Henrik Fexeus - Come Convincere Gli Altri A Fare Quello Che Vuoi

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Presentazione

Con il suo solito stile divertente e accattivante, Henrik Fexeus insegna a esercitare il controllo e a
indirizzare le opinioni e i comportamenti degli altri per raggiungere i propri obiettivi. In quest’opera
l’autore prende per mano il lettore e lo guida passo passo nell’apprendimento di 64 tecniche che
possono essere usate in ogni ambito della vita quotidiana e lavorativa. Il libro è presentato come
un videogioco, in cui ogni parte, ogni mossa, conduce al livello successivo. Partecipando al Gioco
del potere di Fexeus si apprende a: usare meccanismi psicologici universali per influenzare lo stato
mentale degli interlocutori; guadagnare la fiducia degli altri con un uso efficace della comunicazione
verbale; creare un ambiente armonico in cui le persone siano spinte a collaborare con noi; affrontare
chi si mostra ostile o pone ostacoli al raggiungimento dei propri obiettivi.

Henrik Fexeus, nato a Örebro in Svezia nel 1971, ha studiato psicologia e si è occupato di analisi
dei media e di marketing, per poi diventare un esperto di comunicazione e speaker motivazionale.
Grazie alle sue sorprendenti capacità di «lettura della mente» è oggi una star, che dai Paesi
scandinavi si è fatta conoscere in tutto il mondo. Vive a Stoccolma con la moglie e due figli. Per
Vallardi ha già pubblicato i fortunati Leggere il pensiero non è una magia e Quando fai quello che
voglio io.
www.vallardi.it

www.facebook.com/vallardi

@Vallardi​Editore

www.illibraio.it
Antonio Vallardi Editore s.u.r.l.
Gruppo editoriale Mauri Spagnol
Copyright © 2014 Antonio Vallardi Editore, Milano
Titolo originale: MAKTSPELET. Sympatiska tekniker för att bestämma över allt och alla
Copyright ©Henrik Fexeus 2013 by Agreement with Grand Agency
Grafica di copertina: MoskitoDesign
Illustrazione di copertina: Nils Olsson – Katslosa Design
Traduzione di Andrea Berardini
ISBN 978-88-6731-542-0
Prima edizione digitale 2014
Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
Questo libro è dedicato a mio figlio Milo, che a due anni già sa come combinare un fascino irresistibile e una determinazione
senza compromessi meglio di quanto la maggior parte di noi impari a fare in una vita intera. Le tecniche di questo libro sono
per il resto di noi, che non sappiamo fare le bolle ridendo.

Ma anche...

A te che ritieni che tutto ciò che riguarda il potere sia sporco e inquietante, qualcosa da cui si dovrebbe stare lontani. Ma che
allo stesso tempo hai il sospetto che si tratti comunque di qualcosa di molto utile. O forse, persino un po’ sexy.

Ma anche...

A tutti i giocatori, che passano gran parte della vita a cercare di guadagnare il controllo. Su qualunque cosa. Che si tratti di
un’astronave, una squadra di calcio o di un gregge. Considerate questo libro un TAC-2 irl. Continuiamo a giocare.
REGOLE DEL GIOCO

This is not a game...1


dal videogame Nihilumbra

Shhhhhhh...

Scusa se parlo sottovoce. Accomodati. È un piacere vederti. A dire il vero, speravo proprio che
saresti venuto. Sai se per caso qualcuno ti ha visto arrivare? Datti un’occhiata alle spalle prima che
continuiamo. Meglio essere sicuri.
Sei solo?
Perfetto.
Benvenuto.
Se stai leggendo queste righe significa che sei riuscito ad accaparrarti una copia del libro. In tal
caso, congratulazioni. Mentre scrivo, non ho la minima idea di cosa succederà quando il libro sarà
finito. È possibile che qualcuno compri tutte le copie e le bruci. Oppure che i media lo screditino al
punto che i negozi si rifiuteranno di acquistarlo. Se è successo qualcosa di simile, non si è trattato di
una coincidenza. Difatti, è un libro che pochi vogliono che tu legga.
Di sicuro, il tuo capo non vuole. E nemmeno i tuoi dipendenti, nel caso sia tu il capo. Nessuno di
coloro a cui conviene tenerti sottomesso. Per esempio i colleghi dell’altro reparto, con cui vi
contendete le risorse del bilancio. O la ragazza che ha messo gli occhi sul tuo compagno di corso
preferito.
E credimi, nessuno dei politici locali, nessuno dei lobbisti o di coloro che per lavoro devono
convincerti a dar loro ragione. Non è mia intenzione gettar fango su questo tipo di attività. I loro
tentativi di portarti dalla loro parte sono molto ambiziosi. Il tuo amministratore delegato ha
probabilmente frequentato un corso di retorica, in cui gli hanno insegnato teorie complicate a
proposito del patos e del logos, l’agenzia di comunicazione ha probabilmente pagato fior di quattrini
quella ricerca di psicologia di mercato. Il tutto per riuscire a persuaderti nel miglior modo possibile.

E poi arriva un libro come questo e rovina tutto.

Il contenuto di questo libro ti restituisce il controllo. Non importa se lavori come venditore,
avvocato, cameriere o insegnante, se sei impiegato nella sanità o ti occupi di politiche aziendali, se
vai ancora a scuola o sei in grado di parlare con i cani o chissà che altro; sono certo che in ogni caso
diventerai un maestro nell’arte di ottenere quello che vuoi. Invece di quello che vogliono gli altri.
Lasciagli pure i loro corsi e le loro ricerche. Possono essere attività utili e divertenti, ma tu non ne
hai bisogno. Smettere di essere quello che segue e diventare invece quello che guida è molto più
semplice.
In ogni gioco ci sono delle scorciatoie. Anche nel Gioco del potere. Nei vecchi videogiochi
c’erano spesso trucchi segreti per vincere, comandi nascosti che i programmatori inserivano senza
dirlo a nessuno. Le tecniche che imparerai in questo libro funzionano allo stesso modo. Il Gioco del
potere consiste principalmente nel servirsi di scorciatoie programmate nella mente umana che in
pochi conoscono. A prima vista, paiono del tutto innocue. Ma guardando meglio ci si accorge di
quanto siano potenti. A cosa serve andare in capo al mondo per cercare qualcosa che hai a portata di
mano? Col Gioco del potere ti basterà schioccare le dita per ottenere tutto ciò che vuoi, seguendo il
principio su cui si basavano le scorciatoie dei videogiochi: il massimo risultato col minor sforzo
possibile.
A differenza di molte altre tecniche di manipolazione e condizionamento, questi trucchi mentali
sono per di più del tutto impercettibili. Il gioco che imparerai in questo libro si svolge infatti al di
sotto della soglia del nostro radar mentale e funziona sul piano inconscio. Lascia che mi spieghi
meglio: l’io cosciente è quella parte di te che presta attenzione a ciò che stai leggendo. Per lo più,
coinvolge il pensiero razionale, l’analisi e l’apprendimento. Invece, l’inconscio è quella parte del
cervello dove vengono immagazzinati ricordi ed emozioni. Le comuni tecniche di manipolazione
tentano molto spesso di condizionare l’io cosciente. Per questo il più delle volte falliscono. Tu e io,
invece, c’infiltreremo senza farci notare oltre l’analisi e gli ostacoli coscienti, e con un joystick
invisibile condizioneremo la parte degli altri che veramente conta in questi casi: i loro sentimenti e
comportamenti.

Posso capire che ti venga da muoverti nervosamente sulla sedia, o almeno da controllare che
nessuno veda che libro stai leggendo, quando dico che imparerai a giocare al Gioco del potere per
trarne vantaggi personali. Sembra davvero una cosa da manipolatori. Magari neanche troppo
corretta? E poi, «vantaggio personale» non è forse una brutta espressione? Comprendo che parole
come «potere» o «gioco del potere», anche se solleticanti, facciano pensare a costrizioni,
imposizioni quotidiane o a loschi figuri dal ventre flaccido. Se è così, quello a cui pensi è un modo
vecchio e negativo – e relativamente inefficace – di esercitare il potere.
La parola «potere» ha una pessima reputazione, si dice che corrompa chi lo detiene. Il professore
di psicologia Philip Zambardo ne ha dato una dimostrazione spettacolare negli anni Settanta, quando
divise alcuni studenti in due gruppi, «guardie» e «prigionieri». Dopo qualche ora appena poté
constatare come i «prigionieri» fossero oggetto di forme di tortura psicologica premeditate da parte
delle «guardie» – i loro stessi compagni. L’unica differenza era che questi ultimi avevano ottenuto
potere sugli altri. Ma le cose non sono necessariamente sempre così tragiche; chiunque abbia visto
come una classe si divida in due squadre per giocare a calcio, ha avuto occasione di osservare da
vicino come si possa abusare del proprio potere. Io stesso ho recentemente potuto vedere cos’è
successo quando un ragazzo di dieci anni è diventato amministratore del server del padre e di punto
in bianco ha potuto decidere chi tra i compagni di classe potesse accedere al gioco online cui tutti
giocavano. Sembrava una scena del Signore delle mosche.
La ricercatrice norvegese Linda Lai, che si occupa proprio di potere, ha constatato che tra il
settanta e l’ottanta percento di coloro che hanno la possibilità di condizionare il comportamento
altrui finiscono per commettere abusi o azioni comunque discutibili. Ma tutto questo riguarda l’uso
classico, tradizionale del potere. La differenza col Gioco che stai per imparare è abissale. Col Gioco
del potere voglio fornirti un’alternativa, di gran lunga più costruttiva, al potere che corrompe. A mio
parere, si tratta di un modo assolutamente innovativo di concepire il potere. Non voglio nascondere
che il Gioco del potere, come il nome stesso dice, è un gioco. Il vincitore è colui riesce a dire
all’altro dove vada piazzato l’armadio. Ma quando vinci, nel nostro Gioco, anche tutti gli altri hanno
l’impressione di vincere, nessuno si sente sfruttato e tutti credono di aver ottenuto quel che volevano.
(Anche se, il più delle volte, l’unico che vince sei tu.) Per far ciò, il potere va usato in maniera
particolare, in modo che tutti i partecipanti si sentano più forti e positivi una volta che abbiano
iniziato a giocare con te. Se ti sembra contraddittorio, è solo perché finora nessuno ti ha mai voluto
spiegare davvero cosa sia il potere.

Le tecniche che affronteremo sono in realtà parte del nostro modo naturale di essere e comunicare.
Il Gioco del potere si fonda su due punti essenziali.
In primo luogo, una profonda comprensione di come influenziamo i pensieri e i comportamenti
degli altri ogni volta che comunichiamo. Le nostre parole, il linguaggio del corpo e i pensieri che
formuliamo mettono sempre in moto meccanismi psicologici nei nostri interlocutori. Sapere quali
siano questi meccanismi, dove si trovi il pulsante d’avvio, è fondamentale per ottenere quello che
vogliamo.
In secondo luogo, la convinzione che ogni forma di condizionamento funziona meglio se
accompagnata dal rispetto per gli altri, dalla consapevolezza che i loro interessi sono altrettanto
importanti dei nostri. Un punto su cui ritornerò insistentemente nel corso del libro è che il vero potere
si esercita attraverso gli altri, non sugli altri. Ciò significa che gran parte del Gioco del potere
consiste nello spingere gli altri a darti quel che desideri o ad aiutarti ad arrivare dove vuoi perché
vogliono davvero farlo, non perché li hai ipnotizzati o sottomessi.
L’errore più comune che si commette quando si tenta di esercitare il potere è preoccuparsi di uno
soltanto di questi punti. Può capitare che ci si concentri sul secondo, preoccupandosi degli altri, e
allora si diventa quello che presta attenzione a tutti ma non riesce mai ad affermarsi. Possiamo
chiamare questa persona Kryten, come il robot servo di Red Dwarf. Oppure, il che è più comune, ci
si interessa solo del primo punto e si tenta di premere i tasti psicologici giusti. E a quel punto si cade
in una serie di trappole. Se ti è successo che una dimostrazione di potere ti abbia lasciato l’amaro in
bocca, o se hai incontrato qualcuno che ti ha scelto in squadra per ultimo solo perché poteva farlo,
probabilmente hai incontrato una persona del genere. Chiamiamola Margaret.
Grazie a una serie di conoscenze pratiche su entrambi questi punti, potrai giocare al Gioco del
potere a un livello molto superiore e con risultati molto migliori di quanto Kryten, Margaret e i loro
cloni abbiano mai ottenuto.

Se ti è capitato di sfogliare i miei libri precedenti, saprai che si tratta di argomenti che ho già
affrontato. Non solo li ho già esplorati, ma ho indossato una lampada frontale e mi sono calato il più
a fondo possibile nelle grotte della nostra psicologia. Pensavo di avere il controllo della situazione,
ma malgrado tutto quel che ho imparato sul comportamento, la manipolazione e i meccanismi del
cervello mi ci sono voluti anni per comprendere che tutte queste conoscenze potevano essere riunite
in un unico sistema: il Gioco del potere.
A quanto so, questo sistema non è mai stato descritto prima d’ora. Forse perché è difficile
individuarlo. Infatti, è necessario fare un passo indietro. Il Gioco del potere non va cercato in fondo
alla grotta, dove brancolano tutti coloro che cercano il Sacro Graal della persuasione. Il Gioco del
potere è la grotta.
Per me, ciò ha comportato dover cercare un nuovo punto di vista rispetto a quello che ho scritto in
precedenza. Il libro che hai in mano non è un complemento agli altri miei lavori. Sono loro a fare da
complemento a questo. Dopo aver terminato la prima partita ed esserti scaldato per bene, ti consiglio
di non procedere oltre ma di tornare indietro. Riprendi la tua consunta copia di Leggere i pensieri
non è più una magia o di Quando fai quello che voglio io. Forse capiterà anche a te di vederli in
una luce completamente nuova. (E se non li hai mai letti, avrai un’ottima ragione per procurarteli.)

Infine, lascia che ti spieghi perché si dovrebbe partecipare al Gioco del potere. «A me i giochi non
interessano, io voglio essere me stesso.» Affermazioni come queste si basano su un fraintendimento.
«Giocare» non significa in questo caso fare finta di essere qualcun altro, ma eseguire azioni
consapevoli e programmate. Immagina una partita a scacchi piuttosto che il Rocky Horror Picture
Show.
Ogni volta che incontri altre persone, ti ritrovi al centro di una nuova relazione, cui corrisponde un
particolare stile di comunicazione e in cui valgono regole specifiche per determinare come prendere
le decisioni e chi debba avere l’ultima parola. Fin dall’inizio, sia tu che gli altri vi mettete a giocare
al Gioco del potere. A ogni incontro.
Ovviamente, potresti decidere di non giocare affatto. Il problema è che saresti comunque
coinvolto. Basta, infatti, che gli altri si mettano a giocare perché anche tu debba farlo, che lo voglia o
meno. Ma hai sempre una scelta. Puoi accontentarti di assumere il ruolo che gli altri ti assegnano,
oppure puoi prendere il controllo. Il gioco avrà luogo in ogni caso, fintanto che esisterà qualche
forma di comunicazione umana. Resta solo da decidere come preferisci che si svolga. Perché sta a te
scegliere. Puoi lasciare che gli altri decidano per te.
O puoi essere tu a decidere per loro.

Ok, forse ho esagerato un pochino.

Ma ricorda che se sei tu ad avere il potere, puoi usarlo come meglio credi. Le tecniche del Gioco
del potere non sono che strumenti. È il modo in cui li userai a determinare se il risultato sarà un
successo o un disastro. Certo, può essere divertente fare la folle risata di un aspirante Padrone-del-
mondo, ma ti sarà più facile ottenere quello che vuoi se gli altri rideranno insieme a te. Studiando le
tecniche di questo libro, ti accorgerai che il Gioco del potere è molto più efficace se lo userai per
creare un ambiente (sul lavoro, a scuola, in famiglia) in cui tutti collaborano e le decisioni vengono
prese insieme, in cui tutti si trovano a proprio agio e possono offrire il proprio contributo, mentre tu
starai comunque attento affinché nessuno si trasformi in Kryten o Margaret e provi a usare strategie
negative o oppressive. In tal caso, potrai bloccare sul nascere i loro tentativi, senza che loro
nemmeno se ne accorgano.
Oppure, potrai usare il Gioco del potere per procurarti una base sotterranea su un’isola con un
vulcano privato. Anche questo ha i suoi vantaggi. Spetta a te decidere.

Per semplificarti le cose, ho scelto sessantaquattro delle tecniche a mio parere migliori del Gioco
del potere. Perché fosse ancora più semplice, le ho suddivise in quattro partite: come sfruttare
meccanismi psicologici per creare specifiche condizioni mentali, come influenzare i pensieri altrui
attraverso costruzioni linguistiche, come creare un ambiente sociale in cui gli altri siano disposti ad
aiutarti e, infine, come comportarti quando qualcuno ti mette i bastoni fra le ruote. Queste diverse
partite, in realtà, vengono giocate contemporaneamente, ma è più semplice se le affrontiamo una alla
volta.
Ho anche tentato di descrivere le sessantaquattro tecniche nel modo più concreto, pratico e
succinto possibile. I profondi ragionamenti psicologici e filosofici li lasciamo per un’altra
occasione. Questo è un semplice manuale. Il Gioco del potere è parte della vita reale, avviene al di
fuori delle pagine di un libro: quindi prima metti via questo manuale, meglio è.

Tra poco, farai il tuo ingresso nel gioco. Lascia solo che ne riassuma in breve le regole: 1) il
Gioco del potere ti consegna sia strategie mirabili per riprenderti il controllo, sia strumenti per
contrastare gli altri qualora tentassero di dominare una situazione; 2) è una diretta conseguenza del
gioco che, se farai del tuo meglio, gli altri vorranno che tu vinca. Inoltre, ti divertirai molto di più
del tuo capo.

Hai controllato che la porta sia ben chiusa?

Hey hey hey, it’s time... Are ya ready? Here we go!*

dal videogame Crazy taxi

1. Questo non è un gioco...


*. Ehi ehi ehi è il momento. Pronto? Si parte!
You don’t know your own mind!2
la Regina di Cuori, dal videogameAlice: Madness Returns

Immagina il momento in cui, una volta finito questo libro, ti servirai quotidianamente delle tecniche
che avrai imparato. Ripensa a quella fantasia segreta, in cui tutti fanno quello che vuoi senza
protestare. Ti accorgi di cosa sta succedendo? Ti accorgi che stai... influenzando gli altri? Questo
significa prendere parte al Gioco del potere.
Si dice che la persuasione sia un’arte, ma non è esattamente così. Come molti ricercatori hanno
dimostrato, è una scienza. Il che, per noi, è una fortuna. Significa che non bisogna possedere un
qualche talento innato per la manipolazione, né avere il condizionamento nel sangue. Anche se
persone con queste doti esistono, tutti possono imparare a fare le stesse cose studiando i risultati
prodotti dalla ricerca. E proprio grazie all’intensa ricerca in corso, impariamo costantemente cose
nuove sulla persuasione e il comportamento.
In questa prima parte imparerai a sfruttare diversi meccanismi della psicologia umana, da come gli
organi di senso interpretano diverse informazioni a come reagiamo di fronte a certi gesti o
formuliamo le nostre opinioni. Le tecniche utilizzate per influenzare questi meccanismi non sono
soltanto scientificamente fondate: quando si tratta di prendere il controllo nel Gioco del potere, sono
anche insuperabili.
Leggendo le pagine seguenti, scoprirai probabilmente che molte di queste tecniche sono alquanto
banali. Ma ciò non le rende meno utili. La ragione per cui ti sembreranno ovvie è che si basano su
una comprensione generale della psiche umana. Per questo ti sembreranno già note: vi riconoscerai te
stesso. Ma in ogni caso, ricordati che ti paiono ovvie solo dopo che te le faccio notare. Riconoscersi
è ottimo: significa che già sai che funzionano. Devi solo imparare come, in modo da usarle ancora
meglio.
Cosa otterrai da queste tecniche? La risposta più semplice è: la capacità di creare le verità. Ci
sono molte persone con cui ti devi contendere l’attenzione di chi ti circonda, molte persone che
ritengono che le proprie idee, i propri progetti e suggerimenti siano migliori dei tuoi, e che vogliono
zittirti. Provare a urlare più forte di loro non ha alcun senso. Per questo, ora imparerai a influenzare
le opinioni altrui, in modo che il tuo messaggio sia recepito come vero e rilevante. Imparerai a
spingere gli altri a dare retta a te, perché sapranno che hai ragione. Facci caso: il procedimento è
esattamente il contrario; mentre i tuoi concorrenti si sgoleranno convinti di avere ragione (credendo
che questa sia una giustificazione sufficiente), tu invece userai una di queste tecniche per convincere
gli altri a credere che tu hai ragione.
E questo è il primo passo per spingerli a fare quello che vuoi tu.

1.1 Verità a parole

Quel che molti non sono pronti ad ammettere nemmeno con sé stessi, è che spesso fondiamo le nostre
opinioni su quel che pensano gli altri, perché ci vorrebbe troppo tempo per valutare ogni situazione
da noi. Per questo prendiamo una scorciatoia. Osserviamo come la pensa la maggioranza, proviamo a
capire quale possa essere la norma e ci fidiamo che quella sia l’alternativa migliore. Più un’idea
sembra condivisa, più è semplice prendere posizione. Se alla maggioranza piacciono i macaron,
allora prendiamo il coraggio di assaggiarne uno – e ci aspettiamo, per di più, che piaccia anche a noi
come piace a tutti gli altri.
La domanda è: quante persone devono condividere un’idea perché ci sembri che costituiscano «la
maggioranza»? Sfortunatamente, non prestiamo molta attenzione alla frequenza con cui ci imbattiamo
in una certa opinione. Non ci curiamo di scoprire esattamente in quanti hanno detto che Mr Show è
una serie televisiva tragicamente sottovalutata; ci basta che l’affermazione sembri familiare. Il
cervello ragiona così: se riconosciamo qualcosa, probabilmente è perché l’abbiamo sentito ripetere
un mucchio di volte e, di conseguenza, dev’essere vero. Tutte quelle persone non possono certo
essersi sbagliate. L’espressione «X milioni di Y non possono sbagliarsi» – che ha avuto la sua
origine popolare con il tormentone Fifty Million Frenchmen Can’t Be Wrong del 1927 e che da
allora è stata usata nei contesti più disparati – ironizza proprio su questo ragionamento fallace. (Se
vuoi fare lo snob, sappi che in logica tutto ciò si chiama Argumentum ad populum, l’idea errata per
cui se molti condividono un’idea, quell’idea dev’essere vera.)
Smettere di pensare solo perché tanti sostengono un’idea non sembra certo una mossa geniale. Ma
seguire la corrente delle opinioni non è in realtà una strategia del tutto folle e quindi continuiamo a
usarla. Il cervello non vuole sforzarsi quando non è necessario e la storia, nonostante tutto, ha
dimostrato che spesso la maggioranza ha ragione: quando nevica, si veste pesante; fa di tutto per
conservare lo stato di diritto. A volta capita che voti per Hitler o che legga Cinquanta sfumature di
grigio, ma sono episodi sufficientemente rari perché il cervello trovi il coraggio di correre il rischio.
Anche se a volte può essere irritato da chi sa il latino.
Adattare i nostri pensieri a ciò che riconosciamo (cioè, a quel che dice la maggioranza) non
dovrebbe essere un problema se ascoltassimo solo quelli che sono ben informati su un certo
argomento, per esempio se ci rivolgessimo solo a fisici nucleari o a esperti di questioni energetiche
quando si dibatte delle centrali atomiche. Purtroppo invece non siamo così attenti quando scegliamo
le nostre fonti. Basta udire una cosa un numero sufficiente di volte per interpretarla come una norma
di gruppo che è bene seguire; non ci interessa più di tanto sapere chi è che parla. Riconoscere il
messaggio è molto più rilevante, per il processo inconscio di formazione delle opinioni, di chi lo
esprime.
La ripetizione di un messaggio è, di per sé, persino più importante del numero di persone che lo
ripetono. Ed è qui che entri in gioco tu. Perché un’opinione o un’azione venga percepita come norma
di gruppo basta che un’unica persona vi si adegui, a patto che lo faccia un numero sufficiente di
volte.
L’unica cosa a cui il nostro cervello reagisce, per decidere se qualcosa è una norma o no, è il
grado di riconoscibilità dell’informazione; non fa differenza se sono cinquanta persone a dire una
certa cosa o se è un’unica persona a ripetere lo stesso concetto cinquanta volte. I pubblicitari si sono
sempre basati sull’idea che un messaggio ripetuto un numero sufficiente di volte diventa vero. Solo
recentemente gli studi di psicologia li hanno raggiunti e hanno scoperto quanto sia vero.

Tutto ciò comporta che se vuoi spingere il maggior numero possibile di persone a pensare o fare
una certa cosa, il messaggio va ripetuto il maggior numero possibile di volte, per scritto o a voce. In
tal modo potrai creare autonomamente una norma di gruppo. Volendo essere un minimo sofisticato,
puoi variare la formulazione, in modo che non sia troppo evidente che sei diventato una specie di
nastro incantato. E se anche qualcuno dovesse farti notare che ti stai ripetendo, probabilmente non
sarà che un caso isolato. Gli altri continueranno ad avere l’impressione che sei d’accordo con la
maggioranza ogni volta che sentiranno la tua idea o che ti ascolteranno ripeterla, senza capire che «la
maggioranza» è costituita solo da te. Almeno all’inizio. Perché quando l’impressione generale sarà
che quel che tu rappresenti è quel che «tutti pensano» o quel che «tutti fanno» – anche gli altri
inizieranno a pensare e ad agire come te. Perché è quel che fanno quasi tutti.
Come bonus, otterrai che la minoranza che ancora non è d’accordo (per esempio quelli che
pensano che i macaron sanno di carta) inizierà a pensare di sbagliarsi – e quindi non oserà dar voce
alla propria opinione divergente per non fare figuracce. È una tecnica straordinaria per creare un
nuovo comportamento all’interno di un gruppo – o per spingere le persone a smettere di fare
qualcosa. Creare una norma di gruppo ripetendola finché non diventa vera è forse un progetto un po’
complicato se vuoi persuadere un’unica persona. Ma ha comunque i suoi vantaggi. (Vallo a chiedere
a una qualsiasi lobby.)
Non dimenticare però di ritirarti nell’ombra quando avrai finito.

1.2. VERITÀ NELLA FORMA

Se vuoi che gli altri ti ascoltino, devi dar loro l’impressione che il tuo messaggio sia vero. È
dimostrato che più l’informazione che ci viene presentata è facile da processare, più siamo spinti a
credere che sia vera. Quando ripeti un messaggio, è proprio questo che succede: l’informazione
diventa più semplice da processare perché la si riconosce dalle occasioni precedenti. Ma ci sono
molti altri modi per facilitare la ricezione di un messaggio, e di conseguenza aumentare il contenuto
di verità di quel che si dice. Qui ci sono alcune delle tecniche migliori.
(Una precisazione, prima di andare avanti. Non voglio incitarti a usare queste tecniche per
spacciare per vere delle menzogne. Anche se è possibile. C’è già fin troppa gente che ci prova. Se
convinci i tuoi clienti che le tue scarpe mediocri siano le migliori del mondo, è probabile che non
comprino mai più nulla da te. Invece, è sempre utile riuscire a rafforzare un messaggio positivo già in
partenza. Se davvero vendi le scarpe migliori del mondo, avrai tutto da guadagnare a rafforzare il più
possibile il tuo messaggio con le tecniche seguenti – dopotutto, c’è già fin troppa gente che si vanta
delle proprie scarpe scadenti.)

Facilità di pronuncia
Per prima cosa, bisogna riflettere sul nome da dare a quel progetto tanto dispendioso, a quel nuovo
shampoo o a quell’invenzione rivoluzionaria. Il nome o il titolo che intendi usare è facile da
ricordare? Certamente, nomi originali e divertenti hanno un che di speciale, ma un nome bizzarro può
danneggiare la credibilità della tua proposta. Per esempio, siamo portati a pensare che integratori
con nomi difficili da pronunciare (come Hnegripitron) siano più «una moda del momento» e più
dannosi rispetto a quelli con nomi semplici da pronunciare (come Magnalroxato). Questo
differenziale di credibilità è stato verificato in una ricerca in cui nessuno dei partecipanti aveva mai
sentito parlare dei due preparati (e di conseguenza non poteva avere pregiudizi su di essi). Entrambi i
preparati in realtà erano inventati. Una parola meno complicata, coma Magnalroxato, avvia il
processo di riconoscimento anche se non l’abbiamo mai sentita prima. Si dà il caso, infatti, che ci
ricordi cose che abbiamo già udito. Magnal ricorda, per esempio, magnesio e magnum, -ato è un
suffisso comune tra i composti chimici (per esempio nitrato), e Roxy magari ci fa venire in mente
quel bar all’angolo... e così via. Hai capito cosa intendo. Per questo, una parola simile ci sembra più
familiare che, per esempio, Hnegripitron che ci è totalmente aliena, o magari ci ricorda un
Trasformer venuto male. Tendiamo a fidarci di quello che riconosciamo, mentre attribuiamo rischi
maggiori e un maggior senso di insicurezza a quel che ci sembra sconosciuto. (In una prospettiva più
ampia, ciò può anche spiegare come mai un notevole numero di elettori voti partiti con nomi come
Forza Italia.)
Il principio di riconoscimento può quindi essere usato per aumentare il grado di verità e
affidabilità di oggetti nuovi che nessuno ha mai sentito prima, solo attribuendo loro un nome
riconoscibile.
D’altro canto, se vuoi che la gente creda che il pacchetto di viaggi che vuoi vendere – o la giostra
che hai appena montato al luna park – possa offrire un’esperienza avventurosa, sarebbe meglio usare
un nome un po’ più particolare, che segnali che si tratta di qualcosa fuori dell’ordinario. In questo
contesto, la particolarità del nome diventa un punto di forza. Per questo, i gestori del parco
divertimenti di Stoccolma avrebbero dovuto capire che chiamare le montagne russe Topo Selvaggio
non trasmette proprio l’idea di strabilianti avventure. (Andrebbe forse meglio per un film di serie B.)
Se lavori in un’agenzia di viaggi e vuoi risvegliare il senso d’avventura del cliente, non chiamare un
viaggio nella giungla messicana Visita agli Scavi. Chiamalo piuttosto Tempio di Teotihuacan.
Chi ha colto questo collegamento, è stato lo scrittore horror H.P. Lovecraft, la cui mitologia ha
catturato la fantasia di innumerevoli lettori in tutto il mondo fin dall’inizio del Novecento, e continua
a farlo. Uno dei fattori che rendono Lovecraft così affascinante sono i nomi bizzarri delle sue
mostruose divinità. Quando, un centinaio di anni fa, presentò ai suoi lettori Cthulhu, Yog-Sothoth e
‘Umr at-Tawil, si trattava di nomi che nessuno aveva mai sentito prima. Suonavano nuovi, esotici –
persino un po’ pericolosi.

Rima
Un altro modo di creare la verità è presente in quasi tutte le pubblicità alla radio: usare parole in
rima. (Di nuovo, l’industria pubblicitaria ci è arrivata molto prima della ricerca scientifica.) Gli
psicologi e gli esperti di memoria sanno da tempo che ci è più facile ricordare le cose se il nostro
cervello riesce a creare delle associazioni. Se riusciamo a integrare le nuove informazioni nel
processo mentale in corso le ricorderemo più facilmente. E le parole che fanno rima riescono a
creare associazioni di questo tipo. La stessa cosa avviene con la musica e le melodie. Come dice il
vecchio slogan radiofonico: «Se non hai nulla da dire, dillo con una canzone».
Come si è detto, non è nulla di nuovo. La novità è la scoperta che questi agganci non solo
facilitano la memorizzazione, ma ci spingono anche a credere a quel che sentiamo. Per la semplice
ragione che la rima, o la canzone, ci rende più facile processare le informazioni. Ovviamente nessuno
lo ammetterà mai. Le stesse persone che, quando partecipano a un test, sostengono che una cosa non è
necessariamente più vera solo perché è in rima, sono quelle che valuteranno un’affermazione in rima
(«Un cucchiaino di bicarbonato e il benessere è assicurato») più vera di una che non lo è («Il
bicarbonato ti regala un senso di benessere») – anche quando il significato è esattamente lo stesso.

Leggibilità
Hai intenzione di presentare il tuo messaggio tramite testi e parole? Non importa che si tratti di
un’elegante cartella per l’assemblea annuale o di un post-it sulla bacheca della sala caffè; in entrambi
i casi, avrai uno strumento in più a tua disposizione: la presentazione visiva. È facile da leggere? Hai
usato caratteri semplici in contrasto con il colore dello sfondo? Tutto questo dovrebbe essere ovvio,
ma evidentemente non è così, basti pensare a quante persone si fanno prendere la mano e usano ogni
effetto che WordArt ha da offrire. Ovviamente, si può essere tentati di usare tutti i colori
dell’arcobaleno, un font spettacolare e un titolo arrotolato in una spirale, ma ricorda che per ogni
finezza grafica che aggiungi, diminuisci le possibilità di essere preso sul serio.
Si dice che per assicurarsi il massimo della leggibilità si devono usare lettere nere su uno sfondo
giallo. Pensa alle circostanze in cui ti è capitato di vedere testi o cartelli simili.
Esatto.
Si tratta di comunicazioni che provengono da una qualche autorità: cartelli che segnalano aree
militari, centrali elettriche, strade ecc. È un caso che questa combinazione di colori sia usata quando
ci viene richiesto di credere a qualcosa senza metterla in discussione?

Non pretendere che facciano tutto da soli


Nella psicologia delle vendite si dice spesso di lasciare che sia il cliente a convincersi di dover
acquistare un certo prodotto. In tal caso, le sue opinioni sono più decisive di quelle del venditore. Di
conseguenza, può sembrare un’ottima strategia quella di spiegare, in primo luogo, che ci sono
tantissime ragioni per cui il cliente dovrebbe scegliere la tua biancheria o la tua azienda di IT invece
di rivolgersi alla concorrenza, e poi chiedergli di elencare da sé il maggior numero possibile di
spiegazioni. Più gliene vengono in mente più si convincerà. O no?
Eppure, tutto ciò contrasta con l’idea di fornire informazioni chiare – infatti è difficile trovare a
comando una serie di ragioni, non solo per dimostrare i punti di forza dei tuo prodotti, ma per
qualsiasi altra cosa.
Per questo, non è strano che coloro ai quali viene richiesto di trovare un’unica ragione per cui un
prodotto è buono si convincano con maggiore forza di coloro ai quali viene richiesto di trovare dieci
spiegazioni. Quest’effetto può essere usato per affossare i rivali e la concorrenza. L’unica cosa che
devi fare è usare la psicologia al contrario. Chiedi al tuo futuro cliente, partner o collega, di trovare
dieci ragioni per rivolgersi al tuo avversario piuttosto che a te. Sembra semplice, ma sarà
estremamente difficile che trovi da sé tutte queste motivazioni. (A meno che tu non sia assolutamente
sorpassato, ma in tal caso ti consiglio di rivolgerti a un altro libro.) Quando se ne accorgerà, il tuo
concorrente inizierà a sembrargli molto più debole di prima. «Non riesco nemmeno a trovare dieci
banalissime ragioni? Ma allora è impossibile che abbiano da offrire tutto quello che pensavo.»
Dopo di che, fagli vedere chi è il migliore, fornendogli dieci ragioni, ben formulate, per cui
sarebbe meglio che si rivolgesse a te.
Possibilmente in rima.

1.3. NON PROMETTERE LA LUNA

Quando vuoi convincere qualcuno a compiere una scelta, è meglio offrire diverse alternative. Se
produci computer, probabilmente tenterai di coprire l’intero mercato commercializzando un modello
per coloro che per lo più guardano film, un altro per chi si occupa di contabilità, un altro ancora per
l’uso domestico e uno per i patiti di videogame (e poi cinque versioni di ciascun modello con
schermo e hard-disk di dimensioni differenti). Se invece ti ritrovi a dover avanzare una proposta in
un gruppo di lavoro, ti preoccuperai di prendere in considerazione ogni richiesta che possa emergere,
preparando versioni alternative del tuo piano: una con un budget più ristretto, una con tempi di
realizzazione più brevi e una che usi solo il color turchese.
In una situazione in cui vi siano diverse opzioni, nessuno penserà che stai cercando di costringerlo
a effettuare una certa scelta. Nessuno si sentirà costretto ad accettare quella più vantaggiosa per te;
piuttosto, opterà per quella che gli promette maggiori vantaggi. Opzioni diverse rispettano il
desiderio della gente di decidere da sé, e rende più facile prendere una decisione.
Almeno, questa è l’opinione comune.

Il problema è che quando abbiamo tante opzioni diverse ci sentiamo smarriti. Vi è il rischio che
rinunciamo a prendere una decisione. Se n’è accorta la casa di produzione di prodotti per la cura
della pelle e dentifrici Proctor&Gamble, che giunse ad avere ventisei (!) diverse varianti dello
schampoo Head&Shoulders. Per la P&G le vendite dello shampoo erano pessime, nonostante si
fossero preoccupati di creare un prodotto specifico per ogni tipo di capelli. Ma quando eliminarono
diciannove opzioni mantenendone «solo» quindici, le vendite aumentarono improvvisamente del
dieci percento. Di fatto, era diventato più semplice scegliere tra le diverse possibilità. Similmente,
una ricerca ha dimostrato che quando i clienti dovevano scegliere tra ventiquattro diversi tipi di
marmellata in un negozio, solo il tre percento effettuava un acquisto. La percentuale aumentava fino al
trenta percento quando si presentavano loro solo sei alternative tra cui scegliere.
Se ci preoccupiamo di mostrare di aver pensato a ogni singola eventualità, a volte offriamo troppe
versioni diverse del nostro prodotto di punta. Come quando mi sorprendo a dire ai miei figli, che non
riescono a decidere con quale gioco monopolizzeranno la tv il sabato sera: «Avete come minimo un
centinaio di giochi della Playstation, laggiù c’è la Wii e poi avete i vostri DS – e credete di non
avere nulla da fare? Che cavolo vi prende?»
Ci sentiamo professionali e vincenti quando presentiamo diverse opzioni. In verità, se vuoi che
qualcuno scelga una delle tue proposte invece di quella di un altro, ogni nuova alternativa diminuisce
le tue probabilità di successo. Invece, fa’ come il negozio di marmellate. Fatti coraggio e limita il
numero di opzioni. In tal caso, le probabilità che gli altri facciano quello che vuoi aumenteranno
notevolmente.
1.4. OCCHIO AI MASSIMIZZATORI

La tecnica precedente – coinvolgere gli altri offrendo meno opzioni – non significa che non si debba
fornire nessuna alternativa. Ma bisogna riflettere su quale sia un numero gestibile. In alcune
situazioni bisogna essere particolarmente attenti a quante soluzioni presentare. Esiste un gruppo di
persone chiamate massimizzatori. Sono coloro che hanno sempre bisogno di ottenere il migliore
risultato possibile, in qualunque situazione si trovino. Un massimizzatore non si accontenta mai di un
risultato abbastanza soddisfacente. Dev’essere sempre il massimo. Ma quando a queste persone sono
offerte troppe opzioni, la loro capacità di scegliere va in sovraccarico e sono molto più stressati che
se avessero meno scelte. (Sai da te quanto possa essere stressante scegliere il fornitore di energia
elettrica – per non parlare del fondo pensionistico!)
Gran parte della popolazione è composta da massimizzatori. Ma vi è anche chi non lo è. Il
problema è che può essere difficile sapere chi lo sia e chi no. I più, inoltre, sono massimizzatori in
alcuni frangenti e non in altri, il che complica ulteriormente la faccenda.

Se in una certa situazione vuoi offrire diverse alternative, le quali hanno ciascuna i propri vantaggi
e i propri svantaggi, ti ritroverai a dire cose complicate come: «Possiamo stilare una proposta più
semplice, ma a quel punto ci vorrà più tempo, oppure possiamo procedere secondo le specifiche ma
ciò comporta un aumento dei costi, oppure possiamo scegliere un percorso completamente alternativo
e lavorare sulla lunga distanza...» In una situazione simile può essere utile tenere d’occhio
l’espressione degli interlocutori. Alcune proposte verranno accolte con un sorriso, altre da una lieve
alzata della parte interna delle sopracciglia – il classico segno di un principio di inquietudine.
Prestando attenzione a questi segnali, si può capire quali proposte vengono apprezzate – e quindi
vale la pena sviluppare – e quali invece non riscuotono successo e quindi possono essere
accantonate.
Ma anche se ogni proposta della tua lista venisse accolta da lievi espressioni negative, non
significa necessariamente che l’interlocutore non apprezzi nessuna delle tue idee. Può anche trattarsi
di un massimizzatore che si è sentito travolto da troppe alternative. È necessario capire come stanno
le cose, per decidere se le proposte vadano presentate in maniera più attraente o se invece vadano
ridotte della metà. Il modo migliore per scoprirlo è domandare: «Che ne pensi del fatto che abbiamo
stilato tutti questi suggerimenti?»
In base alla risposta deciderai come comportarti. Potresti sentirti dire che la possibilità di
scegliere è molto apprezzata, oppure che la metà delle idee sarebbe stata già abbastanza. Dopodiché,
ti basterà comportarti di conseguenza in tutti i successivi incontri con le persone in questione. Lo
scopo è convincerle che sei attento alle loro opinioni, e non che le stai bombardando di informazioni.

Ma può darsi che non ti vada di porre una domanda simile. Oppure che desideri davvero che tutte
le tue proposte vengano prese in considerazione e quindi che non sia affatto disposto a eliminarne
alcune. In tal caso, se sospetti di avere a che fare con dei massimizzatori, potrai ricorrere a un’altra
strategia, discreta ma geniale. Anzi, ti consiglio di ricorrere a questa tecnica ogni volta che puoi: non
presentare mai le diverse opzioni tutte insieme. Invece di offrire nove alternative
contemporaneamente, elencane tre e lascia che si scelga tra queste. Poi presentane altre tre e fai di
nuovo scegliere la migliore. Quindi, illustra le ultime tre e lascia che scelgano ancora. In questo
modo, i tuoi interlocutori non si ritrovano mai a dover scegliere tra più di tre opzioni. Anche se in
totale ce ne sono nove.
Questo è un modo molto utile di rendere più gestibili grandi quantità di informazioni. Il
massimizzatore non si sentirà sopraffatto e tu riuscirai a presentare tutte le tue alternative.

1.5. SE QUALCUNO TI HA PRECEDUTO

La strategia di trasformare un’idea in realtà semplicemente ripetendola, o di renderla più


maneggevole (con la scelta delle parole giuste, la rima, la chiarezza), o di non presentare troppe
alternative può tuttavia creare enormi problemi – se qualcun altro ha usato la stessa tecnica prima di
te. Può diventare particolarmente difficile trasformare un concetto ben radicato in maniera che ti sia
più favorevole. Sai per esperienza quanto possa essere complicato: basta pensare a qualche notizia
sconvolgente che ti sarà capitato di ascoltare o di leggere; per giorni ne hanno parlato tutti, poi arriva
una smentita che dimostra che nulla era come si pensava. Scommetto che ricordi alla perfezione
notizie simili, ma che ti è molto meno chiaro cosa ci fosse che non andava. Era solo... qualcosa.
Una smentita non riceverà mai la stessa attenzione di una notizia, perché non è mai altrettanto
sensazionale. Per questo non è raro che dopo poco venga dimenticata e che, imbattendosi di nuovo
nella stessa storia, la si creda nuovamente vera – perché la si riconosce. Non è un segno di idiozia; è
che il primo messaggio ha goduto di un vantaggio psicologico grazie ai giornali e alle persone che lo
hanno ripetuto. È diventato troppo noto per essere del tutto sradicato.
Un esempio è la voce della morte dell’attore Morgan Freeman, che si sparse sulla rete
nell’autunno del 2012. L’indiscrezione venne rapidamente smentita quando ci si accorse che si
trattava di una bufala lanciata da un sito satirico. Ma ciò non impedì ai media svedesi di parlare
della morte dell’attore – anche quando era già arrivata la smentita.
Immaginiamo che qualcuno sia riuscito a far passare un messaggio che vuoi contraddire, o che vuoi
che gli altri mettano in discussione. Ti trovi in una posizione di svantaggio. Solitamente, per
compensare si tenta di formulare le proprie obiezioni in maniera che siano per lo più inattaccabili,
così che chi le ascolti o le legga non possa non notarne la fondatezza. Per trovare un esempio, basta
prendere un qualsiasi editoriale sui quotidiani. Purtroppo, è tutto tempo sprecato, dato che pochissimi
ricorderanno quel che viene detto. Esattamente come difficilmente ricorderai l’articolo che
quell’editoriale vuole contestare.
Ma quel che si può fare è presentare le proprie informazioni con le stesse tecniche usate
dall’avversario. E non intendo dire che basti ricorrere alle ripetizioni, alla leggibilità o alla
chiarezza. Voglio dire che bisogna usarle esattamente nello stesso modo del messaggio che si vuole
contraddire. Ruba le sue scelte tipografiche, usa un’immagine simile a quella utilizzata dal capo nella
mail collettiva, metti in sottofondo la stessa canzone usata nello spot. Approfitta degli stessi canali
usati dal tuo avversario: se ha organizzato una campagna pubblicitaria, se ha sponsorizzato un
festival o si è presentato alle elezioni, fa’ lo stesso. Limitati a fare in modo che il tuo messaggio
ricordi il suo e venga mostrato il più possibile negli stessi luoghi. In questo modo creerai un
collegamento mnemonico tra il primo messaggio sedimentato e quello nuovo.

I movimenti di protesta spesso convogliano le proprie idee parodiando il nemico: per esempio, si
appronta una versione alternativa del logotipo di un’azienda, o si realizza una propria versione di un
certo spot (come nel fenomeno dell’adbusting, di gran voga negli anni Novanta, in cui i manifesti
pubblicitari venivano modificati in modo che portassero un messaggio negativo). È possibile che chi
ha modificato la conchiglia della Shell trasformandola in un teschio, o chi ha realizzato una campagna
per il canale Fox News con lo slogan «We deceive. You believe» (Noi mentiamo. Tu ci credi), si
considerasse una sorta di osservatore postmoderno della società, e non avesse preso in grande
considerazione l’effetto psicologico. Ma aveva individuato lo strumento giusto da usare affinché il
suo messaggio prendesse piede e venisse diffuso.
Progettando la comunicazione in modo che ricalchi il messaggio che vuoi confutare, gli ascoltatori
si ritroveranno immediatamente a fare delle associazioni tra i due. Ciò comporta una serie di
vantaggi. Da un lato, utilizzando gli stessi canali, il tuo messaggio raggiungerà lo stesso target.
Dall’altro, ogni volta che gli ascoltatori s’imbatteranno nell’originale, verrà loro in mente anche la
tua versione. Ciò significa che, più il tuo avversario si sforzerà di diffondere il proprio messaggio,
più contribuirà a spargere anche il tuo (inoltre, più si rafforzano i legami mnemonici, più sarà facile
ricordarlo). Che si tratti di una comunicazione politica, di una constatazione o di vendere un oggetto,
in questo modo riuscirai a minare la campagna, per quanto ben posizionata e attentamente
programmata, dell’avversario. Proprio grazie ai suoi stessi sforzi.
Vallo a chiedere alla Shell.

1.6. MOSTRATI DEBOLE E FATTI FORTE

C’è sempre un rovescio della medaglia. Quel che vuoi convincere gli altri a fare avrà certamente i
suoi aspetti postivi, ma spesso c’è anche un lato negativo. La stampante che vuoi vendere ha un punto
debole, il progetto al lavoro richiederà gli straordinari da parte di chi meno desidera farli, e il chili
con carne, dopo una buona dose di Blair’s Death Sauce, può essere percepito come al di là dei limiti
umani. Nella classica – e un po’ goffa – lotta per il potere, solitamente si tenta di sminuire i lati
negativi («Certo, bisognerà fare gli straordinari, ma pensa al risultato!»), far finta di niente
(«Straordinari? Non ne so niente») o far vedere chi è il capo («Sì, sono necessari gli straordinari. Se
ciò ti crea problemi, è meglio che inizi a chiederti se questo sia il posto giusto per te»).
Tattiche simili non fanno che alimentare il malcontento e renderti malvisto. È meglio farsi furbi e
ammettere i lati negativi prima che gli interlocutori li scoprano da sé.
«La stampante è molto piccola, quasi invisibile, ma ciò significa che non può contenere molto
inchiostro.»
«Sono consapevole del fatto che, purtroppo, questo progetto richiederà alcune ore di straordinari.»
«Forse il chili è appena un po’ piccante.»

Tendiamo ad accordare maggior fiducia a chi ha il coraggio di riconoscere eventuali aspetti


negativi – specialmente se si tratta di cose a cui non abbiamo pensato noi stessi. Questa fiducia, in
più, si trasferisce sull’argomento in discussione. I venditori d’auto che illustrano i difetti della
vettura che il cliente sta guardando conquistano fiducia per sé e per l’auto, che ora sembra più
affidabile, dato che ormai è scongiurato il rischio di spiacevoli sorprese.
E se ti guadagni la fiducia di qualcuno non nascondendo i lati negativi, ti sarà più facile
convincerlo di quanto sia fantastico il tuo prodotto da ogni altro punto di vista.

Questo principio vale sia sul piano generale, per esempio per la reputazione di un’azienda, sia su
quello personale e privato. Se vuoi ingenerare fiducia per la tua azienda puoi fare come la L’oreal,
che già nello slogan rivela quale sia il suo aspetto negativo. Il noto «Perché io valgo» è infatti
un’abbreviazione della formula originale «Costiamo caro, ma tu lo vali». E se ti proponi per un
lavoro con un CV che parla solo di quanto tu sia affidabile verrai chiamato per un colloquio molto
meno spesso che se avessi il coraggio di illustrare anche i tuoi difetti. (Ovviamente, questa tecnica
funziona solo se si tratta di aspetti negativi di poco conto, che tutto sommato vengono sopravanzati da
quelli positivi. Se il difetto dell’auto è che dopo cento chilometri prende fuoco, non serve a niente
sottolineare quanto sia bella da guidare per i primi novantanove. E forse non è il caso di scrivere nel
CV che se non trovi un caffè caldo non appena arrivi al lavoro vai su tutte le furie, anche se spieghi
che al mattino rendi di più.)

Se l’unica cosa che ti interessa è far sì che gli altri si fidino di te e ti trovino più simpatico, non
importa quale tipo di difetti ammetterai. Ma perché accontentarsi di questo? Perché non cogliere
l’occasione per migliorare l’immagine che gli altri hanno di te (o della tua azienda, o del tuo
prodotto)? Quel che hai appena descritto come negativo potrà infatti venire a tuo vantaggio e
diventare addirittura positivo. Lo so, sembra assurdo. Ma tutto dipende dal punto di vista.
Si può ottenere questa magica metamorfosi collegando l’aspetto negativo a uno positivo nello
stesso ambito, e che limiti la negatività del primo. Quando Henry Ford decise, nel 1914, di vendere
soltanto T-Ford nere, fu certamente un passo indietro rispetto ai quattro colori disponibili in
precedenza (il nero non era tra questi). Chi aveva intenzione di comprare un’auto verde o grigia
avrebbe potuto rimanere alquanto deluso – se Henry Ford non avesse spiegato che la vernice nera era
più conveniente, il che contribuiva a far scendere il prezzo, e che inoltre era di qualità superiore
delle altre.
Se il difetto della tua stampante è che può alloggiare la metà dell’inchiostro di quella del
concorrente, potrai rilanciare sottolineando che ne consuma il novanta percento in meno. Se la
magagna è che questo mese sarà necessario fare venti ore di straordinario, basta ricordare a tutti che,
una volta concluso il progetto, risparmierete cento ore di lavoro extra per il resto del trimestre. Se
scrivi nel CV che raramente sei soddisfatto di come stanno le cose, potrai aggiungere che è per
questo che sei così bravo a cogliere le opportunità che gli altri non notano.
E se il chili è molto piccante, potrai spiegare che è per questo che hai comprato due bottiglie di
Amarone in più.

Come recita la battuta su Microsoft Windows: It’s not a bug, it’s a feature.

1.7. INDIVIDUA I BISOGNO FONDAMENTALI


Ogni azione è dettata da bisogni umani fondamentali. Tra i più intensi di questi ci sono sicurezza e
tranquillità, potere, socialità e accettazione, sesso e controllo. Se vuoi convincere qualcuno di
qualcosa, che tu voglia vendere un GPS o conquistare simpatizzanti per il tuo partito, otterrai un
risultato di gran lunga migliore se riuscirai anche a spiegare in che modo i tuoi suggerimenti
soddisfino uno o più dei bisogni fondamentali dell’interlocutore.
Condividiamo tutti gli stessi bisogni, ma li soddisfiamo in maniere lievemente differenti a seconda
della nostra personalità. È importante capire chi hai davanti quando gli spieghi come soddisferai i
suoi bisogni. Quale che sia la sua personalità, dovrai fare in modo di adeguarti a essa. Se ti limiterai
ad agire in base al tuo personale punto di vista, ti potrà capitare di ottenere l’effetto opposto.
Ovviamente non è necessario soddisfare ogni bisogno dell’interlocutore, se non è possibile; ma più
l’asseconderai, più irresistibile sarà il tuo argomento.
Per spiegare meglio cosa intendo, possiamo ricorrere al più classico esempio di persuasione:
vendere un’auto. (Con la tecnica precedente è andata benissimo.) A seconda di quale bisogno
fondamentale vuoi soddisfare, cambierai la tua presentazione nella seguente maniera.

Sicurezza e tranquillità
Tutti noi ci collochiamo su una scala che va dall’essere completamente vinti dal panico all’essere
incredibilmente coraggiosi. Una persona timorosa si considera spesso timida e cauta, ma anche
avveduta, razionale, attenta e accorta. Una persona coraggiosa si considera invece audace, ardita,
avventurosa, impavida e risoluta.
Poiché la sicurezza equivale all’assenza di conflitti e pericoli, bisogna identificare quali pericoli
comporti non fare quello che suggerisci: «Se non compra un’auto nuova, metterà a repentaglio la
sicurezza di tutta la famiglia. Per quanto ancora crede che i freni della sua Toyota Prius possano
durare?» Poi spiegherai in che modo la tua proposta risolva il problema, in base all’immagine che
l’interlocutore ha di sé. Se stai parlando con una persona paurosa e cauta, dirai:
«Bisogna stare attenti con queste cose. Ma da persona accorta quale lei è, è meglio cambiare
adesso, in tutta tranquillità, piuttosto che rischiare di essere costretto a fare una scelta avventata
quando si ritroverà senza macchina.»
Se invece hai a che fare con una persona più intraprendente, sarà meglio parlarle in modo da fare
appello alla sua indole coraggiosa e impavida:
«Se cambierà ora non dovrà più preoccuparsi di quanto ancora la sua vecchia auto potrà resistere.
Potrà partire per le Alpi già domani e fare quel viaggio avventuroso che ha sempre sognato.»

Potere
Vogliamo essere in grado di influenzare gli altri e il loro comportamento. Vogliamo che i nostri figli
ci ubbidiscano. Vogliamo che i vicini la smettano di fare baccano. Vogliamo che chi ci precede in
coda alla cassa si dia una mossa. E vogliamo che il capo ci ascolti. È un desiderio di potere
sull’ambiente che ci circonda. Se vuoi avere potere sugli altri (e lo vuoi, altrimenti non avresti
iniziato a leggere questo libro) è una buona idea cercare di soddisfare anche il loro bisogno di
potere.
In relazione al potere, ci collochiamo su una scala che va dall’ubbidire al comandare. Un
«comandante» si considera intraprendente, motivato, ardito, influente, gran lavoratore, dominante e
ambizioso. Gli «ubbidienti» si considerano invece umili, modesti, alla mano, collaborativi, poco
ambiziosi, e ritengono di curarsi degli altri. Ovunque il cliente si collochi su questa scala, spiegagli
in che modo la tua proposta gli venga incontro. Se stai parlando con un comandante, soddisferai il
suo bisogno di potere dicendo per esempio:
«Il modello e il prezzo fanno sì che quest’auto si rivolga esclusivamente a chi ha lavorato duro per
meritarsela. La reazione degli altri automobilisti lo dimostra: sono quasi spinti a lasciare la strada
per mostrare rispetto.»
A un ubbidiente, per il quale l’approvazione altrui è più importante del potere di decidere, dirai
invece:
«Secondo lei, chi sarà più contenta della sua decisione, sua moglie o sua figlia?»

Socialità
In questo caso le diverse personalità vanno dall’estrema socievolezza al desiderio di solitudine. Le
persone socievoli si considerano calorose, disponibili, amichevoli, simpatiche e vivaci. Quelle che
preferiscono stare da sole si considerano riservate, schive, serie e magari anche un po’ emo. Se il
potenziale acquirente dell’auto è una persona molto socievole, gli andrai incontro dicendo:
«È un grande vantaggio avere un’auto su cui possano viaggiare tante persone. In questa c’è posto
per tutti i suoi amici!»
Ricorda anche che le persone socievoli spesso fanno cose per gli altri. Forse non riuscirai a
motivarlo a comprare un’auto solo per sé. Ma potrai dirgli che è la sua famiglia ad averne bisogno.
Invece, a un lupo solitario spiegherai come soddisfare i suoi bisogni da una prospettiva diversa:
«Con quest’auto sarà molto più facile allontanarsi da tutto e tutti. E c’è parecchio posto per i
bagagli, nel caso voglia partire per un lungo campeggio.»

Accettazione
È una parente stretta della socialità. Alcuni danno per scontato che saranno inclusi nel gruppo sociale
indipendentemente da quello che fanno, mentre altri percorrono la via più sicura e scelgono di
adeguarsi alle decisioni del gruppo per evitare di distinguersi. Chi preferisce seguire il gruppo si
considera insicuro, ha poca autostima, è poco deciso e segue la corrente. Chi è convinto di essere già
parte del gruppo invece si sente deciso, sicuro di sé, inattaccabile e indomabile; non ha alcun
bisogno di accettazione su cui puoi far leva: lo soddisfa già da sé. Quindi dovrai occuparti degli altri
suoi bisogni. Ma con quelli che si adeguano sempre a ciò che fanno gli altri, basterà dire:
«Questo modello è il più popolare, al momento è quello che va per la maggiore.»

Sesso
O più precisamente, l’istinto dei nostri geni a riprodursi e propagare la specie umana. È dimostrabile
che la procreazione sia il bisogno più profondo, che a sua volta influenza tutto il resto. Come disse
una volta un mio amico: «Tutto quello che è mai stato fatto, tutti i quadri che sono stati dipinti, tutte le
case mai costruite, ogni politica mai messa in pratica, hanno avuto un solo scopo: riuscire a fare
sesso. È solo che a volte abbiamo la tendenza a perderci per strada». Non ha tutti i torti.
Quando parliamo di riproduzione, la scala va dal libertino all’asceta. Un libertino si considera
seducente, romantico, sensibile, lussurioso e sensuale – e ritiene di avere una straordinaria energia
sessuale. Gli asceti si considerano conservatori, virtuosi, spirituali e intellettuali – e pensano di
possedere un ottimo autocontrollo (alcuni potrebbero dire che si tratta di libido repressa, ma Freud in
questo momento non è qui con noi). Il problema con il nostro bisogno di sesso è che per migliaia di
anni è stato represso culturalmente, da quando i capi religiosi e politici hanno compreso che il modo
più semplice di controllare le persone è regolare come (e se) possono andare a letto con qualcun
altro. Questa stigmatizzazione ha fatto sì che non sì possa parlare di sesso altrettanto apertamente di
come si fa con gli altri bisogni fondamentali. Ma ci sono comunque alcuni aspetti della spinta alla
procreazione che si possono almeno sfiorare. Per esempio, il desiderio della stabilità e sicurezza
necessarie per costruire una famiglia che si ritiene essere comune tra le donne (non è un caso che le
riviste di arredamento e di giardinaggio si rivolgano proprio a loro), il desiderio degli uomini di
accoppiarsi il più possibile (indovina cosa simboleggiano le auto di lusso, e perché sono gli uomini
di solito a comprarle) e il bisogno, comune a tutti, di sentirsi attraenti e di vivere una storia d’amore
(vedi la copertina di un qualsiasi Harmony). Si può dunque fare riferimento a questi bisogni senza
rendere troppo evidente che in realtà si sta parlando di sesso e di desiderio di paternità o maternità.
A un libertino si può dire:
«Con una macchina tutta sua potrà fare tutto quello che vuole. A nessuno importerà dove va e
quanto spesso – o con chi.»
A un aspirante genitore invece si può dire:
«Questa è un’auto straordinaria se si è stancato di cambiare modello in continuazione. C’è anche
tantissimo spazio nel caso in cui in futuro la famiglia si allargasse.»
L’auto come metafora per il sesso e per il partner o la famiglia si trova in qualsiasi spot
pubblicitario.

Controllo
Avere il controllo è un bisogno talmente profondo da essere più forte ancora del sesso. Qui non esiste
una scala. Più sei in grado di far sentire l’altro nel pieno controllo della situazione, meglio è.
Controllo significa potere personale. Più abbiamo l’impressione di governare le nostre vite meglio
stiamo. Psicologicamente e fisicamente. D’altro canto, non c’è nulla di più dannoso per il nostro
benessere che sentire di aver perso il controllo di quel che ci succede. Allora rischiamo di cadere in
depressione. Dimostrando agli altri che sei in grado di aiutarli a ritrovare il controllo (o a iniziare a
dominare una situazione che non sono mai riusciti a controllare, che sia una faccenda privata o
lavorativa) li spingerai a desiderare tutto quello che hai da offrire loro. Un’auto è un simbolo perfetto
per questo tipo di bisogno:
«Ci pensi un attimo. Con un’auto non si sentirà più in balia degli orari dei treni quando vorrà
andare a trovare un amico. Non arriverà più in ritardo al lavoro perché la metropolitana è bloccata.
Un weekend al mare? Nessun problema. Sarà lei a decidere.»
Nella vita reale spesso occupiamo posizioni di volta in volta diverse su queste scale, a seconda
della situazione e dell’energia mentale di cui disponiamo in quel momento. Anche se si possono
scorgere tratti dominanti nella personalità di alcuni (un carrierista non sarà mai del tutto
disinteressato al potere), è meglio essere pronti a calibrare la strategia da usare in base alla
situazione attuale. Una persona molto determinata sul lavoro può invece mostrarsi più ritrosa al club
filatelico. E una persona molto socievole può invece essere più ritrosa quando ha l’influenza. Che
qualcuno cambi posizione sulla scala non è un problema, finché sarai abbastanza acuto da
accorgertene.
Ricorda anche che quando soddisfi i bisogni fondamentali di qualcuno, stai probabilmente
rispondendo a una domanda di cui l’interlocutore non è consapevole. Ciò crea un legame molto
intimo – e rende quel che hai da offrire assolutamente irresistibile. Io non ho la minima idea di quale
sia la tua posizione su queste scale, o di quali bisogni consideri più importanti. Ma scommetto che
alcune delle argomentazioni precedenti ti hanno fatto venire in mente che comprare un’auto potrebbe
essere una buona idea anche per te.

1.8. RINSALDA O CAMBIA UN’OPINIONE

Se dirai qualcosa in linea con quel che già penso, ovviamente sarò d’accordo con te. E anche se non
sarò d’accordo, non ti sarà difficile trovare argomenti per dimostrare che tu hai ragione e io torto.
Infatti, è molto più semplice rinsaldare opinioni già presenti che formarne di nuove. In più, ogni volta
che un’idea viene riformulata, si radica ancor di più nel cervello. E se poi se ne discute con gli altri,
per il cervello sarà quasi impossibile ricredersi.
Per influenzare qualcuno, quindi, occorre prestare molta attenzione alle sue opinioni. Se sai che il
tuo vicino ha delle idee che ti fa comodo conservi (per esempio, che le tue torte sono le migliori del
mondo) fai in modo che queste diventino ancora più radicate: chiedigli di parlare delle tue torte ad
altre persone, possibilmente a tante. È ancora meglio se riesci a convincerlo a postare un commento
su un social network: manifestare in pubblico le proprie idee, in forma scritta, si è rivelato essere un
metodo imbattibile per autoconvincersi di crederci davvero. Non importa se inizialmente alla base di
un’opinione non vi è un ragionamento approfondito – una volta scritta e condivisa diventa
difficilissimo ritrattarla. Una tastiera (o una penna e un pezzo di carta) e un destinatario in grado di
leggere sono quindi il migliore strumento per rinsaldare un’opinione debole. Per esempio, che tu sei
il massimo e che il comunismo è grandioso. (Credici o no, ma è esattamente così che questa tecnica è
stata usata nella storia, quando i generali cinesi durante la guerra di Corea costrinsero i prigionieri
americani a scrivere e a leggere a voce alta confessioni in cui ripudiavano il capitalismo e si
dichiaravano invece fedeli socialisti radicali. Il che mutò drasticamente le convinzioni di molti, i
quali in seguito fecero ritorno negli USA da comunisti. Quel che i militari cinesi non avevano preso
in considerazione è che simili tecniche di convincimento agiscono automaticamente nella società
americana. Poco dopo il rientro, quasi tutti i soldati tornarono a essere capitalisti soddisfatti.)
Se riesci a far sì che qualcuno si vincoli alla propria opinione in questo modo, continuerà a
sostenerla anche quando si troverà ad affrontare delle controprove inattacabili. L’alternativa sarebbe
passare per un idiota superficiale. E questo, nessuno lo desidera.

Ma se invece non vuoi rinsaldare un’opinione? Se il vicino detesta le tue torte, potresti desiderare
di aiutarlo a cambiare idea. In tal caso, presta attenzione a che non faccia nulla di quanto detto sopra!
Fai in modo che si tenga per sé la sua idea e non ne parli con nessuno. Non chiedergli che gliene pare
delle torte, altrimenti, parlandone con te, l’impressione diventerà più radicata. Meno occasioni avrà
di esprimere la sua opinione, più ti sarà facile cambiarla. Fai come il regime cinese (solo in questo
frangente, bada bene) e formula chiaramente l’opinione che desideri condivida: digli che le tue torte
non hanno nulla da invidiare a quelle dei più grandi pasticcieri – e seguendo la tecnica 1.1, dimostra
che sono in molti a pensarla così.
Allora gli sarà più facile mettere da parte la sua convinzione inespressa e adeguarsi invece alla
saggezza della maggioranza.

1.9. CAMBIARE OPINIONI GRAZIE ALLA


DISTRAZIONE

Ho il vago sospetto che chiunque abbia un convivente appassionato di sport ricorra costantemente a
questa tecnica – sa che l’attenzione diminuisce quando c’è una partita in tv. È un fenomeno che va ben
oltre la semplice passione per la squadra del cuore e che riguarda la distribuzione delle risorse del
cervello, che non riesce a seguire diverse piste in contemporanea.
Se, per esempio, desideri che il tuo partner condivida un’idea lontanissima dalle sue convinzioni,
puoi distrarlo con altre sollecitazioni sensoriali mentre esponi i tuoi argomenti.
È molto più semplice convincere qualcuno se, mentre ti ascolta, sta guardando la tv. Anche col
volume a zero. Basta che la tv sia accesa e il suo cervello non dovrà solamente ascoltare te, ma si
ritroverà a investire risorse per processare le informazioni visive provenienti da un altro contesto
(come una partita di calcio). A quel punto gli resteranno ben poche risorse per trovare obiezioni
sensate. Allo stesso modo, è semplicissimo spingerti a comprare cose di cui probabilmente non hai
bisogno se mentre visiti il sito di Amazon stai parlando al telefono.
Questi risultati sono stati evidenziati più volte. Una mente distratta (cioè un cervello che fa molte
cose contemporaneamente) è più facilmente manipolabile e alterabile di una concentrata su un’unica
cosa.

Distrarre qualcuno non è difficile. Fatti accompagnare da una modella la prossima volta che devi
tenere una presentazione in PowerPoint al lavoro: ti accorgerai di non ricevere critiche o obiezioni.
Anche tu puoi fare come nell’esempio della tv: aspetta che la persona che desideri convincere sia
distratta, e poi getta l’amo.
Ma non sempre è facile creare fattori di distrazione ottimali. E se la distrazione è eccessiva, per
esempio se la fotomodella è in costume, c’è il rischio che gli ascoltatori si perdano e non degnino le
tue proposte della minima attenzione. Tuttavia, le distrazioni possono essere molto più raffinate di
una tv accesa o di una telefonata. In realtà basta usare parole inaspettate. Quando sentiamo qualcosa
di diverso da quanto ci aspettiamo, il cervello inchioda e pensa: Un attimo, e questo cos’è?
Ecco: quando discutiamo di un prezzo, esiste una sorta di regola che governa la discussione; per
esempio, prima o poi salterà fuori la parola «euro». Se all’improvviso dici che quel che mi stai
vendendo costa novemila centesimi (invece di novanta euro, come mi aspettavo) il mio cervello
finisce per un istante fuori strada. In quell’istante, hai l’occasione di orientare le mie scelte nella
direzione a te più favorevole. Per esempio dicendo: «È un prezzo convenientissimo!» Alcuni
ricercatori che vendevano biglietti di Natale hanno più che duplicato gli affari formulando i prezzi in
centesimi invece che in euro.
Nota che non basta spingere il cervello fuori strada: ciò serve solo a creare una finestra in cui è
possibile influenzarlo. Perché la tecnica funzioni, è necessario anche enunciare un messaggio sulla
bontà o la convenienza di quel che hai da offrire, o su quanto l’altro abbia bisogno del tuo prodotto.
Gli affari dei ricercatori non iniziarono ad aumentare se non dopo che ebbero detto «È
convenientissimo!» una volta espresso il prezzo in centesimi. (Invece quando comunicavano il prezzo
in euro non succedeva niente, nonostante le rassicurazioni su quanto i biglietti fossero convenienti.)
Un venditore che vendeva mini-muffin ottenne ottimi risultati chiamando i propri dolci «mezzi
muffin», seguito dall’assicurazione: «Sono buonissimi!»
Che venga usata in maniera raffinata tramite l’uso di parole insolite, o in modo più spicciolo
pianificando le vacanze con qualcuno totalmente immerso in Dark Souls 2, la distrazione è un ottimo
strumento per rendere gli altri più manipolabili.
L’unica cosa da fare in queste situazioni è dire chiaramente quel che vuoi che gli altri pensino.

1.10 REGALAGLI UN’IMMAGINE DI SÉ

Probabilmente non mi crederai, ma si dà il caso che l’idea che hai di te stesso dipende in gran parte
da quel che gli altri ti hanno detto in merito. L’esempio più noto di ciò è un esperimento condotto in
una scuola: a una classe di scolari venne detto che erano più intelligenti degli altri bambini –
immediatamente iniziarono a prendere voti più alti in ogni prova.
In questo modo potrai, per esempio, alterare la personalità di tua cugina trattandola come se già
fosse come la vorresti tu. Puoi usare la stessa tecnica per spingere gli altri non solo a essere, ma
anche a comportarsi come vuoi tu. Puoi convincerli a votare il tuo partito, a unirsi alla tua chiesa, a
spogliarsi al primo appuntamento, o anche solo a preferire la proposta che hai avanzato alla riunione
del lunedì. Rifletti su quale personalità meglio si adatti a una certa azione, quali valori e opinioni
deve avere la persona che può aiutarti. Poi spiega al tuo bersaglio che possiede esattamente queste
caratteristiche.
Può sembrare difficile, un trucco facilissimo da smascherare; d’altronde non dovremmo avere le
idee abbastanza chiare su chi siamo? In realtà non c’è nulla di più semplice. Se ti trovi all’interno di
un’azienda, puoi per esempio sottoporre il tuo collega a un test della personalità e poi, con il
supporto di calcoli complicatissimi, spiegargli che i risultati dimostrano che è un conservatore e che
preferisce soluzioni consolidate (e per questo dovrebbe apprezzare la tua). Oppure, che è una
persona avventurosa, che non ha alcun problema a correre dei rischi – se è questo che ti serve.
Ricordati soltanto di sembrare credibile, in modo che non dubiti di quel che stai dicendo.
Ma non c’è bisogno di arrivare al punto di fingere un test della personalità. Basta parlare delle sue
attività quotidiane, e descriverle a partire dai valori di cui desideri si faccia portatore. «Ma dai, hai
assaggiato quel nuovo gusto di gelato? È proprio da te, provare sempre cose nuove.» «Riesci a
trasformare ogni cosa in una vera avventura.» «È proprio da te, accettare ogni rischio.» Sentendosi
dire ripetutamente che le sue azioni lo qualificano come un tipo audace, inizierà a vedersi come tale e
gli sarà molto più semplice premere un grande pulsante rosso quando glielo chiederai. (O qualunque
altra cosa vorrai che faccia.)
Se invece sono altri i tratti della personalità che ti interessa incoraggiare, non devi far altro che
dare risalto ai gesti che li supportano. Ti serve qualcuno che si ritiene empatico? In tal caso, basta
dire: «Oh, ne hai comprato uno anche per me? Sei la persona più premurosa che conosca!» È il
pensiero strategico quel che ti serve? Allora puoi dire: «È una buona idea rinfrescarsi un po’ quando
fa così caldo. Si vede che sei abituato a pianificare». Quando invece l’altro farà qualcosa che non
appartiene alla personalità che ti interessa, ti basterà non dire nulla.
Incoraggiare in tal modo un cambiamento non richiede molta fatica. Un trucco segreto per
rimorchiare è indurre la donna a cui sei interessato a considerarsi intraprendente, spingendola a
raccontare tutte le sue avventure, per poi sfidarla a dimostrare fino a che punto arrivi la sua presunta
audacia. Inoltre, è una strategia più rapida e meno dispendiosa che continuare a offrirle da bere.

Ma a noi interessa fare del bene: puoi usare questa tecnica in maniera costruttiva quando il tuo
collega inizia a perdere fiducia in sé stesso o continua disperato a lamentarsi perché non porterà mai
a termine un progetto. Spiegagli che sai che non è tipo da arrendersi, e spingilo a «dimostrartelo»
raccontandoti dei progetti precedenti. Ovviamente, tutti possiamo stringere i denti oppure arrenderci,
a seconda delle circostanze. Ma ricordandogli il tratto caratteriale più adatto, puoi rinnovare
l’immagine che ha di sé e aiutarlo a raggiungere il traguardo. (Il che ovviamente va anche a tuo
vantaggio, dato che la sua azione è volta ad aiutare te.)
Questa tecnica può essere usata in ogni circostanza. Quando ai bambini si dice che hanno una
grafia molto precisa, questa inizia subito a migliorare.
E quando lanci un nuovo progetto impegnativo, dì ai tuoi collaboratori che hai scelto proprio loro
perché sai – e hai molti esempi da citare – che di fronte a simili sfide la loro creatività fa faville. Al
che, si butteranno nel progetto con tutte le energie, invece di lamentarsi degli obiettivi irraggiungibili.

1.11 DIMOSTRA LORO CHE LO FANNO GIÀ

Ovviamente, non basta spingere gli altri a cominciare a fare quello che vuoi. Bisogna anche
preoccuparsi che continuino a farlo, in modo che non smettano appena volti le spalle. Ci sono molti
fattori che possono spingerli ad arrendersi, anche quando li hai convinti che stanno facendo la cosa
giusta. Forse il compito assegnato è troppo faticoso, oppure sembra irrilevante. Per fortuna, esiste
un’ottima tecnica per controllarli a distanza, in modo che proseguano a fare quello in cui li hai
coinvolti: invece di dir loro che devono iniziare a fare qualcosa, dimostra loro che lo stanno già
facendo. Non dire che presto comincerete il progetto; dì che è già iniziato ma che c’è ancora qualche
dettaglio da mettere a punto.
In che modo questo dovrebbe fare la differenza? Quando decidiamo se fare o non fare qualcosa,
pensiamo che sia più semplice portare a termine quel che è già iniziato che incominciare un progetto
da capo. È più semplice dire no prima di inziare, mentre dopo diventa più difficile. Quando ti
regalano una di quelle tessere con su scritto «Dopo nove caffè, il decimo è gratis» nota che è già
provvista del primo timbro. A volte è persino stampato sulla tessera. Se è già cominciata, ci viene
spontaneo tornare al bar per finirla. È più facile proseguire un progetto già cominciato che iniziarne
uno da capo. Non importa se non siamo stati noi ad avviarlo, o se qualcun altro ha già messo un
timbro sulla tessera. L’importante è non dovere cominciare da zero.
Un effetto positivo si ha anche quando ci accorgiamo di essere prossimi alla meta. Più ci sentiamo
vicini alla conclusione, più siamo spinti ad andare avanti. Non importa quanto possa essere difficile.
Se quel che vuoi convincere gli altri a fare richiede un impegno sovrumano è quindi un’ottima
strategia mostrare che gran parte del lavoro è già stata fatta. È quasi finito. Manca solo un ultimo
sforzo.
Questa tattica può essere utilizzata anche quando è evidente che in realtà stai chiedendo a qualcuno
di iniziare da zero. In tal caso serve un po’ di inventiva, per collegare il progetto nuovo a qualcosa
che la persona in questione (per esempio tuo marito) ha già fatto. Bisogna dare l’impressione che si
tratti di una fase nuova di un progetto più ampio, un progetto che in gran parte è già stato portato a
termine. «Sono sicura che ce la farai a ridipingere il soffitto nel weekend. Lo so che non ne abbiamo
mai parlato, ma manca solo questo per finire i lavori in casa. Ti sei impegnato così tanto e ora hai
quasi finito. Pensa che bello quando sarà tutto rimesso a nuovo! Nel frattempo, pensavo di andare da
mia madre, ci vediamo domenica sera allora?»

1.12. GUIDA IL GRUPPO...

Ogni parte di questo libro si basa sul medesimo presupposto: tutto quel che fai può influenzare anche
gli altri. Ogni forma di manipolazione avviene alterando le opinioni e le azioni degli altri. Ma non è
necessario agire su un unico obiettivo: a volte è più semplice influenzare più persone
contemporaneamente.
Noi esseri umani siamo programmati per unirci in gruppi. Fondiamo associazioni e costruiamo
società perché abbiamo bisogno degli altri. Un gruppo offre sicurezza e protezione, che da soli non
potremmo mai avere. Ma quando ci troviamo in gruppo succede qualcosa di peculiare con le nostre
capacità mentali. Abbassiamo sia il livello di analisi critica che le nostre difese, e ci affidiamo al
gruppo perché si prenda cura di noi. Sopraggiunge una forma di comportamento di massa. Senza
accorgercene, spesso ci comportiamo come un gregge. Smettiamo di pensare individualmente e
seguiamo il principio di minore resistenza – oppure, più spesso ancora, ci accodiamo a chi urla più
forte. Più grande è il gruppo, più è probabile che la maggioranza dei suoi membri faccia quel che il
capo propone. I gruppi reagiscono anche in maniera molto più istintiva degli individui. Le emozioni
attraversano il gruppo e si fanno più intense a ogni passaggio, come se si girasse la manopola di un
amplificatore. La cosiddetta rete d’odio ne è un ottimo esempio: migliaia di persone il cui unico
difetto è che passano troppa parte della propria vita su Facebook e Flashback improvvisamente si
aizzano l’un l’altra contro un individuo specifico. Ancor prima dell’avvento di Internet esistevano
tradizioni annuali di intensa isteria di massa, come quando l’intera popolazione di un Paese si raduna
dopo un festival musicale per urlare: «Ha vinto la canzone sbagliata!».

Questo comportamento da branco rende molto più semplice controllare le opinioni e i


comportamenti di un gruppo che di un individuo. Specialmente se vengono usati argomenti di pancia,
come imparerai a fare nella tecnica 2.15. La cosa ironica è che molti credono che sia complicato
parlare davanti a grandi platee. Alcuni pensano addirittura che sia la cosa peggiore al mondo. Il che
comporta che molti gruppi si ritrovano senza una guida solo perché nessuno osa parlare con loro.
Non lasciarti sfuggire questa opportunità. Se vuoi che gli altri ti diano retta, renditi la vita più
semplice e affronta la questione di fronte a un gruppo ben nutrito. Fai in modo di rivolgere il più
spesso possibile il tuo messaggio a un gruppo invece che a un individuo. Per esempio, in ufficio
avete l’abitudine di organizzare ogni mese una riunione generale? Non perdere tempo affrontando i
colleghi uno per uno per convincerli a sostenere il tuo progetto – fai piuttosto in modo di raggiungere
tutti contemporaneamente durante la riunione, aumentando la probabilità di averli al tuo fianco.
Sfrutta il pensiero di gruppo – istintivo, poco analitico e collettivo – per convincerli che quello che
vuoi tu è esattamente quel che vogliono anche loro.

1.13 ...ANCHE QUANDO NON ESISTE

Controllare la volontà di qualcuno manipolando un intero gruppo è una soluzione molto pratica. Ma
prevede che esista un gruppo da raggiungere. E se non c’è? Non fa nulla. Infatti, basta limitarsi a
suggerire un determinato comportamento di gruppo (anche se questo non esiste) perché la tecnica
funzioni.
Ora, non voglio dire che tu debba concludere ogni spiegazione dicendo: «Fate così perché lo fanno
tutti». L’idea è corretta ma l’esecuzione diventa un po’ troppo sfacciata. È meglio usare un po’ di
cautela quando si evoca nella mente altrui l’immagine di ciò che «tutti fanno», senza dirlo troppo
apertamente. Per esempio, dicendo: «Forse è meglio aspettare lunedì per comprare i biglietti: ci sarà
meno coda», si evoca uno scenario in cui ci sono così tante persone che vogliono comprare i biglietti
che addirittura ci sono dei tempi di attesa. È molto più efficace se saranno gli altri a giungere
autonomamente alla conclusione che «tutti vogliono comprare i biglietti». (Si potrebbe anche pensare
che la prospettiva di una coda interminabile li dissuada del tutto dal comprare i biglietti; in realtà, è
vero il contrario: più una cosa è difficile da ottenere, più desideriamo averla. Specialmente se siamo
convinti che tutti quanti la desiderino.)
Un altro esempio può essere il record di vendite ottenuto da uno spot televisivo sull’americana Tv-
Shop grazie all’alterazione di una semplice frase. Laddove prima avevano detto: «Le linee sono
aperte, i nostri centralinisti aspettano le vostre chiamate!» iniziarono a dire: «Le linee sono aperte, se
trovate occupato provate a chiamare più tardi!»
La prima formulazione trasmetteva l’idea di telefoni muti e centralinisti sfaccendati.
Evidentemente, doveva trattarsi di un prodotto che nessuno voleva. Al contrario, la seconda
formulazione dava l’impressione che ci fossero così tante persone che chiamavano per acquistare il
prodotto che prendere la linea era quasi impossibile. E le vendite schizzarono al massimo.

Come avrai capito, non è necessario preoccuparsi troppo del grado di veridicità di quel che si
dice quando si comunica in questo modo. In nessun caso si afferma che quei biglietti o quel prodotto
sono ciò che tutti desiderano. Perché probabilmente non è vero. Basta dire che forse ci sarà una coda,
che i telefoni saranno occupati o qualcosa di simile. Indipendentemente dal fatto che sia davvero così
o no, trasmetterai un’idea di ciò che tutti fanno, il che influenzerà il tuo interlocutore spingendolo a
volere la stessa cosa. Folle? Non prendertela con me. Prenditela con tutti gli altri.

1.14. LO STATUS IN PUNTA DI DITA

Quando dobbiamo decidere se una cosa è vera ci affidiamo a quel che ci dicono le autorità o le
persone con elevato status sociale. Fidarsi delle autorità non è nulla di strano, un medico
verosimilmente conosce meglio di te il funzionamento del corpo (a meno che non sia un medico tu
stesso); quindi crederai a quel che dice in virtù delle sue competenze. La ragione per cui ci fidiamo
anche delle persone con elevato status sociale non è altrettanto evidente, ma probabilmente si tratta
di una conseguenza dell’evoluzione. Quando il capobranco sostiene che le cose stanno in un certo
modo, è quasi certo che sia così. È già capitato in un numero sufficiente di occasioni – è per questo
che è diventato capobranco. Status e autorità sono ovviamente collegati. Avere autorità in un certo
ambito conferisce anche status, almeno tra coloro che ritengono che quel campo sia importante.
Quando vuoi convincere gli altri a crederti, quindi, è un’ottima idea mostrare di essere un’autorità
in un certo campo o di avere uno status elevato. È una delle tecniche di manipolazione più abusate
che esistano. Sicuramente ti sarai imbattuto in qualcuno che per mostrare autorità e status (con ogni
probabilità fallendo miseramente) si è messo ad alzare la voce e con tono perentorio e risoluto ha
spiegato: «Le cose stanno così. È così che dobbiamo agire. So di cosa parlo». Mentre gli altri si
limitano a ridacchiare della sua evidente impotenza, tu potrai ricorrere a una sottilissima tecnica da
ninja per mostrare che la vera autorità sei tu, e che sei tu ad avere la verità in tasca.
Non dovrai fare altro che concentrarti sulle tue mani.
Ci sono alcuni gesti che hanno un evidente significato simbolico. Per esempio autorità. Con un
semplice gesto potrai spingere gli altri a credere che stai parlando sul serio, che è meglio starti ad
ascoltare e che sai esattamente di cosa stai parlando. Bastano le punte delle dita. Avvicina i
polpastrelli in modo da formare un triangolo con le mani. (Immagina che le dita vadano a formare una
punta in linea con le braccia.) È un gesto che usiamo istintivamente quando siamo molto sicuri di ciò
che stiamo dicendo, quando la nostra autostima è al massimo. Alcuni avvicinano le mani al volto,
altri alla vita, altri ancora le tengono in grembo sotto il tavolo oppure dietro la nuca. Ma il senso del
gesto è sempre lo stesso. È un classico segnale di autorità usato spesso dagli avvocati, dai medici e
da altri professionisti rispettati, specialmente quando sono convinti del fatto loro.
Il significato di questo movimento è così evidente per il nostro inconscio che il suo effetto può
addirittura riflettersi sugli altri: quando gli avvocati giungono le mani in questo modo durante un
processo, mentre sta parlando il loro testimone, il racconto di quest’ultimo viene percepito come più
affidabile dagli ascoltatori. L’avvocato mostra di essere così sicuro del testimone che anche gli altri
in aula lo prendono sul serio.
Quando qualcuno fa questo gesto, significa che si tratta di una persona difficile da battere.
Tuttavia, presta attenzione a cosa succede alle sue mani mentre parla. Se all’improvviso le dita si
intrecciano e si flettono come in preghiera, il segnale di status elevato è stato sostituito da uno di
status inferiore. Serrare le mani in quel modo è spesso indice di insicurezza e dubbio, come se si
tentasse di diminuire lo spazio fisico occupato. I palmi accostati sono anche un gesto consolatorio,
come vedremo nella tecnica 3.18. Comunque, tieni ben d’occhio anche i pollici. Se le mani
intrecciate hanno i pollici accostati in maniera rilassata o puntati verso l’alto, significa che la
persona in questione ha comunque un’elevata autostima e si sente a proprio agio nella situazione. Ma
se i pollici iniziano a scomparire dietro le mani, o se queste sono molto tese, è segno che non crede
più a quel che sta dicendo. Non è raro che le mani passino da una posizione di sicurezza a una di
dubbio nel corso di una conversazione. Il che fornisce un ottimo indizio degli argomenti di cui è più o
meno convinto.
Come avrai compreso, la «piramide» formata con le mani è un gesto molto potente con cui si può
trasmettere importanza e credibilità a quel che si dice, o anche a quel che dicono gli altri. Dunque,
non usarlo quando parla il tuo avversario! Scoprirai anche che, utilizzandolo, incontrerai molto meno
obiezioni. L’effetto inconscio, infatti, è così forte che opporre resistenza diventa molto più faticoso.
C’è persino il rischio di essere considerato prepotente se questo gesto è accompagnato da altri
segnali di autorità. Per cui, è meglio associarvi un atteggiamento umile e cortese. Ricorda, inoltre,
che funziona solo nel caso in cui sia ben visibile. Per cui non tenere le mani in grembo o all’altezza
della vita, ma sollevale in modo che tutti le vedano.
Lascia che il tuo avversario si spacchi la gola a furia di urlare. Per mostrarti sicuro di te e
spingere gli altri a ritenerti autorevole, ti basterà un gesto delle mani.

VITA EXTRA!

Di solito, è sempre interessante vedere quel che la gente fa con i pollici. Un gesto comune è infilarli
in tasca con le altre dita che penzolano fuori. Alzati e provaci: ti accorgerai che le spalle si
abbassano. Di solito, si tratta di un segnale di status basso, usato da chi non ha molta fiducia in sé
stesso. Probabilmente avrai percepito una sensazione di indolenza in tutto il corpo. Forse ti sarai
accorto che è la posizione che assumi quando sei molto rilassato. Il che sembra contraddire quel che
ho appena detto: essere rilassati e non credere in sé stessi non sono proprio la stessa cosa. Questo è
certamente vero, eppure scommetto che non ti sei sentito esattamente «carico» assumendo questa
posizione. È come se qualcuno ti avesse spento l’interruttore. Per riuscire ad agire (e le azioni
aumentano lo status) è meglio cambiare postura – e sfilare i pollici dalle tasche.
1.15. STATUS SOTTO CONTROLLO

Ci sono vari modi per convincere gli altri ad attribuirti uno status elevato e, quindi, anche potere. Per
qualche ragione attribuiamo uno status più elevato a chi non si muove troppo. Ora, non mi riferisco a
chi è pigro o ritiene il massimo dell’azione stare sul divano a guardare un film in tv; intendo chi non
compie gesti troppo ampi.
Ci possono essere diverse ragioni per questo, per esempio che chi ha uno status elevato possiede
tutto ciò di cui ha bisogno e, storicamente, ha sempre avuto chi gli portava quel che desiderava. Tali
individui sono di solito protetti dal branco e dunque non devono combattere per la propria
sopravvivenza. Oppure sono così pericolosi e forti che non hanno problemi a mostrarsi indifesi.
Quando Michael Caine stava provando un ruolo da gangster rispettato, comprese che il modo
migliore di intimorire gli altri era parlare con calma e in modo razionale, mantenendo il contatto
visivo e non chiudendo le palpebre. In questo modo anche la frase più banale assumeva un tono
minaccioso: «Lo sai che mi piaci. Davvero».
Le cause non sono poi così importanti; ma è un fatto che associamo un comportamento concentrato,
con movimenti meno ampi e più decisi, a uno status più elevato.

Ora, non voglio sostenere che comportarsi da capobranco sia sempre l’alternativa migliore. A
volte può essere utile assumere uno status differente, per esempio durante una riunione con un capo
che tende a prevaricare. In tal caso è meglio mostrarsi sottomessi e condurre il gioco del potere in
maniera più discreta. Ma nelle situazioni in cui è conveniente esibire uno status elevato è meglio
ricordare alcune cose.

Uno status elevato significa calma, sicurezza e autostima; uno status inferiore comporta
nervosismo, inquietudine e agitazione.
Chi ha uno status elevato è attento e agisce come se tutto fosse programmato e già previsto; chi ha
uno status inferiore reagisce con sorpresa e incertezza, ed è evidentemente preoccupato delle
possibili conseguenze.
Chi ha uno status elevato sostiene il contatto visivo e dà l’impressione di chiudere raramente gli
occhi (ovviamente, senza assumere un’aria da maniaco); chi ha uno status inferiore chiude spesso
gli occhi ed esplora costantemente l’ambiente con lo sguardo per scovare eventuali pericoli.
Chi ha uno status elevato si muove solo quando è necessario, e lo fa con calma e decisione; chi ha
uno status inferiore è in costante movimento, e in maniera incontrollata.

Muovendoti nella maniera giusta, spingerai gli altri ad accordarti automaticamente la credibilità e
il potere che li convincerai di avere.

VITA EXTRA!
Un buon modo per abituarti a movimenti più concentrati e calmi è cercare di fare il minor rumore
possibile. Non significa che ti debba sempre muovere con fare felino – in alcuni casi può essere
un’ottima idea ma a una riunione di lavoro potrebbe risultare strano. Ma non metterti a giocare con le
chiavi. Non dondolarti su una sedia cigolante. Provando a fare meno rumore possibile ti costringerai
a muoverti in maniera elegante, evitando ogni gesto superfluo. Il che ti sarà di grande aiuto quando
vorrai mostrarti persuasivo.

1.16 ARIA BUONA E ARIA VIZIATA

Io stesso utilizzo molte delle tecniche di questo libro, ma questa mi fa sempre venire da sorridere
come un ebete. È una combinazione di tutto quello che mi interessa di più: la comprensione dei
processi cerebrali, il linguaggio del corpo e... (un attimo di suspense)... la pantomima. E non mi
riferisco a quei mimi che si incontrano dovunque nelle strade e nelle piazze, ma a quel tipo di teatro
in cui ogni gesto è minuziosamente coreografato. I giapponesi se ne intendono.

È una tecnica abbastanza complicata, dunque è meglio spiegare le diverse tessere del puzzle una
per volta, prima di metterle insieme.
1a tessera. Grazie alla conformazione del cervello, le emozioni negative sono scatenate
solitamente dall’emisfero destro, mentre quelle positive dal sinistro. Poiché l’emisfero sinistro
controlla la parte destra del corpo, ciò che si trova alla tua destra verrà più facilmente associato a
emozioni positive rispetto a ciò che sta a sinistra. È una circostanza documentata: in generale
tendiamo ad apprezzare maggiormente quel che troviamo alla nostra destra. (Ovviamente, ciò può
anche dipendere dal fatto che la maggior parte della popolazione mondiale è destrorsa.)
2a tessera. È possibile attribuire ai diversi punti di una stanza (di una scrivania o di un prato)
emozioni positive o negative, associandoli attivamente con valori positivi o negativi. Se ti capita di
trovarti nelle vicinanze della macchinetta Nespresso ogni volta che parli di cose che ti piacciono e ti
portano vantaggi, mentre stai sempre vicino al frigo quando parli di cose che detesti e che è meglio
evitare, il tuo interlocutore inizierà ad associare, in maniera inconscia, i due luoghi con sensazioni
rispettivamente positive (la macchina del caffè) e negative (il frigo).
3a tessera. Quando uno stimolo esterno, per esempio la tua presenza in un punto specifico, viene
associata a un’emozione, basta che lo stimolo venga attivato (mettendoti in quel punto) per ridestare
quell’emozione. Ciò significa che non è più necessario parlare di cose belle vicino alla macchina del
caffè; scatenerai comunque emozioni positive semplicemente mettendoti in quella posizione.

Ora possiamo ricomporre il puzzle, ricorrendo a un esempio pratico. Facciamo finta che tu debba
tenere una presentazione per parlare dei vantaggi e degli svantaggi di un nuovo metodo di lavoro che
desideri davvero venga adottato. Quindi, quando parlerai degli aspetti positivi, avrai cura di
avvicinarti alla posizione A, che si troverà nella parte destra della sala rispetto agli ascoltatori, in
modo che fin dall’inizio abbiano un atteggiamento più positivo (vedi la 1a tessera). Quando parlerai
degli svantaggi e delle conseguenze negative che ci saranno se quel metodo non verrà adottato ti
metterai invece nella posizione B, qualche metro più a sinistra di A (di nuovo, rispetto agli
ascoltatori). Spostandoti tra A e B mentre parli di vantaggi e svantaggi, gli ascoltatori assoceranno i
due punti con atteggiamenti positivi e negativi (vedi la 2a tessera).
Quando poi gli ascoltatori dovranno decidere se adottare il nuovo metodo o meno, tornerai nella
posizione A. Il punto positivo. In questo modo, ricorderai loro tutte le associazioni positive, senza
bisogno di dire alcunché (3a tessera). Avvertiranno una piacevole sensazione fisica, più efficace di
qualsiasi argomento razionale. E ovviamente vorranno fare quel che li fa sentire bene – cioè,
accogliere la tua proposta.

In più, ti troverai nella posizione ideale per rispondere a domande e obiezioni in maniera elegante.
Immaginiamo che qualcuno ti chieda perché non usare un terzo metodo. Invece di spiegare quali siano
le problematiche, potrai addirittura mostrarti neutrale, o persino cautamente favorevole: «Il metodo
che suggerisci ovviamente è un’ulteriore possibilità, e può comportare alcuni vantaggi. Forse
dovremmo ritornarci. Tuttavia, sono convinto che la cosa importante sia trovare una strategia che ci
aiuti a proseguire il lavoro nella maniera più efficace possibile».
Mentre pronunci le prime frasi, spostati fino al punto B. Senza bisogno che tu dica altro, gli
ascoltatori si sentiranno istintivamente contrari alla nuova proposta, solo perché ti trovi nel posto
«sbagliato». Mentre pronunci l’ultima frase, a proposito della «strategia che ci aiuti a proseguire il
lavoro», torna nel punto A. Tutti capiranno quale metodo sia il migliore.
Il bello è che non devi imparare nulla di nuovo per usare questa tecnica. Infatti, non avevi certo
pensato di stare sempre fermo nello stesso posto durante la presentazione?

Ora che hai compreso il principio, alcuni commenti: ho descritto la tecnica in maniera
semplificata. Non sempre capita di parlare di cose negative o positive, spesso si affrontano anche
argomenti neutri. Per usare questa tecnica dovrai anche badare ad avere una «posizione di partenza»
neutra. Chiamiamola X. Il punto A si trova a destra di X (rispetto a chi ti guarda) e il punto B a
sinistra. Parti sempre da X. Forse sarà qui che terrai la maggior parte della presentazione. Ma
spostati verso A o B non appena ricorrerai a valutazioni positive o negative.
È ovvio che non sempre avrai molto spazio per muoverti. L’esempio con i due (o tre) punti era
solo per chiarezza. Ma la tecnica della localizzazione dei valori può essere usata in modi diversi.
Per esempio, puoi fare come Barack Obama e usare la mia variante preferita – mimare con le mani
due invisibili «scatole dei valori». Quando parli delle cose positive, gesticola attorno a un punto alla
destra del tuo corpo (rispetto a chi ti osserva), tenendo le mani parallele a una distanza di circa venti
centimetri, come se reggessi una cassetta. Quando parli delle cose negative, tieni le mani dall’altra
parte. Dopo aver creato la scatola positiva e quella negativa, puoi spingere gli ascoltatori a provare
sentimenti piacevoli o spiacevoli semplicemente indicando la giusta porzione d’aria. Dovrai solo
stare attento a tenere le due scatole sempre nello stesso punto. Se inizierai a gesticolare a casaccio,
indicando altezze e distanze ogni volta diverse, l’associazione non sarà altrettanto evidente e
l’ancoraggio emotivo sarà molto più debole.
Allo stesso modo potrai caricare gli oggetti sulla scrivania, semplicemente sfiorando qualcosa alla
tua destra o alla tua sinistra in corrispondenza delle considerazioni emotivamente più intense. Poi,
per sollecitare una precisa emozione, ti basterà afferrare l’oggetto giusto.

La tecnica di «caricare» punti o oggetti con sentimenti e valori è antica e molto usata. Ma oggi
sembra che in pochi la conoscano. È un peccato – o meglio, è una fortuna per te. Soprattutto visto che
è molto semplice da usare e non interferisce troppo con quel che nel frattempo devi dire a parole. In
più, combinando questa tecnica con i trucchi verbali della prossima sezione, ti sentirai come Obi-
Wan Kenobi davanti allo stormtrooper di Mos Eisley.

VITA EXTRA!

Tieni a mente che alcuni usano questa tecnica senza saperlo. Se durante una discussone si arriva a un
blocco, o se la conversazione prende una piega negativa, fai in modo che l’altro cambi posizione.
Può darsi il caso che abbia creato, inconsapevolmente, uno «spazio negativo» e che debba spostarsi
per riuscire a formulare pensieri più positivi!

Missione Compiuta
Creatore di verità

2. Non conosci la tua stessa mente!


Stay a while and listen!3
Deckard Cain, dal videogame Diablo II

Le parole sono magiche. Persino le più semplici, come «formaggio», a volte mettono in moto
complesse catene di pensieri e associazioni nel cervello. Può tornare alla mente l’esperienza
sensoriale di un gusto, un colore o una consistenza. Possono riemergere ricordi, come la visita a un
caseificio. Oppure potrai ricordarti la crosta compatta di un Machegon, accompagnato da un
bicchiere di vino, che hai assaggiato con la persona che amavi. Nel frattempo, ti viene in mente che il
formaggio grattugiato in frigo è finito e che ne devi comprare dell’altro. Questi pensieri evocano poi
altre associazioni. Inizi a riflettere sulla lista della spesa, ti domandi cosa stia facendo ora quella
persona con cui hai assaggiato il formaggio, e se devi ricaricare il telefono. Forse, nel frattempo,
inizi a provare anche alcune emozioni. Una punta di malinconia per quella relazione finita così
presto, e una lieve nausea, perché il gusto del formaggio mal si accompagna con il caffè che stai
bevendo. Questi pensieri e associazioni saranno più o meno intensi, e tu ne sarai più o meno
consapevole. Ma non solo esistono: a loro volta conducono ancora più lontano.
Tutto questo grazie a una manciata di lettere che indica un prodotto caseario.

Raramente riflettiamo sulle associazioni nascoste che le parole portano con sé. Per questo capita
spesso di usare parole che in apparenza sono sinonimi ma che suscitano reazioni sorprendentemente
differenti nell’interlocutore. Come reagisci alle parole «cambiamento climatico» rispetto a
«riscaldamento globale»? Scommetto che la seconda opzione suona molto più funesta. Ma entrambe
si riferiscono al medesimo fenomeno. Ciononostante, nell’arena politica si parla sempre meno di
«riscaldamento globale». Trasmetteva vibrazioni troppo negative. (Il «cambiamento climatico»,
invece, è argomento di discussione fin dagli anni Cinquanta.)
Se saprai riconoscere le parole più intense, ti sarà più facile spingere gli altri ad ascoltare te e non
qualcun altro.

Il Gioco del potere è un processo intricato in cui ogni partecipante è coinvolto nella stessa misura.
È anzi indispensabile che anche gli altri partecipino attivamente. I trucchi linguistici del gioco
servono a teletrasportare i tuoi pensieri nella testa degli altri senza che se ne accorgano. Ci sono
parole ed espressioni speciali che danno il via a interessanti catene di pensieri nell’interlocutore, e
che hanno effetti notevoli quando vengono usate. Noterai che spesso basta gettare un seme perché il
resto venga da sé. Lascia che l’interlocutore si prenda il merito della sua ultima «intuizione». Non
importa che, fin dall’inizio, sia stata solo tua. Se crede di agire in base a un’idea tutta sua, tanto
meglio.
Tutto questo può ricordarti un po’ un film di fantascienza. Ma non è necessario trasformare i tuoi
interlocutori in replicanti perché condividano i tuoi progetti. Non dovrai far altro che... parlare con
loro.

2.1. Crea più parole per lo stesso concetto


Prima di sfruttare la magia delle parole, ti serve una lingua con cui eseguire i tuoi trucchi. C’è un
collegamento diretto tra la ricchezza del vocabolario e la capacità di ottenere quel che si vuole nella
vita. Chi ha un vocabolario vasto è considerato più creativo e intelligente, trova più facilmente
lavoro, ottiene aumenti più consistenti ed è in generale trattato con maggiore serietà. In altre parole,
ci guadagnerai sempre ad ampliare il tuo vocabolario. Non prenderla come un attacco personale.
Persino un vocabolario ricco come il tuo può essere arricchito ancor di più.
Per fortuna, è meno faticoso di quanto possa sembrare. Difatti, la differenza tra un vocabolario
considerato limitato e uno ritenuto considerevole solitamente è di circa cinquanta parole. Per darti
un’idea dell’ordine di grandezza, posso dirti che nella frase precedente c’erano diciotto parole –
mentre in questa diciannove.
Non sto dicendo che devi imparare cinquanta parole in cui finora non ti sei mai imbattuto. Né è
necessario cercare parole con significati del tutto nuovi: probabilmente non esistono cinquanta
argomenti di conversazione che non hai mai affrontato solo perché non avevi le parole per farlo. La
maggior parte delle cinquanta parole nuove saranno infatti sinonimi di parole che conosci già.
Procurati un dizionario o cerca su Internet, e prendi l’abitudine di imparare, ogni giorno, due
sinonimi di una parola che già conosci. Potrai imbatterti in sinonimi che già conosci ma che
raramente usi, come è capitato a me poco fa, quando mi serviva un sinonimo di «ampio» nel
paragrafo iniziale (ho scelto «considerevole»). Per esempio, va benissimo dire «favoloso» invece di
«fantastico».
Oppure ti capiterà di imparare parole del tutto nuove, il che può essere molto divertente. Lo sapevi
che «prontuario» è sinonimo di «manuale»?

La cosa importante è iniziare a usare queste parole nuove. Alcune potranno sembrarti strane: forse
non sei tipo da dire «favoloso». Potrai eliminare le parole che ti danno fastidio, e sceglierne altre.
Se farai come ti ho suggerito e imparerai una parola nuova al giorno, ti ci vorrà appena un mese e
mezzo per elevarti dalla tua attuale posizione fino a entrare a far parte dell’élite intellettuale – e
guadagnarti stima e rispetto adeguati (per non parlare dello stipendio).

2.2. INIZIA DALLA PARTE GIUSTA

Ci fa piacere che gli altri siano d’accordo con noi. Non c’è nulla di strano. Se gli altri sono
d’accordo con noi significa che ci accettano, ed essere accettati è fondamentale. Se non ci danno
ragione rischiamo di venire allontanati dalla comunità. È ovvio che, razionalmente, sappiamo che
nessuno ci dirà: «Non puoi più stare con noi!» solo perché ci troviamo in disaccordo. A meno che
non abbia dodici anni. Ma il riflesso psicologico per cui condividere le stesse idee ci sembra
necessario per essere accettati continua ad agire molto dopo la fine delle scuole medie.
Questo meccanismo è così forte che non solo ci sentiamo accolti quando gli altri ci danno ragione,
ma ci piace molto di più chi è d’accordo con noi. E, ovviamente, siamo più portati a dare retta alle
persone che ci piacciono.
Se desideri che un cliente o un collega (o la tua futura dolce metà) accetti qualcosa, sarà meglio
fare in modo di piacergli. Non importa che tu voglia vendergli un telefono o fargli cambiare idea.
Dandogli ragione lo renderai più ricettivo a ciò che hai da dire. Lascia che per prima cosa dia voce
alle proprie idee, per esempio che dica che il telefono gli sembra caro o che una certa persona pare
molto egocentrica, e inizia la tua risposta dicendo: «Sono d’accordo con te/Lei». So che può
sembrare una mossa da ipocriti, ma continua a leggere. Subito dopo fai una pausa di un secondo in
modo che comprenda che gli hai dato ragione. Poi, spiega quel che vuoi fargli credere:
«Sono d’accordo con Lei: l’iPhone 5 è molto costoso... E ciò significa che è un prodotto di
qualità.»
«Sono d’accordo con te: Fexeus si dà un mucchio di arie nell’introduzione... Per questo è
necessario leggere attentamente tutto il libro per vedere se ha ragione.»

Ma che succede se in realtà non sei affatto d’accordo con l’interlocutore? Nessun problema. Puoi
anche non essere troppo preciso su cosa ti trova d’accordo. C’è quasi sempre un qualche aspetto di
ciò che viene detto con cui puoi concordare, anche se non tutto ti convince:
«Sono d’accordo con quel che hai detto... E per questo...»
«Sono molto d’accordo con alcune delle cose che hai detto... E inoltre...»
«Sono totalmente d’accordo su quel dettaglio... Il che significa...»
Oppure, basta soltanto:
«Sono abbastanza d’accordo, e...»
Non voglio dire che le parole «sono d’accordo» spingano immediatamente tutti ad amarti e ad
accettare tutto quello che dici. Ma sono un ottimo inizio, specialmente perché otterrai dei risultati
quasi senza alcuno sforzo.

I trucchi verbali funzionano come dei power-up. Più ne usi, maggiore sarà l’effetto. E chiunque
abbia giocato a R-Type o a Espgaluda sa che è assolutamente indispensabile usare ogni power-up
disponibile quando arriva il momento dello scontro finale.

2.3. E INVECE DI MA

Nel trucco precedente, a dire il vero, hai usato una tecnica doppia senza saperlo. La parte «nascosta»
funziona egregiamente anche in molte altre situazioni. Dai un’altra occhiata alla frase del testo
precedente: «Sono d’accordo con lei: l’iPhone 5 è molto costoso e ciò significa che è un prodotto di
qualità».
Normalmente, non diresti proprio così. Piuttosto diresti: «Sono d’accordo con lei: l’iPhone 5 è
molto caro, ma ciò significa che è un prodotto di qualità».
Noti la differenza? Perché questa formula funzioni è necessario usare la parola «e» per unire le
due affermazioni. Mai usare «ma». In questi contesti può essere pericolosissimo. «E» implica che
qualunque cosa segua sia una conseguenza naturale di quel che è stato detto prima: ho fame e voglio
mangiare. «Ma» implica invece che quel che segue contraddica, o smorzi, ciò che è stato detto prima:
Ho fame ma non voglio mangiare.
In questo trucco, in altre parole, non solo ti dici d’accordo con l’interlocutore, ma fai in modo che
la tua affermazione sembri conseguenza diretta dell’idea che condividi. Ecco alcuni esempi pratici:
«Sono d’accordo che... e infatti....»
«Sono d’accordo che... e in più....»
«Sono d’accordo che... e ciò significa che....»
«Sono d’accordo che... e quindi....»
«Sono d’accordo che... e vorrei aggiungere che....»

Il collegamento creato da «e» è così forte che non è necessario che le due affermazioni siano
logicamente conseguenti. Abbiamo detto: «Sono d’accordo con lei: l’iPhone 5 è molto costoso e ciò
significa che è un prodotto di qualità». Non è affatto scontato che un prodotto sia buono solo perché è
caro. Ma «e» lascia intendere che ci sia un rapporto di causa-effetto tra le due affermazioni. Come ti
sarai accorto, ti è bastato leggere una breve descrizione di questo processo e già hai capito cosa
intendo.
(A dire il vero, naturalmente non c’è alcuna prova del fatto che leggere una descrizione ti faccia
comprendere il messaggio. C’è soltanto la parola «e».)
Tutto questo può essere usato in un trucco che ricorda la tecnica del dirsi d’accordo; in questo
caso però non è necessario che l’interlocutore abbia detto qualcosa da condividere. Facciamo finta
che tu sia dell’idea Y. Sai che non si tratta di un’opinione molto popolare. Invece, sai che l’idea X è
molto apprezzata. Allora parti da X, un’idea che sai che gli altri condivideranno, per poi unirla a Y
secondo questo schema: «È importante che X. E quindi Y». È uno stratagemma molto comune nella
retorica politica. Ecco un esempio:
Partito giallo: «Riteniamo che la cura degli anziani sia importante e quindi vogliamo alzare le
tasse.»
Partito viola: «Anche noi riteniamo che la cura degli anziani sia importante e quindi vogliamo
abbassare le tasse.»
I partiti hanno due programmi molto diversi. I gialli vogliono trasferire più risorse alle strutture
statali, i viola vogliono aprire le porte a numerosi attori privati. Entrambi tuttavia hanno preso le
proprie opinioni e, usando proprio la parola «e», le hanno legate allo stesso obiettivo: la cura degli
anziani. Un obiettivo che molti di noi ritengono importante. Guarda invece qual è l’effetto sostituendo
la parola «e»:
«Anche noi riteniamo che la cura degli anziani sia importante ma vogliamo abbassare le tasse.»
Ahi. Così non si raccolgono molti voti.

Questa tecnica ovviamente può essere utilizzata in moltissimi contesti, non solo nella politica.
«L’intera azienda dipende dal risultato di questo progetto e perciò non dobbiamo fissarci sulle
cifre. Dobbiamo invece mirare all’obiettivo.»
«Credo sia importante che ci rispettiamo l’un l’altro e perciò dovresti toglierti tutti i vestiti, così
potremo conoscerci meglio.»
Oppure, per un effetto ancora più intenso, in combinazione col «sono d’accordo»:
«Sono d’accordo, le cose non sono andate come ci aspettavamo e perciò ritengo che non possiamo
chiuderla qui.»
«Sono d’accordo, questo lavoro è necessario, e perciò ritengo che si debba aspettare finché non
saremo in grado di eseguirlo nel modo migliore.»
Un’altra parola chiave in questi esempi è «perciò». Indica che quel che viene dopo «e» non solo è
connesso a ciò che viene prima, ma ne è proprio una diretta conseguenza. Riprendiamo l’ultimo
esempio: «Sono d’accordo, questo lavoro è necessario, e perciò ritengo che si debba aspettare finché
non saremo in grado di eseguirlo nel modo migliore».
Se proviamo a eliminare «perciò» il risultato diventa molto meno convincente:
«Sono d’accordo, questo lavoro è necessario, e ritengo che si debba aspettare finché non saremo
in grado di eseguirlo nel modo migliore.»
Rileggi gli esempi precedenti: ti accorgerai che «perciò» è sempre presente, o almeno sottinteso.

Una variazione di «e perciò» è l’espressione «e ciò significa». Anche questa comporta una
relazione di causa-effetto. Con «perciò» diciamo «X e perciò Y»: «Ho fame e perciò mangio».
L’espressione «e ciò significa» funziona al contrario, «Y, e ciò significa X»: «Mangio, e ciò significa
che ho fame». Può sembrare che voglia spaccare il capello in quattro, ma questo modo di esprimersi
è spesso percepito come più morbido. D’altronde, la curiosità ti ha spinto a leggere questo libro, e
ciò significa che sei una persona intelligente, interessata ad apprendere ogni minima sfumatura.
L’hai notato?
Riproviamo.
La tua curiosità ti ha spinto a leggere questo libro e ciò significa che sei una persona molto
intelligente, il che a sua volta significa che comprendi quanto sia importante imparare ancora di più
seguendo un corso di una settimana sul Gioco del potere e perciò dovresti iscriverti al più presto,
prima che i posti finiscano.
Ti ho convinto? E-ciò-significa, il-che-significa, e-perciò. Con, in più, l’esortazione ad agire
subito perché è quel che tutti sembrano fare. Facilissimo.

2.4. IL VALORE DI UN MA

Come ormai sai, «ma» crea un’opposizione mentre «e» unisce. Un’ulteriore funzione è che «e»
aggiunge un’idea alle precedenti mentre «ma» cancella ciò che è stato detto. «Ma» funziona un po’
come il tasto backspace sul computer. Se qualcuno ti dice: «Hai scritto un’ottima relazione, ma...»,
non sei più così convinto che sia davvero buona. Invece, ti attendi una critica: «Hai scritto un’ottima
relazione, ma molti dati sono errati».
È un modo molto comune di esprimersi. Il capo probabilmente ha imparato che è importante
iniziare con un commento positivo per catturare l’attenzione e creare un’atmosfera rilassata, prima
che venga il momento di rivelare quali siano le sue vere intenzioni. Purtroppo non sa che tu sei molto
più furbo di lui – inconsciamente hai imparato benissimo a riconoscere il trucco. Forse sei
addirittura arrivato al punto che, ogni volta che senti un commento positivo, ti aspetti che sia seguito
dalla tremenda parola «ma».

Ciò ha ovviamente conseguenze anche per il tuo modo di esprimerti. Non intendo dire che tu non
debba usare mai la parola «ma». Solo, devi farlo nel modo giusto. Puoi usare la funzione Cancella di
«ma» per esprimere un’osservazione critica proprio come il tuo capo ma allo stesso tempo creare un
atteggiamento molto più positivo nell’interlocutore, cambiando l’ordine di quel che dici! Dovrai
iniziare con la critica o il commento negativo che normalmente segue la parola «ma». Dopo «ma»
dirai le cose positive che di solito sarebbero venute all’inizio. Più o meno così: «Senti, ti sono
sfuggiti un bel po’ di errori nei dati della relazione ma è veramente scritta in maniera superba!»
È più facile accettare una critica espressa in questa maniera. Lasciando che il commento positivo
cancelli l’emozione negativa, è più facile ascoltare un rimprovero – anche se il contenuto è lo stesso
dell’espressione precedente. Il messaggio sui dati errati rimane. Ma lasci l’interlocutore con
un’emozione positiva invece di umiliarlo. In questo modo gli sarà più semplice riflettere sui dati
errati, poiché non avrà bisogno di mettersi sulla difensiva rifiutando la tua critica come ingiusta.
La stessa tecnica può essere usata in ogni situazione in cui devi comunicare un’informazione
negativa senza scatenare una spiacevole reazione emotiva. Invece di dire a tuo figlio: «Sai che nel
weekend puoi stare fuori quanto vuoi, ma stasera devi rimanere a casa», puoi invertire l’ordine e
dire: «Stasera non puoi uscire, ma nel weekend puoi restare fuori finché vuoi».
Non deludere la collega carina dicendole: «Ho davvero voglia di invitarti fuori a cena, ma stasera
ho un impegno», dille piuttosto: «Tipico, proprio stasera c’è stato un contrattempo, ma voglio
davvero invitarti fuori a cena».
E conserva la pace domestica evitando di dire: «Capisco che secondo te Il prigioniero con Patrick
McGoohan sia la serie televisiva migliore del mondo, ma io preferisco guardare LEXX», dì invece:
«Io preferisco guardare LEXX, ma capisco che secondo te Il prigioniero con Patrick McGoohan sia
la serie televisiva migliore del mondo».

Non è finita. Dato che sei davvero astuto, baderai a sviare l’attenzione da ciò che sai che
l’interlocutore non apprezzerà. Dopo aver espresso la tua idea, usa la parola «e» per avvicinarti a un
punto conclusivo e positivo.
«Stasera non puoi uscire, ma nel weekend puoi restare fuori finché vuoi e comunque è nel fine
settimana che ti diverti di più, non è vero?»
Se tuo figlio ha delle obiezioni al divieto, dovrà comunque prima rispondere alla domanda.
L’attenzione si sposta dall’informazione negativa alla risposta: «Sì, be’, certo...» Eventuali obiezioni
perderanno così di mordente, avendo già ammesso che il momento in cui si diverte di più è proprio
quello da te suggerito.
Può essere anche importante formulare la domanda facendo riferimento a un’esperienza, dato che
le esperienze ridestano delle emozioni, e un’emozione positiva mette l’interlocutore di buon umore.
Chiediti quale emozione provi la tua collega sentendo:
«Ho davvero voglia di invitarti fuori a cena, ma stasera ho un impegno.»
Sicuramente si sentirà delusa. Pensa invece a quale emozione può ridestare la frase seguente:
«Tipico, proprio stasera c’è stato un contrattempo, ma voglio davvero invitarti fuori a cena e che
ne dici se facciamo giovedì da Boca Grande? Ti ricordi quanto ci siamo divertiti l’ultima volta?»
Invece di deluderla per essere venuto meno a una promessa, le avrai trasmesso un’esperienza
piacevole, facendo per di più in modo che non veda l’ora di uscire con te. Niente male per una cena
annullata.

Il redattore che mi ha aiutato in questo libro, John, ha usato esattamente la stessa tecnica mentre
lavorava al manoscritto. John doveva comunicare all’editore, Adam, che era in ritardo con la lettura
del testo e che quindi era necessario rinviare una riunione. Ma non voleva che Adam si arrabbiasse.
Con un esempio magistrale di ciò che abbiamo appena detto, John si è espresso così:
«Non ho ancora finito di leggere tutto, ma è ottimo e non mi ci vorrà molto. Potremmo rinviare la
riunione in modo da essere entrambi preparati e ricreare quell’atmosfera magica che troviamo
sempre, non credi sia davvero eccezionale?»
John è riuscito a ottenere che la riunione venisse spostata e che Adam non vedesse l’ora di
collaborare di nuovo con lui. (Ma per favore, non dire nulla ad Adam.)

2.5. ANCORA SU CAUSA ED EFFETTO

Ogni nostra convinzione si fonda su una relazione di causa-effetto che ci è parso di intravedere.
Crediamo qualcosa per via di qualcos’altro. Crediamo alla forza di gravità perché gli oggetti cadono
al suolo. Crediamo che un accordo da cui entrambe le parti traggono un vantaggio sia il migliore
perché va a favore di ogni futura collaborazione. Crediamo di essere incapaci perché qualcuno così
ci ha detto. Crediamo in Dio perché... Be’, forse questa no. Ma hai capito il punto. Solitamente non
citiamo la causa in maniera così esplicita, ci concentriamo sull’effetto. Crediamo alla forza di
gravità, o in un accordo in cui tutti siano soddisfatti, punto. Ma c’è sempre una causa.

Nota che la ragione per cui pensiamo qualcosa non deve necessariamente essere vera; basta che ci
convinciamo che lo sia. Forse, nessuno ci ha mai detto che siamo degli incapaci: è soltanto quel che
ci è parso di sentire. E questo basta. Queste capriole mentali possono essere sfruttate per spingere gli
altri a fidarsi di noi. Nelle scienze naturali sappiamo che è la forza di attrazione di una massa a dar
luogo alla forza del peso. Quindi, un ricercatore in camice bianco come minimo si metterebbe a
ridere se gli dicessi che la ragione per cui credo alla gravità è che rido sempre quando vedo il cane
Droopy di Tex Avery. Ma nell’ambito della lingua non ci sono queste limitazioni. Lì, ogni effetto può
essere fatto risalire a una causa qualsivoglia. Per esempio, consideriamo questa frase: «Leggendo
questo libro capirai quanto ti può essere utile».
Suona vera e possibile. Ma qual è la causa, e quale l’effetto? L’effetto sembra essere che ti
accorgerai dell’utilità del libro. E la causa indicata è che tu lo legga. La ragione per cui ci sembra
probabile tuttavia è che la constatazione segue una logica puramente linguistica. Suona verosimile.
Letteralmente. Non ci dice nulla su come sia possibile, se veramente le cose stanno così. In questo
caso spero che sia vero, ma non è necessariamente così. Ci sono moltissime parole che possono
essere usate per affermare che esiste un legame di causa-effetto tra due affermazioni che in realtà non
hanno alcuna relazione. Parole come grazie a, che, poiché, far sì che, permette, prevede, conduce a,
inevitabilmente porta a, stimola, rende possibile, porterà a, nel momento in cui e determina
possono essere usate a questo scopo.
«Il lavoro sugli slogan dell’azienda fa sì che ora possiamo lavorare in maniera del tutto
differente.»
«La canzone ‘Brand New Day’ in Dr. Horrible’s Sing-Along-Blog mi ha permesso di credere di
nuovo in me stesso.»
Se ti fermi un istante a riflettere su come questa tecnica può essere usata nel quotidiano, capirai di
essere in grado di influenzare gli altri in modo molto più efficace di prima.
E se ancora non mi credi, rileggi la frase precedente. Convincente, no?

Perché non facciamo un passo in più? Se diciamo che X causa Y, per esempio che il sole ci
abbronza, ciò comporta che più X abbiamo, più Y otteniamo. Più sole prendiamo, più ci
abbronziamo. È logico. Ma non deve per forza essere vero. È ovvio che possiamo aumentare la
quantità di X senza che ciò conduca anche a un aumento di Y. Se la voglia di un Magnum al
cioccolato bianco e fragola è il motivo che ti spinge ad andare a comprare il gelato, non è detto che
ne comprerai due se la tua voglia aumenta. Magari vai matto per il gelato, ma hai soldi solo per
comprarne uno.
Il nostro cervello preferisce sempre ciò che sembra sensato. E più cause forniamo, più l’effetto
sembra una verità universale. È una giravolta mentale che, se usata nel modo giusto, rafforza
ulteriormente la verosimiglianza di ciò che si afferma.
Già nel trucco precedente abbiamo constatato che leggendo questo libro ti accorgerai di quanto è
utile. E più vai avanti a leggerlo, più scoprirai che soddisfa proprio i tuoi bisogni.
E più ti vien voglia di partire per un’avventura, più ti sbrigherai a chiamarmi.

Eh già, l’ho rifatto. Credibile e verosimile, non credi?

Quelli che si indicano come causa ed effetto possono in realtà essere l’esatto opposto. È utile
ricordarsene quando vuoi che qualcuno smetta di fare quel che fa.
«Continuare a pensare di fare affari con i nostri concorrenti non servirà ad altro che a farti capire
che è meglio lavorare con noi.»
Quando i tuoi clienti sentiranno una frase così assurda come questa, il loro cervello inizierà a
cercare un modo per renderla logica (e dunque vera). Partiranno dal presupposto che quel che hai
detto non è affatto contraddittorio, poiché le contraddizioni non sono un modo naturale di parlare.
Quindi cercheranno un modo per conciliare le due affermazioni e inizieranno a pensare a quanto sia
vantaggioso fare affari con te. Il che fa sì che scopriranno da soli gli argomenti necessari per
convincersi a collaborare con te.
Oppure, come dicevo sempre nel mio ultimo spettacolo Nella tua testa, chiedendo al pubblico di
intrecciare le dita: «Più cercherete di liberarle, più vi renderete conto che sono incastrate».
Sera dopo sera centinaia di persone si accorgevano, con un po’ di frustrazione, che all’improvviso
era impossibile riaprire le mani. Il loro cervello aveva scorto una causa e un effetto e li aveva resi
reali.

2.6. CONFUSO - O NO?

Al cervello non piace sentirsi confuso, dunque tende ad accettare la prima conclusione logica che fa
sparire la confusione. Per spingere qualcuno ad accettare un’affermazione senza obiezioni può
dunque essere utile cercare prima di confonderlo un po’ – usando l’apparentemente innocua parola
«o».
Immaginiamo che desideri che il tuo collega faccia qualcosa, per esempio che si sbrighi a
consegnare una relazione. Se gli dici che può «consegnare la relazione ora, o...», si aspetterà che ciò
che viene dopo «o» sia un’alternativa a quel che hai appena detto. Ora o più tardi. Oggi o domani. Se
invece ciò che segue è identico a ciò che viene prima, per esempio «ora o subito», gli causerai un bel
po’ di confusione mentale. Ciò striderà con la previsione fatta dal cervello sentendo la parola «o».
Ovviamente penserà anche che sei proprio meschino a dargli un simile ultimatum. Ma se formulerai
la richiesta in questo modo per poi continuare parlando di tutt’altro, di qualcosa che sia semplice da
comprendere – magari concludendo con una domanda – il suo cervello si concentrerà su ciò che ha
capito meglio. Per esempio, se dici: «È indispensabile che tu mi faccia avere la relazione prima di
pranzo o che la abbia quando uscirete per andare a mangiare – comunque spero che il lavoro sul
progetto vada bene. C’è qualcosa che posso fare per aiutarti?»
A questo punto il suo cervello penserà: «La prima cosa che ha detto era proprio strana, la lascio
da parte un attimo. Che hai detto poi... Ah sì, il progetto procede bene. Però mi piacerebbe poterne
discutere insieme. Allora rispondo: ‘Sì, sarebbe ottimo se riuscissimo a parlarne nel pomeriggio’».
La confusione iniziale è già stata dimenticata.

Questo è un ottimo metodo per far credere alla gente che abbia la possibilità di scegliere quando
invece non è così. Quel che hai detto non svanisce nel nulla. L’ordine di consegnare la relazione
immediatamente è ancora lì. Semplicemente, hai fatto in modo che il tuo collega non si accorgesse
di non avere altra scelta. Gli sembrerà che consegnare la relazione alla fine della mattinata sia una
sua decisione. In realtà, la parola «scelta» si è sedimentata nel suo inconscio come unica azione
possibile.
Può sembrare una tecnica molto complicata per spingere qualcuno a fare qualcosa che farebbe
comunque. Ed è vero. Ma quello della relazione era solo un esempio per spiegarti come funziona. La
tecnica infatti esiste per essere usata in circostanze in cui non è affatto scontato che l’altro agisca
come vuoi tu. È in casi simili che mostra tutta la sua forza: «Sono assolutamente convinto che, prima
di andarsene, avrà acquistato quest’aspirapolvere o avrà deciso di portarselo a casa. Resta solo da
decidere se sia più adatto quello rosso o quello nero. Lei cosa ne pensa?»
Non avrà scelta.

«O» ha fatto un ottimo lavoro, per essere una parolina a cui nessuno pensa mai! Immagino che tu
voglia usare questa tecnica per migliorare le tue capacità comunicative o per essere più convincente
quando parli con gli altri. Forse hai già iniziato a sperimentare alcune delle tecniche che hai imparato
finora. In tal caso avrai notato quanto sono efficaci e forse ti è venuta voglia di comprare subito tutti
gli altri miei libri, o magari hai pensato di comprarli uno per volta. L’importante è che impari quel
che desideri sapere – e spero che tu ci riesca.
(Migliorare le tue capacità comunicative è ovviamente la stessa cosa che risultare più convincente.
E per me non fa alcuna differenza che tu compri i miei libri ora o più avanti. L’importante è che li
compri.)

2.7. CI DIAMO DEL TU?


«Che effetto può avere questo su di me?» Questa domanda è la prima che ci facciamo quando
vediamo, sentiamo o sperimentiamo qualcosa. Ce la poniamo migliaia di volte al giorno senza
nemmeno pensarci. La seconda domanda è se abbiamo qualcosa da guadagnarci – e in tal caso che
cosa. Fai in modo da rispondere sempre a questa seconda domanda, anche se resta inespressa. Può
fare la differenza. Personalmente, mi piace ottenere il miglior risultato col minor sforzo possibile, un
rapporto molto evidente in questo trucco. Tutto dipende dalla posizione di due lettere: T e U.
Prova a usare la parola «tu» all’inizio di una frase il più spesso possibile. In tal modo metterai
l’altra persona e i suoi interessi al primo posto. Il che è un ottimo modo, per esempio, per chiedere
un favore. Diciamo che non hai voglia di andare a una riunione. Se dici: «Devo proprio andare alla
riunione?» sembra che ti importi solo di te stesso. La risposta che otterrai lo rifletterà: «Ogni tanto
forse dovresti pensare anche agli altri. E se tutti facessero come te?»
Se invece descrivi la stessa situazione dal punto di vista dell’altro e domandi: «Tu riusciresti a
cavartela alla riunione anche senza di me?» non si tratta della tua voglia o meno di partecipare. La
domanda invece è se l’altro riuscirà a cavarsela. Il più delle volte è così: «Nessun problema. Ci
penso io se tu non puoi venire».
E invece di dire: «Ho bisogno di aiuto», dirai: «Tu potresti aiutarmi?» La differenza, dal punto di
vista linguistico, è microscopica, ma quanto si tratta della ricezione mentale della domanda è gigante.
Nel primo caso non fai che constatare di aver bisogno di aiuto. Lasci l’iniziativa di fare qualcosa al
collega con cui stai parlando, che non è affatto incitato ad aiutarti. Nel secondo caso invece lo
costringerai a chiedersi se può aiutarti o meno. Se ne è in grado, lo farà volentieri, perché tende a
considerarsi (come fanno quasi tutti) una persona gentile e premurosa.
Questo vale sempre. Rendi più personale ogni dichiarazione spiegando come quel che dici abbia
effetto sulla persona con cui parli. Invece di «Ben fatto» puoi dire «Sei stato veramente bravo!»
Crea maggior coinvolgimento dicendo «Vedrai anche tu che il risultato sarà quello che ci
aspettiamo», invece di limitarti a: «Il risultato sarà quello che ci aspettiamo».
Non dire al capo: «C’è una riunione lunedì». Coinvolgilo personalmente dicendo: «Vieni anche tu
alla riunione lunedì?»

Finora abbiamo risposto alla prima domanda. Il passo successivo è occuparsi della seconda. Sii
esplicito a spiegare alla tua fidanzata cosa ci guadagnerà facendo quello che le chiedi. Se domandi:
«Stuart Gordon ha fatto un nuovo film che dev’essere bellissimo. Andiamo a vederlo venerdì?»
penserà: «Lui dice che dev’essere bellissimo. Ma a me piacerà?»
Se invece dici: «Ti piacerà tantissimo il nuovo film di Stuart Gordon! Venerdì andiamo a
vederlo!» le avrai già spiegato cos’ha da guadagnarci a vederlo: le piacerà tantissimo. Ovviamente
potrà ancora domandarsi, o domandare a te, perché il film dovrebbe piacerle così tanto. Ha una
sceneggiatura interessante, effetti speciali strabilianti, c’è anche Jeffrey Combs, o che altro? Ma fai
attenzione a cosa succede a questo punto. Ti sta chiedendo di aiutarla a consolidare l’idea che il film
le piacerà. Se veramente le possa piacere o no è già una domanda superata. Ora si tratta solo di
decidere perché le piacerà. Di solito, comunque, non ci sarà alcuna rimostranza. Se possibile
evitiamo di pensare troppo, poiché è faticoso. Avendo già pensato al posto suo, avendo deciso quale
sarà la sua opinione e avendole spiegato cos’ha da guadagnarci – una splendida esperienza – eviterà
di pensare troppo. Il che le va benissimo. Dopo tutto, siamo abituati fin da bambini a sentirci dire da
altri (per esempio adulti, insegnanti e autorità) cosa dobbiamo pensare e ricadiamo facilmente in
quest’abitudine.

Mostra di interessarti agli altri cominciando con la parola «tu» e spiega quale vantaggio abbiano
da trarre – in questo modo, per puro egoismo, si ritroveranno ad accondiscendere a ogni tuo minimo
capriccio.

VITA EXTRA!

La parola «tu» è anche la chiave per porre complimenti nel modo migliore. Il problema di un
complimento comune come: «Secondo me la tua giacca è fantastica!» è che, malgrado l’esclamazione
sottolinei una qualità positiva della giacca, i riflettori sono comunque puntati sulla persona che parla,
ed è la sua opinione che sta al centro. Invece della giacca. Questa può essere una delle ragioni per
cui a molti i complimenti non piacciono. Sanno che spesso un complimento non è che un modo di
mettersi al centro dell’attenzione.
L’efficacia di un complimento può essere moltiplicata prestando attenzione a che i riflettori siano
puntati sul destinatario. Di nuovo, bisogna iniziare con la parola «tu». Non dire: «Secondo me la tua
giacca è fantastica!» oppure «Mi pare che il tuo suggerimento sia azzeccatissimo!» Smettila di
parlare di te. Dì invece: «Ti sta davvero bene questa giacca». E: «Tu hai veramente colto nel segno
con la tua proposta!»

2.8. PIÙ STIAMO INSIEME

Poiché tutti vogliamo sentirci parte di qualcosa di più grande, l’idea di comunità è uno dei concetti
più utili che esistano. Per questo la parola «noi» va usata il più spesso possibile. Solitamente la
riserviamo alle persone che conosciamo, quelle con cui abbiamo rapporti stretti o un qualche tipo di
relazione, per esempio i famigliari o i colleghi di lavoro. Usando «noi» anche quando parliamo con
gli sconosciuti possiamo creare un senso di unità. Parrà loro che il rapporto che ci lega sia più intimo
di quanto non è in realtà e crederanno che stiamo «dalla stessa parte». Il che li spingerà a concederci
quello di cui abbiamo bisogno quando glielo chiederemo.
È quasi sempre possibile riorganizzare una frase in modo da usare il «noi». L’esempio più
semplice è un tipo di espressioni che già usiamo, senza saperlo. Scommetto che ti capita spesso di
dire «Che bel tempo che abbiamo oggi!» (Potresti dire: «Il tempo è diventato bello», ma non lo fai.)
Chi si intenda esattamente con questo «noi» non è importante spiegarlo. Nell’esempio qui sopra si
intende probabilmente «noi che ci troviamo nelle medesime condizioni meteorologiche». Ma in altre
situazioni può significare «noi di questo reparto», «noi che adoriamo Club-Mate» o semplicemente
«noi esseri umani». Il più delle volte non è necessario spiegare a chi ci si riferisca. L’impressione di
unità arriva comunque al destinatario.
Per cui non dire: «Il rapporto trimestrale sembra a posto». Dì piuttosto: «Il nostro rapporto
trimestrale sembra a posto.» Invece di: «Secondo te cosa comporta questo per l’azienda?» dì:
«Secondo te cosa comporta per noi?»
E in contesti più intimi, non dire: «Mi sembra una posizione un po’ scomoda». Dì invece: «Credi
che ci piacerà?»

2.9. L'ARTE DI ASCOLTARE

Una cosa che ti differenzia dal novantanove percento della popolazione è che sai quanto sia
importante ascoltare con attenzione. Se vuoi che gli altri ti diano potere devi ascoltare cos’hanno da
dire, come se fosse la cosa più importante al mondo. (E può anche darsi che lo sia.)
Tuttavia questo non è sufficiente: la cosa importante è far vedere di ascoltare attentamente.
Diversamente dal comune concetto del cosiddetto ascolto attivo, ciò non significa che basta infilare
nella conversazione di tanto in tanto qualche interiezione monosillabica per dimostrare di essere
attento a un discorso. Può sembrare importante buttar là un qualche «ah sì», «mmh», «oh davvero?»,
ma vorrei darti un avvertimento. Anche se mugoli regolarmente durante il racconto dell’altro, puoi
avere comunque un’aria disinteressata. Sarà capitato anche a te di parlare con qualcuno che faceva
«mmh» nei punti giusti ma che evidentemente non stava ascoltando una parola di quel che dicevi, e
continuava a scrivere la sua mail mentre gli parlavi:
«Ho pensato che la settimana prossima indosserò tutti i giorni una cuffietta.»
«Ah sì? Bene... Cavolo, si è bloccato il computer! Dicevi?»
«Niente.»

Per mostrare che t’importa di quel che l’altro prova a dire ci vuole di più di un «mmh». Usa frasi
complete e un tono interessato che dimostrino che stai davvero ascoltando. «Ci credo che hai reagito
così!», «Ma poi cos’è successo?», «È divertente e orribile allo stesso tempo!»
Fa’ sì che l’altro capisca che non solo l’ascolti, ma che soppesi ogni parola e ti lasci coinvolgere
dal suo racconto. Assumi un’aria curiosa e poni domande pertinenti. Fagli sentire che per te è
importante. Il che renderà te – e di conseguenza i tuoi desideri – importanti per lui.

VITA EXTRA!

L’ascolto attivo è considerato un’ottima strategia nelle negoziazioni, nella terapia e nel coaching. La
tecnica prevede che l’interlocutore ripeta quel che l’altro ha appena detto, cominciando: «Se ho
capito bene mi stai dicendo che...»
Ce ne occuperemo più approfonditamente nella tecnica 4.2 ma, in breve, la teoria sostiene che la
persona che parla proverà maggiore empatia verso chi l’ascolta, poiché ci piacciono coloro che si
sforzano di starci a sentire e di capirci; in più, dà a chi parla l’opportunità di modificare il proprio
racconto se si accorge che l’interlocutore non ha compreso qualcosa.
Tuttavia ci sono ricerche che indicano risultati opposti, che mostrano come l’ascolto attivo non
abbia necessariamente effetto, per esempio nelle relazioni matrimoniali. In alcuni casi peggiora
addirittura le cose. D’altro canto ci sono prove di risultati positivi in contesti differenti. Per questo è
utile che, oltre all’ascolto attivo, venga usato anche uno sguardo attivo. Specialmente quando si tratta
delle espressioni facciali dell’altro. Quando durante una discussione dici «Se ho capito bene mi stai
dicendo che...», guarda attentamente la bocca e il naso dell’altro. Se vedi un rapido corrugamento del
naso, o ti accorgi che un angolo del labbro superiore si solleva un poco, si tratta di un segnale
inconscio di fastidio per la tua strategia. (Prova a farlo davanti a uno specchio, se vuoi vedere che
aspetto ha il fastidio.) Se noti un’espressione simile cambia immediatamente tattica: passa a un’altra
forma di ascolto attivo oppure fa’ qualcosa di completamente diverso.

2.10. QUANDO NON HAI NIENTE DA DIRE

Persino i migliori ascoltatori non possono essere sempre al massimo della forma. A volte può essere
difficile trovare un commento che denoti empatia. E, detto tra noi, ci sono occasioni in cui è
veramente impossibile stare ad ascoltare con attenzione. Raramente chi ascolta è interessato tanto
quanto chi racconta. Spesso la gente dice cose che già conosci, e che hai sentito un mucchio di volte.
Così a volte spegni l’interruttore. Finché, all’improvviso, non ti accorgi che ci si aspetta che tu dica
qualcosa di intelligente ed empatico. E non ti viene in mente nulla.
Per fortuna, c’è un semplice trucco linguistico per uscire da quest’impasse: basta ripetere le ultime
parole che hai sentito. Così darai l’impressione di essere stato ad ascoltare e di essere coinvolto. In
più, c’è un meraviglioso effetto collaterale. L’interlocutore lo interpreterà come un invito a
raccontare di più o a spiegarsi meglio, di modo che la conversazione diventi più interessante
(secondo lui) senza che tu debba fare alcuno sforzo: l’altro continuerà a parlare di ciò che ritiene
importante. Un esempio concreto:
«Ieri ho mangiato così tante mele che mi è venuto mal di pancia.»
«Mal di pancia?»
«Sì, non avevo mai mangiato così tanto.»
«Non avevi mangiato?»
«Avevo mangiato qualcosa a colazione, ma poi ho avuto così tanto da fare.»
«Tanto da fare, hai detto?»
«Abbiamo varato la barca nuova.»
«Barca nuova?»
«Sì, non te l’ho detto? Abbiamo messo da parte i soldi per tre anni e ora finalmente...»
E così via. Comunque, raramente una conversazione riesce a mantenersi a lungo su un livello così
banale. Ripetere le parole dell’altro è in realtà un metodo consolidato per scoprirne le motivazioni
più riposte. Prendi per esempio il padre di famiglia che sta valutando una barca nuova. Al venditore
ha detto di volere qualcosa di sicuro per la famiglia ma nessuno dei modelli l’ha davvero colpito.
Alla fine il venditore cambia tattica. Invece di mostrargli altre barche adatte alla famiglia inizia a
ripetere quel che l’uomo dice:
«Mah, questa mi piace ma non so se è proprio quello che voglio.»
«Non è quello che vuole?»
«Be’, vorrei qualcosa che assomigli di più a me.»
«Di più a Lei?»
«Sì, qualcosa un po’ più veloce.»
«Più veloce?»
«Esatto. Come quelle barche sportive laggiù. Possiamo dare un’occhiata?»
Il fatto è che il papà non vuole affatto una barca sicura per la famiglia. Non nel suo inconscio.
Vuole qualcosa con cui identificarsi e navigare a tutta forza. Il problema è che non l’aveva chiaro
neppure lui stesso, per cui il venditore non è riuscito a mostrargli quello che voleva quando gli ha
chiesto delle barche adatte alla famiglia.

Ripetendo l’ultima cosa che l’altro dice, non solo mantieni il suo coinvolgimento nella
conversazione senza grandi sforzi. Gli dai anche la possibilità di spiegarsi più chiaramente e di
chiarire cosa intende davvero. Non sempre gli è chiaro fin dall’inizio. Ma per te è un’informazione
inestimabile, che tu venda barche o idee.

2.11. IL PUNTO DELLA QUESTIONE

A volte l’interlocutore si incarta in una serie di pensieri che non è esattamente quella che volevi. Tu e
il capo avete una discussione, e lui inizia a martellare su un punto che preferiresti evitare. Il tuo
cliente comincia a presentarti una serie di obiezioni mentre tu vorresti continuare a parlare dei lati
positivi del prodotto. Il consesso che ti trovi a presiedere inizia a discutere di argomenti che non
rientrano nell’ordine del giorno. La persona con cui stai flirtando non fa che parlare di come gli altri
colleghi si metteranno a sparlare di voi, mentre tu preferiresti discutere di dove andare a cena.
In situazioni come queste devi fare in modo da spostare i pensieri degli altri su un nuovo binario,
che sia più vantaggioso per te. Il modo più comune per farlo, che non va affatto bene, è dire:
«Dobbiamo parlarne proprio adesso?» oppure «Così non arriviamo da nessuna parte, è meglio
parlare d’altro». In questo modo non si fa altro che sembrare piccati, e svelare quali siano i nostri
reali interessi. Il modo migliore d’intervenire è attraverso un raffinato trucco linguistico. Sposta
l’attenzione da quel di cui state parlando a ciò di cui preferiresti discutere dicendo: «Il punto non è...
il punto è...»
«Il punto non è quali problemi dovremo fronteggiare, il punto è se puoi permetterti di rinunciare ai
vantaggi che sicuramente otterrai.»
«Il punto non è se sia caro o meno, il punto è se è quello che Lei desidera.»
«Il punto non è se la gente si metterà a sparlare, il punto è se stasera vuoi divertirti o meno.»

Con questa tecnica puoi persino spostare la conversazione da un argomento a un altro totalmente
differente, che non deve necessariamente essere legato al primo. Immaginiamo che io voglia
convincerti a comprare questo libro, che stai sfogliando in libreria, ma a te interessa di più il
programma del cinema. Due argomenti differenti. Ma se ci rifletti, ti accorgerai che il punto non è che
film vedere, il punto è come usare al meglio il tuo tempo libero. Capisco che tu voglia divertirti, me
il punto è se oltre allo svago potrai ottenere altro. Se oltre a svagarti puoi imparare tecniche utili a
spingere gli altri a ubbidirti, non è molto meglio? Il punto non è quanto tempo ci voglia, ma piuttosto
quando iniziare. Paghi ora o ti lascio il libro alla cassa?

2.12. ROMPERE GLI SCHEMI

Molte delle nostre azioni non sono che una serie programmata di atti eseguiti automaticamente.
Quando per esempio ci scambiamo una stretta di mano, solleviamo il braccio, lo stendiamo,
prendiamo la mano dell’altra persona, la guardiamo negli occhi, muoviamo la mano su e giù e
diciamo il nostro nome. Tutto questo accade senza dover riflettere su ogni singolo movimento.
Piuttosto, usiamo uno schema acquisito che il nostro cervello gestisce in maniera meccanica.
Questi schemi sono tanto ovvi che quando vengono infranti – se per esempio, nel salutare un
collega, prima stendi la mano e poi, al momento di stringere, non ti comporti come ci si aspetta – si
crea grande confusione. Il cervello ha bisogno di un po’ di tempo per accorgersi che il programma
automatico si è interrotto. Credeva di sapere cosa stava succedendo ma improvvisamente è accaduto
qualcosa di inatteso che l’ha lasciato spiazzato. Ora deve analizzare rapidamente la situazione per
decidere come comportarsi; inizia a cercare febbrilmente nuove istruzioni e, siccome sei stato tu a
rompere lo schema, si rivolgerà a te per capire come comportarsi. In quegli istanti, l’interlocutore si
trova in uno stato facilmente manipolabile ed è particolarmente sensibile alle suggestioni, cioè alle
idee e ai consigli che vuoi spingerlo ad accettare senza che li analizzi troppo a fondo.
Quel che proponi in questo momento deve essere comunque semplice e chiaro, come lasciarti
passare avanti in coda o invitarti a uno spettacolo. Non hai molto tempo per lanciare l’amo e stimoli
troppo complessi non faranno altro che aumentare la confusione, senza che l’interlocutore capisca
cosa stai chiedendo. Inoltre, è meglio se si tratta di qualcosa che l’altro sia in grado di accettare
senza troppe difficoltà. Non credo funzionerebbe granché bene se andassi dal tuo capo, lo salutassi in
maniera bizzarra e poi gli chiedessi di raddoppiarti lo stipendio. (Ma se vuoi provaci pure!) Invece,
puoi lanciare l’idea che vali di più di quanto guadagni. Ed è ottimo che il capo inizi a pensarci, in
vista delle prossime trattative sullo stipendio.
Può sembrare strano che rompere uno schema consueto possa avere effetti così macroscopici. Ma
ti basterà provarci per ricrederti. Funziona così bene che gli ipnotizzatori spesso si servono proprio
di una stretta di mano interrotta per indurre rapidamente qualcuno in uno stato ipnotico.

La stretta di mano, d’altronde, non è che un esempio. Dappertutto ci sono schemi da infrangere.
Alcuni sono universali, usati da tutti. Ma abbiamo anche una serie di schemi individuali. Se ti sei
accorto che la tua collega spegne il computer, riordina le carte sulla scrivania e mette a posto la
sedia sempre nello stesso ordine prima di lasciare l’ufficio, è chiaro che si tratta di un
comportamento automatico che, se venisse interrotto, la indurrebbe in confusione. Per esempio,
potresti spostare la sedia prima che sia lei a farlo. Mentre con la mano già tesa verso lo schienale
riflette su cosa fare, puoi afferrarle le dita, guardarla e dirle «Io e te ci divertiremo un mondo
insieme» – per poi lasciarle andare la mano e iniziare a parlare d’altro, per esempio di cosa fare nel
weekend.
Come in tutte le tecniche di manipolazione, bisogna evitare che il cervello dell’altro inizi a
ripercorrere ciò che è appena accaduto.

VITA EXTRA!

Questo tipo di schemi comportamentali esiste anche a un livello più generico. Se qualcuno è furioso
con te e minaccia di prenderti a ceffoni, possiamo considerare la relazione tra il suo stato emotivo
rabbioso e la successiva azione violenta come uno schema. Se non vuoi prenderle, devi
interromperlo. Un modo per rompere uno schema è iniziare a dire cose incomprensibili. Dire con
piglio convinto qualcosa completamente fuori contesto è come fare lo sgambetto al suo cervello.
Mentre questo cerca di ritrovare l’equilibrio, tu devi prendere il controllo della situazione e tentare
di distoglierlo dall’azione violenta.
«Bastardo, ora avrai quel che ti meriti...»
«Il mio gatto è morto a sette anni.»
«Eh?!?»
«Il mio gatto. Aveva sette anni quand’è morto.»
«Ma che stai dicendo?»
«Hai mai avuto un gatto?»
«Ma che c’entra?»
«Sette anni sono parecchi per un gatto. Molti vivono di meno.»
«... ... ...»
«Come te la passi ultimamente? Vuoi che ne parliamo un po’?»

2.13. SEGUIRE E GUIDARE

Suppongo che tu stia leggendo questo libro per prendere il controllo della tua vita, con tutto ciò che
questo comporta. In più, vuoi proteggerti dalle pressioni indesiderate. Ormai hai letto, e forse hai già
iniziato a usare, diverse strategie pratiche per farlo, il che significa che già adesso dovrebbe
sembrarti di avere maggior controllo di prima. Suppongo sia una sensazione piacevole. Ed è un fatto
positivo. Magari riesci persino a sentire come il controllo aumenti man mano che vai avanti a
leggere. Non so dove ti trovi in questo momento, se l’ambiente sia rumoroso o tranquillo. Tuttavia la
cosa più importante è la tua condizione interiore – che si rivoluzionerà completamente nel momento
in cui inizierai a comprendere come il Gioco del potere, se condotto nel modo giusto, può cambiare
la tua vita. Come avrai capito, funziona sia nella vita privata che sul lavoro.
Capisco che possa sentirti un po’ effervescente, come una bottiglia d’acqua frizzante ben agitata,
per via di tutte queste nuove conoscenze e queste nuove idee, e che abbia voglia di condividere tutto
con i tuoi conoscenti. In tal caso non hai che da regalar loro questo libro. Te ne saranno grati.
Ma prima che ne ordini venti copie su Amazon o Ibs, diamo un’occhiata a un trucco verbale che si
chiama seguire e guidare.

Seguire e guidare è un’altra tecnica presa in prestito dal meraviglioso mondo degli ipnotizzatori.
Quando devo condurre qualcuno in uno stato ipnotico, gran parte della fatica sta nel guidare la mia
vittima (volontaria) verso una condizione in cui non metta in questione me o quel che le suggerisco di
fare. Se dico: «Rilassati e scendi a fondo in te stesso», non voglio che mi risponda: «Non ci penso
nemmeno!» Mi serve che mi ubbidisca automaticamente. Ma il problema di un suggerimento (per
esempio, rilassarsi) è proprio che rimane soltanto questo: un suggerimento. Ed è quindi possibile
rifiutare. Per questo, i suggerimenti ipnotici vengono accompagnati da affermazioni che la persona da
ipnotizzare già sa essere vere. La speranza è che a quel punto accetti anche gli inviti più aperti
rendendo anch’essi veri:
«Quando senti la mia voce e vedi gli uccelli fuori dalla finestra, avverti una sensazione di grande
rilassamento.»
Le due prime affermazioni (sulla voce e gli uccelli) sono vere, la terza può esserlo, ma non lo è
necessariamente. Comunque viene usata in un contesto di affermazioni vere, il che rende più semplice
per il volontario accettare anche questo suggerimento come vero – iniziando quindi a rilassare il
corpo. (Come avrai notato, il suggerimento ricalca anche lo schema di causa-effetto e la terza
affermazione è presentata come una conseguenza delle prime due. Per essere ancora più chiari, si
potrebbe aggiungere anche la nostra parola preferita, «e», in modo da rafforzare ulteriormente il
legame tra il comando impartito e le affermazioni vere.)

Il nome seguire e guidare deriva dal fatto che prima si segue il modello di verità dell’altro, e poi
lo si guida. È ottimo se le affermazioni vere sono collegate tra loro, in modo che sembrino parte di
una conversazione naturale, come nell’esempio sopra. La tecnica ipnotica diventa a questo punto del
tutto impercettibile.
Avendo letto la spiegazione e iniziato a capire come funziona, vorrai senz’altro saperne di più. Ci
arriviamo subito. Ma prima riguarda la prima frase di questo paragrafo. Due affermazioni vere – hai
letto la spiegazione e hai iniziato a capire – e poi il suggerimento: vorrai saperne di più. Suppongo tu
ti sia trovato d’accordo con me senza troppe resistenze. In tal caso, in questo momento dovresti
sentirti un po’ irritato e inquieto, e prima di proseguire, lascia che me la tiri un po’.

Se hai studiato marketing, potresti pensare che tutto questo somigli molto a una nota tecnica che
consiste nello spingere qualcuno a dire «sì» a due o tre affermazioni, sperando che risponda
affermativamente anche alla seguente: Ti piace andare a teatro? (Sì!) Ti piacciono i musical? (Sì,
insomma...) Ti va di andare a vedere Mamma mia? (Mmh...) Ho due biglietti per domani, a che ora
passo a prenderti? (Ma che cavolo di libro hai letto?)
Questo metodo ovviamente sfrutta l’idea di inserire un oggetto nuovo all’interno di uno schema
mentale consolidato, ma la tecnica di seguire e guidare si serve di un’ulteriore e decisiva
componente. Invece di affermazioni vere a proposito di un argomento qualsiasi (come Mamma mia),
riguarda sempre cose di cui l’altro ha esperienza, cose che può riconoscere come vere grazie ai
sensi. Può sentire la mia voce, può vedere gli uccelli, tu leggi e capisci. La realtà di queste
affermazioni è più intuitiva: non c’è bisogno di riflettere, basta affidarci a quel che il corpo
comunica. Mi darai ragione senza neanche bisogno di dirlo. Per questo, verità simili sono percepite
come più profonde e dunque più robuste di affermazioni astratte come, per esempio, i gusti personali
in fatto di teatro. Nota inoltre che i suggerimenti ipnotici che seguono sono anch’essi basati
sull’esperienza: «avverti una sensazione di rilassamento», «hai voglia di sapere» e così via. Quando
tramutiamo un’esperienza in una verità, è percepita come molto più intima e personale di una
semplice discussione sul teatro. Se vuoi che l’altro ti segua devi entrargli sotto la pelle, il più a
fondo possibile.

In realtà sto un po’ esagerando. Probabilmente non cambierai mai l’opinione di qualcuno
semplicemente facendogli accettare una singola affermazione nuova. Ma comunque non è questo lo
scopo. La tecnica di seguire e guidare esiste per essere utilizzata ripetutamente nel corso di una
conversazione. Ogni volta potrai diminuire il numero di verità presentate prima del suggerimento.
Dopo un po’ ti basterà un’unica verità prima di impartire una serie di suggerimenti. Ovviamente
dovrai adattarti al tipo di risposta che ottieni, ma un modello abbastanza verosimile può essere il
seguente.
Fase 1: segui – segui – segui – guida
Fase 2: segui – segui – guida
Fase 3: segui – segui – guida – guida
Fase 4: segui – guida – guida – guida

Poiché le raffinatezze pedagogiche non mi sono del tutto estranee, propongo di rivedere
l’introduzione a questa tecnica che hai letto a pagina 112, analizzata ora secondo il modello qui
sopra.

Fase 1
(Segui) Suppongo che tu stia leggendo questo libro per prendere il controllo della tua vita, con tutto
ciò che questo comporta. (Segui) In più, vuoi proteggerti dalle pressioni indesiderate. (Segui) Ormai
hai letto, e forse hai già iniziato a usare, diversi metodi pratici per farlo, (Guida) il che significa che
già adesso dovrebbe sembrarti di avere maggiore controllo di prima.

Fase 2

(Segui) Suppongo sia una sensazione piacevole. (Segui) Ed è un fatto positivo. (Guida) Magari
riesci persino a sentire come il controllo aumenti man mano che vai avanti a leggere.

Fase 3
(Segui) Non so dove ti trovi in questo momento, (Segui) se l’ambiente sia rumoroso o tranquillo.
(Guida) Tuttavia la cosa più importante è la tua condizione interiore – che si rivoluzionerà
completamente (Guida) nel momento in cui inizierai a comprendere come il Gioco del potere, se
condotto nel modo giusto, può cambiare la tua vita.

Fase 4
(Segui) Come avrai capito, funziona sia nella vita privata che sul lavoro. (Guida) Capisco che possa
sentirti un po’ effervescente, come una bottiglia d’acqua frizzante ben agitata, per via di tutte queste
nuove conoscenze e queste nuove idee, (Guida) e che abbia voglia di condividere tutto con i tuoi
conoscenti. (Guida) In tal caso non hai che da regalar loro questo libro. Te ne saranno grati.

Scusa, puoi ripetermi quante copie volevi ordinare?

2.14. MOSSA SPECIALE

In generale, il cervello è programmato in modo da preoccuparsi per le cose negative molto più di
quanto non si rallegri per quelle positive. Perdere un orsacchiotto è un’esperienza negativa molto più
intensa della gioia di riceverne uno. Il dolore di perdere un lavoro è più intenso della soddisfazione
di averlo ottenuto. In generale, siamo più attenti a evitare il dolore che a inseguire il piacere.
Elaboriamo i nostri pensieri in modo che ci allontanino dalle preoccupazioni, piuttosto che ci
conducano attivamente verso la gioia o altre esperienze positive. È questa la ragione per cui così
tanti spot si concentrano su come risolvere un problema – su come cioè ci si possa allontanare da una
situazione negativa – piuttosto che limitarsi a spiegare le qualità positive del prodotto (cioè l’offerta
di una serie di vantaggi). Così, negli stacchi pubblicitari, capita di sentire cose come:
«Hai problemi ad addormentarti?»
«Soffri spesso di mal di testa?»
«Ti vergogni a mostrare i denti quando sorridi?»

Lo stesso meccanismo psicologico può essere sfruttato per far sì che gli altri capiscano perché
dovrebbero agire secondo i tuoi suggerimenti. Non curarti degli sforzi dei tuoi concorrenti per
illustrare gli straordinari vantaggi della loro idea o del loro prodotto. Invece, per prima cosa mostra
al cliente, al capo o ai figli quale problema hanno. Poi spiega di avere la soluzione. Quando si
accorgeranno che hai ragione, ti dedicheranno tutta la loro attenzione. Ma non basta. Non vuoi che si
limitino ad apprezzare la tua soluzione, vuoi che la mettano in pratica. Per spingerli all’azione dovrai
aggiungere un’altra frase: «Se non agisci subito, le cose non faranno che peggiorare».
Parlando con un cliente, potrai dire qualcosa come: «Ho notato che ha difficoltà a spingere i
gruppi di lavoro a rispettare le scadenze, dato che la pianificazione porta via moltissimo tempo.
Questo software le permetterà di gestire nel dettaglio fino a cento diversi progetti; su un totale di
venti progetti, si risparmiano circa quaranta ore di lavoro al mese. E considerando che rispetto a
prima vi ritrovate a gestire molti più progetti contemporaneamente, la confusione non farà che
aumentare, così come il numero di clienti insoddisfatti, se non cambiate passo fin da subito».
Ai bambini invece dirai: «Volete l’abbonamento stagionale al luna park ma non avete i soldi per
comprarvelo da voi. Questo è un problema. Ma ogni volta che laverete tutti i pavimenti di casa, vi
darò 15 euro. Il luna park apre tra dieci settimane, e la tessera stagionale costa 150 euro. Problema
risolto – se vi mettete subito al lavoro. Più aspettate, peggio sarà: quando avrete i soldi per
comprarvi l’abbonamento, la stagione sarà già iniziata».
E se il capo si è accaparrato un cliente importante di cui vorresti occuparti, gli dirai: «Ti sarà
difficile fare quel viaggio alle Mauritius che hai programmato per quest’anno se dovrai allo stesso
tempo occuparti del nuovo ufficio. Devi cominciare a delegare. Il mio suggerimento è gestire
l’ufficio insieme fino all’estate, poi subentrerò io mentre tu sarai via. Se non inizi a dividere i vari
compiti non farà che andare peggio, non avrai più tempo per la famiglia o per te stesso, e nessuno ne
trarrà vantaggio. Come si chiama il nostro contatto?»

Tra malizia e premura a volte c’è solo una lieve differenza di prospettiva.

VITA EXTRA!

A volte non esiste un problema specifico da risolvere. A volte ci troviamo allo «stato zero»: la vita
non è tutta rose e fiori, ma allo stesso tempo non abbiamo nemmeno problemi gravissimi. In questo
caso la spinta al cambiamento è quasi nulla. In situazioni simili il tuo compito è prima di tutto far
capire all’altro che lo stato zero è in realtà uno stato negativo.
In tal caso devi spiegare quali saranno le conseguenze negative se non si porrà rimedio:
«Magari pensi che non vi sia nulla di male a continuare a fare come hai sempre fatto, il problema
però è che il resto del mondo è in continua evoluzione. Se vai avanti così, ben presto sarai rimasto
indietro rispetto a tutti gli altri.»
«Se non lo fai ora, quelli che invece l’hanno fatto ti passeranno avanti.»
«Vuoi davvero andare avanti così e continuare per tutta la vita a lavorare per uno stipendio da
fame?»
E così via. Può sembrarti eccessivo, ma nel potere, in guerra e in amore quasi tutto è lecito.

2.15. COINVOLGI CUORE E CERVELLO


Raramente è un pensiero del tutto razionale che ci spinge ad agire. Una riflessione razionale può
spiegarci perché una certa azione vada intrapresa, ma se non è accompagnata da un’emozione non
accadrà nulla. Dopotutto, non è così strano. Quel che avvertiamo come un’emozione è, per il nostro
corpo, il prodotto di specifici ormoni ed endorfine, le sostanze che ci servono per agire. Per
esempio, è difficile mettersi a correre senza una dose di adrenalina. Questa è la ragione per cui i
migliori oratori politici vogliono scatenare una serie di emozioni negli ascoltatori. Le emozioni
conducono all’azione. Per questo gli argomenti razionali finiscono quasi sempre in secondo piano nel
campo della manipolazione e della suggestione strategica – una regola rispettata sia da Martin Luther
King che da Adolf Hitler (probabilmente l’unica cosa che i due hanno in comune).
Ma non si tratta solo di destare emozioni che spingano ad agire. Maggiore è il numero di emozioni
che saprai suscitare nell’interlocutore, più influenza avrai su di lui. Più lo renderai sensibile a
qualsiasi tipo di emozione, più sarà coinvolto nella tua causa. Qui di seguito trovi un’introduzione
alternativa al libro che stai leggendo, formulata in base a questi principi:

Per prima cosa voglio dirti: «Grazie!» Il fatto che tu abbia scelto questo libro significa che sei
uno dei pochi a volersi abbastanza bene da sapere che è fondamentale possedere qualche
conoscenza di base sul Gioco del potere. Troppe volte dimentichiamo di essere orgogliosi di quel
che facciamo – o spesso non osiamo esserlo. Per cui, datti una bella pacca sulla spalla per
l’ottima idea che hai avuto.
Ho lavorato su diversi aspetti del comportamento e della suggestione per gran parte della mia
vita di adulto. Ho notato che, purtroppo, c’è chi usa sfacciatamente queste tecniche in maniera
negativa, più o meno consapevolmente, infliggendo agli altri sofferenze o spingendoli a fare cose
che non vogliono fare. L’unico modo per proteggersi da questa manipolazione negativa è
riconoscerne l’esistenza e approntare una contro-strategia. Questa contro-strategia è il Gioco del
potere.
Non voglio spaventarti, ma subire un abuso di potere può avere conseguenze negative sulla
salute, sia fisica che psichica. Sei quotidianamente bersaglio di migliaia di tentativi di
manipolazione, la maggior parte dei quali non è così innocua come potrebbe sembrare.
Tuttavia, questa medaglia ha anche una faccia più luminosa. I metodi usati per esercitare il
potere in maniera negativa sono gli stessi che puoi impiegare per un tipo di persuasione più
costruttiva e positiva. Le tecniche che troverai in questo libro esistono per garantire vantaggi non
solo a te che le usi, ma anche a tutti quelli che ti stanno intorno. Che il tuo obiettivo sia ottenere il
lavoro perfetto o il partner ideale – quando avrai imparato a giocare al Gioco del potere sarai in
grado di parare ogni maldestro tentativo di manipolazione e fare in modo che la tua vita e quella
degli altri siano luminose come il sole.
Spesso, coloro che già sanno come condurre il Gioco del potere sono persone positive e piene di
vita, che si sentono in grado di ottenere tutto quello che desiderano. Se incontri una persona felice
che dice cose come «la vita ha così tanto da offrire» e che sembra già essersi presa quel che le
spetta, hai incontrato un campione del Gioco del potere.

Troppo spesso ci accorgiamo che ci sono cose che vorremmo fare e che cambierebbero a fondo
la nostra esistenza, solo per fermarci prima di aver raggiunto i nostri obiettivi. Quel che avrebbe
potuto essere il nostro nuovo io va a finire nel cassetto, già fin troppo pieno, delle Cose Mai
Realizzate. Lo stesso vale per il Gioco del potere. Il primo passo, comprare questo libro, è già
stato ottimo, ma fino a che punto sei disposto a studiare, e a mettere in pratica, queste tecniche?
Per molti, probabilmente, la risposta sincera è: «Non molto, era solo curiosità». Non c’è
problema. Essere curiosi è un’ottima qualità. Ma a volte serve a giustificare la pigrizia. Se sai di
essere una persona che di rado si mette in gioco fino in fondo, che penserai di te stesso quando ti
accorgerai di non essere all’altezza delle tue stesse aspettative?
Perdere la fiducia in sé stessi è una delle cose più tragiche che possano accaderci. Quando quel
nodo allo stomaco si stringe, i più capiscono che è il momento di fare qualcosa per cambiare la
propria situazione. Ma non sanno cosa, altrimenti non sarebbero arrivati a quel punto. E
l’angoscia non fa che aumentare. La cosa più terribile che possa accaderci è perdere il controllo
sulla nostra vita.
Per fortuna, esiste una soluzione semplice. Il primo passo è decidere di imparare il Gioco del
potere, per controllare la situazione in cui ti trovi con una determinazione che non ritenevi
possibile. Ottenere questo tipo di potere è qualcosa che nessuno può impedirti, indipendentemente
dalle sue capacità manipolatorie. Il tuo nuovo io, più forte e più soddisfatto, resterà con te per il
resto della vita.

Incominciando a imparare queste tecniche per acquisire un controllo completo sulla tua
situazione, credo che avvertirai anche un enorme sollievo. Invece di riflettere su come evitare di
essere travolto dagli altri potrai pensare a tutto quello che ti dà piacere nella vita. Che si tratti di
partire per la settimana bianca, di rendere casa tua ecocompatibile o di diventare uno chef.
Il futuro si fa roseo; noterai come questo potere, così reale, che inizierai a controllare,
cambierà ogni aspetto della tua esistenza. Sarai più rilassato, ti sarà più semplice parlare con
chiunque, e ti sentirai più libero, sapendo di non essere più vittima di manipolazioni malevole ed
essendo certo, invece, di avere tutti dalla tua parte, pronti a fare quello che vuoi.

Ricorda che spesso, all’origine dei rimorsi, ci sono le cose che non abbiamo fatto e solo di rado
quelle che abbiamo fatto. Il problema è che nessuno sa quanto tempo ha a disposizione. Ti sembra
di avere tutte le possibilità di questo mondo... e all’improvviso non ne hai più nessuna. Ogni
istante è una nuova possibilità, e sapendo giocare al Gioco del potere sarai in grado di trarne
beneficio in maniera assolutamente nuova. L’unica cosa che potrai rimpiangere è di non aver
dedicato abbastanza tempo a imparare come fare.
Il primo passo è fatto. Ora devi soltanto proseguire. Non ti prometto che il Gioco del potere
cambierà di sicuro la tua vita. Ma ti garantisco che, quando sarai giunto alla fine, nulla sarà più
come prima.

Come ti senti ora? Sei esaltato per tutte le possibilità che il Gioco del potere ti offre? Hai deciso
quale sia il tuo obiettivo e sei pronto a cambiare la tua vita? Sei soddisfatto di esserti già accaparrato
la tua copia del libro? Se è così, ho raggiunto il mio scopo – e sono andato ancora oltre. Il testo qui
sopra è stato scritto per condurti in un viaggio emotivo e per farti sentire che hai bisogno di questo
libro molto più di quanto pensavi. Il testo consiste di dodici paragrafi, ognuno dei quali incentrato su
un’emozione diversa, nell’ordine: orgoglio, rabbia, paura, speranza, invidia, colpa, tristezza, gioia,
sollievo, fiducia, rimorso, curiosità. Ma se ci fai caso, non ho esposto praticamente nessun argomento
concreto o razionale per cui valga la pena leggere questo libro. Non ve n’è bisogno. Le emozioni
fanno tutto il lavoro.
In altre parole: se vuoi sollecitare impegno, risolutezza e prontezza all’azione, fa’ come tutti i
leader politici. Parla per prima cosa alle emozioni, raccontando la tua visione e i tuoi sogni. La
razionalità finisce sempre al secondo posto.

2.16. PAROLE A CUI PRESTARE ATTENZIONE

I giochi linguistici che hai imparato in questa partita funzionano come missili intelligenti lanciati
verso la coscienza altrui. Ma ci sono anche campi minati a cui prestare attenzione. Si tratta di
particolari parole che andrebbero evitate a ogni costo durante una trattativa, una riunione, un
appuntamento – o in qualunque altra occasione. Sono parole all’apparenza innocue, ma quando
vengono usate trasmettono all’interlocutore un’impressione di debolezza, indecisione, e volubilità –
ti fanno sembrare uno con cui è meglio non sprecare il proprio tempo. Queste parole possono anche
essere usate contro di te. In tal caso ti sospingono, psicologicamente, verso il basso, in una posizione
in cui sarebbe meglio non trovarsi.
Le parole che compongono questo campo minato psicologico sono purtroppo tra le più comuni
nella nostra lingua. Per cui, fai attenzione quando le senti, o quando ti accorgi di essere tu stesso a
usarle.

Ma
Come abbiamo già constatato, «ma» contraddice ciò che è stato appena detto. Se dico «Vorrei
aiutarti, ma...», sai che in realtà non ne ho alcuna intenzione. Elimina, per quanto possibile, «ma» dal
tuo vocabolario, e sostituiscilo con la parola «e», oppure opera l’inversione di cui si è parlato nella
tecnica 2.4.
Se le stesse parole («Vorrei aiutarti, ma...») sono rivolte a te, decidi se valga la pena di provare a
far cambiare idea all’interlocutore, o se invece non sia il caso di interromperlo immediatamente e di
non perdere altro tempo. Finché continuerà a usare «ma», non sarà mai dalla tua parte.

Provare
Questa parola suggerisce, sebbene in maniera discreta, che non riuscirai a raggiungere il tuo
obiettivo. Le parole «Se provassi a imparare, ti sarebbe utile», sottintendono: «Ma probabilmente
non ne sarai capace, e comunque fallirai». Spesso usiamo «provare» per spiegare che abbiamo
l’ambizione di fare qualcosa ma che non possiamo garantire il risultato. «Ci proverò con tutto me
stesso». Ma di nuovo succede la stessa cosa: ammettiamo che vi è la possibilità di fallire. Tuttavia,
ottenere un risultato differente da quello previsto non è la stessa cosa che fallire. Nulla è un
fallimento se non hai deciso che lo sia. È meglio eliminare questo pensiero ed esprimersi in maniera
più decisa: «Lo imparerò al mio meglio». Oppure: «Farò tutto ciò che potrò». Poi spetta a te
decidere quando fermarti. Come dice Yoda: «Fare, o non fare! Non c’è provare!»

Se
In parte funziona come «provare», per esempio quando si dice: «Se ci riuscissi sarebbe grandioso
[ma è improbabile che tu ci riesca]». Tuttavia «se» ha anche un’altra funzione negativa, quando lascia
intendere che forse qualcuno non desidera fare quel che gli hai chiesto. Una frase come «Se vuoi
continuare, direi che possiamo farlo giovedì» lascia all’interlocutore la possibilità di ripensarci e
decidere che forse non vuole affatto continuare. Se lo scopo è mettere in discussione il suo
atteggiamento, allora la parola è usata in maniera corretta. Spesso però la usiamo come una forma di
cortesia distorta. Siamo convinti che l’altro voglia davvero continuare. Allora «se» è superfluo e
troppo vago. Parti sempre dall’idea che l’altro condivida le tue opinioni: «Suggerirei di continuare
giovedì».

Forse, magari
Sono parole che non significano né sì né no. Non sono direttamente negative, ma nemmeno positive.
Non decidono alcunché. Attento a non usarle in modo da indebolire l’efficacia del tuo messaggio.

Avrei dovuto, avrei potuto


Sono espressioni che danno l’impressione di una recriminazione, spesso di un vero e proprio
piagnisteo, se vengono usate a proposito di sé stessi. «Oh, ecco cos’avrei dovuto fare! Avrei dovuto
pensarci prima! Allora sarebbe potuta andare diversamente». In più, hanno la forma del passato. Non
vi è nulla di male a usarle, se ciò avviene nel modo corretto. Ma quando partecipiamo al Gioco del
potere è meglio restare concentrati sul presente, perché è qui che accade quel che ci interessa.
Orientare l’interlocutore verso il passato usando il tempo verbale sbagliato può essere catastrofico
per la sua capacità di agire nell’immediato. Dopotutto, è qui e ora che deve e può agire secondo i
tuoi consigli.

Non
La parola «non» è una negazione. Rappresenta qualcosa che non esiste di per sé, ma è una sorta di
cancellino verbale, proprio come «ma». Per comprendere la parola «non» dobbiamo prima capire a
cosa viene accostata. Per interpretare la frase «Non pensare a Carlo e Camilla» bisogna prima essere
sicuri di sapere chi sono Carlo e Camilla – e a quel punto è già troppo tardi. Usando «non» nel modo
sbagliato potresti evocare nella mente dell’interlocutore un’immagine a cui preferiresti non pensasse.
Il tuo scopo forse è addirittura l’esatto opposto, come quando dici: «I prodotti dei nostri concorrenti
non sono sotto alcun aspetto migliori dei nostri». Per comprendere questa affermazione, per prima
cosa bisogna capire cosa significa che «i prodotti dei concorrenti sono migliori dei tuoi». E non è
una grande idea farmi pensare a una cosa simile.
Una volta mi sono vendicato di un tipo irritante dicendo a una conoscente vagamente infatuata di
lui che casa sua era perfettamente in ordine. Per esempio, non c’erano piccoli peli neri sparsi su tutto
il lavabo del bagno.

Missione Compiuta
Samurai della lingua

3. Fermati un attimo e ascolta!


Good thinking, little buddy!4
Sam, dal videogame Sam&Max Hit the Road

Proprio come la Margaret dell’introduzione, molti credono che un ego ipertrofico sia la via maestra
per il successo. Imponendosi su un numero sufficiente di persone e con una giusta dose di
ostinazione, si può ottenere tutto quello che si vuole. In parte è vero. Si può persino ottenere un buon
stipendio. Ma se si sale in alto calpestando gli altri è facile finire calpestati a propria volta; se usi il
potere in questo modo, è probabile che non ci sia più nessuno ad afferrarti quando cadi. Anzi, quelli
sotto di te probabilmente avranno la premura di dare un colpetto ben assestato alla scala su cui ti stai
arrampicando.
Quando diventerai un esperto al Gioco del potere noterai una cosa: l’ego può anche essere lasciato
a casa. Sia nella comunicazione che nel potere, l’umiltà è l’Alfa e l’Omega; più diventerai bravo, più
dovrai necessariamente essere umile. Difatti, meno mostri il tuo ego, più potere ottieni. Non intendo
dire che tu debba avere una bassa autostima. Ovviamente, per essere un buon capo, un comunicatore,
un innovatore o l’anima di ogni festa, devi avere un ego sano. Ma lascia che gli altri se ne accorgano
da sé. Una delle critiche più comuni a chi ha un carattere da leader è non solo che si ritenga migliore
degli altri, ma che non perda occasione per farlo notare. Mettersi al centro dell’attenzione è un tipico
esercizio di potere, ma è del tutto inefficace in confronto alle tecniche che imparerai tra poco. Chi si
mette troppo in mostra dimentica una cosa importante: solo perché si è seduti su di un trono, non
significa che tutti gli altri debbano essere sudditi fedeli.
Certo, anche le classiche tecniche da prevaricatore danno risultati, ma lasciano sempre un
retrogusto amaro. Le persone si sentono ingannate e sfruttate quando si rendono conto di cos’è
successo loro. Nel Gioco del potere tratterai gli altri in modo molto più costruttivo. Il Gioco del
potere è soprattutto un gioco sociale. Prendendovi parte solleticherai l’ego degli altri, non solo il
tuo. Il modo più intelligente di influenzare le decisioni altrui e ottenere quel che vuoi, nel lavoro
come nella vita, è spingere gli altri ad aiutarti ad arrivare dove vuoi.

Il Gioco del potere, dunque, non sarebbe completo senza qualche conoscenza su come stringere
relazioni sociali salde. Maggiore è il potere che intendi esercitare, più questa parte del gioco diventa
importante. Se hai letto i miei libri precedenti sai che stringere rapporti è un argomento su cui ritorno
spesso. Ma raramente ho parlato delle competenze sociali in maniera così pratica come intendo fare
ora. Sarai in grado di creare rapporti in cui gli altri non vorranno fare altro che aiutarti e farti stare
bene. Le venti tecniche che stai per imparare sono dotate di un mirino infallibile come quello in
Child of Eden di Tetsuya Mizuguchi: è impossibile sfuggire a esse.
Inoltre c’è un’altra ottima ragione per concentrarsi sugli altri quando si ottiene un po’ di potere. È
documentato che, quando cominciamo a sentirci potenti, diventiamo molto meno bravi a decifrare il
linguaggio non-verbale altrui. Guardiamo molto meno gli altri in volto e, quando lo facciamo, spesso
non ci curiamo di quel che vediamo. Soprattutto se quello che scorgiamo ci sembra lievemente
negativo. Un comportamento simile è rischioso, perché impedisce di cogliere informazioni
importanti, per esempio quando qualcuno vuole muoverci una critica o sottolineare che non abbiamo
dato il massimo. Una scarsa attenzione a questi segnali può farci perdere il potere per cui abbiamo
lottato tanto. Le manovre relazionali che ora affronteremo limitano questo rischio.

Infine, è importante curarsi degli altri per ricordarci che non siamo superiori a loro. Chi si
comporta da prevaricatore spesso sminuisce il valore degli altri in favore del proprio. In realtà, la
verità spesso è l’esatto contrario: si ha potere solo finché gli altri decidono di concederlo. E la forma
più efficace di potere è quando gli altri si adeguano alla nostra volontà non perché sono costretti, ma
perché vogliono farlo. Ripeto: il vero potere non è qualcosa che si ha sugli altri. Lo si ha attraverso
gli altri.

3.1. PERSUASIONE CON I POST-IT

Persino il più grande potere può iniziare con un passo minuscolo. Se vuoi che qualcuno ti aiuti in un
compito, compili il questionario che gli hai consegnato o ti faccia un favore, avrai maggiori
probabilità di successo se personalizzerai la tua richiesta. Se gli chiedi di compilare un modulo, la
probabilità che l’altro lo faccia aumenta aggiungendo un messaggio personalizzato scritto a mano
sulla prima pagina. Basta un «Grazie per l’aiuto, Björn! /Isak» perché si noti una differenza sensibile.
Ma se davvero desideri che gli altri facciano quello che vuoi tu, i post-it possono diventare un’ottima
arma segreta a basso budget. È dimostrato che sono straordinariamente efficaci. Un messaggio scritto
a mano su un foglietto giallo riesce a duplicare la probabilità che qualcuno accetti la tua richiesta.
Quando a un gruppo di persone è stato chiesto di compilare un questionario senza l’aggiunta di un
post-it, il trentacinque percento ha ubbidito. Col post-it la percentuale è schizzata a più del
settantacinque percento. E quando il messaggio conteneva la parola magica «grazie» e una firma, il
totale degli accondiscendenti aumentava ancora. In più, questi ultimi davano risposte più accurate e
precise e tendevano a rispettare la scadenza per la consegna più di chi non aveva ricevuto alcun
messaggio.
La ragione non è difficile da comprendere. Più si ha la percezione che qualcuno si è dato
personalmente da fare per meritarsi l’aiuto richiesto, più aumenta la voglia di rendersi utili. D’altro
canto, è sorprendente quanto sia semplice creare questa impressione. Né riflettiamo sul fatto che
l’impegno di scrivere un messaggio su un post-it non è neanche lontanamente comparabile allo sforzo
necessario per fare ciò che viene richiesto. Inoltre, se sappiamo che la nostra richiesta d’aiuto finirà
in un mucchio di altri messaggi simili provenienti dai colleghi dello stesso reparto, un post-it scritto
a mano può fare la differenza, in modo che la nostra domanda riceva la priorità.

Se vuoi che il tuo partner svuoti la lavastoviglie anche se sarebbe il tuo turno, basta mettere un
post-it sul frigo con scritto: «Puoi mettere a posto i piatti? Io non ho avuto tempo. Un bacio, amore».
Se vuoi che il tuo compagno di studi legga un saggio mortalmente noioso al posto tuo, incollaci
sopra un foglietto che dica: «Per caso hai tempo di darci un’occhiata? Grazie per l’aiuto! /Axel».
Se vuoi che il capo dia la priorità al tuo memorandum, lascialo sulla sua scrivania con un post-it
rosa shocking che dice: «Ecco quello che mi hai chiesto! Grazie per il tempo che mi dedichi!
/Malin».
Sono gesti semplici, quasi banali, ma raddoppiano la possibilità di ottenere quello che desideri.
Piccoli passi, come si è detto.
3.2. DARE E RICEVERE CON DISCREZIONE

È una verità ben documentata che se riceviamo qualcosa desideriamo anche restituire qualcosa. È per
questo che nelle riviste sono inclusi campioncini di shampoo, che negli alimentari vengono serviti
piccoli assaggi, che le aziende regalano penne decorate con il loro logo e a Natale gli impiegati
ricevono un calendario dalla direzione. Sperano che ti venga voglia di restituire il favore. Il che
spesso accade: acquisti lo shampoo, ti fermi a scambiare quattro chiacchiere con il cuoco, torni a
fidarti dell’azienda e ti mostri più leale con il capo. Questo principio però viene usato da così tanto
tempo che l’effetto ha iniziato a indebolirsi, almeno in ambito commerciale. Oggi siamo a tal punto
sommersi da campioncini gratis e regali che il livello di tolleranza si è alzato. La spinta alla
ricompensa è molto più difficile da scatenare e abbiamo anche imparato a comprendere che tutte
queste «offerte» non sono altro che trucchi di marketing.

Ma il principio è sempre valido. Dare per sollecitare il desiderio di restituire è una tecnica tuttora
efficace nel Gioco del potere. Un errore comune è spaccarsi la testa per regalare delle cose. È una
fissazione singolare, dato che molto di rado quello che vogliamo in cambio è un oggetto – per
esempio, è molto meglio ottenere attenzione e fedeltà.
È possibile scatenare questo riflesso in maniera molto più intelligente di quanto si faccia di solito.
La cosa importante infatti non è cosa l’altro ottenga, ma che sia qualcosa che consideri davvero di
valore. E ciò che ha più valore è quel che è personale – quando è evidente che stai dando qualcosa di
te, del tuo tempo e della tua attenzione, e che hai pensato proprio a lui. È per questo che un regalo
personalizzato ben pensato, per esempio il salume così difficile da trovare che il tuo collega adora, è
molto più efficace di un regalo vistoso e prezioso ma senza connessioni personali, come per esempio
un monitor più grande per il computer dell’ufficio.
È anche possibile eliminare l’oggetto e rendere il regalo puramente simbolico, offrendo tempo e
dedizione all’altro. Sembra troppo astratto? Non è così. L’esempio più evidente di come regalare
tempo e attenzione a qualcuno, per esempio al batterista che vuoi convincere a restare nella band, è
un invito a pranzo. Sembrerà banale, ma è un’azione che coinvolge tutti i fattori psicologici necessari
per far scattare il bisogno di dare una ricompensa, convincendolo ad ascoltarti mentre spieghi perché
Smell the glove sia un ottimo titolo per un album. Un invito a pranzo è semplice da fare, non costa
troppo ed è un mezzo straordinario per rinsaldare un rapporto senza essere infastiditi da altri.

Ci sono anche altri modi di donare l’impegno personale così da scatenare il bisogno di
ricompensare. Per esempio fornendo informazioni preziose. Durante quel pranzo (o anche in altre
occasioni, ovviamente) puoi condividere qualche trucco segreto o qualche consiglio personale che
sai potrà tornare utile al tuo interlocutore. Magari puoi consigliargli un metodo di risparmio che in
pochi conoscono, o un nuovo software che può avvantaggiare la sua azienda rispetto ai concorrenti.
O rivelargli che il barman di Noonan’s fa drink fantastici, una cosa da tenere a mente quando si vuol
fare bella figura a un appuntamento.
Puoi anche agire in maniera sistematica, come il mio amico dirigente di un’azienda informatica,
che regala un libro a ogni cliente. Il libro ovviamente è un oggetto, ma soprattutto contiene
informazioni. In particolare, strategie grazie alle quali i clienti possono ottimizzare i sistemi
informatici e risparmiare. Finora ne ha regalate diverse centinaia di copie. La cosa interessante è che
l’autore è il maggiore concorrente della sua azienda. Ogni copia donata è allo stesso tempo uno spot
per il suo peggior nemico. Ma il mio amico ha capito una cosa. Il valore di condividere consigli
riservati agli addetti al settore compensa ampiamente la pubblicità gratis fatta al concorrente.
Secondo te, quanti clienti si sono rivolti agli altri dopo aver ricevuto il libro? Nessuno. Dopo che
l’azienda ha compiuto il gesto generoso di condividere consigli che avrebbe potuto tenere per sé
(guadagnandoci di più) i clienti sono molto contenti di restituire il favore con la propria fedeltà –
rinnovando i contratti.
Grazie a doni personalizzati di questo tipo disponi gli altri a restituire volentieri qualcosa quando
glielo chiedi. E sono infinitamente meglio di una penna gratis.

3.3. SEMPRE PIÙ PERSONALE

La tecnica precedente non comporta che non si debbano mai regalare doni concreti. I regali sono
un’ottima strategia e rimarranno un classico per entrare nelle grazie di qualcuno. Tuttavia esistono
delle variabili che possono migliorare o indebolire l’effetto del regalo. Il costo o l’eleganza, come
abbiamo constatato nel capitolo precedente, non sono tra queste. Abbiamo già parlato di come
l’impegno personale sia un fattore importante. Ma il trucco per rendere un dono – o un favore –
efficace al massimo è che non solo deve sembrare personale ma anche significativo e inaspettato.
Significativo vuol dire che chi lo riceve non deve avere l’impressione che sia un regalo destinato
a chiunque. Il calendario sulla scrivania di tutti gli altri colleghi quando rientri al lavoro dopo Natale
non è significativo. Ma se invece nessun altro lo riceve, e se non è tradizione dell’azienda regalarlo,
allora lo diventa. Non sto dicendo di non regalare mai la stessa cosa a più persone, ma se dev’essere
significativa è meglio che non sappiano l’una dell’altra. In tal caso ogni regalo va consegnato di
persona. Il che ci porta al prossimo punto.
Personale significa che deve venire da te ed essere pensato per loro. Quando si tratta di oggetti,
questo legame può essere creato in diversi modi. Il più ovvio è che sia tu in persona a consegnarlo.
In più, è meglio se si tratta di una cosa che parla di loro, come si è detto nel capitolo precedente,
poiché dimostra che ti interessano abbastanza da informarti sui loro interessi e gusti. Per questo a un
cliente che sai essere in segreto fan di The Guild regalerai i biglietti per un concerto di Felicia Day.
Se non puoi essere presente alla consegna, o se si tratta di un favore che eseguirai a distanza, fa’
comunque in modo che riceva un biglietto scritto a mano che spieghi perché hai pensato proprio a lui.
Inoltre è importante che il regalo sia inaspettato. Di nuovo, se tutti sanno che otterranno un
calendario a Natale, nessuno se ne rallegrerà. Invece, non si è mai così felici come quando qualcuno
ci dice: «Ieri ho visto questa cosa in una vetrina e mi ha fatto pensare a te. Tieni!»

L’effetto di questi tre fattori sull’efficacia di un regalo è stato testato scientificamente misurando le
mance lasciate dagli avventori di un ristorante nelle diverse circostanze. Ai camerieri era stato detto
di portare ai clienti, insieme con il caffè, anche due cioccolatini. Alcuni dovevano limitarsi a posare
i cioccolatini accanto alla tazza. Altri dovevano fare una piccola scenetta: sul piattino ne mettevano
solo uno, poi si voltavano per andarsene ma sembravano ripensarci e alla fine posavano anche il
secondo cioccolatino. Il secondo gruppo ricevette mance ben più consistenti. Nota che tutti i clienti
ricevettero lo stesso numero di cioccolatini. L’unica differenza fu la modalità di consegna. Quando
entrambi i cioccolatini erano fin da subito sul piattino, tutti intuivano che quello era il trattamento
standard. Mentre quelli che eseguivano la scenetta rispettavano le tre regole che abbiamo elencato: il
dono del cioccolatino extra diventava più significativo, personale e inatteso.
Se vuoi che gli altri ti apprezzino e desiderino ricompensarti, l’importante è come, non cosa.

C’è un altro aspetto che spesso si dimentica, o che si esegue in maniera errata, quando si
consegnano dei regali. A volte questi vengono usati come una forma di ricatto. Il messaggio è: io do
qualcosa a te, tu dai qualcosa a me.
«Se fai il bucato oggi, io lo faccio domani.»
«Se tu cucini, io vado a comprare il vino.»
Funziona abbastanza bene, ma è ancora meglio fare l’esatto opposto. Invece di porre una
condizione per dare un regalo, inizia offrendo il dono e poi chiedi quello che vuoi in cambio:
«Oggi ho fatto il bucato. Domani potresti farlo tu?»
«Ho comprato il vino per stasera. A te va di cucinare?»
Nota che non è una forma di corruzione. Né si tratta di un ricatto emotivo. Non stai dicendo: «Io ho
fatto il bucato oggi quindi tu devi farlo domani». Espressioni di questo tipo cercano di destare sensi
di colpa, e all’altro di sicuro non piacerà. Il messaggio da trasmettere invece è: ho fatto questa cosa
senza che nemmeno me lo chiedessi e anche tu ne trarrai un vantaggio. In cambio potresti fare
qualcosa per me?
Invertendo l’ordine, uno strumento ricattatorio diventa un gesto inatteso, significativo e personale.
Il che è un fattore di motivazione molto più potente di qualsiasi ricatto.

VITA EXTRA!

Ricorda che una volta che qualcuno si sente in debito con te è meglio incassare la ricompensa che ti
spetta il più presto possibile. Infatti, l’opinione sui favori ricevuti muta nel tempo. Quando facciamo
un favore, tendiamo a considerarlo sempre più significativo man mano che il tempo passa. Una cosa
fatta inizialmente senza nemmeno pensarci, col senno di poi diventa un gesto grande e nobile.
Ma quando invece riceviamo un favore accade esattamente il contrario. Col tempo, quel che è
successo diventa sempre meno significativo: un aiuto che in principio ci è sembrato importantissimo,
ripensandoci diventa qualcosa di cui forse non avevamo nemmeno bisogno. Avremmo anche potuto
cavarcela da soli.
Per questo è meglio richiedere subito la ricompensa, prima che perda completamente di valore.

3.4. POTERE ATTRAVERSO LA SOMIGLIANZA


È più facile prestare ascolto e dare fiducia a persone con cui sentiamo una certa vicinanza piuttosto
che a coloro che ci sembra di non riuscire a capire. E coloro con cui sentiamo vicinanza sono quelli
che si comportano come noi. Non è detto che la somiglianza sia percepita consapevolmente. È stato
dimostrato che preferiamo coloro che usano all’incirca lo stesso numero di sillabe al minuto che
usiamo noi. Allo stesso modo, coloro che si muovono in maniera simile a noi e alla nostra stessa
velocità ci risultano più simpatici. La causa di questa sensazione è che ci ricordano qualcuno che ci
piace ancora di più: noi stessi.
Mostrare di avere qualcosa in comune con un altro è quindi una strategia comune per ottenerne la
fiducia. Altrimenti perché le trappole per turisti, in tutto il mondo, hanno personale che conosce
qualche parola nella lingua degli ospiti? «You’re from Italy? Ah, ciaocomestai? Amo Roma!» Si sono
accorti che funziona. E sii sincero: quando il venditore ai piedi della piramide di Cheope racconta di
avere un amico in Italia che va spesso a trovare, non ti viene un po’ di curiosità? Non mi
sorprenderebbe sapere che hai comprato un cammello di latta dorata.
Non è un segreto che le cose stiano così; gran parte del mio primo libro Leggere i pensieri non è
più una magia tratta di questo fenomeno. La cosa interessante, per quanto ci riguarda, è che ci
fidiamo di più di coloro che ci sembrano avere qualcosa in comune con noi. E ci lasciamo anche
guidare da loro.
Gli concediamo potere su di noi.

Quei tratti che ci sembrano in comune non devono necessariamente essere collegati alle
circostanze dell’incontro; basta che siano personali. È sufficiente che qualcuno scopra che siete nati
lo stesso giorno o che vi chiamate allo stesso modo perché la sua disponibilità a fare quel che gli
chiedi raddoppi. Invece di aiutarti due volte su cinque, lo farà quattro volte su cinque. Solo perché
entrambe vi chiamate Astrid. La lealtà verso chi ci somiglia può essere davvero potente. Tieni a
mente che cose come nomi, compleanni, negozi preferiti o gusti musicali probabilmente non sono dati
rilevanti per la situazione in cui ti trovi. Ma sono personali. Ed è per questo che funzionano.
Se vuoi avere la certezza di conquistarti la completa fiducia di un altro, non basta però fargli
notare che avete qualche dettaglio personale in comune. Devi anche spiegargli che riguarda soltanto
voi due. In un esperimento, ad alcuni partecipanti venne detto che avevano lo stesso ‘tipo’ di
impronte digitali di un’altra persona. Chi non aveva ricevuto questa informazione si lasciò
influenzare dall’altro solo nel quarantotto percento dei casi. Quelli che sapevano di condividere tratti
caratteristici delle impronte digitali si lasciarono persuadere nel cinquantacinque percento dei casi.
Un po’ meglio ma neanche troppo. Ma tra coloro cui venne detto che solamente il due percento della
popolazione aveva questo tipo di impronte, l’ottantasei percento si lasciò manipolare dal presunto
simile. Quel che due persone condividono, in altre parole, diventa meno importante se è condiviso
anche da altri. Un legame che coinvolge molte persone si indebolisce. E, viceversa, più un gruppo
ristretto diventa esclusivo, più forte è il legame che ne unisce i membri.

Se vuoi che un tentativo di persuasione riscuota successo scopri dettagli personali che condividi
con l’altra persona e faglieli notare. Spiega che entrambi vi chiamate Nero di secondo nome.
Rivelagli che hai anche visto tutte le stagioni di The League of Gentlemen tre volte, o che hai
praticamente divorato Locke&Key di Joe Hill. Se sai che condividete il compleanno, diglielo. Se
noti che possiede una copia numerata del singolo di And the Lefthanded, non dimenticare di far
presente di avere il numero immediatamente successivo.
E così via. Trova sempre cose nuove, la ricerca è dalla tua parte. E quando l’altro si accorgerà che
entrambi vi fate un hamburger per smaltire la sbronza, significherà che lo tieni in pugno.

3.5. CREARE CON LE SUPPOSIZIONI

Ho dedicato molti anni a studiare e insegnare tecniche per costruire rapidamente buoni rapporti con
gli altri. Ci sono molti metodi che danno ottimi risultati, ma tutti hanno un punto debole: quando li si
impara bisogna riflettere molto su quello che si fa. Ciò distrae dall’obiettivo, cioè interagire in
maniera sciolta con qualcuno che spesso neanche si conosce.
Per questo sono andato alla ricerca di scorciatoie che conducano allo stesso risultato. Alla fine mi
sono accorto che il metodo più rapido per avere un rapporto stretto con qualcuno, una relazione in
cui l’altro ci ascolti, ci apprezzi e sia pronto ad aiutarci, è... fingere che questo rapporto esista già!
Solitamente funziona alla grande. Immaginando che la persona con cui stiamo parlando sia un
amico intimo e che ci conosciamo da molto tempo, il linguaggio del corpo e il modo di parlare
cambieranno di conseguenza. Partendo dal presupposto di avere un rapporto stretto e buono con il
nuovo caporeparto al terzo piano, ti comporterai come se davvero fosse così. Il linguaggio del corpo,
la mimica facciale, l’intonazione e le scelte lessicali lanceranno quei segnali che normalmente
compaiono in presenza degli amici più cari. L’altro reagirà inconsciamente a tutto questo e avrà
l’impressione di conoscerti meglio di quanto non sia in realtà. Il tuo atteggiamento nei suoi confronti
sarà lievemente differente, il che a sua volta cambierà l’intero incontro.
Ricorda soltanto che potrebbe essere un’esperienza abbastanza bizzarra per l’altro, poiché sarà
comunque ben consapevole del fatto che non vi siete mai visti prima. Per questo è meglio non
immaginare di essere gli amici migliori del mondo: in questo caso i segnali potrebbero essere di
eccessiva intimità e risulterebbero frastornanti. Quando Barack Obama abbraccia il premier inglese
David Cameron, la scena è lievemente bizzarra, poiché tutti sappiamo che i due rappresentano
ideologie politiche molto diverse e di solito mantengono una certa distanza.

Personalmente, quando incontro qualcuno per la prima volta, provo a pensare che sia una persona
gradevole con cui mi piacerebbe prendere un caffè. Come inizio è sufficiente. È anche un modo
rapidissimo per combinare incontri informali: basta aspettare qualche istante, e l’altro subito
suggerisce di andare a prendere il caffè che avevo immaginato.

3.6. IL TEMPISMO DELLA CONCORDIA


Un modo semplice per mostrare di essere simile a qualcuno è condividerne opinioni o esperienze. Un
modo non troppo raffinato per farlo è esclamare «Anch’io!» ogni volta che racconta qualcosa. In
realtà, dopo un po’ rischia di diventare un irritante esercizio di piaggeria che rasenta la disperazione.
Se qualcuno t’interrompe non appena apri bocca per la smania di dimostrarti che avete gli stessi gusti
finirai con l’irritarti.
«Adoro le lasagne...»
«Anch’io!»
«...quindi vado spesso in quel ristorantino di Storgatan...»
«Anch’io! Ci sono stato venerdì!»
«...ma ho deciso di smettere, e ormai mangio quasi esclusivamente verdure...»
«Anch’io! Sono vegetariano da ieri!»
Una persona simile non ottiene che occhiatacce e profondi sospiri, prima di essere piantata in
asso.

L’adulatore dell’esempio precedente a dire il vero ha avuto un’intui​zione corretta. Ma, come quasi
sempre, il problema è scegliere il momento giusto. La tecnica migliore è attendere, prima di rivelare
una cosa in comune, che l’altro abbia finito di parlare. Se una persona che hai appena incontrato ti
racconta della sua vacanza a Calvi e per caso anche tu ci vai ogni anno, o se le piace fare immersioni
nella barriera corallina e anche tu lo fai, se entrambi avete pianto guardando Il re leone, morditi la
lingua finché l’altro non ha finito il suo racconto. Solo allora spiega quanto è stato interessante
ascoltare le sue esperienze, perché anche tu le hai fatte.
In tal modo mostrerai di essere una persona empatica che non ha bisogno di mettersi costantemente
in mostra e l’altro apprezzerà il fatto che tu non abbia tentato di rubargli la luce della ribalta. A
differenza del tizio nell’esempio proposto, non darai l’impressione di essere un apprendista
smanioso pronto a tutto pur di farsi apprezzare. Racconterai le tue esperienze solo perché credi che
possano essere d’interesse. Il legame tra voi sarà molto più forte se sarà l’altro a scoprire quanto
avete in comune, invece di venirlo a sapere da te.

Un esempio di quanta differenza possa esserci. Jill incontra Albert a una conferenza:

Jill: «Ho mangiato in una deliziosa tavola calda mentre ero negli USA, in una cittadina che si
chiama Racoo...»
Albert (entusiasta): «Racoon City! Ci sono stato anch’io! Cavolo che coincidenza! È bella vero? A
parte il fatto che non si può uscire senza ombrello, ahahah!»
Jill: «...»

Una settimana dopo Jill torna ad affrontare lo stesso argomento, durante un seminario in cui ha
incontrato Leon:

Jill: «Ho mangiato in una deliziosa tavola calda mentre ero negli USA, in una cittadina che si
chiama Racoon City. Il posto non è granché, ma la tavola calda sembrava proprio uno di quei locali
in stile anni Cinquanta, con la torta di mele appena sfornata. Sembrava di essere in un vecchio film.
Un posto davvero carino.»
Leon (con un sorriso di complicità): «Sai che ci sono stato anch’io? Anche se tanto tempo fa. Era
quella tavola calda all’angolo di Main Street vero?»
Jill: «Esatto! Che coincidenza incredibile.»
Leon: «È una cittadina graziosa. Nonostante tutti quegli ombrelli...»

Secondo te, con chi Jill si è sentita più in confidenza tra Albert e Leon? A chi si sente più vicina?
E chi sarà disposta ad aiutare quando ce ne sarà bisogno?

3.7. RELAZIONE ATTRAVERSO L'EMPATIA

L’empatia è la capacità di essere consapevoli dei sentimenti altrui, di comprenderli razionalmente e


di sapersi rapportare a essi sul piano emotivo. Poiché viviamo chiusi in noi stessi e non abbiamo
idea di cosa voglia dire essere un altro, dobbiamo costantemente partire da quel che sentiamo,
vediamo e ascoltiamo noi. Ma troppo spesso dimentichiamo che quel che succede può essere
percepito in maniera diversa da persone diverse. Anche se io e te ci troviamo nella medesima
situazione, per esempio stiamo facendo un giro sulle montagne russe sotto la pioggia, la percezione
che ne avremo sarà diversa. Forse la mia esperienza sarà dominata dal fastidio della pioggia che mi
sferza il volto, mentre tu ti concentrerai sull’oggetto che avevi in tasca e che ora, nel mezzo
dell’anello più grande, ti sfreccia al lato della testa. (In più, io ho bisogno di andare in bagno e tu
no.)
L’empatia è comprendere questo, indossare – mentalmente – le scarpe di qualcun altro per un
istante. Tentando di metterti nei panni del collega o del coinquilino, cercando di capire cosa veda,
cosa senta, che emozioni provi, quali valori e convinzioni abbia, come sia stata la sua giornata e che
influenza abbia sul suo stato mentale, riuscirai a comprenderlo meglio. Forse meglio di lui stesso.
Saprai perché fa quello che fa e perché trae determinate conclusioni. Anche il tuo comportamento
cambierà, diventerà più simile al suo, e per lui sarà più semplice simpatizzare e interagire con te –
poiché, provando a vedere il mondo attraverso i suoi occhi, inizierai ad assomigliargli.
Un comportamento empatico smorza anche la tensione che può insorgere tra due persone e che,
spesso, nasce dal fatto che una delle due non si sente compresa. Avere l’impressione che qualcuno
non comprenda, o interpreti in maniera sbagliata, quel che si vuole comunicare è una delle cose più
spiacevoli che possano accadere. Verrai a conoscenza di tantissime storie spaventose di capi ingrati
e conviventi egoisti, nel momento in cui diventerai il confidente perfetto – quello che riesce a capire
tutto.
Per questo bisogna usare l’empatia come un bisturi, per sezionare l’immagine che l’altro ha di sé.
Sapere come gli altri si vedono è decisivo per comprenderli, poiché probabilmente differisce da
come li vedono dall’esterno. Raramente qualcuno comincia una discussione dicendo: «Come ti sarai
accorto, sono un completo idiota, fuori di testa e so a mala pena contare fino a dieci. Ma questa è la
mia opinione». Generalmente le persone non si considerano fuori di testa o irrazionali (soprattutto
quando lo sono davvero!). Hai poco da guadagnarci a dare a intendere che consideri qualcuno un
imbecille, poiché questa persona probabilmente giungerà alla conclusione che sia tu l’idiota, dato
che non comprendi quel che ti dice. Grazie all’empatia potrai invece capire cosa c’è dietro le sue
azioni. Se hai chiesto a una collega abilissima con Adobe Illustrator di preparare un nuovo logotipo
ma lei continua a rimandare la presentazione delle sue proposte, può essere facile convincersi che sia
una persona pigra e incapace di rispettare le scadenze. E a quel punto le farai una bella lavata di
capo. Ma se, usando le tue capacità empatiche, riesci a comprendere che in realtà è estremamente
insicura, la spiegazione diventa molto differente. Non è pigra, ha soltanto paura che la sua proposta
non valga nulla. È per questo che procrastina. Invece di urlarle contro, è meglio sostenerla e dirle che
il suo lavoro è apprezzato. Le sarà più semplice portare a termine un compito e si sentirà compresa.
Ricorda che anche l’immagine che hai di te stesso verosimilmente diverge da come ti vedono gli
altri. Può darsi che tu sia convinto di affrontare un conflitto in maniera rilassata, giusta e
professionale. Allo stesso tempo l’altro potrebbe pensare che il tuo atteggiamento sia aggressivo e di
parte e che le tue soluzioni siano del tutto inefficaci. Chi ha ragione? Forse entrambi, forse nessuno
dei due. Quel che devi capire è che non importa chi abbia ragione. Forse sei davvero giusto e
professionale, ma se all’altro pare che tu sia sciocco e scorretto, ogni sua reazione sarà condizionata
dalla sua prospettiva. Ed è su questa prospettiva che devi agire. È l’idea che l’altro ha di te, e non la
tua, che deve guidare il passo seguente – e che determina le possibilità di trovare un accordo. Ma in
che modo capire come gli altri ti vedono? Nella stessa maniera in cui si può scoprire come vedono
sé stessi. Bisogna usare l’empatia per calarsi nella loro situazione, in modo da vederti come ti
vedono loro. Solo allora saprai se vieni considerato un capo distanziato e razionale o qualcuno che
vorrebbero prendere a ceffoni – o entrambe le cose.
Comprendendo come gli altri vedono sé stessi e quale idea hanno di te, e modificando di
conseguenza il tuo modo di comunicare, le persone inizieranno a scambiarti per Gesù. O almeno con
qualcuno che ritengono degno delle loro confidenze, qualcuno che sa sempre di cosa hanno bisogno.
Spero di non aver bisogno di spiegare quanto potere, in questo modo, ti accorderanno.

3.8. UN SALUTO PREZIOSO

Se quando incontri qualcuno l’impressione che ricavi è che si tratti di un tipo simpatico,
probabilmente dipende dal fatto che ti ha sorriso. Tu hai imparato a fare lo stesso. Forse spingi in
qualche modo gli altri a ritenerti simpatico.
Smettila.
Quando saluti un nuovo amico o un collega non vuoi soltanto che ti trovi simpatico. Vuoi che si
senta privilegiato, che avverta che vi è qualcosa di unico nel vostro incontro. Non importa di chi si
tratta: quello che vuoi è che abbia l’impressione di essere speciale. Perché lo è davvero. Non
sprecare tempo con le persone normali. Per fortuna sono molto rare. O come diceva il buon dottore in
«Un canto di Natale» del Doctor Who: «Sai, in novecento anni di spazio e di tempo non ho mai
incontrato nessuno che non fosse importante...»

La differenza tra un sorriso di circostanza, cortese ma impersonale, e un’accoglienza calda e


genuina è questione di tempismo. La prossima volta che incontri qualcuno per la prima volta, prova a
fare così: invece di ricorrere al super-sorriso nell’istante stesso in cui lo scorgi, salutalo come se
fosse un vecchio conoscente che non vedi da tempo. È un saluto che segue uno schema particolare.
Quando incontri qualcuno che non vedi da tempo il cuore inizia a correre la staffetta: «Non mi pare
di conoscerlo... Anzi, sì... Madovedovedove... Lavora al reparto di Zoidber? No... Ah! Ci
incontriamo sempre al ristorante di Elzar! Ciaooo!!!»
Questa rincorsa mentale si riflette distintamente sul volto. Per prima cosa, nello sguardo si
manifesta un dubbioso riconoscimento. Poi, una volta compreso chi si ha davanti, sul viso appare un
grande e caloroso sorriso (o almeno si spera). Facendo lo stesso ogni volta che conosci qualcuno, la
tua reazione verrà percepita come sincera e non solo «cortese». L’altro si sentirà speciale, l’unica
ragione della tua improvvisa gioia.
Ecco il metodo in dettaglio: guarda con curiosità il volto dell’altro per un secondo. Fermati e resta
immobile per un istante. Mantieni il contatto visivo. Dopo aver compreso chi è, lascia che un grande
sorriso ti illumini il volto, riflettendosi negli occhi e trasmettendosi anche all’interlocutore.

La stessa tecnica può essere usata al telefono. Come rispondi a una telefonata privata? Se non sai
chi sta chiamando, per prima cosa adotti una tonalità neutra. Solo quando senti la voce dell’altro e ti
accorgi che è un vecchio amico la situazione emotiva muta. «Pronto?... Chi... Oh ciaooo! Come stai?»
Lo stesso schema può essere applicato alle telefonate di lavoro, anche se in questo caso molto
dipende dalle singole circostanze. Può essere difficile farlo nel caso lavori al servizio clienti e ogni
giorno ti ritrovi a parlare con moltissime persone che non ti capiterà di risentire mai più. Ma se ti
capita di avere contatti ripetuti con la stessa persona, la tecnica può essere usata in maniera fruttuosa.
Al peggio, l’altro si domanderà come tu faccia a sapere chi è. Tuttavia, se Amy chiama per parlare
con Davros e dal tuo tono sembra che tu la conosca, è più probabile che le venga da pensare che
Davros ti abbia parlato di lei. Inoltre i suoi dubbi dureranno ben poco: preferirà permetterti di
stuzzicare il suo narcisismo piuttosto che farsi delle domande.
La tecnica funziona anche per quelle mansioni in cui è necessario rispondere con una frase fissa.
Non esordire in maniera entusiasta come forse ti hanno insegnato: usa invece un tono neutro. Solo
dopo che l’altro si è presentato assumi un tono che faccia comprendere che stai sorridendo. «Pronto,
qui TARDIS SVEZIA, parla Matt... Oh, salve Moya!» Lascia che percepisca che il caldo sorriso
riflesso nella tua voce è rivolto proprio a lei, e che sei felice che abbia chiamato.

Forse ti domanderai cosa c’entri tutto questo con il Gioco del potere. Salutare qualcuno non è la
stessa cosa che spingerlo a fare quello che vuoi. Certo, hai ragione. Ma come ho già avuto occasione
di spiegare: il vero potere va esercitato attraverso gli altri. E non lo puoi ottenere da solo, soltanto
perché lo desideri. Il segreto sta nello spingere gli altri a concedertelo. Per far questo è necessario
essere apprezzato: quando ti pensano devono avvertire emozioni piacevoli. E tra coloro che più ci
piacciono ci sono quelli che ci danno l’impressione di conoscerci davvero – e che in più sono così
felici di vederci! Di una persona simile possiamo fidarci ciecamente.

3.9. RICORDA OGNI DETTAGLIO

L’amico di un mio amico recentemente è stato a un raduno di illusionisti. Al ritorno era molto scosso.
Era il gruppo di persone più insopportabili che avesse mai incontrato, ha detto. Cosa gliel’aveva
fatto pensare? «Nessuno mi ha chiesto come stavo, come stava la mia famiglia o mia moglie. Non gli
interessava altro che parlare di trucchi di carte.» A dire il vero lui stesso è un prestidigitatore, ma i
partecipanti alla conferenza avevano infranto un’aspettativa sociale.
Tutti quanti, nel film della nostra vita, abbiamo il ruolo del protagonista. In quel film avvengono un
mucchio di Piccole Cose che hanno importanza per noi ma alle quali il mondo reagisce appena – al
bimbo è spuntato un altro dente, abbiamo smesso di mangiare yogurt e per colazione ora prendiamo
un uovo sodo. Ci sono anche Grandi Cose a cui ci aspettiamo che gli altri prestino attenzione –
abbiamo messo su famiglia, iniziato un nuovo lavoro, ci siamo diplomati, o tutti gli altri grandi eventi
della vita.
Quando gli altri non si interessano a queste Grandi Cose ci agitiamo e ci sentiamo sminuiti. Non
comprendiamo come qualcosa che per noi è fondamentale non significhi nulla per il resto del mondo.
Gli altri ci paiono disinteressati e freddi – e non comprendiamo che anche loro hanno un mondo
proprio con cose piccole e grandi a cui prestare attenzione. Se vuoi che gli altri ti aiutino con piacere
nel Gioco del potere, se vuoi essere il numero uno nella loro lista dei migliori amici, quello con cui
collaborano più volentieri, devi ricordartelo. Devi tenere d’occhio gli aspetti importanti della loro
esistenza – a quali progetti stanno lavorando, come si chiama il partner ecc. Devi mostrare un
interesse genuino per l’esistenza dei tuoi collaboratori e di chi ti sta vicino.

Gli altri saranno ovviamente felici se ti ricordi il nome di moglie, marito e figli. Ma allo stesso
tempo si aspettano che tu lo faccia, perché queste fanno parte delle Grandi Cose della loro vita. Non
guadagnerai molti punti mostrando di ricordare questo genere di particolari. Invece, proprio come nel
caso del mio conoscente, puoi rischiare di perdere parecchi punti se non le ricordi o te ne
disinteressi.
Invece, un modo per spingere gli altri ad amarti alla follia è dimostrare di conoscere anche le
Piccole Cose. Perché sono piccole solo per chi le vede dall’esterno – non per chi le vive. Riflettici:
non ti fa estremamente piacere quando il collega o il compagno di corso ti chiede come procede la
dieta delle uova? Sorprendente che se ne ricordi! Puoi fare lo stesso anche tu. Puoi ricordare i
dettagli quotidiani della vita degli altri, mostrare loro che ti interessano – e quindi farli sentire
importanti. In questo modo accenderai un riflettore sulla loro esistenza e li farai sentire delle star.
Confermerai quel che già sanno – che sono la persona più importante del mondo. E a tutti piace
sentirsi così.

C’è solo un piccolo problema: come ricordare tutti i particolari su tutte le persone che ci
circondano. Non bisogna preoccuparsi troppo. Non è necessaria una memoria eccezionale per
riuscirci. Basta un cellulare o un minuscolo blocco d’appunti. Se nell’ambiente tutti usano i biglietti
da visita, basta una penna.
Dopo aver incontrato qualcuno ed essere venuto a conoscenza dei dettagli della sua vita, basta
annotare quel che ha detto. Sul retro del biglietto da visita, o nel taccuino o – come faccio io – nello
spazio per le note sulla schermata dei contatti del cellulare. Non è necessario scrivere un romanzo.
Bastano alcune parole chiave: «Convivente: Linda. Figlio 1 anno. Denti». Oppure «Ora uova non +
yogurt» è già sufficiente. Al prossimo incontro basterà controllare in anticipo cos’hai scritto e fare le
domande giuste nel corso della conversazione. (Se hai le note sul telefono, basta dare un’occhiata
prima di chiamare per fissare un appuntamento.)
Può sembrare un gioco sporco, un’insincera manipolazione. Vorrei sottolineare che non è così. Al
contrario. Considerare una persona tanto importante da annotare quel che racconta per non rischiare
di dimenticarlo significa trattarla con estremo rispetto.
Che questo poi la spinga ad amarti e a mostrare il suo appezzamento facendo tutto quel che le
chiedi è qualcosa che non dipende da te.

3.10. COMPLIMENTI SINCERI

Nel Gioco del potere ci sono poche mosse efficaci quanto fare un complimento. Non intendo dire che
si debba adulare gli altri perché facciano quel che vogliamo, usando la maldestra tattica del
manipolatore: «Perché non lo fai tu, visto che sei così bravo?»
Esiste un modo giusto per rivolgere complimenti ed elogi, ma anche un modo assolutamente
sbagliato. Significativamente, quasi tutti lo fanno nella maniera errata. Semplicemente, non sanno
come fare, il che può essere un peccato per gli altri, ma è una fortuna per te. Nelle pagine seguenti
passeremo in rassegna gli errori più comuni, per vedere come evitarli. C’è tutto il necessario per
riuscire a usare uno dei migliori strumenti sociali che esistano.

Per prima cosa: Non avanzare mai una critica dopo aver fatto un complimento! Mai mai mai!
Lascia che il complimento resti isolato. In tal modo ti differenzierai dalle abitudini del 99,9
percento degli occidentali. È come se esistesse in noi una sorta di barriera innata che ci impedisce di
elogiare qualcuno senza contemporaneamente criticarlo: «Hai scritto un libro magnifico, ma il
capitolo quattro non mi è piaciuto»; «La festa del personale è stata davvero divertente, peccato che
non ci fosse abbastanza da bere»; «Ottima la tua relazione, forse un po’ troppo lunga».
Ti assicuro, qualsiasi cosa tu voglia far notare: lo sanno già. Siamo arrivati al punto in cui molti
accolgono le lodi con sospetto, poiché sono convinti che al complimento debba automaticamente
seguire una critica. (È molto simile all’abuso della parola «ma» di cui abbiamo parlato nella tecnica
2.3. Ma c’è una differenza sostanziale. In quel caso, la lode era una formalità per introdurre
un’affermazione fondamentalmente critica. In questo caso il punto centrale è il complimento. La
critica è solo un’aggiunta.)
Personalmente, ritengo che questo modo di esprimersi non sia che l’espressione di un bisogno di
autoaffermazione. Difatti, pochi di noi lavorano come critici o redattori, lavori in cui è necessario
esprimere un’opinione. Ma mostrandoci critici diamo l’impressione di essere capaci di avere
pensieri originali e di formulare analisi incisive.
In parte si tratta di una questione di status. È spiacevole dover ammettere che qualcuno è più bravo
di noi. Dunque tentiamo di mostrarci ben saldi sulle nostre gambe, di dare a vedere che abbiamo idee
importanti e che anche noi potremmo ottenere gli stessi risultati, senza accettare del tutto quel che
altri hanno fatto. Abbiamo ben diritto ad avere un’opinione.
La cosa ironica è che, evitando la critica, ci si mostra ancora più forti. Dicendo, in maniera onesta
e sincera: «La festa è stata davvero divertente» oppure «La vostra nuova canzone è magnifica» senza
aggiungere altro, ti sarai guadagnato un amico per la vita.

Poiché non siamo abituati a ricevere complimenti senza critiche, è necessario essere davvero
convinti di quel che si dice. Un modo per rendere più credibile un complimento è evitare espressioni
troppo generiche. Fa piacere sentirsi dire «Ci siamo divertiti ieri», oppure «Hai un aspetto
magnifico», ma l’effetto è abbastanza debole. È necessario esprimersi in maniera più specifica:
«Wow, le decorazioni in tema piratesco erano proprio splendide. Creavano un’atmosfera davvero
speciale». Oppure: «Questo vestito ti calza a pennello. Se fossi in te, lo indosserei più spesso».
Complimenti di questo tipo non solo hanno maggiore sostanza, ma rassicurano l’interlocutore e gli
insegnano qualcosa. Forse temeva che nessuno avesse apprezzato tutta la fatica fatta per montare le
decorazioni da pirata, ma ora ha avuto la conferma che è stata un’ottima idea. Forse non aveva idea
che il vestito le stava bene, ma ora lo sa.

I complimenti sono anche un modo straordinario per agire sui punti deboli di qualcuno – senza che
sia necessario dire esplicitamente cosa ha fatto di sbagliato o dar voce a critiche negative. Per usare
un esempio simile a quello della discussione sulla parola «ma» nel trucco verbale 2.4, immaginiamo
che il capo ti dica: «Bene, in generale mi pare che la tua relazione sia ottima. Ma ci sono alcune parti
un po’ confuse in cui è difficile capire cosa intendi». Come abbiamo già constatato, il capo ha usato
sia il bastone che la carota, ma cos’è che ti ricorderai? Che c’erano parti che non gli sono piaciute. Il
complimento iniziale sarà subito dimenticato. Ovviamente, nella prossima relazione ti sforzerai di
essere più chiaro, ma sarai spinto da una motivazione negativa. Lo farai per rimediare alla sua
delusione.
Immagina invece che il capo dica: «Bene, in generale mi pare che la tua relazione sia ottima. La
parte che più ho apprezzato è quella sul personale, chiarissima e facile da seguire. Quando sei così
preciso mi è più semplice capire di quali risorse tu abbia bisogno per continuare a ottenere buoni
risultati». Cos’hai sentito? Che la relazione era buona, e che il capo era particolarmente soddisfatto
di alcune parti. Ovviamente, ti sforzerai di essere ancora più chiaro, in modo che la prossima
relazione sia interamente chiara come la parte sul personale. L’effetto sarà, in altre parole, lo stesso
di prima, ma con un’importante differenza: questa volta la motivazione sarà positiva. Lavorerai per
rendere un capo già contento ancora più soddisfatto. (Un capo, tra l’altro, abbastanza furbo da farti
notare quali vantaggi otterrai.) Ho l’impressione che questa situazione più positiva ti spingerà a
scrivere una relazione migliore e che inoltre creerà un ambiente lavorativo decisamente più positivo.
Quindi, loda gli altri quando riescono bene in quelle aree in cui hanno problemi. Fa’ sì che
abbiano maggiori aspettative circa le proprie possibilità. Spingili a sforzarsi di ottenere un risultato
positivo ma non per evitare una critica negativa. Aiutali a puntare al successo invece che fuggire
dall’insuccesso.
Puoi addirittura spingere gli altri a sviluppare nuove inclinazioni lodando cose che neanche
sapevano di aver fatto. Chihiro probabilmente non aveva fatto caso a come ha iniziato la relazione.
Ma prova a dirle: «Relazione eccezionale. Mi piace come sei andata dritta al punto fin dalle prime
righe. Chiara e senza fronzoli. Cerca di iniziare e concludere tutto quello che scrivi in questa
maniera, e le tue relazioni saranno le più lette di tutta l’azienda». Accidenti, Chihiro si metterà a
spulciare il suo lavoro per capire come mai ha funzionato così bene e poi, spronata dal complimento
per qualcosa che non aveva idea di saper fare, presterà ancora più attenzione a come iniziare e
concludere i suoi testi. (Prometto che è l’ultima volta che parlo di questa relazione.)
Se riuscirai a essere credibile quando dici a qualcuno che è bravo in un certo campo, riuscirai a
farlo diventare ancora migliore. Indipendentemente dalle sue reali capacità.

Ricordalo sempre. Evitando le critiche e facendo complimenti onesti e genuini, rafforzerai


l’autostima dei tuoi interlocutori e li spingerai ad apprezzarti e ad ascoltarti. Allo stesso modo,
concentrando i complimenti su un dettaglio preciso, potrai rimediare a un comportamento negativo,
spingendo gli altri nella direzione che preferisci. Senza che si offendano o si sentano criticati.
I prepotenti alla vecchia maniera, come i burocrati parrucconi, i leader religiosi o l’insopportabile
prof. di matematica del liceo, preferiscono tortuose strade all’ombra della violenza psicologica,
mentre questa è un’autostrada diritta e in pieno sole. Che porta agli stessi risultati. Ogni giorno mi
stupisco che nessuno la imbocchi. Invece, quasi tutti aggiungono sempre una coda critica ai
complimenti che concedono, rovinando tutto. È possibile che ciò avvenga in maniera automatica, che
sia una vecchia abitudine senza secondi fini. Ma in tal modo distruggono anche le potenzialità che
avrebbero potuto sfruttare per influenzare le azioni altrui.
Se solo fossero stati coraggiosi come te.

3.11. LA FORZA DI CHIEDERE AIUTO

Potrà sembrare controintuitivo, ma un modo efficace di spingere gli altri a fare quello che vuoi è
chiedere aiuto. No, non sto scherzando. Rilassati e continua a leggere.
In primo luogo, solo pochi chiedono mai qualcosa agli altri, perché di solito temono di sentirsi
rispondere di no. Sono state fatte molte ricerche a proposito e tutte puntano nella stessa direzione:
sovrastimiamo il numero di persone cui dovremmo rivolgerci prima di ottenere quel che vogliamo. E
non di poco: riusciamo ad arrivare fino al duecento percento. In realtà, le persone sono molto più
disponibili di quanto crediamo.
Una spiegazione del perché non riusciamo a capirlo è che non riflettiamo sulla pressione sociale di
cui è infarcita una richiesta di aiuto. Se possibile, nessuno vuole allontanare un’altra persona,
specialmente se l’ha davanti agli occhi. Sai benissimo quanto sia complicato e faticoso dover dire di
no. Per gli altri è lo stesso. (Almeno per la maggior parte della popolazione capace di normali livelli
di empatia.) Ma quando ci interroghiamo sulla probabilità di essere aiutati o meno, non riflettiamo su
quanto sia stressante dire di no, mentre ci concentriamo su quanto costi dire di sì. Calcoliamo quanto
tempo e fatica saranno necessari per aiutarci e dimentichiamo di confrontarli con l’imbarazzo
suscitato da un rifiuto. Il più delle volte, il costo in termini di tempo e fatica è molto inferiore al
prezzo sociale che si paga nel dire no.
Crediamo che le proporzioni delle nostre richieste siano decisive. Crediamo sia più semplice
ottenere aiuto quando si tratta di una piccolezza che di una cosa complicata. Neanche questo è vero.
Di nuovo, è il prezzo sociale di dire sì o no che conta più di tutto. Che la richiesta sia piccola o
grande non è altrettanto fondamentale.

Quando chiediamo aiuto, inoltre, diamo per scontato che il vantaggio che otterremo comporti un
pari svantaggio per gli altri. Ciò significa che se chiediamo a qualcuno di investire il suo tempo per
aiutarci a mettere a punto un progetto, dovrà sacrificare del tempo che avrebbe altrimenti investito in
qualcos’altro. Ancora una volta ci sbagliamo. Spesso, ci viene chiesto di fare cose che ci piace fare.
La ragione per cui non le facciamo è che non abbiamo mai avuto un motivo per iniziare. Infatti, molte
volte siamo lieti di aiutare, perché quel che ci viene chiesto ci interessa davvero.
Poiché non riflettiamo su questi punti e non conosciamo la pressione sociale che viene attivata
quando chiediamo aiuto, siamo convinti che la persona cui ci rivolgiamo reagirà con stizza e
frustrazione per la nostra imprudenza. A tutti sono capitati casi in cui ciò è successo davvero. Ma in
verità, capita molto di rado. Abbiamo la tendenza a ingigantire gli episodi in cui abbiamo ottenuto un
rifiuto. Ci è più facile ricordarli e li riviviamo come peggiori di quanto non fossero in realtà, per cui
evitiamo di chiedere ancora. Il che è da stupidi. Di nuovo, siamo culturalmente programmati a
provare compassione per chi ci chiede aiuto, anche se dovremo interrompere quello che stiamo
facendo e dedicarci a qualcosa che non abbiamo troppa voglia di fare.

Per massimizzare le probabilità di ottenere l’aiuto che ci serve è tuttavia necessario, come sempre,
prestare attenzione alla tempistica. È più facile acconsentire a una richiesta di aiuto nel momento in
cui le nostre risorse non sono del tutto esaurite, cioè prima di una lunga giornata lavorativa o
dell’inizio della scuola. Al mattino, quando le risorse sono al massimo, facciamo volentieri cose che
non appartengono alla routine quotidiana, se qualcuno ce lo chiede. Alla fine della giornata, quando
iniziamo a essere stanchi, preferiamo continuare con quel che stiamo già facendo e non abbiamo le
forze di iniziare cose nuove, come prestare aiuto agli altri.
Ciò non significa che nessuno ti aiuterà mai di sera, solo che sarà un po’ più difficile. La pressione
sociale, comunque, è sempre presente. Un ottimo esempio è il mio amico M, che tempo fa comprese
quanto potere si annidi in una richiesta d’aiuto. Ci incontrammo una sera, al fastfood Sandy’s di
Stureplan, a Stoccolma. Era mezzanotte passata e la cassiera ventenne era stanca. Sicuramente, non
era la condizione ideale per presentarsi con una lunga serie di richieste. M iniziò con una semplice
domanda: «C’erano altri tipi di tè oltre a quelli alla frutta in esposizione? Magari qualcosa di più
delicato, come un Earl Grey». Con un sospiro, la ragazza si mise a cercare nei cassetti. Quando trovò
una bustina impolverata di Earl Grey, lui le chiese se, invece di consegnargli la tazza con la bustina
dentro, avrebbe potuto tenerla in infusione solo per dieci secondi, e poi buttarla via. Il tè gli piaceva
molto, molto leggero. A questo punto, avevo cominciato a capire che il mio nuovo amico M era un
uomo con desideri molto peculiari. Eppure, scoprii che era solo all’inizio. Infatti, M scoprì che
insieme al panino che aveva ordinato gli spettava un frutto; bisognava prenderlo da sé, da una ciotola
di mele e banane posata sul bancone. Chiunque altro avrebbe scelto uno dei due frutti e si sarebbe
ritenuto soddisfatto.
M chiese se potesse avere un’arancia.
La cassiera gli indicò il contenuto della ciotola dicendo che non avevano altro. Lui ripeté la
domanda. Magari avevano un’arancia da qualche parte? Stentai a credere ai miei occhi quando lei,
senza dire una parola, iniziò a cercare. Alla fine, incredibilmente, ne trovò una. A quel punto,
all’1.30 di notte, M le chiese se poteva anche sbucciargliela. Alle mie orecchie, dopo tutto quel che
era successo, la domanda suonò così provocatoria che mi sentii in dovere di dargli la possibilità di
spiegarsi meglio. Ero convinto che altrimenti lei avrebbe chiamato la vigilanza perché ci cacciasse.
Quindi, chiesi (a voce alta perché lei mi sentisse) se fosse allergico alla buccia. Niente da fare.
Semplicemente, gli faceva «schifo avere le mani tutte appiccicose».
Personalmente, ritengo che quella sera M giunse al limite di ciò che è socialmente accettabile. Ma
non fu mai scortese. Semplicemente, avanzò delle richieste. Sorridendo, chiese aiuto. E non solo lei
gli sbucciò l’arancia. Insieme al frutto, gli consegnò anche un bel sorriso.

Pensa a tutte le occasioni che hai perso, i clienti a cui non hai telefonato e gli appuntamenti che hai
mancato, solo per non aver compreso la volontà preprogrammata di rispondere sì alla domanda «Mi
aiuti con una cosa?»

3.12. FATTI AMARE LASCIANDOTI AIUTARE

Ma se ora inizi a chiedere costantemente aiuto, non finirai con l’irritare tutti quanti? A dire il vero,
l’esatto opposto. Ci piacciono le persone che chiedono aiuto. Addirittura, le preferiamo a chi non lo
chiede mai.
In un esperimento significativo, i partecipanti vennero pagati per prendere parte a una presunta
ricerca. In seguito, l’esaminatore chiese ad alcuni di restituirgli i soldi, poiché aveva pagato di tasca
propria e in realtà non poteva permetterselo. Agli altri non disse nulla. Curiosamente, durante una
successiva valutazione, coloro che avevano restituito i soldi trovarono il ricercatore più gentile e
simpatico di coloro che li avevano tenuti. Due percezioni diverse, basate su un’unica differenza: il
primo gruppo aveva ricevuto una richiesta di aiuto.
Se vuoi migliorare la tua immagine, chiedere aiuto è un’ottima cosa. Può essere bene farlo se, per
esempio, hai avuto un conflitto con qualcuno e hai dovuto usare il pugno di ferro, al punto che la tua
immagine ne è uscita malconcia. Forse hai vietato ai bambini (o ai colleghi) di giocare online per sei
mesi. Oppure hai litigato col portiere.
Probabilmente l’istinto ti consiglia di fare l’esatto opposto: dopo essere stato particolarmente duro
è meglio offrire aiuto piuttosto che chiederlo. In tal modo, dopo essere stato inflessibile, puoi
mostrarti invece premuroso e disponibile. Ma le cose stanno nel modo opposto: c’è il rischio che chi
ci offre aiuto ci piaccia di meno. Quando qualcuno si offre di aiutarci ci fa sentire emotivamente in
debito con lui. Quindi, non provare a riequilibrare il tuo atteggiamento precedente offrendo i tuoi
servizi. C’è il rischio di conseguenze spiacevoli.
Mostra invece il tuo lato più umile. Se chiedi aiuto dopo esserti comportato in maniera sprezzante
o dominante, dimostrerai di non essere più altrettanto pieno di te. Se per risposta ottieni qualcosa
come: «Ah sì, ora ti faccio comodo?» sforzati di ribattere: «Certo, lo sanno tutti che in questo sei il
migliore, senza di te non so come fare». È un piccolo prezzo da pagare perché la persona con cui hai
litigato cominci di nuovo ad apprezzarti.

Questa tecnica può essere usata anche per migliorare l’opinione che qualche persona ostinata ha di
te. Diciamo che hai bisogno di collaborare con qualcuno che si ritiene il galletto del pollaio e che
non ha alcuna intenzione di starti ad ascoltare. Chiedigli aiuto per qualcosa. Non c’è bisogno che sia
un favore enorme, basta chiedergli in prestito un libro che, gli spiegherai, ti interessa ma che non sei
mai riuscito a trovare, per esempio la prima edizione di Slicer di Garth Marenghi che hai notato nella
sua libreria. Grazie alla pressione sociale, è probabile che ti accontenti. Se non lo fa, non avrai perso
nulla, ma se ti aiuta qualcosa inizierà a ribollirgli in mente. Infatti, l’avrai costretto ad agire in
contrasto con le sue convinzioni. Inconsciamente, inizierà a pensare cose come: «Ma perché l’ho
aiutato se nemmeno mi piace? Se è vero che non mi piace non avrei dovuto aiutarlo. Evidentemente
penso che in fondo non sia poi così male». Avendolo spinto ad agire come se gli piacessi, l’opinione
negativa che ha di te s’indebolirà: siamo convinti che non faremo mai favori alle persone che
disprezziamo. In seguito la collaborazione funzionerà molto meglio. Se non mi credi, pensa ad
Abraham Lincoln. Questo era uno dei suoi metodi preferiti per ammorbidire gli avversari e spingerli
ad accettare le sue proposte nel corso di trattative successive.

Forse credi ancora che chiedere aiuto sia umiliante. Non contraddice del tutto lo spirito di questo
libro? La forza non sta nell’indipendenza, chi fa da sé fa per tre? Niente affatto. Una delle definizioni
della parola «potere» è: «La capacità di un individuo di influenzare un altro individuo». Il potere è la
possibilità di accedere alle risorse di un altro e, grazie a esse, modificare la propria situazione.
Agire in modo discreto tramite gli altri. Per questo, chiedere aiuto non è un segno di debolezza. È una
dimostrazione di potere.

3.13. RINGRAZIA!

Abbiamo appena parlato di alcune semplici azioni come rivolgere un complimento o chiedere aiuto;
azioni che permettono di utilizzare una forma molto sottile di potere. Un altro gesto sottovalutato e
spesso trascurato è dire grazie. Lo facciamo troppo poco. E quando lo facciamo, di solito ci
limitiamo a dire solo quello: «Grazie». D’altro canto, in genere è più che sufficiente; non c’è bisogno
di ulteriori specificazioni: spesso è ovvio il perché ringraziamo – qualcuno ci passa un piatto mentre
siamo in fila al self-service, o ci tiene aperta la porta. Grazie.
Proprio come nel caso dei complimenti, spesso non ci accorgiamo del potere nascosto in un grazie
ben detto. Non è affatto il gesto banale che sembra, al contrario, è il succo della strategia sociale del
Gioco del potere. Quando fatto nel modo giusto.
Usando solo la parola «grazie», l’interlocutore deve indovinare cosa vogliamo dire e sceglierà la
spiegazione più semplice e banale, perché è così che siamo abituati a fare. Ma se conosciamo la
motivazione di un gesto, lo prendiamo più sul serio. E ancora di più se la ragione non è banale.
Per cui, inizia a ringraziare anche quando gli altri non se lo aspettano. Proprio come con le Piccole
Cose, un grazie genuino e mirato è un modo straordinario per dimostrare che non dai nulla per
scontato, anzi, che noti ogni azione fatta in tuo favore e che ne sei grato.
Inizia da quel piatto, mentre sei in coda. Invece di un comune, un po’ rigido «grazie» potresti dire:
«Grazie, ti sei accorto che ho dimenticato il piatto!» Non ti pare molto meglio? Nota, inoltre, che non
stai più ringraziando per il piatto. Il grazie è per l’attenzione che ti è stata mostrata. Spero che tu
colga la differenza. Psicologicamente è gigantesca. Ringraziare per un piatto è una cosa comunissima
e scontata. Ringraziare per un gesto è dimostrare un apprezzamento personale.
Riflettendoci, comprenderai in quante occasioni, ogni giorno, hai motivi per ringraziare qualcuno.
Grazie per avermi aspettato. Grazie per aver risolto il problema. Grazie per essere stato così veloce.
Grazie per il tempo che mi hai dedicato. Grazie per esserti ricordato quello che io ho dimenticato.
Grazie per il tuo impegno. Grazie per l’ottimo atterraggio.

Spiegando meglio a cosa si riferisce il tuo ringraziamento, e attribuendo importanza a gesti che di
solito vengono dati per scontati, non solo fai in modo che gli altri si sentano al centro dell’attenzione:
confermi anche una strisciante impressione che già nutrono – che sono straordinari – e questa si
rifletterà su di te. Avendo compreso quanto sono buoni, anche tu devi essere una persona
straordinariamente simpatica – e probabilmente molto intelligente. Una persona che volentieri si
fermeranno di nuovo ad ascoltare. Indovina da che parte si schiereranno il giorno in cui avrai
bisogno di sostegno.

3.14. QUANDO SEI MORTO

C’è un esercizio terapeutico che consiste nell’immaginare la propria lapide e l’epitaffio che ci si
vorrebbe sopra. Non sorprende che l’esercizio sia stato sviluppato negli USA, dove gli epitaffi sono
notevolmente più comuni. Ma può essere utile per chiunque. In parte, è un modo drastico per
comprendere cosa riteniamo fondamentale nella vita – e quanto vicini o lontani siamo dall’ottenerlo.
In parte, l’esercizio fornisce informazioni che ci rendono dei veri ninja quando dobbiamo portarci in
vantaggio nel Gioco del potere.

Chiedere a qualcuno quale epitaffio vorrebbe sulla propria lapide è una domanda molto più
difficile di quanto potrebbe sembrare. (Tuttavia non è così difficile porre la domanda come si
potrebbe credere. Può sembrare un argomento bizzarro, ma la maggior parte delle persone lo accetta
come un comune quesito di filosofia spicciola, su cui fermarsi a riflettere volentieri.) Per
comprendere come mai non sia così semplice rispondere, fermati a riflettere su cosa vorresti fosse
scritto sulla tua lapide. «Un ragazzo delizioso»? «Per lei l’amore era tutto»? «Sempre pronta ad
aiutare gli altri»? «King of Kong»?
Noterai che la domanda mette in moto una serie di processi e di ulteriori quesiti. Per cui fai in
modo di porla solo se hai tempo per fermarti ad ascoltare la risposta. Spesso si avvia una
conversazione personale e interessantissima, alla quale anche tu devi contribuire con informazioni
personali. Racconta cosa vorresti fosse scritto sulla tua tomba e perché. A volte una conversazione
così intima può risultare imbarazzante – per esempio tra persone che non si conoscono molto bene. In
tal caso si può smorzare l’effetto emotivo ponendo la domanda a un intero gruppo, come fosse un
innocuo gioco di società.

Una volta che qualcuno ti avrà confidato quale epitaffio vorrebbe, tienilo bene a mente. Ti avrà
rivelato qualcosa che forse nemmeno lui sa: quale tra le proprie qualità ritenga più importante. Se
Kirby del reparto finanziario vuole che la sua lapide reciti: «Qui giace la persona più cortese al
mondo», saprai che la cosa che più gli preme è essere considerato cortese. Se Ditko del bar vuole
«Qui giace un geniale scienziato», saprai che essere considerato un ricercatore di successo è per lui
la cosa più importante. Indipendentemente dal fatto che lo sia o meno.
Ora, hai tutte le informazioni necessarie per il tuo ninjutsu verbale. È comunque meglio attendere
un po’ di tempo prima di ricorrervi: altrimenti si accorgeranno che stai sfruttando le informazioni
raccolte durante la conversazione, annullandone l’efficacia. Il trucco funziona solo dando
l’impressione di aver compreso ogni cosa da te. Dunque devono passare almeno una o due settimane,
o anche di più, in modo che gli altri abbiano il tempo di dimenticare la conversazione. Tu, intanto,
pregusta la vittoria.
Quando in seguito ti sembrerà che sia giunto il momento, inizia, come al solito, a mostrare il tuo
apprezzamento, con una lode e un grazie. Poi, aggiungi l’informazione ottenuta col gioco della
lapide: «Grazie per avermi aiutato, sei davvero la persona più cortese del mondo». Oppure: «Ehi
ma questa roba è fenomenale, devi essere lo Stephen Hawking del bar!» Puoi anche indicare la
qualità che la persona in questione ritiene fondamentale come la ragione del tuo apprezzamento:
«Volevo solo dirti che apprezzo davvero la tua cortesia». Prova a evitare gli eccessivi salamelecchi,
anche se la tentazione è notevole.
Nessun complimento, e intendo davvero nessuno, è più efficace di questo. Sentirsi apprezzati è
sempre un’enorme soddisfazione, ma quando si è apprezzati per ciò che più ci piace di noi stessi è
come ricevere uno shuriken emotivo in mezzo agli occhi. Con questa tecnica non solo dimostrerai di
aver compreso a fondo il tuo interlocutore, ma anche che entrambi attribuite importanza alle stesse
cose. Dopo di che, ti seguirà volentieri.

3.15. BADA ALL'INTERIORITÀ

Nel primo gioco abbiamo discusso dei nostri bisogni fondamentali: sicurezza, potere, socialità,
accettazione, sesso e controllo. Il desiderio di soddisfarli è ciò che ci spinge a fare quello che
facciamo. Dai bisogni fondamentali derivano anche i nostri valori, le convinzioni e le opinioni, che a
loro volta funzionano come filtri attraverso i quali osserviamo il mondo.
È importante ricordarsene. Spesso infatti non sappiamo cosa desideriamo (ti ricordi il padre di
famiglia alle prese con l’acquisto della barca?), e anche quando pensiamo di saperlo, non sappiamo
esattamente perché. Spesso ciò dipende dal fatto che, sotto la superficie, si nasconde qualcosa di
molto diverso da quello di cui siamo coscienti. Identificando quello che resta nascosto, è possibile
dare agli altri ciò che intimamente desiderano. E, in cambio, ottenere potere.

Mettiamo il caso che tu abbia qualcosa da offrire. Può essere un prodotto, un servizio o
un’opinione. Ma non vuoi che il tuo contributo resti solo una fra le tante possibili alternative. Vuoi
che i tuoi futuri clienti o elettori facciano a gara per accaparrarsi il tuo prodotto, ne prendano due per
volta, e se ne vadano con un senso di profonda gratitudine nei tuoi confronti.
Sembra il sogno proibito di ogni venditore o politico? Realizzarlo è più facile di quanto credi.
L’unica cosa da fare è mostrare come l’offerta soddisfi un bisogno fondamentale. Probabilmente, la
persona a cui ti rivolgi non ne è del tutto consapevole, quindi è necessario darle un aiutino. Ma se
neanche lei sa quale bisogno vuole soddisfare, come puoi saperlo tu? Facile, basta chiederglielo.
«Qual è la qualità più importante nel prodotto che desideri (l’oggetto che stai per comprare/il
corso che frequenterai/il ragazzo con cui andrai a cena)? Cosa ti aspetti di ottenere?»
La risposta però non sarà tutta la verità. Per esempio, l’interlocutore potrebbe dire:
«Voglio seguire questo corso di golf per imparare a giocare meglio.»
A questo punto, conosci il suo obiettivo. Ma un obiettivo non è la stessa cosa di un bisogno
fondamentale. Il passo successivo, quindi, è chiedere perché desideri giocare meglio a golf. Poche
persone agiscono in maniera del tutto casuale, senza alcuna motivazione; la risposta che otterrai sarà
differente; per esempio:
«È importante per il lavoro.»
Aha, adesso ci siamo! Improvvisamente, ecco una valutazione che non ha nulla a che vedere con
l’abilità nel gioco del golf. E sai che i bisogni fondamentali influenzano le nostre valutazioni. Ma
ancora non sai di quale bisogno si tratta. Quindi, devi tornare a chiedere perché: Perché è importante
per il lavoro?
«Perché tutti i colleghi ci giocano e quelli con un buon handicap sono più rispettati dalla
dirigenza.»
Bingo.
La motivazione soggiacente è ottenere rispetto sul lavoro (ti accorgerai di aver ottenuto la risposta
‘vera’ dalla maggiore partecipazione emotiva che l’accompagna, nella voce o nel volto). Migliorare
a golf non è altro che un mezzo per raggiungere un obiettivo completamente diverso. Potresti anche
chiedere perché essere rispettati sul lavoro sia importante, ma hai già scoperto i due bisogni
fondamentali coinvolti: accettazione e controllo della propria situazione.

Ora arriviamo alla magia. Sai cosa l’interlocutore desidera davvero. Se ti occupi di vendere corsi
di golf, puoi fare in modo che scelga la tua proposta e non quella del concorrente, offrendogli degli
extra che possano garantirgli una migliore posizione all’interno del gruppo dirigenziale: per esempio,
una foto che lo ritragga col tuo amico Jesper Parnevik, da mettere in bella mostra sulla scrivania.
Oppure un elegante diploma in una cornice dorata. O una piccola coppa. Cose che non hanno
connessione diretta col corso, e che il tuo concorrente quindi non prende in considerazione. Ma come
sai, potersi mettere in mostra è importante tanto quanto (se non di più) le nozioni di gioco.
La cosa migliore di questa tecnica è che i bisogni fondamentali sono molto generici. Il bisogno di
essere accettati sul lavoro non riguarda solo il golf. Anche se non vendi corsi di golf (pochi di noi in
effetti se ne occupano) è comunque possibile aiutare l’interlocutore a raggiungere il suo obiettivo in
altri modi. Chiedendo in quale maniera possa guadagnarsi il rispetto della dirigenza, potrebbe venir
fuori qualcosa in cui potresti aiutarlo. Può ottenerla imparando a programmare in C++? O comprando
scarpe di cuoio inglesi? Cambiando idee politiche? O qualsiasi altra cosa tu abbia da offrire.
Se ancora non hai scoperto come aiutarlo, poni la seguente domanda:
«Come farai a sapere di aver raggiunto il tuo obiettivo? In che modo ti accorgerai di aver ottenuto
il loro rispetto?»
La riposta che otterrai conterrà qualcosa di «misurabile». Per e​​sempio:
«Mi inviteranno più spesso alle riunioni.»
Se ancora non ha elaborato altre strategie per raggiungere il suo obiettivo a parte frequentare il
corso di golf, la risposta a questa domanda può mostrarti come aiutarlo. Esistono altri modi per
ottenere lo stesso risultato. Forse non vendi corsi di golf, ma magari lavori nel reparto personale.
Puoi far sì che venga convocato più spesso alle riunioni aggiungendo il suo nome all’ordine del
giorno?

Quindi: cerca di scoprire quali bisogni fondamentali l’interlocutore desideri appagare. Ricorda
che la soluzione da lui elaborata non è necessariamente l’unica via possibile. Se ciò che hai da
offrire soddisfa quel bisogno, fallo notare, mettendolo bene in chiaro, in modo che risulti ancora più
adatto alle sue esigenze. In alternativa, cerca di scoprire se ci sono altri modi di soddisfare lo stesso
bisogno o di ottenere gli stessi risultati «misurabili».
L’ultimo passo è, usando un’espressione del gergo commerciale, siglare un’intesa. Sai che ciò che
offri è esattamente quel che l’altro desidera, e che nessuno può offrirgli la stessa cosa. Non resta che
spingerlo a dire di sì. Quindi dirai:
«Avendo la certezza che posso aiutarti a ottenere il rispetto dei dirigenti, accetteresti di iscriverti
al mio corso/comprare le mie scarpe/uscire con me?»
In altre parole: vuole quello che hai da offrire sapendo che gli garantisce la soddisfazione dei suoi
bisogni? È una domanda a cui non si può rispondere di no. Un tipo di domanda che ci piace porre.
Ma se dovessi comunque ottenere una risposta negativa, ciò significherebbe che in realtà le
motivazioni e i bisogni che lo spingono sono altri: quelli identificati finora sono senz’altro presenti,
ma non sono abbastanza forti da spingerlo all’azione. Nessun problema. Ricomincia dall’inizio e
chiedi:
«Cos’altro t’interessa ottenere dal corso, oltre il rispetto sul lavoro?»
Prima o poi otterrai ciò che ti serve.

Può sembrare un processo complicato e impegnativo, ma in realtà non si tratta che di due o tre
domande che non richiedono più di qualche minuto. Ne vale la pena? Certo! Una volta scoperto
cos’ha più importanza nella vita di qualcuno, quali sono i suoi valori e le sue convinzioni
fondamentali, e cercando di soddisfarli, potrai chiedergli qualunque cosa. Fintanto che sai come
formulare la domanda, otterrai sempre una risposta affermativa.

VITA EXTRA!

Arrivato al punto in cui un «sì» sembra l’unica risposta logica, potrebbe comunque accadere che la
persona che credevamo di aver convinto ci manifesti perplessità o obiezioni. Improvvisamente, il
collega mette in dubbio che quel che gli offri sia proprio ciò di cui ha bisogno. Non esiste nulla che
sia ancora meglio?
La reazione comune è lamentarsi di questi «tipi difficili» e arrendersi. Ma è un errore. Le
obiezioni non significano che ciò che offri sia insufficiente. Al contrario, sei senz’altro riuscito a
catturare l’interesse dell’altro. Riflettici. Se qualcuno provasse a importi qualcosa che non vuoi,
risponderesti mettendo in dubbio o criticando alcuni dettagli del prodotto? Probabilmente no.
Risponderesti «nonsonointeressato» e riagganceresti.
Quando qualcuno inizia a porre domande è perché vuole sincerarsi dei dettagli, leggere ogni
clausola, in modo che tutto sia chiaro. Si è già convinto che ciò che gli offri è quello che gli serve.

3.16. PERSUASIONE PERSONALIZZATA


Quando vuoi convincere qualcuno di qualcosa, per esempio che Wallace deve scegliere te come
responsabile o comprare uno dei televisori che vendi, può essere di grande aiuto scoprire in che
modo ragiona. Ciò che viene presentato in linea con i pensieri pregressi di qualcuno risulta spesso
più convincente. Ma ciascuno di noi ragiona in maniera diversa. Per convincere Wallace a scegliere
come vuoi tu, devi solo scoprire come si comporta quando deve fare una scelta. Per fortuna, non ha
nessun problema a rivelartelo. Basta chiederglielo nel modo giusto.

Cosa convince
Per prima cosa devi scoprire in che maniera preferisce essere convinto. Ci sono modi diversi di
presentare la tua idea, ma devi sapere quale faccia più presa su Wallace. Scegli un argomento che gli
interessa, per esempio i libri, e chiedigli: «Come fai a capire che un libro è bello? Che è quello che
vuoi leggere?» Ti sorprenderà scoprire quante risposte diverse ci siano a una domanda così
semplice. Ad alcuni basterà vederlo, altri si lasceranno consigliare. Alcuni devono leggere qualche
pagina di prova, ad altri basta una recensione positiva.
A seconda della risposta, saprai come orientare la tua campagna elettorale o presentare il tuo
televisore nella maniera più convincente. Wallace ha bisogno di un’esperienza, di sentire qualcun
altro che gliene parla? O forse è meglio dargli una brochure informativa? Ti ha appena spiegato cosa
gli serve per essere persuaso, non ti resta che adeguarti.

Ora sai come presentare le informazioni. Il passo successivo è formularle nella maniera corretta.
Ci sono tre aspetti importanti da tenere in considerazione: direzione del movimento, strategie di
scelta e termini di confronto.

Direzione del movimento


Ascoltando come gli altri si esprimono, noterai che le loro scelte sono motivate o dal desiderio di
ottenere cose positive o da quello di evitare cose negative. Nel primo caso il movimento è verso
qualcosa. Queste persone parlano di «ottenere», «raggiungere», «risolvere», «centrare» un
«obiettivo». Il secondo è un movimento da qualcosa. Chi lo preferisce parla di «evitare»,
«allontanarsi» o «sfuggire». Fa’ attenzione a come si esprime Wallace e adeguati. Se dice di
«desiderare maggiori opportunità» (movimento verso) spiegagli che se diventassi responsabile tutti
potrebbero seguire corsi di perfezionamento, o che il televisore gli permette di programmare ogni
funzione secondo le sue necessità. Ma se invece vuole «porre rimedio all’attuale caos» (movimento
da), non spiegargli che vuoi creare ordine e tranquillità, o che il televisore è garantito per anni: sono
tutti movimenti verso. Digli invece che, in quanto responsabile, cercherai di rimediare agli attuali
problemi di pianificazione, o che il televisore non ha quei menù complicatissimi degli altri modelli.
Movimenti da. La differenza è sottile ma importante.
Strategie di scelta
Devi anche sapere in che maniera Wallace opera le sue scelte. Vuole disporre di molte alternative
diverse o gli serve una gran mole di informazioni? Chiedigli come ha fatto a scegliere la nuova
macchina fotografica. Se ti dice che ha preso in considerazione tantissimi modelli prima di scegliere
il migliore, presentagli la tua proposta insieme a molte altre alternative. Lascia che valuti i diversi
candidati, prima di comprendere che il migliore sei tu.
Tuttavia, un grande numero di opzioni non sortirà alcun effetto se prima di prendere una decisione
ha bisogno di informarsi dettagliatamente in rete. Una persona simile non vuole confrontare diverse
alternative, preferisce trovare soddisfazione a bisogni precisi. In tal caso è meglio presentargli un
elenco dettagliato dei tuoi obiettivi, qualora diventassi responsabile, o delle specifiche tecniche del
tuo televisore. (Che invece potrebbero annoiare chi preferisce scegliere tra numerose opzioni.)

Termini di confronto
Infine, devi scoprire in quale maniera Wallace confronta due cose diverse. Chiedigli di fare un
paragone, per esempio spiegandoti le differenze tra il nuovo lampadario della cucina e quello
vecchio, e ascoltalo attentamente. Può premettere che sono alquanto simili ma con importanti
differenze, o che sono fondamentalmente diversi ma con alcune caratteristiche in comune. (Spero che
la differenza ti sia chiara.) Questo ti fornisce un’arma in più per presentare la tua proposta,
raffrontandola alle altre nel modo corretto. A seconda delle sue premesse, potrai sottolineare le
somiglianze con altre proposte, a parte alcuni punti importanti:
«Esattamente come gli altri candidati al posto di responsabile, è da molto che faccio parte
dell’organizzazione. In questo ci assomigliamo tutti. La grande differenza è che io sono sempre stato
un freelance, quindi ho potuto conservare un punto di vista esterno sull’attività.»
Oppure:
«Prima di tutto è un ottimo televisore, come anche gli altri d’altronde. Tecnicamente sono tutti
ottimi. La differenza è che questo è dotato anche di 3D, riconoscimento vocale e sensore di
movimento.»
Altrimenti, fa’ l’esatto contrario e sottolinea le differenze tra la tua proposta e le altre, anche se
esistono dei punti in comune:
«In tutti questi anni ho continuato a lavorare come freelance, in tal modo ho potuto conservare un
importantissimo sguardo dall’esterno sull’attività. Ciò mi rende diverso da tutti gli altri candidati.
Anche se tutti facciamo da molto tempo parte dell’organizzazione.»
«Questo modello è dotato sia di 3D in HD che di riconoscimento vocale e sensore di movimento,
il che lo rende unico. Ovviamente funziona benissimo anche come semplice televisore, esattamente
come gli altri modelli.»

In realtà potresti fermarti qui, ma siccome sei una persona buona, desideri che Wallace, dopo
essersi lasciato convincere, abbia anche l’impressione di aver fatto la scelta giusta. Dunque scopri
cosa gli serve per avere questa sensazione. La settimana scorsa, parlando di un progetto a cui
collaborate, gli hai chiesto: «Come sai di aver fatto un buon lavoro? Te lo senti dentro oppure hai
bisogno che qualcun altro te lo dica?»
Poiché ha risposto che si fida delle proprie impressioni, potrai evocare le sensazioni giuste per
convincerlo che la tua proposta è ottima. Se invece avesse risposto che ha bisogno di qualche
conferma dall’esterno, gli avresti parlato di Gormit, anche lui certo che la tua candidatura o il tuo
televisore siano straordinari. Oppure, gli avresti mostrato una brochure, o un forum, in cui altre
persone soddisfatte raccontano la propria esperienza positiva.

Di nuovo: può sembrare ci siano tantissime cose da tenere a mente, ma, ripeto, non è così. Questo
è il Gioco del potere nella sua forma più semplice. Fai delle domande, ascolti le risposte e agisci di
conseguenza. In più non è necessario affrontare tutte queste variabili, se non vuoi. Ne bastano una o
due, per esempio come presentare le informazioni e sapere in che direzione si muove l’interlocutore:
è sufficiente per giocare al Gioco del potere a un livello cui pochi arrivano.

3.17. RICONOSCERE UN NO NON-VERBALE

Quando gli altri ti dicono di sì, nessun problema: finché fanno come vuoi e in più pensano sia
piacevole, tutto fila liscio. È quando dicono di no che iniziano i grattacapi. Nel Gioco del potere è
importante cercare in ogni modo di evitare di farsi dire di no. Perché se ti dicono troppi no, verrai
percepito come insistente, e tutti inizieranno a parlar male di te alle tue spalle (proprio come succede
a Margaret). In tal caso, la partita è irrimediabilmente persa.
I mediatori professionisti hanno imparato a capire quando stanno per ottenere un no, grazie ai
segnali non-verbali che spesso lo precedono. Prestando attenzione a questi segnali, sono in grado di
orientare la conversazione verso posizioni che limitino le possibilità che il no compaia. Puoi
imparare a fare lo stesso e capire quando qualcuno sta per mettersi d’intralcio, prima ancora che la
situazione si verifichi. Finché l’interlocutore non ha espresso il «no» a parole, rinsaldando la propria
decisione, è ancora possibile fare marcia indietro e riformulare o chiarire una proposta in modo che
il potenziale no si trasformi in un sì.
Tuttavia, ciò richiede un po’ di esercizio e preparazione.

Per prima cosa bisogna osservare il comportamento normale dell’interlocutore, tenendo comunque
ben presente che questo può variare a seconda dello stress. Se sai che vi incontrerete in una
situazione stressante, per esempio durante una trattavia o un’importante riunione, devi sapere come si
comporta normalmente in circostanze in cui il livello di stress e nervosismo è alto e come l’emotività
lo influenzi. Sapere come si comporta quando fa una pausa alla macchinetta del caffè non ti servirà.
Dunque aspetta di incontrarlo in una situazione più tesa. Ma prima di affrontare l’argomento
principale fai in modo di chiacchierare un po’. Fagli domande semplici, a cui possa rispondere in
maniera sincera. Cerca però di evitare domande che portino a una risposta negativa. Passato bene il
weekend? Sei stato alla retrospettiva di Jan Švankmajer? In questi casi le risposte non sono molto
importanti: concentrati piuttosto sul suo comportamento e sulla sua voce. Ha dei tic, come dondolarsi
su una gamba mentre risponde? Che tono usa? Risponde con poche parole o con molte? Dà
spiegazioni oppure no?
Dopo qualche domanda simile saprai qual è il suo comportamento normale in una situazione di
stress. È importante notarlo con precisione, poiché costituirà il punto di riferimento che ti permetterà
di scoprire eventuali alterazioni nel suo comportamento.

Il passo successivo è riconoscere un no. Inizia quindi a fare domande che sai porteranno a una
risposta negativa. Andrai a vedere il nuovo capitolo di Guerre Stellari? Sei un fan degli One
Direction? Non fa niente se le domande sono strane, lascia pure che ti consideri un po’ bizzarro:
l’importante è ottenere un no. Di nuovo, osserva il suo comportamento. Questa volta, cerca di
scoprire se ci sono differenze rispetto a quanto hai osservato in precedenza.

Voglio subito avvertirti che è difficilissimo notare ogni dettaglio utile. Per farlo, ci vorrebbero un
centinaio di domande. Il che di rado è possibile. Un buon trucco è quindi chiedere a qualcun altro di
essere presente per fare da osservatore, in modo che tu possa concentrarti a parlare. (Partecipare alle
riunioni altrui è inoltre un ottimo modo per esercitare la propria capacità di osservazione.) Non è
necessario usare lo sguardo laser per l’intera conversazione. Concentrati su un punto specifico del
dialogo, in particolare sul momento in cui, dopo una domanda o una proposta, l’altro sta per darti una
risposta, o viceversa: sul momento in cui tu stai per rispondere a lui. È allora che si manifestano i
segnali più importanti – specialmente quelli che contraddicono le parole che vengono pronunciate.
Se dice che la tua proposta è interessante, ma noti lo stesso comportamento non-verbale di quando
risponde di no, il tuo suggerimento non è abbastanza. Devi dunque riflettere velocemente su cosa
manchi per farglielo apprezzare.
Se invece dice di no ma mostra il comportamento neutro, significa che la tua proposta gli sembra
comunque accettabile: vuole soltanto vedere fino a che punto può spingersi per farti abbassare il
prezzo, concedere altri vantaggi o pagare il conto del bar. Sai che puoi proseguire per la tua strada:
ha già accettato la tua proposta, ma non vuole ancora fartelo sapere.

La ragione per cui è necessario studiare il comportamento dell’interlocutore è che siamo tutti
diversi. Ciò che caratterizza un no da parte di Oscar non significa necessariamente lo stesso per
Anna. Ma l’unico modo per saperlo è conoscere come Oscar e Anna si comportano quando
rispondono di sì.
Ci sono comunque altri segnali specifici che si manifestano quando si è in disaccordo con ciò di
cui si parla. Sono stati studiati nel contesto degli interrogatori, ed è un ottimo esercizio prestarvi
attenzione mentre si studiano le variazioni più personali. Ecco quali sono:
Prurito. L’interlocutore inizia all’improvviso a grattarsi il naso, il collo o il braccio. (È un tipico
gesto consolatorio travestito, ne parleremo tra poco.)
Doppio prurito. Una variante del prurito che coinvolge entrambi i lati del naso o del collo, o tutt’e
due le braccia.
Scatto della penna. L’interlocutore fa scattare ripetutamente la penna. Può accadere con una lunga
serie di ripetizioni, o con un clic per volta. Nota che chi ricorre sovente a questo gesto, spesso lo fa
anche quando ha in mano penne non a scatto.
Scalciatori e pendoli. Uno scalciatore sposta i piedi avanti e indietro, mentre un pendolo tiene una
gamba sopra l’altra e fa dondolare il piede. Entrambi questi gesti possono essere difficili da
individuare quando si è seduti a un tavolo. Ma si possono comunque distinguere grazie ai movimenti
del busto: è impossibile restare completamente immobili con il resto del corpo quando il piede
dondola su e giù.
Sedia bollente. L’interlocutore si sposta sulla sedia come se fosse scomodo. Spesso capita appena
prima che gli venga rivolta la parola.

Tutti questi segnali indicano la stessa cosa. Più una persona è inquieta o nervosa, più si sente a
disagio. E più si sente a disagio, più aumenta il rischio che ciò che dice non rispecchi quello che
pensa veramente. Usa quello che vedi per modificare il corso della conversazione, se ve n’è bisogno.
Non lasciargli il tempo di dirti di no.

3.18. GESTI E PAROLE CONSOLATORI

Quando ci sembra che qualcosa non vada, lo diamo a vedere in un modo di cui non siamo
consapevoli. Proprio come il no non-verbale, questo segnale negativo è spesso istintivo e discreto –
ed è importantissimo riuscire a identificarlo. Sapendo cosa cercare, si può comprendere rapidamente
se qualcuno si sente minacciato, incerto, spaventato o inquieto. È un segnale che veicola molte più
informazioni di quanto l’interlocutore potrebbe scegliere di rivelare a parole. Se per esempio Kaylee
del reparto management dà segni di fastidio mentre parla con un determinato collega, è certo che vi
sono dei problemi tra loro. E se Malcolm si lascia sfuggire un segnale di agitazione quando gli si
chiede come proceda il trasporto di cui si deve occupare, è evidente che le cose non vanno
esattamente come sta raccontando. Si tratta, ovviamente, di informazioni decisive per comprendere se
il Gioco del potere procede secondo i piani.
Qual è, dunque, questo segnale magico? Si tratta di un gesto piacevole: lo sfioramento.

Quando l’inconscio ravvisa una minaccia o un momento di agitazione, iniziamo a sfiorarci molto
più di prima. La ragione è semplice. Da bambini, i genitori ci consolavano dondolandoci in braccio.
Da allora, il contatto ci tranquillizza. È un effetto che non cessa mai. Non solo perché porta alla
memoria ricordi dell’infanzia – il contatto stimola le terminazioni nervose e inibisce il rilascio
dell’ormone dello stress. Ciò vale sia per gli esseri umani che per tutti gli altri mammiferi. In altre
parole, quando qualcuno ci sfiora ci rilassiamo non solo psicologicamente, ma anche fisicamente: è
l’industria chimica del corpo che provvede. Ma se non c’è nessuno che possa sfiorarci, dobbiamo
fare da soli.
Questo tipo di auto-sfioramento può presentarsi in forme differenti. Un esempio è il prurito, di cui
abbiamo parlato nella tecnica precedente. Altre variazioni comuni sono far scivolare le mani sul
volto, su e giù lungo le braccia, massaggiare i lobi delle orecchie oppure sfiorare il mento. Il tipo più
comune in caso di agitazione è massaggiarsi la nuca o accarezzarsi il collo. Per le donne è comune
anche toccarsi alla base del collo, dove si incrociano le clavicole. Non so come mai questo gesto sia
più comune fra le donne che fra gli uomini, ma immagino che possa dipendere dal fatto che questa
parte del corpo è solitamente più esposta nelle donne. Per questo, inoltre, è più comune che gli
uomini si tocchino il volto, mentre le donne preferiscono il collo. Anche gli uomini, ovviamente,
possono sfiorarsi il collo, ma in tal caso lo fanno con la mano intera, quasi ad afferrare la gola per
serrarla. Altri comuni gesti consolatori sono sfregarsi la fronte, toccarsi le guance o fare grandi
sospiri.
Sembriamo essere parzialmente consapevoli del fatto che questo tipo di gesti rivela qualcosa del
nostro stato mentale, poiché spesso troviamo delle scuse per poterci sfiorare: giochiamo con un
gioiello, raddrizziamo una collana o una cravatta, o fingiamo di spolverarci i vestiti. Basta mettersi
di fronte a uno specchio per capire quanto spesso questo tipo di sfioramento sia rappresentato nei
film. È quasi diventato un cliché, dopo che centinaia di attori hanno usato questi gesti per mostrare
l’inquietudine dei propri personaggi – non perché siano pessimi attori, ma perché è la nostra reazione
naturale.

Se qualcuno inizia a sfiorarsi in questo modo ogni volta che si presenta una certa domanda o un
certo argomento, e solo in quelle occasioni, è probabile che la conversazione lo preoccupi. Ma stai
attento a trarre delle conclusioni. Se hai chiesto al capo conferma del tuo aumento di stipendio e lui,
rispondendoti affermativamente, inizia a toccarsi la gola, non significa che stia mentendo. Significa,
comunque, che qualcosa nella tua domanda lo fa sentire incerto, sulle spine. Può essere che gli
vengano in mente i problemi con il bilancio dell’anno seguente. Di qualsiasi cosa si tratti, non devi
far altro che tentare, cautamente, di scoprirlo: «Visto che stiamo parlando di soldi, ho l’impressione
che ci sia qualche problema. C’è qualcosa che posso fare per aiutarti?» Se accetta il tuo aiuto, ti
sarai guadagnato un alleato fedele pronto a ricompensarti. (A volte la gratitudine e il bisogno di
ricompensare sono straordinariamente simili.) Altrimenti avrai comunque ottenuto un’informazione
utile da usare in altre occasioni.

VITA EXTRA!

Se noti questo tipo di gesti durante un’intera conversazione piuttosto che in concomitanza di singoli
argomenti, e sai che non fa parte del comportamento abituale dell’interlocutore, può essere che sia la
tua presenza a renderlo nervoso. (A seconda del tipo di gesti – e del tenore della conversazione –
potrebbe trattarsi anche di un tentativo inconscio di flirtare. Ma probabilmente saprai riconoscere la
differenza.) Prova allora a fare due passi indietro, per lasciargli più spazio, e inizia a usare un
diverso linguaggio del corpo, per vedere se cambia qualcosa. L’ultimo dei tuoi desideri è fare
innervosire gli altri.

3.19. LO STRESS SULLE LABBRA

Finora abbiamo imparato a riconoscere segni di dissenso, di vulnerabilità e inquietudine. Il terzo


segnale che bisogna imparare a cogliere è quando l’interlocutore si sente sotto stress. Tenendo
d’occhio questi tre segnali negativi è possibile capire quando lo stato emotivo dell’altro inizia a
peggiorare, prima ancora che lui stesso se ne accorga. Se sospetti di essere tu la causa, questi segnali
funzionano come un avviso per battere in ritirata. Altrimenti, ti servono a comprendere che l’altra
persona inizia a trovarsi, mentalmente ed emotivamente, in una posizione in cui è complicato
continuare la collaborazione. In tal caso, puoi usare le tue conoscenze per aiutarla a trovare una via
d’uscita.
Mostriamo lo stress in moltissimi modi diversi, alcuni più espliciti di altri. Uno dei segnali più
evidenti di uno stress incipiente è serrare le labbra. Ciò avviene in una scala che va da uno stress
lieve, in cui le labbra sembrano appena un po’ più sottili, a uno stress intenso, in cui sono così tese
da scomparire del tutto. Questa tensione è un segnale evidente dell’insorgere di problemi e
preoccupazioni.
La ragione per cui questo segnale è così utile è che si tratta di un movimento rapido, che si
manifesta e scompare nel giro di pochi secondi, sempre in concomitanza con l’evento che l’ha
scatenato. Se, mentre rivedi i dettagli di un contratto con un futuro cliente, noti che in concomitanza
con un certo paragrafo le sue labbra si tendono, c’è qualcosa in quelle righe che lo preoccupa; forse
teme di non riuscire a rispettare le condizioni, oppure ci sono clausole troppo rigide che teme di
dover infrangere. Per evitare spiacevoli sorprese in futuro, è meglio esaminare il punto nel dettaglio
prima di proseguire.
A seconda della situazione, comprimere le labbra può anche indicare una menzogna: se chiedi al
tuo fidanzato, in tono neutrale, se dopo che hai lasciato la festa ha continuato a chiacchierare con la
collega col vestito rosso, e lui ti risponde di no serrando velocemente le labbra, puoi starne certa:
quanto meno hanno flirtato.

Esiste un altro segnale labiale che è bene conoscere. A volte protendiamo le labbra come quando
beviamo da una cannuccia. Anche questo movimento di solito avviene per qualche secondo appena,
ma è molto evidente, persino più evidente della contrazione. Tuttavia non è indice di stress, ma ha
altri due significati. Può indicare che si è in dissenso rispetto a quanto viene detto oppure che si
riflette su altre possibilità. È un movimento molto comune quando riflettiamo o proviamo a risolvere
un problema. Se ci pensi, ti accorgerai che moltissime persone lo fanno – forse anche tu. Anche
questo si è visto al cinema: nel Diavolo veste Prada, era il segno che la terribile redattrice Miranda
Priestley trovava pessimo lo stile di un abito. Non aveva bisogno di pronunciare una parola: un segno
delle labbra di Miranda e lo stilista (evidentemente abile a interpretare il linguaggio del corpo) si
metteva immediatamente a ridisegnare l’intera collezione.
Conoscere il significato di questo gesto è, di nuovo, fonte di importanti informazioni. Per esempio:
state di nuovo rileggendo quel contratto e, all’improvviso, noti che il cliente protende le labbra in
concomitanza con una certa formula. In questo caso non significa che il cliente si trova sotto stress,
ma che sta riflettendo su altre possibilità. Il gesto della cannuccia è l’indizio che deve spingerti a
chiedergli se per caso abbia una soluzione migliore.
Ancora una volta, la tua solerzia scioccherà l’interlocutore, quando gli rivelerai di sapere
esattamente quello che pensa – il che rafforzerà la tua posizione di potere.

3.20. LO SPAZIO È POTERE


Maggiore è la superficie che riusciamo a controllare, maggiore è il potere che mostriamo di avere.
Lo sappiamo intuitivamente, è per questo che i prevaricatori più all’antica spargono i propri fogli
sull’intero tavolo della conferenza, così che gli altri trovino a mala pena posto. Se, invece devono
parlare stando in piedi, si appoggiano al bordo del tavolo con le braccia ben distese e le dita il più
possibile aperte a ventaglio, come se stessero facendo una predica. E quando salgono su un aereo,
improvvisamente si rendono conto che il sedile è troppo stretto e dunque devono allungare le gambe
dalla tua parte, bloccandoti. In più, ti fregano sempre il bracciolo.
Quando partecipi a una riunione o sei nuovo al lavoro, tieni d’occhio come gli altri usano i propri
oggetti (calendari, telefono, bloc notes, iPad, computer, valigette o brochure) per occupare uno
spazio più ampio. Se hanno dimenticato di portarsi degli oggetti con cui marcare il territorio,
poggiano il braccio sulla sedia di fianco alla tua, che sia occupata o meno, e prendono spazio in quel
modo. Queste persone hanno un enorme bisogno di mostrare di avere uno status superiore agli altri.
Agiscono in maniera decisa e sono pronte a tutto pur di dimostrare di avere il pieno controllo della
situazione.
(Anche l’opposto è vero: chi siede con i gomiti attaccati al corpo e le mani in grembo riducendo al
minimo il proprio spazio fisico, mostra uno status inferiore. È qualcuno che non osa mettersi in
mostra e spera che gli altri non lo notino.)

Esiste una versione speciale di questa dimostrazione di dominazione fisica. Avviene stando in
piedi, spesso a gambe divaricate, con le mani sulla vita. Le dita puntano in avanti e i pollici
all’indietro, con i gomiti all’esterno. Se si tratta di un uomo che indossa una giacca, le mani stanno al
sotto di questa, mai sopra, di modo che la giacca si apra scoprendo il petto. È un atteggiamento molto
presuntuoso che dice: «Qui comando io e non provatevi a spostare uno spillo senza chiedermi il
permesso». Prova da te, capirai cosa intendo.
È una posizione molto ben definita, il minimo cambiamento muta il messaggio. Prova a mettere le
mani al contrario: sempre sulla vita, ma con i pollici in avanti e le dita all’indietro. Le spalle
verranno spinte leggermente in alto e in avanti e la schiena si incurverà un poco. Questa posizione
non trasmette alcuna impressione di dominio: è più interrogativa, curiosa: «Mmh, che succede qui?»
La differenza è piccola ma significativa.

Per mostrare potere non è necessario ricorrere a questa tecnica, considerando quante strategie
molto più efficaci e raffinate esistono nel Gioco del potere. Tuttavia è un comportamento cui prestare
attenzione negli altri. Volendo, potresti ingaggiare una lotta per il potere con questi terroristi. Ma se ti
è capitato di contenderti il bracciolo su un aereo, sai quanto possa rivelarsi insensato. Per qualche
ragione queste persone hanno un enorme bisogno di mostrare chi comanda. Può dipendere dal fatto
che in realtà non hanno tutto il controllo che credono di avere e quindi compensano occupando
spazio, in modo che nessuno osi contestarli. Oppure, lo hanno davvero, ma sono tanto vanitosi da
aver bisogno che il resto del mondo lo sappia.
Quale che sia la causa, questo comportamento ti permette di manovrare la persona in questione a
tuo piacimento. Si tratta di qualcuno il cui ego strilla per essere accarezzato, imboccato col cucchiaio
e avvolto in un pannolino pulito. L’unica cosa che devi fare è concedergli tutto lo spazio di cui ha
bisogno. (Senza che per questo tu debba scomparire. Puoi occupare spazio anche tu, ma non
altrettanto.) È una persona per la quale i complimenti non sono mai abbastanza. Per cui, mostrale di
apprezzare la sua presenza. Abbi cura di farle sapere che la soluzione che ha proposto la settimana
prima era ottima. Poi usa i trucchi linguistici della partita precedente per farle sapere quello che hai
sempre pensato, presentandolo però come se fosse una proposta sua. Per esempio: hai bisogno che il
Dr. Dinosaur collabori a un progetto, ma sai che quel ladro di spazio del tuo capo ritiene che
aumentare il numero dei partecipanti al gruppo significhi sottrarre risorse agli altri progetti. Dagli
tutta l’importanza che crede di avere, mentre gli metti le parole in bocca:
«È straordinario come riesci a gestire questa situazione così complicata, grazie alla tua
preparazione non importa come siano composti gli altri gruppi; piuttosto, bisogna decidere quali
competenze siano necessarie per questo progetto. Sono completamente d’accordo con quel che hai
detto e per questo è evidente che il Dr. Dinosaur potrebbe dare una svolta al progetto. Immagino che
tu abbia già pensato che, concluso questo progetto prima della scadenza, ci vorrà pochissimo per
avviare tutti gli altri, grazie al Dr. Dinosaur. Hai già stabilito le date di inizio?»
Se sei di buon umore, dopo potrai anche regalargli un lecca lecca.

VITA EXTRA!

Puoi sfruttare il fatto che il cervello associ alcuni atteggiamenti negativi con il potere per ottenere
effetti positivi. Assumendo una postura associata al potere, per esempio allargando con decisione le
braccia su di un tavolo oppure, ancora meglio, sedendo con le gambe spalancate e le mani intrecciate
dietro le testa, ti sentirai potente. Questo perché il cervello interpreta la tua postura come un segnale
per rimpinzarti di testosterone e abbassare il livello di stress. Rimanendo in questa posizione per
alcuni minuti darai luogo a un mutamento ormonale che durerà alcune ore – e che aumenterà
notevolmente le tue possibilità di vincere un dibattito, rendendoti più coraggioso e aggressivo
nell’argomentazione. (Un consiglio della ricercatrice Linda Lai, esperta di potere, è di caricarti
prima di incontrare la persona con cui devi discutere. In tal modo eviterai di infrangere le
convenzioni sociali, specialmente se hai deciso di startene seduto con le gambe aperte per qualche
minuto.)

Missione Compiuta
Regista relazionale

4. Bella pensata, amico mio!


Objection!5
Phoenix Wright, dal videogame Phoenix Wright: Ace Attorney

Quando comincerai a giocare al Gioco del potere e a far sentire la tua voce, noterai una cosa: gli
invidiosi faranno di tutto per attaccarti con offese e critiche. È inevitabile. Non appena gli altri
inizieranno a seguire le tue idee invece che le loro, l’opposizione sarà garantita. Anche se il concetto
fondamentale del Gioco del potere è agire attraverso gli altri, c’è sempre chi non apprezza che
qualcuno abbia più successo di lui. E gli invidiosi trovano sempre nuovi modi creativi per
esprimersi. Le tecniche che hai imparato finora prevedono che tu abbia tempo e spazio sufficienti per
mettere in pratica le tue strategie nel miglior modo possibile. Ma ci sono situazioni in cui spazio e
tempo sono limitati, in cui gli altri provano a contraddirti. Possono farlo premeditatamente, perché
sono invidiosi e ti vedono come una minaccia per il loro potere. Oppure può succedere anche senza
che nemmeno ci pensino.
Un’altra occasione in cui gli ostacoli sono notevoli è durante complesse contrattazioni, quando le
posizioni sono molto diverse e a vincere è chi ha più potere. Hai già imparato a parare gli attacchi
più comuni; ora studieremo alcuni metodi per risolvere le situazioni più toste. Quando è necessario
usare il pugno di ferro. O piuttosto, come sempre nel Gioco del potere, il ben più produttivo guanto
di velluto.

Il fattore principale, quando devi spingere gli altri ad agire in linea con i tuoi desideri, è far
credere loro che abbiano il completo controllo delle proprie decisioni. Che siano stati loro a
scegliere. Spesso, un mancato accordo non dipende dal fatto che la soluzione proposta sia
inaccettabile; piuttosto capita che l’avversario in questa lotta mentale non voglia dare l’impressione
di essersi arreso o di aver fatto un passo indietro rispetto alle sue posizioni. Per questo bisogna
sempre far sentire l’altro parte attiva del processo decisionale. Una soluzione che appaia elaborata
insieme, anche se in realtà è frutto di una tua proposta, verrà percepita come la migliore per entrambe
le parti.
Guarda un qualsiasi dibattito televisivo: vedrai spesso in azione le classiche tecniche del potere,
come mettere in dubbio le competenze di qualcuno o ricorrere ad attacchi emotivi. Queste spesso
asfaltano l’avversario, come succede al giudice Morton, travolto da uno schiacciasassi in Chi ha
incastrato Roger Rabbit. Può sembrare un’ottima soluzione, ma ti assicuro che il vantaggio è
temporaneo. Inoltre, è l’esatto contrario della filosofia del Gioco del potere. Invece, devi imparare a
procedere di pari passo con il tuo avversario, in un tango verbale. La migliore risoluzione di un
conflitto è quella in cui entrambi vincono, dove non agisci contro ma in accordo con gli interessi
dell’altro. Gli schiacciasassi danno sicuramente dei risultati, ma una persona che viene stritolata in
quel modo sarà ancora più aggressiva, ancora più pronta a difendersi, la prossima volta che la
incontrerai. Se invece sarai bravo a condurre, si offrirà volentieri di collaborare anche in futuro.

Questi metodi si basano sullo stesso principio del resto del libro: il minor sforzo per il migliore
risultato ottenibile. Ma per poter risolvere queste situazioni nel modo più efficace ti sarà necessario
prendere in considerazione molti fattori diversi. L’obiettivo è comunque sempre lo stesso: fare sì che
gli altri lavorino per te. Invece di urlare fino allo sfinimento che tu hai ragione e gli altri torto, lascia
che si accorgano da soli che è il caso di farsi da parte – o di lasciare che sia tu a determinare l’esito
della trattativa. Nello scontro, non sarai tu a dover sudare.
4.1. SCUDO MENTALE

Più si vive la vita intensamente, mostrando di avere il pieno controllo della situazione, più si corre il
rischio di essere bersaglio di attacchi. Purtroppo è inevitabile. Chi è molto attivo rischia di essere
vittima di azioni meschine. Ma non fa nulla; gli attacchi personali possono far male («Senti, il tuo
lavoro è veramente pessimo e inoltre, non è che hai messo su un bel po’ di chili?») ma allo stesso
tempo sono la dimostrazione che non sei più solo uno dei tanti. Significano che puoi fare la
differenza. Le tue probabilità di successo nel Gioco del potere – e nella vita in generale – dipendono
in gran parte da come deciderai di parare questi attacchi. Chi non si lascia abbattere ma li schiva
abilmente riesce a conquistare l’ufficio più grande all’ultimo piano.
Esistono corsi approfonditi su come gestire le critiche, ma io ti permetterò di risparmiare tempo e
denaro insegnandoti una scorciatoia. Il segreto è semplicissimo: se qualcuno ti offende o ti attacca
verbalmente, fatti una risata. Non fraintendermi: non sto dicendo che devi deridere la persona che ti
ha offeso (in tal caso non saresti meglio di lui) ma puoi ridere di quel che è stato detto. L’effetto
psicologico è notevole. Chi ti attacca si attende una reazione negativa: vorrebbe vederti ferito, triste,
arrabbiato o almeno offeso. Invece, mostrandoti divertito dall’attacco, ne dimostrerai
l’insignificanza. (Non è necessario rivelare come ti senti veramente.) Basta un sorriso, una risata o un
commento divertito per rendere chi ti ha attaccato del tutto impotente: hai mostrato che l’offesa non
ha alcun effetto. Per chi osserva, è evidente che sei tu a uscire vittorioso dal conflitto. Nota che non è
la stessa cosa che cercare di buttare sul ridere una critica o un argomento rilevante. In tal caso, non
sarebbe che una reazione di nervosismo che rivela una grande insicurezza e che va evitata a ogni
costo.
Ridere delle cattiverie altrui è, comunque, più facile a dirsi che a farsi. Se sei come me, a volte
non vorresti far altro che restituire pan per focaccia a chi ti accusa ingiustamente. Che male può fare
contrattaccare? In realtà, parecchio. Ribattendo o rispondendo a un attacco lo si rende credibile.
Nella testa di chi ascolta lo scontro inizia a vivere di vita propria: «Dev’esserci qualcosa di vero se
ci tiene tanto a difendersi». In più, difendendosi ci si espone a nuovi attacchi. E il lancio di torte in
faccia che volevi evitare è ormai garantito.
Se pensi che sia difficile ridere delle cattiverie altrui è perché attribuisci importanza a quel che
dicono, diventando troppo coinvolto emotivamente per agire in maniera razionale. Smettere di dare
importanza agli attacchi è una questione di allenamento. Iniziando a mettere in pratica il Gioco del
potere capirai che spesso vi sono ben poche ragioni per prenderli seriamente: di solito, non si tratta
che di maldestri tentativi di opprimerti. Sono reazioni disperate di coloro che vogliono che nulla
cambi, o che temono di perdere il potere che hanno su di te. Non hanno nulla a che vedere con te
come persona.
Ma, penserai, alcuni riescono sempre a toccare i tasti giusti, così che è impossibile scrollarsi di
dosso quel che dicono come se nulla fosse. Vero. Tutti abbiamo dei punti deboli che ci fanno andare
il sangue alla testa. Per questo, è utile costruire un’armatura mentale attorno ai più sensibili di questi
tasti, in modo che nessuno possa toccarli. Per farlo, è necessario per prima cosa conoscerli. Ci sono
casi in cui adotti un comportamento che preferiresti evitare? Quali situazioni ti fanno perdere il
controllo? Quando i bambini non fanno quello che gli dici? Quando la fidanzata del tuo migliore
amico ti guarda dall’alto in basso? Quando i colleghi dicono «Così non va bene»? O quando
l’insegnante ti considera un caso disperato?
Personalmente, mi succede soprattutto quando coloro che per lavoro dovrebbero aiutare gli altri
non lo fanno ma, al contrario, creano ancora più danni per via della loro pigrizia o incompetenza. A
quel punto mi viene d’istinto di mettermi a ringhiare come un terrier, anche se so che non è affatto
costruttivo. Come la volta in cui dovevo andare dal New Jersey al Connecticut e il mio treno –
l’ultimo della sera – venne cancellato. Dovevo veramente arrivare in serata per un lavoro, e il treno
era l’unico mezzo per farlo. Non avevo voglia di passare la notte in una stazione del New Jersey, ma
quando, iniziando ad avvertire un po’ di panico, chiesi aiuto all’impiegato della compagnia
ferroviaria, questo mi rispose con sguardo vitreo: «Not my problem» e se ne andò. Probabilmente,
tutti gli insulti che avevo imparato dai film americani mi passarono sulle labbra. Il che non mi portò
più vicino al Connecticut.
Ci sono senz’altro situazioni particolari in cui la gente riesce a farti perdere le staffe. Prova a
identificare le circostanze in cui perdi il controllo e saprai chi è il tuo nemico. Il passo seguente è
renderlo impotente. Per farlo, devi conquistare potere su di lui – anche se, in realtà, già ce l’hai.
Perché, a essere precisi, il mio nemico non è la persona che rifiuta di aiutarmi, né la fidanzata
altezzosa dell’amico è il tuo. Il nemico è la reazione che il loro comportamento scatena in noi. Per
fortuna. Perché è più facile controllare qualcosa che avviene dentro di noi che ciò che succede
all’esterno.
Perciò devi essere consapevole delle tue reazioni, riconoscerle e dare a ogni situazione un nome.
Se per esempio sono le persone con la puzza sotto al naso che ti fanno dare di matto, puoi chiamarle
«Narici-puzzolenti». Io ho battezzato le mie nemesi «Neanderthal» per via della loro incapacità di
calarsi nei panni degli altri. (E quando inizio a scaldarmi provo a dirmi che, per lo meno, i
Neanderthal si sono estinti.)
Dando un nome alle Narici-puzzolenti, quelle diventano una parte definita del tuo inconscio da cui
sai di dover stare in guardia. Se lasci loro il controllo delle tue reazioni avranno anche controllo su
di te. Ma per far ciò dovranno poterti avvicinare senza che te ne accorga. Se invece starai sull’attenti,
non avranno alcun potere su di te. La prossima volta che qualcuno ti dice: «Capisco che secondo te
questa è una buona idea perché è nuova, ma sai, l’abbiamo già testata cinque anni fa e non funziona»,
ti accorgerai che si tratta di una Narice-puzzolente. Riconoscerla ti aiuta a mantenere il controllo.
Invece di infuriarti fai mentalmente un passo indietro, prendi un profondo respiro, decidi che la
Narice-puzzolente non deve prendere il sopravvento e con un gran sorriso (non dimenticare da dove
siamo partiti!) prendi il controllo della conversazione con un abile trucco verbale: «Il punto non è
che l’avete già provata, il punto è se possa funzionare nelle circostanze attuali».
KO.

4.2. INTERROMPI E PRENDI IL COMANDO

A volte capita che qualcuno si metta a parlare senza darti l’opportunità di dire alcunché. Se ciò
avviene perché l’altro è entusiasta e positivo, non vi è alcun problema: non fa che dimostrare il suo
coinvolgimento. Ma a volte lo stesso capita quando qualcuno ti critica o cerca di decidere quel che
gli altri devono fare. La persona in questione va avanti a macchinetta senza dare l’opportunità di
ribattere a ciò che dice. Allora può essere utile usare la tecnica seguente.
Come molte altre strategie nel Gioco del potere, possiede anche delle funzioni nascoste.
Apparentemente non è che un modo innocente per poter dire la propria, ma allo stesso tempo fa sì che
la persona che viene interrotta ti percepisca come veramente interessato a ciò che ha da dire. Ti dà
l’occasione di esprimere le tue idee e in più permette al compressore verbale di riformulare le
proprie opinioni in modo più utile per te. Inoltre, gli sarà impossibile, in seguito, provare a svicolare
cambiando versione. Riguadagnerai il controllo della conversazione. In altre parole, è un utensile
multifunzione che meriterebbe uno scaffale tutto per sé in ogni negozio di ferramenta.

La tecnica per fare tutto questo è semplicissima; basta usare un tono di voce convintamente
interessato e sincero per interrompere l’altro con le seguenti parole:
«Aspetta, aspetta. Voglio essere sicuro di aver capito quel che hai appena detto.»
E poi ripetere quello chi si è sentito.

Non fare quella faccia delusa. Potrà sembrare banale, ma diamo un’occhiata più da vicino a cosa
succede. Perché succedono parecchie cose.

Uno
Siccome recepiamo ogni informazione attraverso filtri individuali, e poiché la maggior parte di ciò
che ci frulla in testa riguarda noi stessi, chi parla può contare sul fatto che gli ascoltatori in realtà non
prestano molta attenzione a ciò che viene detto. Onestamente, quante volte ti capita di riuscire a
ripetere esattamente ciò che qualcuno ti ha appena raccontato? Ironicamente, ciò è ancora più vero
quando si tratta di conversazioni importanti, quando davvero dovremmo concentrarci su ciò che
viene detto. Invece ci focalizziamo su quel che dovremo dire quando verrà il nostro turno, su come
rispondere a ciò che è stato detto e come formulare il prossimo argomento, così che ci perdiamo gran
parte della conversazione. È una condizione naturale. E ne siamo vagamente consapevoli.
Interrompere qualcuno per assicurarti di aver compreso correttamente, dunque, ti farà guadagnare
parecchi punti: dimostrerà che tu, a differenza della maggior parte delle persone, non solo hai
ascoltato ma in più, sempre a differenza della maggior parte delle persone, consideri quel che ti
viene detto così importante da volere che non ci siano incomprensioni. (In realtà hai compreso tutto,
perché già nella tecnica 3.9 hai imparato ad ascoltare; ma questo, il tuo interlocutore non può
saperlo.)

Due
A questo punto hai spinto l’altro ad ascoltare, invece che starsene lì a blaterare; anzi, ad ascoltare
con attenzione. Quando usi la frase suggerita, l’interlocutore, per quanto possa essere agitato, si
ferma e si mette ad ascoltare quel che hai da dire. Credimi, anche lui vuole essere sicuro che tu abbia
capito. In realtà, più sarà convinto che tu non lo abbia ascoltato, più sarà interessato ad ascoltarti –
sperando che tu non abbia compreso. Quello di cui non si è accorto è che ora sei tu ad avere il
controllo della conversazione, poiché ora sei tu a parlare e puoi portare il dialogo nella direzione
che più ti aggrada.

Tre
Dicendo che vuoi essere sicuro di aver compreso, esorterai l’interlocutore a correggerti se
veramente ti sei perso qualcosa. Ciò crea empatia tra di voi, poiché anche lui, come tutti, apprezza
chi s’interessa a lui. Non c’è bisogno di scendere più nel dettaglio – già sai che importanza
straordinaria abbia l’empatia. Specialmente se riesci a suscitarla in qualcuno che, per il resto, è il
tuo avversario.

Quattro
Ripetendo le parole dell’altro gli darai anche l’opportunità di scoprire di non aver detto esattamente
quello che credeva di aver detto. Spesso siamo convinti di aver detto cose che in realtà abbiamo solo
pensato. Chiarendo per entrambi cosa è stato detto e cosa no, scompare il rischio di spiacevoli
sorprese in futuro. «Come? La gara di limbo è oggi? Non avevamo detto lunedì prossimo???»

Cinque
Ripetendo quel che hai appena sentito, inoltre, potrai furtivamente aggiungere dei dettagli, qualcosa
che non è stato espresso a parole ma che è comunque importante per continuare la conversazione. Se
il tuo interlocutore è in preda a forti emozioni, fai un commento a riguardo, anche se l’altro non ne ha
fatto menzione. Se il caporeparto ti sta urlando contro per non aver rispettato una scadenza, causando
un danno all’azienda, non limitarti a dire: «Stai dicendo che non ho rispettato la scadenza e che
l’azienda ci rimetterà dei soldi». Aggiungi anche una descrizione del suo stato emotivo: «Sei
arrabbiato perché non sono riuscito a rispettare la scadenza e l’azienda ci rimetterà dei soldi».
Nota che stai facendo una supposizione sul perché sia arrabbiato. Non è necessario che sia del
tutto corretta, l’altro non si metterà a spaccare il capello in quattro. Ma avrà l’opportunità di chiarire
come si sente davvero: «Sì, sono arrabbiato». Oppure: «No, non sono arrabbiato, sono deluso». È
importante conoscere le sue vere emozioni, poiché sentimenti diversi vanno trattati in maniera
diversa. Una persona delusa va trattata diversamente da una persona arrabbiata.
Può darsi che tu riesca a individuare l’emozione corretta, ma non la sua causa; anche questa può
essere un’informazione importante: «Sì, sono arrabbiato, non per la scadenza ma perché una cosa del
genere ci costa dei soldi. Questo sistema non va bene».

Sei
Quando interrompi qualcuno per controllare di aver capito bene, devi stare attento a presentare le
posizioni dell’interlocutore nel modo più positivo possibile. Positivo per lui, si intende, non per te.
Non devi aggiungere valutazioni personali o sminuire quel che ha detto. Se crederà che ti sfugga
l’importanza delle sue parole, le tue obiezioni non lo smuoveranno di un millimetro. Ma se
presenterai le sue ragioni come fondate, magari anche meglio di come ha fatto lui stesso, per poi
comunque contraddirle, gli sarà più facile accettare i tuoi argomenti:
«Aspetta, aspetta. Voglio solo essere sicuro di capire quello che stai dicendo. Sei arrabbiato
perché non ho portato a termine il progetto in tempo, giusto?»
«Mmh, no, sono arrabbiato perché ci dobbiamo rimettere dei soldi.»
«Ok, ma non mi hai spiegato perché dobbiamo pagare.»
«Ah, credevo fosse ovvio. L’intero budget è basato sul presupposto che i progetti vanno
implementati in tempo.»
«Quindi, in realtà sei frustrato perché il progetto si rivelerà costoso per via dei tempi serrati
previsti dal budget?»
«Esatto.»
«Allora ho un suggerimento. Affidandoci meno progetti paralleli, invece di tanti progetti di cui
pochi vengono realizzati entro i limiti, nella situazione attuale sarà più semplice concluderli in tempo
e far guadagnare più soldi all’azienda.»

Chi ha detto che è maleducazione interrompere gli altri?

VITA EXTRA!

La stessa tecnica può essere usata per assicurarsi che anche l’interlocutore abbia capito te. Pur
sforzandoti di essere il più chiaro possibile, può capitare che alla fine l’altro esclami un «Va bene,
ho capito! Ora smettila di blaterare!» senza che tu sappia cosa abbia capito.
Invece di sgolarti, prova a spiegare la tua idea per poi chiedere all’altro di ripetere quello che hai
detto. È una cosa un po’ insolita, per cui è necessaria una buona scusa. Per esempio, che vuoi essere
certo che abbia tutte le informazioni necessarie: «Potresti riassumere quel che ho detto? Voglio solo
essere sicuro di esser stato chiaro e di non aver saltato nulla di importante».
È un gesto umile e cortese. Oltre a verificare se quel che hai detto è stato colto o meno, potrai
scoprire come l’altro ha scelto di interpretarlo. Molte delle opinioni e delle valutazioni inconsce
emergono quando si chiede all’interlocutore di usare parole proprie al posto delle tue. Se tu hai
detto: «Vorrei che questo compito venisse eseguito in un tempo più breve» e l’altro lo interpreta
come «Non sono soddisfatto del tuo lavoro», c’è un problema. Ha confuso i risultati del suo lavoro
con la tua idea di lui come persona. In questo caso è necessario spiegarti meglio: «Al contrario, sono
molto soddisfatto di te. Stai facendo un lavoro fantastico. Ma sto riflettendo su come ottenere la
stessa straordinaria qualità rispettando però le nuove scadenze. Hai dei suggerimenti?»

4.3. IN CASO DI LITE


Di tanto in tanto le discussioni degenerano in vere e proprie liti. Se si scatena uno scontro da far
tremare i muri, è importantissimo scoprire quali siano le impressioni dell’altro, altrimenti resterete
bloccati in un’insensata escalation emotiva che non conduce a nulla. Preoccuparsi dell’altro può
essere l’ultima cosa che si desidera fare in queste circostanze, ma per risolvere una discussione e
poter andare avanti bisogna individuare le cause della rabbia dell’interlocutore. La tecnica
precedente ti ha insegnato a fare proprio questo.
Una volta scoperto come mai qualcuno si sia infervorato, bisogna spingerlo a concentrarsi su cose
più costruttive, in modo che diventi più collaborativo. Solo a questo punto puoi presentargli le tue
ragioni, guidando la conversazione.

Ecco il metodo per risolvere uno scontro, passo per passo.

Passo 1
Per prima cosa chiedi all’interlocutore, per esempio il nuovo collega, di spiegarti cosa c’è che non
va; ascolta attentamente e aspetta finché non ha finito. «È uno schifo, ci ho messo un mucchio di
tempo e alla fine è tutto giallo!!!» Per quanto ti venga voglia di interromperlo per correggere errori
evidenti e affermazioni ingiuste, morditi la lingua.

Passo 2
Quando ha finito, ripeti quel che ha detto spiegandogli che vuoi essere certo di aver compreso, come
abbiamo appena visto. Non mostrarti arrabbiato o risentito, cerca di essere partecipe ed empatico, e
abbi cura di menzionare il suo stato emotivo nel tuo riassunto: «Se ho capito bene, sei arrabbiato
perché alla fine il prodotto è diventato giallo».

Passo 3
Probabilmente, a questo punto otterrai una spiegazione più precisa, lievemente diversa dalla prima:
«Esatto. Anche se non sono arrabbiato perché è giallo, ma per tutto il tempo che dovrò sottrarre agli
altri progetti». Ripeti anche questa spiegazione, per esser certo che non vi sia altro che bolle in
pentola: «Quindi i problemi sono il tempo e la necessità di scegliere delle priorità?»

Passo 4
Quando sei certo che la situazione sia chiara per entrambi, spingilo a concentrarsi su qualcosa di più
costruttivo, come cercare di trovare insieme una soluzione. «Se il problema è che hai dovuto
accantonare altre cose, possiamo vedere se è possibile recuperare un po’ di tempo altrove per
rimettere il progetto in pista.»

Passo 5
Infine, spiegagli qual è la tua opinione. Devi aspettare fino all’ultimo per dire quel che hai avuto tutto
il tempo sulla punta della lingua. Aspettando e seguendo i punti da 1 a 4, puoi tranquillizzare
l’interlocutore, e puoi modificare quel che intendevi dire a partire dalle informazioni ottenute nei
punti 2 e 3. Puoi evitare di metterti sulla difensiva, cosa che sarebbe successa se l’avessi interrotto
all’inizio (come facciamo di solito). «Io penso che il tempo a disposizione sia pochissimo per un
progetto simile, ma è possibile che in futuro non ci accolleremo più incarichi di questa rilevanza.»

Per fare un esempio: torni a casa una sera e trovi il tuo coinquilino/il tuo fidanzato/la tua
fidanzata/tua moglie/tuo marito in preda a una rabbia cieca. Quando chiedi che cosa succeda, la
risposta è:
«Non ne posso più! Torni sempre tardi e non aiuti mai con la cena! Non mi piace per niente!»
Al che, dopo una giornata estenuante, senza riflettere sbotti:
«Bah, sì però mi sono spaccato la schiena fino a sera per pagare le bollette. Chi arriva prima a
casa può ben occuparsi della cena. Non è che io non faccia niente mentre tu stai qui a friggere le
uova. La tua accusa è proprio ingiusta!»
Porte sbattute, mal di pancia, telefonate agitate agli amici. E neanche una soluzione in vista.

Torniamo indietro, usando però il metodo che abbiamo appena visto.


«Non ne posso più! Torni sempre tardi e non aiuti mai con la cena! Non mi piace per niente!»
Ricordati di mantenere la calma quando ti muovono una critica. Non interrompere, non agitarti, non
alzare gli occhi al cielo, non sospirare. Ma non startene nemmeno impalato con lo sguardo a terra
come un cane bastonato. Mantieni il contatto visivo, dai a vedere che ascolti quel che l’altro ha da
dirti e non parlare finché non viene il tuo turno (Passo 1). Poi ripeti quel che hai sentito (Passo 2):
«Ok tesoro, voglio essere sicuro di capire, ti fa arrabbiare che non ti aiuto mai con la cena? Torno
sempre così tardi?»
Quindi, arriva la precisazione:
«Non sempre, forse, ma questa settimana tutti i giorni. È stanchezza più che rabbia. Mi sembra che
debba fare tutto io, in casa.»
Siccome ora hai scoperto di che si tratta precisamente, puoi andare al Passo 3, per indagare il
presunto punto dolente:
«Ci sono altre cose che ti fanno sentire così, come se dovessi fare tutto tu?»
Ancora una volta, una nuova risposta:
«Sì, non passi mai l’aspirapolvere se non te lo dico io, sono quasi sempre io a preparare la borsa
della palestra dei bambini, e faccio sempre la spesa. Per esempio.»
Finalmente! Ecco qualcosa di concreto su cui lavorare! Ricorda che non importa se le accuse ti
sembrano giuste o no. Devi partire dal punto di vista dell’altro, non dal tuo. È il momento di
esprimere la tua opinione (Passi 4 e 5), senza un tono di rimprovero, con un sentito desiderio di
risolvere il problema:
«Ovviamente non voglio che sia solo tu a faticare in casa. Non avevo capito che ti sentissi così.
Hai fatto bene a dirmelo. C’è un modo di risolvere il problema per facilitarti un po’ la vita? Magari
posso fare io la spesa rientrando a casa? Che ne pensi?»
Fai attenzione all’ultima domanda. Chiedere l’opinione dell’altro è un modo per disarmarlo.
Soprattutto quand’è infervorato. L’abbiamo usata anche nelle ultime righe della tecnica precedente:
«Ma sto riflettendo su... Hai dei suggerimenti?» Solitamente, ci piace dire la nostra. Ci sentiamo
importanti quando ci chiedono la nostra opinione. Quindi, anche se in realtà non t’interessa, chiedilo.
Quello che poteva diventare uno scontro si è tramutato in una conversazione costruttiva da cui
entrambi otterrete benefici. E vi eviterete un bel po’ di mal di pancia.

VITA EXTRA!

Siccome non so come ti chiami, non ho potuto usare nomi negli ultimi esempi. Ma tu cerca sempre di
usare i nomi quando parli, sia il tuo sia quello degli altri; è molto importante se ti trovi in una
discussione burrascosa. Di solito ci tranquillizziamo un po’ se sentiamo il nostro nome.
Presentandoti sempre per nome, facendo in modo che gli altri lo ricordino, ogni incontro sarà
molto più personale. Diventa un incontro con te e non con l’azienda (o qualsiasi altra cosa) che
rappresenti. È molto importante se hai una posizione di potere, per esempio se sei parte delle
istituzioni, perché è sempre stressante rapportarsi con le autorità. Il nome cancella queste astrazioni
concentrando l’attenzione su di te in quanto persona.
Inoltre, per te sarà più difficile perderti in generalizzazioni o rimproverare qualcuno, quando non
si tratta più di «quell’idiota del magazzino», ma di Pelle. Non è un caso che chi lavora
nell’assistenza ai clienti (e che quindi viene aggredito quotidianamente) inizi sempre presentandosi
per nome.

4.4. OCCHIO AGLI OSTACOLI

Un modo comunissimo di bloccare sé stessi e gli altri è usare alcune espressioni particolari. A prima
vista questi modi di esprimersi possono sembrare innocui; in realtà hanno un effetto davvero
disastroso: erigono un muro davanti a te che ostacola ogni passo in avanti. Sicuramente hai incontrato
più e più volte tali espressioni, e continuerai a sentirle – a volte, le usi anche tu. Per questo è utile
sapere cosa fare per eliminare quegli ostacoli e riguadagnare la strada.

«Le cose stanno così.»


In realtà sappiamo ben poco, per non dire nulla, del mondo reale. L’unica cosa su cui possiamo
esprimerci è l’idea che ne abbiamo. Ciò significa che se cambiamo idea cambiamo anche il mondo.
Almeno, così come appare a noi. Solitamente siamo anche convinti che tutti vedano il mondo come lo
vediamo noi. È un errore che ci spinge a saltare passaggi importanti quando comunichiamo, dando
per scontato che gli altri già sappiano su cosa si basano le nostre dichiarazioni. Presta attenzione
quando senti una dichiarazione come:
«Questo è sbagliato, ma questo è giusto.»
Chi lo dice non è interessato a proseguire la conversazione, ma è convinto che tutti la pensino
come lui. A quel punto, è meglio chiedergli: «Perché?» oppure: «Chi lo dice?»
L’obiezione non serve a metterlo con le spalle al muro, ma a ricordargli che non esiste una verità
oggettiva. Non appena usciamo dalla discussione di relazioni logiche, leggi di natura o date storiche,
è raro che qualcosa sia per forza giusto o sbagliato. Ogni affermazione di questo genere si basa su
certe supposizioni e su una determinata visione del mondo. Chiedendo «Perché?» quella persona così
categorica sarà spinta a motivare le proprie affermazioni, spiegando su quali valutazioni si basino; le
dimostrerai che il suo non è l’unico modo di vedere un determinato fenomeno.

«So che alla fine il premio lo daranno a lei»


Stai molto attento quando qualcuno sembra sapere quel che pensano gli altri.
«Si crede così importante!»
«So che non mi vuole nel gruppo.»
Può essere vero. Ma anche no. Metti in dubbio ogni affermazione di questo tipo. È semplice, basta
chiedere:
«Come fai a saperlo?»
Spesso affermazioni di questo genere vengono fatte con grande convinzione, ma in realtà sono
basate su premesse alquanto deboli. Vanno smontate prima che si rafforzino e diventino «verità»
anche per gli altri.

«Va sempre a finire così»


Fai attenzione alle generalizzazioni, cioè a quelle affermazioni in cui si fa di ogni erba un fascio.
Le affermazioni generiche sono di per sé sempre fuorvianti, ma le usiamo spesso perché sono
comode.
«Nessuno pagherà mai così tanto.»
«Lo sanno tutti.»
«Non accadrà mai.»
In una conversazione, parole come nessuno, tutti, mai, sempre, ogni, costantemente e così via
vengono usate per uccidere un ragionamento quando si è a corto di argomenti. Quelle parole vanno
sempre (!) messe in discussione. È proprio vero che «questa soluzione non funziona mai»? O forse
non ha funzionato in passato, prima che le circostanze mutassero?

Un altro tipo di generalizzazioni si ha quando non definiamo con precisione ciò di cui parliamo:
«C’è qualcosa che non va.»
Una dichiarazione simile è troppo vaga per essere significativa. Chiedi all’interlocutore di
spiegarsi meglio:
«In che senso? Cosa c’è che non va?»
«Mi hanno fregato.»
«Oh. Cosa vuoi dire? In che senso ti hanno fregato?»
Ponendo domande, puoi spingere l’altro a definire meglio ciò di cui parla, il che può portarlo a
modificare le sue affermazioni:
«Ok, forse non mi hanno fregato, eppure...»
Inoltre, spingendolo a spiegare cosa intenda, eviterai anche la trappola di credere di sapere quello
che gli altri pensano.

Un ulteriore modo di esprimersi in maniera generica è non precisare a cosa ci riferiamo:


«Non dovrebbero fare errori simili.»
A queste affermazioni bisogna rispondere con una richiesta di maggiore accuratezza. Forse è vero,
non dovrebbero fare errori. Ma chi è che non dovrebbe farli? E perché non dovrebbero farli?
«I nostri concorrenti hanno un bel vantaggio.»
«Intendi tutti i concorrenti? O solo alcuni? E che vantaggio avrebbero?»

Quando senti qualcuno, per esempio la nostra vecchia amica Margaret, che si esprime in maniera
generica, o crede di leggere nella mente degli altri, oppure si esprime in maniera categorica, può
sembrare che abbia la verità in pugno. Sembra sapere come va il mondo. È difficile scalfire un
atteggiamento simile argomentando contro le sue affermazioni. L’unico modo per farlo è sollevare
obiezioni e sottolineare i punti deboli o generici, o quelli in cui vengono date per scontate cose che in
realtà non si conoscono. È importante non far finta di niente, perché spesso queste affermazioni si
basano su ‘verità’ che non sono affatto scolpite nella pietra, o serie come può inizialmente apparire.
Al contrario, spesso si tratta del tentativo disperato di persone che non hanno molto da dire. (Anche
questa affermazione è, a sua volta, una generalizzazione. Ma la differenza è che io ho ragione,
ovviamente.) Per questo, non solo è necessario abbattere questi ostacoli per poter proseguire, ma ne
puoi anche trarre una certa gioia maligna.

4.5. INIZIA DAI VANTAGGI

C’è una parola che ricorre spesso e che a volte può essere abbastanza irritante: la parola «perché».
Perché dobbiamo fare così? Perché devi essere tu a decidere? Perché non li posso mangiare tutti, se
ne ho voglia? Perché io non posso e lei sì? Chiunque abbia avuto a che fare con un bambino di tre
anni sa che queste sei lettere possono trasformarsi nel più raffinato strumento di tortura.
«Perché» è una delle parola più potenti che possediamo. È il modo migliore per mettere in
discussione qualcosa: potrebbe rovesciare una dittatura, se un numero sufficiente di persone la
pronunciasse. Quando però viene usata per incastrarti ha anche un altro significato, più nascosto. Non
è più una genuina richiesta di spiegazioni, ma una sfida. La persona che chiede «perché» quando le
domandi qualcosa mette in discussione la tua autorità. Puoi provare a spiegare come mai vuoi quello
che vuoi fino a restare senza fiato, ma l’altro continuerà a mettersi di traverso. Non gli interessa se
hai il pieno diritto di fare la tua richiesta, e non gli importa delle conseguenze di non accoglierla.

Tuttavia, gli interessa parecchio sapere cosa potrebbe guadagnarci. La domanda «Perché dovrei
farlo?» significa in realtà «Cos’ho da guadagnarci?» E questa domanda è un terreno di gioco perfetto
per te. Hai già imparato come rispondere nella tecnica 2.7. La differenza è che lì abbiamo parlato di
una domanda sottintesa, inconscia. Quando ti chiedono «perché» è invece esplicita e diretta.
Quindi, se te lo dovessero chiedere, sai che si tratta soltanto di un desiderio di trarre un vantaggio
personale. Da maestro del Gioco del potere farai dunque in modo da prevenire, iniziando a spiegare
cos’è che gli altri hanno da guadagnare, prima ancora di descrivere quel che vuoi che facciano. Se si
tratta di bambini, basta che abbiano indietro la Nintendo DS dopo aver messo in ordine. Se si tratta
del rappresentante di un’azienda il cui ego va coccolato, bisognerà spiegare che tutti lo ammireranno
per le sue straordinarie doti di leader se approva il tuo budget. Sono poche le persone che dopo una
simile spiegazione agiranno contro il proprio interesse.
Prendi l’abitudine di esprimerti sempre in questo modo. Anche se non hai a che fare con un
maniaco dei «perché», non hai nulla da perdere. In tal modo riuscirai a dimostrare di avere a cuore
l’interesse degli altri e che non pensi solo a te stesso.
A differenza loro.

4.6. COSE DA NON DIRE MAI

In caso di conflitto, può succedere che la controparte cerchi di concludere la conversazione usando
alcune delle seguenti espressioni. Ma proprio come gli ostacoli precedenti, anche queste non sono
che vie di fuga. Sono tentativi di dissuaderti dal continuare la discussione, nascondendo in tal modo
il fatto che gli argomenti validi sono finiti. L’unico effetto che hanno è far sembrare chi le usa un po’
fuori di testa. Per questo sono proibite nel Gioco del potere: non devi usarle mai. Ti spiegherò
perché, e ti insegnerò a rispondere nel modo giusto quando qualcuno le userà.

«Non c’è da discutere, tanto non capisci comunque»


Se lo dici perché davvero ti sembra che qualcuno non ti capisca, la colpa è tua. Non ti sei spiegato in
maniera che l’interlocutore riuscisse a comprenderti. Invece di lamentarti, trova un altro modo di
comunicare. La responsabilità è solo e soltanto tua.
È anche un modo comune per evitare di parlare di cose che non si desidera rivelare. In tal caso è
meglio dirlo direttamente, invece di dare dell’idiota all’interlocutore. Dì così: «A questo non voglio
(o non posso) rispondere adesso».
Se ti dicono che non capisci, non hai che da fissare lo sguardo sull’interlocutore e insistere
cordialmente: «Certo che capisco. Basta che ti spieghi come si deve».

«È così e basta» oppure «Queste sono le regole»


Da genitore, mi viene un gran prurito su tutto il corpo ogni volta che sento queste parole, anche se
devo confessare che pure io le ho usate. Non è mai «così e basta». E c’è sempre una ragione per cui
una regola esiste. Allora, è questa che va spiegata. «Se ti dondoli sulla sedia rischi di cadere e
battere la testa contro la lavapiatti». Se invece non esiste una spiegazione, non c’è nulla che
giustifichi la tua affermazione. L’hai riciclata da qualcun altro che a sua volta ti ha detto «è così e
basta». Allora forse è meglio rivedere le tua convinzioni: potresti scoprire che certe regole non
servono assolutamente a nulla. «Hai ragione. Visto che non abbiamo la lavapiatti e sul pavimento c’è
la moquette, non c’è ragione per cui non dovresti dondolare sulla sedia.»
Se qualcuno dubita delle ragioni per cui alcune cose vanno fatte in certi modi, cerca di rendere
evidente il contesto. Spiega che, in quanto capo, non puoi approvare altre opzioni perché
danneggerebbero economicamente l’azienda, o che come genitore hai la responsabilità
dell’educazione dei tuoi figli e quel che hai deciso ti aiuta in tal senso. Se chi ti muove obiezioni
capisce le ragioni della tua richiesta potrà acconsentire con maggiore facilità.
Tutto ciò somiglia molto a quanto detto nella tecnica 4.4. La prossima volta che ti dicono «È così e
basta. Sono io a decidere!», pretendi una spiegazione: «Non capisco per quale ragione dev’essere
così. Mi sarebbe più facile rispettare questa regola se sapessi a cosa serve».
Non lasciare che nessuno se la cavi con decisioni immotivate.

«Tu cosa c’entri?»


Questa frase non fa solo sì che l’interlocutore si senta escluso, rivela anche che non hai una risposta
alla domanda che ti è stata rivolta. È meglio essere onesti e spiegare perché non puoi rispondere
invece di allontanare l’interlocutore: «Non posso dirti nulla della corsa d’auto prima di aver parlato
con Phoney Bone, poiché ha deciso di tenere tutto segreto. Sono certo che capirai».
Se qualcuno ti dice che non sono affari tuoi, rispondi spiegando semplicemente che invece lo sono
eccome: «Invece sì, certo che mi riguarda, altrimenti non te l’avrei chiesto. E ti spiego anche
perché».

«E secondo te cosa dovrei farci?»


Chi parla così ha paura della responsabilità. Verosimilmente è anche a corto di argomenti. È una cosa
che non devi mai, mai dire, perché rischia di far precipitare il tuo status sociale fin nelle falde
acquifere, e ancora più in basso. Con questa frase ucciderai il tuo futuro di campione del Gioco del
potere.
Se davvero la responsabilità non è tua, prova comunque a renderti utile trovando qualcuno che
possa dare una mano. E se non c’è proprio nulla che tu possa fare, spiegalo e chiedi scusa (certo, non
hai fatto nulla di male, ma una parola di scusa dissuade gli altri dal continuare a prendersela con te):
«Ti chiedo mille volte scusa, ma non ho davvero idea di come aiutarti. Vorrei davvero poterlo
fare. Ma non so come.»
Se qualcuno ti butta in faccia un e-io-cosa-dovrei-farci, rispondi semplicemente: «Be’, per prima
cosa vorrei che mi ascoltassi. Poi voglio che mi aiuti. E ho anche un’idea di cosa potresti fare».
Oppure, puoi cogliere l’occasione per usare un trucco verbale ben noto:
«Il punto non è cosa ci puoi fare, ma quanto tu possa aiutarmi.»
4.7. SII SEMPRE NEUTRALE

Non dimenticare che quella persona che si mette sempre d’ostacolo è proprio questo, una persona.
Tieni separato il piano personale dalla ragione del litigio. Purtroppo, molti ostacoli derivano dal
fatto che la discussione è andata troppo sul personale. Aiuterai sia te stesso che il tuo avversario
cercando di chiarire il malinteso.

Il problema principale è che spesso interpretiamo le critiche rivolte a una situazione come se
fossero indirizzate a noi personalmente. Anche commenti neutri come «Non ci sono rimasti molti
soldi» quasi sempre vengono interpretati come un rimprovero personale – anche se non era quella
l’intenzione.
Non è così strano, visto che abbiamo imparato che le cattiverie sono spesso intenzionali. La triste
tendenza a identificare le persone con quello che fanno non esiste solo in chi si sente accusato.
Spesso trasferiamo la nostra frustrazione per determinate circostanze sulla persona che crediamo le
abbia causate. Quando qualcosa non va come vorremmo, abbiamo bisogno di qualcuno cui dare la
colpa: «Che disordine. Devi essere sempre così indolente?»
Non va bene comportarsi così: non serve ad altro che a impedirci di distinguere tra persona e
situazione. E quando qualcuno si sente attaccato personalmente, inizia a difendersi e smette di
ascoltare. Per condurre una discussione sensata bisogna sempre separare le persone coinvolte dal
problema. Anche quando le persone coinvolte in realtà sono il problema: basta parlare del loro
comportamento come se fosse una parte separata della loro personalità.
Usa affermazioni neutre («Abbiamo finito davvero tardi») e parti sempre da te stesso invece che
dagli altri. Sono situazioni in cui la tecnica 2.7 – usare sempre il pronome «tu» – non funziona.
Evitando di parlare degli altri, minimizzi il rischio che si sentano attaccati. Invece di dire «Non avete
fatto quanto promesso», dì: «Sono deluso». Invece di dire «Favorite certi distributori», dirai: «Ci
sentiamo trattati in maniera discriminatoria». Usa un tono neutro, come quando fai affermazioni
fattuali, in modo che sia chiaro che stai constatando un dato di fatto e non ti stai lamentando. (E se tu
stesso sarai vittima di un attacco frontale, morditi la lingua e riformula l’accusa con lo stesso metodo,
in modo da focalizzare l’attenzione sul problema e non su di te.)

Confondere persone e situazione è la ragione per cui rimproverare qualcuno non è costruttivo. Se
dici a Bob il Falegname «Ma per che cavolo di ditta lavorate? La mensola che avete montato è già
caduta tre vole. Siete degli incompetenti» non otterrai che una smorfia rabbiosa. Non ti ascolterà e
passerà al contrattacco: «Gliel’ho detto di sceglierne una un po’ più cara!»
Dare la colpa agli altri ha un unico effetto: confondere ancora di più persone e problema. Prova a
fare il contrario: mostra di conoscere la differenza tra i dipendenti in quanto persone e quello che è
successo: «La mensola che avete montato è già caduta tre volte. È un problema perché ne ho bisogno
e devo essere sicuro che regga. Secondo voi cosa si può fare? Possiamo contattare il produttore,
rivedere il montaggio o avete altri suggerimenti?»
Per essere sicuro che facciano come vuoi e ti diano l’aiuto di cui hai bisogno, puoi anche
aggiungere qualche complimento, anche se è l’ultima cosa che desideri fare: «So che siete molto
competenti in merito, quindi sono convinto che troverete un’ottima soluzione».
I complimenti sono probabilmente l’ultima delle cose che vorresti dire a una persona il cui
comportamento ti causa problemi. Ma oltre a tutto quello che hai imparato a proposito nella tecnica
3.10, queste situazioni mettono in moto una serie di reazioni a catena psicologiche molto utili. Infatti,
detestiamo contraddirci. Vogliamo essere coerenti, dentro e fuori. Sentendosi dire che è bravo, nel
momento in cui comprende che il suo lavoro è parte del problema, Bob si ritroverà in uno stato di
conflitto interiore che è necessario risolvere. Non può essere contemporaneamente bravo e
incompetente nello stesso campo. Può darsi che sia in grado di accettare il comportamento
problematico, cambiando l’opinione che ha di sé («Evidentemente non sono affatto bravo, se monto
delle mensole così malfatte»). Ma non è così semplice: preferiamo considerarci capaci. È molto più
semplice accettare il complimento ed eliminare il problema in conflitto con esso. Dunque Bob si
offrirà molto volentieri di trovare una soluzione per la mensola.

4.8. UGUALE PER DIVERSI

I conflitti hanno luogo perché ciascuno s’intestardisce sulle proprie posizioni. Ma in realtà il
conflitto non riguarda le diverse opinioni, quanto piuttosto gli interessi che vi stanno dietro. Diciamo
che vuoi acquistare una ditta che sviluppa applicazioni digitali, ma il proprietario non è intenzionato
a vendere, anche se le cose non gli vanno molto bene. (La loro ultima app, Spider-Pig 8, non è stata
un gran successo.) Se vuoi trovare un compromesso devi per prima cosa scoprire quali siano i suoi
interessi – che non sono la stessa cosa della posizione che continua a ribadire. La sua idea può
essere: «Non ho intenzione di vendere». Ma l’interesse che prova in questo modo a difendere può
essere: «Non voglio sembrare un idiota che si lascia abbindolare». Scoprendo cosa si nasconde
dietro una certa posizione sarà più semplice trovare una soluzione nel corso dell’incontro
successivo.

Possiedi già tutte le tecniche di cui hai bisogno per scoprire quali siano gli interessi riposti. La più
semplice ovviamente è domandarlo, sperando di ottenere una risposta sincera: «Perché vuoi fare (o
non fare) questa cosa?» Ma ancora prima, puoi rivolgere la stessa domanda a te stesso. Mettiti nei
panni dell’altro: «Se fossi in lui, quale ragione potrei avere per non vendere?» Chiediti anche il
contrario: «Se vendere sembra l’alternativa più ovvia, perché in tal caso non l’ha già fatto? Ne ha già
avuto l’opportunità? Oppure c’è qualcosa che glielo impedisce e che io non so?» Puoi anche
prepararti alle eventuali obiezioni domandandoti: «Se fossi in lui e accettassi la proposta di vendere,
verrei criticato? Da chi? Perché? Come andrebbe formulata la proposta perché potessi accettarla?»
Riflettendo su questi punti troverai le risposte alle sue obiezioni già prima che te le presenti.
Dopo aver scoperto quali sono i suoi interessi, il conflitto è in gran parte già risolto. È molto più
facile trovare un accordo tra interessi che tra singole posizioni, poiché i primi spesso sono più
radicati delle questioni che vi trovate a discutere. Una posizione non è altro che uno scudo a difesa di
un interesse. Ma questo può essere protetto anche da un’altra posizione, su cui entrambi potete
concordare.
Ci sono quasi sempre posizioni diverse che possono soddisfare il medesimo interesse.
Probabilmente c’è un modo per fargli cambiare idea e convincerlo a vendere, andando allo stesso
tempo incontro al suo desiderio di non sembrare ingenuo – per esempio permettendogli di dire che
l’idea di vendere la ditta e il franchise di Spider-Pig è stata sua. Ricorda che un interesse può essere
anche continuare ad avere un buon rapporto, a mantenere la collaborazione.

Dietro ogni posizione c’è inoltre quasi sempre più di un interesse. Parte di questi entrerà in
conflitto con i tuoi. Ma non tutti. Purtroppo, spesso diamo per scontato che i reciproci interessi siano
opposti, quando c’è un conflitto.
Se il tuo interesse è pagare il meno possibile, dai per scontato che il mio sia di scucirti più soldi
possibile.
Se il tuo interesse è difenderti, supponi che il mio sia attaccarti.
Uno vincerà e l’altro perderà, da qui il conflitto.
Ma raramente è così. Spesso abbiamo più interessi comuni, o quanto meno affini, di quanti siano
quelli conflittuali. E gli interessi compatibili possono fornirci una soluzione inedita.
Entrambi siamo interessati a concludere un buon affare in cui nessuno venga sfruttato.
Entrambi siamo interessati a mantenere un clima pacifico.
Concentrando la discussione su ciò che entrambi desideriamo sarà più facile trovare una buona
soluzione.
Se t’intestardisci su una posizione, sarai percepito come irragionevole e fastidioso. Al contrario,
non c’è nulla di sbagliato nel difendere i propri interessi. Anzi, ti raccomando di farlo.

Gli interessi comuni possono tuttavia essere nascosti, così che è importante provare a identificarli
insieme. Presta particolare attenzione a quelli che sembrano riguardare i bisogni fondamentali che
abbiamo discusso nella tecnica 1.7. Tali interessi sono più forti degli altri. Se riuscirai a realizzarli
sarà più facile per la controparte accordarti quello che desideri – e mantenere la parola data. E
viceversa: se qualcuno sembra irragionevole in un conflitto, è altamente probabile che ritenga che tu
stia ignorando i suoi bisogni fondamentali.
Avendo scoperto in cosa consista l’interesse comune, cerca di formularlo come fosse un obiettivo.
Non accontentarti di aver trovato un punto d’accordo, cerca di spiegare concretamente in cosa
consista e come vada raggiunto. Di solito è più semplice risolvere un contrasto, ed è più semplice
discuterne, se viene formulato in termini di obiettivi comuni: quindici persone in una barca, ciascuna
convinta della necessità di non morire di fame, finiranno per litigarsi le razioni di cibo; ma
l’interesse comune è sopravvivere. Se lo comprendono, possono collaborare per realizzare
l’obiettivo condiviso di raggiungere la terraferma.

VITA EXTRA!

Esiste un trucco semplicissimo che può aiutarti a trasformare un conflitto a muso duro in un processo
in cui le due parti collaborano a fianco a fianco per una soluzione comune. Alla lettera. Già sai, dalla
tecnica 1.16, che possiamo «caricare» diversi punti della stanza con valori diversi. Due persone in
conflitto spesso si trovano una di fronte all’altra: è esattamente questo il significato di «essere in
opposizione», dal latino oppo¯nere, «mettere di fronte». Ma due persone che collaborano si trovano
a fianco a fianco, dalla stessa parte del tavolo, il che permette loro di avere lo stesso punto di vista,
la stessa prospettiva, metaforicamente e fisicamente.
Lo sanno tutti, anche se non ci pensano. Una posizione differente trasmette un’emozione diversa.
Per cui fai modo di inviare il segnale giusto sedendoti dalla stessa parte del tuo interlocutore. Se non
è possibile, cerca comunque di stargli vicino, sedendo per esempio al lato corto del tavolo. In quel
modo vedrete il problema nella stessa prospettiva.

4.9. OBBIETTIVITÀ SOTTO PRESSIONE

Per quanto le tue mosse nel Gioco del potere siano corrette, spesso capita che sia impossibile
raggiungere un accordo. Tu hai scelto il verde mentre il distributore si è fissato con il blu, e nulla gli
farà cambiare idea. Situazioni simili possono degenerare in vere e proprie prove di forza. Ci sono
cinque metodi comuni su cui si fa affidamento per mostrare chi comanda. Questi sono:

Mostrarsi irremovibili. «Non indietreggiamo di un millimetro! È così e basta!»


Minacciare. «Se non fai come diciamo ci saranno conseguenze alquanto negative per la nostra
collaborazione. Ti puoi anche dimenticare quel gelato che ti ho promesso.»
Corrompere. «Se accetti il colore blu possiamo abbassare il prezzo. O regalarti una tv nuova.»
Smussare le contrapposizioni. «Perché devi fare tutte queste storie, che importanza può avere il
colore? L’importanze è eseguire il lavoro.»
Destare sensi di colpa. «Come, non ti fidi di noi? Credi che stiamo cercando di rifilarti un
prodotto scadente?»

Per non cadere vittima di queste pressioni emotive è importante tenere sempre presenti le ragioni
delle proprie richieste. Forse il motivo per cui desideri il colore verde è che è l’unica vernice
atossica. Tenendolo bene a mente, non avrà importanza se abbasseranno il prezzo: il motivo della tua
richiesta non cambierà. Il blu non diventa meno tossico solo perché è più conveniente. E se provano
a destare i tuoi sensi di colpa, spiega che la tua fiducia nei loro confronti non c’entra. L’unica cosa
che t’interessa è la tossicità delle vernici.

Un problema del primo tipo di affermazioni, quando venga scelto come strategia principale, è che
diventa molto difficile cambiare direzione in seguito. Inizialmente, fare i duri può sembrare una
buona idea, ma nel corso della discussione può rivelarsi molto meno geniale – e a quel punto è
difficile fare marcia indietro. Aiuta queste persone a risolvere il dilemma spiegando che la situazione
è mutata e che quindi possono cambiare posizione: «So che prima vi siete rifiutati, ma non avevamo
ancora discusso della possibilità di mischiare le tinte. Ora la situazione è cambiata».

Così come devi cercare di concentrarti su un’idea concreta, fai in modo da spingere gli altri a
esprimersi con argomenti razionali invece che emotivi. Fai sì che la conversazione si mantenga su
criteri obiettivi: «Dite che la cosa più importante è finire il lavoro entro la settimana e che non avete
vernici atossiche in magazzino. Io desiderio che il lavoro sia fatto come si deve. Con vernice
atossica. Non m’interessa quello che potete offrirmi in cambio. Se non riusciamo a raggiungere
un’intesa forse dovrei rivolgermi a qualcun altro».
In tal caso offrirai agli altri anche la possibilità di venire incontro alle tue condizioni, spiegandoti
per esempio che pure la vernice blu è atossica. Ma spero che tu non abbia nulla in contrario agli
argomenti razionali.

Basando sempre le tue opinioni su criteri obiettivi puoi sostenere le tue richieste senza sembrare
ostinato – sei semplicemente razionale. È importante tenerlo presente. Altrimenti vi è il rischio di
cedere a pressioni emotive, il che può portarti ad accettare ciò che sarebbe meglio rifiutare. In
quanto campione razionale e metodico del Gioco del potere, devi mantenere la freddezza e non
lasciarti manipolare da meschini tentativi di costringerti a un braccio di ferro emotivo.

4.10. PARARE GLI ATTACCHI

Nel caso fossi vittima di un attacco, ci sono due strategie di cui puoi servirti per farlo cessare
immediatamente.

La prima strategia è smettere di fare affermazioni e cominciare a porre domande. Le affermazioni


possono essere utilizzate come bersagli per continuati missili verbali, ma una domanda non può
essere attaccata allo stesso modo.
Nel corso di discussioni sensibili può anche essere difficile ascoltare ripetute affermazioni e
constatazioni. Le domande sono un metodo più morbido per portare avanti il dialogo.
Per questo, cerca di riformulare le tue affermazioni in forma interrogativa il più spesso possibile.
Invece di affermare risolutamente che «Animal Man di Jeff Lemire è molto meglio del nuovo Grant
Morrison», evita di urtare il fan di Morrison e domanda: «Non è interessante come Lemire sia
riuscito ad arrivare con Animal Man a livelli che Morrison non ha mai raggiunto?»
Invece di affermare: «Abbiamo saputo che il contratto è illegale in quanto supera il valore soglia
stabilito per legge», domanda: «Non è vero che il valore soglia stabilito per legge è lo 0,005
percento? Coloro che hanno firmato il contratto sono stati informati del fatto che è basato su uno
sforamento illegale di questo valore?»

Ricordati anche di chiedere al tuo interlocutore quale sia la sua opinione. Dopo un attacco, non
dire: «Pretendiamo un giusto compenso per il nostro lavoro». Invece, domanda: «Non credi che
dovremmo ricevere un giusto compenso per il nostro lavoro? Considerando gli stipendi medi al
giorno d’oggi e il lavoro che eseguiamo, quale ritieni possa essere una somma adeguata?»
Una domanda simile costringe l’interlocutore a cercare una soluzione al problema, invece di
tentare nuovi inutili attacchi. Un’altra ottima variante è chiedergli di mettersi nei tuoi panni – e poi
domandargli un consiglio: «Se fossi costretto a scegliere tra Batman di Scott Snyder e Batgirl di
Gail Simone, cosa faresti?»
Fagli vedere il problema dal tuo punto di vista e ascolta quel che ha da dire. Potrebbe avere una
soluzione che merita di essere presa in considerazione.

La seconda strategia, forse la più efficace in assoluto per frenare un attacco, è un vecchio trucco
giornalistico: restare in silenzio.

Se chi ti è d’ostacolo dice qualcosa di assolutamente folle, invece di ribattere con argomenti
razionali puoi limitarti a guardarlo e restare in silenzio. Lo stesso vale se gli hai posto una domanda
alla quale non hai ricevuto risposta. Aspetta.
In quel modo, con il silenzio, l’avrai preso all’amo. Di solito, pensiamo che il silenzio sia
imbarazzante: così, l’interlocutore inizierà a parlare pur di romperlo. Soprattutto se sa di non aver
risposto in maniera esaustiva. Facendogli subito un’altra domanda o continuando a parlare, gli
offrirai una via di fuga. Abbi pazienza. La maggior parte delle informazioni più importanti la si
ottiene aspettando.

4.11. LA GUERRA DEL POTERE

C’è sempre chi ricorre a qualsiasi scorrettezza pur di farti perdere l’equilibrio. Esistono tecniche ben
collaudate per prendere il sopravvento in maniera disonesta, per esempio mettere l’interlocutore a
disagio o esporlo a pressioni psicologiche che gli impediscono di pensare chiaramente. Si tratta di
tattiche da non accettare mai.
A volte possono sembrare mosse del tutto innocue, quasi casuali. Pare un caso che la sedia che ti
viene indicata nell’ufficio del nuovo capo sia più bassa della sua, e che mentre discutete dello
stipendio il sole ti batta dritto negli occhi. Certo, può essere un caso. Ma che sia intenzionale o meno
non importa – avrà comunque un effetto negativo sulle tue capacità di condurre una conversazione
sensata.
Manipolare l’ambiente in questo modo è una drastica mossa psicologica per avere vantaggi nel
corso di discussioni problematiche. Ogni volta in cui ti trovi in una situazione ricca di fattori esterni
di stress che non dovrebbero esserci, per esempio una sala riunioni troppo calda, troppo fredda o
troppo rumorosa – fallo notare. Che ti paia intenzionale o meno. Non accettare condizioni che temi
possano avere un’influenza negativa. Se ti ritrovi il sole negli occhi, sarai troppo distratto per
argomentare il tuo punto di vista. Suggerisci di fare pause più frequenti, di cambiare posto o data o
qualsiasi cosa ti permetta di affrontare l’incontro in circostanze migliori. Anche se i fattori di
disturbo non fossero intenzionali, avrai comunque fatto un favore agli altri partecipanti,
probabilmente infastiditi quanto te dalla situazione.

Se noti alcune scorrettezze, fallo presente ma fingi di non aver compreso che sono trappole
accuratamente progettate. Fingi ingenuamente che via sia una spiegazione razionale e obiettiva:
«Visto il numero delle sedie, immagino che qualcuno debba sedersi per forza su questa con la
puntina. Possiamo fare a turno e domani ti ci siedi tu?» Oppure spiega che il loro trucco non ti
permette di partecipare: «Mi spiace ma ho il sole negli occhi e la cosa mi distrae parecchio.
Potremmo cambiare stanza o rinviare l’incontro a quando il sole si sarà spostato».
Questo tipo di reazione è un modo elegante di dimostrare che hai compreso il loro gioco, facendo
notare quanto sia infantile – ma offrendo loro l’opportunità di salvarsi la faccia e modificare la
situazione, per esempio togliendo la puntina, rimediando altre sedie o abbassando le tapparelle.
Se invece li accusassi apertamente di giocare sporco, li spingeresti a fingere che non ce l’hanno
con te, ma che è il loro modo di fare. A quel punto, dovranno conseguentemente continuare a trattarti
nella stessa maniera ogni volta che v’incontrate.

Strategie di questo tipo possono, come si è detto, essere usate sul piano psicologico. Un modo
tipico di confondere le idee è attaccare l’autostima. Lo si può fare in maniera discreta, con un
linguaggio del corpo e allusioni particolari. Può bastare un commento sulla barba mal rasata, o le
occhiaie: «Hai l’aria esausta, qualche problema al lavoro? Momenti difficili?»
Si può anche attaccare lo status sociale, per esempio quando ti costringono ad aspettare,
sottintendendo di essere più importanti di te, o ti interrompono per parlare con altri. (Un noto
discografico svedese ha sempre con sé il telefono quand’è in tv. Quando squilla, e squilla sempre, lui
risponde. Anche nel mezzo di un’intervista in diretta. Certo, è generoso da parte sua rendersi sempre
raggiungibile. Ma allo stesso tempo è anche un modo un po’ grossolano di mostrare chi è che
comanda.) Oppure, il tuo interlocutore può commentare che non sai di cosa stai parlando, si rifiuta di
ascoltare o ti costringe a ripeterti. Un’altra fastidiosa variante di terrorismo psicologico è quando
l’interlocutore si rifiuta di guardarti negli occhi. Non ci si sente mai così piccoli e impotenti come
quando l’altro non ci degna nemmeno di uno sguardo.
Questi trucchi servono a farti sentire a disagio e a intaccare la fiducia in te stesso – e quindi nelle
tue idee e opinioni. Bisogna reagire come nel caso di disturbi fisici. Non accettare di aspettare senza
ragione, di essere costantemente interrotto o ignorato dall’interlocutore. Mostra di aver capito cosa
accade e di non accettarlo:
«Mi sembra che tu abbia molto altro da fare ora. Quindi potremmo rinviare l’incontro a un altro
momento, quando avrai più tempo per ascoltare quel che ho da dire. Ti chiamo io.»
Lasciare un incontro potenzialmente importante può essere un rischio. Ma fintanto che la
controparte sa quanto significhi per te può trattarti come le pare, credendo di averti in pugno.
Mostrando che hai altro da fare e che sei persino pronto a lasciare la stanza se non vieni trattato con
rispetto, il tuo status aumenterà ai suoi occhi e, si spera, anche il suo interesse nei tuoi confronti. Se
l’altro non accetta le tue condizioni, per esempio insistendo affinché l’incontro prosegua, puoi star
certo che si tratta di una persona con cui non riuscirai mai a collaborare. In futuro evitala il più
possibile, fin quando non sarà cresciuta. C’è quasi sempre qualcun altro che può offrirti le stesse
cose, su cui vale la pena investire tempo ed energie.

4.12. IL MIGLIOR PIANO B

Ho lasciato la cosa più importante per ultima. Questa tecnica non solo fa miracoli negli scontri con
nemici tosti, o nel corso di discussioni complicate, ma se usata con costanza ti renderà più semplice
prendere qualsiasi decisione, per il resto della vita. Non dovrai più domandarti se hai fatto la cosa
giusta. So che può sembrare esagerato, ma sto parlando seriamente.
Il trucco consiste nell’immaginare in anticipo quale possa essere l’alternativa migliore nel caso le
cose non vadano come avevi sperato. Usi già questa tecnica nella vita quotidiana, senza nemmeno
pensarci: se hai un appuntamento con Vincent e lui ti lascia ad aspettare per due ore, inizi a pensare
se non sia il caso, invece, di chiamare Zack. È ottimo pensare così, altrimenti c’è il rischio di
accettare il pessimo comportamento di Vincent anche una seconda e una terza volta, non sapendo cosa
fare altrimenti – non hai alcun piano B in alternativa a lui. Se non hai l’abitudine di pensare per
alternative concrete, potresti convincerti di non avere alcuna scelta. E accontentarti dello stato attuale
delle cose. Ma non è quasi mai così.

In ogni situazione importante devi sempre decidere non solo quale sia la soluzione che
preferisci, ma anche quale sarebbe la tua seconda scelta. Devi anche pensare a quanto sei
disposto a pagare per la prima soluzione, e a che punto passare alla seconda.

Pensare a tutto questo in anticipo ti lascia una grande libertà, mentale e di manovra. Preferisci
incontrare Vincent. Ma hai anche deciso che se non rispetta gli accordi presi, per esempio arrivando
con eccessivo ritardo, ti rivolgerai alla seconda opzione, cioè Zack. Se già prima di accettare
l’invito hai riflettuto su questo, saprai anche quanto sei disposto ad accettare. Eviterai di fare
concessioni che preferiresti evitare (come rimanere ad aspettare) e saprai con precisione quand’è il
momento di rivolgersi all’alternativa numero due.
Ciò non riguarda solo gli appuntamenti. Diciamo che devi discutere del tuo stipendio. Decidi quale
aumento possa essere realistico. Qual è l’altra alternativa, nel caso non lo ottenga? Forse cambiare
mansioni. O cercare un altro lavoro. Una volta deciso questo, saprai quando, nel corso della
trattativa, passare alla seconda alternativa, cioè nello stesso istante in cui il capo ti nega l’aumento
minimo.

È anche importante riflettere su come formulare chiaramente le tue richieste, poiché a volte può
capitarti di perdere la giusta distanza rispetto a quello che fai. Quando sei completamente immerso in
qualcosa, ti può sembrare che non vi sia nulla di più importante, e di essere disposto a pagare
qualsiasi prezzo pur di ottenerlo. Solo più tardi, ripensandoci, ti accorgi che avresti potuto agire
diversamente. Non avresti dovuto correre dietro l’autobus tanto forte da sputare sangue. Avresti
potuto aspettare il prossimo.
La ragione per cui sei così concentrato su ciò che hai davanti è che vi hai investito parecchio. Hai
preso una decisione e non vuoi fare marcia indietro. Senza una chiara alternativa c’è il rischio di
accettare cose che in realtà dovresti rifiutare, come un aumento troppo risicato. Invece, una volta
elaborato il migliore piano B, sarà più facile accettare condizioni ragionevoli, poiché potrai
confrontarle con la tua seconda opzione e comprendere che la presente proposta è ancora migliore.
Elaborare alternative fornisce una necessaria prospettiva sulla situazione presente. Forse sei stato
troppo ingenuamente ottimista e credi di avere più alternative di quante ne hai in realtà. Oppure hai
più opzioni attraenti di quanto pensavi, il che rende la tua posizione più forte.

Migliori sono le tue alternative, più forte sarai. Il potere che le due parti hanno nel corso di una
contrattazione deriva soprattutto dall’interesse a non trovare un accordo. Cioè, da quanto è forte la
loro seconda scelta. Ciò vale sia quando stai contrattando per un asciugamano su una spiaggia
thailandese, che quando stai cercando un nuovo fornitore o un lavoro. Rifletti. Che differenza farebbe
andare a un colloquio senza avere altre alternative, rispetto a quando hai già avuto un’altra offerta?
Come si svilupperebbe la contrattazione sullo stipendio nel primo caso, rispetto al secondo? Avere
un’alternativa ti dà maggior potere.
A volte può essere utile spiegare all’interlocutore quale sia la tua seconda scelta. Se Vincent crede
che tu non abbia altre opzioni, potrebbe essergli utile sapere che invece potresti anche chiamare
Zack. Ma ciò vale solo se la seconda scelta è abbastanza attraente. Se non lo è, o se è addirittura
peggiore di quanto creda la controparte, non dire nulla. Se Vincent sa che potresti chiamare Zack, può
bastare perché si dia una regolata. Ma se sa che l’unica tua alternativa è guardare serie tv su NetFlix,
avrà il coltello dalla parte del manico. (A meno che non ci sia una maratona di Buffy, a quel punto sei
di nuovo tu a comandare e lui dovrà fare qualsiasi cosa tu voglia per dimostrarti di essere
l’alternativa migliore.)

Anche se ho fatto ricorso a esempi banali, spero che tu abbia compreso che questa tecnica diventa
ancor più fondamentale nelle situazioni importanti. Se inizi una delicata trattativa senza aver
formulato un Piano B, tanto vale gettare subito la spugna. E non limitarti solo a formulare
un’alternativa, preparati anche ad agire in quel senso. Chiama Zack e sonda il terreno. Controlla se
altri datori di lavoro possano essere interessati al tuo curriculum. Investi denaro, tempo, idee, e
sfrutta la tua rete di contatti per sviluppare e migliorare la tua alternativa. Una volta formulata con
precisione, saprai qual è il limite oltre il quale non hai intenzione di spingerti, e darai maggior
rilevanza alle tue richieste.

Considera anche che la persona con cui stai duellando ha, lei pure, un’alternativa. In questo modo
guadagnerai maggior controllo sulla situazione. Saprai cosa aspettarti nel corso della conversazione
e potrai valutare quanto siano realistiche le sue opzioni. Se ti accorgi che non sono tanto valide
quanto lei crede, faglielo notare. Forse la tua collega è convinta di poter chiamare Zack la prossima
volta che arrivi in ritardo. Ma Zack è impegnato con Aerith. Ovviamente, faglielo presente.
Ridimensionando le aspettative della controparte guadagnerai un notevole vantaggio.

Ricorda: più ti sarà facile lasciare un confronto senza eccessivi costi, sapendo di avere
un’alternativa valida, maggiore sarà la tua possibilità di influenzare il risultato e ottenere quello che
vuoi.

VITA EXTRA!

A volte, l’alternativa del tuo interlocutore è così allettante che può passargli la voglia di parlare con
te. La tua proposta, fin dall’inizio, non è altrettanto valida. In questo caso bisogna usare la tecnica
2.14 per sminuire l’altra opzione e presentarsi in una luce più favorevole. Per esempio: fai parte di
un movimento che protesta contro una fabbrica inquinante che dovrebbe essere costruita in zona.
Oppure vuoi che un’azienda receda il contratto con i suoi fornitori e si rivolga a te. Né la fabbrica né
l’azienda hanno alcun interesse ad ascoltarti se sono soddisfatte della situazione attuale. Ma se chiedi
che il permesso di costruzione venga revocato, o se dimostri che i fornitori non rispettano i patti,
puoi diminuire il valore dell’alternativa presente e aumentare l’interesse per le tue proposte.
O come Zack ha detto a proposito di Vincent: «Non è abbastanza per te».

Missione compiuta:
Nemico finale sconfitto!

5. Obiezione!
PROSSIMO LIVELLO!

Congratulations! You have completed a great game!


And prooved the justice of our culture. Now go and rest our heroes!6
Dal videogame Ghostbusters

La maggior parte di questo libro è stata scritta nei camerini dei teatri, dietro le quinte dei
palcoscenici e in stanze di albergo (o sul sedile posteriore di un’Audi A4 Avant nel cuore della notte,
tra Umeå e Gävle), mentre ero in tournée col mio spettacolo Nella tua testa. Nei teatri che ho visitato
in tutta la Svezia, ho avuto la possibilità di vedere il Gioco del potere messo in pratica con enorme
sensibilità da un gruppo di campioni: i tecnici del teatro.
Sono persone che spesso si trovano a lavorare sotto grandi pressioni. Non dovunque, lo dico
subito. Ma in troppe circostanze le maestranze tecniche sono considerate bassa manovalanza da chi
sta in vetta alla gerarchia – per non parlare degli artisti – e sono trattate come persone che devono
obbedire a ogni ordine.
Eppure sono i tecnici a conoscere meglio la vita del teatro e, se vogliamo essere onesti, è grazie a
loro se gli spettacoli vengono messi in scena. Per questo, molti di loro sono diventati dei
professionisti del Gioco del potere. Specialmente di quelle mosse che servono a far credere ai
superiori che siano loro a decidere. È stato interessante osservare come le decisioni prese dai vertici
spesso rispecchiano in tutto i desideri dei tecnici. Nel frattempo, io sedevo a qualche camerino di
distanza a scrivere un libro proprio su questo.

Se lo racconto, è soprattutto per vantarmi di aver realizzato di nuovo il tutto esaurito nell’intero
Paese, con la mia personale variante di illusionismo. Ma voglio anche mostrare ciò che avevo già
detto nelle iniziali regole del gioco: chiunque tu sia, qualunque cosa tu faccia, puoi trarre benefici dal
Gioco del potere. Non solo ti renderà una persona migliore, ma anche un comunicatore più efficace e
divertente.

Il mio buon amico PaRappa the Rapper riassume la sua filosofia di vita nell’esortazione: «You
have got to believe!» Si diventa davvero giocatori molto più abili se si crede in quel che si dice e si
fa. Forse non tutte le tecniche in questo libro si adattano a te. Se sei a disagio con alcune di esse, non
sforzarti di usarle esattamente come sono scritte. Sperimenta e modifica fino a che non ti si adattano
meglio. Devi trovare un modo personale per usare il Gioco del potere.
Come sempre quando si provano cose nuove, è facile credere che tutti capiscano cosa si sta
facendo. Anche se razionalmente è chiaro che gli altri non s’interessano molto a quel che facciamo, e
che a mala pena si accorgono se ci siamo fatti la barba o meno, spesso abbiamo però una percezione
diversa. Specialmente quando si provano tecniche che coinvolgono l’interazione umana. In quel caso
è facile sentirsi come se si stessero per perdere i pantaloni da un momento all’altro.
Ma stai tranquillo. Ricorda che questi pensieri sono solo nella tua testa, non in quella degli altri.
Perché se ci rifletti un po’, qual è la cosa peggiore che potrebbe accadere? Se dimentichi cosa devi
dire, se ti impapini o confondi, non devi far altro che ripetere l’ultima frase. Nessuno rimarrà
scioccato, nessuno morirà o finirà in prigione. Il peggio del peggio è che qualcuno, per un secondo,
potrebbe pensare che il tuo comportamento è un po’ strano.
Potresti ribattere che il peggio non è impapinarsi: piuttosto, qualcuno potrebbe scoprire che stai
cercando di manipolarlo. Sono d’accordo, forse è peggio. Ma è solo un’ipotesi teorica. Nessuno ti
metterà al muro, criticherà il tuo sorriso contagioso o il tuo abile uso della parola «e». Non capiterà
per la stessa ragione per cui queste tecniche funzionano: non siamo così attenti agli altri come
crediamo. E se qualcuno ti criticasse (non succederà, come abbiamo detto) puoi sempre rispondere
con un sorriso: «Cosa? Pensavo fossi tu a provare a manipolare me!»

Dopo aver passato un bel po’ di pagine giocando insieme al Gioco del potere, spero sia chiaro che
il potere non è una cosa che si conquista. È qualcosa che gli altri ti concedono. Diamo potere a chi ci
sembra avere autorevolezza e carisma e ci pare equilibrato. A chi è sicuro di sé ma non ha bisogno
d’imporsi. A chi è rilassato in certe situazioni ma mai sfacciato. Sicuro delle proprie idee ma non
presuntuoso.
Molti fanno l’errore di cercare di imporsi battendosi i pugni sul petto e urlando: «Eccomiii! Gli
occhi a meee! Guardate come sono bravo!!!» Ma a certe persone non accordiamo né fiducia né
potere. Sono costrette a rubarlo.
Tuttavia concediamo volentieri tutto il potere che desidera a chi è abbastanza sicuro di sé da dire:
«Oh, eccoti! Splendido, vieni a sederti qui! Che posso fare per te?»

C’è davvero bisogno di un Gioco del potere? Non ci si può semplicemente rilassare ed essere sé
stessi? Certo, sono convinto che tu debba sempre essere te stesso. Anzi, sono convito che devi
sforzarti di essere te stesso il più spesso possibile. Ma si dà il caso che la tua identità e i risultati che
otterrai nella vita dipendano dalla tua abilità di osservare e usare (o di ignorare) la rete di rapporti
sociali intorno a te. Per questo è importante sapere come funziona il Gioco del potere e poterlo
mettere in pratica in modo da creare esperienze positive per tutte le parti coinvolte.
Confronta queste due situazioni: la tua collega Margaret (esatto, la incontriamo di nuovo, ora che
siamo arrivati alla fine) ti ha di nuovo costretto a fare quello che vuole, facendo la voce grossa e
mettendoti sotto pressione. Tu obbedisci, soprattutto per farla tacere. Ti irrita che Margaret non sia un
po’ più premurosa. Usando il suo potere ottiene quello che vuole, certo, ma non per tutte le persone
coinvolte è un momento piacevole. Un giorno ti chiama e ti chiede aiuto. Quanta voglia hai di aiutare
una persona simile, a questo punto? Non molta, immagino. Improvvisamente, la tua agenda è piena
fino a marzo dell’anno prossimo. Come minimo.
Poi c’è Johan, un nuovo assunto. Anche lui ti ha chiesto aiuto. Appena senti la sua voce ti viene in
mente quanto vi divertite insieme, come sembra sempre capirti e quanto è piacevole lavorare con lui.
Per Johan faresti qualunque cosa. Non avrebbe nemmeno bisogno di chiedertelo, è ovvio che per lui
ci sei sempre. Agenda piena? C’è sicuramente qualcosa che puoi rimandare.
Quando incontri qualcuno puoi essere Margaret o Johan, e la loro successiva reazione dipenderà
da questo. Che qualcuno si lamenti un po’ può anche avere poca importanza finché ottieni quello che
vuoi. Ma nella vita incontrerai qualche migliaio di persone: quindi moltiplica queste reazioni per
qualche migliaio. E pensa a cosa preferiresti. Inizia a sembrarti un po’ più importante, vero?

Nessuno arriva in vetta da solo. Qualsiasi sia la vetta a cui miri. I vincitori sono coloro che usano
il Gioco del potere attraverso gli altri. Quelli che conquistano cuore e anima di chi sta loro intorno,
persone che a loro volta li accompagneranno in cima alla scala su cui hai deciso di salire.
Ci sono parecchie persone intorno a te. Forse ti stanno aspettando. Trova la tua scala, portala con
te e mostra loro quanto sei felice di incontrarle. Il gioco più divertente e utile che giocherai mai si
chiama Gioco del potere e hai già premuto il pulsante di avvio.

Su, su, giù, giù, sinistra, destra, sinistra, destra ecc.

Henrik Fexeus
Hammarby Sjöstad
luglio 2013

...and so I close, realizing that perhaps


the ending has not yet been written.7
Atrus, dal videogame Myst

6. Congratulazioni! Avete completato un’ottima partita! E dimostrato quanto sia giusta la nostra cultura! Ora andate a riposare, eroi!
7. ... e ora chiudo, sapendo che forse la fine non è ancora stata scritta.
Indice

REGOLE DEL GIOCO


Prima partita: PSICOMECCANO
1.1. Verità a parole
1.2. VERITÀ NELLA FORMA
1.3. NON PROMETTERE LA LUNA
1.4. OCCHIO AI MASSIMIZZATORI
1.5. SE QUALCUNO TI HA PRECEDUTO
1.6. MOSTRATI DEBOLE E FATTI FORTE
1.7. INDIVIDUA I BISOGNO FONDAMENTALI
1.8. RINSALDA O CAMBIA UN’OPINIONE
1.9. CAMBIARE OPINIONI GRAZIE ALLA DISTRAZIONE
1.10. REGALAGLI UN’IMMAGINE DI SÉ
1.11. DIMOSTRA LORO CHE LO FANNO GIÀ
1.12. GUIDA IL GRUPPO...
1.13 ...ANCHE QUANDO NON ESISTE
1.14. LO STATUS IN PUNTA DI DITA
VITA EXTRA!
1.15. STATUS SOTTO CONTROLLO
VITA EXTRA!
1.16 ARIA BUONA E ARIA VIZIATA
VITA EXTRA!
Seconda partita: TRUCCHI VERBALI
2.1. Crea più parole per lo stesso concetto
2.2. INIZIA DALLA PARTE GIUSTA
2.3. E INVECE DI MA
2.4. IL VALORE DI UN MA
2.5. ANCORA SU CAUSA ED EFFETTO
2.6. CONFUSO - O NO?
2.7. CI DIAMO DEL TU?
VITA EXTRA!
2.8. PIÙ STIAMO INSIEME
2.9. L'ARTE DI ASCOLTARE
VITA EXTRA!
2.10. QUANDO NON HAI NIENTE DA DIRE
2.11. IL PUNTO DELLA QUESTIONE
2.12. ROMPERE GLI SCHEMI
VITA EXTRA!
2.13. SEGUIRE E GUIDARE
2.14. MOSSA SPECIALE
VITA EXTRA!
2.15. COINVOLGI CUORE E CERVELLO
2.16. PAROLE A CUI PRESTARE ATTENZIONE
Terza partita: MANOVRE RELAZIONALI
3.1. PERSUASIONE CON I POST-IT
3.2. DARE E RICEVERE CON DISCREZIONE
3.3. SEMPRE PIÙ PERSONALE
VITA EXTRA!
3.4. POTERE ATTRAVERSO LA SOMIGLIANZA
3.5. CREARE CON LE SUPPOSIZIONI
3.6. IL TEMPISMO DELLA CONCORDIA
3.7. RELAZIONE ATTRAVERSO L'EMPATIA
3.8. UN SALUTO PREZIOSO
3.9. RICORDA OGNI DETTAGLIO
3.10. COMPLIMENTI SINCERI
3.11. LA FORZA DI CHIEDERE AIUTO
3.12. FATTI AMARE LASCIANDOTI AIUTARE
3.13. RINGRAZIA!
3.14. QUANDO SEI MORTO
3.15. BADA ALL'INTERIORITÀ
VITA EXTRA!
3.16. PERSUASIONE PERSONALIZZATA
3.17. RICONOSCERE UN NO NON-VERBALE
3.18. GESTI E PAROLE CONSOLATORI
VITA EXTRA!
3.19. LO STRESS SULLE LABBRA
3.20. LO SPAZIO È POTERE
VITA EXTRA!
Quarta partita: SCONTRO FINALE!
4.1. SCUDO MENTALE
4.2. INTERROMPI E PRENDI IL COMANDO
VITA EXTRA!
4.3. IN CASO DI LITE
VITA EXTRA!
4.4. OCCHIO AGLI OSTACOLI
4.5. INIZIA DAI VANTAGGI
4.6. COSE DA NON DIRE MAI
4.7. SII SEMPRE NEUTRALE
4.8. UGUALE PER DIVERSI
VITA EXTRA!
4.9. OBBIETTIVITÀ SOTTO PRESSIONE
4.10. PARARE GLI ATTACCHI
4.11. LA GUERRA DEL POTERE
4.12. IL MIGLIOR PIANO B
VITA EXTRA!
PROSSIMO LIVELLO!
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