islamska Vjerska Zajednica o IVZ), che proprio in quel-
l’occasione estese la sua giurisdizione su tutti i musulmani del Regno
di Jugoslavia (come era stato ridenominato il regno SHS dal mese di
ottobre 1929), fu trasferita temporaneamente da Sarajevo a Belgrado
e con essa la sede del neo-eletto reis ul ulema Ibrahim efendija Ma-
glajilić. La suddivisione amministrativa della Jugoslavia in 33 oblasti,
risalente al 1922, che aveva garantito una sorta di integrità dei con-
fini storici della Bosnia-Erzegovina, fu riorganizzata in 9 banovine
(province), che di fatto alterarono gli «equilibri» demografici della re-
gione. I musulmani, da quel momento, rimasero in minoranza in
ognuna delle quattro banovine in cui furono ridistribuiti i territori
della Bosnia-Erzegovina50.
Il ritorno ad un governo di coalizione serbo-croato in seguito al-
l’attentato di Marsiglia del 1934, nel quale perse la vita il re Alek-
sandar I e decretò di fatto la fine della dittatura, coincise con il riaf-
fermarsi dei desideri annessionistici dei partiti nazionalisti. Il punto
più alto delle trattative politiche tra i serbi e i croati fu raggiunto il
26 agosto 1939 con la ratifica dello sporazum Cvetoković-Maček, l’ac-
cordo per il rafforzamento dell’intesa parlamentare, che garantiva un
maggior peso politico al Sabor croato (la Dieta locale) e ampliava le
rispettive giurisdizioni territoriali sui territori bosniaci. L’accordo rap-

ravnopravnosti. Savez komunista Jugoslavije i nacionalno pitanje u Bosni i Herce-


govini do 1946. Godine; A. Purivatra, op. cit., pp. 44 e segg.
49
A. Purivatra, M. Hadžijahić, op. cit., p. 33; D. Bečirović, op.cit., p.57.
50
Con la riorganizzazione amministrativo-territoriale del 1922, i territori bosniaci
furono compresi nei sei oblasti di Bihać, Mostar, Sarajevo, Travnik, Tuzla e Vrbanja,
i cui confini ricalcavano, a loro volta, i sei okrug (circoscrizioni) di epoca asburgica.
Nel 1929, i territori bosniaci furono inclusi in quattro delle nove banovine in cui
furono suddivisi i territori jugoslavi: Vrbaska, Primorska, Drinska, Zetska.

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168 Giulio M. Salzano

presentò, seppur temporaneamente, il coronamento delle antiche aspi-


razioni territoriali di una ben nota e diffusa tradizione politica. Le
reazioni alla spartizione dei territori bosniaci giunsero da più parti.
Il 6 novembre 1939, Džafer beg Kulenović, l’erede politico di Spaho
alla guida del JMO, fece pressioni al governo, principalmente attra-
verso la stampa, per ottenere la creazione di una quarta banovina bo-
sniaca che tutelasse l’integrità territoriale della Bosnia secondo i con-
fini amministrativi di epoca ottomana51. A novembre dello stesso anno
fu resa pubblica una risoluzione della comunità islamica con la quale
si dichiarava esplicitamente la contrarietà dei musulmani bosniaci allo
sporazum: «l’autonomia della Bosnia-Erzegovina entro i confini sto-
rici, rappresenta le richieste generali di tutti i musulmani della Bo-
snia-Erzegovina, senza alcuna distinzione»52. Ad ogni modo, le ti-
mide reazioni allo sporazum da parte dell’inteligencija musulmana,
minata al suo interno dalle correnti pro-serbe e pro-croate, non sor-
tirono alcun effetto di rilievo sulle decisioni politiche del governo. Al
coro delle proteste si unirono i giovani studenti comunisti, i quali
reagirono inviando tre lettere aperte alle autorità governative. «Deve
essere chiaro – si legge in una di queste – che qualsiasi divisione della
Bosnia-Erzegovina comporta un’ingiustizia nei confronti dei musul-
mani che da sempre rappresentano una collettività […] Solo in una
Bosnia-Erzegovina autonoma né l’Una né la Drina ci separeranno dai
fratelli di entrambe le sponde»53.
Il primo maggio 1940, il Partito comunista jugoslavo condannò
apertamente l’accordo Cvetković-Maček come espressione politica
della «borghesia» serba e croata. In occasione della Quinta confe-
renza territoriale del KPJ per la Bosnia-Erzegovina (luglio 1940) fu-
rono rivolte dure critiche ai dirigenti del JMO, accusati di aver col-
laborato con il regime monarchico per difendere i propri interessi.
L’attenzione si spostò quindi sulla questione musulmana e i musul-
mani bosniaci, non più considerati esclusivamente sulla base dell’ap-

51
D. Begić, Pokret za autonomiju Bosne i Hercegovine u uslovima Sporazuma
Cvetković-Maček, in Prilozi, Institut za Istoriju Radničkog Pokreta Sarajevo, vol. 2.,
1966, pp.177-191, p. 181; D. Bečirović, op. cit., p. 71.
52
M. Imamović, Historija Bošnjaka, Preporod, Sarajevo, 1997, pp. 519-521; Š.
Filandra, Bošnjačka politika u XX stoljeću, Šejtarija, Sarajevo, 1998, pp. 107-108.
53
«Oslobođenje», 11 novembre 1968, anno XXV, n. 7344, A. Purivatra, Put do
ravnopravnosti. Savez komunista Jugoslavije i nacionalno pitanje u Bosni i Herce-
govini do 1946. Godine; A. Purivatra, op. cit., p. 53.

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Immaginare la Nazione 169

partenenza religiosa, ma come possibile espressione «etnica» (etnička


grupa)54.
A partire dall’aprile del 1941, con l’invasione e l’occupazione della
Jugoslavia e la nascita dello Stato Indipendente di Croazia (Nezavi-
sna Država Hrvatska o NDH), l’equilibrio tra i gruppi nazionali
della regione, già provato da una serie di tensioni mai risolte, subì
un inevitabile tracollo. Da quel momento, la questione nazionale mu-
sulmana entrò stabilmente nel programma politico del Partito comu-
nista jugoslavo.

4. Rat svih protiv sviju (La guerra di tutti contro tutti). – Nel-
l’ambito della narrativa storiografica socialista, la guerra di Libera-
zione ha rappresentato per lungo tempo il mito di fondazione della
«seconda» Jugoslavia, e, sul piano politico, la legittimazione del Par-
tito comunista alla guida della Repubblica Popolare Federativa di Ju-
goslavia (Federativna Narodna Republika Jugoslavija o FNRJ)55. È
anche corretto affermare che l’impalcatura ideologica, politica e am-
ministrativa della federazione jugoslava fu edificata in Bosnia-Erze-
govina durante le fasi più concitate della guerra56. La Resistenza ju-
goslava, coordinata dal Partito comunista, confluì presto nel movi-
mento popolare di Liberazione (Narodni Oslobodilački Pokret o
NOP), la cui ala militare era costituita dalle formazioni partigiane.
Tuttavia, la storiografia tradizionale di epoca socialista enfatizzò ol-
tremodo l’epopea di «Tito e i suoi compagni»57, oscurando di fatto
l’apporto prezioso, seppur indiretto, delle formazioni resistenziali non
inquadrate nel Movimento di Liberazione. Fu il caso, ad esempio,
delle bande musulmane autonome che operarono in Bosnia orientale,
i cui successi, nonostante i metodi di guerriglia a dir poco discuti-
bili, permisero ai partigiani di riconquistare ampie zone del Paese. La

54
Ivi, p. 55. L’aspetto semantico delle categorie utilizzate per definire i musul-
mani, nel secondo dopoguerra jugoslavo, fu oggetto, come vedremo, di accesi di-
battiti sia in ambito accademico che in quello politico.
55
Dal 1963 la FNRJ cambiò denominazione in Socialistička Federativna Repu-
blika Jugoslavia o SFRJ (Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia).
56
Con «prima Jugoslavia» ci si riferisce, solitamente al periodo monarchico tra
le due guerre (1918-1941). Il Consiglio popolare antifascista di Liberazione (AVNOJ)
si costituì in qualità di governo provvisorio e operò essenzialmente in Bosnia-Erze-
govina, dal novembre 1942 fino alla fine della guerra.
57
Il riferimento al recente lavoro di Jože Pirivijec, Tito e i suoi compagni, Ei-
naudi, Torino, 2015, in particolare al capitolo settimo, Djilas, Kardelj, Ranković.

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170 Giulio M. Salzano

partecipazione in massa dei musulmani alla lotta popolare di Libera-


zione (NOB) fu incentivata dal costante impegno del KPJ nel pro-
muovere e sostenere il processo di affermazione nazionale della com-
ponente bosniaca di fede e tradizione islamica. Dietro la retorica
marxista-leninista del Partito comunista jugoslavo, che aveva abil-
mente inquadrato la questione nazionale musulmana nelle azioni po-
litiche di contrasto alla «borghesia serba e croata», si celavano, in
realtà, interessi di altra natura riconducibili principalmente alle stra-
tegie delle attività resistenziali. D’altronde, fu subito chiaro a tutte le
parti in conflitto che l’intesa con la componente musulmana avrebbe
potuto determinare, in un modo o nell’altro, le sorti della guerra; di
questo ne erano particolarmente consapevoli, oltre ai comunisti, i ver-
tici dello Stato Indipendente di Croazia che con quelli si contesero,
per qualche anno, la preziosa alleanza.
I complessi rapporti tra il Partito comunista jugoslavo e la co-
munità musulmana della Bosnia-Erzegovina sono stati adeguatamente
indagati da Marko Attila Hoare in uno dei suoi ultimi lavori dal ti-
tolo The Bosnian Muslims in The Second World War58. L’analisi dello
storico inglese, che ha l’indiscusso merito di aver condotto la sua ri-
cerca su un’ampia documentazione archivistica, tende a ridimensio-
nare notevolmente alcuni aspetti del mito storiografico socialista della
Lotta popolare di Liberazione. Contro la diffusa e abusata rappre-
sentazione della «fratellanza e unità» (bratstvo i jedinstvo) dei po-
poli jugoslavi, la ricostruzione di Hoare evidenzia un quadro com-
plessivo chiaramente meno omogeneo rispetto alle narrazioni cano-
niche e ingessate della storiografia di regime. Hoare ha rivolto la sua
attenzione ai complessi rapporti intercorsi tra le bande autonome
musulmane, i comunisti, il Movimento popolare di Liberazione
(NOP), gli ustaša, i četnici e le forze d’occupazione dell’Asse. La
complessità evidenziata da Hoare risiede nel dinamico e mutevole
sistema di alleanze tra le fazioni in lotta, caratterizzate da infiltra-
zioni clandestine nelle formazioni nemiche e da continue e recipro-
che defezioni di massa. Un quadro generale dai contorni decisamente
meno rigidi rispetto anche ai tradizionali approcci storiografici di
tipo manualistico.
Durante la guerra, i sentimenti di lealtà delle popolazioni coin-

58
M.A. Hoare, Bosnian Muslims in the Second World War: A History, C. Hurst
& Co., London, 2013.

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Immaginare la Nazione 171

volte negli scontri, indipendentemente dall’affiliazione alle forze go-


vernative o alle formazioni resistenziali, fluttuavano secondo l’evolu-
zione delle operazioni militari e alle ragioni ideologiche si sovrappo-
nevano le impellenti necessità riconducibili alla sicurezza e alla sus-
sistenza delle comunità locali59. I musulmani, in particolare, almeno
sul piano politico, non si vincolarono né si schierarono in modo de-
finitivo con nessuna delle formazioni in lotta. Più complessa fu la
posizione degli esponenti della Comunità religiosa islamica (IVZ). In
seguito alla morte del reis Fehim Spaho, avvenuta nel febbraio del
1942, all’interno della Comunità religiosa islamica si affermarono due
indirizzi contrapposti: da una parte la tendenza laicizzante del «gruppo
di Zagabria», dall’altra l’associazione degli ulema bosniaci El Hidaje,
che aveva la sua sede a Sarajevo. I primi, legati da un vincolo di fe-
deltà al governo croato, erano rappresentati dal bosniaco-musulmano
Džafer-beg Kulenović, ex leader del JMO, succeduto a Mehmed Spaho
e ora vice presidente dell’NDH. Gli altri, riconducibili al gruppo di
Mehmed efendija Handžić, ulema e figura di spicco nella tradizione
bosniaca degli studi islamici, si distinsero per un approccio decisa-
mente più conservatore e meno collaborativo nei confronti degli oc-
cupanti60.
Uno dei meriti maggiori di Hoare è senza dubbio quello di averci
disabituato a considerare le fazioni in lotta nel teatro di guerra bo-
sniaco entro rigidi confini ideologici, riconducibili a precisi gruppi
nazionali o a determinate formazioni politiche. «La lotta per la Bo-
snia – scrive Hoare – fu una lotta in cui le identità, le lealtà e i ruoli
erano spesso sfocati: gli attivisti serbi si travestivano da musulmani;
i musulmani adottavano nomi serbi; gli ustaša diventavano comuni-
sti e i comunisti ustaša; i partigiani si trasformavano in cetnici; i cet-
nici lavoravano per i partigiani, gli uomini si travestivano da donne,
le donne combattevano come uomini; e molti attivisti lavoravano con-
temporaneamente per fazioni opposte»61. Contrariamente a ciò che si
è portati a immaginare, non era infrequente che persino in alcuni im-
portanti nuclei famigliari coabitassero elementi di diverso orienta-
mento nazionale e appartenenti a formazioni politiche tra loro anta-
goniste, come dimostra il caso dei fratelli musulmani Mehmed e Fehim

59
Ivi, p. 7; cfr. E. Greble, Sarajevo la cosmopolita. Musulmani, ebrei e cristiani
nell’Europa di Hitler, Feltrinelli, Milano, 2012.
60
D. Bečirović, op. cit., pp. 85-89.
61
M.A. Hoare, op. cit., p. 64.

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172 Giulio M. Salzano

Spaho, il primo guida del JMO, l’altro reis ul ulema62. Del resto, fa
notare anche lo storico francese Xavier Bougarel «in certi momenti,
cetnici e partigiani combattevano insieme, e talvolta risultava difficile
distinguere gli uni dagli altri»63. Se a tutto ciò si aggiunge il diffuso
fenomeno delle conversioni religiose di massa, molto frequente du-
rante i primi anni di guerra, tanto da essere regolato da una serie di
dispositivi di legge, il concetto di «appartenenza» e quello di identità
assumono ulteriori sfumature. Tra aprile e ottobre del 1941 non meno
di duemila ebrei, il venti per cento della comunità sefardita di Sa-
rajevo, si convertirono in parte al cattolicesimo e in parte all’islam,
con la speranza (vana) di evitare le persecuzioni degli agenti ustaša64.
Negli stessi mesi, stando ai rapporti delle autorità croate, si registra-
rono frequenti casi di conversione anche tra i serbi di confessione or-
todossa, che nell’inutile tentativo di sfuggire ai loro aguzzini decide-
vano di dichiararsi, secondo le necessità del momento, musulmani o
cattolici. La pratica della conversione, nella provincia bosniaca, ri-
guardava spesso interi villaggi o gruppi famigliari molto estesi. A Mali
Gradac, un villaggio con qualche centinaio di anime, 19 persone di
fede “greco-orientale” chiesero e ottennero il permesso di convertirsi
alla fede cattolica65.
Sia la base ideologica della Resistenza che le strategie politiche
delle forze d’occupazione contenevano molti elementi attinti dall’ar-
ticolato patrimonio della cultura tradizionale nazionalista, che i di-
versi gruppi della regione avevano portato in dote all’appuntamento
con la guerra. Le teorie sulla nazione, che si affermarono nel corso
dell’Ottocento, durante l’occupazione ottomana e asburgica, trovava-
rono piena applicazione nelle pratiche ideologiche del regime dello
Stato Indipendente di Croazia.
L’occupazione dei territori bosniaci da parte dell’NDH aveva com-
portato l’assimilazione della popolazione musulmana ad un presunto
patrimonio biologico-culturale croato. L’elemento distintivo dell’ap-
partenenza nazionale croata, infatti, all’epoca dell’NDH, non era ri-

62
Fehim Spaho, fratello di Mehmed, leader del JMO, ricoprì la carica di reis ul
ulema dal 1938 al 1942. Il reis Spaho si dichiarava musulmano di nazionalità croata.
63
X. Bougarel, op. cit., p. 99.
64
E. Greeble, op. cit., p. 107.
65
HR-DAZG, Nezavisna Državna Hrvatska, (Mup-NDH, 21378/41) K. 45, 46,
53, Ministarstvo Pravosudja i Bogoštovlja, n. 1626-B-1941. Mali Gradac selo, «vje-
rozakonski prijelaz stanovnika grčko istočne vjere na rimo-katoličku». Zagreb, 9.
rujna, 1941.

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Immaginare la Nazione 173

conducibile esclusivamente alla fede, tutt’altro: «il popolo croato si


considerava omogeneo per razza»66. Ciò stava a significare che i mu-
sulmani di Bosnia-Erzegovina (dall’aprile del 1941 territorio del-
l’NDH), sia sul piano amministrativo che da una prospettiva di «ap-
partenenza etnica», furono «naturalizzati», nel nuovo ordinamento
statale, come cittadini di nazionalità croata di fede islamica. Basti pen-
sare che il poglavnik (duce) Ante Pavelić, durante un colloquio con
il mufti Ismet efendija Muftić, funzionario del Consiglio di Stato, av-
venuto pochi giorni dopo l’occupazione dei territori bosniaci, si ri-
volse al popolo musulmano definendolo: «sangue del nostro sangue
e fiore della nostra nazione croata»67.
Anche sul fronte opposto, quello del Partito comunista, la que-
stione musulmana occupò ampi spazi del dibattito politico riguardo
il futuro assetto costituzionale della Jugoslavia. Il 25 e il 26 novem-
bre 1943, a Mrkonjić-Grad, i delegati del Consiglio popolare antifa-
scista di Liberazione della Bosnia-Erzegovina (ZAVNOBiH)68, tra i
quali erano presenti numerosi esponenti del Partito comunista, si pro-
nunciarono per una Bosnia che non fosse «né serba, né musulmana,
né croata, ma serba, musulmana e croata – ovvero – una Bosnia-Er-
zegovina libera e affratellata in cui sarà assicurata la piena uguaglianza
e unità tra i Serbi, i Musulmani e i Croati»69. Questa solenne di-
chiarazione, che fondava i suoi contenuti sull’inviolabile principio
della fratellanza e dell’unità dei popoli jugoslavi (bratstvo i jedinstvo),

66
N. Kisić Kolanović, Islamska varijanta u morfologiji kulture NDH 1941-1945,
in Časopis za suvremenu povijest, vol. 39, n. 1, 2007, p. 64.
67
Hrvatski Narod. Zagreb, anno 3, nr.71, 23 aprile 1941, p.5; Xavier Bougarel,
op. cit., p.105.
68
Zemaljski Antifašističko Vijeće Narodnog Oslobođenja Bosne i Hercegovine.
69
Службени лист Федералне Босне и Херцеговине, anno I, n.1, 20 giugno 1945,
Резолуција Земалјиског Антифашистичког Бијећа Нaродног Ослобођења Босне и
Херцеговине, Сарајево, 20 novembre 1943, p.2. Nel testo originale “Srbi, Hrvati i
Muslimani”. Secondo le regole ortografiche del serbo-croato-bosniaco, i sostantivi di
nazionalità si scrivono con l’iniziale maiuscola. Nel nostro caso, «Musliman» si ri-
ferisce alla (presunta) nazione musulmana, mentre «musliman» è il termine con il
quale ci si riferisce al seguace della religione islamica; una differenza non di poco
conto se consideriamo le implicazioni che comportava, nella forma scritta, l’uso del-
l’uno o dell’altro termine. In una sorta di preambolo alla Costituzione della SRBiH
del 1963, il termine Muslimani fu usato, per la prima volta in un documento del ge-
nere, nella sua accezione di «componente etnica» (Cfr. “Ustav Sočijalističke Repu-
blike Bosne i Hercegovine”, Službeni list NRBiH, XIX, n.14, 11 aprile 1963, vol. I,
p. 153).

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174 Giulio M. Salzano

fu disattesa pochi giorni dopo, come fa notare Hoare, in uno degli


appuntamenti più importanti nella storia della lotta partigiana.
Il 29 e 30 novembre si riunì a Jaice, a un anno di distanza dalla
prima sessione di Bihać, il Consiglio popolare antifascista di Libera-
zione della Jugoslavia (AVNOJ)70. In quell’occasione, l’AVNOJ as-
sunse le funzioni di governo provvisorio, e sancì uno dei principi
fondanti della futura federazione: «la Jugoslavia deve essere costruita
su basi federative, le quali devono garantire la piena uguaglianza di
Serbi, Croati, Sloveni, Macedoni e Montenegrini e, rispettivamente,
delle popolazioni di Serbia, Croazia, Slovenia, Macedonia, Montene-
gro e Bosnia-Erzegovina»71. Con questa formula, dai contenuti a dir
poco ambigui, i musulmani bosniaci, pur rappresentati in quanto cit-
tadini jugoslavi, furono esclusi dalla ristretta cerchia delle nazioni co-
stituenti72.
In base alle premesse dell’AVNOJ, recepite dall’Assemblea costi-
tuente e confluite nella Carta costituzionale promulgata il 31 gennaio
1946, la «seconda» Jugoslavia assunse la struttura di una federazione
composta da 6 stati, ma rappresentata da 5 nazioni73. Alla fine della
guerra, dunque, i musulmani bosniaci furono relegati nel novero delle
comunità religiose, e non tra i gruppi nazionali costituenti del paese,
come era stato più volte prospettato loro durante la guerra. La Bo-
snia socialista, dunque, nacque come «uno stato-nazione senza una
nazione»74. Nella costituzione della Repubblica Popolare di Bosnia-
Erzegovina (NRBiH), in vigore dal 31 dicembre 1946, fu confermato
a chiare lettere il principio inviolabile della sovranità popolare, ma fu
evitato accuratamente di indicare quali fossero i popoli, o meglio, le
nazioni, che avrebbero dovuto rappresentare il Paese75.

70
Antifašitičko Vijeće Narodnog Oslobođenja Jugoslavije.
71
Дekларација другог заседанја антифашистичког већа народног ослобођенја
Југославије (29.XI.1943), in Службени лист демократске федеративне Југославије, 1
febbraio 1945, Београд, n. 1, anno I, p.4; Marko Attila Hoare, op. cit., pp.183-184.
La nascita della «seconda» Jugoslavia, per il Partito comunista, avvenne proprio in
occasione della seconda sessione dell’AVNOJ, il 28 novembre 1943 a Jaice, in Bo-
snia-Erzegovina.
72
X. Bougarel, op. cit., p.120.
73
A. Omerika, The Role of Islam in Academic Discourses on the National Iden-
tity of Muslims in Bosnia Herzegovina, 1950-1980, in Islam and Muslim societies: A
Social Science Jurnal, vol. 2, n. 2, New Delhi, 2006, pp. 351-376, p 352.
74
M.A. Hoare, op. cit., p. 287; Xavier Bougarel, op. cit., p. 127.
75
Устав Народне Републике Босне и Херцеговине, in Службени лист Народне
Републике Босне и Херцеговине, 8 gennaio 1947, n.1, anno III, pp. 2-18.

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Immaginare la Nazione 175

5. Etnogenesi di una nazione. – L’occupazione della Jugoslavia da


parte delle truppe dell’Asse e le drammatiche vicende della guerra
avevano contribuito a esasperare le tensioni pre-esistenti tra i gruppi
nazionali della regione. A partire dall’immediato dopoguerra, l’azione
incisiva del Partito comunista nell’ambito delle relazioni tra i popoli
e le repubbliche della Federazione, nonostante l’adozione di metodi
discutibili, sembrò riportare una certa stabilità tra le componenti na-
zionali del Paese. Ma solo in apparenza, come avrebbero mostrato
gli eventi nel corso degli anni successivi. La ricerca di una soluzione
alla questione nazionale musulmana fu una delle cause che, nel corso
della prima metà degli anni Sessanta, fece precipitare le relazioni tra
le correnti «liberali» e le tendenze conservatrici che si erano manife-
state all’interno della Lega dei comunisti (SKJ)76. La «nascita» della
nazione musulmana, legittimata da una serie di atti giuridici e am-
ministrativi, adottati tra il 1968 e il 1974, ebbe l’effetto di indebolire
il già precario equilibrio dei rapporti tra le repubbliche jugoslave. Le
conseguenze dell’indirizzo politico comunista riguardo la questione
musulmana si sarebbero manifestati anni dopo, contestualmente al-
l’implosione della Jugoslavia socialista e alla deflagrazione dei con-
flitti degli anni Novanta in Bosnia-Erzegovina.
Il processo di affermazione nazionale della componente musul-
mana fu condizionato da diversi fattori; alcuni riconducibili alle com-
plesse e delicate dinamiche interne al partito, e altri agli sviluppi della
politica estera jugoslava, in seguito allo «scisma» tra il KPJ e il Par-
tito comunista dell’Unione Sovietica (KPSS). Fino al 1953 il Partito
comunista jugoslavo esercitò un capillare controllo sulle attività della
Comunità religiosa islamica. Le relazioni tra i comunisti e la com-
ponente musulmana della Bosnia-Erzegovina migliorarono sensibil-
mente a partire dalla metà degli anni Cinquanta, in concomitanza con
il nuovo corso della politica estera jugoslava. Dalla metà degli Ses-
santa, subito dopo l’VIII congresso della Lega dei comunisti jugo-
slavi (1964), la questione delle autonomie nazionali entrò, dunque,
nel vivo del confronto politico e accademico, raggiungendo i mo-
menti più critici del dibattito tra il 1968 e il 1971.
Subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, oltre ai primi
provvedimenti adottati dal nuovo governo, tra i quali la riforma agra-

76
Nel 1952, in occasione del VI Congresso del Partito comunista jugoslavo a
Zagabria (dal 2 al 7 novembre), la denominazione del Partito cambiò in Lega dei
comunisti jugoslavi (Savez Komunista Jugoslavije o SKJ).

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176 Giulio M. Salzano

ria, la nazionalizzazione delle attività economiche e la riorganizza-


zione amministrativo-territoriale della Federazione, furono emanate
diverse norme per regolare i rapporti tra le istituzioni dello Stato e
le organizzazioni religiose77. La prima costituzione della FNRJ78
(1946) affermò una netta separazione dei rispettivi ambiti, specie in
materia di diritto e istruzione pubblica. Alle organizzazioni religiose
furono garantite alcune autonomie riguardo l’organizzazione delle
attività cultuali, se non in contrasto con i rigidi principi di laicità
espressi dalla Carta costituzionale. Fu questo il primo tentativo di
estromettere le organizzazioni religiose dalla vita pubblica del Paese,
senza ricorrere, per il momento, a misure particolarmente coercitive.
La libertà di culto e l’organizzazione delle attività religiose furono
di fatto limitate e garantite solamente sotto la stretta sorveglianza
degli organi statali, coordinati dalla Commissione per gli Affari Re-
ligiosi (Komisija za Vjerska Pitanja o KZVP), un ente governativo
di controllo istituito nel 194479. Inoltre, l’intensa campagna diffama-
toria nei confronti dei dissidenti «cominformisti», in seguito allo sci-
sma politico del 1948, colpì indistintamente numerosi esponenti delle
istituzioni religiose che non avevano accettato di buon grado il nuovo
corso politico jugoslavo. «La religione fu esclusa dalla sfera pubblica
e sottoposta a un processo di privatizzazione; le vecchie élite bo-
sniaco-musulmane persero la loro influenza, la quale era stata spesso
legata al forte impatto della religione islamica sulla società musul-
mana»80.
La Comunità religiosa islamica (Islamska Vjerska Zajednica o
IVZ), l’istituzione di riferimento per tutti i fedeli musulmani della
Jugoslavia fu riorganizzata secondo il nuovo statuto entrato in vi-
gore nel 194781. I vertici dell’IVZ furono scelti tra i funzionari fe-
deli al regime in modo tale che il partito potesse controllare da vi-
cino ogni attività dell’organizzazione e delle istituzioni religiose pe-

77
Cfr. V. Katz, Društveni i ekonomski razvoj Bosne i Hercegovine 1945.-1953.,
Institut za Istoriju, 2011.
78
Federativna Narodna Republika Jugoslavija (Repubblica Popolare Federativa
di Jugoslavia).
79
Службени лист Федералне Босне и Херцеговине, год. I, бр. 1, 20.6.1945, стр.
5, Одлука Земалјског Антифашистичког Вијећа Народног Ослобођенја Босне и
Херцеговине.
80
A. Omerika, op. cit., p. 352.
81
Ustav Islamske Vjerske Zajednice u Federativnoj Narodnoj Republici Jugosla-
viji, Vrhovno Islamsko Stariješinstvo u FNRJ, Sarajevo, 1947.

ISBN 978-88-495-4334-6 © Edizioni Scientifiche Italiane


Immaginare la Nazione 177

riferiche82. Nel marzo 1946, le competenze in materia di diritto isla-


mico furono demandate esclusivamente ai tribunali civili83. Gran parte
degli ingenti beni dei vakuf furono nazionalizzati. La popolazione
musulmana e le altre organizzazioni religiose subirono un intenso
processo di laicizzazione che interessò diversi ambiti della società, a
partire dal sistema dell’istruzione pubblica. Le scuole islamiche isla-
miche per la formazione di base (mekteb), presenti nelle città e in
quasi tutti i villaggi del Paese, furono ridotte drasticamente, fino a
decretare la sospensione di ogni loro attività. L’insegnamento al di
fuori dei luoghi autorizzati dal regime fu severamente vietato. Gli
studi islamici potevano essere seguiti esclusivamente nella medresa di
Sarajevo, l’unico istituto scolastico per la formazione dei funzionari
religiosi musulmani autorizzato dal governo.
Il processo di laicizzazione imposto dal Partito comunista agì in-
nanzitutto sull’apparato simbolico e sulle consuetudini rituali delle
comunità religiose. Nel 1950, ad esempio, in seguito alle pressioni del
Fronte Antifascista delle Donne84, fu proibito alle musulmane di co-
prirsi con i veli rituali della tradizione (zar i feredža); una decisione
che ebbe importanti e inevitabili ripercussioni sul sistema delle rela-
zioni famigliari, in ambito pubblico e nei rapporti tra i fedeli e le au-
torità governative85. La libertà di culto, più volte ribadita dalla Co-
stituzione, fu, al contrario, sottoposta a importanti limitazioni, ad
esempio proibendo la celebrazione dei culti o l’assembramento di fe-
deli nelle abitazioni private per motivi religiosi. Il consueto pellegri-
naggio alla Mecca ( hadž/hajj), uno dei cinque obblighi rituali per i
musulmani, fu sospeso fino al 1954, con una eccezione nel 1949,
quando fu concesso a cinque funzionari dell’IVZ, tra cui il compia-
cente reis-ul-ulema Ibrahim Feijć, di lasciare la Jugoslavia per recarsi
in Arabia Saudita86. Tra il 1948 ed il 1950, nel clima di terrore sca-
turito dalla caccia ai «Kominformisti», furono celebrati diversi pro-

82
A. Zulfikarpašić, Bosanski pogledi, nezavisni list muslimana Bosne i Hercego-
vine u iseljeništvu. 1960-1967, Zurich, STAMACO, 1984, p. 422.
83
F. Karčić, op. cit., p. 1034.
84
Antifašistički Front Žena o AFŽ.
85
Službeni list narodne NRBiH, anno VI, n. 32, 272, Zakon o zabrani nošenja
zara i feredže.
86
Il rituale del pellegrinaggio alla Mecca dalla prospettiva dei rapporti diploma-
tici jugoslavi è stato oggetto di un mio recente contributo dal titolo Viaggiare per
fede. Il pellegrinaggio alla Mecca e la politica estera jugoslava (1949-1961), in Dia-
cronie, Studi di Storia contemporanea, 36, 4/ 2018.

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178 Giulio M. Salzano

cessi farsa nei confronti di numerosi esponenti della comunità isla-


mica accusati di collaborazionismo nell’ultimo conflitto e di sovver-
sione nei confronti del nuovo ordine politico87. Tali misure non ri-
sparmiarono nemmeno i rappresentanti del clero cattolico e orto-
dosso, verso le cui attività i funzionari del partito avevano riservato
una particolare attenzione. Questo atteggiamento fu all’origine, ad
esempio, della crisi diplomatica tra la Jugoslavia e la Santa Sede, i cui
rapporti si interruppero ufficialmente dal 1952 al 1963, in seguito alle
vicende del caso Stepinac, l’arcivescovo di Zagabria arrestato e con-
dannato per collaborazionismo con le forze di occupazione88.
L’approccio del governo comunista alla questione nazionale mu-
sulmana, contrariamente alle narrazioni veicolate da una certa storio-
grafia apologetica che si affermò nel corso degli anni Sessanta, fu de-
cisamente contraddittorio, mai lineare né costante, e non privo di im-
portanti criticità. La discontinuità ideologica del partito riguardo la
questione nazionale musulmana emerge chiaramente attraverso la let-
tura dei dati demografici pubblicati periodicamente dall’Istituto di sta-
tistica jugoslavo in occasione dei censimenti della popolazione. I cri-
teri per la compilazione delle schede censitarie, riguardo l’ambito del-
l’appartenenza nazionale, furono formulati e adottati sulla base di spe-
cifiche indicazioni provenienti dal governo, e quindi dallo stesso par-
tito. Nel nostro caso, dunque, i censimenti rappresentano il punto di
vista privilegiato dal quale osservare gli sviluppi della questione na-
zionale musulmana dalla prospettiva delle istituzioni dello Stato.
Nel primo censimento della Jugoslavia socialista (15 marzo 1948),
l’elemento distintivo dell’identità bosniaco-musulmana si fondava esclu-
sivamente sulla dimensione religiosa89. Le istruzioni riservate ai com-
pilatori, riguardo l’appartenenza nazionale, sembrano non lasciare mar-

87
S. Jaliman, Politički osuđenici u kazneno-popravnom domu u Zenici 1945-1954
Godina, in Dru_tvena istra_ivanja, »asopis Pravnog fakulteta Univerziteta u Zenici,
Rivista della Facoltà di Giurisprudenza, Università di Zenica; n. 2, anno II; Zenica
2008, pp. 13-27; Suđenje organizatorima i rukovodiocima terorističke organizacije
“Mladi Muslimani”, in Oslobođenje, Organ Izvršnog Odbora Narodnog Fronta Bo-
sne i Hercegovine, anno VI, n .865, p. 2.
88
N. Žutić, Protokol Jugoslavije i Vatikana iz 1966. Godine, in Istorija 20. Veka,
1/2013, pp. 135-156; M. Akmadža, Pregovori Svete Stolice i Jugoslavije i potpisivanje
protokola iz 1966. Godine, in »asopis za suvremenu povijest, 36(2), pp. 473-503.
89
I. Lučić, Making the “Nation” Visible: Socialist Census Policy in Bosnia in the
early 1970s, in The Ambiguos Nation, Case Studies from Southeastern Europe in the
20th Century, Oldenbourg Verlag München, 2013, pp. 423-448, p. 426.

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Immaginare la Nazione 179

gini di dubbio: «ogni persona registrerà la propria nazionalità (na-


rodnost), ad esempio Serbo, Croato, Sloveno, Macedone, Montene-
grino, Ungherese, Albanese, Rumeno ecc. I Musulmani scriveranno
Serbo-musulmano (Srbin-musliman), Croato-musulmano (Hrvat-mu-
sliman) o musulmano di nazionalità indeterminata (musliman-neo-
predeljen)». I musulmani bosniaci, dunque, all’atto pratico, potevano
dichiararsi, dal punto di vista dell’appartenenza nazionale, serbi o
croati di fede islamica. L’alternativa, la stessa che poi si affermò come
la scelta condivisa dalla totalità dei musulmani bosniaci, consisteva
nella possibilità di non esprimere alcuna specifica appartenenza na-
zionale, limitandosi, dunque, a indicare la categoria musliman-neo-
predjeljeni, «musulmani – dal punto di vista nazionale – indetermi-
nati» o di «nazionalità non dichiarata»90. Il 15 marzo 1948 in Bosnia-
Erzegovina furono censite 2.565.277 cittadini, di cui 1.136.116 serbi,
614.123 croati e 788.403 musulmani «indeterminati»91.
Nonostante le dichiarazioni e le rassicurazioni in merito alla que-
stione nazionale musulmana, espresse dal Partito comunista jugoslavo
durante la lotta popolare di Liberazione, con il censimento del 1948 la
posizione dei musulmani era tornata di fatto alla situazione antecedente
il conflitto. Mentre gli sloveni, i serbi, i croati, i macedoni e i monte-
negrini, con la costituzione del 1946 avevano acquisito lo status di po-
poli costituenti della federazione jugoslava, i musulmani bosniaci con-
tinuavano a essere identificati e censiti esclusivamente sulla base del-
l’appartenenza religiosa, come accadeva nelle rilevazioni del 193192.

90
Federativna Narodna Republika Jugoslavija, Savezni Zavod za statistiku i evi-
denciju. Konačni rezultati popisa stanovništva od 15 marta 1948 godine, Knjiga V,
Stanovništvo po pismenosti, Beograd, 1955, p. XI.
91
Federativna Narodna Republika Jugoslavija, Savezni Zavod za statistiku i evi-
denciju. Konačni rezultati popisa stanovništva od 15 marta 1948 godine, Knjiga I,
Stanovništvo po polu i domaćinstva, Beograd 1951, p. LXXII; Federativna Narodna
Republika Jugoslavija, Savezni Zavod za statistiku i evidenciju. Konačni rezultati po-
pisa stanovništva od 15 marta 1948 godine, Knjiga IX, Stanovništvo po narodnosti,
Beograd, 1954, pp.128-129; Nacionalni Sastav Stanovništva SFR Jugoslavije, knjiga
I, podacima po naseljima i opštinama, Savezni zavod za statistiku, Beograd, 1991,
p.11. Oltre ai principali gruppi nazionali jugoslavi (serbi, croati, sloveni, macedoni e
montenegrini), nel 1948, in Bosnia-Erzegovina, furono censite piccole comunità di
bulgari, cechi, slovacchi, russi, russo-ucraini, albanesi, ungheresi, tedeschi, rumeni,
valacchi, italiani, turchi e cigani.
92
Cfr. Kraljevina Jugoslavija. Definitivni rezultati popisa stanovništva od 31 marta
1931 godine. Knjiga II. Prisutno stanovništvo po veroispovesti. Državna štamparija,
Beograd, 1938.

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180 Giulio M. Salzano

Il 31 marzo 1948, i musulmani scelsero la categoria «nacionalno


neopredjeljeni» (nazionalità non dichiarata), respingendo, in questo
modo, l’ennesimo tentativo, questa volta avallato proprio dal Partito
comunista jugoslavo, di essere identificati, dal punto di vista dell’ap-
partenenza nazionale, come serbi o croati di fede islamica.
Cinque anni dopo, nelle rilevazioni del 1953, il termine musliman
fu escluso dalle categorie censitarie. Il partito intese affermare di fatto
la netta separazione tra l’aspetto confessionale e l’appartenenza na-
zionale, evitando pericolose sovrapposizioni tra due ambiti, che nelle
ambiziose intenzioni dei comunisti, erano destinati a essere separati
definitivamente93. Accanto alle pre-esistenti categorie nazionali, l’Isti-
tuto di Statistica introdusse, nel censimento del 1953, la denomina-
zione «jugoslavi di nazionalità indeterminata»94. Con questa scelta il
partito intese riproporre, seppur con le dovute distinzioni, la mai tra-
montata idea ottocentesca dell’unità dei popoli jugoslavi. Però, men-
tre nell’Ottocento lo «jugoslovjenstvo» si affermò in funzione anti-
imperiale, lo jugoslavismo di epoca socialista fu essenzialmente la ri-
sposta politica alla tardiva, o del tutto assente, coesione tra i gruppi
nazionali del paese. In quest’ultimo caso si trattava, per dirla con le
parole dello storico Egidio Ivetić, di un «meta-luogo di riferimento
per la costruzione di una generica identità jugoslava»95.
Nel censimento del 1953, secondo l’Istituto federale di Statistica,
891.798 bosniaci musulmani, quasi un terzo della popolazione totale,
si dichiararono jugosloveni neopredjeljeni, jugoslavi di nazionalità “in-
determinata”96. Ancora una volta, i musulmani bosniaci conferma-
rono la volontà comune di respingere il tentativo di essere identifi-

93
«Il termine musliman designa l’appartenenza alla confessione musulmana e non
ha nessun rapporto con la questione nazionale», M. Pijade, O popisu stanovništva,
Borba, vol. XVIII, n. 20, 21 gennaio 1953, riportato in M. Pijade, Izabrani spisi,
tomo 1, libro 5. Beograd: IIRP, 1966, pp. 946-949, citato da M. A. Hoare, op. cit.,
p. 132; Popis stanovništva 1953, libro I, Vitalna i Etnička Obeležja, Federativna Na-
rodna Republika Jugoslavija, Savezni Zavod za Statistiku, Beograd, 1959, p. XXXIV.
94
«Jugosloveni neopredjeljeni».
95
E. Ivetić, op. cit., pp. 9-12. Ivetić mette in guardia sul significato del termine
jugoslavenstvo (croato)/jugoslovenstvo (serbo): «Non è semplice cogliere il corri-
spettivo italiano (e in altre lingue) di jugoslavenstvo/jugoslovenstvo, poiché a seconda
della circostanza del dicorso, del libro o del saggio di riferimento, esso potrebbe es-
sere tanto la jugoslavità, cioè l’essere jugoslavi (popoli o culture), quanto lo jugo-
slavismo nel senso di ideologia o progetto politico».
96
Nacionalni Sastav Stanovništva SFR Jugoslavije, knjiga I, podacima po na-
seljima i opštinama, Savezni zavod za statistiku, Beograd, 1991, p. 11.

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Immaginare la Nazione 181

cati alcuno dei gruppi nazionali antagonisti. La scelta condizionata


dei musulmani fu considerata dagli storici coevi come la dichiarazione
implicita della loro presunta identità nazionale. Questa posizione sem-
brerebbe però più un’attribuzione di senso a posteriori, che aveva
l’intento di superare alcuni aspetti critici delle narrazioni storiografi-
che riguardo i rapporti tra il partito e la comunità bosniaco-musul-
mana.
Il principale obiettivo dei musulmani bosniaci restava la salva-
guardia della propria identità religiosa, minacciata dall’atteggiamento
iper-laicista dello Stato e, in ogni caso, mal conciliabile con le pre-
messe culturali e religiose dei serbi e dei croati. Rinunciando a iden-
tificarsi con l’una o l’altra comunità nazionale, i musulmani bosniaci
avevano espresso la propria identità per viam negationis. Dichiaran-
dosi «jugoslavi di nazionalità indeterminata», essi non intesero affer-
mare, quindi, un’idea di nazione sulla base di determinate coordinate
politiche, linguistiche o territoriali, ma rigettare i modelli disponibili,
proposti dalle autorità governative attraverso il censimento. Non sa-
rebbe del tutto azzardato ipotizzare che i musulmani bosniaci aves-
sero sviluppato maggiormente l’ideale senso di appartenenza alla
Umma, la comunità islamica universale (ummat al-isla-miyya), rispetto
alle altre forme secolari di espressione nazionale97. L’elemento predo-
minante dell’identità musulmana bosniaca, secondo le autorità politi-
che e governative jugoslave, andava ancora ricercato, nel 1953, esclu-
sivamente nella dimensione religiosa.
I segnali di una timida riconciliazione tra la dirigenza comunista
e la Comunità religiosa islamica si intravidero a partire dalla seconda
metà degli anni Cinquanta. Nel 1957 Sulejman Kemura subentrò alla
guida dell’IVZ al posto del dimissionario reis Ibrahim Fejić. L’ele-
zione di Kemura, il reis «rosso», a causa della sua estrema «vicinanza»
al partito, coincise con un rinnovato atteggiamento dei funzionari go-
vernativi nei confronti della comunità musulmana. In politica estera,
dopo la crisi del 1948, la Jugoslavia si era gradualmente inserita in
un nuovo sistema di alleanze, spinta dalla necessità di ricercare una
maggiore sicurezza e una certa stabilità economica per il Paese. I prin-
cipali interlocutori di Tito, in quegli anni, erano: il presidente indo-
nesiano Akmed Sukarno, il Primo Ministro indiano Jawaharlal Nehru,

97
Cfr. G. Vercellin, Istituzioni del mondo musulmano, Einaudi, Torino, 2002, pp.
15-21.

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182 Giulio M. Salzano

e il ministro degli interni egiziano, poi Presidente, Gama-l ‘Abd al-


Na-ir H . usayn. Con loro, il Maresciallo jugoslavo avrebbe dato vita,
in due distinti momenti, a Bandung nel 1955 e a Belgrado nel 1961,
al Movimento dei Paesi non allineati, un organismo internazionale
alternativo ai blocchi delle due maggiori superpotenze, Stati Uniti
e Unione Sovietica. Le relazioni tra la Jugoslavia e il mondo isla-
mico, rappresentato da numerosi Paesi che aderirono al Movimento,
esigevano però un radicale cambiamento delle politiche governative
nei confronti della componente musulmana. La mediazione dei lea-
der religiosi musulmani della Bosnia-Erzegovina con i governi dei
Paesi islamici fu imprescindibile per il buon esito dei rapporti di-
plomatici, come dimostrano le frequenti e reciproche visite che le
rispettive delegazioni religiose si scambiarono regolarmente a par-
tire dal 195898.
Il 1961, l’anno in cui la Lega dei comunisti jugoslavi si apprestava
ad accogliere a Belgrado le delegazioni di 25 Paesi del costituendo
Movimento dei non allineati, fu decisivo per i rinnovati rapporti tra
il partito e la Comunità religiosa islamica. Un primo passo in que-
sta direzione fu la rimozione definitiva del limite al numero dei mu-
sulmani ammessi a partecipare all’annuale pellegrinaggio alla Mecca99.
Il 31 marzo 1961 fu effettuato il terzo censimento della popola-
zione dalla fine della guerra. L’Istituto di statistica introdusse la ca-
tegoria «Musulmani nel senso di appartenenza etnica» (Muslimani u
smislu etničke pripadnosti)100. Alcune indicazioni riportate nei formu-
lari per il censimento non lasciano dubbi circa il significato di que-
sta importante decisione: «Riguardo al fatto che la risposta Musliman
significa appartenenza etnica e non religiosa, tale risposta può essere

98
Uno strumento prezioso per ricostruire le attività «diplomatiche» della Co-
munità religiosa islamica è la rivista Glasnik Vrhovno Islamskog Starješinstva u Fe-
derativnoj Narodnoj Republici Jugoslaviji (abbreviato: Glasnik VIS-a)
99
Glasnik VIS-a, XIII (XXV), 1-3/1962, p. 54. Da quel momento in poi, di-
versamente dal passato, le istanze d’espatrio per il pellegrinaggio alla Mecca, in as-
senza di particolari impedimenti, sarebbero state tutte autorizzate indipendentemente
dal numero delle richieste.
100
Popis stanovništva 1961, libro I, Vitalna, etnička i migraciona obeležja, Sočija-
listčka Federativna Republika Jugoslavija, Beograd, 1970, pp. XVIII-XIX. Popis sta-
novništva, domaćinstava i stanova u 1961. Godini. Nacionalni sastav stanovništva
FNR Jugoslavije, podaci po naseljima i opštinama, Vol. III. Savezni Zavod za Stati-
stiku, Beograd, 1994, p. 5; Demografska Kretanja i karateristike stanovništva jugo-
slavije prema nacionalnoj pripadnosti, Belgrade, IDN, 1978, p. 15, citato in X. Bou-
garel, op. cit., p. 142.

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Immaginare la Nazione 183

sottoscritta anche dalle persone senza credo, se si considerano ap-


partenenti a questo gruppo»101. Si trattava di un chiaro atto politico
con il quale la Lega dei comunisti intese distinguere e separare for-
malmente due aspetti (inscindibili) dell’identità musulmana: la di-
mensione «etnica» (avulsa, secondo i comunisti, da qualsiasi elemento
religioso) e quella propriamente religiosa. A partire dal censimento
del 1961, i due aspetti dell’identità musulmana, etnica (Musliman) e
religiosa (musliman), avrebbero potuto coesistere, almeno sul piano
amministrativo, indipendentemente l’uno dall’altro102.
In un suo lavoro del 1969, Atif Purivatra affermò che l’espres-
sione «particolarità etnica» (etnička posebnost), riferita ai musulmani
bosniaci, era da intendersi come sinonimo di narod, «popolo», ov-
vero «nazione». Narod, in effetti, è un termine da sempre caratteriz-
zato da frequenti oscillazioni semantiche che non sempre corrispon-
dono a interpretazioni univoche103. Possiamo però affermare che nel
1969, quando fu pubblicato il lavoro apologetico di Purivatra, dal ti-
tolo Nacionalni i politički razvitak Muslimana (Sviluppo politico e
nazionale dei Musulmani), il significato e l’uso della locuzione et-
nička grupa (gruppo etnico) erano ben distinti dai rispettivi usi e si-
gnificati dei termini narod e narodnosti. Nel censimento del 1961, i
musulmani erano classificati come «gruppo etnico». Diversamente, il
termine narod era utilizzato, in ambito amministrativo, per designare
le nazioni costituenti della Federazione jugoslava: serbi, croati, slo-
veni, macedoni, montenegrini e, solo più tardi, dal 1971, per riferirsi
anche alla nazione musulmana104. Appare poco convincente, quindi,
il tentativo, non isolato, di Purivatra nel sovrapporre il significato di
etnia a quello di nazione. Tali affermazioni mal celavano, verosimil-

101
S. Mrdjen, Narodnost u popisima. Promjenljiva i nestalna kategorija, in «Sta-
novništvo», 1-4, 2002, pp. 77-103, p. 80.
102
Nei documenti amministrativi, il termine Musliman, nella sua funzione di et-
nonimo, era riportato con l’iniziale maiuscola, mentre musliman, con l’iniziale mi-
nuscola, continuava a essere utilizzato per riferirsi ai seguaci dell’islam.
103
E. Hajdarpašić, op. cit., pp.18-20. Nel caso dei volumi pubblicati in lingua
italiana, narod è stato tradotto sia come «nazione» che «popolo». Nel volume di
Jože Pirjevec, Tito e i suoi compagni, pubblicato da Einaudi nel 2015 (titolo origi-
nale: Tito in tovariši) l’aggettivo narodni è stato tradotto a volte come «popolare»
altre come «nazionale» e a volte con il sostantivo «Stato».
104
Il termine narodnost veniva solitamente impiegato per indicare le entità na-
zionali non costituenti che avevano i propri «riferimenti etnici» fuori dai confini ju-
goslavi: a quei tempi in Jugoslavia ci si riferiva, ad esempio, agli albanesi, ai tede-
schi, agli italiani e alle altre minoranze nazionali presenti nel territorio federale.

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184 Giulio M. Salzano

mente, lo sforzo di attribuire al Partito comunista più meriti di quanti,


in realtà, ne avrebbe potuti rivendicare105.
I dati del terzo censimento, nel caso dei musulmani bosniaci, con-
fermarono la tendenza dei primi due. In tutta la Jugoslavia furono
censiti 972.954 «musulmani in senso etnico», 842.248 dei quali risul-
tarono residenti in Bosnia-Erzegovina106. Il numero dei cittadini bo-
sniaci che scelse di identificarsi nella categoria «Musulmani in senso
etnico» coincideva, con le debite proporzioni, al numero di coloro
che nel 1948 scelsero la categoria «neopredjeljeni» (di nazionalità in-
determinata) e nel 1953 la categoria «Jugoslavi [di nazionalità] inde-
terminati».
Nell’aprile del 1963 fu promulgata una nuova Costituzione. Il
Paese assunse la denominazione di Repubblica socialista federativa di
Jugoslavia (Socijalistička Federativna Republika Jugoslavija o SFRJ).
Questa scelta sembrava tradire la necessità di conciliare le tendenze
«centraliste» e «periferiche» interne al partito. La costituzione del
1963, secondo alcuni osservatori, non fu il tanto auspicato punto di
svolta del federalismo jugoslavo, ma «un momento di esitazione», un
punto di partenza dal quale il partito si sarebbe orientato, poco alla
volta, verso un percorso di decentramento politico e amministrativo.
Un deciso passo in tale direzione fu compiuto in occasione dell’VIII
Congresso della Lega dei Comunisti (1964). In quegli anni vi erano
essenzialmente due tendenze in seno al partito: l’una «liberale», ri-
conducibile alle posizioni di Kardelj, l’architetto delle costituzioni ju-
goslave, sostenitore del decentramento di alcune prerogative gover-
native e fautore di una sorta di «federalizzazione» del partito; l’altra,
«conservatrice», sostenuta dal serbo Aleksandar Ranković, il temu-
tissimo capo dell’OZNA (poi UDB-a)107, ministro degli Interni, fa-

105
A. Purivatra, op. cit., p. 59. Purivatra, a tal proposito scrive: «In base a ciò è
opportuno ricordare che l’individualità etnica dei Musulmani bosniaco-erzegovesi
nella maggior parte dei documenti del partito della guerra di Liberazione nazionale
e della rivoluzione popolare si esprime con il concetto di narod».
106
Savezni Zavod za statistiku, Nacionalni sastav stanovništva SFRJ po naseljima
i opštinama, Beograd: SZS, 1991; H. Kamberović, op. cit., pp. 59-81, p.61; A. Puri-
vatra, op. cit., pp.32-34. SR BiH sta per Socijalistička Republika Bosna i Hercego-
vina.
107
K. Boeckh, Vjerski progoni u Jugoslaviji 1944.-1953.: staljinizam u titoizmu,
in Časopis za suvremenu povijest, anno 38, n. 2, dicembre 2006, pp. 373-716. OZNA
è l’acronimo di Odeljenje za Zaštitu Naroda (Dipartimento per la difesa del po-
polo). Dopo la riorganizzazione del 1946, l’OZNA cambio denominazione in Uprava
Državne bezbednosti o UDB-a (Amministrazione per la sicurezza dello Stato).

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Immaginare la Nazione 185

vorevole alla concentrazione dei poteri politici, delle funzioni ammi-


nistrative e burocratiche nelle mani del governo federale, espressione
diretta del partito108. «L’opposizione al progressivo decentramento del
partito e dello stato stava finalmente crollando durante i lavori del
IV Plenum di Brioni del 1966 con la caduta di Aleksandar Ranko-
vić»109.
Il duro colpo inferto alle tendenze conservatrici, se da una parte
favorì il ridimensionamento dei rapporti di potere tra il governo fe-
derale e le repubbliche, in secondo luogo contribuì, seppur indiret-
tamente, alla preoccupante recrudescenza dei fenomeni di «nazio-
nalismo e sciovinismo», specialmente in Bosnia-Erzegovina110. A ciò
si aggiunsero momenti di tensioni e un diffuso senso di malessere
che irrigidirono i rapporti tra le repubbliche della federazione e le
rispettive istituzioni politiche e accademiche. Il 17 marzo 1967 il
quotidiano croato Telegram pubblicò la “Dichiarazione sul nome e
la posizione della lingua letteraria croata” (Deklaracija o nazivu i
položaju hrvatskog književnog jezika), un documento sottoscritto
dalla Matica Hrvatska e dai più autorevoli esponenti del mondo ac-
cademico croato, che esprimeva chiaramente la volontà degli intel-
lettuali di rivendicare una maggiore autonomia linguistica e cultu-
rale111.

108
Sull’uso del termine «liberale» e «conservatore» nell’ambito della politica ju-
goslava di epoca socialista si fa riferimento all’uso che propone Sabrina P. Ramet:
«Per liberale, nel contesto jugoslavo intendo qualcuno che favorisce la riduzione del
controllo del partito centrale e una minore supervisione del partito sulla società. Per
conservatore, nel contesto jugoslavo intendo qualcuno che favorisce un forte con-
trollo del partito centrale e uno stretto controllo del partito sulla società». Cfr. S.P.
Ramet, The Three Jugoslavias. State-Building and Legitimation, 1918-2005, Woo-
drow Wilson International Center Press, Washington, D.C. 2006, p. 211.
109
I. Štiks, Nations and Citizens in Yugoslavia…, cit., p. 69.
110
(ABH) ACKSKBiH, K. 7, Aktivnost Saveza Komunista povodom pojava na-
cionalizma, šovinizma, djelovanja konzervatnih snaga poraženih na IV plenum CK
SKJ i drugih vidova neprijateljske djelatnosti. Sarajevo, marta 1968. Nell’inchiesta del
Comitato Centrale della Lega dei comunisti bosniaci, condotta nelle città di Neve-
sinje, Stolac e Kiseljak, emersero frequenti e preoccupanti casi di violenza di matrice
nazionalista. A Nevesinje, l’anno successivo la caduta di Ranković, se ne contarono
27. «Qui – si legge nel rapporto – non sono rare le canzoni su Ranković […] ci
sono sempre più casi di esaltazione dell’atteggiamento cetnico e grande-serbo». Ranko-
viÊ veniva costantemente celebrato dai gruppi pro-cetnici come il «più grande figlio
della Serbia».
111
Il documento fu una chiara denuncia all’Accordo di Novi Sad del 1954 in
occasione del quale fu dichiarata l’unità linguistica “serbo-croata” o “croato-serba”

© Edizioni Scientifiche Italiane ISBN 978-88-495-4334-6


186 Giulio M. Salzano

Secondo la condivisibile analisi dello storico Husnija Kamberović,


il processo di affermazione dell’identità nazionale musulmana, nella
sua fase decisiva, si articolò in tre momenti: il primo, dal 1961 al
1963, in cui si creò uno spazio politico per il riconoscimento dei mu-
sulmani come nazione; il secondo, dal 1963 al 1966, in cui il dibat-
tito politico fu traslato in ambito accademico, e coincise con la cir-
colazione delle prime argomentazioni “scientifiche” sull’identità na-
zionale musulmana; e infine, dal 1966 al 1968, gli anni in cui il pro-
cesso di affermazione nazionale dei musulmani trovò accoglienza nel
più ampio contesto della politica federale jugoslava112.
In ambito accademico, il dibattito vide contrapporsi, da una parte
i bosniaci Enver Redžić, Atif Purivatra, Muhamed Hadžijahić, Salim
Ćerić, Muhamed Filipović, Hamdija Ćemerlić, Mustafa Imamović, so-
stenitori dell’identità etnica e nazionale bosniaco-musulmana, dall’al-
tra, i detrattori dell’idea nazionale musulmana, tra cui lo scrittore Do-
brica Ćosić e lo storico Jovan Joco Marjanović, entrambi accademici
e funzionari della Lega dei comunisti di Serbia (SKS)113. Sul piano
politico, secondo Kamberović, la questione nazionale musulmana trovò
un sostegno molto importante, sia nell’ambito della repubblica che a
livello federale, grazie all’azione dell’élite comunista bosniaca: Cvije-
tin Mijatović, presidente del CK SKBiH, Branko Mikulić, presidente

come uno dei simboli più evidenti dell’unità jugoslava. La Dichiarazione del 1967
fu considerata come una preoccupante manifestazione di nazionalismo dai vertici del
Partito comunista croato e dallo stesso Tito.
112
H. Kamberović, op. cit., p. 275. Per avere un’idea del complesso dibattito sulla
questione nazionale musulmana, in particolar modo in ambito accademico, è op-
portuno fare riferimento alla rassegna bibliografica curata da Muhamed Hadžijahić
e Atif Purivatra, pubblicata dalla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Sa-
rajevo nel 1971, con il titolo: Građa za bibliografiju o nacionalnoj problematici Bo-
snaskih Muslimana. Prilog studijskom projektu „Međunacionalni odnosi u Jugoslaviji
i problemi federalizma“ Instituta društvenih nauka u Beogradu. (Materiale per la bi-
bliografia sulla problematica nazionale dei musulmani bosniaci. Contributo al pro-
getto di studio «relazioni tra le nazioni in Jugoslavia e il problema del federalismo»
dell’Istituto di Scienze sociali di Belgrado).
113
“Oslobođenje”, 30 maggio 1968, godina XXV, n. 7178, p. 4. Demokratsko
dogovaranje o politici nacionalne ravnopravnosti; “Oslobođenje”, 31 maggio 1968,
Anno XXV, n. 7179, pp. 4-5. Platforma Ćosić i Marjanovića je nacionalistička, ne-
samoupravna i birokratska. Clanovi Centralnog komiteta oštro osudili stavove Do-
brice Ćosića i Jovana Marjanovića o ravnopravnosti među narodima i narodnostima.
In seguito alle polemiche sollevate nei confronti del partito, Ćosić e Marjanović fu-
rono esautorati delle loro funzioni politiche.

ISBN 978-88-495-4334-6 © Edizioni Scientifiche Italiane


186 Giulio M. Salzano

Secondo la condivisibile analisi dello storico Husnija Kamberović,


il processo di affermazione dell’identità nazionale musulmana, nella
sua fase decisiva, si articolò in tre momenti: il primo, dal 1961 al
1963, in cui si creò uno spazio politico per il riconoscimento dei mu-
sulmani come nazione; il secondo, dal 1963 al 1966, in cui il dibat-
tito politico fu traslato in ambito accademico, e coincise con la cir-
colazione delle prime argomentazioni “scientifiche” sull’identità na-
zionale musulmana; e infine, dal 1966 al 1968, gli anni in cui il pro-
cesso di affermazione nazionale dei musulmani trovò accoglienza nel
più ampio contesto della politica federale jugoslava112.
In ambito accademico, il dibattito vide contrapporsi, da una parte
i bosniaci Enver Redžić, Atif Purivatra, Muhamed Hadžijahić, Salim
Ćerić, Muhamed Filipović, Hamdija Ćemerlić, Mustafa Imamović, so-
stenitori dell’identità etnica e nazionale bosniaco-musulmana, dall’al-
tra, i detrattori dell’idea nazionale musulmana, tra cui lo scrittore Do-
brica Ćosić e lo storico Jovan Joco Marjanović, entrambi accademici
e funzionari della Lega dei comunisti di Serbia (SKS)113. Sul piano
politico, secondo Kamberović, la questione nazionale musulmana trovò
un sostegno molto importante, sia nell’ambito della repubblica che a
livello federale, grazie all’azione dell’élite comunista bosniaca: Cvije-
tin Mijatović, presidente del CK SKBiH, Branko Mikulić, presidente

come uno dei simboli più evidenti dell’unità jugoslava. La Dichiarazione del 1967
fu considerata come una preoccupante manifestazione di nazionalismo dai vertici del
Partito comunista croato e dallo stesso Tito.
112
H. Kamberović, op. cit., p. 275. Per avere un’idea del complesso dibattito sulla
questione nazionale musulmana, in particolar modo in ambito accademico, è op-
portuno fare riferimento alla rassegna bibliografica curata da Muhamed Hadžijahić
e Atif Purivatra, pubblicata dalla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Sa-
rajevo nel 1971, con il titolo: Građa za bibliografiju o nacionalnoj problematici Bo-
snaskih Muslimana. Prilog studijskom projektu „Međunacionalni odnosi u Jugoslaviji
i problemi federalizma“ Instituta društvenih nauka u Beogradu. (Materiale per la bi-
bliografia sulla problematica nazionale dei musulmani bosniaci. Contributo al pro-
getto di studio «relazioni tra le nazioni in Jugoslavia e il problema del federalismo»
dell’Istituto di Scienze sociali di Belgrado).
113
“Oslobođenje”, 30 maggio 1968, godina XXV, n. 7178, p. 4. Demokratsko
dogovaranje o politici nacionalne ravnopravnosti; “Oslobođenje”, 31 maggio 1968,
Anno XXV, n. 7179, pp. 4-5. Platforma Ćosić i Marjanovića je nacionalistička, ne-
samoupravna i birokratska. Clanovi Centralnog komiteta oštro osudili stavove Do-
brice Ćosića i Jovana Marjanovića o ravnopravnosti među narodima i narodnostima.
In seguito alle polemiche sollevate nei confronti del partito, Ćosić e Marjanović fu-
rono esautorati delle loro funzioni politiche.

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Immaginare la Nazione 187

del SIV, Avdo Humo, funzionario del CK SKJ, Džemal Bijedić, pre-
sidente dell’Assemblea parlamentare della Bosnia-Erzegovina114.
Una prima e importante svolta politica nella questione nazionale
musulmana si ebbe nel primo semestre del 1968. Durante i lavori
della XVII e della XX seduta del CK SKBiH, convocate rispettiva-
mente per gennaio e maggio, i comunisti bosniaci espressero in ma-
niera inequivocabile la posizione del partito riguardo la componente
bosniaco-musulmana. «L’esperienza ha mostrato i danni delle diverse
forme di espressione e insistenze del passato, quando all’inizio i mu-
sulmani venivano classificati, dal punto di vista nazionale, come serbi
o croati, poiché oggi si è dimostrato, e lo conferma l’attuale prassi
socialista, che i musulmani sono una nazione distinta». Questa di-
chiarazione in particolare, riportata nei verbali del Comitato Centrale
e pubblicata il 18 maggio su Oslobođenje, è stata considerata da di-
versi autori la chiave di volta del nuovo impianto politico della Lega
dei comunisti riguardo l’annosa questione nazionale musulmana115.
Affermando ufficialmente l’esistenza della nazione musulmana, per la
prima volta dalla fine della guerra, i comunisti bosniaci rigettarono
definitivamente le pretese territoriali sulla Bosnia-Erzegovina e le pres-
sioni sulla comunità musulmana avanzate negli anni dai nazionalisti
serbi e croati.
Ad ogni modo, ad accelerare la risoluzione della questione mu-
sulmana, nonostante l’opposizione degli ambienti conservatori interni

114
Centralni Komitet Saveza Komunista Bosne i Hercegovine o CKSKBiH (Co-
mitato Centrale della Lega dei comunisti della Bosnia-Erzegovina); Savezno izvršno
Vijeće o SIV (Consiglio esecutivo federale); Centralni Komitet Saveza Komunista Ju-
goslavije o CK SKJ (Comitato Centrale della Lega dei comunisti jugoslavi).
115
“Zaključci o idejno političkim zadacima komunista Bosne i Hercegovine u
daljem ostvarivanju samoupravnosti naroda i narodnosti i razvijanju međurepubličke
saradnje” in Oslobođenje-Nedjelja, anno XXV, n.7166, 18 maggio 1968, p. 6. «Praksa
je pokazala štetnost raznih oblika pritisaka i insistiranje iz ranijeg perioda da se Mu-
slimani u nacionalnom pogledu opredjeljuju kao Srbi odnosno kao Hrvati, jer se i
ranije pokazivalo, a to i današnja socijalistička praksa potvrđuje da su Muslimani
poseban narod». Iva Lučić, Stavovi Centralnog Komiteta Saveza Komunista Jugo-
slavije o nacionalnom identitetu Bosanskih Muslimana/Bošnjaka. Između afirmacije,
negacije i konfesionalne artikulacije, in Rasprave o nacionalnom identitetu BošnjakaÉ,
cit., pp. 97-115, p.106; Höpken W., Die Jugoslawischen Kommunisten und die bo-
snischen muslime, in Die muslime in der Sowjetunion und in Jugolsawien: Identität,
Politik, Widerstand, Colonia 1989, citato da Noel Malcom, Storia della Bosnia, Bom-
piani, 2000, p. 266; Atif Purivatra, Nacionalni i politički razvitak Muslimana, Svje-
tlost, Sarajevo, 1969, p. 30.

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188 Giulio M. Salzano

al partito e di una parte consistente del mondo accademico jugoslavo,


contribuirono sia gli avvenimenti che segnarono il tornante geopoli-
tico regionale del 1968 sia alcune preoccupanti vicende di politica in-
terna: la crisi in Polonia, l’azione militare sovietica in Cecoslovacchia,
le prove di forza ai confini tra la Jugoslavia e la Bulgaria, le rivolte
studentesche a Belgrado e Sarajevo, le proteste e le prime sommosse
popolari nella regione autonoma del Kosovo e i gravi attentati dina-
mitardi che colpirono Belgrado: a maggio, nella centralissima stazione
ferroviaria e a novembre nella sala cinematografica «20 ottobre»116.
La concomitanza di questi fattori richiese, da parte del governo,
l’adozione di misure straordinarie, volte principalmente a garantire la
sicurezza dei confini, reprimere i disordini interni e rafforzare l’a-
zione diplomatica con i Paesi non allineati. La percezione di un im-
minente attacco militare alla Jugoslavia da parte dei Paesi del Blocco
sovietico era più che reale, come si evince dai rapporti del Comitato
Centrale e in particolare dalla trascrizione dell’incontro tra Tito e
Ivan Benediktov, ambasciatore sovietico a Belgrado, nove giorni dopo
l’invasione della Cecoslovacchia117.
Ulteriori passi in avanti nel processo di affermazione nazionale dei
musulmani bosniaci furono compiuti nelle prime settimane del 1970.
In vista del quarto censimento della popolazione, la Lega dei comu-
nisti avviò alcune importanti riflessioni sulla questione nazionale mu-
sulmana, nel corso di tre distinti appuntamenti: il 14 gennaio, du-

116
“Oslobođenje”, 31 maggio 1968, anno XXV, n. 7179, p. 5; “Oslobođenje”,
24 novembre 1968, Anno XXV, n. 7357, p. 1.
117
(ABH) ACKSKBiH 1968 str. Pov. […] a intervenciji u ČSR, NN. Strogo
Povjerljivo 221, Centralni Komitet Saveza Komunista Jugoslavije, str. Pov. 03-14/1,
6 septembra 1968. god. Materijale sa zajedničke sednice Predsedništva i Izvršnog Ko-
miteta Centralnog Komiteta SKJ održane 2 septembra 1968. godine, p. 18; ABH
ACKSKBiH, K. NN, Strogo Povjerljivo […] o intervenciji u ČSR, CKSKJ, Strogo
pov. br. 03-14/1, 6 septembar 1968. god. Beograd. Materijal sa zajedničke sednice
Predsedništva i Izvršnog Komiteta Centralnog Komiteta SKJ održane 2.septembra
1968. godine. Beleška o prijemu sovjetskog ambasadora kod Predsednika Tita, 30.
avgusta 1968, pp. 1-18, Brioni 31 avgusta 1968. Ad un punto del discorso, Tito, ri-
volgendosi all’ambasciatore russo, disse: «I popoli della Jugoslavia hanno combat-
tuto contro il fascismo. La Jugoslavia ha avuto un milione e settecentomila vittime.
Siamo pronti anche oggi al sacrificio se si mette in pericolo la nostra indipendenza
e la nostra via autonoma per l’edificazione del socialismo. Qualora la Jugoslavia fosse
minacciata, come da Oriente così da Occidente, essa si difenderà risolutamente. Se
l’attacco alla Jugoslavia arrivasse da Occidente, così come da Oriente, la Jugoslavia
combatterà risolutamente per la difesa della sua indipendenza. Su questo non si può
dubitare».

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Immaginare la Nazione 189

rante i lavori della seduta ordinaria del CKSKBiH; il 16 gennaio, nel


corso delle consultazioni del «gruppo di lavoro per le nazionalità e
i gruppi etnici» della Presidenza dello SKJ, e quindi, il 18 febbraio
in occasione della seduta ordinaria dello SKJ. Le indicazioni emerse
nel corso di questi incontri furono recepite e riformulate dall’Istituto
di Statistica per il censimento del 31 marzo 1971118.
Riguardo la posizione dei musulmani, Ibrahim Laftić, direttore
dell’Istituto di Statistica, in un rapporto inviato ai vari organi politici
e governativi, scrisse: «i Musulmani si dichiarano liberamente nel senso
nazionale. Nell’imminente lavoro politico in occasione del censimento
è necessario spiegare che in questo caso non si esprime l’appartenenza
religiosa, in modo che si possano distinguere gli appartenenti della
comunità religiosa islamica che si sentono e si dichiarano Macedoni,
Albanesi, Serbi, Montenegrini, Croati, da coloro i quali si conside-
rano Musulmani in senso nazionale»119. Questa importante distinzione
era stata in qualche modo anticipata, pochi mesi prima, dall’ulema
Husein Đozo, una delle figure più autorevoli della Comunità reli-
giosa islamica in Bosnia-Erzegovina: «da ora il concetto musliman
non designa più solamente colui che appartiene alla fede islamica, ma
colui che appartiene alla nazione musulmana, a prescindere se si tratti
di un credente oppure no»120.
Nel censimento del 1971 fu quindi introdotta la categoria «Mu-
sulmano in senso nazionale» (Musliman u smislu narodnosti). Con
questa importante decisione, gli organi governativi legittimarono for-
malmente la «nascita» della nazione musulmana, la sesta nazione co-
stituente della Repubblica socialista federativa di Jugoslavia121. Il 31

118
Socijalistički savez radnog naroda Jugoslavije (Lega socialista del popolo la-
voratore della Jugoslavia)
119
AJ KPR 2-4-b/45 27. I-18. VII 1970. br. 762/1 9. II 1971, Pripreme za po-
pis stanovništva i stanova u 1971. godini.
120
H. Đozo, Islam i Musliman, in Glasnik Vrhovnog islamskog starješinstva u
SFRJ, XXXIII/5-6, maggio-giugno 1970, pp. 201-206, p.205. Sulla vita di Husein
Đozo si rimanda alla biografia di E. KariÊ, Husein Đozo, Dobra Knjiga, Sarajevo,
2010.
121
La scelta della denominazione da utilizzare per la componente nazionale mu-
sulmana fu il risultato di lungo dibattito che vide schierarsi da una parte i sosteni-
tori del termine Musliman e dall’altra coloro favorevoli all’alternativa Bošnjak. Nel
1971 la scelta cadde quindi sull’etnonimo Musliman. Nel 1993, il Bošnjački sabor (il
consiglio dei bošnjaci) decise di abbandonare l’etnonimo Musliman/Muslimani a fa-
vore di Bošnjak/Bošnjaci. Cfr. X. Bougarel, Od ‘Muslimana’ do ‘Bošnjaka’, pitanje

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190 Giulio M. Salzano

marzo 1971, in Bosnia-Erzegovina furono censiti 1.482.430 Musli-


mani, 1.393.148 serbi e 772.491 croati122. Da quel momento, dunque,
i musulmani si affermarono quale il gruppo nazionale più numeroso
della Bosnia-Erzegovina; un primato che avrebbero mantenuto sino
e oltre la dissoluzione della Jugoslavia. Tre anni dopo, nel febbraio
del 1974, la costituzione della Repubblica Socialista di Bosnia-Erze-
govina sancì, sul piano giuridico, l’inclusione della nazione musul-
mana nel novero delle nazioni costituenti della SFRJ123. Fu l’inizio di
«una nuova era politica per la Repubblica socialista della Bosnia-Er-
zegovina e per l’intera Jugoslavia»124.

6. Conclusioni. – Come suggerisce Iva Lučić «al posto di un’i-


dentità nazionale musulmana e di una politica nazionale all’interno
della Lega dei comunisti (SK), si dovrebbe discutere delle identità dei
Musulmani […] e allo stesso modo delle [differenti] politiche/posi-
zioni dei membri dell’SK»125. La nazionalizzazione dei musulmani
bosniaci, infatti, fu l’esito di un approccio politico diversificato nel
tempo, discontinuo, spesso contraddittorio, che vide impegnati in un
costante confronto, non privo di tensioni, diversi esponenti del par-
tito, i rappresentanti del mondo accademico e delle istituzioni reli-
giose islamiche. Ad essere escluse dal dibattito, paradossalmente, fu-
rono proprio le «silenti» masse musulmane, che subirono le decisioni

nacionalnog imena bosanskih muslimana, in Rasprave o nacionalnom identitetu


Bošnjakać, cit., pp. 117-136.
122
Popis Stanovništva, domačinstava i stanova u 1971 godini. Nacionalni Sastava
Stanovništva SFR Jugoslavije. Podaci po naseljima i opštinama, Libro II, Savezni Za-
vod za Statistiku, p.11. I bosniaci che si erano identificati come «Jugoslavi» furono
43.796, mentre la categoria «altri» registrò 54.246 adesioni; in termini di percentuali,
i Musulmani risultarono essere i più numerosi anche nel successivo censimento del
1981 e nel più recente censimento del 2013. Cfr. Popis Stanovni_tva, domačin-
stva/kuÊanstva i stanova u Bosni i Hercegovini 2013. godine. Konačni rezultati, Bo-
sna i Hercegovina, Federalni zavod za statistiku, Sarajevo, 2016.
123
Costituzione della Repubblica Socialista di Bosnia-Erzegovina del 1974 (Ustav
SRBiH 1974), in Službeni list SR Bosna i Hercegovina 1974, p. 90 e seg., n. 4; 25
febbraio 1974; H. Kamberović, op. cit., pp. 59-81; Š. Filandra, Bošnjačka politika u
XX stoljeću, Biblioteka Posebna izdanja, Sarajevo, 1998, pp. 229-240.
124
I. Lučić, Političke kontroverse o popisu stanovništva 1971. godine, in T. Jako-
vina (cur.) Hrvatsko Proljeće 40 godina poslije, Zagreb, 2012, pp. 225-243, p. 243.
125
I. Lučić, Stavovi centralnog komiteta Saveza komunista Jugoslavije o nacio-
nalnom identitetu Bosanskih Muslimana/Bošnjaka. Između afirmacije, negacije i kon-
fesionalne artikulacije, in Rasprave o nacionalnom identitetu Bošnjaka, Sarajevo: In-
stitut za istoriju, Sarajevo, 2009, pp. 97-115, p.114.

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Immaginare la Nazione 191

imposte da un’esigua minoranza politica. Si trattò dunque, anche nel


caso della nazione musulmana, di un fenomeno «duale», prodotto es-
senzialmente dall’alto, che, come avverte Eric Hobsbawm, per essere
ben compreso, andrebbe indagato anche dal basso, ossia «in termini
di assunzioni, speranze, esigenze, aspettative e interessi della gente
comune, che non sono necessariamente nazionali, e ancor meno na-
zionalistici […] Questa visione dal basso – aggiunge Hobsbawm – è
estremamente difficile da indagare»126.
Dopo l’iniziale entusiasmo manifestato durante la lotta popolare
di Liberazione, al quale fece però seguito l’intensa attività repressiva
che contraddistinse l’immediato secondo dopoguerra jugoslavo, le ra-
gioni che spinsero i comunisti a riconsiderare la questione nazionale
musulmana da una prospettiva diversa furono molteplici non sempre
dipendenti dall’esclusiva volontà delle parti sociali coinvolte. Anthony
Smith ha puntualizzato i caratteri generali del nazionalismo inteso
come fenomeno politico, in uno dei passaggi conclusivi del suo la-
voro dal titolo Le origini etniche delle nazioni: «La creazione-di-na-
zioni è un’attività ricorrente, che dev’essere rinnovata periodicamente.
Essa comporta incessanti reinterpretazioni, riscoperte e ricostruzioni;
ogni generazione deve riplasmare le istituzioni e i sistemi di stratifi-
cazione nazionali alla luce dei miti, memorie, valori e simboli del
“passato” in modo che possano soddisfare al massimo i bisogni e le
aspirazioni delle sue istituzioni e dei suoi gruppi sociali dominanti.
Perciò quella attività di riscoperta e reinterpretazione non è mai né
completa né semplice ma è il prodotto di dialoghi continui tra i gruppi
sociali e le istituzioni più importanti entro i confini della “nazione”,
e risponde ai loro ideali e interessi così come sono percepiti»127.
L’inattesa apertura al dialogo da parte delle istituzioni politiche e
delle autorità governative nei confronti della componente religiosa bo-
sniaco-musulmana fu determinata, in primo luogo, da un’accurata pia-
nificazione strategica, messa in atto dai vertici della Lega dei comu-
nisti, dinanzi alle vicende di politica estera successive alla crisi del Ko-
minform (1948) e agli importanti sviluppi dell’attività diplomatica con
i Paesi islamici non allineati. Ciò avrebbe favorito, a partire dalla se-
conda metà degli anni Cinquanta, una decisa quanto inevitabile di-

126
E.J. Hobsbawm, Nazioni e nazionalismi dal 1870. Programma, mito e realtà,
Einaudi, Torino, 1991 (2002), pp. 12-13.
127
A.D. Smith, Le origini etniche delle nazioni, il Mulino, Bologna, 1998, p. 422.

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192 Giulio M. Salzano

stensione dei rapporti tra il partito e i vertici della Comunità reli-


giosa islamica.
«Fino al 1963 – scrive Sabrina P. Ramet – la Jugoslavia fu uno
stato centralizzato con una patinatura federale»128. La caduta di Ranko-
vić nel 1967, uno dei maggiori oppositori dell’affermazione nazionale
dei musulmani bosniaci, e l’ascesa dei comunisti «liberali» in alcune
posizioni chiave delle istituzioni politiche e governative, coincise con
una maggiore apertura del governo alle istanze provenienti dalle sin-
gole repubbliche. Nei cinque anni successivi all’esautorazione del capo
dell’UDB-a e vice-presidente della Jugoslavia, la questione nazionale
musulmana entrò nella sua fase decisiva. Le vicende geopolitiche re-
gionali, le tensioni interne al partito e i frequenti episodi di «sciovi-
nismo e nazionalismo», che nel corso degli anni Sessanta attraversa-
rono la Bosnia-Erzegovina e diverse altre regioni della Federazione,
non fecero altro che accelerare un processo politico già in atto.
Nel maggio del 1968, i comunisti bosniaci espressero una posi-
zione chiara e indubbia riguado la questione nazionale bosniaco-mu-
sulmana: «I musulmani sono una nazione distinta». Le indicazioni
politiche del partito furono convogliate prima nel censimento del 1971
e successivamente nella Costituzione bosniaca del 1974. Non poteva
essere altrimenti. Ogni opposizione, come abbiamo visto, fu stron-
cata sul nascere. Il censimento fu uno degli strumenti con cui il go-
verno federale jugoslavo, come nel caso dello stato coloniale otto-
centesco analizzato da Benedict Anderson «generò – inconsapevol-
mente – la grammatica dei nazionalismi che alla fine gli si rivolta-
rono contro per combatterlo»129.
Con la Costituzione del 1974, i musulmani bosniaci avrebbero
potuto esercitare, almeno sul piano formale, alcune funzioni politico-
giuridiche, tra cui la sovranità territoriale, il diritto all’indipendenza
o alla secessione, essendo queste alcune delle prerogative riservate alle
nazioni costituenti della Repubblica socialista federativa di Jugosla-
via130.
Sulla base di tali diritti, il 25 gennaio 1992, la Presidenza della Bo-

128
S. P. Ramet, op. cit., p. 212.
129
B. Anderson, Immagined comunities. Refelctions on the Origin and Spread of
Nationalism, Verso, London-New York, 1983, 2nd edition, 1991 (ed. it. Comunità
immaginate. Origini e fortuna dei nazionalismi, Laterza, Bari-Roma, 2018, p. 5).
130
M. Snježana, Narodnost u popisimia. Promjenljiva i nestalna kategorija, Bi-
blid, 0038-982X 1-4, pp. 77-103, p. 82.

ISBN 978-88-495-4334-6 © Edizioni Scientifiche Italiane


Immaginare la Nazione 193

snia-Erzegovina, dinanzi agli imprevedibili sviluppi della pericolosa


crisi che si era aperta l’anno precedente con la dichiarazione d’indi-
pendenza della Slovenia e della Croazia, invitò l’Assemblea parla-
mentare a organizzare un referendum, per riaffermare la sovranità del
Paese e, allo stesso tempo, vagliare la possibilità di dichiarare l’indi-
pendenza da ciò che restava della Repubblica Socialista Federativa di
Jugoslavia. Il 29 febbraio e il primo marzo 1992, quasi due milioni
di cittadini (il 63.4 per cento dell’intera popolazione), su un totale di
circa 3.15 milioni di aventi diritto al voto, si recarono alle urne. Gran
parte dei serbi di Bosnia, su invito del Partito democratico serbo (Sr-
pska Demokratska Stranka), non prese parte alle votazioni, in quanto
considerava il referendum «un atto illegale e illegittimo»131. Il 99.7 per
cento, 1.986.202 cittadini, in larga maggioranza di nazionalità musul-
mana e croata, votarono per la sovranità e l’indipendenza della Bo-
snia-Erzegovina. Fu l’inizio del secondo atto della guerra civile in
Bosnia-Erzegovina, a distanza di quasi mezzo secolo dal precedente
conflitto.

131
The referendum on Indipendence in Bosnia-Herzegovina, February 29-March
1, 1992, Commission on Security and Cooperation in Europe, 102nd Congress, Ist
Session, p. 10.

© Edizioni Scientifiche Italiane ISBN 978-88-495-4334-6

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