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Deportati a Dachau.

Un caso studio di (in)giustizia ordinaria nell’Abruzzo


del secondo dopoguerra

Giulio Mario Salzano*

Alla luce dei recenti studi sulla giustizia di transizione, il saggio richiama l’attenzione su-
gli aspetti controversi di un procedimento giudiziario per collaborazionismo istruito presso la
Corte d’Appello dell’Aquila nell’autunno 1945. La ricerca, condotta su fonti archivistiche ine-
dite, ricostruisce gli avvenimenti che determinarono la deportazione di 383 detenuti e nove
civili dal carcere di Sulmona al Konzentrationslager di Dachau. L’analisi della vicenda pro-
cessuale consente di collocare il caso abruzzese, del quale la memoria pubblica non conserva
alcuna traccia, nel più ampio dibattito storiografico che ha indicato i limiti e le contraddizioni
della legislazione speciale per l’epurazione e la punizione dei crimini fascisti. Lo scavo archi-
vistico ha permesso inoltre di approfondire alcuni aspetti cruciali relativi alla mancata libera-
zione, in seguito alla caduta del fascismo, dei detenuti jugoslavi condannati dai tribunali mi-
litari di guerra, vittime della doppia deportazione: prima in Italia e, dopo l’8 settembre 1943,
nei campi di concentramento nazisti.
Parole chiave: Giustizia di transizione, deportazione, detenuti politici, partigiani jugoslavi,
Abruzzo, Konzentrationslager Dachau

Deported to Dachau. A case-study of ordinary (in)justice in the Abruzzi region after the
Second World War
In light of recent studies on transitional justice, this article examines the controversial aspects
of a justice procedure of collaborationism, instructed by the Aquila Court of Appeal in
the autumn of 1945. The research, carried out on previously unpublished archival sources,
analyzes the events that brought to the deportation of 383 detainees and nine civilians from
the prison of Sulmona to Dachau’s konzentrationslager. The analysis of the trial allows to
connect this specific case-study, of which there is no trace in public memory, to the wider
historiographical debate that has highlighted the limits and contradictions of the special
legislation aimed at purging and punishing Fascist criminals. This research has also shed new
light on certain crucial aspects concerning the failure, after the fall of the Fascist regime, to
release Yugoslav prisoners condemned by wartime military tribunals, who became victims of
a double deportation: first to Italy, and after September 8, 1943 to Nazi concentration camps.
Key words: Transitional justice, deportation, political prisoners, Yugoslav partisans, Abruz-
zo, Konzentrationslager Dachau

Saggio proposto alla redazione il 28 maggio 2020, accettato per la pubblicazione il 22 luglio
2020.
* Università degli studi “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara; mariogiuliosalzano@gmail.com

“Italia contemporanea”, dicembre 2020, n. 294 ISSN 0392-1077 - ISSNe 2036-4555


DOI: 10.3280/IC2020-294003
Copyright © FrancoAngeli
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Deportati a Dachau. Un caso studio di (in)giustizia ordinaria nell’Abruzzo del secondo dopoguerra 73

Premessa

La categoria concettuale della “giustizia di transizione” è stata coniata in


tempi relativamente recenti1 per descrivere i provvedimenti legislativi e, più in
generale, le “strategie di punizione” adottate nei confronti di coloro che, nel
corso di un conflitto, o come elementi di un regime politico autoritario, si sono
resi colpevoli di crimini particolarmente gravi2. Si tratta di “un concetto flui-
do che comprende approcci giuridici e non-giuridici”3 riservati a “coloro i quali
hanno gestito una posizione di potere violando sistematicamente diritti umani
fondamentali”4.
L’elemento distintivo della giustizia di transizione è il suo carattere di stra-
ordinarietà che in qualche modo determina una frattura nell’ordinamento giu-
ridico ordinario. Le procedure di giustizia adottate in determinati contesti5,
dunque, rappresentano uno dei tratti più incisivi della complessa e articola-
ta “gamma dei meccanismi” che accompagnano la “transizione di uno stato o
di una società da una forma di governo (solitamente repressiva) a un ordine più
democratico”6.
Pur presente in ogni epoca, tale prassi si affermò, con una maggiore sensibi-
lità rispetto alle soluzioni cruente del passato, solo nella seconda metà del No-
vecento, a partire dalle fasi conclusive del secondo conflitto mondiale7. Tut-
tavia, in ambito accademico, la diffusione dei transitional justice studies è
relativamente recente e il loro esordio ha coinciso, in buona sostanza, con
“l’ondata di transizioni democratiche” che sul finire del secolo scorso investì
numerosi Paesi, dall’Europa centro-orientale all’America Latina8.

1
Ruti G. Teitel, Transitional justice genealogy, “Harvard Human Rights Journal”, 2003, n. 16,
pp. 69-94; Paige Arthur, How ‘transitions’ reshaped human rights: a conceptual history of transi-
tional justice, “Human Rights Quarterly”, 2009, n. 2, pp. 321-367. L’espressione “transitional jus-
tice”, secondo l’autrice, sarebbe stata formulata per la prima volta da José Zalaquett e ripropos-
ta nell’articolo di Aryeh Neier, José Zalaquett & Adam Michnik, Why deal with the past, in Alex
Boraine, Janet Levy, and Ronel Scheffer Rondebosch (eds), Dealing with the past: truth and rec-
onciliation in South Africa, Institute for a Democratic Alternative for South Africa, 1994.
2
Cecilia Nubola, Paolo Pezzino e Toni Rovatti (a cura di), Giustizia straordinaria tra fasci-
smo e democrazia. I processi presso le Corti d’assise e nei tribunali militari, Bologna, il Muli-
no 2019, p. 12.
3
Kim Christian Priemel, Consigning justice to history: transitional trials after the Second
World War, “The historical journal”, 2013, n. 2, pp. 553-581.
4
Gabriele Fornasari, Giustizia di transizione (Diritto Penale), in Enciclopedia del Diritto,
Annali VIII, Milano, Giuffrè, 2015, pp. 547-570.
5
Andrea Martini, Dopo Mussolini, i processi ai fascisti e ai collaborazionisti (1944-1953),
Roma, Viella, 2019, p. 13. Nella categoria concettuale procedure di giustizia, l’autore racco-
glie tutte quelle “pratiche quali le esecuzioni sommarie, i riti simbolici […] i processi penali e le
concessioni di amnistie, grazie e liberazioni condizionali [che] segnarono la transizione”.
6
Catherine Turner, Deconstructing transitional justice, “Law critique”, 2013, n. 2, pp. 193-
209.
7
Cfr. G. Fornasari, Giustizia di transizione, cit., p. 548.
8
R. G. Teitel, Transitional justice genealogy, cit., p. 70.

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La formulazione e l’applicazione delle legislazioni speciali nei processi di


transizione non furono esenti da severe criticità, come è stato chiarito da una
consolidata letteratura storiografica sulle attività dei tribunali9. Diversi auto-
ri, infatti, hanno più volte richiamato l’attenzione sullo scarto che, nella giu-
stizia di transizione, generalmente sussiste tra le “istanze repressive e riconci-
liative”, cercando di individuare le principali tendenze che si affermarono in
Europa a partire dal secondo dopoguerra10. I poli entro i quali si sono configu-
rate le diverse forme di giustizia straordinaria possono essere rappresentati dai
modelli rieducativi del Belgio e dell’Olanda11 e dalle prassi “giustizialiste” ge-
neralmente adottate dai regimi dittatoriali dell’Europa centro e sud-orientale12.
Appartengono invece a tempi più recenti le “soluzioni pure” della Spagna post-
franchista e della Germania riunificata, la prima “totalmente fondata sulla ri-
nuncia del diritto penale, ma anche di qualunque altro intervento sanzionato-
rio”, la seconda “esclusivamente incentrata sulla leva dello strumento penale”.
Le recentissime esperienze riguardano da un lato le cosiddette “commissioni
per la verità”, che hanno accompagnato i processi di transizione in alcuni Pae-
si dell’America Latina, e l’applicazione del diritto internazionale come nel caso
delle risoluzioni Onu per gli Stati successori della Jugoslavia socialista13.
Ai “modelli puri” sembra contrapporsi, per certi versi, il “modello diacroni-
co” italiano, nel quale si possono rintracciare essenzialmente due fasi: la prima
“che ben poco spazio lasciava alla prospettiva del perdono e della riconciliazio-
ne”, la seconda, che coincise grossomodo con il provvedimento di amnistia del
Guardasigilli Togliatti (1946), teso sostanzialmente a rinsaldare l’unità socia-
le attraverso quello che si sarebbe poi rivelato un lungo e tortuoso percorso di
“pacificazione nazionale”14. Dalle condanne a morte eseguite nei poligoni di ti-

C. Turner, Deconstructing transitional justice, cit., p. 193.


9

Cfr. G. Fornasari, Giustizia di transizione, cit., p. 548.


10
11
Helen Grevers, Re-education in times of transitionale justice: the case of the Dutch and
Belgian collaborators after Second World War, “European Review of History: Revue europeé-
nne d’histoire”, 2015, n. 5, pp. 771-790.
12
Si veda, per esempio, Husnija Kamberović, Smrtne presude Vrhovnog Suda Bosne i Her-
cegovine iz 1945. godine (Condanne a morte dell’Alta Corte della Bosnia-Erzegovina dall’an-
no 1945) “Prilozi”, 2011, n. 40, pp. 157-170; Salih Jalimam, Politički osuđenici u Kazneno-po-
pravnom domu u Zenici 1945.-1954. (Condannati politici nella Casa di correzione di Zenica
1945-1954), “Društvena istraživanja. Časopis Pravnog fakulteta Univerziteta u Zenici», 2008,
n. 2, pp. 13-26.
13
Cfr. Sandra Cvikić, Dražen Živić, Između trancijske pravde i genocidi. Vukovar 1991
i Srebrenica 1995, in Hikmet Karčić (a cura di ) Sjećanje na Bosanski genocid. Pravda,
pamćenje i poricanje, (Tra giustizia di transizione e genocidio. Vukovar 1991 e Srebrenica
1995, in Ricordando il genocidio bosniaco. Giustizia, memoria, negazione), Institut za islamsku
tradiciju Bošnjaka, Sarajevo, 2017, pp. 317-348.
14
G. Fornasari, Giustizia di transizione, cit., pp. 552-553; Cecilia Nubola, Giustizia, perdo-
no, oblio. La grazia in Italia dall’età moderna a oggi, in Karl Härter, Cecilia Nubola, Grazia e
giustizia. Figure della clemenza fra tardo medioevo ed età contemporanea, Bologna, il Mulino,
2011, pp. 11-42.

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