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Ne vedevo passare, di carri, anche in città, non solo in domestiche e dei lavori agricoli. Invece, nel paratoio
campagna, tirati da due o da quattro buoi. posteriore, in alto, sempre dentro a un cerchio, era di-
Ne vedevo mentre li costruivano, perché nel Borgo pinta l’immagine della Madonna delle Grazie che te-
Durbecco di Faenza, dove ho sempre abitato, anni fa neva nelle mani due fasci di frecce spezzate. E poi, al
c’erano dei famosi “carradori”: i Grilli, detti “i centro in basso, il pezzo più straordinario: un giovane
Biundì”. E lavoravano all’aperto, lungo l’antica via San Giorgio con l’elmo, sul cavallo impennato, che tra-
Emilia. Il “carro” era il più imponente e il più impor- figgeva il drago sottostante.
tante degli attrezzi che il contadino usava per i suoi fa- Il “carro” romagnolo, pesante e lento, è il vero sim-
ticosi lavori. Una famiglia di campagna senza il “carro” bolo di un’epoca in cui la fatica e il tempo non avevano
era considerata una famiglia di disgraziati. Nei grandi nessun limite.
poderi ce n’erano addirittura due. Per il trasporto del
fieno, della canapa, del grano, dell’uva, del mosto den-
tro alle lunghe botti dette “castlé”, della legna; per tra-
sportare i mobili, quando la famiglia si trasferiva:
sempre il “carro” era il mezzo sicuro per questi servizi.
Quattro ruote di legno cerchiate di ferro, un lungo ti-
mone ligneo, nel quale si infilavano le famosissime ca-
vèie di ferro col giogo, il pianale del carro poteva
arrivare a tre metri di lunghezza, ma non è possibile
descrivere in breve tutte le parti dettagliate che lo com-
ponevano. Il “carro” dava il senso del monumentale e
del pittoresco. Perché, dopo che i carradori lo avevano
creato, diventava come una grande tela per i “dipin-
tori” - più di verniciatori, meno di pittori - che deco-
ravano il carro con incredibile arte. E la maestra
riconosciuta da tutti fu Maddalena Venturi di Grana-
rolo Faentino, morta nel 1935. A Granarolo, vera ca-
pitale romagnola del “carro”, vi erano e lavoravano
anche delle autentiche dinastie di “carradori”. Qui, na-
turalmente, parlo del classico “carro” romagnolo, un
attrezzo che in altre regioni, anche per ragioni geogra-
fiche, era del tutto sconosciuto. I colori erano vivacis-
simi, le ruote e i mozzi di un rosso scarlatto. Rosse
anche le altre parti, ma tutte decorate di disegni bian-
chi, verdi, turchini, gialli che rappresentavano fiori,
rami, foglie, festoni. Poi, in quegli autentici capolavori
che furono i “carri” di Maddalena Venturi, c’erano, im-
mancabili, tre figure di santi. Nel paratoio davanti,
dentro a un cerchio, la figura bonariamente barbuta di
Sant’Antonio abate, veneratissimo perché era conside-
rato il grande protettore della campagna, delle bestie
La storia del carro, come quella dell’aratro, ha radici anti- figli Francesco, Riccardo, Augusto - Altini Giovanni e fi-
chissime e, nel territorio faentino, ancora nel XX secolo (o glio Roberto - Bedeschi Eutimio e fratelli Ciro e Giulio -
almeno fino al secondo dopoguerra) troviamo una fio- Bedeschi Giulio e figli Antonio, Romolo e Teresio - Bede-
rente attività di produzione di carri che è localizzata pre- schi Lorenzo e figli Giuseppe e Francesco - Bedeschi Pie-
valentemente nella frazione di Granarolo Faentino, noto tro e fratello Gregorio - Bedeschi Serafino e fratello
come il paese dei carradori, di cui si hanno notizie fino Augusto - Geminiani Angelo e figlio Ercole - Venturi An-
dal Seicento. Anche presso il capoluogo Faenza hanno gelo e figli Giovanni e Domenico -Zaccaria Flavio e figli
operato alcuni artigiani carradori, ma la fama dei carradori Emilio e Giovanni).
granarolesi, che hanno raggiunto la cospicua presenza Ogni bottega si avvaleva poi dell’opera dei fabbri, che
contemporanea di ben dieci botteghe, negli anni 1920- erano quindi altrettanto numerosi, per la costruzione e
1930, emerge di gran lunga non solo nel faentino ma nel- lavorazione (a mano) delle parti metalliche; infatti, nella
l’intera Romagna. prima parte del secolo, sempre a Granarolo esercitavano
Infatti la produzione dei carri agricoli, come pure dei bi- altrettante numerose botteghe di fabbri (Ciani Desiderio
rocci ed altri mezzi di trasporto merci, non solo agricole, e figli Orfeo, Napoleone e nipote Enrico - Ciani Secondo
ma destinate al mercato del trasporto a traino animale (bi- e figli Gustavo, Adelasio e Bruno - Ciani Bruno – Morini
rocciai),aveva diversi centri in Emilia-Romagna, che si ca- Adelmo - Onestini Mario - Venturi Giuseppe - Zoli Ercole).
ratterizzavano per una diversa tipologia costruttiva in Fra le botteghe più antiche giunte ai giorni nostri, ricor-
funzione delle esigenze del territorio (pianura o montagna) diamo la Ditta Altini Ercole, nata nel 1770, e le Ditta Be-
e dei differenti sistemi agricoli. Ma l’arte dei carradori,per deschi Lorenzo e Figli, nata nel 1730.
molti secoli, fino al loro definitivo tramonto avvenuto con L’aspetto artistico, come si diceva, caratterizzante il plau-
l’affermarsi del pneumatico e della trazione meccanica stro granarolese, era rappresentato dalle decorazioni pitto-
anche in campagna, nel secondo dopoguerra, si distin- riche che in questa terra ha avuto come protagonista, per
gueva soprattutto per il diverso stile e per le decorazione una vita intera, Maddalena Venturi, nata a Granarolo nel
pittoriche del carro, nonché per le rifiniture e gli accessori 1860 da una famiglia di pittori e ivi morta nel 1935.
in ferro battuto; aspetti, questi, estremamente interessanti L’opera di questa artista, così come si può ben definire,
per lo studio della civiltà contadina e che coinvolgono oggi autodidatta, che ha trascorso la sua modesta vita fra il la-
numerosi collezionisti e cultori della materia. voro e l’assistenza ai fanciulli del paese – non aveva una fa-
Lo stile del carro granarolese nella sua fattura originale era miglia sua - è stata assimilata al gusto della pittura naïf.
diverso dai carri bolognesi,ferraresi o della Romagna Le decorazioni eranoricche di elementi floreali e di ispira-
orientale e si caratterizzava per una robusta struttura, una zione sacra, volte alla protezione dei campi e del bestiame;
elevata portata (fino a 40 o 50 q) ed una ricchissima deco- le più note e sempre presenti nei carri granarolesi erano S.
razione pittorica in tutte le sue parti, ma era meno prege- Antonio Abate, la Beata Vergine e S. Giorgio che, a cavallo
vole di quello bolognese quanto a intarsi del legno e arte del suobianco destriero, uccide il drago. Presso il capo-
del ferro battuto. Il carro agricolo, plaustro (dal latino luogo, a Faenza, si ricordano le botteghe dei Grilli e dei
plaustrum), a quattro ruote massicce in legno, rappresentava Dall’Agata, che avevano sede in Borgo Durbecco, ma che
anche il prestigio e la ricchezza della famiglia contadina non raggiunsero la fama dei colleghi granarolesi.
che lo possedeva e che spesso lo faceva decorare dal co- Da Faenza nel Novecento, L’Agricoltura di Flavio Ricci, Edit
struttore in modo particolare e personalizzato. Interes- Faenza 2003.
sante è il glossario dei termini tecnici, tramandati nei
secoli, usati per indicare le varie parti del carro, così come
gli accessori e gli attacchi per il collegamento col giogo dei
buoi per il traino, fra i quali spicca per importanza la “ca-
veja” assunta come simbolo della Romagna, con le sue va-
rianti decorative geografiche.
Le principali famiglie storiche di carradori granarolesi, al-
cune delle quali ancora presenti sul mercato avendo con-
vertito la produzione in quella di moderni rimorchi
agricoli, sono gli Altini, i Bedeschi, i Geminiani, ma Immagini tratte da: Francesco Melandri, Cultura Contadina,
l’elenco di seguito riportato indica le botteghe operanti Supplemento “In Rumagna” 1976/77, Giugno 1979 a Lugo di
nei primi decenni del secolo, che producevano,le più im- Romagna, Walberti Edizioni, presso la Biblioteca del Museo
portanti, settanta-ottanta carri all’anno (Altini Ercole e Agricolo e del Vino Ricci Curbastro.