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Tuttavia, l’argomento «diavolo» non è semplice da
affrontare, per almeno due ragioni.
La prima è quella certa forma di timidezza, o
addirittura di vergogna, che si prova nell’ammettere
di credere nell’esistenza di Satana — per cui spesso
il discorso si basa sui «pare», «si dice»: chi prendereb-
be sul serio, dal punto di vista razionale, un vicino di
casa che partecipi a una messa nera? E chi resi-
sterebbe alla tentazione di ridere di un conoscente
che volesse rubare le ostie consacrate al parroco per
usarle a scopi sacrileghi?
Qui bisogna però osservare che questo lato oscuro
dell’esistenza umana esiste e non è possibile li-
quidarlo con una battuta: da sempre infatti le per-
sone si sono domandate perché esiste il male: il male
sociale delle guerre e degli odi, dell’assenza di una
pace vera, basata sulla giustizia, e anche il male
«privato» delle famiglie che si odiano, magari per
quattro soldi di eredità.
Una delle risposte che da tempo immemorabile è
stata data a questa domanda è quella d’immaginare
l’esistenza di un «diavolo», cioè di un essere intima-
mente malvagio che, come una mela marcia, infetta
con la sua malvagità tutte le altre.
Eppure, nonostante i passi da gigante fatti dal-
l’umanità nel campo delle scoperte tecnologiche e
<¡ratifiche, il problema del male rimane, come ieri,
7
soprattutto psichiche, la cui cura rientra nel campo
della scienza medica. E importante, quindi, accer-
tarsi, prima di celebrare l’esorcismo, che si tratti di
una presenza del Maligno e non di una malattia1.
K
avuto la fede nell’esistenza del diavolo, e partico-
larmente il periodo della caccia alle streghe;
4) infine cercheremo una parola di speranza ispira-
ta al messaggio biblico.
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2
CHI È IL DIAVOLO?
-Di qua, di là, su per lo sasso tetro vidi demon cornuti con
uni» forze... »
(I )ANTK ALIGHIERI, Inferno, canto, XVIII).
11
Lo stesso fenomeno vale per i concetti di bene e
male: essi non sono assoluti, ma sono legati stret-
tamente alla cultura in cui si vive e non sono affatto
«neutri». Qui allora si vede quanto il nostro problema
sia connesso con quello del linguaggio che usiamo per
dire le cose. In questo campo, cioè, siamo soliti uti-
lizzare immagini antiche, saltando la cultura moder-
na: diciamo per esempio che «Dio è in cielo», ma
intanto viaggiamo in aereo; immaginiamo il diavolo
con le com a, le zampe da caprone e gli occhi da gatto,
e contemporaneamente abbiamo acquistato un at-
teggiamento positivo nei confronti del mondo anima-
le e della natura in generale; e, quando vogliamo
parlare del male e del bene, ci serviamo spesso di un
vocabolario figurato che contrappone la luce alle
tenebre, il chiaro allo scuro, mentre poi, nella nostra
esistenza quotidiana, abbiamo quasi perduto la per-
cezione delle tenebre, dal momento che il semplice
gesto di toccare un interruttore ci fa superare l’idea
di tenebre = pericolo, così vera in passato.
Ora, l’idea di un essere che in se stesso concentri
il male è molto antica, e la demonologia, cioè la
scienza relativa al diavolo, era diffusa già nell’antico
Oriente e soprattutto a Babilonia. Possiamo anzi
dire che il problema del diavolo è nato quando
l’umanità si è interrogata sulle ragioni che ci spin-
gono ad agire «male» e ha scoperto che un qualche
legame di causa-effetto esiste tra i nostri com por-
tamenti e ciò che ne consegue, sia in positivo, sia in
negativo. Ma l’umanità ha anche scoperto che, m en-
tre le azioni positive hanno un effetto benefico ma
limitato, le azioni malvage sembrano avere effetti
più forti, dirompenti, illimitati. Di qui la domanda:
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«se il male è contagioso, perché non lo è anche il bene?
Se una mela marcia rende marce anche quelle vicine,
perché non succede l’inverso?».
A fianco di questa riflessione, vi è poi la questione
della «morale», che si interroga su cosa è giusto o
sbagliato fare, come individui e come società; e vi è
la questione della responsabilità.
Ma poi vi è anche, all’origine del male, una di-
mensione di necessità e di fatalità, per le tante,
tantissime cose sulle quali non abbiamo un controllo.
Per esempio, sappiamo che vi sono cose che nella vita
ci sfuggono: già il fatto della nostra stessa origine,
dato che nessuno ha scelto dove nascere, da che
famiglia, con che colore di pelle e di che sesso; e poi
anche circostanze più banali, come lo scegliere un
cammino invece di un altro, con conseguenze impre-
vedibili. La vita non è una partita a scacchi, o un
videogame, che possa essere ripetuta all’infinito par-
tendo da un inizio uguale per tutti; sappiamo che le
nostre giornate sono in buona parte già state deter-
minate da quelle che le hanno precedute e determi-
neranno quelle che seguiranno..., ragion per cui ogni
movimento sulla scacchiera della vita rischia di non
essere né libero né spontaneo.
Vi è poi il male oggettivo, al quale si può contri-
buire in maniera del tutto involontaria, con conse-
guenze che possono essere assolutamente spro-
porzionate rispetto alle nostre intenzioni, per non
parlare delle azioni e situazioni che addirittura ci
sfuggono di mano. Gli esempi sono numerosi, e
vanno dagli sprechi energetici all’inquinamento del-
l’ambiente, che pure sono fenomeni tipici e pratica-
lo onte inevitabili nelle società tecnologicamente
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avanzate, e che creano poi danni irreparabili alla
natura e alle persone.
Vi è poi il male del tutto involontario, e che pure
indubbiamente è male: anche soltanto uno sguardo
che ferisce. E ancora, il male collettivo ma tecnolo-
gicamente previsto, voluto e organizzato, dove il
singolo rimane passivo e impotente, molto spesso
neppure informato. Qui vi sono le esperienze dram-
matiche e macroscopiche di questa generazione:
pensiamo airaviatore che bombarda una città nemi-
ca, portando la morte a centinaia di persone di tutte
le età più o meno responsabili, più o meno «innocen-
ti». Il singolo può non essere affatto malvagio, eppu-
re diviene responsabile della morte di molti.
Possiamo dire che la condizione umana è tale da
dar ragione a J.P. Sartre quando faceva affermare a
un personaggio della sua commedia Le mani spor-
che: «siamo tutti un po’ vittime e un po’ carnefici».
Più volte nella storia si sono cercate delle spiega-
zioni per questa dimensione drammatica dell’esi-
stenza umana e, se alcune di esse sono molto antiche
— e risalgono al filosofo presocratico Eraclito (550-
480 ca. a.C.) — non per questo sono superate. Pren-
diamo atto semplicemente che l’umanità si è sempre
posta questi problemi e che il trascorrere dei millenni
non ha necessariamente segnato un progresso nella
loro impostazione e soluzione.
Al problema dell’origine del male — e quindi della
nascita del diavolo — sono state date tradizional-
mente tre risposte.
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a) Il dualismo
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ché lascia troppe cose senza spiegazione: se Dio
(buono) è il creatore di tutte le cose, avrebbe creato
anche il diavolo? ma perché? Inoltre: in che modo
agisce praticamente il diavolo? Come si fa conoscere?
Se è chiaro che Dio agisce attraverso i profeti, Gesù,
e tutte le persone dette genericamente di «buona
volontà», il diavolo con quali mezzi agirebbe? Egli
non ha a disposizione le medesime «fonti di propa-
ganda», dato che nessuno si dichiara apertamente
per la mafia, o per il razzismo, o per una guerra d’ag-
gressione; anche se poi alla prova dei fatti si deve
prendere atto che il piatto della bilancia pende spes-
so e decisamente dalla parte del diavolo.
Infine la questione più filosofica: se Dio è onnipo-
tente e il diavolo è un anti-Dio, si può ancora af-
fermare fonnipotenza di Dio? La logica sostiene — a
ragione — che due forze uguali e contrarie si annul-
lano: eppure il mondo in cui viviamo è tutto meno che
«nullo» rispetto al bene e al male.
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avviene e si fa per tensioni opposte..., v’è dunque
un’intima concordia nell’apparente discordia... »4:
succedono molte cose, che per noi sono positive o
negative, buone o malvage, ma che non lo sono in sé,
perché rispondono a una loro logica.
Chi può definire un leone o uno squalo come
«cattivi» se sbranano un turista o un subacqueo? Non
è la loro stessa natura di carnivori che. li spinge a
quelle azioni?
Così pure molti eventi naturali, che noi viviamo
come luttuosi, non sono altro che fenomeni neutrali:
che cos’è un terremoto se non l’assestamento della
crosta terrestre e un’alluvione se non un fenomeno
che dipende da altri fenomeni naturali che in sé non
si possono dire né buoni né cattivi?
Non solo: restando nell’ambito dei rapporti uma-
ni, dobbiamo prendere atto che esistono modi molto
diversi nel giudicare che cosa è «bene» e che cosa è
«male», esiste una «coscienza variabile» del giudizio
etico. Lo sperimentiamo ogni giorno in questo tempo
d’immigrazioni massicce di persone che provengono
da altri continenti e che partono da backgrounds
culturali diversi. Li sentiamo strani e diversi: le cose
che per me sono ovvie non lo sono necessariamente
per loro, e anche parole come «libertà», «democrazia»
e «diritti umani» non trovano in tutti le medesime
risonanze.
Così si può arrivare a negare una concezione del
male che sia la stessa per tutti e in ogni luogo: ma se
ogni cultura e ogni società sviluppano una propria
diversa coscienza del male, non si arriva al relativi-
4 Id ., p. 28.
17
smo, negando che vi sia un male in sé, un male
assoluto ed eguale per tutti?
Così c’è chi arriva alla conclusione che il male in
senso assoluto non esiste; sarebbe una nostra crea-
zione, perché siamo umani e intrinsecamente miopi
e perché non riusciamo a vedere al di là dei limiti
della nostra cultura e della nostra capacità di com -
prensione: non riusciamo cioè a comprendere che
ogni cosa ha la sua propria logica e quindi la sua
propria giustificazione. Ma, se non c’è un male asso-
luto, come può esserci un diavolo?
Anche questa visione, che è stata in voga dalla
metà del ’600 fino alla prima guerra mondiale, ha
limiti gravi, storici e psicologici. Nel 1686 il filosofo
tedesco Leibniz affermò in varie occasioni che chi
criticava le troppe imperfezioni del creato errava,
perché «non si fonda che sulla troppo limitata co-
noscenza che noi abbiamo dell’armonia generale
dell’universo e dei segreti motivi della condotta di
Dio: questo ci fa giudicare tem erariamente che molte
cose sarebbero potute essere migliori»5 e che «Dio
non delibera di creare Adamo peccante, ma se, tra le
infinite serie dei possibili, sceglie quella a cui appar-
tiene Adamo peccante, vuol dire che essa compendia-
va in sé il m inor male o il maggior bene possibile»6.
Com’è noto, contro questo ottimismo a tutti i costi
prese posizione il filosofo ff ancese Voltaire, critican-
do con pesante ironia l’affermazione che questo fosse
il «migliore dei mondi possibili», e proprio all’indo-
mani di quella immane tragedia naturale che fu il
5 I d ., p. 32.
s Id ., p. 35.
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terremoto che distrusse Lisbona nel 1755, provocan-
do la morte di circa 30.000 persone.
Una sorte simile toccò a quella visione sostanzial-
mente positiva della storia e del confronto tra le
culture che va sotto il nome di positivismo, che sarà
messo in crisi dallo scoppio della prima guerra mon-
diale e dal macello inaudito di persone che proveni-
vano principalmente da paesi moderni e civili come
la Germania, l’Austria, la Francia, la Gran Bretagna,
gli Stati Uniti d’America e l’Italia.
c) Il libero arbitrio
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degli uomini ed esse partorirono dei figli». In realtà
in questo passo si riprende un mito antichissimo,
presente in molte culture, che affermava 1’esistenza
di esseri sovrumani, come il gigante Polifemo del-
l’Odissea. La dottrina della caduta degli angeli ven-
ne poi elaborata alcuni secoli dopo Cristo. Alcuni
padri della chiesa — Giustino Martire, Atenagora,
Tertulliano, Clemente Alessandrino, Am brogio— la
sostennero: Satana e tutti i diavoli sarebbero degli
angeli che hanno liberamente deciso di peccare, che
cioè si sono ribellati a Dio a causa dell’invidia che
provavano nei suoi confronti, diventando malvagi.
E interessante notare che anche i Testimoni di
Geova condividono tale spiegazione: in un opuscolo
edito dalla loro società editrice, «La Torre di Guar-
dia» leggiamo un’interpretazione moderna di questa
tesi:
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I
punto però uno di questi figli spirituali di Dio fece
di se stesso il Diavolo, cioè un perfido bugiardo che
dice male degli altri. Si rese anche Satana, cioè
oppositore di Dio. Non fu creato così, ma divenne in
seguito quel tipo di persona.
L’angelo che divenne il Diavolo era presente quan-
do Dio creò la terra e poi la prima coppia umana,
Adamo ed Èva. Perciò dovette sentire quando Dio
disse loro di avere figli... Questo angelo, convinto di
essere molto bello e intelligente, voleva ricevere
l’adorazione che sarebbe resa a Dio. Invece di
scacciare dalla mente questo desiderio errato, con-
tinuò a pensarci... Naturalmente Dio avrebbe po-
tuto distruggere Satana lì per lì. Ma ciò non avreb-
be risposto alle domande suscitate da Satana, do-
mande che sarebbero potute rimanere nella mente
degli angeli presenti. Perciò Dio concesse a Satana
del tempo perché provasse a dimostrare le sue
asserzioni...7.
71
Nel prossimo capitolo esamineremo nel dettaglio
alcuni passi biblici che pongono la questione del
diavolo.
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3
23
confronti dell’umanità, sottolineando semmai il loro
operato quando mettono le persone in conflitto con
Dio, per esempio impedendo loro di seguire dei
comandamenti o dei divieti.
La Bibbia conosce alcuni modi con cui si cerca
d’interpretare il futuro e conoscere il pensiero di Dio
e dei dèmoni, attraverso la divinazione, i sogni, il
lancio della «sorte» (se così possiamo spiegare gli
«Urim» e «Tummim»). La divinazione era spesso
praticata in relazione al culto di alcune divinità, e
per questa ragione era vietata agli ebrei. Infatti una
delle idee fondamentali della Bibbia è che la volontà
di Dio non è «misteriosa», ma può essere conosciuta
se ricercata con serietà: per la Bibbia l’umanità non
è circondata da fatti incomprensibili che vanno sve-
lati attraverso dei riti magici, ma è piuttosto messa
in rapporto con Dio, il quale si fa conoscere per mezzo
del suo patto (con Abramo e i suoi figli prima, poi
liberando il suo popolo dalla schiavitù dell’Egitto,
suggellata dal dono della Legge): capire la volontà di
Dio, per la Bibbia, dipende dalla disponibilità umana
e non da capacità paranormali.
L’esempio più clamoroso di consulto di una ne-
gromante — finito male, perché provoca la caduta
del re — è quello di Saul (cfr. I Samuele 28,6 s.), in
cui il re vuole sapere dallo spirito del profeta Samuele
se vincerà una guerra contro i nemici Filistei.
Gli «Urim» e «Tummim» erano oggetti custoditi
nel pettorale — o nella borsa — dal sommo sacerdote
e servivano ad accertare la volontà di Dio (cfr. ad es.
Numeri 17,21; I Samuele 14,36-46): non si sa con
esattezza a che cosa servissero, né in che cosa con-
sistessero, né tanto meno il significato delle due
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parole ebraiche9. Forse erano una specie di dadi o di
pietre colorate, di forme differenti. Per mezzo degli
«Urim» e «Tummim» si cercava di conoscere la volon-
tà di Dio, generalmente limitata a un «sì» o un «no»,
«colpa» o «non colpa».
Poi, il sogno. I sogni e la loro interpretazione erano
molto importanti nelle culture dell’Oriente antico;
essi venivano da un lato considerati come una specie
di realtà «capovolta», e dall’altro erano visti come
una maniera con cui Dio comunica con l’umanità.
Per questa ragione nella Bibbia sono importanti
anche coloro che interpretano i sogni: generalmente
pii ebrei, contrapposti agli indovini pagani, visti
come ciarlatani.
Nell’Antico Testamento vengono menzionati an-
che alcuni tipi di dèmoni: sono i Seirim (i «pelosi»,
satiri abitanti nel deserto); i Sedim («dèmoni») e
Lilit, un demone femminile, conosciuto anche a Ba-
bilonia.
Per quanto riguarda Satana (cioè l’«awersario»,
di cui si parla nell’Antico Testamento) e il diavolo
(ovvero il «calunniatore», come è chiamato nel Nuovo
Testamento), essi possono essere entrambi identifi-
cati più per la funzione che svolgono nel pantheon
immaginato dagli ebrei, che per la specificità della
25
loro «esistenza»: Satana ha la funzione di stendere
l’atto di accusa, come un pubblico ministero, contro
gli uomini e le donne; il diavolo ha il compito di man-
tenere l’umanità nel suo naturale atteggiamento di
rifiuto di Dio.
Genesi 3,1-19:
Leggiamo dunque, in Genesi 3,1-19, il racconto
della cosiddetta «caduta» dell’umanità nel peccato11.
27
«Che cosa hai fatto?».
Rispose la donna:
«Il serpente mi ha ingannata e io ne ho mangiato».
Allora Dio, il Signore, disse al serpente:
«Per quel che hai fatto tu porterai questa male-
dizione fra tutti gli animali e fra tutte le bestie
selvatiche: striscerai sul ventre e mangerai polve-
re tutti i giorni della tua vita. Metterò inimiciziafra
te e la donna, fra la tua e la sua discendenza. Que-
sta discendenza ti colpirà al capo, e tu la colpirai al
calcagno».
Poi disse alla donna:
«Moltiplicherò la sofferenza delle tue gravidanze e
tu partorirai figli con dolore. Eppure il tuo istinto
ti spingerà verso il tuo uomo, ma egli ti dominerà!».
Infine disse all’uomo:
«Tu hai dato ascolto alla tua donna e hai mangiato
il frutto che ti avevo proibito. Ora, per colpa tua, la
terra sarà maledetta: con fatica ne ricaverai il cibo
tutti i giorni della tua vita. Essa produrrà spine e
cardi, e tu dovrai mangiare le erbe che crescono nei
campi. Ti procurerai il pane con il sudore del tuo
volto, finché tornerai alla terra dalla quale sei stato
tratto: perché tu sei polvere, e alla polvere torne-
rai!».
28
Nell’antico Oriente il serpente veniva infatti con-
siderato un animale dotato di poteri ambigui, sia
negativi (velenoso), sia positivi (prudenza, ma anche
dei poteri miracolosi e taumaturgici). Del resto nella
stessa Bibbia si ricorda che, durante l’esodo, Mosè
innalzò nel deserto un serpente di bronzo che aveva
il potere di guarire chi lo guardava (vedi Numeri
21,4-9).
Qui possiamo immaginare che il serpente sia
stato considerato l’animale malefico per eccellenza
in quanto legato ai culti pagani12, oppure perché esso
è un animale a metà strada tra gli animali veri e
propri e gli insetti: se è un animale, perché striscia?
Cosa mangia, la polvere?
L ’albero che è in mezzo al giardino. La donna, Èva,
sembra riferirsi all’albero di cui si è parlato nel
capitolo precedente, e precisamente il secondo albe-
ro, ai w . 9 e 16-17; ma qui non è chiaro di quale
albero si stia parlando, perché in Genesi 2,9 si dice
che «nel mezzo del giardino [Dio] piantò due alberi:
uno per dare la vita e l’altro per infondere la cono-
scenza di tutto»13, mentre ai w . 16-17 si parla di un
29
solo albero «che infonde la conoscenza di tutto»14. Al
terzo capitolo il serpente invita la donna a prendere
il frutto da un unico albero. Come risolvere il mistero
dell’albero scomparso?
Possiamo immaginare che, nel corso dei secoli, sia
avvenuta una semplificazione, e che si siano unifi-
cati i due alberi a vantaggio di quello considerato più
importante, cioè quello della conoscenza del bene e
del male. D’altra parte, come vedremo, la Bibbia
mette l’accento più sulla «caduta» e le sue conseguen-
ze che su quelli che forse erano considerati dei det-
tagli. In ogni caso, l’interpretazione tradizionale
secondo la quale il frutto dell’albero sarebbe stato
una «mela» non ha alcun riscontro nella Bibbia15.
Il racconto che abbiamo riportato è il cosiddetto
secondo racconto della creazione riportato dalla Bib-
bia (il primo è quello della creazione del cielo e della
terra in sette giorni) e ci narra la storia della creazio-
ne dell’umanità come una specie di parabola, cioè in
una forma narrativa che evoca delle situazioni note
della vita umana per fam e comprendere il senso. E
si sofferma in particolare sul tema della corruzione
dell’umanità.
L’idea dello scrittore biblico è che Dio ha creato la
terra come un paradiso, dove l’umanità poteva vive-
re felicemente e senza violenza (è curioso notare che
in questa fase della storia del mondo tutti i suoi
30
abitanti — umani e animali — sono vegetariani);
però la nostra esperienza quotidiana è opposta:
perché? Perché il primo uomo e la prima donna
(ovvero l’uomo e la donna) non sono riusciti ad
accettare l’equilibrio che Dio aveva proposto e impo-
sto loro — equilibrio simboleggiato appunto dall’al-
bero.
31
quello della vita deirum anità e del perché dei tanti
rapporti conflittuali nel mondo.
Giobbe 1,6-12:
Questo libro dell’Antico Testamento vuole af-
frontare il problema del male alla radice, senza
mezzi termini e senza scusanti per nessuno. Giobbe
è un uomo giusto e pio, inizialmente benedetto da Dio
p e rii suo lavoro, con grandi ricchezze e una famiglia
numerosa. Ma poi, im provvisamente, viene travolto
da una serie di drammi terribili: la morte dei figli, la
perdita dei beni, l’abbandono da parte degli amici.
Ci soffermiamo sul passo fondamentale in cui si
parla di «Satana» e se ne descrive l’azione.
32
ma non toccare la sua persona».
E Satana si allontanò.
33
rapporto che Giobbe ha nei confronti del male e della
giustizia di Dio.
Il racconto di Giobbe ha un significato preciso e
sempre attuale di fronte al dramma altrettanto
eterno del male.
Nonostante le disgrazie che gli capitano— disgra-
zie di cui Satana non è artefice in quanto non rap-
presenta una volontà indipendente, m a è soltanto la
“spalla” del Signore nella commedia celeste— Giobbe
non perde la fiducia in Dio e, benché si scontri con Lui
più volte nel corso del libro, riesce a dialogare con
Colui che viene indicato come il «responsabile» delle
sue disgrazie, come era responsabile delle sue fortu-
ne precedenti.
Nel libro di Giobbe viene posta in maniera forte
una delle domande più terribili e difficili dell’esi-
stenza umana: perché esiste il male? Perché si deve
soffrire? Perché gli innocenti soffrono?
La questione sollevata è resa ancora più scottante
dal fatto che Giobbe rifiuta una dopo l’altra le ri-
sposte correnti che venivano date a queste domande.
E quando alla fine rimane solo, gli amici lo vanno a
trovare per convincerlo che anche lui deve avere —
necessariamente — una qualche colpa per i suoi
mali: perché il male è il salario della colpa.
Giobbe difende allora la sua innocenza e, alla fine,
la sua fede in Dio viene ricompensata: è nella fede —
dove la parola «fede» non significa «capire tutto», ma
confidare in Dio — che Giobbe trova la pace: «Io lo so,
colui che mi difende è vivo; egli un giorno mi riabili-
terà..., io stesso vedrò Dio. Lo vedrò accanto a me e
lo riconoscerò. Lo sento nel mio cuore, ne sono certo»
(Giobbe 19,25-27). Se dunque c’è un responsabile per
34
il male che colpisce Giobbe, questi è Dio stesso, non
Satana.
35
Però, come si può notare anche a prima vista, un
formulazione di questo genere contiene una contrad-
dizione interna— per lo meno se si parte dal presup-
posto che Dio sia buono: perché Dio «spinge Davide
a fare il censimento», se il censimento è un’offesa nei
confronti di Dio stesso?
I libri delle Cronache — scritti probabilmente nel
IV sec. a.C., dunque circa quattro secoli dopo i libri
di Samuele, che pare risalgano ai secc. IX-VIII a.C.
— offrono una soluzione a questa contraddizione,
partendo dal loro presupposto teologico. I libri delle
Cronache mettono al centro della storia d’Israele il
Tempio di Gerusalemme, il culto e il sacerdozio; nel
pensiero di queste due opere, re Davide «appare
essenzialmente come il padre spirituale del Tempio,
il quale, se non ebbe il permesso d’edifìcarlo, ne
organizzò tuttavia il culto e preparò i materiali per
la sua costruzione... Tali personaggi [Davide e alcuni
re che perpetuano la sua opera] appaiono in una
specie di sintesi tra santi ed eroi nazionali... »16.
Seguendo questa visione della storia, che mette in
primo piano la religione e la conseguente «santi-
ficazione» di alcuni importanti re che hanno seguito
il piano di Dio, per narrare lo stesso episodio I
Cronache 21 racconta così l’accaduto:
36
Il confronto fra questi due brani mette bene in
luce lo sviluppo del personaggio-Satana: da «ruolo»
a personaggio vero e proprio.
37
politico mediterraneo — dopo l’esilio del regno del
Nord in Assiria nel 720 a.C. e del regno del Sud a
Babilonia nel 587 a.C. la Palestina diventò una
provincia di imperi lontani e pagani — per cui si può
pensare che le varie correnti dei profeti, che in
presenza di re nazionali potevano avere un certo
peso, «ripiegarono» verso una visione catastrofica
del m ondo18. L’apocalittica, fortemente influenzata
dal pensiero religioso babilonese e persiano, sottoli-
neò l’importanza di un personaggio che nella visione
tradizionale ebraica era piuttosto secondario, cioè il
diavolo.
In ogni caso Satana, nel Nuovo Testamento, ri-
mane sempre un personaggio sullo sfondo, un avver-
sario vinto e sconfitto, che continua a fare da spalla
all’azione di Dio. Nel Nuovo Testamento, infatti,
tutto si concentra sull’azione di Gesù in favore del-
l’umanità (i Vangeli); sulla sua continuazione nella
prima diffusione del cristianesimo nel mondo roma-
no (gli Atti degli apostoli) e sul rapporto fra la fede in
Gesù e la vita quotidiana dei credenti (le varie Epi-
stole e l’Apocalisse).
Secondo il Nuovo Testamento la principale azione
di Gesù è l’annuncio della venuta del regno di Dio: un
regno che si oppone a questo mondo, non guardando
all’aldilà ma implicando un radicale cambiamento di
atteggiamenti e di concezioni della vita, che non
38
sono, appunto, «di questo mondo». Questa contrap-
posizione tra regno di Dio e mondo che conosciamo
implica anche la contrapposizione tra Gesù e i poteri
di questo mondo, poteri che fanno soffrire le persone,
sia fisicamente sia psicologicamente. I racconti dei
miracoli, che contrappongono Gesù a Satana (o ad
altri «diavoli minori») vanno interpretati in questa
maniera, e non come una sorta di «legittimazione» da
parte di Gesù dell’esistenza del diavolo. Possiamo
esemplificare questo punto riferendoci brevemente a
due passi: Luca 10,13-24 e Luca 8,26-39.
In questi due racconti possiamo vedere che:
39
malattia veniva attribuita all’influenza del diavolo o
di dèmoni che occupavano fisicamente il malato:
Gesù libera dal male, e questa liberazione è per
qualche cosa. In Luca 8,26-39 ^indem oniato» di
Gerasa viene guarito, e questa guarigione da una
parte smaschera l’ipocrisia della società gerasena
(che, una volta avvenuto il miracolo, espelle cortese-
mente Gesù dal suo territorio, perché, aiutando il
malato, rischia di danneggiare l’economia locale) e
apre al malato un orizzonte nuovo, quello della
predicazione della vicinanza di Dio a coloro che
soffrono: «torna a casa tua, e racconta le grandi cose
che Dio ha fatto per te. Ed egli se ne andò per tutta
la città, proclamando tutto quello che Gesù aveva
fatto per lui» (Le. 8,39).
40
Il rapporto fra l’essere umano e il diavolo è dia-
lettico e complesso, ad esempio Pietro, dopo aver
affermato che Gesù è il Cristo tanto atteso, rinnega
questa affermazione e Gesù lo chiama allora: «Sata-
na» (Matteo 16,13-23).
L’azione del diavolo è distruttiva, tanto per la
psiche delle persone, quanto per il loro fisico: per
questo in molti racconti di guarigioni il miracolo
consiste nella liberazione di persone che sono fisica-
mente vittime dei dèmoni, cioè malati.
Nel libro degli Atti degli apostoli un’accentua-
zione particolare viene data al rapporto fra magia e
forza demoniaca, come quando Simon Mago tenta di
acquistare dai discepoli la capacità di invocare lo
Spirito santo, per utilizzarla poi per fini personali,
tanto che viene chiamato «figlio del diavolo» (Atti
8,4-24).
Esamineremo qui soltanto due passi del Nuovo
Testamento, scelti per la loro forza simbolica: le
tentazioni di Gesù secondo Luca (Luca 4,1-13) e il
racconto del tradimento di Gesù da parte di Giuda
secondo Giovanni (Giovanni 13,1-5 e 18-27).
Luca 4,1-13:
Gesù, pieno di Spirito santo, ritornò dal Giordano,
e fu condotto dallo Spirito nel deserto per quaranta
giorni, dove fu tentato dal diavolo.
Durante quei giorni non mangiò nulla; e, quando
furono trascorsi, ebbe fame.
Il diavolo gli disse: «se tu sei figlio di Dio, di’ a
questa pietra che diventi pane».
Gesù gli rispose:
«Sta scritto: non di solo pane vivrà l’uomo».
41
Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un
attimo tutti i regni del mondo e gli disse:
«Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi
regni’, perché essa mi è stata data, e la dò a chi
voglio. Se dunque ti prostri ad adorarmi, sarà tutta
tua».
Gesù gli rispose:
«Sta scritto: adora il Signore, il tuo Dio, e a lui solo
rendi il tuo culto».
Poi [il diavolo] lo portò a Gerusalemme e lo pose sul
pinnacolo del Tempio e gli disse:
«Se tu sei figlio di Dio, gettati giù da qui; perché sta
scritto: Egli [Dio] ordinerà ai suoi angeli che ti
proteggano; ed essi ti porteranno sulle mani, affin-
ché tu non inciampi col piede in una pietra».
Gesù gli rispose:
«E stato detto; non tentare il Signore Dio tuo».
Allora il diavolo, dopo aver fi ni to ogni tentazione, si
allontanò da lui fino a un momento determinato.
42
del regno di Dio, deve passare per il «suo» deserto.
43
offre a Gesù tutto quello che potrebbe ottenere rifiu-
tando la missione che Dio gli propone.
Figlio di Dio. Il diavolo interpreta in modo oppo-
sto la condizione di essere «figlio di Dio». Per lui
questo significa profittare della situazione per fare le
cose che gli sono utili, fossero anche dei miracoli. Per
Gesù significa invece il contrario: fidarsi comple-
tamente del Signore, pur in una situazione estrema
come quella della fame.
I regni di questo mondo. La seconda tentazione è
quella del potere. In esso il Nuovo Testamento indi-
vidua il rischio del «diabolico», non perché lo Stato sia
di per sé sbagliato, ma per i compromessi che si
devono sostenere per governarlo. Ancora una volta il
diavolo suggerisce a Gesù di snaturare la sua missio-
ne, trasformandola in una scalata al potere: Gesù
risponde affermando che la vera missione cristiana
consiste anche nel relativizzare il potere, dato che
questo implica un abbandono della fede, un «pro-
strarsi ad adorare».
II pinnacolo del Tempio. Era la parte più alta del
Tempio di Gerusalemme, il quale simboleggiava il
centro, geografico e spirituale, della fede d’Israele.
La terza tentazione è quella di voler avere nella
propria vita la prova diretta dell’azione di Dio. Gesù
risponde che la vera fiducia in Dio sta nell’esistenza
quotidiana, non nel mettere alla prova il Signore,
forzandogli la mano con eventi eccezionali.
44
nel Nuovo Testamento: il «momento», l’«ora» di Gesù
viene quando la sua missione è definitivamente
rivelata, cioè la sua morte sulla croce. Le azioni del
Cristo portano verso questo momento, che è il centro
del tempo.
Giovanni 13,1-5:
45
Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era
venuto da Dio e a Dio se ne tornava, si alzò da
tavola, depose le sue vesti e, preso un asciugatoio,
se ne cinse. Poi mise dell’acqua in un catino, e
cominciò a lavare i piedi ai suoi discepoli, e ad
asciugarli con l’asciugatoio del quale era cinto.
Giovanni 13,18-27:
Io non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho
scelti; ma, perché sia adempiuta la Scrittura, colui
che mangia il mio pane ha levato contro di me il suo
calcagno. Ve lo dico fin d’ora, prima che accada;
affinché quando sarà accaduto voi crediate che io
sono [il Cristo]. In verità, in verità vi dico: chi riceve
colui che io ho mandato riceve me; e chi riceve me,
riceve colui che io ho mandato. Dette queste cose,
Gesù fu turbato nello spirito e, apertamente, così
dichiarò: in verità, in verità vi dico che uno di voi mi
tradirà. I discepoli si guardavano l’un l’altro, non
sapendo di chi parlasse. Ora, a tavola, inclinato sul
seno di Gesù, stava uno dei discepoli, quello che
Gesù amava. Simon Pietro gli fece cenno e gli disse:
«di’, chi è quello del quale parla?». Egli, chinandosi
sul petto di Gesù, gli domandò: «Signore, chi è?».
Gesù rispose: «è quello al quale darò il boccone dopo
averlo intinto». E intinto il boccone, lo prese e lo
diede a Giuda, figlio di Simone Iscariota. Allora,
dopo il boccone, Satana entrò in lui, per cui Gesù gli
di sse: «quel che fai, fallo presto».
46
traditore senza batter ciglio, senza esprimere un
sentimento di timore o di rimprovero. Questa raffi-
gurazione del Cristo è molto «giovannea», tipica cioè
di un certo tono che usa il quarto evangelista, per il
quale Gesù è il Signore già glorificato. Una lettura
più attenta ci rivela però altri particolari, sui quali ci
soffermiamo un istante.
47
viene interpretato in modi diversi, e cioè:
a) Giuda della città di Keriot, una città della tribù
di Giuda;
b) Giuda il «sicario»: la sica era una spada corta o
pugnale, utilizzato per le aggressioni improvvise
contro i romani. Di qui la parola sicario. I sicari erano
un gruppo diverso da quello dei più conosciuti ze/oii19,
di cui tuttavia condividevano lo scopo: liberare manu
militari Israele.
c) Giuda «della tribù di Issacar», una delle dodici
tribù.
d ) Giuda il «menzognero» o il «falso»: era questo il
senso di «iscariot», un termine popolare in lingua
aramaica, la lingua parlata in Palestina al tempo di
Gesù.
Senza dunque entrare nei dettagli possiamo dire
che, se si accettano le interpretazioni b) o d ), si
propende per un soprannome «simbolico»: è un’inter-
pretazione del tutto legittima dato che spesso nella
Bibbia i nomi delle persone contengono in sé la
spiegazione del ruolo che esse svolgono nella nar-
razione20. Ma anche le spiegazioni a) e c) sono le-
gittime, in quanto era abbastanza usuale aggiun-
gere a un nome molto comune — qual era Giuda —
un soprannome che definiva l’origine geografica, per
distinguere una persona dall’altra21.
48
La lavanda dei piedi. A differenza degli altri tre
Vangeli, Giovanni non ha il racconto della comunio-
ne. Durante l’ultima cena Gesù inizia i suoi discorsi
con l’atto fortemente simbolico di lavare i piedi ai
discepoli. Lavare i piedi agli ospiti era un gesto ovvio
di buona ospitalità, dato lo stato delle strade e l’uso
universale dei sandali; ma questo era un servizio
propriamente degli schiavi più umili. Con questo
gesto Gesù vuole dunque sottolineare la sua di-
sponibilità al servizio più umile verso i suoi stessi
discepoli (e i credenti del futuro) invitandoli con-
temporaneamente a fare lo stesso agli altri.
49
sconfitta, ma la conseguenza diretta dell’amore che
Dio ha per l’umanità e la realizzazione del suo piano;
ò) La Scrittura è una chiave d’interpretazione
indispensabile per intendere la storia umana e soprat-
tutto la storia di Gesù: non si può capire Gesù se non
si capisce e accetta la storia del popolo d’Israele. Non
ha senso parlare di un Gesù che vive fuori del suo
contesto storico e religioso.
50
nati espressamente, viene tradizionalmente identi-
ficato con lo stesso evangelista Giovanni. Come
abbiamo detto, i discepoli non rappresentano sola-
mente se stessi, ma svolgono anche la funzione di
descrivere alcuni tipi di credenti: per questa ragione
alcuni pensano che questo rappresenti il tipo del vero
discepolo di Gesù, quello del futuro, il credente che
non ha paura nemmeno della morte per seguire il suo
Maestro e che, per questa ragione, ha una tale
intimità con Lui da potergli essere realmente vicino,
anche fisicamente.
51
.
te potrebbe essere stato il fatto che Gesù non abbia
assunto una posizione radicalmente anti-romana, e
questo gli avrebbe provocato l’ostilità degli zeloti: in
ogni caso però qui l’accento non è sul fatto che Giuda
tradisce Gesù, ma sul fatto che Gesù è «tradito»,
prima da Giuda e poi da tutti gli altri. In questo
momento Giuda vende il maestro alle autorità, ma
poi, durante e dopo il processo, anche gli altri disce-
poli si dilegueranno, Pietro rinnegherà pubblica-
mente il Signore e al suo fianco rimarranno solo le
donne, e anche loro «da lontano».
Concludendo queste considerazioni possiamo af-
fermare che, stando al racconto evangelico, il tra-
dimento di Giuda non presuppone l’esistenza di due
forze contrapposte: Gesù che rappresenta il bene e
Giuda che è mosso dal diavolo. Piuttosto, fa riflettere
sul fatto che nessun essere umano accetta piena-
mente il messaggio del Cristo senza cercare di stra-
volgerlo in qualche maniera a suo vantaggio.
In altre parole, la storia di Giuda conferma quan-
to è detto da tutto il messaggio biblico, e cioè che agli
occhi di Dio non vi sono santi, ma solamente pecca-
tori, e peccatori che si devono convertire. Proprio per
il suo «tradimento», per non aver voluto accettare il
messaggio di Gesù, Giuda diventa il tipo della vera
umanità reale, non redenta.
52
4
LA CONSEGUENZA DELL’«ESISTENZA»
DEL DIAVOLO: LA CACCIA
ALLE STREGHE
53
Nei vari periodi storici i «diavoli» hanno potuto
assumere anche una fisionomia divertente o grotte-
sca23, almeno per noi che guardiamo a quelle cose con
distacco e con un senso di superiorità. Non possiamo
tuttavia dimenticare le stragi che sono nate proprio
dall’idea dell’esistenza di un Satana attivo e perso-
nale come quasi un Anti-Dio.
Secondo J.B. Russel24, fu Ireneo di Lione ( 130-200
ca.) che, nella sua lotta contro l’eresia gnostica,
attribuì per la prima volta l’eresia ad un’azione del
diavolo, affermando il «diritto» dei cristiani di di-
fendersene perseguitando gli eretici. Egli scrive:
54
che i cristiani erano una minoranza relativamente
perseguitata; ma si fecero pericolose quando diven-
nero operative dopo il 313, e soprattutto dopo il 386,
allorché, con l’imperatore Teodosio, il cristianesimo
divenne religione di Stato. Da quel momento le teorie
sul rapporto eretico-diavolo diventarono lentamente
idee sulla possibilità e sulla liceità di perseguire
penalmente chi non accettava il cristianesimo.
Fu in quel tempo che il rapporto tra cristianesimo
e società civile subì una trasformazione radicale.
L’evangelo di Gesù era partito da un atteggiamento
di fiducia nei riguardi della società. Si pensi all’inte-
resse di Gesù per gli emarginati e i «minimi» del suo
tempo, i lebbrosi, i pubblicani, le prostitute; o alle
posizioni di Paolo nei riguardi dei pagani. Gli Atti
degli apostoli danno dell’impero romano e dei suoi
funzionari una visione tutto sommato tollerante ed
imparziale. Tutto questo venne però a cambiare man
mano che il cristianesimo acquistò potere e divenne,
di fatto, un alleato del potere imperiale. Esso allora,
da un lato, si sostituiva ai culti pagani — spesso
fondando le sue chiese sui vecchi luoghi di culto e
trasformando le divinità precedenti in santi — men-
tre, dall’altro, vietava le religioni precedenti, usando
la forza contro chi non si sottometteva. Anche perché
allora, e sempre più nei secoli successivi, non si
poteva concepire una società che non avesse una sua
unità religiosa: anzi, l’unità politica era identificata
con l’unità religiosa.
Fu così che, dalle riflessioni ancora teoriche sulla
liceità di perseguitare chi dissentiva dalle posizioni
uffici ali, e pertanto «giuste», della chiesa cristiana, si
passò alla persecuzione attiva di tutti coloro che —
55
si riteneva — erano mossi dal diavolo: dissenzienti
ed eretici, liberi pensatori e infine streghe. Fu un
periodo terribilmente lungo, che durò dal 1200 circa
al 1828, data dell’ultimo processo per stregoneria in
Europa26.
Al di là delle drammatiche vicende delle centi-
naia di migliaia di persone che ebbero a soffrire per
le persecuzioni e i processi, occorre interrogarsi sulle
ragioni profonde di questo atteggiamento per cui
dalla stregoneria/eresia si passava all’idea che fosse
in atto una milizia diabolica, dalla quale difendersi
e quindi da perseguitare. Si è trattato di quella che
può essere descritta come la «sindrome della città
assediata»27, dove la chiesa cristiana ha assunto il
ruolo di unico difensore della vera fede all’interno di
una società che garantisce la vera fede. Per cui era
indispensabile perseguitare ed eliminare i dis-
senzienti e i «diversi», ed anche teorizzare e spiegare
razionalmente perché fosse giusto perseguitarli ed
eliminarli.
Non è qui possibile approfondire le ragioni di un
così profondo mutamento dall’impostazione iniziale
ma, come dicevamo, esso va in gran parte attribuito
al fatto che la chiesa cristiana è stata riconosciuta
come religione dello Stato, prima contro il «nuovo
paganesimo» dei popoli barbari e poi contro la nuova
religione «concorrente» dell’Islam. Fu quello un tem-
56
po in cui il cristianesimo occidentale si sentiva mi-
nacciato e quasi perseguitato, e intanto agiva con
gli strumenti e l’animo del persecutore. Fortunata-
mente questo tempo è ora concluso, come conseguen-
za della secolarizzazione, anche se continuano a
manifestarsi qua e là i segnali di una intolleranza
che vorrebbe sottoporre tutti, in forza delle leggi
dello Stato, alle regole della morale cristiana, al
servizio della «verità». Appunto, lo stesso atteggia-
mento che dette a suo tempo il via alla persecuzione
degli eretici e alla caccia alle streghe.
Nei confronti della stregoneria, che potrebbe es-
sere compresa come una qualche forma di soprav-
vivenza di antiche religioni pagane28, tale imposta-
zione di fondo ha significato la tortura degli «eretici»
e il confinamento degli ebrei nei ghetti.
Sulla caccia alle streghe, A. Agnoletto29individua
alcuni elementi importanti da tener presente. Egli
scrive:
57
significa comprendere meglio larealtà della società
occidentale alle soglie dell’era moderna...
58
ignorata, liquidata con una battuta, lasciata ai mar-
gini di una comprensione razionale. Ma la storia
insegna che i problemi non affrontati al moménto
giusto si ripropongono e si riproporranno aH’infinito:
se i cristiani — ad esempio — non si confrontano
criticamente oggi con il loro passato e non accettano
le persone con le loro diversità, rischieranno sempre
di ripetere le persecuzioni dei secoli passati.
Accettare non significa comunque necessaria-
mente essere d’accordo: nel capitolo precedente ab-
biamo visto come la stessa Bibbia prenda le distanze
dalla stregoneria e dalla magia in generale... Tutta-
via «non essere d’accordo» non implica che si debba
processare e uccidere, ma piuttosto cercare modi
convincenti e nuovi per parlare delle nostre convin-
zioni a chi non le condivide.
In effetti, di fronte alla caccia alle streghe assi-
stiamo a una sorta di congiura del silenzio. Abbiamo
imparato dall’uso dei mass media che una cosa di cui
non si parla è come se non esistesse. Così è stato nei
secoli passati a proposito delle streghe. D ’altra par-
te, esse stesse non hanno potuto parlare, anche
perché il loro mondo non si serviva della scrittura per
comunicare, e così la sola immagine che ne abbiamo
oggi è quella che ce ne hanno trasmesso i loro perse-
cutori: un’immagine puramente negativa e malva-
gia. È infatti solo attraverso le parole degli inquisi-
tori che conosciamo le loro vicende, senza che esse
abbiano potuto trasmettere agli altri e alle altre le
loro parole.
Un’ultima riflessione sulla caccia alle streghe ci
aiuta a far luce sulla nostra società: pensiamo di
essere moderni nel senso che avremmo superato
59
l’universo superstizioso e magico del Medioevo: dob-
biamo invece ammettere che le superstizioni e la
magia fanno tuttora parte del nostro universo, forse
proprio come eredità di quel tempo in cui quelle cose
non sono state affrontate con le armi della discussio-
ne e della critica, m a con quelle della persecuzione e
della costrizione all’abiura.
E chiaro dunque a questo punto che la convin-
V
60
5
61
sta alla domanda fondamentale: «da dove viene il
male?», non per eliminare quel male che non si può
eliminare, né per negarne resistenza, ma per cercare
le vie onde non rimanerne schiacciati. Vivere la no-
stra esistenza non come vittime, terrorizzate e ras-
segnate, ma in modo coraggioso, lottando contro il
male.
La prim a cosa da fare di fronte al male è di rile-
varne gli effetti, quasi fotografarlo.
Parlare degli effetti del male è meno banale di
quanto possa sembrare a prima vista, perché, al di là
dei suoi aspetti specifici, il male agisce in due dire-
zioni: annulla le nostre energie e la nostra dignità;
inoltre, per così dire, ci «spoglia», nel senso che ci
mette di fronte alla nostra realtà di persone in sé
deboli e bisognose d’aiuto. E questo un processo che
non si svolge per tutti allo stesso modo, ma tutti ci
troviamo, in un certo momento della nostra vita, a
riconoscerci come esseri deboli e bisognosi, e soprat-
tutto incapaci di comprendere il senso degli eventi
dolorosi che ci toccano e di rispondere a tanti dilemmi
senza risposta.
Pensiamo alla situazione delle persone anziane,
dove al sogno di «campare fino a cent’anni», si oppone
la realtà concreta di un’esistenza da invalido o di una
morte lenta, senza dignità — e coscienza — in una
casa per anziani. O è meglio lasciare questo mondo
a settantanni per un infarto, senza essere di peso a
nessuno?
Pensiamo alle condizioni di spirito di un malato
grave e consapevole degli esiti della sua malattia,
ma che poi, nei fatti, viene a essere privato di ogni
diritto, anche di quello di essere debitamente infor-
62
mato sulle sue condizioni, perdendo così, oltre alla
sua dignità di persona adulta e responsabile, anche
la possibilità di comunicare realmente con chi gli sta
vicino.
Vi sono poi tutti gli altri esempi di lutti e di perdite
irreparabili, dei figli che muoiono prima dei loro
genitori, per non parlare poi dei drammi causati
dalle guerre o dalla m alvagità voluta e cosciente di
chi opprime, imprigiona, sequestra, tortura.
Come reagire, come rispondere a questo aspetto
specifico del male che si collega con la limitatezza
della vita e con la morte e di cui abbiamo dato alcuni
esempi?
Ma qui è possibile dare una risposta positiva, che
superi l’accerchiamento del male, scoprendo nuovi
interessi nella propria esistenza, al di là della m a-
lattia o del lutto, là dove si scopre — qualche volta
avviene — che anche la vita di un malato inguaribile
ha un senso o, per dirla paradossalmente, che esiste
una vita anche prim a della morte, e non (soltanto)
dopo!
In altre parole, il confronto diretto e personale con
il male vissuto sulla propria pelle ci può portare a
comprendere che nella vita umana quello che conta
non è — come si lascia credere — la produttività e
l’efficienza, ma è la capacità di comprendere il senso
profondo dell’esistenza e di stabilire o ristabilire —
quando è ancora possibile — i rapporti più profondi
con le persone che ci circondano e che condividono il
nostro cammino.
Questo ci porta a un’ulteriore considerazione: non
sempre viviamo la nostra vita con la medesima
intensità, al 100%; in genere gli alti e i bassi della
63
vita si alternano. Talvolta è proprio rincontro con il
male che determina una fase di basso livello.
Allora, reagire al male può significare invertire la
situazione, per vivere in modo intenso e pieno ogni
momento dell’esistenza, anche quelli della malattia,
del lutto, del confronto diretto e personale con il
male: può significare il ritrovare quella parte della
nostra vita che è ferita, riscoprire noi stessi proprio
nella situazione difficile che ci ha colpito.
Così, davanti a un lutto diventa possibile rivedere
e rivisitare con concretezza, e alla fine anche con
distacco, la relazione che abbiamo avuto con la
persona che ci ha lasciati, coltivando il ricordo dei
suoi aspetti positivi, ma senza nasconderci quelli
meno positivi, o addirittura creandole attorno quasi
un alone di santità e di perfezione. O lottare contro
i nostri sensi di colpa nei suoi confronti, che ci pa-
ralizzano come davanti a qualcosa di chiuso e di
irreparabile.
E in questa situazione che si presenta insistente
la domanda: «perché proprio a me ? Cosa ho fatto o non
ho fatto p er “meritarmi” questo?». La sola risposta
possibile è: «perché tu sei come g li altri», nel bene
come nel male. Non sei migliore.
Così anche noi, feriti ma non sempre distrutti,
possiamo reagire e guardare agli aspetti positivi
della nostra esistenza che il male in qualche modo ci
ha rivelato. Questa è la via del male che possiamo
combattere e relativizzare.
Vi è poi una seconda via sulla quale riflettere ed
è quella del male come limite invalicabile della
nostra esistenza.
La nostra società non ce lo ricorda spesso. Siamo
64
stati abituati a pensare agli esseri umani come ad
esseri in qualche modo perfetti, completi, che hanno
sempre e comunque diritto al meglio. Ebbene, questo
non è vero. Anzi, quanto più ci crediamo noi stessi
perfetti, tanto più rischiamo di crollare sotto il peso
degli avvenimenti; quanto più ci riteniamo degni del
meglio, tanto più il peggio quotidiano ci stordisce.
Non è un caso che la preghiera cristiana per
eccellenza, il Padre nostro, ci faccia dire: «rimettici i
nostri debiti come noi li abbiamo rimessi ai nostri
debitori». Queste parole non sono una minaccia da
parte di Dio, una condizione per essere perdonati, ma
la descrizione limpida e perfino brutale della realtà
quale essa è: non siamo diversi o migliori degli altri,
perciò, solo se saremo disposti a perdonare gli altri,
comprenderemo il nostro limite ultimo e quindi la
necessità di essere a nostra volta perdonati.
Metteremo dunque l’accento non solo sull’essere
perdonati, come se fosse qualcosa che ci accade
dall’esterno, ma sull’accettare di esserlo, sulla no-
stra disposizione a riconoscere la nostra condizione
reale di uomini e di donne che si pongono davanti a
Dio, perché questo è il punto centrale: il male, è vero,
esiste, e ci colpisce duramente, ma esso è anche
qualcosa con cui noi colpiamo gli altri: che lo voglia-
mo e sappiamo, o anche che non lo vogliamo o non ce
ne rendiamo conto.
Affrontare il male a viso aperto può essere dunque
un modo di rendercene conto.
Insistiamo su questo punto. Dicevamo che il male
ci mette in qualche modo a nudo nella sofferenza; ma
ci mette anche a nudo davanti alle nostre respon-
sabilità come davanti alla nostra radicale imper-
65
fezione: perché è proprio davanti all’esperienza del
male che scopriamo il nostro limite e tutta la nostra
imperfezione. Così comprendiamo meglio noi stessi,
nella nostra verità.
Citavamo J.P. Sartre: «siamo tutti un po’ vittime
e un po’ carnefici». E terribile, ma vero. Perché è
veramente difficile tracciare una chiara linea di
separazione fra il bene e il male, come fra nostri
meriti e nostri errori... e lo stesso dobbiamo dire
riguardo ai comportamenti altrui.
66
È la proposta che leggiamo nel libro dell’Apoca-
lisse, capitolo 21,1-6:
67
dove tutto questo non avrà più posto: quella che egli
chiama la nuova Gerusalemme.
«È fatto», è compiuto: di fronte al mistero del
male, Dio non propone una qualche spiegazione ma
ne annuncia la soppressione e la creazione di un
mondo nuovo dove i suoi effetti non si fanno più
sentire, perché esso «non sarà più».
L’ultima parola che possiamo dire sul male è
dunque la seguente: questo mondo che conosciamo,
immerso e coinvolto nel dolore, non durerà in eter-
no, ma sarà sostituito da un altro mondo, rinnovato,
dove «non ci sarà più né lutto né pianto né dolore».
NOTA BIBLIOGRAFICA
69
Vallecchi, Firenze, 1970 (trad. it. di But that 1 can’t
believe!, Londra-Glasgow, 1967).
RUSSEL J.B., Il Principe delle tenebre, Laterza,
Bari, 1990 (trad. it. di The Prince o f Darkness, New
York, 1988).
SARTRE J.P., Le mani sporche, Einaudi, Torino,
19775(trad. it. di Les mains sales, Parigi, 1948).
S o g g i n J. A . , Introduzione all’A ntico Testamento,
Paideia, Brescia, 19793.
SUBILIA V., Il problema del male, Claudiana,
19872.
Potete vivere per sempre su una terra paradisiaca,
Roma, 1982 (trad. it. di You Can Live Forever in
Paradise on Earth, s.l., s.d.).
70
INDICE
2. C hi è il diavolo? 11
a) Il dualismo 15
b) La negazione del male .16
c) Il libero arbitrio 19
N ota bibliografica 69
71