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APPARECCHIATURE PER FASI SOLIDE

Tra le apparecchiature utilizzate per le fasi solide rientrano quelle:


• per lo stoccaggio
• per variare le dimensioni del solido, riducendole (frantumatori e mulini) o
aumentandole (granulatori)
• per dosare e confezionare i solidi
• per trasportare i solidi, tal quali (trasportatori ed elevatori) o dispersi in un fluido
(impianti di trasporto pneumatico ed idraulico)
• per miscelare solidi tra loro (miscelatori), con liquidi (agitatori) o con gas (letti
fluidizzati)
• per separare tra loro solidi (vagliatura, classificazione, flottazione), sospensioni
liquido-solido (sedimentazione a gravità e centrifuga, filtrazione) o gas-solido
(sedimentazione a gravità e centrifuga, filtrazione, lavaggio)
• per realizzare operazioni unitarie solido-fluido (estrazione liquido-solido,
cristallizzazione, adsorbimento, essiccamento)
Delle molte tipologie di operazioni ed apparecchiature in cui sono presenti fasi solide ne
saranno qui esaminate solo alcune che presentano maggiore interesse ai fini della
sicurezza e della prevenzione dei rischi nell’industria di processo.

FRANTUMATORI E MULINI [13]


Queste apparecchiature si utilizzano per ridurre le dimensioni di materiali solidi da un
valore iniziale, che può essere anche superiore a 1 m, ad un valore finale che,
dipendentemente dalla destinazione del solido può, andare da circa 10 cm a meno di
0.001 mm. I meccanismi attraverso cui operano gli apparecchi sono quelli di
compressione, impatto e strusciamento: i rendimenti energetici sono piuttosto bassi e
gran parte dell’energia fornita viene dissipata sotto forma di calore.
Un singolo apparecchio riesce a ridurre le dimensioni iniziali del solido di un fattore che
va generalmente da 5 a 20: quindi, nel caso in cui sia richiesta una riduzione sensibile
delle dimensioni si utilizzano più apparecchi in serie.
I frantumatori sono adatti a trattare materiale di pezzatura grossa (decine di centimetri);
i mulini trattano particelle intorno al centimetro ed i mulini ad energia fluida particelle
inferiori a 0.2 mm. Anche le dimensioni degli apparecchi, ed i quantitativi che è possibile
trattare, diminuiscono passando dai frantumatori ai mulini, ai mulini ad energia fluida.

Frantumatori
Le tipologie più importanti di frantumatori sono:
• frantumatori a mascelle: presentano due piastre, una fissa ed una mobile tra cui
avviene la macinazione. La mascella mobile è imperniata lungo un bordo e si muove
con moto alternativo (qualche centinaio di corse al minuto) indotto da un
manovellismo avvicinandosi ed allontanandosi dalla mascella fissa (vedi figura
114a). Le dimensioni finali del materiale sono intorno ai 10 cm.
• frantumatori rotativi: hanno una testa frantumante a forma di tronco di cono che
ruota in modo eccentrico ad un centinaio di giri al minuto, schiacciando il materiale
contro la cassa dell’apparecchio (vedi figura 114 b). Le dimensioni iniziali del
materiale alimentato non superano i 20 cm, mentre quelle finali arrivano a 0.5 cm.
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(a)
(b)

Figura 114 [17]

Mulini
Le tipologie più importanti di mulini sono:
• mulino a martelli: su un disco rotante ad alta velocità sono incernierati dei bracci a
martello che oscillano verso l’esterno per effetto della forza centrifuga (figura 115a).
Il materiale, alimentato in alto viene macinato per impatto contro i martelli e la cassa
cilindrica. La parte inferiore della cassa è perforata con fori di dimensioni tali da
consentire solo la fuoriuscita del materiale macinato. Le dimensioni iniziali del
materiale alimentato non superano i 5 cm e quelle finali sono di qualche millimetro.

(a) (b)

Figura 115 [17,14]

• mulino a sfere: consiste di un cilindro cavo che ruota intorno al proprio asse,
inclinato di pochi gradi rispetto all’orizzontale. Il cilindro è riempito per il 30-50% con
sfere di un materiale pesante (silice o acciaio), che nella rotazione si sollevano lungo
la parete del cilindro per ricadere sul materiale da macinare (figura 115b). La
velocità di rotazione deve essere inferiore al valore critico a cui l’accelerazione
centrifuga è pari a quella di gravità: infatti, in questo caso le sfere restano a contatto
con la parete del cilindro senza ricadere sul materiale da macinare.
Le sfere sono piene, con diametro tra 12 e 125 mm: esse si usurano nel tempo e
quindi le loro dimensioni diminuiscono progressivamente; nel mulino sono
generalmente presenti contemporaneamente sfere di dimensioni diverse. Il prodotto

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da macinare viene alimentato all’estremo superiore dell’apparecchio ed esce,
attraverso una griglia, dall’estremo inferiore: la griglia ha lo scopo di far passare solo
il materiale macinato trattenendo le sfere nell’apparecchio. Al mulino si possono
alimentare pezzature fino a 50 mm, mentre il prodotto uscente può avere dimensioni
inferiori al millimetro.

Mulini ad energia fluida


Nei mulini ad energia fluida il materiale viene polverizzato finemente per effetto di getti
ad alta pressione (fino a 35 atm) di aria compressa o vapor d’acqua surriscaldato. Il
solido si frammenta per effetto di getti incrociati (figura 116) o per gli urti contro la
camera. Il materiale macinato esce dall’alto trascinato da una corrente di gas
(eventualmente inerte in caso di prodotti infiammabili). Le dimensioni iniziali delle
polveri trattate sono inferiori a 0.5 mm e quelle finali possono arrivare a 0.001 mm.

Figura 116 [14]

DOSATORI PER SOLIDI GRANULARI [13]


I solidi da utilizzare negli impianti dell’industria di processo provengono usualmente da
tramogge, poste al fondo di apparecchi (ad esempio sili) entro cui viene caricato il
solido. Le pareti della tramoggia presentano una pendenza in grado di garantire la
fuoriuscita del solido senza che si creino intasamenti e l’apertura sul fondo ha
dimensioni tali da consentire il passaggio di grandi quantitativi di solido. Il dosaggio
esatto del solido alla portata desiderata è invece effettuato mediante un dosatore
collegato al bocchello posto sul fondo della tramoggia.
Il dosatore maggiormente utilizzato è la valvola stellare (detta anche ruota a celle),
costituita da un corpo cilindrico ad asse orizzontale, all’interno del quale ruota un albero
munito di 3-12 pale rettangolari disposte radialmente. La valvola presenta un’apertura
superiore, attraverso cui è collegata alla tramoggia, ed una inferiore da cui fuoriesce il
solido (figura 117). Il solido che proviene dalla tramoggia entra nelle cavità tra le palette
e la cassa e viene trasportato verso l’uscita dal moto rotatorio, impartito a velocità
controllate (fino a qualche centinaio di giri al minuto) mediante un motoriduttore esterno.
Normalmente si lascia un gioco di circa 1 mm tra le pale e la cassa e la valvola assicura
una buona tenuta, basata sullo stesso principio di quella a labirinto, poiché presenta
una serie di allargamenti e di restringimenti di sezione, nel passaggio dai vani tra le
palette all’interstizio tra paletta e cassa.

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Figura 117 [14, 18]

SISTEMI DI TRASPORTO DEI SOLIDI [13]


All’interno degli impianti dell’industria di processo i solidi possono essere trasportati tal
quali, utilizzando trasportatori, per percorsi prevalentemente in piano, ed elevatori per
vincere dislivelli, o come sospensioni in correnti gassose, utilizzando il trasporto
pneumatico.
I trasportatori meccanici più utilizzati sono i tipi:
• a nastro, in cui il solido viene trasportato su un nastro di materiale flessibile e
resistente (generalmente tela gommata) che scorre ad anello tra due rulli (vedi
figura 118). Questo sistema si utilizza per percorsi rettilinei anche molto lunghi, in
piano o con pendenze modeste, ed è economico.

Figura 118 [18]

• a còclea: in cui il solido viene fatto avanzare lungo un canale dal moto di una vite
senza fine (vedi figura 119). Questo sistema è adatto per brevi percorsi rettilinei
(fino a 15 m circa) con pendenze anche elevate, ed è in grado di trattare anche
solidi pastosi o sospensioni: tuttavia richiede consumi energetici notevoli.

Figura 119 [18]

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Elevatore a tazze
Tra gli elevatori meccanici il tipo più importante è l’elevatore a tazze. Un elevatore di
questo tipo consiste di una catena e che scorre tra due ruote dentate, posta l’una in alto
e l’altra in basso (figura 120a), a cui sono agganciati dei secchielli (detti tazze). Le tazze
sono agganciate alla catena in modo da viaggiare diritte mentre il percorrono il ramo
ascendente della catena, per rovesciarsi alla sommità e viaggiare rovesciate lungo il
ramo discendente (vedi figura 120b). Il dispositivo è alloggiato all’interno di una
carcassa metallica ed i secchielli si riempiono quando transitano sotto la ruota inferiore
e scaricano il prodotto in alto quando si rovesciano nel passaggio al di sopra della ruota
superiore. Gli elevatori a tazze sono spesso abbinati ai trasportatori a nastro poiché la
combinazione di questi apparecchi è in grado di trasportare il solido a qualsivoglia
distanza ed altezza.

(b)

(a)

Figura 120 [14,18]

Trasporto pneumatico
La modalità di trasporto pneumatico maggiormente utilizzata è quella in fase dispersa in
cui solidi granulari sono trasportati all’interno di tubazioni sospesi in una corrente
gassosa. Come gas di trasporto si può utilizzare aria o, ove essa non si potesse usare
(ad esempio per polveri infiammabili) gas inerti, come azoto o anidride carbonica.
Nel trasporto in fase dispersa la velocità del gas deve essere superiore alla cosiddetta
velocità di saltellamento, a cui la particella viene trasportata senza rotolare o rimbalzare
lungo la tubazione: tipici valori della velocità sono compresi tra 10 e 35 m/s. Le distanze
a cui si può effettuare il trasporto possono superare i 500 m e non ci sono limitazioni per
quanto riguarda l’andamento altimetrico del percorso.
Un impianto di trasporto pneumatico comprende una tubazione, una macchina (a
seconda dei casi un ventilatore, una soffiante, un compressore o una pompa da vuoto)
per fornire alla sospensione la prevalenza necessaria a vincere le perdite di carico del
circuito, ed un dispositivo di separazione gas-solido (filtro o ciclone) nel punto di
destinazione. L’impianto può lavorare in pressione o in aspirazione, dipendentemente
dalla pressione creata dalla macchina nel punto di immissione del solido: nel primo
caso la macchina è posta prima del punto di immissione del solido, mentre nell’altro è
posta al termine del circuito. E’ buona norma che il solido non attraversi la macchina,
per cui questa viene posta su un tratto di tubazione in cui passa soltanto gas.
Gli impianti a pressione si preferiscono quando il materiale debba essere inviato da un
unico punto di raccolta a più punti di destinazione, mentre quelli in aspirazione quando
si debba prelevare il materiale da più punti di carico (o si debba aspirarlo da un
mucchio) ed inviare ad un unico punto di destinazione, come mostra la figura 121. Le
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perdite di carico per un circuito funzionante in aspirazione non possono (ovviamente)
superare il valore di 1 atm e ciò limita la massima distanza raggiungibile a circa 300 m.

Figura 121 [18]

Esistono anche impianti misti, in aspirazione-pressione, che consentono sia di prelevare


il prodotto da più punti che di inviarlo ad un certo numero di destinazioni: in questo caso
la macchina è posta in un punto intermedio del circuito, a valle di un dispositivo che
effettua la separazione del gas dal solido; quest’ultimo viene reimmesso nel circuito
immediatamente a valle della macchina.
Quando come gas di trasporto si utilizza aria ambiente l’impianto lavora in ciclo aperto
(figura 121) e l’aria viene scaricata all’esterno dopo avere effettuato il trasporto, mentre
quando si utilizzano gli inerti, più costosi, si lavora in ciclo chiuso (figura 122).

Figura 122 [18]

I condotti devono presentare poche curve e queste debbono essere ad ampio raggio,
per minimizzare i fenomeni di attrito e di erosione. Inoltre, poiché le polveri possono
caricarsi elettricamente per effetto dello sfregamento lungo le pareti metalliche della
tubazione, occorre provvedere alla sua messa a terra.

MISCELATORI, RECIPIENTI AGITATI E LETTI FLUIDIZZATI [13]


In vari processi può sorgere la necessità di miscelare solidi tra loro o con correnti fluide.
Il primo caso è tipico della formulazione di prodotti finiti, in cui occorre miscelare
correttamente delle polveri in proporzioni prefissate (come accade, ad esempio, nel
caso di fertilizzanti o detersivi). La miscelazione liquido-solido e gas-solido è invece
assai frequentemente associata ad esigenze di omogeneizzare le condizioni operative,
migliorare il trasporto di calore o di materia, ovvero favorire una reazione chimica.

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Miscelatori per solidi granulari
Le tipologie maggiormente utilizzate per i miscelatori per solidi granulari sono:
• miscelatore a V: è costituito da un contenitore a forma di V attraversato da un asse
orizzontale e riempito parzialmente con i solidi da miscelare (figura 123a). Ad ogni
rotazione dell’apparecchio, le particelle solide si suddividono nei due compartimenti
che costituiscono i due rami della V e quindi si riuniscono nel compartimento
corrispondente al vertice: ripetendo il moto rotatorio per un certo numero di volte si
ottiene una buona miscelazione del prodotto.
• miscelatore ad elica: è costituito da un recipiente ad asse orizzontale entro cui ruota
un albero centrale dotato di una girante del tipo ad elica, che rimescola il solido,
spostando gruppi di particelle da una zona all’altra dell’apparecchio (figura 123b).

(b)
(a)

Figura 123 [14]

Recipienti agitati per la miscelazione liquido-solido


Lo scopo principale della miscelazione è quello di sospendere il solido in modo efficace
ai fini del processo che si intende realizzare nell’apparecchiatura. In alcuni casi è
richiesta una buona omogeneità della sospensione, ossia una distribuzione pressoché
uniforme del solido nell’apparecchio; più frequentemente, è invece sufficiente che tutte
le particelle solide siano sospese, presentando al contatto del liquido la propria
superficie esterna, anche se la loro distribuzione nell’apparecchio non è uniforme.
Questo secondo obiettivo si ottiene con un consumo energetico inferiore e comporta,
inoltre, un minore danneggiamento del solido per effetto degli urti nell’apparecchio.
Nella maggior parte dei casi la miscelazione viene effettuata all’interno di recipienti
cilindrici ad asse verticale, con fondo bombato o conico, utilizzando un albero rotante su
cui sono calettate delle giranti. Queste possono essere:
• assiali: quando l’angolo formato dalle pale con il piano di rotazione è inferiore a 90°.
Nell’apparecchio si genera un flusso in direzione assiale (diretto verso l’alto o, più
frequentemente verso il basso), come mostra la figura 124a, che facilita la
sospensione del solido. Le giranti assiali presentano buone capacità di sollevamento
del solido e consumi energetici relativamente modesti. La classica girante assiale è
l’elica marina tripala, ma si utilizzano anche giranti a pale inclinate o con profili
particolari (vedi figura 124c)
• radiali: quando le pale sono parallele all’asse di rotazione. Nell’apparecchio si
genera un flusso in direzione radiale che, in corrispondenza delle pareti si divide in
due componenti, una diretta verso l’alto e l’altra verso il basso, come mostra la
figura 124b. Le giranti radiali presentano minori capacità di sollevamento del solido e
consumi energetici più elevati di quelle assiali: si utilizzano soprattutto quando è
presente anche una fase gassosa. La classica girante radiale è la turbina Rushton,

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con disco centrale, ma si utilizzano anche giranti a pale semplici o multiple, diritte o
curve (figura 124d).

(a) (b)

(c) (d)

Figura 124 [14]

Le giranti hanno di norma diametro che varia da ¼ a ½ del diametro del recipiente e
velocità di rotazione dalle decine alle centinaia di giri al minuto, tanto maggiore quanto è
minore il diametro della girante.
Per prevenire l’instaurarsi di un vortice per effetto della componente tangenziale del
moto rotatorio, centrale, con possibile inglobamento di gas nella sospensione, si
pongono radialmente sulla parete dei diaframmi frangiflutti (baffles) di larghezza pari a
circa 1/10 del diametro del recipiente, mostrati in figura 124.
Queste tipologie di sistemi di agitazione si possono utilizzare anche per miscelare
liquidi, miscele liquido-liquido e gas liquido: per questi sistemi si preferiscono giranti
radiali in cui l’elevata turbolenza indotta dalla girante assicura la suddivisione del gas in
piccole bollicine (o del liquido in minute goccioline).

Letti fluidizzati
Delle particelle solide si dicono fluidizzate quando rimangono sospese in un flusso
ascensionale in modo tale che le singole particelle siano in movimento, mentre lo
spazio complessivamente occupato dal solido non varia. La fluidizzazione può aver
luogo sia in un flusso di gas che di liquido, ma la prima applicazione è di gran lunga la
più frequente ed a questa ci si riferirà nel seguito.
Un letto fluidizzato è generalmente realizzato in apparecchi cilindrici ad asse verticale
(figura 125). Il gas entra nel fondo ed incontra una zona di omogeneizzazione, prima di
passare attraverso un distributore, che assicura una uniforme ripartizione del flusso
gassoso e provvede anche a sostenere il solido in caso di assenza di flusso gassoso. Il
distributore del gas assume configurazioni diverse dipendentemente dal fatto che la
corrente gassosa contenga o meno particelle solide: il primo caso è frequente nelle
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reazioni catalitiche. Sopra al distributore del gas è posta la zona occupata dal letto
fluidizzato espanso, la cui altezza varia da alcune decine di centimetri a svariati metri, a
seconda delle applicazioni. Al di sopra è lasciata una zona libera per il disimpegno delle
particelle solide più fini eventualmente trascinate dal gas; può anche essere presente
un vero e proprio dispositivo di separazione gas-solido, spesso costituito da un ciclone,
posto esternamente all’apparecchio o al suo interno.

Figura 125 [14]

Il solido entra nell’apparecchio lateralmente, in corrispondenza del pelo libero ed esce


all’estremo diametralmente opposto, per troppo pieno: sull’ingresso e sull’uscita del
solido sono posti dispositivi a tenuta.
Una delle proprietà più importanti dei letti fluidizzati è l’ottima capacità di scambio
termico, superiore di centinaia di volte a quella del gas, per effetto della presenza delle
particelle solide, che, con il loro movimento, contribuiscono a distribuire il calore
nell’apparecchio. Questa proprietà è particolarmente importante quando si desideri
fornire o sottrarre calore in seno al letto (come accade nei reattori a letto fluidizzato o
nel caso della combustione in letto fluidizzato): la temperatura si omogeneizza molto
rapidamente e può essere generalmente considerata costante all’interno del letto.
Quando, come spesso accade, i letti fluidizzati lavorano a temperature elevate, il
recipiente in acciaio è rivestito internamento con un refrattario che isola termicamente il
metallo e lo protegge dall’abrasione delle particelle solide.
Le applicazioni dei letti fluidizzati gas-solido sono numerose e comprendono reazioni
chimiche (catalizzate e non), essiccamento, combustione, granulazione, adsorbimento,
ecc. La tecnologia si è sviluppata con riferimento ai reattori catalitici e, in particolare, per
il cracking catalitico del petrolio, su cui si tornerà nel prossimo capitolo.
Affinché si abbia la fluidizzazione la velocità ascensionale del fluido deve essere
compresa in un intervallo relativamente ampio che va da un valore minimo, al di sotto
del quale le particelle giacciono l’una sull’altra senza sollevarsi (letto fisso) ad un valore
massimo, al di sopra del quale le particelle sono trascinate dal fluido.
Le dimensioni delle particelle che possono essere fluidizzate in una corrente gassosa
va da qualche centimetro al millesimo di millimetro, anche se il campo dimensionale più
spesso utilizzato va da 0.25 a 0.01 mm; la velocità del gas è generalmente compresa
tra 0.15 e 3 m/s.
Il comportamento delle particelle nei confronti della fluidizzazione può essere previsto
sulla base della classificazione di Geldart che, basandosi sulla differenza tra la densità
del solido e del gas e sulla dimensione delle particelle individua 4 gruppi (figura 126):
• gruppo A: particelle piccole e/o con bassa densità. Il sistema fluidizza bene.
• gruppo B: sono le particelle con dimensioni comprese tra 0.5 e 0.04 mm e densità

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comprese tra 1 400 e 4 000 kg/m3. Costituiscono il gruppo di particelle più adatto
alla fluidizzazione.
• gruppo C: sono polveri molto fini, coesive e difficili da fluidizzare.
• gruppo D: sono i solidi ad elevata densità o di dimensioni notevoli, difficili da
fluidizzare in apparecchi di tipo tradizionale.

Figura 126 [18]

SEPARAZIONE SOLIDO-SOLIDO, LIQUIDO-SOLIDO E GAS-SOLIDO [13]


In questo paragrafo saranno fornite informazioni su alcune apparecchiature utilizzate
per la separazione solido-solido, liquido-solido e gas-solido.

Separazione solido-solido
La separazione solido-solido può riguardare la suddivisione di un solido in base alle sue
dimensioni, oppure la separazione di solidi con caratteristiche diverse. Questo secondo
problema si presenta raramente nell’industria di processo: i metodi utilizzati si basano
sulla differenza di densità, o sul diverso comportamento dei solidi (magnetismo, carica
elettrostatica, bagnabilità superficiale).
Il problema relativo alla suddivisione di un solido in classi dimensionali si pone invece
frequentemente, soprattutto per ragioni legate alla specifiche commerciali richieste per
gran parte dei prodotti solidi. L’operazione utilizzata prende il nome di vagliatura e
comporta l’utilizzo di vagli, costituiti da telai rettangolari entro cui è posta una rete
metallica, che presenta fori di dimensioni prefissate. I vagli sono disposti leggermente
inclinati rispetto all’orizzontale e sovrapposti tra loro: la dimensione dei fori della rete
vanno diminuendo man mano che ci si sposta verso il basso. L’insieme dei vagli è
collegato ad un motore in grado di impartire loro una vibrazione elettromagnetica (vedi
figura 127). Il solido viene alimentato in strato sottile al di sopra del primo vaglio e si
sposta da un estremo all’altro del vaglio per effetto delle vibrazioni e della pendenza:
quando le dimensioni delle particelle sono inferiori rispetto a quelle dei fori della rete di
un vaglio, esse cadono sul vaglio sottostante, e così via. Le particelle di dimensioni tali
da non passare attraverso i fori del primo vaglio vengono recuperate alla sua estremità
inferiore; le particelle più fini, che hanno attraversato tutti i vagli, si raccolgono su un
piano metallico che chiude inferiormente l’apparecchio.
I vibrovagli sono in grado di separare particelle di dimensioni variabili tra la decina di
centimetri e 0.05 mm. Solitamente, non è necessario predisporne più di 3 o 4

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sovrapposti, poiché lo scopo dell’operazione è quello di scartare il prodotto non a
specifica, ossia di dimensioni superiori o inferiori al campo di interesse.

Figura 127 [14]

Separazione liquido-solido
Scopo prevalente della separazione liquido-solido può essere quello di purificare una
corrente liquida (spesso costituita da acqua) dai solidi sospesi, quello di recuperare un
solido dal liquido che lo bagna, o entrambi.
Le operazioni di separazione liquido-solido sfruttano essenzialmente due meccanismi:
• sedimentazione: le particelle solide si muovono all’interno della fase liquida per
effetto della differenza di densità, in un campo di forze gravitazionale o centrifugo.
Su questo principio si basa il funzionamento di sedimentatori a gravità, chiarificatori,
ispessitori, idrocicloni e centrifughe sedimentatrici.
In linea di massima si opera una sedimentazione quando la concentrazione del
solido nella sospensione di partenza è bassa (meno del 2-5% in volume) e per
dimensioni delle particelle che possono essere anche inferiori a 0.05 mm: molto
spesso lo scopo principale dell’operazione è quello di purificare il liquido.
Raramente il solido viene recuperato tal quale, mentre più spesso esso è in forma
di sospensione concentrata nel liquido di partenza.
• filtrazione: la fase liquida si muove attraverso uno strato di particelle solide fisse, per
effetto di forze gravitazionali, di pressione o centrifughe.
Su questo principio si basano i filtri a pressione, sotto vuoto e centrifughi, i filtri a
letto profondo e le separazioni con membrane. Con l’eccezione di queste ultime due
categorie di operazioni, in cui l’alimentazione è costituita da una sospensione a
bassissimo tenore di solido, la filtrazione viene generalmente utilizzata per
sospensioni abbastanza concentrate (più del 2-5% in volume) e contenenti
particelle solide non troppo fini (dimensioni tipicamente superiori a 0.05 mm).
Inoltre, in molti casi, la fase solida separata è umida (tenore di umidità 40-80%) ma
non accompagnata da liquido in eccesso.
Tra le apparecchiature per la separazione liquido-solido, quelle più frequentemente
utilizzate nell’industria di processo sono i sedimentatori centrifughi ed i filtri.

Sedimentatori centrifughi
Sono formati da un paniere rotante ad elevata velocità intorno ad un asse verticale: la
sospensione alimentata alla macchina (figura 128a) si suddivide per effetto della forza
centrifuga nella fase solida, proiettata verso le pareti del paniere ed in quella liquida,

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che occupa una zona più centrale (figura 128b). Le velocità di rotazione variano tra 500
e 10 000 giri/minuto, ed i diametri da 15 cm a 1 m: all’aumentare del diametro della
macchina diminuisce la sua velocità di rotazione.
(a) (b)

Figura 128 [14]

Nelle maggior parte dei casi il funzionamento della macchina è discontinuo ed occorre
fermarla ad intervalli di tempo ed aprirla per rimuovere il solido, in modo manuale o
automatico (mediante coltelli raschianti). La concentrazione del solido nella corrente
entrante deve quindi essere bassa per evitare arresti troppo frequenti per pulizia.
Nella centrifuga a paniere, schematizzata in figura 128, l’alimentazione entra
centralmente nella parte bassa della macchina, il solido si accumula sulle pareti ed il
liquido è estratto con continuità dall’alto. Il ciclo operativo termina quando lo strato di
solido ha raggiunto uno spessore prefissato: il liquido viene aspirato con un tubo
pescante, ed il solido viene rimosso da un coltello raschiante, mentre la centrifuga ruota
lentamente, e viene scaricato dal fondo.

Filtri
Questi apparecchi presentano un setto filtrante, costituito da una rete metallica, un
tessuto naturale o sintetico, un feltro di carta, ecc., verso cui viene spinta la
sospensione: il solido si deposita sul setto filtrante, formando uno strato (detto torta o
pannello), mentre il liquido permea attraverso lo strato di solido ed il setto.
L’effetto filtrante, inizialmente assicurato dal setto, migliora notevolmente man mano
che il solido si deposita, ma, al crescere dello spessore della torta aumenta anche la
resistenza incontrata dal liquido per attraversarlo. Occorre quindi rimuovere il pannello
solido, periodicamente o con continuità.
La forza spingente per l’operazione può essere la pressione, esercitata a monte del
filtro, il vuoto, esercitato a valle del filtro, o la forza centrifuga.
I filtri a pressione sono generalmente a funzionamento discontinuo, ossia vanno
arrestati ed aperti per effettuare la rimozione, manuale o automatica, del pannello
solido. Essi consentono di ottenere un solido non troppo umido, data la forza spingente
relativamente elevata (fino a circa 20 atm) che sono in grado di esercitare. L’operazione
può essere effettuata:
• a pressione costante: in questo caso la portata di filtrato diminuisce nel tempo per
effetto dell’aumento della resistenza offerta dal pannello solido;
• a portata costante: in questo caso la pressione operativa va aumentata nel tempo
per compensare l’aumento della resistenza offerta dal pannello solido;
• a pressione e portata variabili: in questo caso, man mano che la filtrazione procede,
si ha contemporaneamente una diminuzione della portata ed un aumento della
pressione.

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Tra i filtri a pressione quelli maggiormente utilizzati nell’industria di processo sono le
filtropresse, in cui la pressione operativa massima è attorno a 10 atm. Una filtropressa è
formata da una serie di piastre, su cui è posto (su entrambe le facce) il setto filtrante, tra
cui sono interposti telai cavi (vedi figura 129); sia le piastre che i telai presentano dei fori
in modo da creare dei condotti per l’alimentazione e il liquido filtrato, analogamente a
quanto visto per gli scambiatori a piastre. Le piastre hanno forma circolare, quadrata o,
più spesso, rettangolare, e dimensioni che possono superare 1 m2: una filtropressa ne
può contenere anche più di un centinaio. La sospensione viene alimentata negli spazi
tra le piastre, in cui si accumula man mano il solido, mentre il liquido filtrato è
recuperato con continuità dalle piastre. Quando lo spazio a disposizione del pannello
solido si esaurisce, l’operazione viene arrestata e si provvede ad allontanare, in modo
manuale o automatico, le piastre dai telai: il solido cade per gravità o per effetto di
vibrazioni.

Figura 129 [14,20]

Figura 130 [14]

I filtri sotto vuoto sono generalmente a funzionamento continuo, ossia il solido viene
rimosso con continuità dalla superficie del setto filtrante. Essi danno luogo ad un solido
alquanto umido, poiché la massima forza spingente che è possibile esercitare è
inferiore ad 1 atm (vuoto assoluto).
Tra questo tipo di filtri quelli maggiormente utilizzati nell’industria di processo sono i filtri
a tamburo rotante o Dorr Oliver (figura 130). Essi sono formati da un tamburo cavo, la
cui superficie presenta degli scomparti, collegati con il sistema di vuoto, sopra cui è
posto il setto filtrante: il tamburo ruota lentamente, parzialmente immerso in una vasca
in cui è alimentata la sospensione. Per effetto del vuoto il liquido viene aspirato dagli
scomparti del tamburo, mentre il solido si deposita sul setto: nel tratto in cui il tamburo
160
ruota emerso si può provvedere ad un lavaggio del solido o ad essiccarlo parzialmente;
il solido viene infine staccato dal setto mediante una lama raschiante.
Il tamburo ha un diametro che può arrivare ad un paio di metri ed una lunghezza fino a
8 m; per limitare l’ingresso di aria, gravoso per il sistema di vuoto, si dispone una
copertura al di sopra del tamburo quando esso ruota emerso dal liquido.
I filtri centrifughi sono sia a funzionamento discontinuo che continuo e consentono, in
generale, di ottenere un solido abbastanza secco. La centrifuga più utilizzata è quella a
spinta (pusher), a funzionamento continuo. L’alimentazione entra assialmente mediante
un cono di distribuzione e quindi si distribuisce verso il setto filtrante, raccogliendosi nel
paniere cilindrico (figura 131). A distanza fissa dal cono di distribuzione è posto un
disco di diametro poco inferiore a quello interno del setto filtrante: il cono ed il disco
ruotano alla stessa velocità del paniere e, inoltre, si muovono di moto alternativo al suo
interno. Con riferimento alla figura 131, quando il disco si muove verso destra sposta il
pannello anulare formato dalle particelle depositatesi sul setto verso l’estremità del
paniere, da cui cadono in un apposito alloggiamento; il pannello di solido si forma,
invece, mentre il disco si muove verso sinistra. Disco e cono compiono varie decine di
corse al minuto. Questa macchina è molto efficiente, ma non si può utilizzare per
particelle troppo fini: infatti, per ragioni di resistenza meccanica, il setto filtrante è
costituito da barre di acciaio distanziate circa 0.1 mm.

Figura 131 [19]

Separazione gas-solido
Lo scopo dell’operazione è generalmente una purificazione del gas dalle polveri
sospese, per ridurre la possibilità di danni alla salute dei lavoratori, limitare rischi di
esplosioni, riutilizzare il gas nell’impianto, ecc.; in alcuni casi, tuttavia, come a valle di
un impianto di trasporto pneumatico, lo scopo principale è quello di recuperare il solido.
In ogni caso il tenore di polveri nella corrente gassosa è molto modesto e le loro
dimensioni sono fini.
I più importanti sistemi di separazione gas-solido utilizzati nell’industria di processo
sono i cicloni, i filtri a pannello ed a maniche, gli scrubbers e gli elettrofiltri. Nella gran
parte dei casi, per esigenze di purificazione piuttosto spinta, si utilizzano più apparecchi
in serie, a partire da quello in grado di realizzare la separazione più grossolana fino a
quello che effettua la separazione più fine.

Cicloni
Il funzionamento dei cicloni è basato sulla forza centrifuga, che viene indotta facendo
entrare l’alimentazione gassosa tangenzialmente nella parte alta di un apparecchio

161
costituito da una testa cilindrica su un’estremità conica (figura 132). Il flusso assume la
forma di un vortice primario diretto verso il basso ed il solido si deposita sulle pareti
raccogliendosi sul fondo. Il gas fuoriesce invece dall’alto, attraverso un tubo coassiale
all’apparecchio, dando origine ad un vortice secondario centrale.
L’apparecchio funziona in continuo, è assai semplice dal punto di vista costruttivo, può
operare anche su correnti calde, ed è in grado di recuperare particelle di dimensioni
superiori a 0.01 mm. La velocità di ingresso del gas è elevata (20-30 m/s) e le capacità
di recupero (ma anche le perdite di carico) aumentano all’aumentare della velocità del
gas ed al diminuire del diametro del ciclone: per limitare le perdite di carico al valore
usuale (100-200 Pa) si possono utilizzare più unità in parallelo.

Figura 132 [18]

Filtri
I filtri sono costituiti da feltri o tessuti, in forma tubolare o piana sostenuti all’interno di
appositi telai. Come già visto per la filtrazione liquido-solido, anche in questo caso
occorre provvedere alla pulizia periodica del filtro, quando lo spessore del deposito
solido (e quindi le perdite di carico) diventano eccessive. La velocità del gas nel
passaggio attraverso il filtro viene mantenuta bassa, per evitare di compattare
eccessivamente il deposito fioccoso: le perdite di carico sono intorno a 1 000 -1 500 Pa.
I filtri a pannello sono formati da pannelli realizzati coprendo un telaio con tela filtrante o
con un feltro. La pulizia è effettuata scuotendo i pannelli o inviando un flusso gassoso
in senso inverso a quello di filtrazione. La forma dei pannelli è generalmente
rettangolare e le dimensioni possono arrivare ad un paio di metri quadrati. Si utilizzano
per portate gassose relativamente basse (ad esempio nei condizionatori).
I filtri a maniche (bag filters) sono formati da una serie di maniche tubolari di stoffa del
diametro 10-50 cm e lunghe fino a 12 m, disposte all'interno di una grossa carcassa
metallica. Il gas, alimentato all’interno o all’esterno delle maniche, passa attraverso il
filtro, mentre il solido viene trattenuto. Le maniche sono sorrette da una incastellatura:
questa può mancare se il gas è alimentato all’interno della manica e la sostiene con il
suo flusso. La pulizia può essere effettuata per scuotimento meccanico o inviando gas
in senso inverso a quello di filtrazione (figura 133a). I filtri a maniche si utilizzano per
portate gassose elevate e presentano ingombri rilevanti: per consentire che la filtrazione
162
abbia luogo in continuo, si installano più gruppi di filtri a maniche in parallelo, in modo
che vi siano sempre dei gruppi operativi mentre uno è in fase di pulizia (figura 133b).

(a)

(b)

Figura 133 [18,14]

Figura 134 [18]

Scrubbers
Gli scrubbers operano un lavaggio del gas mediante un liquido che viene spruzzato
nell’apparecchio: le particelle sono inglobate nelle goccioline, che precipitano facilmente
al fondo dello scrubber, date le loro dimensioni non troppo piccole. Il solido viene quindi
recuperato in forma di sospensione liquida diluita: ciò può costituire un problema nel
caso in cui si debba successivamente recuperarlo.
Nelle colonne a spruzzo (spray towers) il gas entra dal basso e fluisce verso l’alto,
incontrando diverse serie di spruzzatori (figura 134). In alcuni casi il liquido di lavaggio
163
viene parzialmente ricircolato alla colonna; nell’apparecchio possono essere inoltre
presenti diaframmi di vario tipo, o corpi di riempimento per aumentare l’efficienza.
Le perdite di carico di uno scrubber di questo tipo di aggirano intorno a 500 Pa. La
presenza del liquido (che è quasi sempre acqua) evita eventuali problemi legati
all’esplosività delle polveri, assicura la pulizia all’interno del separatore e facilita il
convogliamento del solido abbattuto fuori dell’apparecchio.

Elettrofiltri
Il funzionamento degli elettrofiltri si basa sull’effetto corona che si genera tra due elettrdi
in presenza di un campo elettrico di voltaggio elevato. Alcuni composti presenti nel gas
(come l’anidride carbonica e il vapor d’acqua) si ionizzano per effetto dell’elevata
densità di carica presente intorno all’elettrodo di scarica e si dirigono verso l’elettrodo
ricevitore, messo a terra dal punto di vista elettrico. Gli ioni, nel loro movimento
colpiscono le particelle solide che si trovano lungo il loro cammino e trascinano
anch’esse a depositarsi sull’elettrodo ricevitore.
Gli elettrodi di scarica sono generalmente costituiti da fili metallici, mentre quelli
ricevitori sono delle piastre (figura 135) oppure dei tubi posti attorno agli elettrodi di
scarica. La differenza di potenziale applicata varia da 10 a 60 kV ed i consumi
energetici sono elevati.

Figura 135 [18]

Gli elettrofiltri sono in grado di separare anche particelle molto fini e presenti a
concentrazione bassissima. Poiché essi costituiscono il mezzo di purificazione del gas
più efficace, e di gran lunga quello più costoso, sono sempre utilizzati a valle di altri
separatori che provvedono alla separazione più grossolana. Risulta particolarmente
conveniente sistemare gli elettrofiltri a valle di scrubbers in cui si utilizzi acqua, poiché
ciò assicura una abbondante presenza di vapor d’acqua, facilmente ionizzabile.

OPERAZIONI UNITARIE SOLIDO-FLUIDO [13]


Le operazione unitarie in cui si ha il trasferimento di materia solido-fluido, comprendono
varie tipologie:
• estrazione liquido-solido: in cui si realizza il trasferimento di un soluto (solido o
liquido) da una fase solida ad una fase liquida (detta solvente). Esempi di

164
estrazione liquido-solido sono l’estrazione di composti uraniferi da minerali, quella
dello zucchero dalle barbabietole, quella dell’olio da semi vegetali, ecc.
• cristallizzazione: in cui si realizza il trasferimento di un soluto solido da una fase
liquida (soluzione in un liquido o miscela di solidi fusi) ad una solida (cristalli), che si
crea nel corso dell’operazione, per effetto di raffreddamento, evaporazione,
reazione chimica, ecc. Esempi di cristallizzazione da soluzione sono quella del
cloruro di sodio, dello zucchero, ecc.; la cristallizzazione da fuso si utilizza invece
soprattutto per la purificazione spinta di semiconduttori, la separazione di prodotti
organici, ecc.
• essiccamento: in cui si realizza il trasferimento di un liquido, trattenuto dal solido, ad
una corrente gassosa. Esempi di essiccamento sono quello del cemento, della
frutta, ecc.
• adsorbimento: in un cui si realizza il trasferimento di un componente da una corrente
gassosa o liquida ad una solida. L’adsorbimento si utilizza soprattutto per eliminare
piccole tracce di impurezze da gas o liquidi: uno dei materiali solidi più
frequentemente utilizzati nell’adsorbimento è il carbone attivo.
Tra queste operazioni quella utilizzata più frequentemente nell’industria di processo, e
che dà inoltre luogo a specifiche problematiche di sicurezza è l’essiccamento.

Essiccamento
Nell’essiccamento un liquido trattenuto dal solido come umidità viene trasferito ad una
corrente gassosa. Tale trasferimento non richiede l’ebollizione del liquido (basta
pensare all’essiccamento di panni o frutta stesi all’aria) ma è tuttavia favorito dalla
somministrazione di calore. Frequentemente la corrente gassosa è calda e fornisce
quindi essa stessa calore (essiccamento diretto), mentre in altri si provvede al
riscaldamento per altra via, come ad esempio con una camicia riscaldante, lasciando al
gas solo il compito di trascinare via i vapori del liquido.
Dipendentemente dalla natura del solido e dalle caratteristiche del gas è possibile
spingere in misura maggiore o minore l’essiccamento, ossia ottenere un solido con
tenore finale di umidità più o meno basso. L’umidità può infatti interessare la superficie
del solido, penetrare negli interstizi tra le particelle o essere legata alla struttura stessa
del solido (come accade in molti prodotti di origine naturale). La rimozione dell’umidità
sarà tanto più semplice quanto più essa sia legata in modo debole con il solido. In
particolare, non è possibile eliminare completamente l’umidità dai solidi in cui essa
faccia parte della struttura stessa del materiale, a meno di non utilizzare un gas
perfettamente secco. Tali solidi si porranno infatti in equilibrio con il gas con cui sono a
contatto e non sarà possibile ridurre il livello di umidità al di sotto di quello di equilibrio.
Nella maggior parte dei casi l’umidità che si desidera eliminare dal solido è costituita da
acqua ed il gas utilizzato per l’essiccamento è l’aria; non sono però infrequenti i casi in
cui il solido trattenga un solvente. Se il solvente o il solido sono infiammabili si utilizza
un gas inerte (ad esempio azoto) che lavora in ciclo chiuso: ipotizzando un
essiccamento diretto, il gas viene scaldato, passa nell’essiccatore da cui asporta i
vapori di solvente, viene inviato ad un condensatore dove viene recuperata una parte
del solvente (la condensazione è in presenza di incondensabili) e viene ricircolato al
riscaldatore (figura 136). In questo caso (ma anche quando si utilizza aria ambiente) il
gas in ingresso all’essiccatore contiene una certa concentrazione (bassa) di vapori di
solvente: affinché l’essiccamento possa aver luogo è necessario che il gas uscente
abbia una concentrazione di vapori di solvente inferiore alla saturazione a quella
pressione e temperatura.

165
Tale concentrazione si valuta con la relazione già vista in precedenza :
p (T )
y v ,solvente = s,solvente
P
dove
yv,solvente = frazione molare dei vapori di solvente nel gas
ps,solvente = tensione di vapore del solvente, alla temperatura T (atm)
P = pressione del sistema (atm)
Poiché tale concentrazione di saturazione aumenta all’aumentare della temperatura è
conveniente operare a temperatura elevata, in quanto ciò consente di ridurre la portata
di gas necessaria a parità di quantità di vapori di solvente da asportare.
gas saturo di vapori di solvente

ventilatore

condensatore riscaldatore

gas umido gas secco


e freddo e caldo

solido umido essiccatore solido secco

Figura 136

Il limite sulla temperatura operativa viene spesso fissato in base alla capacità del solido
di resistere alla temperatura senza subire danni, ed è quindi basso per prodotti
termosensibili, come ad esempio la frutta. Inoltre, in un essiccatore continuo, si
preferisce inviare solido e gas in controcorrente (figura 137a), con il solido più secco è a
contatto con il gas più caldo, quando si desidera spingere l’essiccamento ed il solido
non è termosensibile, mentre si adotta l’equicorrente (figura 137b), con il solido più
secco è a contatto con il gas più freddo, per solidi termosensibili.

gas umido gas secco gas secco gas umido


e freddo
(a) e caldo e caldo
(b) e freddo
essiccatore essiccatore
solido umido solido secco solido umido solido secco

Figura 137

Gli essiccatori lavorano di norma a pressione atmosferica: nella maggior parte dei casi
si utilizza una sola macchina (generalmente un ventilatore) per movimentare il gas ed
essa viene posta o a monte o a valle dell’essiccatore. Nel primo caso l’essiccatore
lavorerà a pressione leggermente superiore a quella atmosferica, mentre nel secondo
sarà, seppure di pochissimo, sotto vuoto. Se la pressione è superiore a quella

166
atmosferica è una possibile una fuoriuscita di gas e prodotto, mentre, se si lavora sotto
vuoto, è possibile un ingresso di aria dalle tenute e quindi occorre scegliere, caso per
caso, la soluzione più conveniente. Se si desidera che l’essiccatore lavori esattamente
a pressione atmosferica si dovranno utilizzare due ventilatori, posti uno a monte ed uno
a valle dell’apparecchio.
Tra gli essiccatori più utilizzati nell’industria di processo rientrano i tipi a tamburo, a letto
fluidizzato e lo spray drier.

Essiccatore a tamburo
Questo essiccatore è formato da un cilindro che ruota intorno al proprio asse,
leggermente inclinato sull’orizzontale: sulla parete interna del cilindro sono presenti
alette longitudinali (figura 138), Il solido entra dall’estremità superiore e procede verso
quella inferiore: la rotazione del cilindro fa si che il solido sia sollevato dalle alette e
ricada sul fondo del tamburo, attraversando così la corrente gassosa che passa nel
cilindro in senso longitudinale.
Questo essiccatore è molto economico ma non si può utilizzare per polveri troppo fini,
che verrebbero trascinate dal gas fuori dall’apparecchio. Esso può funzionare in
equicorrente ed in controcorrente, con riscaldamento diretto, inviando gas caldo, o
indiretto, provvedendo il tamburo di una camicia riscaldante.

Figura 138 [14]

Figura 139 [12]

Essiccatore a letto fluidizzato


Questo essiccatore è formato da un recipiente sul fondo del quale è posto un setto
poroso: il gas caldo che entra al di sotto del setto mantiene in stato fluidizzato le
particelle solide (figura 139). Il solido entra lateralmente al di sopra del setto e fuoriesce
per troppo pieno dall’estremità opposta; il gas caldo si distribuisce nella zona al di sotto
167
del setto, fluidizza il solido ed esce dall’apparecchio dall’alto. Nel caso in cui il gas
trascini polveri fini queste possono essere recuperate in un ciclone (come mostra la
figura) o in un filtro. Sempre con riferimento alla figura, in questo caso sono installati
due ventilatori, una prima dell’ingresso dell’aria nel riscaldatore ed uno all’uscita dal
letto fluidizzato: è quindi lecito attendersi che l’apparecchio rappresentato lavori
esattamente a pressione atmosferica.
Gli essiccatori a letto fluidizzato sono caratterizzati da un’ottima efficienza: i limiti al loro
impiego coincidono con quelli dei letti fluidizzati in generale: non sono adatti a polveri
troppo fini o particelle troppo grandi.

Spray drier
Lo spray drier ( o essiccatore a polverizzazione) fornisce una polvere secca a partire da
una soluzione o sospensione liquida. L’alimentazione viene spruzzata dall’alto in forma
di goccioline molto fini all’interno di un apparecchio cilindrico con fondo conico e si
essicca molto rapidamente a contatto con la corrente gassosa: il gas e la polvere
escono insieme o separatamente dal fondo e procedono attraverso un sistema di
separazione che comprende cicloni e/o filtri. La figura 140 mostra uno spray drier che
lavora in equicorrente: l’aria calda entra infatti anch’essa nella parte alta del recipiente.
Il solido si raccoglie sul fondo, ma può essere in parte trascinato dall’aria uscente, che
viene inviata ad un ciclone per recuperare il solido. Il solido proveniente dal fondo
dell’essiccatore, insieme a quello recuperato dal ciclone sono inviati ad una tramoggia
mediante un sistema di trasporto pneumatico in aspirazione. Un altro ciclone separa il
solido eventualmente trascinato dall’aria utilizzata per il trasporto pneumatico che,
unitamente a quella proveniente dall’essiccatore viene inviata al condotto di scarico in
atmosfera. Anche in questo caso, sulla linea dell’aria sono presenti due ventilatori, uno
prima del riscaldatore ed uno prima del condotto finale di uscita: l’apparecchio funziona
quindi a pressione atmosferica.

Figura 140 [14]

PROBLEMATICHE DI SICUREZZA DELLE APPARECCHIATURE PER FASI SOLIDE [6]


Tra le apparecchiature che trattano fasi solide quelle che presentano più spesso
problemi di sicurezza sono quelle per la miscelazione, le centrifughe e gli essiccatori.

168
Miscelatori
Le problematiche di sicurezza relative ai miscelatori possono riguardare l’apparecchio,
l’operazione, i prodotti e l’impianto.
L’apparecchio deve essere adatto allo scopo che ci si prefigge, e non deve presentare
spazi morti in cui si possano verificare reazioni o solidificazioni. Il corpo del miscelatore
può essere sottoposto ad una sollecitazione di pressione o di vuoto e a vibrazioni, che
possono indurre fenomeni di fatica. Occorre calcolare la velocità critica dell’agitatore e
farlo ruotare a velocità inferiori al 70% del suo valore. Quando si effettua il riempimento
del recipiente si possono presentare problemi legati a carichi non bilanciati; inoltre, le
parti rotanti subiranno forze inerziali in fase di avvio, maggiori in caso di liquidi viscosi o
polveri con elevato coefficiente di attrito. Altri pericoli possono essere rappresentati
dall’ingresso di materiale estraneo, come parti in metallo, e dal contatto tra albero e
recipiente, se il primo si incurva. I punti deboli di un miscelatore sono generalmente
rappresentati da tappi, spie visive, bocchelli strumenti e punti di campionamento posti
sull’apparecchio e da cuscinetti e tenute sull’albero. L’operazione di carica e la
presenza di parti in movimento possono rappresentare un pericolo per il personale; altri
pericoli sono rappresentati da giranti che spruzzano o espellono parte del materiale
mescolato.
L’interruzione nella disponibilità dei servizi di stabilimento, come l’energia elettrica che
aziona l’agitatore, il fluido refrigerante o di inertizzazione, la ventilazione per la
rimozione dei gas di scarico, può causare problemi al miscelatore. In assenza di
miscelazione nell’apparecchio può avvenire una reazione o solidificarsi parte del
materiale; al ritorno dell’energia elettrica si avrà un azionamento improvviso e inatteso
dell’agitatore e ciò va evitato.
Talora i miscelatori trattano prodotti infiammabili. Le possibili fonti di innesco in un
miscelatore sono superfici calde, attriti, urti e elettricità statica. Le superfici calde
comprendono le carcasse di motori elettrici, i componenti del sistema di guida
dell’albero, i cuscinetti ed eventuali lampade. Attriti e impatti possono verificarsi per la
rottura di organi rotanti, l’ingresso di materiale estraneo o il contatto tra l’agitatore e il
recipiente. Attriti si possono presentare anche in caso di insufficiente lubrificazione di
tenute e cuscinetti. L’elettricità statica può generarsi durante le operazioni di carico o
durante la miscelazione di liquidi o solidi. Quando si lavora con sostanze infiammabili è
buona norma operare in atmosfera inerte.
Il layout dell’impianto deve consentire un buon accesso al miscelatore per le operazioni
di manutenzione e deve tenere conto delle perdite che possono verificarsi. I pericoli
legati alle procedure operative comprendono il sovrariempimento, che può portare a
pressurizzazione o a perdite, un riempimento insufficiente, che porta alla formazioni di
spruzzi o, se il miscelatore è quasi completamente vuoto, a danni meccanici, l’eccesso
di miscelazione che comporta un ispessimento, un surriscaldamento o una reazione
eccessiva nella miscela.
Due tipi di sistemi di protezione che si usano spesso sui miscelatori sono le protezioni
fisse e i dispositivi interbloccati. Le protezioni fisse comprendono coperchi anulari posti
sull’agitatore e barre che evitano la possibilità che gli arti vengano a contatto con parti
rotanti; inoltre si cerca di provvedere mezzi automatici per effettuare il carico e lo
scarico, come tramogge e nastri dosatori. I dispositivi interbloccati evitano che si possa
mettere in marcia l’agitatore o avvicinarsi ad esso se non è in condizioni di sicurezza:
ne esistono per assicurarsi che il coperchio sia chiuso, che l’agitatore sia centrato, per
impedire l’accesso all’apparecchio mentre il miscelatore è in marcia, ecc.

169
Centrifughe
Anche i separatori centrifughi presentano numerosi pericoli. Essi spesso trattano liquidi
infiammabili volatili e, se non si prendono particolari precauzioni, è probabile che in un
qualche stadio del ciclo operativo sia presente una miscela infiammabile che ha elevata
probabilità di innescarsi: le principali fonti di innesco sono gli attriti meccanici, la
presenza di superfici calde e l’elettricità statica. La velocità di rotazione della centrifuga
è elevata (parecchie migliaia di giri al minuto) ed un guasto meccanico, con formazione
di una scintilla, o una superficie che si riscalda, possono dar luogo all’innesco.
Il movimento della sospensione solido-liquido nella centrifuga favorisce la generazione
di elettricità statica, particolarmente se il liquido non conduce bene l’elettricità. Anche
quando la centrifuga viene arrestata ed aperta, se l’operatore è ben isolato rispetto al
terreno, ci possono essere pericoli legati all’elettricità statica.
Nelle centrifughe c’è anche un pericolo di origine meccanica dovuto all’elevata energia
cinetica del cestello rotante. Le cause principali di guasti di natura meccanica sono lo
sbilanciamento del cestello, l’assemblaggio non corretto, la corrosione o il cedimento
dei cuscinetti.
Dato che le operazioni con le centrifughe spesso comportano frequenti operazioni di
apertura della macchina ci può essere un pericolo aggiuntivo se i prodotti trattati sono
tossici.
Se c’è pericolo di esplosione, la centrifuga deve lavorare in atmosfera inerte, di solito
ottenuta con azoto, ed occorre effettuare il monitoraggio dell’atmosfera nella macchina.
I sistemi più comunemente adottati misurano il flusso di gas inerte alla centrifuga, la
pressione del gas nella centrifuga e la concentrazione dell’ossigeno in questo gas.
Quest’ultimo sistema è quello più consigliabile nelle situazioni che presentano maggiori
rischi di esplosione.
Se c’è pericolo di fuga di sostanze tossiche il sistema che comprende la centrifuga deve
essere posto in una zona chiusa, provvedendo alla ventilazione forzata dei gas
provenienti da questa zona. In alternativa si può provvedere all’estrazione dal corpo
della centrifuga, ed al funzionamento sotto vuoto, purché il liquido non sia infiammabile.
Altre misure praticabili sono l’ingresso forzato di aria fresca o l’utilizzo di autorespiratori
da parte del personale.

Essiccatori
I principali pericoli presentati dagli essiccatori sono gli incendi e le esplosioni. Lees [6]
riporta che ogni anno, nel solo Regno Unito, i vigili del fuoco effettuano interventi per
una trentina di incendi ed un’esplosione in essiccatori.
Se si sta essiccando un materiale infiammabile questo può innescarsi in forma di nube
di polvere, di strato sottile di polvere o di ammasso di polvere. Ci si può trovare in
presenza di una nube di polvere a concentrazioni tali da rendere possibile
un’esplosione solo nel caso di essiccatori in cui il materiale sia disperso in aria, come
negli essiccatori a letto fluidizzato o negli spray driers. In altri tipi di essiccatori, come
quelli a carrelli e vassoi o a nastro non è infatti presente polvere dispersa in aria, posto
che la velocità dell’aria non sia eccessivamente alta. Quando invece vi sia una nube di
polvere essa si trova quasi sempre a concentrazione compresa nell’intervallo di
infiammabilità e potrà quindi innescarsi con una qualsiasi delle usuali fonti di innesco. In
alternativa la nube può innescarsi se la sua temperatura supera quella di autoignizione.
La polvere può anche accumularsi in strati all’interno dell’essiccatore, e trovare quindi
una fonte di innesco esterna, o avviare la combustione se la sua temperatura supera
quella di autoignizione. L’innesco può verificarsi anche in un ammasso di polvere, e la

170
temperatura di autoignizione in questo caso è diversa, e più bassa, di quella per uno
strato di polvere non molto spesso.
Per prevenire le esplosioni di polveri occorre lavorare in presenza di inerti. La
concentrazione di gas inerte deve essere tale da ridurre la concentrazione dell’ossigeno
al di sotto di quella minima necessaria per sostenere la combustione.
Oltre alle proprietà della polvere, come la temperatura di autoignizione, la
concentrazione di ossigeno minima per sostenere la combustione, ecc., è importante
anche la granulometria del solido. In alcuni casi, poi, il liquido che bagna la polvere è
anch’esso infiammabile, con possibile formazione di una nube mista di polvere e vapori
infiammabili, la cui tendenza ad esplodere è ancora maggiore.
Anche per gli essiccatori le possibili fonti di innesco sono lavorazioni a caldo, superfici
calde, apparecchi elettrici e attriti e urti. Se si utilizza un riscaldamento a fuoco diretto si
possono avere particelle incandescenti che fungono esse stesse da innesco. L’aria
deve essere filtrata per evitare la presenza di polveri, specie se si lavora in ciclo chiuso.
I bruciatori utilizzati per scaldare l’aria vanno puliti regolarmente e fatti funzionare in
modo che la combustione sia completa. I gas caldi, prima di entrare nell’apparecchio,
vanno fatti passare attraverso una rete metallica con maglie da 3 mm per bloccare le
particelle incandescenti: la rete deve resistere alle alte temperature e va pulita spesso.
Non andrebbe mai utilizzato un sistema a fuoco di riscaldamento diretto per evaporare
liquidi infiammabili.
Le misure protettive per gli essiccatori comprendono l’allontanamento dei gas, la
soppressione delle esplosioni, mediante ingresso di inerti, ed il contenimento in un
recipiente resistente alle esplosioni. Se si utilizzano inerti va monitorata in continuo la
concentrazione dell’ossigeno. In alcuni essiccatori, per aumentare l’efficienza termica
viene ricircolata una parte del gas uscente: se si sta essiccando un solido umido
d’acqua, la concentrazione del vapor d’acqua sarà maggiore nel gas di riciclo, rendendo
il gas più “inerte” rispetto al caso in cui non si effettui la ricircolazione. Il contenimento
dell’esplosione comprende dispositivi di confinamento resistenti all’esplosione: questi
costituiscono un sistema pratico solo se si lavora sotto vuoto, poiché la pressione di
partenza è bassa. Infatti, in caso di esplosione, la pressione aumenta circa 8 volte
rispetto al valore originario.
Le misure protettive contro l’esplosione non sempre sono in grado di proteggere da
decomposizioni improvvise del prodotto con sviluppo di grosse quantità di gas. Vanno
pure prese delle misure per evitare che l’incendio o l’esplosione della polvere si estenda
ad altre parti dell’impianto, isolando l’essiccatore mediante dispositivi che assicurino
una certa tenuta, come valvole stellari e còclee. Il processo deve tener conto
dell’esigenza di minimizzare il rischio, specialmente nella definizione della temperatura
di ingresso dell’aria.
Gli impianti di essiccamento comprendono varie apparecchiature, come sistemi di
riscaldamento, di alimentazione, di convogliamento e di separazione della polvere, e
stoccaggi. La separazione della polvere può essere effettuata in cicloni, filtri, scrubbers
e precipitatori elettrostatici. Il sistema di riscaldamento va provvisto di strumenti, allarmi
e dispositivi di blocco, per evitare che si possa verificare un’esplosione nello spazio
riscaldato a fuoco diretto. Sugli apparecchi di separazione delle polveri vanno installate
anche valvole di sicurezza, a meno che l’essiccatore non ne sia già provvisto: in questo
caso la valvola di sicurezza che protegge dall’esplosione da polveri è generalmente
adatta anche a proteggere dall’esplosione della miscela infiammabile.
Un’altra fonte di pericolo è l’autoriscaldamento del materiale che viene trasferito
dall’essiccatore al recipiente di stoccaggio mentre è ancora caldo può comportare
pericoli: in questo caso occorre effettuare lo stoccaggio in recipienti di piccole

171
dimensioni e monitorare la temperatura del prodotto e nel recipiente.

Incidenti nelle apparecchiature per fasi solide


Esistono numerosi esempi di incidenti nelle apparecchiature per fasi solide: se ne
citeranno alcuni relativi a polveri di uso farmaceutico.
Nel 1991, in Francia, si è verificata un’esplosione di polvere mentre gli operatori
stavano aggiungendo polvere ad un miscelatore, con il ferimento di 2 operatori e la
fermata dell’impianto per tre giorni.
In un altro caso, durante la fase di centrifugazione per separare una polvere dal
solvente infiammabile si è verificato un innesco, dovuto a cariche elettrostatiche, con
successivo incendio che si è esteso a varie zone del settore di produzione dello
stabilimento.
In un altro impianto, durante la distruzione di contenitori con polveri farmaceutiche di
scarto, un innesco all’interno della macchina frantumatrice ha provocato un’esplosione
che ha distrutto la macchina.
A Sermoneta, nel 1981, durante l’essiccamento di amoxicillina umida di acetone,
effettuato in un essiccatore a letto fluido, si è verificato un incendio dei vapori di acetone
nell’essiccatore, probabilmente innescato da cariche elettrostatiche accumulate dalla
polvere, con perdita di prodotto e distruzione del filtro a maniche.

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