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IL DIAVOLO... E NOI CHE PENSAVAMO


DI ESSERE MODERNI!

Credevamo che l’uomo e la donna del 2000 fossero


così moderni da relegare il diavolo nei cassetti chiusi
del Medioevo e dell’Inquisizione!
Pensavamo a quel personaggio degli incubi, «Sata-
na», il «principe delle tenebre», come a un armamen-
tario del passato, un ferrovecchio alla stregua di
tanti altri, destinato ad essere dimenticato e supera-
to in velocità dai computers e dalla televisione, rin-
chiuso nelle leggende di un passato buio e fitto di
superstizioni. Invece, anche noi che siamo moderni
ci poniamo il problema del diavolo. Certo, lo facciamo
in termini e con fantasie della nostra epoca e menta-
lità: invece dei quadri e dei bassorilievi sui portali
delle chiese giriamo film e incidiamo canzoni; invece
di sermoni facciamo dibattiti culturali..., ma ammet-
tiamolo: Satana fa ancora problema. Possiamo anzi
dire che la fine del secolo segna la rivincita del male,
e segna anche la rivincita delle mille ideologie
integraliste, come per esempio quelle nazionaliste o
dei fanatismi religiosi, che si pensava di poter dimen-
ticare.

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Tuttavia, l’argomento «diavolo» non è semplice da
affrontare, per almeno due ragioni.
La prima è quella certa forma di timidezza, o
addirittura di vergogna, che si prova nell’ammettere
di credere nell’esistenza di Satana — per cui spesso
il discorso si basa sui «pare», «si dice»: chi prendereb-
be sul serio, dal punto di vista razionale, un vicino di
casa che partecipi a una messa nera? E chi resi-
sterebbe alla tentazione di ridere di un conoscente
che volesse rubare le ostie consacrate al parroco per
usarle a scopi sacrileghi?
Qui bisogna però osservare che questo lato oscuro
dell’esistenza umana esiste e non è possibile li-
quidarlo con una battuta: da sempre infatti le per-
sone si sono domandate perché esiste il male: il male
sociale delle guerre e degli odi, dell’assenza di una
pace vera, basata sulla giustizia, e anche il male
«privato» delle famiglie che si odiano, magari per
quattro soldi di eredità.
Una delle risposte che da tempo immemorabile è
stata data a questa domanda è quella d’immaginare
l’esistenza di un «diavolo», cioè di un essere intima-
mente malvagio che, come una mela marcia, infetta
con la sua malvagità tutte le altre.
Eppure, nonostante i passi da gigante fatti dal-
l’umanità nel campo delle scoperte tecnologiche e
<¡ratifiche, il problema del male rimane, come ieri,

I i rrondn ragione che complica la questione di


•ili «li i I' <In- venga inteso come un male, un fatto
........ . i ....... . r : ( rottamente legata alla cultura
i mMi 1............ .. . ,onto nel nostro paese.
'i Min yli a ili mi \ivinto in un ambiente fortemen-
te influenzato dal cattolicesimo, anche gli atei o i
laici, e persino chi viene da una tradizione religiosa
protestante o ebraica. Anche a proposito del diavolo
la chiesa di Roma svolge un’influenza determinante,
seguendo la sua strategia di non rinnegare mai il suo
passato, né di ammettere i suoi errori. Com’è stato
perii caso di Galileo, riabilitato nell’ottobre del 1992
con circa 300 anni di ritardo. Invece di prendere
semplicemente atto che la notizia meritava solo
poche righe, dato che il mondo nel frattempo era
andato avanti lo stesso, gli italiani si sono dovuti
inchinare davanti al mistero di questa chiesa che si
prende tanto sul serio. Anche quando sbaglia.
Così è pure per il diavolo. Oggi siamo comunque
in fase di recupero, come vediamo anche nel recente
Catechismo della Chiesa Cattolica, a proposito della
pratica dell’esorcismo:

Quando la Chiesa domanda pubblicamente e con


autorità, in nome di Gesù Cristo, che una persona
o un oggetto sia protetto contro l’influenza del
Maligno e sottratto al suo dominio, si parla di
esorcismo. Gesù l’ha praticato (Marco 1,25 ss.); è da
lui che la Chiesa deriva il potere e il compito di
esorcizzare. In una forma semplice, l’esorcismo è
praticato durante la celebrazione del Battesimo.
L’esorcismo solenne, chiamato «grande esorcismo»,
può essere praticato solo da un presbitero e con il
permesso del vescovo. In ciò bisogna procedere con
prudenza, osservando rigorosamente le norme sta-
bilite dalla Chiesa. L’esorcismo mira a scacciare i
demoni o a liberare daH’influenza demoniaca, e ciò
mediante l’autorità spirituale che Gesù ha affidato
alla sua Chiesa. Molto diverso è il caso di malattie,

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soprattutto psichiche, la cui cura rientra nel campo
della scienza medica. E importante, quindi, accer-
tarsi, prima di celebrare l’esorcismo, che si tratti di
una presenza del Maligno e non di una malattia1.

Ma il diavolo esiste veramente? Esiste davvero


questa persona, o personaggio, da considerare, più o
meno, come un «Anti-Dio», nel senso di «Dio rove-
sciato» (se Dio è assoluta bontà il diavolo sarà
malvagità assoluta)? Ovvero nel senso di un essere
contro Dio, che tenta di distruggere la creazione o
tutto ciò che esiste positivamente, per contrapporvi
un mondo disordinato e cattivo?
Molti sono convinti di sì: che sia esistito nel pas-
sato e che continui ad esistere nel presente. In questo
«dossier» cercheremo invece di dimostrare il contra-
rio, e cioè che il diavolo-persona non esiste: siamo
cioè convinti che non esista un essere malvagio, che
non vi siano argomenti validi per sostenerlo. Rite-
niamo invece che il male e la malvagità derivino da
comportamenti errati, volontari o involontari, dell’u-
manità in generale e di ognuno di noi in particolare.
Dopo una rapida evocazione di alcune immagini
classiche del diavolo, il nostro discorso si articolerà in
quattro punti:

1) parleremo delle ragioni e delle esperienze per cui


si è arrivati ad affermarne l’esistenza;
2) vedremo come la Bibbia parla del diavolo;
3) esamineremo alcune delle conseguenze che ha

1 II ( 'at(‘chiamo della Chiesa Cattolica,Libreria Editrice


Vut i< min, ( 'it.tft del Vaticano, 1992, n. 1673.

K
avuto la fede nell’esistenza del diavolo, e partico-
larmente il periodo della caccia alle streghe;
4) infine cercheremo una parola di speranza ispira-
ta al messaggio biblico.

Prima però una premessa indispensabile: gli au-


tori ai quali faremo riferimento partono dal principio
— ovvio per loro ma non per tutti coloro che vivono
nel clima della «modernità» — che esiste «qualcuno»
o «qualcosa» che è superiore, o comunque totalmente
diverso, da noi. Ammettere l’esistenza del diavolo
presuppone che si creda non solo nell’esistenza di
Dio, ma anche di altri esseri «spirituali», cioè non
materiali, in qualche modo a lui collegati. Questo è
il presupposto fondamentale di ogni discorso sul
diavolo, e infatti gli autori con cui dialogheremo non
mettono in dubbio l’esistenza di Dio.
Prima perciò di parlare del diavolo, dovremmo
interrogarci sulla nostra stessa visione di Dio e del
mondo. Perché non accada che, alla fine, si «creda»
nel diavolo, nel senso di ammetterne l’esistenza,
senza tuttavia porci il problema di Dio. Come chi
il ¡cesse, in modo tutto sommato infantile: «a Dio
certo non credo, però, non si sa mai... ».

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CHI È IL DIAVOLO?

Il diavolo, o «Satana», è entrato nell’universo


culturale dell’italiano medio attraverso due vie di-
stinte ma collegate: la Bibbia e la Divina Commedia
di Dante Alighieri: nomi, azioni, sentimenti relativi
a questo essere totalmente e irrimediabilmente cat-
tivo ci sono suggeriti dall’antica letteratura ebraica
e dal capolavoro di Dante.
NeH’immaginario corrente Satana è dunque prov-
visto di corna2, coda e zampe biforcute da capra; ha
voce suadente e somiglia a questo o a quell’animale:
tutte immagini che abbiamo ereditato dal passato e
che hanno ancora un posto nelle nostre fantasie.
Questo avviene perché nulla è comprensibile «di per
sé», indipendentemente da una qualunque raffigu-
razione (fosse anche una raffigurazione puramente
mentale); d’altra parte è innegabile che le nostre
coordinate per parlare del diavolo sono antichissime,
sia come universo culturale e religioso, sia come
universo politico o economico.

-Di qua, di là, su per lo sasso tetro vidi demon cornuti con
uni» forze... »
(I )ANTK ALIGHIERI, Inferno, canto, XVIII).

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Lo stesso fenomeno vale per i concetti di bene e
male: essi non sono assoluti, ma sono legati stret-
tamente alla cultura in cui si vive e non sono affatto
«neutri». Qui allora si vede quanto il nostro problema
sia connesso con quello del linguaggio che usiamo per
dire le cose. In questo campo, cioè, siamo soliti uti-
lizzare immagini antiche, saltando la cultura moder-
na: diciamo per esempio che «Dio è in cielo», ma
intanto viaggiamo in aereo; immaginiamo il diavolo
con le com a, le zampe da caprone e gli occhi da gatto,
e contemporaneamente abbiamo acquistato un at-
teggiamento positivo nei confronti del mondo anima-
le e della natura in generale; e, quando vogliamo
parlare del male e del bene, ci serviamo spesso di un
vocabolario figurato che contrappone la luce alle
tenebre, il chiaro allo scuro, mentre poi, nella nostra
esistenza quotidiana, abbiamo quasi perduto la per-
cezione delle tenebre, dal momento che il semplice
gesto di toccare un interruttore ci fa superare l’idea
di tenebre = pericolo, così vera in passato.
Ora, l’idea di un essere che in se stesso concentri
il male è molto antica, e la demonologia, cioè la
scienza relativa al diavolo, era diffusa già nell’antico
Oriente e soprattutto a Babilonia. Possiamo anzi
dire che il problema del diavolo è nato quando
l’umanità si è interrogata sulle ragioni che ci spin-
gono ad agire «male» e ha scoperto che un qualche
legame di causa-effetto esiste tra i nostri com por-
tamenti e ciò che ne consegue, sia in positivo, sia in
negativo. Ma l’umanità ha anche scoperto che, m en-
tre le azioni positive hanno un effetto benefico ma
limitato, le azioni malvage sembrano avere effetti
più forti, dirompenti, illimitati. Di qui la domanda:

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«se il male è contagioso, perché non lo è anche il bene?
Se una mela marcia rende marce anche quelle vicine,
perché non succede l’inverso?».
A fianco di questa riflessione, vi è poi la questione
della «morale», che si interroga su cosa è giusto o
sbagliato fare, come individui e come società; e vi è
la questione della responsabilità.
Ma poi vi è anche, all’origine del male, una di-
mensione di necessità e di fatalità, per le tante,
tantissime cose sulle quali non abbiamo un controllo.
Per esempio, sappiamo che vi sono cose che nella vita
ci sfuggono: già il fatto della nostra stessa origine,
dato che nessuno ha scelto dove nascere, da che
famiglia, con che colore di pelle e di che sesso; e poi
anche circostanze più banali, come lo scegliere un
cammino invece di un altro, con conseguenze impre-
vedibili. La vita non è una partita a scacchi, o un
videogame, che possa essere ripetuta all’infinito par-
tendo da un inizio uguale per tutti; sappiamo che le
nostre giornate sono in buona parte già state deter-
minate da quelle che le hanno precedute e determi-
neranno quelle che seguiranno..., ragion per cui ogni
movimento sulla scacchiera della vita rischia di non
essere né libero né spontaneo.
Vi è poi il male oggettivo, al quale si può contri-
buire in maniera del tutto involontaria, con conse-
guenze che possono essere assolutamente spro-
porzionate rispetto alle nostre intenzioni, per non
parlare delle azioni e situazioni che addirittura ci
sfuggono di mano. Gli esempi sono numerosi, e
vanno dagli sprechi energetici all’inquinamento del-
l’ambiente, che pure sono fenomeni tipici e pratica-
lo onte inevitabili nelle società tecnologicamente

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avanzate, e che creano poi danni irreparabili alla
natura e alle persone.
Vi è poi il male del tutto involontario, e che pure
indubbiamente è male: anche soltanto uno sguardo
che ferisce. E ancora, il male collettivo ma tecnolo-
gicamente previsto, voluto e organizzato, dove il
singolo rimane passivo e impotente, molto spesso
neppure informato. Qui vi sono le esperienze dram-
matiche e macroscopiche di questa generazione:
pensiamo airaviatore che bombarda una città nemi-
ca, portando la morte a centinaia di persone di tutte
le età più o meno responsabili, più o meno «innocen-
ti». Il singolo può non essere affatto malvagio, eppu-
re diviene responsabile della morte di molti.
Possiamo dire che la condizione umana è tale da
dar ragione a J.P. Sartre quando faceva affermare a
un personaggio della sua commedia Le mani spor-
che: «siamo tutti un po’ vittime e un po’ carnefici».
Più volte nella storia si sono cercate delle spiega-
zioni per questa dimensione drammatica dell’esi-
stenza umana e, se alcune di esse sono molto antiche
— e risalgono al filosofo presocratico Eraclito (550-
480 ca. a.C.) — non per questo sono superate. Pren-
diamo atto semplicemente che l’umanità si è sempre
posta questi problemi e che il trascorrere dei millenni
non ha necessariamente segnato un progresso nella
loro impostazione e soluzione.
Al problema dell’origine del male — e quindi della
nascita del diavolo — sono state date tradizional-
mente tre risposte.

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a) Il dualismo

Una prima spiegazione è quella che viene definita


dualista: nel mondo esistono due princìpi fonda-
mentali e indipendenti, qualcosa come due divinità,
una buona, l’altra cattiva, che comandano le rispet-
tive sfere.
Anche se intimamente contraddittoria, questa
visione del mondo è abbastanza popolare, se non
altro perché è la più semplice.
Possiamo infatti dire che quasi tutti gli uomini e
le donne del nostro tempo fanno riferimento a un Dio
in sé genericamente buono, definito creatore della
terra e dei suoi abitanti. E un Dio che sta totalmente
dalla parte del bene: non solo egli ha creato attiva-
mente l’universo in cui viviamo, ma ci ha anche
indicato come vivere positivamente con gli altri; a lui
risalgono i dieci comandamenti e le parabole di Gesù,
ma risalgono anche valori più ‘la ici” come la tolle-
ranza, il buon senso e la saggezza del vivere bene.
Ma nel mondo non esiste soltanto il bene: la stessa
creazione non si dimostra sempre e dovunque buona;
anche in essa esiste una dimensione negativa, dal
momento che vi sono fenomeni che provocano obiet-
tivamente del male, come i terremoti o le eruzioni
vulcaniche. Perché?
La risposta dualista è semplice: accanto al Dio
buono esiste nell’universo anche un anti-Dio mal-
vagio, che governa le forze del male e le spinge ad
agire in senso negativo e distruttivo. Il male deve
dunque essere attribuito ad una forza opposta a Dio
r altrettanto potente: il diavolo, appunto.
Tale visione non regge tuttavia alla critica, per-

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ché lascia troppe cose senza spiegazione: se Dio
(buono) è il creatore di tutte le cose, avrebbe creato
anche il diavolo? ma perché? Inoltre: in che modo
agisce praticamente il diavolo? Come si fa conoscere?
Se è chiaro che Dio agisce attraverso i profeti, Gesù,
e tutte le persone dette genericamente di «buona
volontà», il diavolo con quali mezzi agirebbe? Egli
non ha a disposizione le medesime «fonti di propa-
ganda», dato che nessuno si dichiara apertamente
per la mafia, o per il razzismo, o per una guerra d’ag-
gressione; anche se poi alla prova dei fatti si deve
prendere atto che il piatto della bilancia pende spes-
so e decisamente dalla parte del diavolo.
Infine la questione più filosofica: se Dio è onnipo-
tente e il diavolo è un anti-Dio, si può ancora af-
fermare fonnipotenza di Dio? La logica sostiene — a
ragione — che due forze uguali e contrarie si annul-
lano: eppure il mondo in cui viviamo è tutto meno che
«nullo» rispetto al bene e al male.

b) La negazione del male

La seconda spiegazione all’esistenza del male è


«la negazione del male», secondo la definizione data
dal teologo protestante Vittorio Subilia3.
Questa spiegazione parte dal fatto che tutto nel-
l’universo ha una sua logica, che sfugge spesso alla
nostra logica e alla nostra morale: il già citato Era-
clito sosteneva che «tutto ciò che avviene nel mondo

3V. SUBILIA, II problema del male, Claudiana, Torino, 19872,


pp. 25-40.

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avviene e si fa per tensioni opposte..., v’è dunque
un’intima concordia nell’apparente discordia... »4:
succedono molte cose, che per noi sono positive o
negative, buone o malvage, ma che non lo sono in sé,
perché rispondono a una loro logica.
Chi può definire un leone o uno squalo come
«cattivi» se sbranano un turista o un subacqueo? Non
è la loro stessa natura di carnivori che. li spinge a
quelle azioni?
Così pure molti eventi naturali, che noi viviamo
come luttuosi, non sono altro che fenomeni neutrali:
che cos’è un terremoto se non l’assestamento della
crosta terrestre e un’alluvione se non un fenomeno
che dipende da altri fenomeni naturali che in sé non
si possono dire né buoni né cattivi?
Non solo: restando nell’ambito dei rapporti uma-
ni, dobbiamo prendere atto che esistono modi molto
diversi nel giudicare che cosa è «bene» e che cosa è
«male», esiste una «coscienza variabile» del giudizio
etico. Lo sperimentiamo ogni giorno in questo tempo
d’immigrazioni massicce di persone che provengono
da altri continenti e che partono da backgrounds
culturali diversi. Li sentiamo strani e diversi: le cose
che per me sono ovvie non lo sono necessariamente
per loro, e anche parole come «libertà», «democrazia»
e «diritti umani» non trovano in tutti le medesime
risonanze.
Così si può arrivare a negare una concezione del
male che sia la stessa per tutti e in ogni luogo: ma se
ogni cultura e ogni società sviluppano una propria
diversa coscienza del male, non si arriva al relativi-

4 Id ., p. 28.

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smo, negando che vi sia un male in sé, un male
assoluto ed eguale per tutti?
Così c’è chi arriva alla conclusione che il male in
senso assoluto non esiste; sarebbe una nostra crea-
zione, perché siamo umani e intrinsecamente miopi
e perché non riusciamo a vedere al di là dei limiti
della nostra cultura e della nostra capacità di com -
prensione: non riusciamo cioè a comprendere che
ogni cosa ha la sua propria logica e quindi la sua
propria giustificazione. Ma, se non c’è un male asso-
luto, come può esserci un diavolo?
Anche questa visione, che è stata in voga dalla
metà del ’600 fino alla prima guerra mondiale, ha
limiti gravi, storici e psicologici. Nel 1686 il filosofo
tedesco Leibniz affermò in varie occasioni che chi
criticava le troppe imperfezioni del creato errava,
perché «non si fonda che sulla troppo limitata co-
noscenza che noi abbiamo dell’armonia generale
dell’universo e dei segreti motivi della condotta di
Dio: questo ci fa giudicare tem erariamente che molte
cose sarebbero potute essere migliori»5 e che «Dio
non delibera di creare Adamo peccante, ma se, tra le
infinite serie dei possibili, sceglie quella a cui appar-
tiene Adamo peccante, vuol dire che essa compendia-
va in sé il m inor male o il maggior bene possibile»6.
Com’è noto, contro questo ottimismo a tutti i costi
prese posizione il filosofo ff ancese Voltaire, critican-
do con pesante ironia l’affermazione che questo fosse
il «migliore dei mondi possibili», e proprio all’indo-
mani di quella immane tragedia naturale che fu il

5 I d ., p. 32.
s Id ., p. 35.

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terremoto che distrusse Lisbona nel 1755, provocan-
do la morte di circa 30.000 persone.
Una sorte simile toccò a quella visione sostanzial-
mente positiva della storia e del confronto tra le
culture che va sotto il nome di positivismo, che sarà
messo in crisi dallo scoppio della prima guerra mon-
diale e dal macello inaudito di persone che proveni-
vano principalmente da paesi moderni e civili come
la Germania, l’Austria, la Francia, la Gran Bretagna,
gli Stati Uniti d’America e l’Italia.

c) Il libero arbitrio

La terza e più nota ipotesi è quella che fa derivare


il male dalla libertà, Satana che nasce dal libero ar-
bitrio degli esseri umani.
Un esempio di questa ipotesi si trova nel nuovo
Catechismo della Chiesa Cattolica, dove, al paragra-
fo 391, riprendendo un canone del IV Concilio La-
teranense del 1215, si legge:

[...] la Tradizione della Chiesa vede in questo essere


un angelo caduto, chiamato Satana o diavolo. La
Chiesa insegna che aH’inizio era un angelo buono,
creato da Dio. «Diabolos enim et alii daemones a
Deo quidem natura creati sunt boni, sed ipsi per se
facti sunt mali», il diavolo infatti e gli altri demoni
sono stati creati da Dio naturalmente buoni, ma da
se stessi si sono trasformati in malvagi.

A questa spiegazione vengono attribuite origini


genericamente bibliche in riferimento a Genesi 6,4,
dove si legge che «i figli di Dio si unirono alle figlie

19
degli uomini ed esse partorirono dei figli». In realtà
in questo passo si riprende un mito antichissimo,
presente in molte culture, che affermava 1’esistenza
di esseri sovrumani, come il gigante Polifemo del-
l’Odissea. La dottrina della caduta degli angeli ven-
ne poi elaborata alcuni secoli dopo Cristo. Alcuni
padri della chiesa — Giustino Martire, Atenagora,
Tertulliano, Clemente Alessandrino, Am brogio— la
sostennero: Satana e tutti i diavoli sarebbero degli
angeli che hanno liberamente deciso di peccare, che
cioè si sono ribellati a Dio a causa dell’invidia che
provavano nei suoi confronti, diventando malvagi.
E interessante notare che anche i Testimoni di
Geova condividono tale spiegazione: in un opuscolo
edito dalla loro società editrice, «La Torre di Guar-
dia» leggiamo un’interpretazione moderna di questa
tesi:

[...] è sbagliato pensare che il Diavolo sia una


creatura con corna e forcone che sorveglia qualche
sotterraneo luogo di tormento. In realtà egli è un
potentissimo angelo malvagio.
Satana, il Diavolo, è una persona reale. Non è
semplicemente il male che è nell’uomo, come credo-
no alcuni... Ma se «Dio è amore», può chiedere
qualcuno, «perché ha creato il Diavolo»? Il fatto è
che Dio non ha creato il Diavolo. «Ma», dirà ancora,
«se Dio ha creato tutti, deve aver creato il Diavolo.
Se no chi è stato? Com’è venuto all’esistenza il
Diavolo?». La Bibbia spiega che Dio creò moltissi-
me persone spirituali simili a Lui. Nella Bibbia
questi spiriti sono chiamati angeli. Sono anche
chiamati «figli di Dio». Dio li creò tutti perfetti.
Nessuno di loro era Diavolo o Satana... A un certo

20
I
punto però uno di questi figli spirituali di Dio fece
di se stesso il Diavolo, cioè un perfido bugiardo che
dice male degli altri. Si rese anche Satana, cioè
oppositore di Dio. Non fu creato così, ma divenne in
seguito quel tipo di persona.
L’angelo che divenne il Diavolo era presente quan-
do Dio creò la terra e poi la prima coppia umana,
Adamo ed Èva. Perciò dovette sentire quando Dio
disse loro di avere figli... Questo angelo, convinto di
essere molto bello e intelligente, voleva ricevere
l’adorazione che sarebbe resa a Dio. Invece di
scacciare dalla mente questo desiderio errato, con-
tinuò a pensarci... Naturalmente Dio avrebbe po-
tuto distruggere Satana lì per lì. Ma ciò non avreb-
be risposto alle domande suscitate da Satana, do-
mande che sarebbero potute rimanere nella mente
degli angeli presenti. Perciò Dio concesse a Satana
del tempo perché provasse a dimostrare le sue
asserzioni...7.

Ma neanche questa trasposizione del problema


del male ad un’epoca mitologica e pre-umana risolve
il problema del male, perché non fa altro che spostare
la questione: da dove viene il male che viene deciso
liberamente dagli angeli? Perché delle creature buo-
ne non scelgono di rimanere fedeli a Dio, ma di tra-
dirlo?
Alla fine di questo secondo capitolo... siamo al
punto di prima: esiste il male, ma non sappiamo
spiegarcene le ragioni, e le varie ipotesi “classiche”
non sembrano decisive. Il problema rimane.

7 Le citazioni sono tratte da: Potete vivere per sempre su una


terra paradisiaca, Roma, 1982. Il corsivo è nel testo.

71
Nel prossimo capitolo esamineremo nel dettaglio
alcuni passi biblici che pongono la questione del
diavolo.

22
3

IL DIAVOLO NELLA BIBBIA

Per affrontare il discorso della presenza del dia-


volo nella Bibbia non dobbiamo dimenticare che
l’antico Israele, come la maggioranza dei popoli an-
tichi, riteneva che il mondo fosse popolato di spiriti,
ovvero di esseri non umani che esercitavano un’influ-
enza benefica o malefica sull’umanità.
Per placare questi dèmoni si facevano dei sacri-
fici, solitamente di animali, ma talvolta anche uma-
ni. Qui si deve osservare che, se è vero che la Bibbia
riporta alcuni casi di sacrifici umani8, essa li rifiuta
decisamente, sia perché si tratta di una forma di
disprezzo della vita umana e della discendenza do-
nata da Dio, sia perché essi erano connessi con la
religione avversaria dell’ebraismo, la religione ca-
nanea. Un buon esempio in proposito può essere il
passo che narra il sacrificio (mancato) di Isacco, in
Genesi 22.
E interessante notare come la mentalità ebraica,
molto più concreta di altre sue contemporanee, dia
poca importanza ai dèmoni e alla loro azione nei

8 Per esempio l’episodio della figlia di Jefte, Giudici 11,30-


40, e il sacrificio per la ricostruzione della città di Gerico.

23
confronti dell’umanità, sottolineando semmai il loro
operato quando mettono le persone in conflitto con
Dio, per esempio impedendo loro di seguire dei
comandamenti o dei divieti.
La Bibbia conosce alcuni modi con cui si cerca
d’interpretare il futuro e conoscere il pensiero di Dio
e dei dèmoni, attraverso la divinazione, i sogni, il
lancio della «sorte» (se così possiamo spiegare gli
«Urim» e «Tummim»). La divinazione era spesso
praticata in relazione al culto di alcune divinità, e
per questa ragione era vietata agli ebrei. Infatti una
delle idee fondamentali della Bibbia è che la volontà
di Dio non è «misteriosa», ma può essere conosciuta
se ricercata con serietà: per la Bibbia l’umanità non
è circondata da fatti incomprensibili che vanno sve-
lati attraverso dei riti magici, ma è piuttosto messa
in rapporto con Dio, il quale si fa conoscere per mezzo
del suo patto (con Abramo e i suoi figli prima, poi
liberando il suo popolo dalla schiavitù dell’Egitto,
suggellata dal dono della Legge): capire la volontà di
Dio, per la Bibbia, dipende dalla disponibilità umana
e non da capacità paranormali.
L’esempio più clamoroso di consulto di una ne-
gromante — finito male, perché provoca la caduta
del re — è quello di Saul (cfr. I Samuele 28,6 s.), in
cui il re vuole sapere dallo spirito del profeta Samuele
se vincerà una guerra contro i nemici Filistei.
Gli «Urim» e «Tummim» erano oggetti custoditi
nel pettorale — o nella borsa — dal sommo sacerdote
e servivano ad accertare la volontà di Dio (cfr. ad es.
Numeri 17,21; I Samuele 14,36-46): non si sa con
esattezza a che cosa servissero, né in che cosa con-
sistessero, né tanto meno il significato delle due

24
parole ebraiche9. Forse erano una specie di dadi o di
pietre colorate, di forme differenti. Per mezzo degli
«Urim» e «Tummim» si cercava di conoscere la volon-
tà di Dio, generalmente limitata a un «sì» o un «no»,
«colpa» o «non colpa».
Poi, il sogno. I sogni e la loro interpretazione erano
molto importanti nelle culture dell’Oriente antico;
essi venivano da un lato considerati come una specie
di realtà «capovolta», e dall’altro erano visti come
una maniera con cui Dio comunica con l’umanità.
Per questa ragione nella Bibbia sono importanti
anche coloro che interpretano i sogni: generalmente
pii ebrei, contrapposti agli indovini pagani, visti
come ciarlatani.
Nell’Antico Testamento vengono menzionati an-
che alcuni tipi di dèmoni: sono i Seirim (i «pelosi»,
satiri abitanti nel deserto); i Sedim («dèmoni») e
Lilit, un demone femminile, conosciuto anche a Ba-
bilonia.
Per quanto riguarda Satana (cioè l’«awersario»,
di cui si parla nell’Antico Testamento) e il diavolo
(ovvero il «calunniatore», come è chiamato nel Nuovo
Testamento), essi possono essere entrambi identifi-
cati più per la funzione che svolgono nel pantheon
immaginato dagli ebrei, che per la specificità della

9 Secondo alcuni la parola «Tummim» denotava l’innocenza


delle persone, mentre la parola «Urim» la colpa; secondo altri
-Urim» significa luce e «Tummim» tenebre. L’antica versione
r.reca della Bibbia, detta dei «Settanta», traduce le due parole
con «indizio» e «verità». Cfr. A . RICCIARDI, art. «Urim» e «Tum-
m im», Dizionario biblico, Claudiana, Torino, 19924, pp. 612-
613.

25
loro «esistenza»: Satana ha la funzione di stendere
l’atto di accusa, come un pubblico ministero, contro
gli uomini e le donne; il diavolo ha il compito di man-
tenere l’umanità nel suo naturale atteggiamento di
rifiuto di Dio.

1. Il diavolo nell’Antico Testamento

Per affrontare la questione di fondo, se cioè l’An-


tico Testamento conosce un personaggio che si possa
definire come «il diavolo», analizzeremo alcuni passi
che appunto al diavolo sono stati riferiti.
Una prima osservazione: per quanto possa sem-
brare strano, i passi in cui nell’Antico Testamento si
parla di Satana (o di «un satana») sono pochissimi10;
ad essi va affiancato il racconto di Genesi 3, dove il
serpente della tentazione è stato interpretato come
una raffigurazione di Satana.

Genesi 3,1-19:
Leggiamo dunque, in Genesi 3,1-19, il racconto
della cosiddetta «caduta» dell’umanità nel peccato11.

10La parola «Satana» o «il Satana» appare solo quattro volte


in tutto l’Antico Testamento (Giobbe 1,6.12; 2,2; Zaccaria
3,1.2). Il termine «diavolo» non vi ricorre mai.
11 Le citazioni bibliche dell’Antico Testamento sono tratte
dalla traduzione interconfessionale in lingua corrente, Torino-
Roma, LDC-ABU, 1985. Quelle del Nuovo Testamento sono
tratte dalla Versione Riveduta del 1982, Roma, Libreria Sacre
Scritture, 1983.
Il serpente era il più astuto di tutti gli animali
selvatici che Dio, il Signore, aveva fatto. Disse alla
donna:
«Così Dio vi ha detto di non mangiare nessun frutto
degli alberi del giardino!».
La donna rispose al serpente:
«No, noi possiamo mangiare i frutti degli alberi!
Soltanto àe\Yalbero che è in mezzo al giardino Dio
ha detto: Non mangiatene il frutto, anzi non toc-
catelo, altrimenti morirete!».
«Non è vero che morirete — disse il serpente —
anzi, Dio sa bene che, se ne mangerete, i vostri
occhi si apriranno, diventerete come lui: avrete la
conoscenza di tutto».
La donna osservò l’albero: i suoi frutti erano certo
buoni da mangiare; era una delizia per gli occhi,
era affascinante per avere quella conoscenza. Allo-
ra prese il frutto e ne mangiò. Lo diede anche a suo
marito ed egli lo mangiò. I loro occhi si aprirono e
si resero conto di essere nudi. Perciò intrecciarono
foglie di fico intorno ai fianchi.
Verso sera l’uomo e la donna sentirono che Dio, il
Signore, passeggiava nel giardino. Allora, per non
incontrarlo, si nascosero tra gli alberi del giardino.
Ma Dio, il Signore, chiamò l’uomo e gli disse:
«Dove sei?».
L’uomo rispose:
«Ho udito i tuoi passi nel giardino. Ho avuto paura
perché sono nudo e mi sono nascosto».
Gli chiese:
«Ma chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai man-
giato il frutto che ti avevo proibito di mangiare?».
L’uomo rispose:
«La donna che mi hai messo a fianco mi ha offerto
quel frutto e io l’ho mangiato».
Dio, il Signore, si rivolse alla donna:

27
«Che cosa hai fatto?».
Rispose la donna:
«Il serpente mi ha ingannata e io ne ho mangiato».
Allora Dio, il Signore, disse al serpente:
«Per quel che hai fatto tu porterai questa male-
dizione fra tutti gli animali e fra tutte le bestie
selvatiche: striscerai sul ventre e mangerai polve-
re tutti i giorni della tua vita. Metterò inimiciziafra
te e la donna, fra la tua e la sua discendenza. Que-
sta discendenza ti colpirà al capo, e tu la colpirai al
calcagno».
Poi disse alla donna:
«Moltiplicherò la sofferenza delle tue gravidanze e
tu partorirai figli con dolore. Eppure il tuo istinto
ti spingerà verso il tuo uomo, ma egli ti dominerà!».
Infine disse all’uomo:
«Tu hai dato ascolto alla tua donna e hai mangiato
il frutto che ti avevo proibito. Ora, per colpa tua, la
terra sarà maledetta: con fatica ne ricaverai il cibo
tutti i giorni della tua vita. Essa produrrà spine e
cardi, e tu dovrai mangiare le erbe che crescono nei
campi. Ti procurerai il pane con il sudore del tuo
volto, finché tornerai alla terra dalla quale sei stato
tratto: perché tu sei polvere, e alla polvere torne-
rai!».

Diamo anzitutto un’occhiata ad alcune parole


chiave del testo, che abbiamo evidenziato in corsivo.

Il serpente. Si nota che in questo passo — impor-


tantissimo nella Bibbia e nella storia del pensiero
cristiano — non si parla del diavolo, ma di un
serpente. Il diavolo qui non c’è, anche se vi è stata
riconosciuta una sua qualche presenza, come se
aleggiasse nell’atmosfera.

28
Nell’antico Oriente il serpente veniva infatti con-
siderato un animale dotato di poteri ambigui, sia
negativi (velenoso), sia positivi (prudenza, ma anche
dei poteri miracolosi e taumaturgici). Del resto nella
stessa Bibbia si ricorda che, durante l’esodo, Mosè
innalzò nel deserto un serpente di bronzo che aveva
il potere di guarire chi lo guardava (vedi Numeri
21,4-9).
Qui possiamo immaginare che il serpente sia
stato considerato l’animale malefico per eccellenza
in quanto legato ai culti pagani12, oppure perché esso
è un animale a metà strada tra gli animali veri e
propri e gli insetti: se è un animale, perché striscia?
Cosa mangia, la polvere?
L ’albero che è in mezzo al giardino. La donna, Èva,
sembra riferirsi all’albero di cui si è parlato nel
capitolo precedente, e precisamente il secondo albe-
ro, ai w . 9 e 16-17; ma qui non è chiaro di quale
albero si stia parlando, perché in Genesi 2,9 si dice
che «nel mezzo del giardino [Dio] piantò due alberi:
uno per dare la vita e l’altro per infondere la cono-
scenza di tutto»13, mentre ai w . 16-17 si parla di un

12 Per esempio, l’antica religione dell’Anatolia conosce un


mito del serpente che sconfigge il Dio della tempesta, cfr. H.-C.
PUECH, Storia delle religioni, voi. II, pp. 89-90, Laterza, Bari,
1977.
13Sia la Versione Riveduta sia quella delle edizioni Paoline
traducono: «l’albero della vita... l’albero della conoscenza del
Urne e del male»; le edizioni Paoline aggiungono in nota: «non
si tratta di un albero o di un frutto, ma di una prova cui fu
sottoposto l’uomo, per sollecitare in lui un atto di riconosci-
mento dell’autorità di Dio e della sua dipendenza da Lui».

29
solo albero «che infonde la conoscenza di tutto»14. Al
terzo capitolo il serpente invita la donna a prendere
il frutto da un unico albero. Come risolvere il mistero
dell’albero scomparso?
Possiamo immaginare che, nel corso dei secoli, sia
avvenuta una semplificazione, e che si siano unifi-
cati i due alberi a vantaggio di quello considerato più
importante, cioè quello della conoscenza del bene e
del male. D’altra parte, come vedremo, la Bibbia
mette l’accento più sulla «caduta» e le sue conseguen-
ze che su quelli che forse erano considerati dei det-
tagli. In ogni caso, l’interpretazione tradizionale
secondo la quale il frutto dell’albero sarebbe stato
una «mela» non ha alcun riscontro nella Bibbia15.
Il racconto che abbiamo riportato è il cosiddetto
secondo racconto della creazione riportato dalla Bib-
bia (il primo è quello della creazione del cielo e della
terra in sette giorni) e ci narra la storia della creazio-
ne dell’umanità come una specie di parabola, cioè in
una forma narrativa che evoca delle situazioni note
della vita umana per fam e comprendere il senso. E
si sofferma in particolare sul tema della corruzione
dell’umanità.
L’idea dello scrittore biblico è che Dio ha creato la
terra come un paradiso, dove l’umanità poteva vive-
re felicemente e senza violenza (è curioso notare che
in questa fase della storia del mondo tutti i suoi

14 Anche qui le traduzioni della Riveduta e delle Paoline


concordano, traducendo: «l’albero della conoscenza del bene e
del male».
15Si può fare l’ipotesi che l’identificazione del frutto con una
mela sia nata dalla traduzione latina della Bibbia, dato che in
latino sia «male» che «mela» si dicono malum.

30
abitanti — umani e animali — sono vegetariani);
però la nostra esperienza quotidiana è opposta:
perché? Perché il primo uomo e la prima donna
(ovvero l’uomo e la donna) non sono riusciti ad
accettare l’equilibrio che Dio aveva proposto e impo-
sto loro — equilibrio simboleggiato appunto dall’al-
bero.

Qui occorre sottolineare con forza, proprio ai fini


del nostro discorso sul diavolo, che l’accento del passo
biblico non è su chi ha fatto peccare Adamo ed Èva,
ma sul perché questo avviene.
La parabola della Genesi non dà infatti una
spiegazione teorica del fatto, ma offre un racconto
che tutti possono capire: Dio ha posto dei limiti, che
gli esseri umani — e il primo uomo e la prima donna
per loro — non hanno riconosciuto e accettato.
Per questa ragione la nostra situazione è sempre
conflittuale, nei confronti di Dio come verso gli altri
membri dell’umanità. Le parole di «maledizione» che
chiudono il capitolo 3 non sono in realtà la spie-
gazione di qualcosa di negativo che avverrà nel
futuro, ma la descrizione realistica di quel che succe-
de normalmente.
Arriviamo così alla conclusione che il racconto
della Genesi, partendo dalla durezza dell’esistenza
quotidiana, se ne chiese le ragioni: perché l’uomo e la
donna sembrano essere «maledetti» nella loro vita di
tutti i giorni? La Bibbia risponde raccontando questa
grande parabola del giardino dell’Eden.
In questa riflessione il «serpente» è solo un per-
sonaggio secondario, anche se indispensabile nel-
l’economia del racconto, in quanto qui il tema è

31
quello della vita deirum anità e del perché dei tanti
rapporti conflittuali nel mondo.

Giobbe 1,6-12:
Questo libro dell’Antico Testamento vuole af-
frontare il problema del male alla radice, senza
mezzi termini e senza scusanti per nessuno. Giobbe
è un uomo giusto e pio, inizialmente benedetto da Dio
p e rii suo lavoro, con grandi ricchezze e una famiglia
numerosa. Ma poi, im provvisamente, viene travolto
da una serie di drammi terribili: la morte dei figli, la
perdita dei beni, l’abbandono da parte degli amici.
Ci soffermiamo sul passo fondamentale in cui si
parla di «Satana» e se ne descrive l’azione.

Un giorno le creature celesti si presentarono da-


vanti al Signore. In mezzo a loro c’era anche Sata-
na.
Il Signore chiese:
«Da dove vieni?».
Satana rispose:
«Sono stato qua e là, in giro per la terra».
«Hai notato il mio servo Giobbe?» — chiese ancora
il Signore. Poi aggiunse:
«in tutta la terra non c’è nessuno onesto e giusto
come lui. Egli rifiuta il male perché serve Dio».
Satana rispose:
«Gli conviene rispettarti, lo credo bene! Tu proteggi
lui, la sua famiglia e tutto quel che possiede! Be-
nedici tutto quel che fa, e così il suo bestiame cresce
a vista d’occhio. Ma prova a toccare le sue proprietà
e vedrai come bestemmierà anche lui».
Il Signore disse a Satana:
«D’accordo, fa quello che vuoi delle sue proprietà,

32
ma non toccare la sua persona».
E Satana si allontanò.

Anche in questo caso partiamo dall’analisi di due


parole difficili: le «creature celesti» e «Satana».

L e creature celesti. Fin dai primi versetti il libro di


Giobbe ha l’andamento di una parabola o di un
racconto esemplare, inserito in un contesto culturale
fortemente legato ad una visione mitologica della
storia. Possiamo immaginare Dio che riceve i suoi
emissari, tra cui Satana, circondato dalla sua corte,
come un imperatore.
Questo modo di rappresentare Dio e la sua corte
non ci deve meravigliare, perché il racconto è co-
struito con un materiale di origine pagano-politei-
sta, pur sviluppando degli elementi della fede d’Isra-
ele che sono coerenti e «ortodossi»: le creature celesti
che accompagnano Dio non sono delle forze au-
tonome, indipendenti dal Signore — come avviene
per gli dèi deìYIliade o dell’Odissea che tramano fra
di loro a dispetto del capo-Zeus — ma sono sottoposte
alla sua autorità.

Satana. Qui Satana, o «il satana», dato che si


tratta di un nome comune che significa, come abbia-
mo detto, l'accusatore, o quasi un «pubblico m iniste-
ro» della corte celeste, ha il ruolo di «procuratore»,
colui che scopre le colpe nascoste degli esseri umani
per riferirle al tribunale celeste. Ma non è un perso-
naggio autonomo: il suo nome indica soprattutto una
funzione; e anche i primi due capitoli che fanno da
introduzione al libro di Giobbe si presentano come un
artificio letterario per introdurre il problema del

33
rapporto che Giobbe ha nei confronti del male e della
giustizia di Dio.
Il racconto di Giobbe ha un significato preciso e
sempre attuale di fronte al dramma altrettanto
eterno del male.
Nonostante le disgrazie che gli capitano— disgra-
zie di cui Satana non è artefice in quanto non rap-
presenta una volontà indipendente, m a è soltanto la
“spalla” del Signore nella commedia celeste— Giobbe
non perde la fiducia in Dio e, benché si scontri con Lui
più volte nel corso del libro, riesce a dialogare con
Colui che viene indicato come il «responsabile» delle
sue disgrazie, come era responsabile delle sue fortu-
ne precedenti.
Nel libro di Giobbe viene posta in maniera forte
una delle domande più terribili e difficili dell’esi-
stenza umana: perché esiste il male? Perché si deve
soffrire? Perché gli innocenti soffrono?
La questione sollevata è resa ancora più scottante
dal fatto che Giobbe rifiuta una dopo l’altra le ri-
sposte correnti che venivano date a queste domande.
E quando alla fine rimane solo, gli amici lo vanno a
trovare per convincerlo che anche lui deve avere —
necessariamente — una qualche colpa per i suoi
mali: perché il male è il salario della colpa.
Giobbe difende allora la sua innocenza e, alla fine,
la sua fede in Dio viene ricompensata: è nella fede —
dove la parola «fede» non significa «capire tutto», ma
confidare in Dio — che Giobbe trova la pace: «Io lo so,
colui che mi difende è vivo; egli un giorno mi riabili-
terà..., io stesso vedrò Dio. Lo vedrò accanto a me e
lo riconoscerò. Lo sento nel mio cuore, ne sono certo»
(Giobbe 19,25-27). Se dunque c’è un responsabile per

34
il male che colpisce Giobbe, questi è Dio stesso, non
Satana.

II Samuele 24 e I Cronache 21:


Confrontando questi due testi, che narrano lo
stesso episodio da prospettive diverse, possiamo
notare come gli scrittori biblici abbiano affrontato la
questione della libertà divina e delle conseguenze
delle decisioni umane in maniera differente a secon-
da delle loro preoccupazioni religiose.
Sia II Samuele 24 sia I Cronache 21 narrano lo
stesso episodio, il censimento che il re Davide decise
di indire, al culmine della sua potenza politico-
militare. I censimenti, però, nell’antichità, non era-
no ben visti, perché solitamente avevano la funzione
di riorganizzazione del fisco e soprattutto servivano
ai governanti per valutare la propria popolazione, in
vista dell’organizzazione militare; semplificando, pos-
siamo dire che un censimento era il primo passo per
una nuova guerra. L’Antico Testamento, in contra-
sto con le ideologie statali del tempo, afferma che la
conquista della terra promessa non è stata determi-
nata dalla forza militare degli ebrei, ma è stata
donata da Dio al suo popolo. Indire un censimento
significava affermare la propria «indipendenza» da
Dio, ammettendo di confidare di più nel proprio
esercito che nell’opera del Signore. Per questa ragio-
ne, leggiamo che

Un’altra volta ancorala collera del Signore colpì il


popolo, e spinse Davide a fare il censimento delle
tribù di Giuda e d’Israele a danno del popolo.
(II Sam. 24,1)

35
Però, come si può notare anche a prima vista, un
formulazione di questo genere contiene una contrad-
dizione interna— per lo meno se si parte dal presup-
posto che Dio sia buono: perché Dio «spinge Davide
a fare il censimento», se il censimento è un’offesa nei
confronti di Dio stesso?
I libri delle Cronache — scritti probabilmente nel
IV sec. a.C., dunque circa quattro secoli dopo i libri
di Samuele, che pare risalgano ai secc. IX-VIII a.C.
— offrono una soluzione a questa contraddizione,
partendo dal loro presupposto teologico. I libri delle
Cronache mettono al centro della storia d’Israele il
Tempio di Gerusalemme, il culto e il sacerdozio; nel
pensiero di queste due opere, re Davide «appare
essenzialmente come il padre spirituale del Tempio,
il quale, se non ebbe il permesso d’edifìcarlo, ne
organizzò tuttavia il culto e preparò i materiali per
la sua costruzione... Tali personaggi [Davide e alcuni
re che perpetuano la sua opera] appaiono in una
specie di sintesi tra santi ed eroi nazionali... »16.
Seguendo questa visione della storia, che mette in
primo piano la religione e la conseguente «santi-
ficazione» di alcuni importanti re che hanno seguito
il piano di Dio, per narrare lo stesso episodio I
Cronache 21 racconta così l’accaduto:

Satana si mise contro Israele e spinse Davide a fare


il censimento degli israeliti...
(I Cron. 21,1)

16 Vedi J.A. SOG GIN, Introduzione all’A ntico Testamento,


Paideia, Brescia, 19793, p. 564.

36
Il confronto fra questi due brani mette bene in
luce lo sviluppo del personaggio-Satana: da «ruolo»
a personaggio vero e proprio.

2. Il diavolo nel Nuovo Testamento

Nel Nuovo Testamento troviamo che il «diavolo»


ha un profilo diverso e più preciso. L’aumento dell’in-
teresse degli scrittori neotestamentari per questo
personaggio si può spiegare ricordando che tra gli
ultimi libri dell’Antico Testamento e quelli del Nuo-
vo, tra il II sec. a.C. e il II d.C., si è sviluppato un
particolare stile, oggi denominato «pseudoepigrafico»
(cioè con «falsi titoli»: vale a dire tramite libri attri-
buiti a scrittori che di fatto non ne erano gli autori).
Solitamente questi libri portavano i nomi di famosi
patriarchi e profeti17. Il loro contenuto è molto vario,
ma — per quanto riguarda il nostro argomento —
possiamo notare che alcuni svilupparono un genere
letterario denominato «apocalittica» («apokàlypsis»
in greco significa «rivelazione»), cioè una visione
della storia che prevedeva degli sconvolgimenti ter-
ribili che porteranno alla fine del mondo.
In questo «dossier» non abbiamo la possibilità di
analizzare approfonditamente quel genere di opere;
possiamo però dire che questo tipo di pensiero si
sviluppò quando ormai il popolo d’Israele non aveva
più alcuna possibilità di “contare” sullo scacchiere

17 Per citarne alcuni, abbiamo la Lettera di Aristea, il Libro


dei Giubilei, il Martirio di Isaia, il Libro di Enoc, VAssunzione
ili Mosè.

37
politico mediterraneo — dopo l’esilio del regno del
Nord in Assiria nel 720 a.C. e del regno del Sud a
Babilonia nel 587 a.C. la Palestina diventò una
provincia di imperi lontani e pagani — per cui si può
pensare che le varie correnti dei profeti, che in
presenza di re nazionali potevano avere un certo
peso, «ripiegarono» verso una visione catastrofica
del m ondo18. L’apocalittica, fortemente influenzata
dal pensiero religioso babilonese e persiano, sottoli-
neò l’importanza di un personaggio che nella visione
tradizionale ebraica era piuttosto secondario, cioè il
diavolo.
In ogni caso Satana, nel Nuovo Testamento, ri-
mane sempre un personaggio sullo sfondo, un avver-
sario vinto e sconfitto, che continua a fare da spalla
all’azione di Dio. Nel Nuovo Testamento, infatti,
tutto si concentra sull’azione di Gesù in favore del-
l’umanità (i Vangeli); sulla sua continuazione nella
prima diffusione del cristianesimo nel mondo roma-
no (gli Atti degli apostoli) e sul rapporto fra la fede in
Gesù e la vita quotidiana dei credenti (le varie Epi-
stole e l’Apocalisse).
Secondo il Nuovo Testamento la principale azione
di Gesù è l’annuncio della venuta del regno di Dio: un
regno che si oppone a questo mondo, non guardando
all’aldilà ma implicando un radicale cambiamento di
atteggiamenti e di concezioni della vita, che non

18 Va ricordato che la Bibbia contiene almeno un libro


«apocalittico» canonico, vale a dire il libro di Daniele. La lettura
di questo libro, con le sue numerose visioni e rivelazioni di sogni
e di eventi non facilmente comprensibili senza una spiegazione,
rende l’idea di questo genere letterario.

38
sono, appunto, «di questo mondo». Questa contrap-
posizione tra regno di Dio e mondo che conosciamo
implica anche la contrapposizione tra Gesù e i poteri
di questo mondo, poteri che fanno soffrire le persone,
sia fisicamente sia psicologicamente. I racconti dei
miracoli, che contrappongono Gesù a Satana (o ad
altri «diavoli minori») vanno interpretati in questa
maniera, e non come una sorta di «legittimazione» da
parte di Gesù dell’esistenza del diavolo. Possiamo
esemplificare questo punto riferendoci brevemente a
due passi: Luca 10,13-24 e Luca 8,26-39.
In questi due racconti possiamo vedere che:

a) la predicazione dell’evangelo è tale da scardinare


l’opera di «Satana», cioè il fatto che, nel momento in
cui Gesù invia i suoi a portare il suo messaggio nel
mondo (notiamo che in Luca 10,13-24 i discepoli sono
inviati a proclamare il ravvedimento e il giudizio in
alcune città della Palestina e delle zone circostanti),
il «male» abbandona il mondo: là dove c’è Cristo, non
c’è spazio per il male. Il luogo dove risuona la
predicazione dell’evangelo è un luogo liberato dal
male — ma questa liberazione annunciata ha biso-
gno di essere riempita dalla risposta di chi ascolta e
vive la libertà;
ò) i miracoli — in questo caso le guarigioni — con
cui Gesù libera le persone in preda al male fisico, non
sono fine a se stesse, né vengono operate per sottoli-
neare la potenza di Gesù in modo che i presenti ne
rimangano abbagliati, ma sono un segno dell’amore
di Dio per l’umanità (amore concreto perché Ubera le
persone dai loro mali concreti), che segna la vita di
chi le riceve e di chi assiste. All’epoca di Gesù la

39
malattia veniva attribuita all’influenza del diavolo o
di dèmoni che occupavano fisicamente il malato:
Gesù libera dal male, e questa liberazione è per
qualche cosa. In Luca 8,26-39 ^indem oniato» di
Gerasa viene guarito, e questa guarigione da una
parte smaschera l’ipocrisia della società gerasena
(che, una volta avvenuto il miracolo, espelle cortese-
mente Gesù dal suo territorio, perché, aiutando il
malato, rischia di danneggiare l’economia locale) e
apre al malato un orizzonte nuovo, quello della
predicazione della vicinanza di Dio a coloro che
soffrono: «torna a casa tua, e racconta le grandi cose
che Dio ha fatto per te. Ed egli se ne andò per tutta
la città, proclamando tutto quello che Gesù aveva
fatto per lui» (Le. 8,39).

Il diavolo — ovvero, in greco, didbolos, il calun-


niatore — è colui che si oppone al regno di Dio e al suo
riconoscimento da parte degli uomini e delle donne
che incontrano Gesù o ascoltano la predicazione
degli apostoli; in un certo senso egli è il garante di
quello status quo del mondo che Gesù viene a mettere
in discussione. Paolo chiama perciò il diavolo: «il
signore di questo mondo», nella seconda Lettera ai
Corinzi e Luca, nel racconto delle tentazioni di Gesù,
afferma che i poteri della terra sono dati a Satana.
Nelle parabole il diavolo è presente come colui che
ha il potere su chi ancora non crede; inoltre, per il
Nuovo Testamento l’umanità non può liberarsi dal
giogo del diavolo senza un aiuto esterno, in quanto
essa è in qualche modo consenziente ad essere domi-
nata da Satana.

40
Il rapporto fra l’essere umano e il diavolo è dia-
lettico e complesso, ad esempio Pietro, dopo aver
affermato che Gesù è il Cristo tanto atteso, rinnega
questa affermazione e Gesù lo chiama allora: «Sata-
na» (Matteo 16,13-23).
L’azione del diavolo è distruttiva, tanto per la
psiche delle persone, quanto per il loro fisico: per
questo in molti racconti di guarigioni il miracolo
consiste nella liberazione di persone che sono fisica-
mente vittime dei dèmoni, cioè malati.
Nel libro degli Atti degli apostoli un’accentua-
zione particolare viene data al rapporto fra magia e
forza demoniaca, come quando Simon Mago tenta di
acquistare dai discepoli la capacità di invocare lo
Spirito santo, per utilizzarla poi per fini personali,
tanto che viene chiamato «figlio del diavolo» (Atti
8,4-24).
Esamineremo qui soltanto due passi del Nuovo
Testamento, scelti per la loro forza simbolica: le
tentazioni di Gesù secondo Luca (Luca 4,1-13) e il
racconto del tradimento di Gesù da parte di Giuda
secondo Giovanni (Giovanni 13,1-5 e 18-27).

Luca 4,1-13:
Gesù, pieno di Spirito santo, ritornò dal Giordano,
e fu condotto dallo Spirito nel deserto per quaranta
giorni, dove fu tentato dal diavolo.
Durante quei giorni non mangiò nulla; e, quando
furono trascorsi, ebbe fame.
Il diavolo gli disse: «se tu sei figlio di Dio, di’ a
questa pietra che diventi pane».
Gesù gli rispose:
«Sta scritto: non di solo pane vivrà l’uomo».

41
Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un
attimo tutti i regni del mondo e gli disse:
«Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi
regni’, perché essa mi è stata data, e la dò a chi
voglio. Se dunque ti prostri ad adorarmi, sarà tutta
tua».
Gesù gli rispose:
«Sta scritto: adora il Signore, il tuo Dio, e a lui solo
rendi il tuo culto».
Poi [il diavolo] lo portò a Gerusalemme e lo pose sul
pinnacolo del Tempio e gli disse:
«Se tu sei figlio di Dio, gettati giù da qui; perché sta
scritto: Egli [Dio] ordinerà ai suoi angeli che ti
proteggano; ed essi ti porteranno sulle mani, affin-
ché tu non inciampi col piede in una pietra».
Gesù gli rispose:
«E stato detto; non tentare il Signore Dio tuo».
Allora il diavolo, dopo aver fi ni to ogni tentazione, si
allontanò da lui fino a un momento determinato.

Anche qui dobbiamo soffermarci su alcuni ter-


mini specifici.

Il deserto. Nel mondo biblico il deserto ha un


significato complesso, spesso negativo, ma talvolta
positivo. Il primo e più solenne riferimento è senza
dubbio quello dell’esodo : per passare dall’Egitto (cioè
la schiavitù) alla terra promessa (cioè la libertà) il
popolo d’Israele deve passare attraverso il deserto,
per esserne forgiato. E nella solitudine e nelle dif-
ficoltà del deserto che il popolo, guidato da Mosè,
scopre la tentazione di ritornare indietro, ma sigilla
anche il patto che Dio gli offre (i dieci comandamenti
e la Legge — i primi cinque libri della Bibbia). Così
pure Gesù, per entrare nella nuova terra promessa

42
del regno di Dio, deve passare per il «suo» deserto.

Quaranta giorni. Nella cultura biblica, come in


altre culture antiche, i numeri non sono soltanto dei
riferimenti quantitativi, ma hanno spesso una fun-
zione simbolica. Quaranta, per la Bibbia, significa:
«un periodo lungo ma non eterno»; Israele rimane nel
deserto «quarantanni», cioè il tempo necessario per
passare dalla generazione che ha vissuto Tesodo e le
sue contraddizioni a un popolo nuovo e pieno di
fiducia nel Signore. Allo stesso modo i «quaranta
giorni» che Gesù passa nel deserto non sono sola-
mente «quaranta giorni», ma un periodo abbastanza
lungo nel quale riflettere sul significato e sulle conse-
guenze che l’essere figlio di Dio implica: le tentazioni
sono parte integrante di questa riflessione.
Il diavolo. Questa è chiaramente la parola chiave.
Come abbiamo visto, «diavolo» significa letteral-
mente calunniatore, o avversario, ed è in questo
senso che qui viene usato. L’episodio delle tentazioni
di Gesù ha un carattere programmatico, situàto
proprio all’inizio del Vangèlo di Luca. Nei capitoli
precedenti avevamo letto le vicende legate alla na-
scita di Gesù (capitoli 1-2), la predicazione di Giovan-
ni il Battista e il battesimo di Gesù (capitolo 3), che
culmina nella dichiarazione pubblica dal cielo: «Tu
sei il mio figlio diletto; in te mi sono compiaciuto»
(3,22). Il racconto delle tentazioni di Gesù è dunque
il momento in cui, per la prima volta nella sua vita,
Gesù si pone la questione del significato di questo
essere «figlio di Dio», e il diavolo/awersario gli
])resenta delle alternative concrete a questa missio-
ne. Il diavolo, qui, ha la funzione di provocatore, che

43
offre a Gesù tutto quello che potrebbe ottenere rifiu-
tando la missione che Dio gli propone.
Figlio di Dio. Il diavolo interpreta in modo oppo-
sto la condizione di essere «figlio di Dio». Per lui
questo significa profittare della situazione per fare le
cose che gli sono utili, fossero anche dei miracoli. Per
Gesù significa invece il contrario: fidarsi comple-
tamente del Signore, pur in una situazione estrema
come quella della fame.
I regni di questo mondo. La seconda tentazione è
quella del potere. In esso il Nuovo Testamento indi-
vidua il rischio del «diabolico», non perché lo Stato sia
di per sé sbagliato, ma per i compromessi che si
devono sostenere per governarlo. Ancora una volta il
diavolo suggerisce a Gesù di snaturare la sua missio-
ne, trasformandola in una scalata al potere: Gesù
risponde affermando che la vera missione cristiana
consiste anche nel relativizzare il potere, dato che
questo implica un abbandono della fede, un «pro-
strarsi ad adorare».
II pinnacolo del Tempio. Era la parte più alta del
Tempio di Gerusalemme, il quale simboleggiava il
centro, geografico e spirituale, della fede d’Israele.
La terza tentazione è quella di voler avere nella
propria vita la prova diretta dell’azione di Dio. Gesù
risponde che la vera fiducia in Dio sta nell’esistenza
quotidiana, non nel mettere alla prova il Signore,
forzandogli la mano con eventi eccezionali.

Il momento determinato. Questo concetto (espres-


so altre volte dalla parola «ora») è molto importante

44
nel Nuovo Testamento: il «momento», l’«ora» di Gesù
viene quando la sua missione è definitivamente
rivelata, cioè la sua morte sulla croce. Le azioni del
Cristo portano verso questo momento, che è il centro
del tempo.

Il racconto delle tentazioni di Gesù, al di là dei suoi


elementi che possono essere definiti mitici o parados-
sali, ha un profondo significato nella storia umana di
Gesù, come nella vita dei credenti. Con questa im -
magine, l’evangelista Luca ci vuol far riflettere sui
rischi che sono sempre presenti nella fede in Dio, e
che Gesù stesso ha dovuto affrontare, per compiere
la sua missione.
I rischi— abbiamo detto — sono quelli dell’appro-
fittare della situazione, cedendo ai compromessi per
costruire un mondo perfetto, o forzando la mano al
Signore per sottolineare la dimensione clamorosa
della fede, invece che lavorare sul quotidiano.
II diavolo, in questo racconto, ha la funzione di
controparte indispensabile a Gesù; egli è la cartina
al tornasole che rivela chiaramente la realtà e la
drammaticità del rischio che il Cristo deve correre
fino alla fine: la sua morte sulla croce.

Giovanni 13,1-5:

Or prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che


era venuta per lui l’ora di passare da questo mondo
al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo,
li amò sino alla fine. Durante la cena, quando il
diavolo aveva già messo in cuore a Giuda Iscariota,
figlio di Simone, di tradirlo, Gesù, sapendo che il

45
Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era
venuto da Dio e a Dio se ne tornava, si alzò da
tavola, depose le sue vesti e, preso un asciugatoio,
se ne cinse. Poi mise dell’acqua in un catino, e
cominciò a lavare i piedi ai suoi discepoli, e ad
asciugarli con l’asciugatoio del quale era cinto.

Giovanni 13,18-27:
Io non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho
scelti; ma, perché sia adempiuta la Scrittura, colui
che mangia il mio pane ha levato contro di me il suo
calcagno. Ve lo dico fin d’ora, prima che accada;
affinché quando sarà accaduto voi crediate che io
sono [il Cristo]. In verità, in verità vi dico: chi riceve
colui che io ho mandato riceve me; e chi riceve me,
riceve colui che io ho mandato. Dette queste cose,
Gesù fu turbato nello spirito e, apertamente, così
dichiarò: in verità, in verità vi dico che uno di voi mi
tradirà. I discepoli si guardavano l’un l’altro, non
sapendo di chi parlasse. Ora, a tavola, inclinato sul
seno di Gesù, stava uno dei discepoli, quello che
Gesù amava. Simon Pietro gli fece cenno e gli disse:
«di’, chi è quello del quale parla?». Egli, chinandosi
sul petto di Gesù, gli domandò: «Signore, chi è?».
Gesù rispose: «è quello al quale darò il boccone dopo
averlo intinto». E intinto il boccone, lo prese e lo
diede a Giuda, figlio di Simone Iscariota. Allora,
dopo il boccone, Satana entrò in lui, per cui Gesù gli
di sse: «quel che fai, fallo presto».

A una prima lettura il racconto del tradimento di


Giuda ha qualcosa di evocativo e anche di misterioso.
La prima impressione che se ne trae ricorda le
raffigurazioni di Gesù nei m osaici bizantini di
Ravenna: un Cristo impassibile che si presenta al

46
traditore senza batter ciglio, senza esprimere un
sentimento di timore o di rimprovero. Questa raffi-
gurazione del Cristo è molto «giovannea», tipica cioè
di un certo tono che usa il quarto evangelista, per il
quale Gesù è il Signore già glorificato. Una lettura
più attenta ci rivela però altri particolari, sui quali ci
soffermiamo un istante.

La Pasqua. Il Vangelo di Giovanni inquadra la


vita e le opere di Gesù nello schema di sei feste
ebraiche. Di queste, la prima, la terza e la sesta sono
la Pasqua. Nella visione di Giovanni la Pasqua è
dunque centrale. Nella tradizione biblica la Pasqua
è il ricordo della fine della schiavitù in Egitto e segna
dunque l’inizio di quel viaggio nel deserto che avreb-
be portato il popolo d’Israele nella terra promessa
(Esodo 12): seguendo ,il Messia il popolo può essere
liberato dalla schiavitù e diventare il suo nuovo
popolo. Già nel primo capitolo di Giovanni si accenna
alla Pasqua, là dove si parla di un abitare come in
una tenda (Giovanni 1,14), e la tenda era stata
proprio il luogo dell’incontro di Mosè con Dio. Riferen-
dosi all’agnello che viene tradizionalmente sacrifica-
to la sera di Pasqua, in questi capitoli finali Giovanni
sottolinea che Gesù stesso è l’agnello che verrà
offerto al Signore.

Il mondo. Nel Vangelo di Giovanni la parola


«mondo» ha in genere un significato negativo: indica
infatti l’ordinamento socio-religioso dell’umanità che
è nemico di Dio. Così il diavolo viene definito «prin-
cipe di questo mondo» (Giovanni 12,31; 14,30; 16,11).

Giuda Iscariota. Questo nome (o soprannome)

47
viene interpretato in modi diversi, e cioè:
a) Giuda della città di Keriot, una città della tribù
di Giuda;
b) Giuda il «sicario»: la sica era una spada corta o
pugnale, utilizzato per le aggressioni improvvise
contro i romani. Di qui la parola sicario. I sicari erano
un gruppo diverso da quello dei più conosciuti ze/oii19,
di cui tuttavia condividevano lo scopo: liberare manu
militari Israele.
c) Giuda «della tribù di Issacar», una delle dodici
tribù.
d ) Giuda il «menzognero» o il «falso»: era questo il
senso di «iscariot», un termine popolare in lingua
aramaica, la lingua parlata in Palestina al tempo di
Gesù.
Senza dunque entrare nei dettagli possiamo dire
che, se si accettano le interpretazioni b) o d ), si
propende per un soprannome «simbolico»: è un’inter-
pretazione del tutto legittima dato che spesso nella
Bibbia i nomi delle persone contengono in sé la
spiegazione del ruolo che esse svolgono nella nar-
razione20. Ma anche le spiegazioni a) e c) sono le-
gittime, in quanto era abbastanza usuale aggiun-
gere a un nome molto comune — qual era Giuda —
un soprannome che definiva l’origine geografica, per
distinguere una persona dall’altra21.

19Gli zeloti, o zelatori della legge, si opponevano con le armi


all’occupazione romana. Sicuramente almeno uno dei discepoli
di Gesù era o era stato uno zelota, Simone detto appunto lo
zelota (Matteo 10,4 e paralleli, Atti 1,13).
20Per esempio Adamo è «tratto dalla terra», Èva è «colei che
dà vita», Abramo è «padre di una moltitudine».
21 Nel gruppo dei discepoli c’era un altro Giuda.

48
La lavanda dei piedi. A differenza degli altri tre
Vangeli, Giovanni non ha il racconto della comunio-
ne. Durante l’ultima cena Gesù inizia i suoi discorsi
con l’atto fortemente simbolico di lavare i piedi ai
discepoli. Lavare i piedi agli ospiti era un gesto ovvio
di buona ospitalità, dato lo stato delle strade e l’uso
universale dei sandali; ma questo era un servizio
propriamente degli schiavi più umili. Con questo
gesto Gesù vuole dunque sottolineare la sua di-
sponibilità al servizio più umile verso i suoi stessi
discepoli (e i credenti del futuro) invitandoli con-
temporaneamente a fare lo stesso agli altri.

Sia adempiuta la Scrittura. Il riferimento alla


Scrittura, che è presente in tutti e quattro i Vangeli,
ha un duplice significato. Di fronte al più incredibile
dramma della storia (il giusto che viene ucciso
ignominiosamente; il figlio di Dio che non soltanto
non vince ma muore nel peggiore dei modi) è legitti-
mo chiedersi: perché? La morte di Gesù è una scon-
fitta? E la fine del «progetto di Dio» per l’umanità? È
parte di un misterioso «piano di Dio» che prevede la
morte violenta del suo figlio? Oppure Gesù è sem-
plicemente un ciarlatano che è stato coinvolto in un
dramma più grande di lui?
A questa domanda gli evangelisti rispondono
richiamandosi alle Scritture e dicendo che:
a) La morte di Gesù deve essere spiegata attra-
verso le profezie: Gesù doveva morire, perché così era
tato predetto22; dunque la morte di Gesù non è una

’ : Così in Isaia capitoli 52 e 53.

49
sconfitta, ma la conseguenza diretta dell’amore che
Dio ha per l’umanità e la realizzazione del suo piano;
ò) La Scrittura è una chiave d’interpretazione
indispensabile per intendere la storia umana e soprat-
tutto la storia di Gesù: non si può capire Gesù se non
si capisce e accetta la storia del popolo d’Israele. Non
ha senso parlare di un Gesù che vive fuori del suo
contesto storico e religioso.

In verità, in verità... Queste parole traducono


l’ebraico amen, che significa «veramente», «sia così».
Gesù inizia spesso i suoi discorsi particolarmente
importanti dicendo, «amen, amen, io vi dico... ».

Discepoli. Oltre ad essere delle persone in carne


ed ossa, i discepoli di Gesù sono anche presentati
come dei tipi di credenti. Così Pietro non è stato
solamente un pescatore galileo, ma anche il tipico
credente pieno di buona volontà, pur essendo incapa-
ce di capire fino in fondo che cosa volesse da lui il
Signore.
Inclinato sul suo seno. Per capire questo curioso
episodio dobbiamo tener presente che, all’epoca di
Gesù, per mangiare non ci si sedeva a tavola ma ci si
sdraiava su un fianco su dei divani che venivano
posti a semicerchio attorno al tavolo dove stavano le
vivande. Ognuno si trovava dunque ad essere quasi
appoggiato al petto di colui che era semisdraiato al-
la sua sinistra.

Il discepolo che Gesù amava. Non è detto mai


esplicitamente chi fosse questo «discepolo che Gesù
amava». Non essendo uno dei dodici, che sono nomi-

50
nati espressamente, viene tradizionalmente identi-
ficato con lo stesso evangelista Giovanni. Come
abbiamo detto, i discepoli non rappresentano sola-
mente se stessi, ma svolgono anche la funzione di
descrivere alcuni tipi di credenti: per questa ragione
alcuni pensano che questo rappresenti il tipo del vero
discepolo di Gesù, quello del futuro, il credente che
non ha paura nemmeno della morte per seguire il suo
Maestro e che, per questa ragione, ha una tale
intimità con Lui da potergli essere realmente vicino,
anche fisicamente.

Abbiamo così visto che il racconto del tradimento


di Giuda s’inserisce nel contesto degli ultimi giorni di
Gesù, che sono però al tempo stesso il suo cammino
verso la glorificazione della croce.
Gli evangelisti, e soprattutto il Vangelo di Gio-
vanni, sottolineano come Gesù abbia accettato la
morte da Dio in piena libertà, in quanto «Dio ha tanto
amato il mondo, che ha mandato il suo figlio unigeni-
to, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma
abbia vita eterna» (Giovanni 3,16).
Questo è il messaggio, la «buona novella» di cui ci
parla il Nuovo Testamento, e questo è il fatto cen-
trale, il cuore del messaggio. Che questo poi avvenga
attraverso il tradimento di Giuda è un fatto cupa-
mente misterioso, che tuttavia — dobbiamo avere il
coraggio di dirlo — resta secondario.
Si possono anche fare delle ipotesi sulle diverse
possibili motivazioni del tradimento di Giuda: l’avi-
dità di denaro (Matteo 26,15 e Giovanni 12,4-6), o
;mche un motivo «politico». Se accettiamo le spie-
gazioni ò ) o d ) del soprannome «Iscariota», il moven-

51
.
te potrebbe essere stato il fatto che Gesù non abbia
assunto una posizione radicalmente anti-romana, e
questo gli avrebbe provocato l’ostilità degli zeloti: in
ogni caso però qui l’accento non è sul fatto che Giuda
tradisce Gesù, ma sul fatto che Gesù è «tradito»,
prima da Giuda e poi da tutti gli altri. In questo
momento Giuda vende il maestro alle autorità, ma
poi, durante e dopo il processo, anche gli altri disce-
poli si dilegueranno, Pietro rinnegherà pubblica-
mente il Signore e al suo fianco rimarranno solo le
donne, e anche loro «da lontano».
Concludendo queste considerazioni possiamo af-
fermare che, stando al racconto evangelico, il tra-
dimento di Giuda non presuppone l’esistenza di due
forze contrapposte: Gesù che rappresenta il bene e
Giuda che è mosso dal diavolo. Piuttosto, fa riflettere
sul fatto che nessun essere umano accetta piena-
mente il messaggio del Cristo senza cercare di stra-
volgerlo in qualche maniera a suo vantaggio.
In altre parole, la storia di Giuda conferma quan-
to è detto da tutto il messaggio biblico, e cioè che agli
occhi di Dio non vi sono santi, ma solamente pecca-
tori, e peccatori che si devono convertire. Proprio per
il suo «tradimento», per non aver voluto accettare il
messaggio di Gesù, Giuda diventa il tipo della vera
umanità reale, non redenta.

52
4

LA CONSEGUENZA DELL’«ESISTENZA»
DEL DIAVOLO: LA CACCIA
ALLE STREGHE

Nel capitolo 2 avevamo tentato di spiegare l’origi-


ne della credenza nel diavolo ed abbiamo anche
affermato che il male non esiste di per sé come avente
una propria essenza e come una realtà indipendente
da Dio. Esso invece esiste nell’esperienza e nella
conoscenza umana, in quanto un atto compiuto con
un’intenzione buona può trasformarsi in atto non
buono, o malvagio, anche indipendentemente dalla
mia volontà; oppure può essere interpretato come
buono da qualcuno e malvagio da altri, magari per il
diverso giudizio etico di un’epoca o di una data
cultura.
Ma, se da queste prospettive generali e dall’inse-
gnamento così sobrio e prudente della Bibbia ri-
guardo all’origine del male, passiamo a considera-
zioni storiche, dobbiamo prendere atto delle conse-
guenze gravissime che ha avuto in passato e fin alle
soglie della nostra epoca la credenza nel diavolo
come realtà personale e autonoma rispetto all’auto-
rità di Dio e del tutto estranea al messaggio evangeli-
co. Pensiamo proprio alla caccia alle streghe.

53
Nei vari periodi storici i «diavoli» hanno potuto
assumere anche una fisionomia divertente o grotte-
sca23, almeno per noi che guardiamo a quelle cose con
distacco e con un senso di superiorità. Non possiamo
tuttavia dimenticare le stragi che sono nate proprio
dall’idea dell’esistenza di un Satana attivo e perso-
nale come quasi un Anti-Dio.
Secondo J.B. Russel24, fu Ireneo di Lione ( 130-200
ca.) che, nella sua lotta contro l’eresia gnostica,
attribuì per la prima volta l’eresia ad un’azione del
diavolo, affermando il «diritto» dei cristiani di di-
fendersene perseguitando gli eretici. Egli scrive:

Ireneo osservava che, dopo l’incarnazione [di Cri-


sto], il Diavolo si dà da fare vigorosamente per
ostacolare la salvezza, incoraggiando il paganesimo,
l’idolatria, la stregoneria, la bestemmia, l’aposta-
sia e l’eresia. Eretici e altri non credenti sono sol-
dati dell’esercito di Satana nelle guerre contro
Cristo25.

L’opinione di Ireneo ispirò molti padri della chiesa


a riflettere sul rapporto che ci poteva essere fra
rifiuto della fede cristiana e atteggiamenti empi o
demoniaci. Queste riflessioni teoriche non furono
tuttavia realmente pericolose nei primi secoli, dato

23 In Vita nel Medioevo (pp. 92-93) E. Power racconta di un


diavoletto, di nome Tittivillus, il cui compito era quello di
riempire il suo sacco di preghiere e salmi biascicati e lasciati a
metà da monaci e monache e portare a Satana il sacco pieno di
queste preghiere «morte».
24J.B. R u s s e l , / / principe delle tenebre, Laterza, Bari, 1990.
26 Op. cit., p. 64.

54
che i cristiani erano una minoranza relativamente
perseguitata; ma si fecero pericolose quando diven-
nero operative dopo il 313, e soprattutto dopo il 386,
allorché, con l’imperatore Teodosio, il cristianesimo
divenne religione di Stato. Da quel momento le teorie
sul rapporto eretico-diavolo diventarono lentamente
idee sulla possibilità e sulla liceità di perseguire
penalmente chi non accettava il cristianesimo.
Fu in quel tempo che il rapporto tra cristianesimo
e società civile subì una trasformazione radicale.
L’evangelo di Gesù era partito da un atteggiamento
di fiducia nei riguardi della società. Si pensi all’inte-
resse di Gesù per gli emarginati e i «minimi» del suo
tempo, i lebbrosi, i pubblicani, le prostitute; o alle
posizioni di Paolo nei riguardi dei pagani. Gli Atti
degli apostoli danno dell’impero romano e dei suoi
funzionari una visione tutto sommato tollerante ed
imparziale. Tutto questo venne però a cambiare man
mano che il cristianesimo acquistò potere e divenne,
di fatto, un alleato del potere imperiale. Esso allora,
da un lato, si sostituiva ai culti pagani — spesso
fondando le sue chiese sui vecchi luoghi di culto e
trasformando le divinità precedenti in santi — men-
tre, dall’altro, vietava le religioni precedenti, usando
la forza contro chi non si sottometteva. Anche perché
allora, e sempre più nei secoli successivi, non si
poteva concepire una società che non avesse una sua
unità religiosa: anzi, l’unità politica era identificata
con l’unità religiosa.
Fu così che, dalle riflessioni ancora teoriche sulla
liceità di perseguitare chi dissentiva dalle posizioni
uffici ali, e pertanto «giuste», della chiesa cristiana, si
passò alla persecuzione attiva di tutti coloro che —

55
si riteneva — erano mossi dal diavolo: dissenzienti
ed eretici, liberi pensatori e infine streghe. Fu un
periodo terribilmente lungo, che durò dal 1200 circa
al 1828, data dell’ultimo processo per stregoneria in
Europa26.
Al di là delle drammatiche vicende delle centi-
naia di migliaia di persone che ebbero a soffrire per
le persecuzioni e i processi, occorre interrogarsi sulle
ragioni profonde di questo atteggiamento per cui
dalla stregoneria/eresia si passava all’idea che fosse
in atto una milizia diabolica, dalla quale difendersi
e quindi da perseguitare. Si è trattato di quella che
può essere descritta come la «sindrome della città
assediata»27, dove la chiesa cristiana ha assunto il
ruolo di unico difensore della vera fede all’interno di
una società che garantisce la vera fede. Per cui era
indispensabile perseguitare ed eliminare i dis-
senzienti e i «diversi», ed anche teorizzare e spiegare
razionalmente perché fosse giusto perseguitarli ed
eliminarli.
Non è qui possibile approfondire le ragioni di un
così profondo mutamento dall’impostazione iniziale
ma, come dicevamo, esso va in gran parte attribuito
al fatto che la chiesa cristiana è stata riconosciuta
come religione dello Stato, prima contro il «nuovo
paganesimo» dei popoli barbari e poi contro la nuova
religione «concorrente» dell’Islam. Fu quello un tem-

26 A . AGNOLETTO, Introduzione a: A A . W . , La stregoneria,


Mondadori, Milano, 19912, p. 12.
27 Così per esempio J. DELUM EAU, La paura in occidente
(secoli XIV-XVIII). La città assediata, SEI, Torino, 1979 e
A g n o l e t t o , op. cit., pp. 1-16.

56
po in cui il cristianesimo occidentale si sentiva mi-
nacciato e quasi perseguitato, e intanto agiva con
gli strumenti e l’animo del persecutore. Fortunata-
mente questo tempo è ora concluso, come conseguen-
za della secolarizzazione, anche se continuano a
manifestarsi qua e là i segnali di una intolleranza
che vorrebbe sottoporre tutti, in forza delle leggi
dello Stato, alle regole della morale cristiana, al
servizio della «verità». Appunto, lo stesso atteggia-
mento che dette a suo tempo il via alla persecuzione
degli eretici e alla caccia alle streghe.
Nei confronti della stregoneria, che potrebbe es-
sere compresa come una qualche forma di soprav-
vivenza di antiche religioni pagane28, tale imposta-
zione di fondo ha significato la tortura degli «eretici»
e il confinamento degli ebrei nei ghetti.
Sulla caccia alle streghe, A. Agnoletto29individua
alcuni elementi importanti da tener presente. Egli
scrive:

а) la caccia alle streghe fu un fenomeno imponente.


Esso mobilitò per secoli e secoli pontefici [...] e
interi Ordini religiosi.
б) un fenomeno sociale così profondo ed esteso [...]
è stato a lungo ignorato dalla nostra manualistica
scolastica.
c) la caccia alle streghe è sempre descritta da fonti
dei repressori...
d) studiare il fenomeno della caccia alle streghe

28M. M u r r a y , Le streghe nell’Europa occidentale, Garzanti,


Milano, 1978.
29 Op. cit., pp. 6-9.

57
significa comprendere meglio larealtà della società
occidentale alle soglie dell’era moderna...

Dobbiamo prendere atto, prima di tutto, che la


caccia alle streghe non è stata una semplice paren-
tesi oscura di un breve periodo della storia del nostro
continente e della nostra cultura: fu invece un peri-
odo che è durato vari secoli, nel quale molta atten-
zione e molta riflessione sono state dedicate ai modi
di individuare quelle «deviazioni» e diversità per
scovarle e reprimerle.
Il libro di Agnoletto offre un’antologia di testi
cristiani contro la stregoneria: alcuni di essi ci danno
drammaticamente il polso di come l’umanità possa
escogitare tranelli terribili (in nome, tra l’altro, di un
Dio buono) per arrestare ed uccidere. Si può anzi
affermare che, sotto molti punti di vista, la caccia alle
streghe è stata una specie di palestra «casalinga» su
cui ci si è esercitati per combattere e reprimere altri
«diversi», sia che si trattasse degli indigeni delle
Americhe, sia degli aborigeni australiani.
Ce ne possiamo rendere conto anche oggi quando
pensiamo alle stragi e alle violenze del nostro tempo,
culminate nella Shoà, il cosiddetto «olocausto» degli
ebrei durante la seconda guerra mondiale, e che non
sembrano ancora finite: e questo sempre in nome di
princìpi superiori ed universali.
La caccia alle streghe non fu insomma un errore
storico, ma una vera e propria concezione coerente
(che oggi diremmo «scientifica») per eliminare i dis-
senzienti.
In secondo luogo, la caccia alle streghe dà da
pensare proprio perché non se ne parla, o perché è

58
ignorata, liquidata con una battuta, lasciata ai mar-
gini di una comprensione razionale. Ma la storia
insegna che i problemi non affrontati al moménto
giusto si ripropongono e si riproporranno aH’infinito:
se i cristiani — ad esempio — non si confrontano
criticamente oggi con il loro passato e non accettano
le persone con le loro diversità, rischieranno sempre
di ripetere le persecuzioni dei secoli passati.
Accettare non significa comunque necessaria-
mente essere d’accordo: nel capitolo precedente ab-
biamo visto come la stessa Bibbia prenda le distanze
dalla stregoneria e dalla magia in generale... Tutta-
via «non essere d’accordo» non implica che si debba
processare e uccidere, ma piuttosto cercare modi
convincenti e nuovi per parlare delle nostre convin-
zioni a chi non le condivide.
In effetti, di fronte alla caccia alle streghe assi-
stiamo a una sorta di congiura del silenzio. Abbiamo
imparato dall’uso dei mass media che una cosa di cui
non si parla è come se non esistesse. Così è stato nei
secoli passati a proposito delle streghe. D ’altra par-
te, esse stesse non hanno potuto parlare, anche
perché il loro mondo non si serviva della scrittura per
comunicare, e così la sola immagine che ne abbiamo
oggi è quella che ce ne hanno trasmesso i loro perse-
cutori: un’immagine puramente negativa e malva-
gia. È infatti solo attraverso le parole degli inquisi-
tori che conosciamo le loro vicende, senza che esse
abbiano potuto trasmettere agli altri e alle altre le
loro parole.
Un’ultima riflessione sulla caccia alle streghe ci
aiuta a far luce sulla nostra società: pensiamo di
essere moderni nel senso che avremmo superato

59
l’universo superstizioso e magico del Medioevo: dob-
biamo invece ammettere che le superstizioni e la
magia fanno tuttora parte del nostro universo, forse
proprio come eredità di quel tempo in cui quelle cose
non sono state affrontate con le armi della discussio-
ne e della critica, m a con quelle della persecuzione e
della costrizione all’abiura.
E chiaro dunque a questo punto che la convin-
V

zione dell’esistenza del diavolo e la caccia alle stre-


ghe sono le due facce della stessa medaglia: se esiste
realmente una forza votata al male, tale forza deve
avere suoi strumenti, o servitori, che agiscono in suo
favore; e questi vanno com unque repressi.
Gli untori della peste di cui narrano I prom essi
sposi di A. Manzoni rispecchiano quel meccanismo
psicologico che colpisce l’umanità in tutti i secoli,
indipendentemente dal livello di razionalità rag-
giunto: nel Medioevo il «servo del diavolo» era l’ere-
tico, cataro o valdese che fosse; nell’età moderna è
stata spesso la donna «strega»; negli anni del nazi-
smo è stato in modo particolare l’ebreo; nel mondo di
oggi rischia di essere l’omosessuale o il tossicodipen-
dente, accusati di diffondere l’AIDS, o l’extra-comu-
nitario e lo straniero.
Quello che infatti colpisce, nella lettura dei do-
cumenti degli inquisitori, è la pressoché totale m an-
canza di un approfondimento teorico, l’assenza di
domande che gli inquisitori pongano a se stessi:
eppure qualcuno si sarà ben dovuto chiedere perché
delle donne generalmente semplici accettavano di
subire la tortura e la morte? No, tutto il loro interesse
andava nella direzione di tipo metodologico, sui modi
e le tecniche per far confessare le persone sospette.

60
5

MA, SE IL DIAVOLO NON ESISTE...


...COME M AI ESISTE IL MALE?

Ci avviamo al termine di questa nostra esplora-


zione sul male e sul diavolo, e sulla linearità di un
messaggio biblico che concentra tutto sulla volontà
buona di Dio, anche a rischio di non spiegare l’origine
del male e sul drammatico fenomeno della caccia alle
streghe.
Ma allora rimane aperta la domanda: se il diavolo
è una figura immaginaria, che Tumanità avrebbe
inventato per darsi una spiegazione sull’origine del-
le realtà negative o assurde dell’esistenza, alla fine,
da dove viene il male? Perché — lo sappiamo — il
male c’è, e le guerre, i terremoti e la fame sono cose
reali, non inventate.
Ripetiamo, comunque, per chiarezza la nostra
convinzione: il diavolo non esiste. Non esiste un per-
sonaggio che è all’origine del male, ma solamente il
male.
Il problema — semmai — è quello del male
concreto, che sperimentiamo ogni giorno e al quale
non ci opponiamo con sufficiente determinazione.
Vorremmo qui indicare alcune possibili «piste di
ricerca», per vedere se è possibile trovare una rispo-

61
sta alla domanda fondamentale: «da dove viene il
male?», non per eliminare quel male che non si può
eliminare, né per negarne resistenza, ma per cercare
le vie onde non rimanerne schiacciati. Vivere la no-
stra esistenza non come vittime, terrorizzate e ras-
segnate, ma in modo coraggioso, lottando contro il
male.
La prim a cosa da fare di fronte al male è di rile-
varne gli effetti, quasi fotografarlo.
Parlare degli effetti del male è meno banale di
quanto possa sembrare a prima vista, perché, al di là
dei suoi aspetti specifici, il male agisce in due dire-
zioni: annulla le nostre energie e la nostra dignità;
inoltre, per così dire, ci «spoglia», nel senso che ci
mette di fronte alla nostra realtà di persone in sé
deboli e bisognose d’aiuto. E questo un processo che
non si svolge per tutti allo stesso modo, ma tutti ci
troviamo, in un certo momento della nostra vita, a
riconoscerci come esseri deboli e bisognosi, e soprat-
tutto incapaci di comprendere il senso degli eventi
dolorosi che ci toccano e di rispondere a tanti dilemmi
senza risposta.
Pensiamo alla situazione delle persone anziane,
dove al sogno di «campare fino a cent’anni», si oppone
la realtà concreta di un’esistenza da invalido o di una
morte lenta, senza dignità — e coscienza — in una
casa per anziani. O è meglio lasciare questo mondo
a settantanni per un infarto, senza essere di peso a
nessuno?
Pensiamo alle condizioni di spirito di un malato
grave e consapevole degli esiti della sua malattia,
ma che poi, nei fatti, viene a essere privato di ogni
diritto, anche di quello di essere debitamente infor-

62
mato sulle sue condizioni, perdendo così, oltre alla
sua dignità di persona adulta e responsabile, anche
la possibilità di comunicare realmente con chi gli sta
vicino.
Vi sono poi tutti gli altri esempi di lutti e di perdite
irreparabili, dei figli che muoiono prima dei loro
genitori, per non parlare poi dei drammi causati
dalle guerre o dalla m alvagità voluta e cosciente di
chi opprime, imprigiona, sequestra, tortura.
Come reagire, come rispondere a questo aspetto
specifico del male che si collega con la limitatezza
della vita e con la morte e di cui abbiamo dato alcuni
esempi?
Ma qui è possibile dare una risposta positiva, che
superi l’accerchiamento del male, scoprendo nuovi
interessi nella propria esistenza, al di là della m a-
lattia o del lutto, là dove si scopre — qualche volta
avviene — che anche la vita di un malato inguaribile
ha un senso o, per dirla paradossalmente, che esiste
una vita anche prim a della morte, e non (soltanto)
dopo!
In altre parole, il confronto diretto e personale con
il male vissuto sulla propria pelle ci può portare a
comprendere che nella vita umana quello che conta
non è — come si lascia credere — la produttività e
l’efficienza, ma è la capacità di comprendere il senso
profondo dell’esistenza e di stabilire o ristabilire —
quando è ancora possibile — i rapporti più profondi
con le persone che ci circondano e che condividono il
nostro cammino.
Questo ci porta a un’ulteriore considerazione: non
sempre viviamo la nostra vita con la medesima
intensità, al 100%; in genere gli alti e i bassi della

63
vita si alternano. Talvolta è proprio rincontro con il
male che determina una fase di basso livello.
Allora, reagire al male può significare invertire la
situazione, per vivere in modo intenso e pieno ogni
momento dell’esistenza, anche quelli della malattia,
del lutto, del confronto diretto e personale con il
male: può significare il ritrovare quella parte della
nostra vita che è ferita, riscoprire noi stessi proprio
nella situazione difficile che ci ha colpito.
Così, davanti a un lutto diventa possibile rivedere
e rivisitare con concretezza, e alla fine anche con
distacco, la relazione che abbiamo avuto con la
persona che ci ha lasciati, coltivando il ricordo dei
suoi aspetti positivi, ma senza nasconderci quelli
meno positivi, o addirittura creandole attorno quasi
un alone di santità e di perfezione. O lottare contro
i nostri sensi di colpa nei suoi confronti, che ci pa-
ralizzano come davanti a qualcosa di chiuso e di
irreparabile.
E in questa situazione che si presenta insistente
la domanda: «perché proprio a me ? Cosa ho fatto o non
ho fatto p er “meritarmi” questo?». La sola risposta
possibile è: «perché tu sei come g li altri», nel bene
come nel male. Non sei migliore.
Così anche noi, feriti ma non sempre distrutti,
possiamo reagire e guardare agli aspetti positivi
della nostra esistenza che il male in qualche modo ci
ha rivelato. Questa è la via del male che possiamo
combattere e relativizzare.
Vi è poi una seconda via sulla quale riflettere ed
è quella del male come limite invalicabile della
nostra esistenza.
La nostra società non ce lo ricorda spesso. Siamo

64
stati abituati a pensare agli esseri umani come ad
esseri in qualche modo perfetti, completi, che hanno
sempre e comunque diritto al meglio. Ebbene, questo
non è vero. Anzi, quanto più ci crediamo noi stessi
perfetti, tanto più rischiamo di crollare sotto il peso
degli avvenimenti; quanto più ci riteniamo degni del
meglio, tanto più il peggio quotidiano ci stordisce.
Non è un caso che la preghiera cristiana per
eccellenza, il Padre nostro, ci faccia dire: «rimettici i
nostri debiti come noi li abbiamo rimessi ai nostri
debitori». Queste parole non sono una minaccia da
parte di Dio, una condizione per essere perdonati, ma
la descrizione limpida e perfino brutale della realtà
quale essa è: non siamo diversi o migliori degli altri,
perciò, solo se saremo disposti a perdonare gli altri,
comprenderemo il nostro limite ultimo e quindi la
necessità di essere a nostra volta perdonati.
Metteremo dunque l’accento non solo sull’essere
perdonati, come se fosse qualcosa che ci accade
dall’esterno, ma sull’accettare di esserlo, sulla no-
stra disposizione a riconoscere la nostra condizione
reale di uomini e di donne che si pongono davanti a
Dio, perché questo è il punto centrale: il male, è vero,
esiste, e ci colpisce duramente, ma esso è anche
qualcosa con cui noi colpiamo gli altri: che lo voglia-
mo e sappiamo, o anche che non lo vogliamo o non ce
ne rendiamo conto.
Affrontare il male a viso aperto può essere dunque
un modo di rendercene conto.
Insistiamo su questo punto. Dicevamo che il male
ci mette in qualche modo a nudo nella sofferenza; ma
ci mette anche a nudo davanti alle nostre respon-
sabilità come davanti alla nostra radicale imper-

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fezione: perché è proprio davanti all’esperienza del
male che scopriamo il nostro limite e tutta la nostra
imperfezione. Così comprendiamo meglio noi stessi,
nella nostra verità.
Citavamo J.P. Sartre: «siamo tutti un po’ vittime
e un po’ carnefici». E terribile, ma vero. Perché è
veramente difficile tracciare una chiara linea di
separazione fra il bene e il male, come fra nostri
meriti e nostri errori... e lo stesso dobbiamo dire
riguardo ai comportamenti altrui.

Parliamo infine della speranza


Nel capitolo 2 abbiamo cercato di dimostrare che,
per la Bibbia, il diavolo non esiste come realtà
personale e indipendente, ma è piuttosto un perso-
naggio — oltre a tutto marginale — che ricopre una
funzione specifica di accusatore davanti a Dio, e che
poi si è sviluppato trasformandosi in una persona
non definita teoricamente, ma che si presenta come
una personificazione del male.
Abbiamo anche visto che nell’Antico Testamento
il diavolo non esiste come una vera e propria persona,
ma che svolge una funzione di spalla nei confronti
dell’azione di Dio, come nel caso di Giobbe. Solo in
seguito questa figura si è sviluppata, assumendo
una fisionomia più precisa, ma sempre in una fun-
zione subalterna al piano di Dio, come si è visto nel
caso di Giuda.
Concludendo vogliamo presentare una proposta
biblica diversa nel considerare il male e il suo supe-
ramento: ed è la grande, im mensa promessa divina
rivolta a un mondo lacerato dal male.

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È la proposta che leggiamo nel libro dell’Apoca-
lisse, capitolo 21,1-6:

Allora io vidi un nuovo cielo e una nuova terra —


il primo cielo e la prima terra erano spariti, e il
mare30 non c’era più — e vidi venire dal cielo, da
parte di Dio, la santa città, la nuova Gerusalemme,
ornata come una sposa pronta per andare dallo
sposo. Una voce forte che veniva dal trono esclamò:
«Ecco l’abitazione di Dio fra gli uomini; essi saran-
no suo popolo ed egli sarà “Dio con loro”. Dio
asciugherà ogni lacrima dai loro occhi. Non ci sarà
più né lutto né pianto né dolore. Il mondo di prima
è scomparso per sempre».
Dio dal suo trono disse: «Ora faccio ogni cosa
nuova». Poi mi disse: «Scrivi, perché ciò che dico è
vero e degno di essere creduto», e aggiunse «È fatto.
Io sono l’Inizio e la Fine, il Primo e l’Ultimo».

In questo brano dell’Apocalisse (che, come diceva-


mo più sopra, significa «rivelazione») leggiamo una
delle più alte riflessioni riguardo al male e al suo
ruolo nel mondo. L’autore— e questo è l’interessante
ai fini della nostra riflessione — non parte dall’origi-
ne del male, ma dai suoi effetti specifici (lutto, pianto,
dolore) e afferma che l’azione di Dio in proposito sarà
la loro eliminazione, per sostituirli con un mondo

30 II mare nella Bibbia è il luogo dove dimorano le forze del


male, è il grande abisso che sovrasta il mondo abitato e ne
m inaccia l’esistenza, come era stato per il diluvio (Genesi 7-8);
" i l luogo dove abitano i grandi mostri marini. L’Apocalisse
annuncia dunque la vittoria sulle forze cosmiche della distru-
zione.

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dove tutto questo non avrà più posto: quella che egli
chiama la nuova Gerusalemme.
«È fatto», è compiuto: di fronte al mistero del
male, Dio non propone una qualche spiegazione ma
ne annuncia la soppressione e la creazione di un
mondo nuovo dove i suoi effetti non si fanno più
sentire, perché esso «non sarà più».
L’ultima parola che possiamo dire sul male è
dunque la seguente: questo mondo che conosciamo,
immerso e coinvolto nel dolore, non durerà in eter-
no, ma sarà sostituito da un altro mondo, rinnovato,
dove «non ci sarà più né lutto né pianto né dolore».
NOTA BIBLIOGRAFICA

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Roma, 1982 (trad. it. di You Can Live Forever in
Paradise on Earth, s.l., s.d.).

70
INDICE

1. Il diavolo... e noi che pen savam o di


essere m oderni! 5

2. C hi è il diavolo? 11
a) Il dualismo 15
b) La negazione del male .16
c) Il libero arbitrio 19

3. Il diavolo n ella B ibbia 23


1. Il diavolo nell’Antico Testamento 26
2. Il diavolo nel Nuovo Testamento 37

4. L a con segu en za dell’«esistenza» del


diavolo: la ca ccia alle streghe 53

5. M a, se il diavolo n on esiste... com e m ai


esiste il m ale? 61

N ota bibliografica 69

71

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