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Internazionale 31/10/2018

ADATTAMENTO AL DIRITTO PATTIZIO/ dei TRATTATI


Per l’adattamento al diritto consuetudinario esiste in Italia una
norma costituzionale che lo consente, l’art 10 comma 1, che
prevede l’adattamento automatico.
Esiste una simile norma per l’adattamento ai trattati nell’
ordinamento italiano?
C’è l’art 117 comma 1, il 10 comma 2 e l’art 11. Però queste 3
disposizioni toccano la questione di cui oggi andiamo a trattare,
ma non la risolvono, non la esauriscono.
Il principio generale è che non esiste una norma costituzionale in
Italia che consente l’adattamento automatico e permanente a tutte
le norme pattizie.
Vi ho già presentato la teoria di un autorevole studioso, Rolando
Quadri, secondo cui l’art 10 comma 1 della Costituzione
adatterebbe anche tutti i trattati e non solo le consuetudini; perché
il principio su cui si fonda il diritto dei trattati è un principio di
natura consuetudinaria (facta sunt servanda); secondo lo studioso,
anche i trattati entrerebbero automaticamente nel nostro
ordinamento per il tramite dell’art 10 comma 1. Questa teoria non
è corroborata né da un’interpretazione letterale della norma,
perché l’art 10 comma 1 fa riferimento alle norme di diritto
internazionale generalmente riconosciute, il diritto dei trattati
invece è un diritto speciale non generale. In secondo luogo questa
posizione non è corroborata nemmeno dai lavori preparatori. Non
vi è dubbio che l’art 10 comma 1 non copra l’adattamento ai
trattati.
Di conseguenza, la modalità di adattamento dell’ordinamento
italiano ai trattati è lasciata alla discrezione del legislatore; quindi
occorre andare a verificare nella prassi quali sono i meccanismi
utilizzati dal legislatore italiano, affinché il nostro ordinamento si
adatti a un trattato di cui l’Italia è diventata parte.

Precisazione: da ora in poi si parlerà del ruolo del parlamento


relativamente all’incorporazione interna dei trattati. Si è visto però
anche il ruolo del parlamento relativamente alla stipulazione dei
trattati, non bisogna confondere questi 2 profili, perché sono due
profili diversi:

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quando si è parlato del diritto dei trattati, abbiamo sottolineato il
ruolo del parlamento nei trattati stipulati nelle materie rientranti
nell’art 80, e si è parlato della necessità per questo tipo di trattati
che vi sia una legge di autorizzazione alla ratifica e poi alla
successiva ratifica del presidente. Quindi l’emanazione di una
legge di autorizzazione alla ratifica produce un effetto sul piano
internazionaleà la legge di autorizzazione alla ratifica e la
successiva ratifica vincola lo stato italiano a quel trattato sul piano
internazionale. L’Italia a questo punto è vincolata sul piano
internazionale, ma non lo è sul piano del diritto interno, per questo
vi è la necessità dell’incorporazione del trattato nell’ordinamento
interno: perché l’operatore giuridico interno deve poter avere
conoscenza della norma internazionale, perché, al contrario di
quello che succede per il diritto consuetudinario, non esiste una
norma di adattamento automatico. Quindi come può l’operatore
giuridico interno venire a conoscenza e quindi applicare
internamente una norma che ha vita solo sul piano internazionale?
Per quanto riguarda i trattati, l’impostazione adottata dal nostro
ordinamento è di stampo dualista. Mentre per l’adattamento a
consuetudini possiamo parlare di un approccio monista; per
l’adattamento ai trattati ci troviamo di fronte a un dualismo,
quindi ad una separazione del trattato nella sua vita sul piano
internazionale rispetto all’operatività del trattato sul piano interno.
Il ponte tra i due ordinamenti, per quanto riguarda il trattato, viene
operato dal legislatore attraverso un atto di adattamento.

Sono due le modalità di adattamento ai trattati seguite dal nostro


legislatore:

1. Procedimento ordinario
2. Procedimento speciale di adattamento/tramite rinvio

1) Con il procedimento ordinario il legislatore emana un atto


normativo (il rango dell’atto normativo di adattamento dipenderà
dalla materia del trattato) che riformula le disposizioni del trattato,
e crea delle norme interne che corrispondono a quelle del trattato
in questione.
Abbiamo un atto normativo interno che è una sorta di fotocopia
più o meno fedele del trattato. Atto normativo che si distingue da
un altro atto normativo solo per la “casio legis”, ovvero
l’adattamento al trattato.
Questo tipo di adattamento è necessario qualora i trattati

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contengano disposizioni non self-executingà quelle che non sono
autosufficienti e quindi delle disposizioni che non possono avere
applicabilità diretta interna, ma che richiedono ad esempio
l’individuazione di un organo interno preposto a fare determinate
cose.
È chiaro che con questa modalità di adattamento, il trattato viene
congelato nell’atto normativo interno; e quindi il trattato può
essere applicato internamente solo nei termini recepiti nell’atto
normativo. Questo comporta degli svantaggi perché: qualora il
legislatore abbia travisato il contenuto di alcune o di tutte le
disposizioni del trattato, l’interprete è costretto ad applicare
comunque l’atto normativo, non può fare rinvio ai termini letterali
del trattato.
È un procedimento che offre anche alcuni vantaggi: i vantaggi
riguardano la certezza della disposizione da applicare; perché il
legislatore, quando riformula la norma, di solito la rende più
consona all’ordinamento interno. Inoltre l’atto normativo di
adattamento viene sganciato dalla vita del trattatoà perché,
quando il trattato viene riformulato internamente, qualunque
vicenda poi il trattato segua, queste vicende non producono alcun
effetto internamente, perché internamente abbiamo un atto
normativo nuovo, sganciato dal trattato.

2) Il secondo procedimento, che è quello più seguito, è definito


anche automatico, ma in un’accezione diversa rispetto
all’automaticità di cui abbiamo parlato in riferimento all’art 10
comma 1 della Costituzione. Mediante questo procedimento il
legislatore comunque interviene, ma si limita ad ordinare
l’osservanza del trattato internazionale. Sempre attraverso
l’emanazione di una legge, o costituzionale o ordinaria, Il
legislatore si avvale di una formula che è sempre ugualeà “piena e
intera esecuzione è data al seguente trattato” e poi si allega il testo
del trattato, cioè il testo quale firmato dal plenipotenziario
italiano.
Per questo viene chiamato procedimento speciale o tramite rinvio,
perché non si riformulano le disposizioni del trattato, ma si allega
direttamente il testo del trattato.
ES: legge 130 del 2 agosto del 2008, con cui l’ordinamento
italiano si è adattato al trattato di Lisbona, quello sull’UE: art 2à
“piena ed intera esecuzione è data al trattato di cui all’art 1”. La
legge, che di solito è una legge ordinaria, viene denominata

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“adattamento tramite ordine di esecuzione”. In questo caso e come
frequentemente avviene, nella stessa legge è contenuto
l’autorizzazione alla ratifica e l’ordine di esecuzione. Quelli che
sono due procedimenti distinti logicamente, in realtà nella prassi
italiana sono quasi sempre contenuti nel medesimo atto
normativo. Le camere autorizzano la ratifica e danno l’ordine di
esecuzione al trattato di solito con lo stesso atto normativo.
È chiaro che questo è un procedimento preferibile in presenza di
disposizioni pattizie “self-executing”.
I vantaggi del procedimento sono: il fatto che il procedimento non
congela la norma internazionale, perché la legge avrà vita interna
nella misura in cui ha vita il trattato internazionale; questa
modalità di adattamento consente al legislatore interno di seguire
la vita internazionale del trattatoà se il trattato si è estinto sul
piano internazionale, anche l’operatore interno non potrà più
applicarlo, perché si fa rinvio a un atto che non è più esistente.

-Cosa succede qualora l’Italia abbia stipulato, seguendo la


procedura prevista in Costituzione, un trattato, ma il trattato poi
non è stato incorporato internamente?
In questo caso quel trattato non ha valore internamente. Secondo
una parte della dottrina forse questo trattato può costituire un
criterio interpretativo delle norme interne: nel senso che si
potrebbe richiedere all’interprete che, alle norme interne
eventualmente contrarie al trattato, sia data un‘ interpretazione il
più possibile conforme con il trattato stesso. Ma certo non c’è
modo per far valere gli eventuali obblighi direttamente
nell’ordinamento.

-Che conseguenze può comportare la mancata incorporazione


interna di un trattato, da parte dell’Italia, sul piano internazionale?
Dal punto di vista dell’ordinamento internazionale non c’è un
obbligo di adattamento; però qualora, nel caso di adempimento a
un obbligo contenuto nel trattato, l’Italia non sia in grado di
adempiere al trattato per mancanza dell’incorporazione interna, la
conseguenza è l’insorgenza della responsabilità internazionale
dell’Italia. L’Italia avrà comunque commesso un illecito
internazionale, perché non può addurre a giustificazione del
mancato adempimento di un trattato il fatto che il trattato non è
stato incorporato internamente, perché magari la legislatura è
terminata prematuramente, a causa dell’art 27 della convenzione
di Vienna, che riguarda specificamente il diritto dei trattati.

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In alcuni casi il nostro ordinamento adotta entrambe queste
modalità. ES: la convenzione per la prevenzione e repressione del
genocidio del 1948. Al trattato è stata data esecuzione
(adattamento tramite rinvio) con legge ordinaria, la legge 153 del
1952; ma vi è stata anche un’altra legge, la 262 del 1967, perché
con questa legge si prevedono le specifiche fattispecie di reato e le
relative pene. In questo caso è una legge ordinaria che segue la
modalità della riformulazione, perché le norme relative alle pene
non erano sempre executing, richiedevano l’intervento del
legislatore, che quindi ha previsto le pene specifiche con questa
legge (modalità ordinaria di adattamento).
Questo caso è interessante perché sempre nel ’67 il legislatore è
intervenuto con legge costituzionale, la numero 2 del 1967; perché
la convenzione sul genocidio prevede l’estradabilità anche di
cittadini accusati di atti di genocidio, quindi si pone il problema
della configurabilità del genocidio come reato politico. Ai sensi
dell’art 10 comma 3 e 26 della Costituzione non è possibile
l’estradizione dei cittadini per reati politici. Nel ’67 con legge
costituzionale il legislatore è intervenuto affermando che: atti di
genocidio non sono qualificabili come reati politici.
In questo modo si dà esecuzione a una rilevante parte della
convenzione sul genocidio e quindi consentendo l’estradabilità di
un cittadino italiano per atti di genocidio.

RANGO DELLE NORME PATTIZIE IMMESSE NEL


NOSTRO ORDINAMENTO.
Le norme pattizie hanno lo stesso rango dello strumento
normativo con cui è effettuato l’adattamento.
Come si risolve l’eventuale conflitto tra un trattato e norme
interne successive di pari rango?
Ci sono due criteri interpretativi:
1) Criterio di presunzione di conformità al trattato= la
presunzione opera nel senso che il legislatore, nel porre in
essere norme successive incompatibili con il trattato, non
volesse ad esso derogare; l’interprete deve cercare la
soluzione che meglio si concilia con il rispetto degli obblighi
internazionali.
2) Criterio di specialità= la specialità può essere fatta valere
“ratione materiae”, “ratione personarum”, oppure può essere
legata al procedimento di adattamento. Vi è anche, con
riferimento ai trattati, un altro criterio di specialità, quello

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“sui generis”: secondo questo criterio, l’adattamento al
trattato indica la volontà di disciplinare quella certa materia
con norme internazionali e non norme interne.
La specialità sui generis del trattato fa leva sul fatto che il
legislatore, se avesse voluto disciplinare quella materia con
norme interne, l’avrebbe fatto. Se poi successivamente il
legislatore vuole derogare alle norme pattizie dovrà farlo
espressamente, cioè dovrà espressamente stabilire che la
legge o l’atto normativo successivo mira proprio a derogare
alla legge di adattamento di quel trattato. Non si può
derogare al trattato solo per una svista del legislatore.

PREVISIONE COSTITUZIONALE
I 3 articoli della costituzione che prevedono una garanzia
costituzionale per i trattati:
Art 10 comma 2: “la condizione giuridica dello straniero è
regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati
internazionali”.
Qui il problema che si pone è definire quali sono le materie
coperte dalla disposizione. La dottrina su questo punto non è
unanime:
- Secondo alcuni (visione maggioritaria), la norma copre solo i
trattati che pongono norme in materia di trattamento degli
stranieri. Quindi sarebbe un ambito molto delimitato.
- Secondo altri, oggigiorno la materia del trattamento degli
stranieri è stata fatta propria dall’ambito più ampio dei diritti
umani. Quindi tutti i trattati sui diritti umani avrebbero
copertura costituzionale. È un’impostazione minoritaria e
questa posizione non è stata avvallata nemmeno dalla nostra
Corte Costituzionale.

Art 11: “L’Italia consente, in condizioni di parità con gli altri


Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento
che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e
favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.
La disposizione copre si alcuni trattati, ma una categoria limitata:
ovvero i trattati istitutivi di organizzazioni internazionali che
promuovono la pace e la giustizia tra le nazioni. Questi trattati
avrebbero una speciale resistenza all’abrogazione, perché hanno
copertura costituzionale.
L’articolo è stato introdotto in Costituzione avendo in mente

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l’entrata dell’Italia nell’ONU, ma è anche stato utilizzato in
riferimento ai trattati istitutivi dell’UE e prima della comunità
europea.

Art 117 comma 1: come è stato novellato nel 2001. “La potestà
legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto
della Costituzione, nonchè dei vincoli derivanti dall'ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali”

Vi è una divisione della dottrina su due interpretazioni:


1) Secondo la prima impostazione, questa disposizione innova
completamente la materia: perché introduce un vincolo
generale della legge ordinaria al rispetto degli obblighi
internazionali e siccome non si qualificano questi obblighi,
evidentemente devono essere inclusi anche gli obblighi
pattizi, derivanti dai trattati; da ciò deriva l’illegittimità
costituzionale di una legge interna che confligge con gli
obblighi derivanti da un trattato.
Questa posizione è stata fatta propria dalla nostra Corte
Costituzionale in più sentenze; poi si ritiene chiarita nelle
sentenze gemelle 307 e 308 del 2007. Queste sentenze
avevano ad oggetto un trattato particolare, perché si trattava
della convenzione europea per i diritti dell’uomo. Secondo la
corte, le norme interne di attuazione della CEDU
costituiscono “norme interposte subordinate si alla
costituzione, ma di rango superiore alla legge ordinaria”. Le
norme di attuazione della CEDU sono norme interposte
perché si interpongono tra la costituzione e la legge ordinaria.
Quindi la corte costituzionale, da una parte ha voluto far salvi
i principi fondamentali della costituzione, ma dall’altra ha
previsto una forza particolare quantomeno per la
convenzione europea.
Successivamente, con sentenza 311 del 2009, la corte
costituzionale ha precisato che: prima di sollevare la
questione di costituzionalità, sta al giudice ordinario di
constatare se il conflitto tra la legge ordinaria e il trattato non
possa essere risolto in via interpretativa. L’ottica è quella di
limitare il più possibile il ricorso alla corte costituzionale per
eventuali eccezioni di costituzionalità.
Alle sentenze gemelle ha fatto riferimento il nostro capo
dello stato, in un messaggio alle camere del 27 ottobre del
2017: con questo messaggio il presidente ha rinviato alle

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camere una legge, quella del 3 ottobre 2017, per contrasto
con l’art 117. La legge in questione mirava a modificare la
norma interna italiana incriminatrice di fatti legati al
finanziamento di questo tipo di munizioni. La norma
prevedeva una sorta di derubricazione delle norme
incriminatrici. Secondo il capo dello stato, la legge violava
invece quanto previsto dai trattati in materia di munizioni a
grappolo e di mine anti uomo; pertanto le due previsioni
incriminatrici in questione sono il frutto dell’attuazione di
obblighi internazionali contenuti nelle convenzionià sono le
convenzioni relative alla messa a bando di mine anti uomo e
di munizioni a grappolo, entrambe ratificate dall’Italia, le
quali richiedono l’imposizione di sanzioni penali per
prevenire e reprimere qualsiasi attività vietata dalle stesse.
Pertanto il loro nucleo normativo non può venire modificato
senza che ne risulti leso direttamente il principio tutelato
dall’art 117, che prevede l’obbligo di esercitare la potestà
legislativa nel rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi
internazionali.
La corte costituzionale ha chiarito che l’art 117 è idoneo ad
attribuire una particolare posizione nel sistema delle fonti,
alle norme internazionali, quali norme interposte.
2) Secondo altri, l’art 117 non altera il rango delle norme
pattizie immesse, perché opera soltanto nell’ambito della
ripartizione delle competenze legislative fra stato e regione; è
una disposizione costituzionale che non ha a che fare con gli
obblighi internazionali tu cur.

ADATTAMENTO DELL’ORDINAMENTO ITALIANO


AGLI ATTI VINCOLANTI DELLE ORGANIZZAZIONI
INTERNAZIONALI.
La legislazione comunitaria ha applicabilità diretta nel nostro
ordinamento; ma questa è l’eccezione e non la regola. Questo
adattamento è previsto dallo statuto istitutivo dell’UE.
Se lo statuto istitutivo dell’organizzazione internazionale nulla
prevede rispetto alla diretta applicabilità negli ordinamenti interni
dei suoi atti vincolanti, occorre verificare se esiste una previsione
interna che disciplina l’adattamento. Vi sono alcuni stati, come
l’Olanda e la Spagna, che prevedono la diretta applicabilità degli
atti a seguito semplicemente della loro pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale. Ma la gran parte degli stati nulla prevedono

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riguardo a questo argomento.
Venendo all’Italia, nel silenzio della costituzione, bisogna
verificare qual è la prassi seguita dal legislatore italiano:
La prassi è nel senso di adottare atti di esecuzione ad hoc per ogni
singolo atto vincolante dell’organizzazione internazionale. L’atto
viene recepito internamente tramite il procedimento ordinario,
perché gli atti di solito non sono self-executing; ed è un
procedimento ordinario che di solito consiste nell’adozione di un
atto amministrativo e non legislativo.
La prassi è rilevante per l’applicazione degli atti vincolanti del
consiglio di sicurezza riguardanti l’art 41 della carta dell’ONU,
embarghi sulle armi, sui medicinali ecc. I problemi giuridici che
vengono in rilievo sono problemi simili a quelli già esaminati:
Cosa succede nel caso in cui manchi un atto di incorporazione
interna di una risoluzione vincolante? L’Italia si trova in una
posizione di responsabilità internazionale, ma l’operatore
giuridico interno non può far altro che non dare seguito a quella
risoluzione.
C’è una visione minoritaria secondo la quale l’operatore giuridico
interno dovrebbe applicare comunque l’atto vincolante
internazionale, anche in assenza di un atto interno di
incorporazione, in virtù del fatto che l’Italia ha ratificato il trattato
istitutivo.

PRINCIPIO DELL’ASSOLUZIONE PACIFICA DELLE CONTROVERSIE


INTERNAZIONALI.
DEFINIZIONE DI CONTROVERSIA: la definizione di
controversia, ai sensi dell’ordinamento internazionale, è stata data
per la prima volta dalla corte permanente di giustizia
internazionale nel 1929, nel caso Mavrommatis: secondo questa
definizione la controversia internazionale è un disaccordo su un
punto di fatto o di diritto, oppure un’opposizione di tesi giuridiche
o di interessi tra due o più soggetti internazionali.
È una definizione celebre ma estremamente ampia che
condurrebbe a configurare una sorta contenzioso permanente,
perché un’opposizione di interessi tra due o più soggetti
internazionali è continua. Quindi la corte internazionale di
giustizia, che è succeduta a quella permanente, ha poi precisato
nel caso del sud-ovest africano: che, perché si abbia una
controversia internazionale, non è sufficiente dimostrare che ad
esempio gli interessi delle parti sono in conflitto, ma bisogna

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dimostrare che la pretesa di una parte si scontra con l’opposizione
manifesta dell’altra.

Posta questa definizione di controversia, ci si domanda come


classificare le controversie internazionali. Solitamente si distingue
tra:
1) Controversie giuridiche=sarebbero giustiziabili al contrario
di quelle politiche.
2) Controversie politiche
Qual è il criterio per distinguere tra controversie giuridiche o
politiche?
Si ritiene che sia la ragione della pretesa o la ragione sottostante
all’opposizione a questa pretesa: se la ragione è giuridica, la
controversia è giuridica; viceversa se la ragione è politica, la
controversia sarà politica.
Questa distinzione è molto importante, perché abbiamo almeno
due trattati molto importanti che contemplano questa distinzioneà
gli articoli sono l’art 36 par 2 dello statuto della corte
internazionale di giustizia e l’art 36 par 3 della carta
dell’ONU:
• Ai sensi dell’art 36 par. 2 dello statuto della corte
internazionale di giustizia, la corte può conoscere solo di
controversie di natura giuridica.
• Ai sensi dell’art 36 par. 3 della carta dell’ONU, il consiglio di
sicurezza “deve tenere presente che le controversie giuridiche
devono essere di regola deferite alla corte internazionale di
giustizia”.
C’è quindi una sorta di riparto di competenzeà le controversie
politiche saranno definite dal consiglio di sicurezza e quelle
giuridiche saranno definite dalla corte internazionale di giustizia.
Posta questa distinzione, evidentemente non è sempre facile
distinguere in base alla natura della controversia. Nella prassi
della corte internazionale di giustizia, questo organo giudiziario
non ha mai rigettato una controversia in ragione della sua natura
politica.
-La soluzione delle controversie internazionali può avvenire
secondo 2 MODALITA’:
1) Attraverso il ricorso ai mezzi diplomatici di soluzione della
controversia.
2) Attraverso il ricorso ai mezzi giudiziari di soluzione della
controversia (ricorso al giudice)

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MEZZI DIPLOMATICI:
-la mediazione= è l’intervento di un terzo, di solito di una
personalità politica autorevole (capi di Stato, il papa, segretario
generale dell’ONU), il quale svolge la funzione di portare le parti
in controversia a sedere al tavolo dei negoziati e di guidare i
negoziati stessi. Il mediatore interviene quando la controversia ha
raggiunto un certo livello di acutezza; perché qualora la
controversia sia all’inizio o non riguardi una questione così
cruciale per le parti, il mezzo diplomatico di soluzione che si
adotterà è direttamente -la negoziazione fra le parti= le parti in
controversia si siederanno al tavolo dei negoziati, senza bisogno
che ci sia un terzo che medi. Quindi i negoziati sono il primo
mezzo di soluzione delle controversie.
- L’inchiesta= è un mezzo diplomatico di soluzione della
controversia particolare, perché non mira a portare le parti al
tavolo negoziale, ma mira all’accertamento dei fatti. Anche in
questo caso abbiamo un terzo, un collegio di individui, spesso le
commissioni d’inchiesta sono create dal consiglio di sicurezza
delle Nazioni Unite, con il mandato di stabilire come sono andati i
fatti. Ad esempio, per quando riguarda la guerra in Siria, è stata
formata dall’ONU una commissione d’inchiesta che ha presentato
vari apporti e che mira a stabilire a chi attribuire le violazioni del
diritto dei conflitti armati. L’accertamento dei fatti può essere
importante per indurre le parti a sedersi al tavolo delle trattative.
- La conciliazione= è operata da un terzo rispetto alle parti in
controversia, il terzo in genere non è un singolo individuo ma è un
collegio di conciliatori di solito in numero dispari, perché il
conciliatore propone dei termini di regolamento della
controversia. Al contrario del mediatore, il conciliatore già
propone come risolvere la controversia, quindi redigerà un
rapporto scritto molto dettagliato. Siamo sempre però nell’ambito
delle modalità diplomatiche di soluzione delle controversie e
pertanto sono modalità che NON SONO GIURIDICAMENTE
VINCOLANTI. Quindi anche l’operato dei conciliatori avrà
come risultato un rapporto che ha solo valenza raccomandatoria
per le parti. Qualora il rapporto poi non sia seguito, le parti non
commettono alcun illecito internazionale.

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