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CICLO DI LAVORAZIONE
Il ciclo di lavorazione comprende l’insieme delle lavorazioni subite dai materiali.
Nell’impianto entrano materie prime ed escono i prodotti: assai spesso, oltre ai prodotti,
escono dall’impianto anche sottoprodotti, impurezze, scarti; inoltre, ci sono delle perdite.
• Materie prime: costituiscono i materiali da cui si parte per effettuare le lavorazioni:
sono le materie che partecipano direttamente al processo di trasformazione. Esse
possono essere ottenute tal quali in natura (ad esempio, l’aria) oppure prodotte in
lavorazioni precedenti (ad esempio, l’ammoniaca).
• Prodotti: costituiscono l’obiettivo per cui è stato realizzato l’impianto e sono quindi
solo quelli il cui ottenimento è il fine della lavorazione. Esistono impianti che
producono un solo tipo di prodotto (ad esempio, urea) ed altri che ne producono una
certa gamma (ad esempio, le raffinerie, che producono GPL, benzina, gasoli, oli
combustibili, ecc.). Il valore commerciale dei prodotti è sempre e necessariamente
superiore a quello delle materie prime, altrimenti vengono meno i presupposti per la
realizzazione dell’impianto.
Come prodotti si possono avere prodotti finiti, che costituiscono direttamente ciò che
viene commercializzato all’utilizzatore finale, e semilavorati che, pur costituendo il
prodotto finale di un impianto, non sono commercializzati in quella forma e
necessitano di ulteriori lavorazioni, per cui costituiscono la materia prima per altri
impianti.
Come esempio di semilavorato si può citare la frazione C4, ossia costituita da
molecole con 4 atomi di carbonio (n-butano, i-butano, ecc.) del petrolio: essa
costituisce un prodotto finito della raffineria, se utilizzata come GPL (gas di petrolio
liquefatto), ma pure la materia prima per l’industria della gomma (butadiene). Il
prodotto di quest’ultima è ancora un semilavorato in balle che viene infine utilizzato
dall’industria chimico-manufatturiera per produrre pneumatici o altro.
• Sottoprodotti: sono materie utili in altri processi o comunque commercializzabili, il cui
ottenimento non costituisce tuttavia l’obiettivo dell’impianto. I prodotti si distinguono
dai sottoprodotti poiché l’impianto è finalizzato alla produzione dei primi e non dei
secondi. I sottoprodotti non sono quindi generalmente desiderabili ma
accompagnano necessariamente i prodotti e non si può evitare che si formino. Il loro
valore commerciale può essere inferiore a quello delle materie prime e di norma
esistono altre vie per ottenere queste sostanze in modo più economico, utilizzando
impianti finalizzati alla loro produzione, ossia in cui esse costituiscano il prodotto
desiderato.
• Impurezze: sono sostanze presenti in quantità molto piccole e che non risulta
conveniente recuperare.
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• Scarti: sono prodotti non conformi alle specifiche di commercializzazione (per
purezza, dimensioni, colore, ecc.)
• Perdite: sono determinate dal mancato recupero di materiale dovuto a fuoriuscita di
sostanze, imperfezioni nelle apparecchiature, ecc.
Come esempio di impianto dell’industria di processo si può considerare una raffineria.
La materia prima è un prodotto naturale, cioè il petrolio, da cui possono essere stati
eliminati l’acqua ed i gas più leggeri direttamente sul luogo di estrazione. Le raffinerie
con ciclo più semplice (a raffinazione) hanno come prodotti le frazioni leggere del
petrolio, quali il GPL, la benzina ed i gasoli e come sottoprodotto il residuo da vuoto
(olio combustibile). Le raffinerie petrolchimiche hanno come prodotto principale la “virgin
nafta”, che costituisce un intermedio per la produzione di etilene. Le impurezze sono
rappresentate da composti solforati (a meno che lo zolfo non superi il 4% poiché in tal
caso conviene recuperarlo: esso, in questo caso, diventa un sottoprodotto), composti
metallorganici, sali, ecc. Gli scarti sono dati, per esempio, dal gas di raffineria (fuel gas)
che non è economicamente conveniente separare nei singoli componenti né trasportare
per l’utilizzo in altro luogo e che viene semplicemente eliminato bruciandolo in torcia.
Come altro esempio si può considerare la produzione del fenolo a partire da cumene
(ossia isopropilbenzene) per ossidazione e successiva idrolizzazione, da cui si ottiene
fenolo e acetone. L’acetone costituisce un sottoprodotto che si può produrre, e in modo
assai più economico, in un certo numero di altre vie. Le impurezze sono costituite dai
prodotti più leggeri (ossia più volatili) del fenolo, come l’α-stirene, e quelli più pesanti
(ossia meno volatili) come il 2,3 isometilbenzene. Nella realizzazione di un processo,
occorre tenere presente che, oltre alle materie prime, per la realizzazione del processo
sono necessarie altre sostanze, come mostra la figura 1 [1] che riporta una serie di voci
in ingresso ed in uscita dal ciclo di lavorazione.
Figura 1 [1]
In ingresso, oltre alle materie prime, viste in precedenza, sono indicate le materie
ausiliarie ed i servizi di stabilimento. Le materie ausiliarie sono materie utili alla
realizzazione del processo, ma che non subiscono trasformazioni nel processo stesso,
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come catalizzatori, solventi, ecc. I servizi possono comprendere energia elettrica,
vapore, acqua industriale, azoto (o altro gas inerte), aria compressa e altro. L’energia
elettrica viene utilizzata per azionare macchine, il vapore d’acqua come fluido
riscaldante ed eventualmente per azionare turbine, l’acqua industriale come fluido
refrigerante, l’azoto come gas inerte, l’aria compressa per la pulizia e linee di controllo
pneumatico; si possono poi utilizzare combustibili, fluidi frigoriferi, ecc.
Analogamente, in uscita, oltre a prodotti, sottoprodotti, scarti e perdite, di cui si è già
detto, sono presenti i reflui (solidi, liquidi e gassosi), nonché altri sottoprodotti, quali
vapore o aria compressa, utilizzabili come fluidi di servizio altrove.
Va infine ricordato come in un impianto dell’industria di processo si possano svolgere
più lavorazioni, tra loro concatenate: soprattutto nella chimica primaria c’è la tendenza
all’aggregazione in impianti integrati (ad esempio Gela, Porto Torres, ecc.).
Figura 2 [2]
Figura 3 [2]
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Figura 4 [2]
Figura 5 [1]
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LAYOUT DEGLI IMPIANTI DELL’INDUSTRIA DI PROCESSO
Per layout di uno stabilimento si intende la disposizione in pianta delle varie zone,
lavorazioni e apparecchiature nell’ambito dell’impianto. Ciò in generale dipende da varie
considerazioni, per cui l’area fisicamente occupata dall’impianto è suddivisa in più zone
che hanno scopi ed estensioni diverse, come mostra la figura 6.
FA
CD caricamento/distribuzione
SE FA futuri ampliamenti
SE servizi di stabilimento
SMP SMP stoccaggio materie prime
UO
SPF SPF stoccaggio prodotti finiti
SS servizi sociali
CD UO unità operative
SS
Figura 6
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deformano elasticamente, bensì, accetta che in caso di esplosione si verifichino
deformazioni permanenti, purché la sala controllo non crolli. Ciò consente di
contenere i costi garantendo al tempo stesso la sicurezza degli operatori e dei
macchinari. Ovviamente, nel caso in cui si verifichi l’esplosione, la sala controllo si
danneggerà e andrà comunque ricostruita. Sia in caso di delocalizzazione che di
bunkerizzazione viene a mancare il contatto “visivo” tra l’operatore e l’impianto, a cui
si può ovviare utilizzando telecamere e monitor. La maggiore distanza dagli impianti,
in caso di delocalizzazione, costituisce tuttavia un disincentivo nei confronti
dell’effettuazione di controlli diretti sull’impianto da parte degli operatori, mentre
l’assenza di finestre, in caso di bunkerizzazione, contribuisce a creare un ambiente
di lavoro completamente artificiale che può risultare poco gradevole.
• Servizi di stabilimento: è l’area destinata alle cosiddette “utilities” (servizi). Essa
occupa il 20-30% del totale e comprende vari servizi, quali la centrale termica, i
trattamenti acque, i trattamenti dei combustibili, gli impianti frigoriferi, la produzione
di aria compressa e di gas inerte, i magazzini ricambi e l’officina meccanica.
La centrale termica produce vapore d’acqua in pressione che viene utilizzato come
fonte di calore nell’impianto: può essere presente anche la centrale elettrica, che è
quasi sempre termoelettrica. In questo caso, anziché fare due centrali separate, si
realizza una centrale termica di dimensioni maggiori e si invia parte del vapore
prodotto all’espansione in una turbina, azionando un alternatore con produzione di
energia elettrica.
I trattamenti acque riguardano l’acqua in ingresso allo stabilimento e variano con gli
usi per i quali essa viene utilizzata. Per quanto riguarda l’acqua di raffreddamento,
se essa è largamente disponibile è un fluido a perdere che lavora in ciclo aperto ed
è sottoposta a trattamenti minimi. Ad esempio, l’acqua di mare viene semplicemente
dissabbiata e ossidata per eliminare i composti organici. Se l’acqua invece non è
largamente disponibile, si lavora in ciclo chiuso, refrigerandola dopo l’uso in torri di
raffreddamento a contatto con aria (acqua industriale), e la depurazione viene spinta
maggiormente: si effettua una sedimentazione e trattamenti dolcificanti, ma il
trattamento riguarda solo l’acqua di reintegro (5-8%). L’acqua di alimentazione in
caldaia va invece come minimo deionizzata, o demineralizzata, se la caldaia lavora
a pressione elevata. Può essere necessaria acqua anche nel processo e allora i
trattamenti di depurazione potranno essere più spinti ma anche più selettivi. Nello
stabilimento serve poi acqua potabile, e una riserva di acqua antincendio.
Ci può essere anche una zona dedicata ai trattamenti delle acque reflue, se
necessari, prima della loro reimmissione nell’ambiente. I trattamenti possono essere
chimico-fisici e/o biologici e le vasche relative possono occupare un’area rilevante.
Tra i servizi di stabilimento trovano posto i trattamenti sui combustibili, e gli impianti
per fluidi frigoriferi, ossia che lavorano a temperatura inferiore a quella raggiungibile
con l’acqua (0°C). Tra essi si ricordano le salamoie, soluzioni di sali di calcio, e le
soluzioni di glicoli che consentono di arrivare fino a –10°C circa. Al di sotto di questa
temperatura si usano circuiti frigoriferi ad ammoniaca o con altri fluidi che, a
pressione atmosferica, bollono a bassa temperatura.
In questa zona c’è anche la produzione di aria compressa, utilizzata negli attuatori
delle valvole di regolazione automatica (a perdere) per pulizia o nel processo (ad
esempio nelle ossidazioni).
In alcuni casi ci può essere presente un impianto di produzione di gas inerti, come
azoto (N2) o anidride carbonica (CO2): la CO2 si utilizza solo se disponibile a basso
prezzo e sufficientemente pura. Per la produzione di azoto si può effettuare la
distillazione (frazionamento) dell’aria: da tale operazione si ottiene anche ossigeno
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(sottoprodotto) che può essere utilizzato, se serve come reagente nel processo, o
semplicemente reimmesso in atmosfera.
Il magazzino dei pezzi di ricambio contiene tutte quelle parti soggette ad usura (ad
esempio le guarnizioni) che potrebbe essere necessario sostituire più spesso
rispetto agli intervalli di tempo previsti per la manutenzione ordinaria dell’impianto (di
norma effettuata su base annuale) e le scorte dei componenti degli apparecchi (ad
esempio, valvole, tubi di scambiatori, ecc.). Le apparecchiature dal cui
funzionamento dipende quello dell’impianto e che possono essere soggette a guasti
(ad esempio le pompe) sono di norma “raddoppiate”, ossia si installano due
apparecchi identici, collegati tra loro in parallelo: un apparecchio è in funzione e
l’altro di riserva (in “stand-by”). In caso di guasto di quello che sta funzionando si
aziona immediatamente l’altro e, comunque, a intervalli di tempo regolari, viene
posto in funzione quello di riserva e portato in posizione di stand-by l’altro, in modo
da realizzare una usura uniforme per entrambi.
Nell’area servizi di stabilimento c’è anche un’officina meccanica con le attrezzature
per effettuare riparazioni più o meno impegnative. Tutte le lavorazioni che
comportano saldature in aree dove possono essere presenti prodotti infiammabili
sono soggette alla richiesta preventiva di un permesso di effettuare la lavorazione
che va firmato dal capo reparto.
• Area servizi sociali: copre una superficie molto limitata (2-3%) e comprende gli uffici,
i laboratori di analisi, la direzione, gli spogliatoi, la mensa.
• Zona caricamento e distribuzione: può arrivare a coprire fino al 10% dell’area dello
stabilimento e serve soprattutto se si producono prodotti finiti da commercializzare
direttamente.
• Area per futuri ampliamenti: viene spesso lasciata un’area in previsione di modifiche
di impianto o maggiore richiesta di prodotto.
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uno strato di circa 1 m di terreno. Questa sistemazione, che verrà esaminata in
dettaglio più avanti nel testo, protegge i serbatoi dalla radiazione termica nel caso si
verifichi un incendio nelle vicinanze, consentendo di disporre i serbatoi molto vicini
tra loro (come si nota dalla figura) con conseguente risparmio di ingombro nell’area
stoccaggio.
• impianti per caricare e scaricare materie prime e prodotti via mare e via terra
(tramite autocisterne e ferrocisterne), compresi, per quest’ultimo caso, piazzali di
sosta, attrezzatura per le operazioni di pesatura, di carico e scarico, uffici della
Guardia di Finanza, ecc.
• fabbricati, quali gli uffici, la sala controllo, le sale operatori, magazzini, officina, ecc.
La parte dello stabilimento tra la linea ferroviaria ed il mare ospita unità produttive,
serbatoi di stoccaggio, zone di carico dei prodotti ed alcuni edifici (uffici, sala controllo,
officine, ecc.); la parte dello stabilimento tra la linea ferroviaria e la strada statale ospita
principalmente serbatoi di stoccaggio.
STOCCAGGI STOCCAGGI
STOCCAGGI GPL
LINEA FS
STOCCAGGI
Figura 7 [3]
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PERICOLOSITÀ DEGLI IMPIANTI DELL’INDUSTRIA DI PROCESSO
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Per ogni categoria di sostanza è riportata, eventualmente in apposite note, cosa si
intenda effettivamente con la denominazione utilizzata.
Per le sostanze elencate singolarmente o per categoria, l’allegato I fornisce, in due
distinte colonne, le quantità limite di sostanza pericolosa, in tonnellate, da considerare
ai fini dell’applicazione degli art. 6 e 7 e dell’art.8: minore è il quantitativo riportato e più
“pericolosa” è la sostanza. Da questo punto di vista, le categorie di sostanze
maggiormente pericolose sono quelle molto tossiche (soglia a 5 t in colonna 2), seguite
da quelle esplosive e da quelle estremamente infiammabili (soglia a 10 t in colonna 2),
mentre quelle meno pericolose sono le sostanze infiammabili ed i liquidi facilmente
infiammabili (soglia a 5 000 t in colonna 2).
Gli articoli 6 e 7 riguardano, rispettivamente, la necessità che il gestore notifichi alle
autorità competenti l’attività svolta nello stabilimento e che predisponga un documento
che definisca la propria politica di prevenzione degli incidenti rilevanti, allegando il
programma adottato per il sistema di gestione della sicurezza, mentre l’art.8 richiede
che il gestore rediga un rapporto di sicurezza.
Il rapporto di sicurezza deve evidenziare che
• è stato adottato il sistema di gestione della sicurezza;
• sono stati individuati i pericoli di incidente rilevante, adottando le misure necessarie
a prevenirli e per limitarne le conseguenze per uomo e ambiente;
• la progettazione, la costruzione, l’esercizio e la manutenzione di quanto nell’impianto
sia in rapporto con i pericoli di incidente rilevante sono sufficientemente sicuri e
affidabili;
• sono stati predisposti i piani di emergenza interni e sono stati fornite alle autorità
competenti le informazioni per l’elaborazione del piano di emergenza esterno al fine
di prendere le misure necessarie in caso di incidente rilevante.
La definizione di “incidente rilevante” è fornita dall’art.3.1 “un evento quale
un’emissione, un incendio o un’esplosione di grande entità, dovuto a sviluppi
incontrollati che si verificano durante l’attività di uno stabilimento, di cui art.2 comma 1,
e che dia luogo ad un pericolo grave, immediato o differito, per la salute umana o per
l’ambiente, all’interno o all’esterno dello stabilimento, e in cui intervengano una o più
sostanze pericolose”.
Altri punti interessanti della normativa sono riportati nell’art.12, 13 e 14.
L’art.12 riguarda i cosiddetti “effetti domino” ossia l’innesco di effetti concatenati che
portano ad un aumento della scala di un incidente (ad esempio, la perdita di fluido
infiammabile da una tubazione, con formazione di un getto incendiato che causa il
cedimento di un grosso serbatoio che esplode). L’art.12 prevede che il Ministero
dell’Ambiente, sulla base delle informazioni ricevute dai gestori (art.6 e 8) individui gli
stabilimenti “per i quali la probabilità o la possibilità o le conseguenze di un incidente
rilevante possono essere maggiori a causa del luogo, della vicinanza degli stabilimenti
stessi e dell’inventario delle sostanze pericolose presenti in essi”, dove per “inventario”
si intende il quantitativo di sostanza presente nello stabilimento. L’autorità si accerta
anche che avvenga tra i gestori lo scambio delle informazioni necessarie a riesaminare
ed eventualmente modificare i rispettivi sistemi di gestione della sicurezza e piani di
emergenza interni.
L’art.13 riguarda le aree ad elevata concentrazione di stabilimenti, che il Ministero
dell’Ambiente deve individuare, coordinando lo scambio di informazioni necessarie ad
accertare natura ed entità del pericolo globale di incidenti rilevanti, e la predisposizione
di uno studio di sicurezza integrato dell’area.
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L’art.14 riguarda il controllo dell’urbanizzazione, a cura del Ministero dei Lavori Pubblici,
che deve stabilire, per le zone interessate da stabilimenti a rischio di incidente rilevante,
requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione territoriale, con riferimento alla
destinazione e utilizzazione dei suoli, che tengano conto della necessità di mantenere
opportune distanze tra gli stabilimenti e zone residenziali nonché degli obiettivi di
prevenire incidenti rilevanti o di limitarne le conseguenze.
Può infine essere utile ricordare che la normativa Seveso II non si applica (art.4.1) ad
una serie di insediamenti industriali, tra cui gli stabilimenti, impianti e depositi militari, il
trasporto di sostanze pericolose (compresi i depositi temporanei intermedi), industrie
estrattive e discariche di rifiuti.
SOSTANZE PERICOLOSE
Le caratteristiche di pericolosità delle sostanze dipendono da una o più proprietà di
pericolosità intrinseca, legate alle loro caratteristiche di tossicità e/o di reattività.
Riguardo alla tossicità i punti di interesse sono:
• tossicità acuta, subacuta e cronica
• potere corrosivo, irritante e cancerogeno
• tossicità riproduttiva
• mutagenesi
• risposte allergiche
• ecotossicità
• relazione dose-risposta e concentrazione-risposta
• tossicità sull’uomo derivata da osservazioni e verifiche epidemiologiche
Riguardo alla reattività, sono invece di interesse le problematiche di:
• esplosività
• infiammabilità
• incompatibilità
• formazione di composti pericolosi
• tendenza a dar luogo a reazioni esotermiche (che sviluppano calore)
Acetilene
L'acetilene (C2H2) viene prodotto dal cracking di idrocarburi: è molto reattivo per la
presenza del triplo legame (H-C≡C-H), per cui risulta infiammabile, esplosivo e instabile.
Infatti esso va incontro a decomposizione esplosiva (anche in assenza di ossigeno):
fattori scatenanti sono temperatura, shock meccanici o sostanze reattive. L'esplosione
causata da acetilene è particolarmente pericolosa se si verifica in tubazioni, poiché la
deflagrazione può trasformarsi in una detonazione, con un notevole aumento dell’onda
di pressione.
Nel materiale a contatto con l'acetilene non devono essere presenti rame e ottone che
possono formare composti molto esplosivi. L'acetilene reagisce violentemente con il cloro:
ciò porta problemi, ad esempio nel processo di produzione del cloruro di vinile per reazione
con HCl (prodotto da H2 e Cl2)
L'acetilene viene stoccato come gas (fino a 1000 m3) o in cilindri insieme ad acetone (es. per
la saldatura ossiacetilenica).
Idrogeno
Viene prodotto dal reforming di idrocarburi, da celle per la produzione di cloro, ecc. È un
prodotto altamente infiammabile e può esplodere, ma fortunatamente è molto più
leggero dell'aria e tende a salire e a disperdersi facilmente. Inoltre, le fiamme di idrogeno
hanno bassa emissività e irradiano meno calore (1/10) degli idrocarburi. Ciò è dovuto al fatto
che le fiamme di idrogeno non sono luminose: se è vero che la pericolosità si riduce per
effetto del minore irraggiamento, è anche vero che una piccola perdita incendiata potrebbe
non essere rilevata dagli operatori.
L'idrogeno a pressione e temperatura elevata causa la decarburazione e l'infragilimento
dell'acciaio al carbonio. Infine l'idrogeno presenta un effetto Joule-Thompson inverso (ossia
si riscalda quando viene espanso) per cui, in caso di depressurizzazione, può riscaldarsi fino
all'autoignizione
Ossido di etilene
Viene prodotto per ossidazione dell'etilene in fase vapore; si utilizza per produrre etilenglicol:
è tossico, infiammabile, esplosivo e instabile. A pressione ambiente bolle a 10°C; il TLV è 50
ppm, ma l'odore non si sente fino a 700 ppm; il liquido è caustico.
I vapori di ossido di etilene si decompongono in modo esplosivo anche in assenza di aria.
L'ossido di etilene liquido non si decompone ma polimerizza, a 100°C o in presenza di
composti iniziatori (anche ruggine), con una reazione di polimerizzazione molto esotermica.
Se il prodotto viene trasferito mediante pompe occorre evitare che si surriscaldi: si utilizza un
grosso riciclo e la pompa va arrestata se la tubazione a valle è chiusa.
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L’ossido di etilene è completamente miscibile con l'acqua: ciò significa che si possono diluire
le perdite.
Dicloroetilene
È prodotto in fase liquida per clorurazione dell'etilene e si utilizza per la produzione di cloruro
di vinile: è tossico e infiammabile. A pressione atmosferica bolle a 84°C ed è poco solubile in
acqua.
A temperature superiori a 80°C il dicloroetilene, se umido (ossia contenente tracce di acqua),
subisce idrolisi, forma HCl e corrode rapidamente l'acciaio al carbonio.
In caso di incendio, tra i prodotti di combustione c'è HCl, molto tossico
Cloro
È prodotto per elettrolisi: è tossico e presenta un TLV di 1 ppm, ma non è infiammabile, dato
che è un ossidante. Infatti, il cloro forma miscele infiammabili con composti organici e con
l'idrogeno. A pressione atmosferica il cloro bolle a -34°C.
Un rilascio di cloro è potenzialmente uno dei peggiori incidenti nell'industria chimica. Data la
pericolosità del cloro esso non va sfiatato all'atmosfera, ma va inviato ad un impianto di
assorbimento.
Il cloro umido, ossia contenente tracce di acqua, è molto corrosivo nei confronti dell'acciaio al
carbonio: in caso di cloro umido si usa acciaio rivestito di ebanite. Inoltre, il cloro caldo
(T>200°C) o a bassa temperatura causa l'infragilimento dell'acciaio al carbonio.
Ammoniaca
Si produce per reazione di idrogeno e azoto ad alta pressione. Si utilizza nella
produzione di acido nitrico e fertilizzanti ammonici. L'ammoniaca è tossica (TLV 25 ppm)
e infiammabile ma ha una energia di ignizione abbastanza alta. A pressione atmosferica
bolle a -33°C.
L'ammoniaca è miscibile con l'acqua e corrode rame, zinco e molte leghe metalliche. La
presenza di impurezze (aria, CO2) rende corrosiva l'ammoniaca anidra liquida, ma basta un
tenore di 0.2% d'acqua per evitare questo problema.
Ossigeno
L'ossigeno viene prodotto per liquefazione e frazionamento dell'aria. Viene utilizzato nella
fabbricazione di acciai ed in processi chimici.
L'ossigeno sostiene la combustione e tutti i combustibili bruciano più facilmente in
ossigeno che in aria.
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- vuoto medio: fino a 1 tor;
- vuoto elevato: 1-0.001 tor;
• temperatura alta
- alta: fino a 500°C
- molto alta: > 500°C;
• temperatura bassa
- bassa : < 0°C;
- molto bassa: <-50°C;
- estremamente bassa < -250°C
Pressione alta
Spesso alte pressione sono associate a temperature alte o basse. Ad alta pressione l'energia
disponibile nell'impianto aumenta, poiché a quella chimica si somma quella dei gas
compressi e/o liquefatti.
Un altro elemento di pericolosità è rappresentato dal fatto che, per ridurre i costi (tenuto conto
dei fattori di scala) il numero di compressori è ridotto al minimo: le dimensioni aumentano e la
tecnologia è più complicata.
Il problema delle perdite è molto serio:
• le quantità rilasciate sono elevate, dato il salto di pressione
• i prodotti liquidi possono vaporizzare (flash) per la riduzione di pressione
Pressione bassa
È meno pericolosa rispetto alla pressione alta. Il pericolo principale è rappresentato
dall'ingresso di aria da perdite di tenuta in impianti che trattano miscele infiammabili
Temperatura alta
Per portare i fluidi ad alta temperatura sono necessari forni (potenzialmente pericolosi). Ci
sono inoltre problemi legati ad una riduzione della resistenza meccanica quando i materiali
da costruzione sono portati ad alta temperatura (scorrimento viscoso, infragilimento da
idrogeno). I materiali possono anche subire stress termici durante avviamenti e fermate.
Temperatura bassa
I fluidi mantenuti liquidi per effetto della temperatura possono vaporizzare se non si riesce a
mantenere il freddo. Inoltre, le impurezze presenti nei fluidi possono solidificare a bassa
temperatura. Sono pure presenti problemi di infragilimento a bassa temperatura per molti
materiali da costruzione, e sono possibili stress termici in avviamento e fermata. Infine, la
necessità di isolamento termico (coibentazione) limita l'accesso agli apparecchi.
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Vengono utilizzati per produrre ossigeno ed azoto (in fase liquida o gassosa). Il
frazionamento viene realizzato per compressione, liquefazione e distillazione dell'aria.
La refrigerazione richiesta è molto maggiore se i componenti sono desiderati allo stato
liquido e si può ottenere comprimendo ed espandendo l'aria in una valvola (effetto
Joule-Thompson). L’impianto è quindi racchiuso in una “scatola fredda” (cold box)
isolata termicamente.
Gli impianti possono lavorare a bassa pressione (5-10 atm) o media pressione (10-45
atm): l’azoto si separa a bassa temperatura (circa –190°C).
I pericoli principali sono rappresentati dal fatto che l'ossigeno liquido reagisce
violentemente con qualunque combustibile e che nell'ossigeno liquido si possono
accumulare idrocarburi causando reazioni esplosive. Le impurezze presenti e che
possono accumularsi nel ribollitore dell’ossigeno liquido al fondo della colonna di
distillazione sono metano, etano, etilene ed acetilene: data la loro bassa solubilità
(qualche ppm) nell'ossigeno liquido precipitano come solidi e possono quindi reagire in
modo esplosivo. Per evitare problemi occorre sgrassare accuratamente tutti i
componenti dell'impianto, utilizzare aria pulita, e pulire periodicamente l'impianto
L'impianto frigorifero è racchiuso in un "contenitore freddo" mantenuto in pressione per
evitare l'ingresso di aria, in quanto l'umidità può ghiacciarsi sulla coibentazione. I
materiali utilizzati sono rame, alluminio e acciaio inossidabile. L'acciaio al carbonio si
utilizza per i supporti che non raggiungono temperature tali da causarne l'infragilimento
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Impianti olefine
In questi impianti si producono etilene, propilene, butadiene, ecc., ed il pericolo
principale è la presenza di idrocarburi infiammabili, in pressione, ed a temperatura alta
oppure bassa.
Gli aspetti più rilevanti per la sicurezza di questi impianti riguardano:
• il layout dell'impianto
• le apparecchiature
• i sistemi di sfiato della pressione
• il controllo delle perdite
Le unità vanno distanziate in modo che le perdite non trovino una fonte di innesco, ed i
cavi elettrici e strumenti vanno protetti. Tutti i drenaggi devono passare per separatori
olio-acqua per evitare la presenza di vapori combustibili. Per evitare le perdite occorre
curare le tenute delle macchine, soprattutto per le pompe, e diminuire il numero dei
compressori. Il quantitativo di materiale da sfiatare per ridurre la pressione va tenuto il
più basso possibile e tutti gli sfiati vanno inviati in torcia. Occorre prevedere la presenza
di cortine di vapore per diluire le nubi di vapore che possono essere rilasciate in caso di
incidente.
Impianti per produzione di gas di petrolio e gas naturale liquefatti (GPL e GNL)
Propano, butano e loro miscele, come il GPL sono stoccati in forma liquida: l’utilizzo
principale del GPL è come combustibile. Il gas naturale, costituito principalmente da
metano, viene anch’esso stoccato come liquido, prevedendo un numero minore di
serbatoi ma di dimensioni maggiori.
I pericoli principali presentati da questi impianti sono associati a:
• elevata infiammabilità dei composti
• alta pressione delle apparecchiature e degli stoccaggi (GPL in pressione)
• bassa temperatura di apparecchiature e stoccaggi (GPL e GNL refrigerati)
Occorre anche ricordare che, nel caso del GPL in pressione, qualunque perdita di
prodotto liquido, subisce un flash quando si porta a pressione atmosferica e vaporizza
rapidamente formando una nube di vapori che si disperdono con difficoltà. Nel caso del
GNL, date le basse temperature, il prodotto vaporizza pure rapidamente per il calore
che riceve dall’ambiente, ma la nube che si forma è più leggera dell’aria e si disperde
più facilmente.
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CRITERI GENERALI DI PREVENZIONE DEL RISCHIO
Principi base
I principi fondamentali di un progetto intrinsecamente più sicuro sono:
• Intensificazione
• Sostituzione
• Attenuazione
• Semplicità
• Operabilità
• Progetto a prova di guasto
• Progetto che lascia una seconda possibilità.
Un impianto che rispetta questi principi viene definito da Kletz un “friendly plant” e
rispetta i principi di “friendliness” [6], contrapposti a quelli di “hostility” come mostrano
alcuni esempi riportati nella tabella seguente.
Intensificazione
La prima via per limitare i quantitativi di sostanze in gioco è l’intensificazione del
processo, il che significa portare a termine la reazione o l’operazione unitaria utilizzando
volumi più piccoli. Ad esempio, si può realizzare lo scambio termico in uno scambiatore
a piastre anziché in uno a fascio tubiero: esso assicura un migliore coefficiente di
scambio termico ed è molto più compatto, con minore accumulo di materia al suo
interno. Un’altra possibilità è quella di eseguire più operazioni contemporaneamente in
un medesimo apparecchio, ad esempio riunendo essiccamento, scambio termico e
granulazione.
Un metodo semplice per ridurre i quantitativi fuoriusciti da apparecchi in caso di
incidente è di predisporre bocchelli di piccolo diametro per la giunzione tra tubazioni al
recipiente.
Le operazioni di distillazione presentano grossi valori di holdup, ossia di accumulo di
liquido, sia nel fondo della colonna, per garantire il battente sulla pompa, che nel
ribollitore di fondo colonna e sui piatti dove ha luogo il trasferimento liquido-vapore. Per
limitare il quantitativo di materiale accumulato si può adottare un fondo colonna di
diametro inferiore rispetto a quello della colonna; allo stesso modo si può preferire un
ribollitore a termosifone verticale che presenta holdup più modesti rispetto ad un
ribollitore kettle, o sostituire i piatti all’interno della colonna con un riempimento, che
presenta un holdup inferiore.
Un altro esempio di intensificazione è l’eliminazione degli stoccaggi intermedi di un
processo e la riduzione dei quantitativi accumulati. Una possibilità di eliminazione dei
quantitativi accumulati è la produzione in loco del prodotto.
Anche i sovradimensionamenti possono rappresentare un problema di per sé: ad
esempio, una pompa sovradimensionata può pressurizzare eccessivamente le
apparecchiature a valle.
Sostituzione
Un altro principio largamente applicabile è quello della sostituzione, in cui una
caratteristica pericolosa viene sostituita da una caratteristica meno pericolosa. Ad
esempio, l’acrilonitrile, originariamente ottenuto da acetilene e acido cianidrico, viene
ora ottenuto da propilene, ammoniaca e aria, materiali meno pericolosi. Un altro
esempio è la produzione di glicol etilenico da etilene anziché da ossido di etilene.
Grossi quantitativi di materiali infiammabili possono essere presenti nei sistemi di
scambio termico: ciò accade, ad esempio, in impianti per produrre l’ossido di etilene che
utilizzano kerosene bollente in pressione come fluido termico. In questo caso, la
sostituzione del kerosene con vapor d’acqua rende il processo intrinsecamente più
sicuro.
19
Attenuazione
L’attenuazione comporta l’utilizzo di condizioni di processo meno pericolose. Ad
esempio, nella fabbricazione del nylon si utilizza una miscela di cicloesanone e
cicloesanolo, che si può ottenere per due vie. La prima è l’ossidazione del cicloesano
con aria (processo utilizzato a Flixborough), la seconda è l’idrogenazione del fenolo:
quest’ultima ha luogo in fase gassosa ed è meno pericolosa. Tuttavia questo aspetto
non può essere considerato da solo, poiché la produzione del fenolo comporta
l’ossidazione del cumene, che è altrettanto pericolosa dell’ossidazione del cicloesano.
Occorre pure fare attenzione al fatto che soluzioni di compromesso possono risultare
più rischiose di quelle estreme. Ad esempio, si ha rischio relativamente basso in un
processo che utilizza grossi quantitativi di sostanze pericolose ma condizioni operative
prossime a quelle ambiente, come pure in un processo che utilizza piccoli quantitativi di
sostanze pericolose in condizioni di temperatura e pressione alta, mentre può essere
più pericoloso un processo che utilizza quantitativi e condizioni operative intermedie.
L’efficienza della reazione determina i processi di separazione necessari a valle. Se la
conversione è bassa ci saranno grossi ricicli e se ci sono reazioni collaterali ci vorranno
stadi di separazione aggiuntivi. Ad esempio, a Flixborough il prodotto in uscita dai
reattori conteneva circa il 94% di cicloesano non reagito che andava ricircolato al
reattore.
Il principio di attenuazione vale anche negli stoccaggi, ad esempio immagazzinando
acetilene disciolto in acetone, o perossidi organici come soluzioni. Per quanto riguarda
gli stoccaggi di gas liquefatti in serbatoi a pressione o refrigerati, considerando il solo
stoccaggio, la modalità refrigerata è più sicura. Tuttavia, se il fluido va utilizzato allo
stato gassoso e viene quindi vaporizzato in un’altra apparecchiature, va considerato il
sistema complessivo, e in questo caso diviene più sicuro lo stoccaggio a pressione.
Semplicità progettuale
Questo aspetto può comportare, ad esempio, il progetto per la sovrapressione
massima, modifiche che portano all’eliminazione della strumentazione, utilizzo di
materiali da costruzione più resistenti e l’uso di semplici alternative alla strumentazione.
Se un recipiente può essere soggetto a sovrapressione, la soluzione più semplice è
progettarlo in modo che resista a questa sovrapressione: questa alternativa, tuttavia, è
di solito molto più costosa che non l’installazione di una valvola di sicurezza. Talvolta
viene installata una strumentazione per superare un problema a cui si poteva ovviare
con scelte progettuali diverse. Ad esempio, in un impianto di ossidazione in fase liquida
viene inviata aria miscelata con un riciclo di idrocarburi ed è prevista una
strumentazione per mantenere la miscela al di fuori del campo di infiammabilità. Una
scelta progettuale diversa poteva esser quella di inviare l’aria direttamente al liquido in
modo che la miscela infiammabile non si formasse affatto. In alcuni casi viene prevista
una strumentazione per prevenire attacchi sui materiali da costruzione: la
strumentazione potrebbe essere evitata utilizzando materiali più resistenti. Dove sia
necessaria una funzione di controllo vanno considerate anche le alternative semplici
alla strumentazione: un controllore di livello può, ad esempio, essere sostituito da uno
scarico sifonato. La flessibilità operativa è importante in un impianto, ma talvolta le
interconnessioni necessarie, oltre ad essere complesse e costose, possono introdurre
altre fonti potenziali di perdite e di errori umani. Un altra fonte di complessità è
rappresentata dalle modifiche: una modifica iniziale ne comporta spesso molte altre in
cascata.
20
Operabilità del processo
Alcuni processi sono intrinsecamente più facili da operare di altri: ciò accade, ad
esempio, in quelli in cui l’opzione estrema tra continuare ad operare in presenza di certe
condizioni operative o arrestare completamente la marcia dell’impianto si presenta solo
raramente.
21
sarà inevitabilmente maggiore, come pure le sue conseguenze. Quindi non esiste una
soluzione generale a questo problema, che va affrontato caso per caso.
Servizi di stabilimento
I servizi centralizzati dell’impianto, come le caldaie per produzione di vapore, la centrale
elettrica, le stazioni di pompaggio, ecc., devono essere localizzati al di fuori del raggio di
azione di eventi incidentali, quali incendi o allagamenti, e, inoltre, si deve evitare che
questi servizi possano costituire fonti di innesco in caso di perdite di prodotti
infiammabili.
Edifici
L’utilizzo di edifici nell’area unità operative deve essere giustificato da esigenze di
processo, poiché essi sono costosi e costituiscono fonte di pericoli. Tuttavia il processo
potrebbe richiedere un ambiente a temperatura pressoché costante, o sterile; allo
stesso modo le lavorazioni potrebbero richiedere macchinari delicati, o di precisione,
22
che ugualmente necessitano di un ambiente protetto dalle intemperie. In tal caso la
lavorazione va effettuata in un edificio. Altri casi sono quelli in cui si temano
contaminazioni o danni ai prodotti, o in cui gli operatori siano chiamati a svolgere
compiti particolarmente impegnativi o frequenti. Ad esempio si utilizzano edifici per
alloggiare reattori a funzionamento discontinuo, centrifughe, strumenti di analisi, ecc.
Tenendo conto che la ventilazione all’interno di un edificio è generalmente inferiore
rispetto a quella che si ha all’aperto, è più facile che, in caso di perdita di prodotto
infiammabile o tossico all’interno, la dispersione avvenga più lentamente, e quindi si
abbiano concentrazioni più alte che non in campo aperto. Ciò può comportare l’utilizzo
di un sistema di ventilazione (forzata) nell’edificio, con eventuale convogliamento degli
scarichi ad un sistema di trattamento prima che siano inviati nell’atmosfera.
Gli edifici che costituiscono il posto di lavoro di un elevato numero di persone devono
essere situati in modo da minimizzarne la esposizione a pericoli. I laboratori di analisi
devono trovarsi in un’area sicura, ma comunque il più vicino possibile agli impianti che
essi servono. Gli uffici amministrativi devono essere in un’area sicura dal lato aperto al
pubblico, vicino al posto in cui sono effettuati i controlli di sicurezza sui visitatori.
L’edificio uffici deve essere posto vicino all’ingresso principale. Altri edifici, come
l’infermeria, la mensa, ecc. devono essere in un’area sicura e di facile accesso per i
fornitori, nel caso della mensa. Tutti gli edifici dovrebbero essere posti sopravvento agli
impianti da cui si teme possano originare i rischi: a tal fine va considerata la direzione
del vento prevalente nella località.
In ogni caso va limitato il numero delle persone esposte a rischio. Ciò si realizza
riducendo il numero delle persone presenti nelle aree a maggior rischio a quelle
assolutamente indispensabili, facendo in modo che il posto di lavoro principale di
ognuno sia al di fuori delle aree più pericolose e controllando l’accesso a queste zone.
Segregazione
Il layout dell’impianto deve garantire, per quanto possibile, il contenimento dell’evento
incidentale in prossimità del punto in cui esso si verifica, prevenendo l’escalation
dell’incidente ed evitando di mettere in pericolo gli obiettivi più vulnerabili.
Come esempio si possono considerare i due layout di impianto rappresentati nella
figura 8. La figura 8a mostra un layout compatto di una parte di un impianto
petrolchimico in cui è stata minimizzata l’area occupata e la lunghezza delle tubazioni.
Ci sono due aree di processo principali e, ad angolo retto rispetto a queste, un’area con
una fila riscaldatori a fuoco diretto, reattori, caldaie per produzione di vapor d’acqua e
un camino. Questa disposizione presenta numerosi difetti: le unità di processo
occupano un’area piuttosto grande priva di barriere rompifuoco e l’accesso a queste
unità è possibile solo attraverso strade interne larghe 4.5 m in cui è difficile manovrare i
mezzi antincendio. Inoltre, c’è una distanza di circa 10 m tra gli apparecchi posti ai due
lati della strada, distanza che potrebbe non essere sufficiente ad evitare il propagarsi di
un incendio da una parte all’altra della strada. Infine, c’è un’unica via di accesso
principale, larga 6 m. Un layout alternativo e che fornisce garanzie di migliore sicurezza
è mostrato in figura 8b. Le aree di processo sono suddivise da strade interne larghe 6 m
in cui i mezzi transitano facilmente, e viene garantita una distanza di 15 m tra le
apparecchiature che affacciano sulla strada, in modo da limitare il propagarsi di incendi.
Ci sono più punti di accesso e si eliminano i punti morti difficili da raggiungere: è pure
previsto un accesso per una gru (crane) il che assicura ancora più spazio in prossimità
dei riscaldatori a fuoco diretto. Ovviamente, però, questa disposizione alternativa
richiede l’utilizzo di un’area maggiore e comporta l’uso di tubazioni più lunghe.
23
(a)
(b)
Figura 8 [6]
Trasporti
Il layout dell’impianto deve essere tale da minimizzare le distanze percorse dai materiali
per passare da una lavorazione ad un’altra. Tale criterio va però armonizzato con quello
di minimizzare il rischio. Ogni blocco dell’impianto deve essere accessibile per
trasportarvi materiali e apparecchiature, ed effettuare interventi in fase di esercizio, di
manutenzione o di emergenza. Le strade interne devono, se possibile, garantire
l’accesso ad ogni blocco da tutti e 4 i lati ed essere larghe a sufficienza da consentire il
transito ai veicoli più grandi che le debbano utilizzare. Ove possibile si suggerisce di
realizzare strade larghe 7.5 m, che garantiscano una distanza tra le unità separate dalla
strada di circa 15 m. Il normale traffico stradale e ferroviario non deve attraversare aree
di processo, a meno che un’area di processo rappresenti la destinazione per tale
traffico.
Emergenze
Deve essere predisposto un piano di emergenza per l’impianto. Tale piano deve
prevedere l’esistenza di un centro di emergenza e di uno o più punti di raccolta. Il centro
24
di emergenza deve essere localizzato in una stanza a ciò destinata posta in un’area
sicura, accessibile dalle strade pubbliche di accesso allo stabilimento ed intorno alla
quale ci sia spazio sufficiente per i veicoli in servizio di emergenza (autopompe,
autoambulanze, ecc.). I punti di raccolta devono essere stabiliti in aree sicure, poste ad
almeno 100 m dagli impianti. In alcuni casi si possono predisporre dei “luoghi sicuri” che
costituiranno punti di raccolta. La sala controllo non deve mai costituire il centro di
emergenza e tanto meno un luogo sicuro da utilizzare come punto di raccolta.
Sorveglianza
Il sito deve essere provvisto di una recinzione e di accessi mediante cancelli sorvegliati
con una guardiola di controllo, mantenendo comunque al minimo il numero degli
ingressi previsti.
Prodotti corrosivi
Ci sono varie parti dell’impianto che sono particolarmente sensibili a perdite di prodotti
corrosivi. Le fondazioni di edifici e di macchinari, specialmente se in cemento, possono
essere attaccate da questi prodotti. I pavimenti devono presentare una pendenza in
modo che gli scoli siano indirizzati lontano da apparecchi vulnerabili e dalle aree di
passaggio. Le giunzioni di tubazioni da cui possa fuoriuscire un liquido corrosivo non
devono essere poste al di sopra di aree di passaggio. Le scale e i mancorrenti vanno
protetti dalla corrosione o realizzati in metalli non soggetti a questo problema (ad
esempio alluminio).
Dove ci possano essere perdite di materiali corrosivi va assicurata e mantenuta una
ventilazione adatta.
Stoccaggi
I quantitativi di prodotto accumulati negli stoccaggi sono praticamente sempre molto più
grandi di quelli presenti nel processo: ciò rappresenta un pericolo potenziale, in quanto
un incidente può causare conseguenze più gravi.
Gli stoccaggi sono normalmente realizzati all’aperto, poiché ciò è più economico, e le
perdite si disperdono facilmente. L’area stoccaggi deve essere realizzata in modo da
evitare la presenza di zone in cui si possano raccogliere perdite di liquidi o vapori
infiammabili o da cui essi possano fluire verso fonti di innesco.
L’area stoccaggi va tenuta segregata rispetto a quella delle unità operative. Infatti, un
incendio o un’esplosione in una unità operativa può mettere a rischio un grosso
quantitativo di prodotto nell’area stoccaggi: come minimo ci deve essere una distanza di
15 m tra queste aree. È anche necessario che i terminali di carico/scarico dei prodotti
siano distanti dalla zona processo perché queste operazioni sono spesso fonte di
incidenti.
I serbatoi di stoccaggio per prodotti simili devono essere raggruppati. In alcuni casi si
può dotare ogni gruppo di serbatoi di un unico bacino di contenimento e di un sistema
26
antincendio in comune; i serbatoi più grandi sono dotati di bacini e di protezione
antincendio individuale. Ogni bacino di contenimento deve essere accessibile, se
possibile, da tutti e quattro i lati, e la rete stradale deve essere predisposta in modo da
consentire l’accesso all’area anche se una strada fosse impraticabile, ad esempio in
caso di incendio.
Distanze di separazione
Le distanze di separazione minime costituiscono un importante vincolo al layout dello
stabilimento. Esistono delle tabelle che prevedono valori di distanze minime suggerite
tra le varie zone dell’impianto, in funzione delle attività che vi vengono svolte: a titolo di
esempio si possono considerare i valori riportati nella figura 9, in cui le distanze sono
espresse in piedi (1 ft = 0.305 m). A titolo di esempio, la distanza tra recipienti in
pressione e la sala controllo è di 250 ft, ossia circa 76 m.
Figura 9 [6]
27
Classificazione delle zone pericolose
Il layout dell’impianto gioca un ruolo importante nella prevenzione degli inneschi di
eventuali perdite di sostanze infiammabili. Questo aspetto va sotto il nome di
classificazione delle aree: dal momento che la principale fonte di innesco è costituita dai
motori elettrici, si parla spesso di classificazione della aree dal punto di vista della
protezione che va assicurata ai motori elettrici che vi operano.
Un esempio di classificazione delle aree è:
• zona 0: in cui è un’atmosfera infiammabile è presente continuamente o per un lungo
periodo;
• zona 1: in cui un’atmosfera infiammabile può essere presente per un breve periodo
durante il normale funzionamento dell’impianto;
• zona 2: in cui è improbabile che sia presente un’atmosfera infiammabile durante il
normale funzionamento dell’impianto e, ove ciò dovesse accadere, sarebbe solo per
un breve tempo.
Protezione antincendio
Alcuni aspetti relativi al layout dell’impianto dal punto di vista della protezione
antincendio si possono classificare come misure attive e passive. Le prime
comprendono la separazione dei pericoli e dei possibili bersagli, le misure per prevenire
il propagarsi degli incendi e la predisposizione di accessi per le attività antincendio; le
seconde la predisposizione di riserve di acqua antincendio ed i sistemi di protezione
antincendio.
È essenziale garantire la possibilità di un idoneo accesso che consenta di portare le
apparecchiature antincendio da più di un lato e sufficientemente vicine da potere essere
utilizzate con efficacia. Il sito deve essere provvisto di strade periferiche connesse come
minimo in due punti diversi al sistema viario pubblico. L’accesso viene facilitato se
l’impianto è suddiviso in blocchi di dimensioni 100 x 200 m, con possibilità di accesso
dai quattro lati e con distanze tra i blocchi e gli edifici di 15 m. Può essere necessario
prevedere un’area di attesa per i mezzi antincendio vicino ad ogni cancello di ingresso
principale.
Sale controllo
Fino a metà degli anni settanta le sale controllo erano poste in prossimità degli impianti,
e costruite in mattoni e con ampie superfici vetrate, risultando in tal modo molto
vulnerabili. Tale criterio di progettazione è stato profondamente rivisto a seguito
dell’incidente verificatosi a Flixborough nel 1974, in cui 18 delle 28 vittime erano nella
sala controllo. Essa era stata costruita in muratura, con solo il solo telaio in cemento
amato, e con grandi finestre: l’edificio era di due piani e mezzo: al di sopra della sala
controllo era situata una sala di quadri elettrici ed una zona per il passaggio dei cavi,
alta quanto un mezzo piano. La sala controllo era situata in un edificio, lungo
complessivamente 160 m, in cui erano alloggiati anche degli uffici, un laboratorio di
analisi, ed una unità operativa. Questo edificio era posto a circa 100 m dal punto in cui
si è verificata l’esplosione, con l’asse principale ortogonale alla direzione dell’onda di
pressione. Si stima che l’onda di pressione abbia investito l’edificio con un picco di 0.7
atm (circa 70 000 Pa) distruggendolo completamente. La gran parte dei morti in sala
controllo sono stati dovuti al collasso del tetto, ma alcuni lavoratori furono feriti
gravemente dai vetri delle finestre e delle porte: la distruzione fu tale che ci vollero 19
28
giorni per recuperare i corpi dalle rovine della sala controllo.
La sala controllo deve proteggere i suoi occupanti dai pericoli di incendio, esplosione e
rilascio di sostanze tossiche. È necessario che la sala controllo sia sicura in modo da
minimizzare il rischio per gli operatori, ma anche per mantenere il controllo sull’impianto
nei primi stadi di un incidente, riducendo così la probabilità di avere un’escalation
dell’incidente fino ad un vero e proprio disastro. Ciò è anche opportuno per proteggere
le registrazioni dell’impianto, comprese quelle del periodo immediatamente prima
dell’incidente. Anche se c’è la tendenza di accorpare nelle sala controllo altre funzioni,
come una sala computer, quadri elettrici, laboratori analitici, officina strumenti, ecc., la
scelta migliore è quella di costruire una sala controllo sicura in cui le funzioni svolte
siano limitate a quelle essenziali per il controllo dell’impianto, spostando tutte le altre
funzioni ad una distanza che renda possibile la costruzione di un edificio con minori
esigenze di resistenza strutturale.
La localizzazione della sala controllo è altrettanto importante dei criteri costruttivi
adottati. La sala controllo deve essere posta su un angolo dell’impianto in modo da
lasciare una via di fuga: la distanza minima suggerita tra l’impianto e la sala controllo è
di circa 20-30 m.
I principi costruttivi fondamentali da adottare nella progettazione di una sala controllo
sono:
• la sala controllo deve contenere solo le funzioni essenziali al controllo del processo;
• l’edificio deve avere solo un piano fuori terra;
• sopra alla testa degli operatori ci deve essere solo il tetto. Non ci devono essere
macchinari o cavi sul tetto;
• l’edificio deve essere provvisto di ventilazione con punto di presa dell’aria in una
zona non contaminata;
• l’edificio deve essere orientato in modo da esporre l’area minore nella direzione da
cui più probabilmente può provenire l’esplosione;
• non ci devono essere strutture che possano crollare sulla sala controllo;
• il numero di finestre deve essere tenuto al minimo o queste devono essere
completamente assenti; si deve inoltre evitare che ci siano vetri nelle porte interne;
• la costruzione deve essere sufficientemente resistente da evitarne il cedimento, ma
si considera accettabile che, se necessario, l’edificio debba essere raso al suolo e
ricostruito completamente a seguito di una grave esplosione;
• La sala controllo deve essere costruita con materiali duttili, come acciaio e cemento
armato; mattoni, muratura e vetro sono materiali non duttili (fragili).
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Area raffineriaNumero totale Prodotto coinvolto Numero incidenti
incidenti per prodotto
Greggio 19
Gasolio 4
Stoccaggi 119 Benzina 25
GPL 6
Idrogeno 3
Greggio 117
Gasolio 4
Processo 291 Benzina 42
GPL 6
Idrogeno 8
Greggio 15
Gasolio 1
Carico/Scarico 51 Benzina 16
GPL 2
Idrogeno 0
30