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NARRATIVA

Grafica
Nino Mele
www.imagomultimedia.it
2011, Edizioni Il Maestrale
Redazione: via Monsignor Melas 15 - 08100 Nuoro
Telefono e Fax 0784.31830
E-mail: redazione@edizionimaestrale.com
Internet: www.edizionimaestrale.com
ISBN 978-88-6429-194-9

Bachisio Bandinu

Lamore del figlio


meraviglioso

Capitolo 1

Il Principe navigava col suo yacht al largo delle coste nord-orientali della
Sardegna. Un pomeriggio di fine estate giunse in vista delle coste della Gallura:
una visione mirabile lo affascin. Cerchi dacqua smeralda entravano a
rinchiudersi nel grembo della terra. Le spiaggette ritagliate tra scogliere di granito
erano rosa come cerbiatti, anse inondate di luce, colori esaltati dalla trasparenza
del mare e dai riflessi delle rocce. La terra verde cupa della macchia mediterranea
era screziata di bianchi graniti stemperantesi nel rosa. Sulle cime delle colline,
cupole e castelli di rocce, creste resegate e massi cavi. Disegni, volumi, colori in
unarcaica solitudine. Il paesaggio era il tempo, un corpo geologico disteso nella
fissit preistorica. Nessuna presenza delluomo. Il cervo, il muflone e laquila, la
volpe, il cinghiale e il gatto selvatico; alberi di ginepro e di olivastro; arbusti di
corbezzolo e di lentisco, cespugli di erica e rosmarino.
Quella terra non era abitata dalluomo. Il Principe volle che fosse sua e la
chiam Costa Smeralda.
Priamo Solinas non sopportava questa favola turistica, una cantilena
mormorata dalle sirene del mare, da gente che osserva la terra dalla linea delle
acque.
La terra va misurata col piede e col passo, ripeteva, per sentire la pietra
affiorante e lintrico dei cespugli, per sentire la zolla indurita nel giaciglio della
notte al seguito del gregge.
Della terra il capraro conosceva il volto e il grembo, la durezza contorta del
ginepro che fa nodo per condensare il tempo, le radici del lentisco che si
insinuano nella spaccatura della pietra, la vena dacqua che sinterra alla prima
calura dellestate.
Il mare non ha radici n confini, si perde nella sua liquidit. infido perch
non di nessuno. Naviganti sbattuti nellabbraccio dellinsenatura avevano
raccontato dellinganno delle acque.
Sulla terra noi viviamo, insisteva Priamo Solinas alzando la voce contro
nemici immaginari, ed essa ferma, ha confini e ha un padrone.
E cos questaltra storia della terra miracolosamente dimenticata dove il
tempo si fermato!

Non si ferma il tempo, procede col suo ritmo inesorabile e accumula memoria
per dare senso alla vita. Il presente inquieto scruta quel tanto di futuro che tocca
la famiglia e lovile.
Monti di Mola si chiama questa terra ed terra abitata dagli avi e ha la memoria
della pietra, terra che racconta storie di eredit e conferma lunghe discendenze.
Qui ho conosciuto mio nonno, patriarca di queste cussoggj che raccontava di
suo nonno, compagno di Giuseppe Garibaldi nelle battute di caccia durante
lesilio di Caprera. Da millenni e ancora oggi il nuraghe Albcciu sfida il cielo e
la violenza della luce. I grandi massi, rivestiti di muschi e licheni, hanno preso i
colori del tempo.
Gli antichi abitanti della Gallura si recavano presso la Tomba dei giganti di Li
Lolghi e giacevano ai piedi della stele per i riti di incubazione, per ricevere nei
sogni i messaggi dei padri e per guarire da mali mortali.
Non basta incidere su una pietra il nome Costa Smeralda per cancellare la
memoria di Monti di Mola. Costa Smeralda nome dacqua e viene dal mare, dice
di un colore e di un approdo.
Monti di Mola voce che risuona nelloralit del tempo, rimbalza sulla cresta
delle rocce, sprofonda nellabisso della valle, sinterra nelle radici dellolivastro.
nome di terra, nato dalla qualit della pietra con cui si facevano le mole per
macinare il grano e per affilare le lame dei coltelli.
Monti di Mola, ripeteva il capraro rimarcando la sonorit delle sillabe e
sentendo la parola impastata di materia vibrante: leco gli restituiva la voce dagli
incavi delle rocce dove fanno il nido le civette e dove si allunga distesa la biscia al
sole di primavera.
Priamo Solinas portava le capre al pascolo dei germogli di mirto quando vide
veleggiare le barche dai lunghi alberi. Una barca si stacc dal grande veliero e
quattro uomini approdarono sullansa di mare, parlavano in italiano e in una
lingua straniera e facevano gesti come per delimitare un arco di costa e indicando
verso lentroterra il rialzo della collina. Il capraro stava nascosto dietro una
macchia di lentisco, ascoltava brandelli di discorso ma senza capire che cosa
davvero volessero e che interesse avessero per quelle lande deserte.
Degli uomini vennero dal mare e approdarono nelle coste della Gallura
portando fiori di loto. Fu stravolta la memoria delle persone e delle cose. Quella
terra della pi squallida povert fu scelta per costruire il paradiso turistico.
Egli aveva ascoltato i racconti delle vendite dei terreni, storie dingenuit e di
astuzie. Suo cugino Salvatore gli chiedeva consiglio sullopportunit di vendere i
terreni di Capriccioli.
Cinquanta milioni di lire mi vogliono offrire, una somma che fa girare il

cervello. Tu le conosci bene quelle terre di pietre e cespugli e senza acqua per
abbeverare il bestiame.
Se te la senti di vendere leredit, fallo pure, daltronde tu non hai figli
maschi e hai una certa et, su quelle terre non c futuro di famiglia e poco ti
verrebbe dagli affitti.
Mi sistemo per tutta la vita, potrei comprare degli appartamenti a Olbia e a
Sassari, far studiare le due figlie e vivere senza problemi.
Salvat, sei tu a decidere, ma non farti ingannare dal mediatore, se ti offrono
cinquanta milioni, tu devi chiedere di pi, puoi fissare il prezzo in ottanta milioni
o non se ne fa niente.
E se perdo loccasione! Non posso tirare troppo la corda.
Le terre stanno l, non si muovono! Sono loro che verranno da te.
In Arzachena le notizie delle vendite dei terreni si inseguivano in un gioco di
inganni e di fortune, chi non aveva saputo attendere, gi si pentiva, chi giocava
alrialzo temeva di essere escluso. Si era diffusa la notizia della vendita
dellisolotto di Mortorio, quarantotto ettari, per poco meno di quattro milioni di
lire, poche lire a metro quadro.
La gente si chiedeva quanto valesse un ettaro di sterpaglie e di pietre affioranti.
Un campione senza valore, eppure lofferta di molti milioni: una somma senza
misura per il capraro gallurese che aveva tutta leconomia domestica nel
ripostiglio di una cassapanca.
Era nata la metafora dei soldi portati dal vento di levante.
Il denaro era uno spiritello che percorreva i sentieri di euforbia e artemisia e
rimbalzava perturbante di stazzo in stazzo gettando una luce abbagliante sulla
collina che scende alle spiagge di perla.
Il paesaggio fu toccato da un incantesimo: le rocce di granito si trasformarono
in pietre preziose, gli scogli divennero statue, il mare si fece smeraldo, i cespugli
mandavano un profumo di erbe officinali. Un effetto di magia rese il mare
dolcissimo e il litorale divenne un susseguirsi di calette ritagliate ad arte.
Per il borgo di Arzachena serpeggiava una parola magica: li milioni, e unaltra
che incuteva persino timore, li milialdi. Priamo Solinas aveva sentito queste parole
sussurrate per le strade del paese, esorcizzate in chiacchiere sospettose nei bar e
nei negozi. Poi queste parole attraversarono le soglie delle case creando fantasmi
di luce e ombre di invidia.
Quant un miliardo? una cifra che procura sgomento perch fuori dalla
stima di una contabilit locale. Tremila anni di differenza separano la pastorizia
della sussistenza dalla raffinata economia del turismo.
Cos lo scambio avvenne nella dimensione del dono. I pastori credevano di

vendere pietre, i compratori sapevano di acquistare smeraldi.


Il capraro ha chiesto: a che serve questa terra? A niente, gli hanno risposto.
E allora perch la comprano? Per le vacanze di uomini miliardari, per
trascorrervi il loro tempo libero.
Priamo Solinas non intendeva il senso di queste parole perch sapeva che il
tempo non mai libero, occupato com a logorare persone e cose. E il tempo
non leggero perch sopporta il peso del vivere.
Eppure le parole si diffondevano con linsensatezza della novit. Si parlava di
natura vergine, di terre non toccate dalla storia, di paradiso terrestre.
La natura madre e matrigna, replicava il capraro, ogni anno apriamo
solchi che si chiudono dietro di noi, nel suo ventre gettiamo semi propiziando
spighe con formule daugurio. E quando lerba si fa grano, temiamo laria
soffocata del sud e coltiviamo speranze con i venti freschi di ponente. Sempre
vigili a scrutare il volto enigmatico del tempo.
Non riusciva a comprendere come potessero esserci uomini padroni del
tempo, capaci di sezionarlo, di renderlo libero e offrirlo in dono, di confezionarlo
e immetterlo nel mercato. Ma anche padroni dei luoghi, capaci come sono di
trasformare la localit di Lunfarru, linferno, nellEterno paradiso. In paese si
diceva: Patroni di li din, di lu tempu e di lu locu.
Priamo Solinas aveva ereditato quelle terre da immemorabili generazioni. Lo
stazzo il mondo e la vita il destino. Fare il pastore non un mestiere, un
modo di vivere. Un uomo e un gregge in un territorio aspro e avaro. Pochi gli
oggetti e tutti essenziali. Oggetti di legno e di pelle, di osso e di pietra, modellati
in lunghe ore senza costo. Sul pianoro liberato dai cisti si semina orzo e grano
per le provviste annuali: pane assicurato per un anno.
Aveva sposato Grazia Mura, bella come lo una ragazza di ventanni, educata
a essere buona massaia per il governo della casa. Una vita di lavoro dedicata alla
famiglia, con lorgoglio di mantenere agli studi due figli: al primogenito Battista
fu chiesto di farsi onore, prima al liceo classico di Olbia, poi, grazie
allinteressamento del parroco, allUniversit Cattolica di Milano. Anche Andrea,
il secondogenito frequentava lIstituto Ragionieri di Olbia; il padre lavrebbe
voluto con s nello stazzo per onorare leredit delle terre ma la madre voleva
sottrarlo a una vita dura e incerta. Caterina, come nella tradizione, era destinata
ad aiutare la madre nella faccende domestiche. Aveva fatto le scuole elementari e
nellattesa dellet di matrimonio, non le sarebbe mancato un buon giovane di
pari famiglia.
Priamo Solinas aveva il dono della poesia, poeta improvvisatore, cantava nei
palchi dei paesi della Gallura, apprezzato per la sua voce tenorosa e per la

singolarit delle metafore che sapevano giocare con la rima.


Nella festa di Santa Maria, patrona di Arzachena, per la gara poetica fu
sorteggiato il tema Pastorizia e Turismo.
Il poeta rivale, Ettore Decandia, nellottava di apertura cantava le meraviglie
del turismo creando la metafora dellangelo che annunzia la gioia del tempo di
avvento, promessa di riscatto e di salvezza. Ma Priamo Solinas ribatteva che il
volto del tempo non ci dato conoscerlo e che le voci pi suadenti possono
essere messaggere di inganni, annunci portati dalla furia del vento malo. Decandia
costruiva strofe di lode per la nuova festa del turismo, festa del sole, dellacqua,
festa continua del giorno e della notte e dava ai versi un ritmo concitato per
esprimere il precipitare del piacere e per cantare il corpo in gloria dellestasi
turistica. Priamo Solinas, scandendo le parole, diceva che la nuova festa una
festa senza santo, senza preghiera e senza promessa, tempio senza ex voto e che
non si poteva rubare al tempo breve dellestate il godimento che appartiene al
calendario della vita.
Decandia incantava gli ascoltatori paragonando il denaro a un ballerino che
invitava tutti alla danza della felicit ed elaborava la metafora del volo di farfalle
che succhiano nettare dai fiori e volteggiano nella gloria dei colori. Priamo
Solinas avvertiva che il denaro muove il ballo dellrgia, il ballo tarantolato di
sette donne nubili, sette maritate e sette vedove che roteano, come baccanti
scomposte, per far sorridere il malcapitato e liberarlo cos dalla cupa malinconia
del male.
Al rivale che rendeva grazie ai nuovi venuti per i loro doni milionari,
rispondeva che il dono nasconde spesso la forma dellinganno perch non si fa in
tempo a conoscere la verit delle cose, perch difficile capire quando il filo del
tempo fa i nodi e come il ragno tesse la rete della seduzione.
Lavversario aveva concluso lottava con un verso applaudito: Cu lu din poi
cumpar lu mundu.
La risposta cantava: Con lu din poi cumpar lu mundu/ ma la felicitai in lu
cori/ no cosa da spacci in lu malcatu.
Fu Priamo Solinas a rompere lincantesimo dello scambio dei doni: il capraro
si rifiutava di vendere le sue terre, essenziali al costituirsi dellimpero turistico. Le
terre non le voleva vendere perch ereditate dagli avi: i terreni sono dei vivi ma
appartengono ai morti.
Il borgo di Arzachena era in subbuglio. Correva voce che Karim Aga Khan
stesse acquistando le terre sul mare che vanno da Cala Liscia Ruya fino al golfo di
Arzachena, una quarantina di chilometri di costa. Gi molte famiglie avevano
venduto o stavano per vendere i terreni aridi del litorale a prezzi ben pi alti
delle terre fertili della pianura.

La morte di John Kennedy e di Papa Giovanni XXIII erano notizie che


arrivavano da fuori, da un mondo lontano.
La voce delle compere milionarie invece serpeggiava in ogni casa del paese. I
mediatori locali erano uccelli rapaci a caccia di pastori possessori di terre sul
mare, per convincerli a vendere le pietraie della speranza.
Anche Priamo Solinas fu contattato per i terreni di Monti di Mola, proprio
quelli che scendono nella grande ansa del porto naturale. Ma il capraro chiudeva
ogni contatto con una risposta secca:
Le terre non le vendo perch non sono mie, sono di mio padre, di mio
nonno, dei miei avi.
Alle ripetute profferte confermava il suo diniego:
Non posso vendere la mia vita, non posso cancellare il tempo della memoria,
leredit una catena che fa la nostra storia.
Sennonch quelle terre erano indispensabili per realizzare il disegno turistico
della Costa Smeralda perch si estendevano fino a quel lembo di mare in cui si
dovevano costruire il porto dei panfili, lHotel Cervo e la villa del Principe.
Battista, rientrato da Milano, proponeva di vendere una parte dello stazzo e
sfruttare poi la valorizzazione degli altri terreni. Intanto aveva spiegato che cosa
davvero stava avvenendo in Gallura con gli investimenti turistici. Raccontava che
i capitali dellex Congo belga, i finanzieri della Banca mondiale e Karim Aga
Khan con un gruppo di industriali avevano deciso di investire ingenti capitali
sulla costa nord-orientale della Sardegna. La Costa azzurra era ormai
congestionata, nella ricerca di spiagge deserte, la scelta cadde sulle coste aspre e
frastagliate del golfo di Arzachena. Si parlava di un investimento di ottocento
miliardi di lire.
Priamo Solinas fu contattato una seconda volta. Il mediatore ricorse allaiuto
di un cugino del capraro promettendogli un congruo compenso. Entrambi si
recarono a casa di Priamo col proposito di una nuova astuzia e con unofferta
ben pi invitante.
Caro Priamo, i tempi stanno cambiando e ad Arzachena stanno precipitando,
esord il cugino, Tommaso.
A cambiare il tempo ci pensa il tempo stesso, rispose il capraro.
Ma per te giunto un tempo amico ed bene assecondare il vento quando
soffia a favore.
Il tempo ha due facce, una buona e una cattiva, sentenzi Priamo Solinas.
E a te offre la faccia buona con i milioni che ti danno per lo stazzo di
Aggesi, incalzava il cugino.
Non tocca a noi dire qual la faccia buona perch la verit del tempo si
rivela sempre dopo e spesso con amare sorprese.

Lo stazzo di Aggesi non buono neppure per le capre, insisteva il


mediatore, eppure quel terreno te lo coprono di bigliettoni da diecimila lire,
quelli che sembrano lenzuola, un tappeto che si distende dalla cresta delle rocce
fino al mare, anche i cespugli, anche gli scogli ti coprono.
Non va bene coprire il terreno con un manto di soldi perch se li mangiano
le volpi e cinghiali, e poi se tutto il terreno viene coperto, dove si posano le
tortore e dove fanno i nidi le allodole!
Tu, si sa, sei poeta e hai la battuta pronta, eppure tanta gente, avveduta come
te, ha saputo cogliere il tempo nuovo
Il tempo non nuovo n vecchio, il tempo viene da lontano e va lontano e fa
il suo giro.
Il cugino, che aveva anche lui una vena poetica, insisteva sulla metafora dei
soldi.
Un materasso di bigliettoni pu farci tua moglie, un materasso pi morbido
della lana dagnello, di soldi potr riempire il guardaroba e tappezzare le pareti,
mentre parlava le sue braccia facevano ampi gesti e tracciavano nellaria
figurazioni di soldi che volavano e scendevano a coprire il pavimento e poi si
alzavano e fluttuavano nella stanza, turbinavano come farfalle esaltate dalla luce e
infine si adagiavano per terra, tutti bigliettoni ben allineati fino ad alzarsi
compatti come un muro di mattoni.
Vogliono comprare la tua pietraia quasi fosse un campo di smeraldi, quei
biglietti rosa adagiati sui cespugli ti appariranno come fiori sconosciuti e i frutti
pendenti dagli alberi ti sembreranno cresciuti per incanto, anche le ragnatele dello
stazzo te le pagano come filigrana doro. Lo vuoi capire: una casa piena di soldi,
concluse battendo le braccia sulle ginocchia e fingendo sorpresa e meraviglia, per
dare al suo discorso la spinta di una decisione.
Se la casa piena di soldi non c posto per me e per la mia famiglia,
rispondeva Priamo Solinas con occhi beffardi, allora dove andiamo ad abitare?
Per fortuna possiedo anche un pagliaio e una stalla per i buoi nella periferia del
paese.
Tu difendi il tuo tema come in una gara poetica, ma io ti parlo della vita,
della vita vera, e non puoi sfidare la fortuna che bussa alla porta perch la fortuna
vendicativa e se non bene accolta se ne va lanciando maledizioni.
La maledizione vendere le terre di mio padre e di mio nonno, le terre della
mia vita.
Sulla soglia di casa il mediatore lanci una sfida: Dato che sei un uomo
ostinato, verr il Principe in persona a convincerti, lhai visto quel panfilo sul
mare di fronte al tuo stazzo? Be, quella barca piena di oro e argento.
Se verr a trovarmi vuol dire che ha bisogno di me, ma la visita di un ospite

sempre gradita, gli offriremo dolci e vino moscato.


I dolci te li porta lui, tu non sai quanto siano dolci i milioni, pi dolci di
mandorle e miele. Ti faranno passare lamaro della vita.
Trascorsero appena due giorni. Il Principe, giunto da Parigi allaeroporto di
Vena Fiorita di Olbia, si diresse espressamente ad Arzachena per chiudere la
questione delle terre di Aggesi che bloccava la prosecuzione del piano turistico.
Priamo Solinas era stato avvisato dal mediatore dellarrivo del Principe. La
moglie, Grazia Mura, lo attendeva con apprensione perch le era stato detto che il
Principe era re e anche papa e che i suoi fedeli gli corrispondevano in oro il peso
del suo corpo. E le avevano anche specificato che proveniva dallAsia, viveva a
Parigi ed era americano.
La signora Grazia aveva preparato il caff con i biscotti, i liquori e il vino di
moscato. Sbirciava dalla finestra sulla strada diritta che porta a casa sua. Il marito
non lo dava a vedere ma lansia della moglie si rifletteva su di lui e con tono
ironico mormorava: Ah, proprio cos, adesso a casa mia arriva il re e il papa,
non credevo dessere cos importante!
Ecco, in fondo alla strada comparire il mediatore che dava la destra a un
giovane in maglietta. Grazia Mura attendeva di scorgere il Principe con il suo
seguito ma gi i due stavano per giungere alla porta. Al primo battito del
martello, Grazia apr con sollecitudine e un po imbarazzata attendeva di sapere
chi fosse il giovane che aveva uno sguardo chiaro e un sorriso educato. Il
mediatore present il Principe mentre Priamo Solinas attendeva in piedi sulla
porta della stanza buona.
Sono felice che lei mi accolga in casa sua e mi sento in dovere di ricambiare
quando vorrete essere miei ospiti, disse il Principe con espressione di sincera
gentilezza.
Da noi lospite sacro, intervenne Priamo Solinas, mentre la moglie
aggiungeva: Ci fate un grande onore.
In verit si aspettavano un uomo alto, vestito di lusso, col borsalino dalla piega
aristocratica, un uomo austero e conscio del suo rango e invece avevano davanti
un giovanotto in jeans e maglietta, a capo scoperto e con i capelli un po
scarmigliati. Eppure leggevano in quel volto un tratto chiaro di persona perbene
che li mise subito a loro agio.
Come sapete, signor Solinas, io vengo per la questione dei vostri terreni, le
debbo dire subito con sincerit che quei terreni sono del tutto essenziali per il
nostro progetto
Anche per me sono essenziali perch sono la storia della nostra famiglia.
Rispetto i vostri sentimenti, soggiunse il Principe, sono terre ereditate
dagli avi, per voi vendere leredit come sconfessare vostro padre e vostro

nonno. Non voglio comprare con i soldi i vostri sentimenti ma io ho una


proposta da farvi.
Priamo Solinas era sorpreso per le parole piene di umanit e si meravigliava
per il discorso che partiva dal cuore e lo confermavano gli occhi chiari, disarmati.
Ma non capiva, a quel punto, quale potesse essere la sorpresa.
Signor Solinas, riprese il Principe, vi sono state proposte diverse cifre dai
mediatori, io voglio che il prezzo lo stabiliate voi, ma in pi mi preme farvi
unulteriore offerta. Voi conoscete certamente le terre fertili della pianura dove ci
sono gli stazzi di
Dario Azara, disse prontamente il mediatore.
Signor Solinas voi non state vendendo le terre dei padri, le state scambiando
con terreni che i vostri avi hanno sognato per una vita e sarebbero stati ben lieti
di fare una permuta cos vantaggiosa.
Il capraro fu preso da un incantesimo, gli si era aperto un orizzonte di luce che
colmava un desiderio nascosto: era il sogno di ogni pastore di Arzachena
possedere le terre della piana vicino al paese con uno stazzo a due piani che aveva
la tinta della cantoniera e due balconi che davano sugli orti e sulla vigna.
Labbondanza di erba manteneva 100 mucche per un anno e lacqua non si
prosciugava neppure destate.
Priamo Solinas si illumin dimprovviso ma subito oscur il brillio degli occhi
e teneva contratto il volto indurito dal sole e dal vento per non mostrare la sua
emozione. Corrugava la fronte e accentuava la piega della guancia come se stesse
soppesando con cautela la proposta del Principe e stesse meditando una difficile
risposta.
uno scambio di doni, voi mi date le terre di Monti di Mola e io vi regalo le
terre fertili della pianura, inoltre lofferta che vi era stata fatta ve la porto a
seicento milioni di lire.
Al capraro sembr una cifra smisurata ma aveva imparato da una lunga
tradizione che non si accetta subito nessuna proposta anche se vantaggiosa.
Occorre che il tempo confermi la scelta e che la notte assicuri la decisione del
giorno, perch le cose hanno sempre delle pieghe che bisogna stendere per bene.
Vi dar una risposta fra qualche settimana
Una settimana una settimana un tempo infinito, fra tre giorni devo
rientrare a Parigi, domani potremo andare dal notaio oppure domani laltro per
definire la compravendita.
Il Principe sapeva che il denaro lequivalente universale di tutte le merci ma
si rendeva conto di trattare con una persona che non aveva il concetto n di
denaro n di merce. Grazie forse alla sua cultura dorigine, capiva che i sentimenti
possono avere unimportanza decisiva anche nella fredda logica della transazione

e sapeva che esiste un confine incerto tra dono e mercato.


Intervenne con decisione: Oggi marted, gioved dal notaio, afferm con
un atteggiamento che voleva sancire laccordo anche da parte del capraro, che
invece rimaneva cauto e disorientato.
Grazia Mura aveva gi levato il telo ricamato dal vassoio e offriva i dolci di
mandorle e miele mentre il marito versava il moscatello. Il Principe ringraziava
ma faceva un gesto gentile di rifiuto. Il vecchio intervenne deciso: Nessuno va
via da casa mia senza accettare linvito. Il Principe prese un amaretto di
mandorle e fece i complimenti alla signora Grazia.
Nel corridoio si rinnovarono i convenevoli e quel giovane perbene mostr le
sue buone maniere anche nel commiato sulla soglia di casa. Il portone rimase
socchiuso fino a sentire i passi che si allontanavano poi lisolamento dal mondo
esterno e lintimit della buona novella.
Marito e moglie stavano in piedi presi da stupore, luno di fronte allaltra, si
guardavano, lei teneva le mani giunte sul grembo, lui i pollici inseriti nel corpetto.
Incapaci di dire una parola. Solo il silenzio sa esprimere la gioia o un dolore
incontenibile. Santa Maria ci ha fatto questo miracolo, sussurrava Grazia
Mura facendosi pi volte il segno della croce e sollevando lo sguardo in alto.
Entrarono nella stanza buona, lei sollev il vassoio dei dolci che offr al marito
con i modi gentili degli inviti nella festa di matrimonio e poi vers quel rosolio
paglierino per farsi gli auguri rivolgendo grazie al cielo e bisbigliando: Il
destino ci caduto addosso.
Decisero di tenere il segreto, nulla dovevano sapere i figli e tanto meno il
paese.
Aspettiamo che le cose si concludano, disse Priamo Solinas, a volte la
giornata promette sereno e poi rabbuia in nubi di tempesta.
La sera, chiacchierando a letto, commentavano levento straordinario, si
facevano domande e si davano risposte, si interrogavano su questa montagna
luminosa che si era alzata davanti a loro. La notte suggell col silenzio il loro
fantasticare. Ma nessuno dei due riusciva a prendere sonno. Lui era preso dal
sospetto: gli sembrava una pazzia che Dario Azara avesse venduto le migliori
terre di Arzachena, anche se correva voce in paese che il vecchio era ormai in
balia dei figli, studenti falliti, che facevano una vita da fannulloni.
Grazia Mura combatteva unaltra battaglia: reputava la vendita come un evento
miracoloso e tirava in ballo ora il destino ora la Provvidenza, ed entrambi
confluivano nella grazia benigna di Santa Maria. Recitava formulari di esorcismo
perch ogni fatto eccezionale nasconde risvolti enigmatici: Noi non labbiamo
voluto ci che successo, avvenuto senza neppure averlo desiderato.
Dalla sua vita e dalla storia familiare aveva imparato che la gioia non mai

trasparente, porta con s delle ombre che offuscano anche la luce del sole.
Avvertiva con un senso di colpa il mistero del miracolo e ne attribuiva la
responsabilit al destino. Per attenuare il colpo di fortuna pensava che la sua vita
non sarebbe cambiata di molto e non avrebbe goduto spudoratamente della
ricchezza improvvisa.
In che cosa avrebbe potuto cambiare la propria vita!
Certo sarebbe cambiata per i figli e perci bisognava esorcizzare il malocchio
della gente. Per questo era pronta ad assumersi quella parte di tragico che si
nasconde dietro il miracolo.
Riaffior un ricordo di quando aveva ventanni, la sorella minore si era spenta
consumata dalla tubercolosi e nel dolore della perdita aveva sentito la frase di un
visitatore venuto per le condoglianze, che diceva a un amico: Adesso Grazia
lunica ereditiera di terre e case, davvero un buon partito. Lei pregava la
Madonna negando di aver desiderato leredit della sorella e confermando di
averla amata e pianta con grande dolore.
Allalba Grazia Mura vide il marito che stava indossando labito di campagna:
Stai uscendo? disse.
Non vado lontano, rispose Priamo con un tono di voce che non
ammetteva altre domande e affrettandosi a uscire.
Si diresse verso lo stazzo di Dario Azara, mormorando tra s e s versi sulla
terra promessa. Scelse un itinerario tortuoso per non essere visto dai pastori del
luogo ed evitare domande inopportune. Fece un giro largo per arrivarci dalla
parte del boschetto di querce da sughero. Da dietro un grosso albero guardava le
terre che sarebbero diventate sue. Le conosceva ma ora le ammirava facendoci
lamore. Prima insegu con lo sguardo i confini per abbracciare la terra nella sua
pienezza: quella terra era un corpo di donna, bello come sua moglie quando
erano sposi novelli. Lerba trascolorava dal verde al rossiccio e al giallo. Non era
quellerba terriccia di Monti di Mola, era erba per mucche, alta sino al ginocchio,
pastosa e nutriente. Ne seguiva il leggero ondulare quasi fosse un campo di grano
in attesa della mietitura. Poi seguiva la linea del fiume che scorreva lento sino al
crepaccio dove precipitava nel recinto degli orti e del frutteto. Tarre cu lu riu in
mezu mormorava e ascoltava le sue stesse parole, dolci come quelle
dellacqua e della terra. Osservava i peri selvatici che segnavano punti e
tracciavano linee disegnando una geometria che dava ritmo allo spazio della
tanca, alberi che gi pensava di innestare a pere, quella camusina di giugno e
quella tardiva di settembre, da legare in filari per durare sino a Natale e allanno
nuovo.
Aveva visto lazienda moderna di Samuele Colbu segnata da tubi dirrigazione
per avere lerba fresca anche destate. Immaginava i terreni della collina gialli di

fieno e quelli sul fiume verdi di erba, in uneterna primavera.


Ed ecco la casa di color mattone con la tinta che sfumava in un rosa tenue.
Poteva fare bella figura anche come casa di paese, a due piani, con i grandi
balconi e il tetto con tronchi di ginepro e tegole ben assestate. E gi vedeva le
mucche pascolare, maestose come le chiese di campagna di SantIsidoro e di
SantAntonio Abate, con le mammelle che scendevano fino a terra. Col pelo
riposato e morbido, non come quelle vacchette di Monti di Mola, irsute, con le
costole in rilievo, sempre molestate dalle mosche e coperte nel collo da lentiggini
gialle, punte dai tafani che le costringevano a movimenti di pazzia e a svirgolare
con le corna laria infestata.
Nello stazzo non cera nessuno, n vacche n pecore n maiali e neppure quel
cavallo dal manto baio in groppa al quale Dario Azara troneggiava passando per
la piazza del paese a confermare la sua possanza. In dissolvenza gli sembrava che
lacqua del fiume diventasse latte ed esondasse bagnando tutto il terreno e
precipitasse su grandi recipienti di rame: latte per tutta la Gallura.
Rientrando a casa aveva preso il sentiero pi breve e misurava a passi la
distanza dal paese, ne cont duemila fino alle nuove costruzioni che si snodavano
lungo la strada per il mare.
Contava i passi e dipingeva lavvenire.

Capitolo 2

Davanti al notaio si diventa ricchi allimprovviso. Nellampio studio si


preparava il rito di una strana cerimonia. Il notaio era il sacerdote o meglio il
vescovo -pensava Solinas - con quella faccia grassa cos simile a quella del vecchio
parroco e la testa pelata e le orecchie accartocciate, ma con lo sguardo
supponente che dominava la scena.
Leggeva come fosse distratto e nulla lo riguardasse, leggeva prima lentamente
poi sempre pi veloce quasi fosse un racconto che aveva fretta di finire e che
invece si allungava con toni alti e bassi in cui ogni tanto si udiva il nome di
Priamo Solinas che il notaio staccava con un respiro, e subito dopo un altro
nome che dagli sguardi doveva essere quel distinto signore che gli stava seduto a
fianco. E intanto attendeva che nel racconto risuonasse chiara e tonda la cifra
pattuita, ed ecco finalmente: corrispondere al signor Priamo Solinas lire
seicento milioni.
Fu come un boato che assord la stanza: quella cifra aveva il peso della grande
roccia di Monte Moro che gravava sulla collina e che ora sentiva sulle sue spalle.
Intanto il ritmo pi lento del notaio dava a intendere che il racconto stesse per
concludersi, ma cera da attendere ancora una conferma importante che infatti
giunse subito dopo: Priamo Solinas rimane proprietario del terreno definito dal
mappale n. 13, foglio 3, e continuava specificando il passaggio di propriet delle
terre di Dario Azara a Priamo Solinas.
Ora s, le cose erano a posto. Sent il corpo rilassarsi e il respiro farsi pi
disteso. Ascoltava la voce del notaio quasi distrattamente sino allannuncio finale:
Add 5 maggio 1963.
Firmi qui, Signor Solinas, fece il notaio con tono imperioso indicando il
punto esatto del foglio. Si avvicini, scriva qui per esteso, non sta mica firmando
la sua condanna, aggiunse con un sorriso compiaciuto.
Priamo Solinas ebbe un momento di sospensione: non era soltanto per la
mano incerta chiamata allimpresa della firma, avvertiva confusamente che con
quel gesto chiudeva, anzi consumava la parte pi importante della sua vita.
La certezza di essere diventato ricco saccompagnava a uno strano senso di
mancanza e di perdita. E mentre pensava allo stazzo di Monti di Mola appose
con scrittura incerta la sua firma. Tutti si complimentavano con lui: Siete ricco,

siete milionario e le parole risuonavano con uneco deformata in quello


stanzone pieno di libri chiusi da vetrate e faldoni segnati dalle lettere
dellalfabeto, schierati in un ordine mortuario e con severit intimidatoria.
Era ricco, da un giorno allaltro, da unora allaltra, l davanti a estranei, in casa
daltri. Il suo orologio da tasca segnava mezzogiorno in punto.
Auguri, disse quel distinto signore che non aveva mai pronunciato parola,
Le auguro altri ottimi investimenti.
Priamo ringrazi ma in verit non capiva bene cosa volesse dire la parola
investimenti anche se intuiva che si trattava di fare altri acquisti, magari comprando
altri terreni per ampliare i suoi possedimenti.
Ma di soldi veri, quelli che si toccano con le mani, non ce nerano, non poteva
portarsene a casa neppure un gruzzoletto per farli vedere, per fare festa davanti a
cose concrete. Immaginava una specie di grotta sempre illuminata e ben serrata
dove stavano impacchettati mille e mille e altri mille bigliettoni rosa da diecimila
lire, tutti ben ordinati, nuovi, stirati e lucenti, ben protetti da lastre di granito. Gli
avevano detto che nelle banche le porte che custodiscono i soldi si aprono a
comando, a orologeria, e ubbidiscono solo a chi possiede numeri segreti. Non
erano certo luoghi cui si potesse accedere come per rubare il bestiame. L erano al
sicuro, pi al sicuro della spelonca dove nascondeva la carne al fresco, nelle
giornate torride di Ferragosto. Eppure sentiva che quei soldi erano lontani come
se fossero rinserrati in una grande tomba dentro una montagna sconosciuta.
La moglie aveva preparato come per una festa di matrimonio: il tavolo era
apparecchiato con tovaglie e tovaglioli e con i piatti e bicchieri che si usano due o
tre volte lanno. Su un tavolino gli amaretti, i biscotti buoni, i papassini, i dolci di
miele e mandorle e persino le bibite della modernit, aranciate e gassose. In
cucina bolliva il brodo della zuppa gallurese, i ravioli erano stesi sui teli. Battista
girava lo spiedo col capretto ormai al giusto punto di cottura, Andrea aveva
stappato le bottiglie di vino nero, Caterina, affacciata alla finestra annunciava
larrivo dellautomobile che compariva sul fondo della strada.
Priamo Solinas esce dallabitacolo con unenergia nuova e tiene stretta una
cartella azzurra. Saluta lautista e sta per battere il martello della porta che
allimprovviso si apre. Grazia Mura gli sta di fronte come una regina, lo guarda
per una conferma e un cenno di assenso, prende a braccetto il marito verso la
sala, i figli lo attendono e lo abbracciano. Prova disagio per questo affetto
inusuale e sbotta: Non sono n lu re n lu papa, adesso finitela con questa scena,
io sono io e noi siamo noi.
Ma festa fu: secondo il rito si inizi con il cumbitu, il caff con il biscotto e poi
lamaretto con il liquore. Una festa in famiglia, ma cera un ospite che incombeva

e occupava tutta la scena e dominava tutta la casa: il miracolo.


Il miracolo era un sole splendente ma circonfuso da una lieve corona dombra:
gettava luce sui volti dei figli, sul vassoio dei dolci, sui piatti di ceramica, sulla
casa intera, ma lasciava un adombramento fosforescente, un brillio che crepitava e
mutava in opache sfumature.
Grazia Mura voleva attirare su di s quellalone nebuloso affinch il sole
splendesse pienamente sulla sua famiglia.
Le capre nulla sapevano del miracolo, pi semplicemente attendevano di essere
munte, nelle mammelle pesava il latte di una giornata.
Il neo-ricco Priamo Solinas non laveva scordato. Bisognava recarsi a Monti di
Mola per accudire al bestiame e decidere a chi affidarlo e anche per stabilire quali
oggetti portar via dallo stazzo che sarebbe stato abbattuto.
Era giunto a casa il nipote Antoniccu che aveva fatto da autista nel viaggio a
Olbia per la pratica dal notaio e si prestava di andare lui stesso allo stazzo o
avrebbe potuto incaricare Daniele Colbu che si offriva a giornata in casi di
necessit. Ma ricevette un netto rifiuto e allora insinu con delicata ironia: Le
capre pascolano per conto loro, non c bisogno della vostra presenza e poi
potrebbero non riconoscervi perch ormai voi siete unaltra persona, sapete
con quegli occhi intelligenti capiscono che non siete pi il loro capraro, anzi che
non siete pi un capraro.
Anton, non sei stato mai fino nel parlare, meglio che chiudi la bocca.
Ma il nipote amorevolmente insisteva: E se anche perdete una mungitura,
non saranno quei pochi litri di latte a impoverirvi.
Priamo Solinas gett uno sguardo di rimprovero alzando il tono di voce: Lo
sai bene che le capre soffrono quando hanno le mammelle gonfie di latte e ti
vengono vicino per essere munte. Il latte non si butta neppure se sei milionario
perch siamo cresciuti a latte e formaggio, e al latte e al pane lo devi se ti sei
levata la fame nella tua vita.
Stava gi sellando il cavallo e metteva pane, formaggio e sale dentro le tasche
della bisaccia di orbace, come se stesse ripetendo un rito, il rito della sua
esistenza.
La cavalla si mosse ben sapendo dove dirigersi, lo aveva portato allovile anche
quando aveva bevuto un po troppo in compagnia degli amici nella festa di Santa
Maria ed era stato aiutato a montare in groppa, affidato alla sicura guida
dellanimale.
Nel percorso osservava le terre che gli sembravano un cimitero pieno di croci:
le chiamava per nome indicandone la propriet e con un gesto faceva un segno di
croce: Questa gi venduta, quella venduta e quellaltra ancora venduta erano

nomi che depennava dalla lunga lista della storia delle famiglie e della comunit.
A ogni stazzo venduto attribuiva il prezzo pagato secondo la voce popolare e
scandiva i milioni di lire aggiungendovi il giudizio sullingenuit del proprietario
ingannato. Quelle terre che fino ad allora avevano raccontato storie di eredit
familiari ora echeggiavano nomi stranieri. Nomi nuovi che non si attaccavano alla
terra: erano come uccelli di mare che fanno giri di voli senza posarsi mai. I vecchi
nomi resistevano perch avevano radici e sembravano scritti col fuoco nel corpo
della terra stessa, eppure ben presto furono inghiottiti da un unico nome:
Consorzio della Costa Smeralda. Il nome nuovo impresse il suo marchio su tremila
ettari di terre, cancellando segni e nomi di unantica storia.
Intanto Priamo era giunto al suo podere, la cavalla si accost al muretto, al
cancello di rami dolivastro induriti al fuoco. Sollev il gancio, pass e lo richiuse
senza scendere da cavallo. Giunto allovile tolse la bisaccia e la sella e lasci libero
lanimale al pascolo. Entr nello stazzo come se fosse ospite ma subito lo trov
ancora suo. Si distese sulla stuoia e guardava il soffitto: le tre travi di ginepro, i
travicelli e gli assi e il tetto dargilla con le tegole sconnesse per fare uscire il fumo
del focolare. I muri screpolati facevano vedere i cantoni di granito legati con un
impasto di malta. Guardava le assicelle una per una, nei loro punti chiari e oscuri
e si fermava sullultima proprio sopra la porta che mostrava una chiazza bruna
che sembrava un ornamento, e la penultima che si assottigliava nellattacco al
muro. Una tegola rialzata dal vento e nera dal fumo faceva entrare qualche goccia
di pioggia quando la tempesta infuriava pi violenta. Al soffiare dello scirocco,
sulle aperture del tetto ristagnavano nuvolette di fumo che aleggiavano chiare e
scure in un dolce turbinio. Il libeccio ricacciava dentro cerchi di fumo per
affermare il suo dominio. Al maestrale le canne sconnesse fischiavano una musica
che si rinforzava disperatamente. A volte il fischio rassomigliava al suo quando
dal pianoro richiamava le capre, ma era pi variato e dolce. Il muro dalla parte
del forno faceva una gobba e presentava una fenditura. Guardava la madia di
olivastro e la tinozza di pero selvatico: bisognava portarle via in modo che nessun
oggetto morisse e la ruspa trovasse un tempio sconsacrato. Quella madia
trasfigurava limmagine della madre che lavorava lammasso di farina per il pane e
arrotondava con le mani la pasta di formaggio facendola girare fino a prendere la
forma di pera con il picciolo a stella. E lui bambino si specchiava sul paiolo di
latte come in un cielo. La forma di pera sembrava una mammella palpitante tra le
mani della madre che seduta su uno sgabello di sughero faceva arco sulla schiena
quasi a proteggere la sua creatura. E vedeva ancora la nonna mentre apriva la
porta e compariva con il recipiente dacqua sopra il capo tenendo con una mano
il corno della tinozza, inarcando le braccia e flettendo la schiena per appoggiarla
sopra le assi di olivastro. E ancora la madre che adagiava cerchi di pasta nellolio

di lentisco dallodore aspro.


Lalba lo colse quando gi finiva di mungere le capre e parlottava con loro. Le
conosceva una per una e a ciascuna aveva dato un nome.
Ma come ve lo devo dire che domani dovete andar via, be, non lunga la
transumanza, andrete nello stazzo di un mio parente nelle campagne di Palau, per
voi che cos unora di cammino! Non vi posso tenere, queste terre non sono pi
mie. L, troverete pascoli migliori e avrete persino un ricovero nelle giornate di
bufera. Certo che vi verr a trovare, 20 minuti di cavallo non il viaggio per
Cagliari. Davide un pastore serio, non vi sto affidando ai ladri. Vi verr a
trovare e magari entrer anche nel recinto per mungere.
Aveva ormai deciso di non venderle ad estranei, meglio affidarle in custodia
per godersele ancora e bere il loro latte ogni giorno, il latte di Bandulera, la capra
preferita, e avere tre capretti allanno, per Natale, per Pasqua e per la festa di
Santa Maria, e un po di formaggio fresco per i ravioli.
Era contento di affidarle a buone mani e cos cercava di ingannare la propria
emozione. Bandulera lo guardava con occhi sghembi, col collo alto e piegato a
sinistra mostrando le macchie marroni sul manto bianchissimo. Conosceva bene
quello sguardo interrogante, quando gli ricordava che era ora di farle entrare nel
recinto pi ricco di erba o nel chiuso dei virgulti non pascolati o quando era ora
di portarle a bere nelle pozze dacqua della fontana. E intanto Rosina, la capra
tinta di macchie dorate, gli si avvicinava cercando un ciuffo di rosmarino tra le
sue mani: Oggi non ho nulla da darti, neppure due fave, neppure un ciuffo di
paglia. Oggi sono povero.
Alcuni giorni dopo, Priamo Solinas era ritornato allo stazzo con la scusa di
portar via alcune formelle di legno per fare il formaggio, in verit voleva vedere
per lultima volta il suo regno. Aveva gi fatto portar via le capre e tutti gli
oggetti. Era lalba, da poco il sole si era alzato dalla linea del mare, Priamo
osservava la sua casa come un tempio sconsacrato, eppure vi erano dentro tutti i
sentimenti della sua vita. Con lo sguardo abbracciava i confini, si fermava sulla
fonte, si spostava verso il bosco dei ginepri e sul dirupo gli sembrava di vedere
Bandulera che gli faceva un cenno con la torsione del collo.
Allimprovviso un rumore sconosciuto proveniente dalla strada sterrata gettava
su Monti di Mola lallarme di un fenomeno straordinario, come se il silenzio della
valle fuggisse verso lorizzonte del mare.
I mostri meccanici erano allopera per trasformare Lunfarru, lo sprofondo
dellinferno nella valle delleden, rivoltavano la terra, sventravano dirupi,
appianavano colline, sradicavano alberi. Il grande ragno di ferro squarciava le
rocce, pescava nellacqua e dal fondo tirava su pietre e sabbia: il mare mangiava la

terra. Quando le ruspe smettevano di lavorare, la terra, lacerata, sembrava una


capra sventrata.
Priamo Solinas guardava sgomento lolivastro sradicato, disteso con le sue
chiome piangenti, era gi scomparso il sentiero che portava alla vecchia
abitazione: quel terreno che aveva venduto lo sentiva ancora intensamente suo e
soffriva per il suo corpo martoriato.
Era l, testimone di una scena drammatica impressa a fuoco nella memoria.
Intorno al suo stazzo la ruspa creava uno spiazzo spostando pietre e radendo
cespugli di mirto e lentisco poi si impiant pesantemente quasi per raccogliere le
forze per limpresa. Di scatto la benna della ruspa a cinque denti si alz
minacciosa al cielo, punt diritta verso il tetto della casa e vi si abbatt
sbriciolando malta, canne e tegole.
Il capraro, preso da sgomento, guardava la casa scoperchiata come i ruderi
della chiesa di SantIsidoro. Tutto nelleternit di un istante.
Impietosi i colpi di benna abbattevano i muri: ogni cantone di granito che
piombava a terra faceva tonfo e sussulto nel petto di Priamo che sentiva nella
carne il conficcarsi sul terreno delle travi di ginepro. Il terriccio che sbriciolava al
suolo richiamava il crepitio del mirto avviluppato dalla fiamma degli incendi
estivi.
Raso al suolo lo stazzo della vita, non fu immediatamente il vuoto, rimase una
sagoma dombra, come se lo spirito della casa non riuscisse ad abbandonare il
luogo. Il capraro lottava affinch non scomparisse la memoria sensoriale di quel
corpo distrutto che ormai sbiadiva in unimmagine inconsistente e informe. Si
attaccava a un corpo per impedire che diventasse fantasma. Poi lentamente anche
la sembianza si dissip, allora s, apparve il vuoto, unassenza muta che pure
tentava di balbettare qualcosa. Quando anche leco della voce scomparve, il
capraro si ridest e la solitudine era una nube che oscurava il luogo.
Priamo Solinas guardava le rovine e voleva che fossero testimoni di memorie e
che pietre e travi, sul terreno, continuassero a raccontare la loro storia, e invece i
miseri resti, caricati su un camion, erano solo detriti per la discarica.
Se ne era andato cercando il silenzio per sfuggire a quel rumore assordante dei
mezzi meccanici che continuavano a percuotere il suolo col ritmo indemoniato
della violenza. Non cera pi il suo mondo. Avvertiva la perdita come una
mutilazione del proprio corpo. Gli sembrava assurdo che si potesse costruire la
valle delleden, senza stazzo, senza capre e senza fontana.
Risalendo verso la collina, gli si ripresentava lo stazzo, gli compariva davanti e
la porta si apriva, lui entrava e usciva e girava intorno e poi rientrava per
chiudersi nella intimit. Allora la memoria si rifugiava nel forno, custode del
mistero. Le donne affondavano le mani sullammasso di pasta recitando scongiuri

e formule daugurio. Il fuoco avviava la sua musica col crepitio del cisto secco e
con la fiammella a candela del ramo di olivastro e con i sospiri del lentisco ancora
fresco. Uscendo dalla bocca del forno, il pane illuminava il mondo.
Erano squarci del tempo, vicini e lontani, ritmi di litanie ripetute con
struggente malinconia. La memoria sfumava in filamenti di nebbia poi i fili si
rimettevano a tessere per conto loro e inventavano trame nitide. A volte i ricordi
li inseguiva e, quando ormai erano scomparsi, si riaffacciavano senza chiamarli.

Capitolo 3

Caterina non riusciva a contenere la felicit della sua vita nuova. La


chiamavano la figlia del miracolato. E latmosfera del miracolo la prendeva tutta e
aveva leffetto di un incantesimo. Voleva rifarsi la pelle come la biscia in
primavera. Ma il corpo faceva resistenza ai moti del cuore e alla spinta dei
desideri.
La gonna accorciata al ginocchio, le scarpe di colore col tacco alto e la
camicetta sbottonata chiedevano un altro portamento del corpo, un diverso
modo di atteggiare lo sguardo, le gambe non rispondevano ai balli della moda.
Voleva volare ma il corpo era pesantemente ancorato al recinto dello stazzo.
Li hai ben stretti i legacci, diceva a se stessa, ma a ventanni c tempo di
libert.
Vedeva il fratello Andrea felice della nuova vita, ma lui era un maschio e
poteva fare ci che voleva, e poi aveva studiato e poteva aprire gli occhi al
mondo. Le ragazze del turismo che Andrea portava a casa non le piacevano ma
provava invidia nel vederle libere e spensierate. Unamica, anche lei neoricca,
laveva invitata pi volte nella villa in Costa Smeralda, e Caterina era rimasta
affascinata. Si librava sospesa tra la rigidit dello stazzo e la leggerezza della villa
smeraldina. La fantasia inventava personaggi e comparse in un teatro
immaginario che la vedeva al centro della scena turistica.
Non riusciva a frapporre una distanza tra un sentimento e laltro perch un
turbinio di sensazioni e fantasie pungeva il corpo e agitava mente e animo. Le
sembrava di combattere una battaglia da vincitrice ma senza avere mai totalmente
la meglio, preda di una sensibilit che oscillava in squarci di visioni mutevoli e
contrastanti.
Davanti a lei si apriva la seduzione del dono.
Il primo regalo furono gli orecchini in oro e corallo che i movimenti del capo
facevano ondeggiare luccicanti e liberavano il viso dalla rigidit di una maschera
antica.
Un bozzolo che voleva essere farfalla ma aveva paura di volare.
Il primo passo da fare era il taglio dei capelli: recidere la lunga treccia che
scendeva sulle spalle e che avvertiva come una corda che la legava alla vita dello
stazzo.

Laura buss alla porta, senza neppure entrare, Caterina era gi pronta per
lappuntamento dalla parrucchiera. Da Manuela recitava il cartello sulla porta. Una
donna di mezza et con un sorriso aperto e con i capelli a onde.
Avanti, avanti, eccomi sono tutta per voi, che meraviglia! Non vedevo una
treccia cos bella dalla mia infanzia in Romagna.
Mia cugina Caterina, disse Laura in atteggiamento di confidenza, ha
deciso di essere moderna!
Certo la treccia non si usa pi, acconsent la parrucchiera, la tagliamo ma
da conservare come ricordo importante.
No, non voglio conservarla, intervenne Caterina, non ho nulla da
ricordare.
Limmagine nello specchio le si presentava ingrandita e come se acquistasse
una certa importanza e le attribuisse una responsabilit. Al di l vedeva riflessa la
stanza dilatando gli spazi ed esponendola indifesa in una dimensione
incontrollabile. Avvert linsistenza delle forbici sulla treccia che appena recisa
sciolse i capelli a caschetto. Si senti spoglia, come smarrita, osserv sorpresa il
collo allungato che staccava la testa dal busto in modo spropositato.
Bene, disse la parrucchiera, adesso valorizziamo il bel volto asciutto con
una cornice di capelli vaporosi, ed esaltiamo il collo davvero perfetto, e intanto
le spostava la testa in su, poi a destra e a sinistra come se studiasse una statua.
Caterina gettava sguardi sospettosi ma gradualmente prendeva coraggio
compiaciuta dellacconciatura che a mano a mano si completava in un casco di
capelli mosso da pieghe dorate.
Eccoti, sei stupenda, concluse la parrucchiera, sei un figurino, a
passeggio stasera ti farai ammirare.
Caterina si guardava felice eppure con un vago turbamento: i capelli corti
rivelavano un volto nuovo con qualche sorpresa nel riconoscersi. Una leggera
linea di rossetto dava rilievo alle labbra strette, solo un accento di colore sulle
sopracciglia.
Appena fuori dalla sala, si rivolge a Laura con decisa volont di lotte e con aria
di trionfo: Questa la testa, ora tocca al corpo.
Voleva disfare quella rete di orbace tessuta in venti anni trascorsi nello stazzo
che la teneva prigioniera con le sue maglie strette. Disfare pi facile di tessere,
basta una smagliatura e tirare come per gioco il capo del filo.
La nonna ripeteva che per fare le cose ci vuole una vita, per disfarle basta un
attimo e faceva lesempio della morte che spesso non concede neppure il tempo
dellagonia. E il nonno a conferma diceva che per crescere un albero di ulivo ci
vogliono tanti anni, per abbatterlo basta un colpo di accetta.
Era con il corpo la battaglia pi tenace e il corpo era labito. Ci sono voluti

cento anni per conquistare pochi centimetri di nudit, dalla gonna della nonna
che copriva le caviglie sino alla gonna appena sotto il ginocchio della bella
giovent. E qualche breccia si era aperta sui colori, anche se fece scandalo la
prima uscita in piazza di una ragazza con le scarpe rosse. Labito contadino
nascondeva il corpo e lo conformava a fogge e a colori obbligati.
Per Caterina la rivoluzione avvenne nel pi lussuoso negozio di Olbia: il
passaggio dal rustico al civile.
Nella boutique la scelta cadde su un tailleur verde che brillava di primavera e che
le infondeva una sensazione di leggerezza, e su un altro rosso che la illuminava e
donava colore a un volto di antiche malarie. Ma il pezzo forte era labito da sera:
si guardava allo specchio combattuta tra la folle passione della serata di gala e
lombra di antichi tab. Capiva che quellabito lavrebbe spinta oltre i confini
della sua misura ma era pi forte la fantasia della comparsa esaltante nel locale
notturno.
La commessa del negozio la guardava con cenni di assenso e lassicurava che
quellabito le cadeva addosso divinamente e che faceva risaltare la grazia del suo
corpo.
Compr labito della seduzione.
Era stato troppo breve il tempo delle prove nella boutique, lesame sarebbe
continuato pi accuratamente davanti allo specchio della camera da letto.
Si apre la scena del monologo nel teatro del corpo e dellabito.
Caterina toglie dalla busta il tailleur rosso, stacca letichetta del prezzo, la tiene
in mano leggendo a voce alta la cifra, compiaciuta. Infila la gonna dalla testa,
contrae il respiro e laggancia stringendo il cerchio della vita. D uno sguardo
frontale poi di profilo con un moto di assenso. Indossa una camicetta ornata di
merletti, ne ammira le trame nere in filigrana e osserva il contrasto seducente col
rosso della giacca e la corrispondenza con il nero delle scarpe dal tacco
aggressivo. Eccomi, sono unaltra, sono io, e si acconcia i capelli con le dita a
ventaglio.
In un primo momento labito a interessarla, la foggia e il colore, ma ben
presto lattenzione rivolta al corpo, a come labito lo conforma. Allora inizia
una lunga battaglia.
Si avvicina allo specchio, lo sguardo diretto, punta gli occhi sul volto, sul
petto, poi si allontana di un passo, pi volte lo sguardo scende sino ai piedi e
risale fino alla testa. Ha uno scatto, si mette di profilo, fissa un fianco e fa un
cenno di disappunto, si assesta il cerchio della gonna, d un colpo sui fianchi con
le mani a coltello e approva contraendo le labbra.
Esce dal campo visivo e vi rientra a passi lenti, attraversa la luce dello specchio
ed esce dallaltro lato, rientra ancora osservandosi con sguardo obliquo.

Si allontana, appoggia le spalle alla parete di fronte, fa una panoramica, poi


procede con passo sinuoso fino a toccare lo specchio e si pianta immobile.
Lo sguardo divide il corpo in due parti: sale dalla caviglia fino alla vita, indugia
sui fianchi che le sembrano un po stretti. pi contenta della parte superiore del
corpo. La camicetta stringe il seno in rilievo, le trame di pizzo nascondono e
mostrano. Sbottona unasola, la riaggancia come se stesse misurando il grado di
seduzione. Tiene eretto il collo, atteggiando uno sguardo altero. Fa un gesto di
approvazione. Muove le labbra facendo smorfie e osserva come i capelli
incorniciano il volto.
Ha un momento di distrazione pensando per un attimo alla lunga treccia, a
come laccerchiava sulla nuca guardandosi allo specchietto abraso, un piccolo
rettangolo con i bordi di latta che serviva al padre per farsi la barba.
Nello stazzo non cera bisogno dello specchio. Lo specchio vero era lo sguardo
della comunit dove ciascuno riflette la propria identit. Lo specchio era il telaio
che rende la donna saggia, come diceva la nonna, e la saggezza si fa bellezza.
Caterina non aveva mai visto limmagine del suo corpo per intero.
Nellacqua morta del lavatoio il riflesso annunciava un inquietante presagio,
lincantesimo di uno sprofondamento rendeva limmagine un fantasma che
incuteva timore. Ora lo specchio le restituisce una piena corrispondenza tra
corpo e immagine. E tuttavia viene meno lidea unitaria che aveva del suo corpo,
come se lo specchio lo smembrasse in diverse parti: la linea delle gambe, la
rotondit dei fianchi, il restringimento della vita, lespressione dominatrice del
seno, la mobilit del collo, le fattezze del viso, il casco dei capelli. Sapeva che i
maschi guardano le parti del corpo e fanno apprezzamenti e fissano una parte
dimenticando il tutto.
Ora lo specchio le permetteva di allargare la scena come se lo sguardo dei
giovani entrasse nel teatro della stanza, presi dalla visione. Allora prosegue la
recita: si mette di profilo, ruota a tre quarti, si blocca in posizione storta. Si
rimette frontalmente e d ordini al corpo intimando al sedere di alzarsi e solleva
le natiche con le mani, ordina alla pancia di rientrare dando colpetti di comando,
dice al seno di prorompere.
La compiacenza di s era la proiezione dello sguardo degli altri: ammirandosi
si faceva desiderare. Cos il suo corpo era lo specchio dove i giovani, che avrebbe
incontrato la sera in discoteca, potevano riflettersi.
Svelami tutto prima che mi critichino gli altri, diceva allo specchio, ma
subito ribatteva: Sei testimone contro di me, rimarchi anche la piega che
nessuno vede.
Lo specchio era amico e avversario, ora complice ora traditore. Dammi luce,
ripeteva, non gettarmi ombra. Era come se ogni tanto intervenisse una

svista e rischiasse di vedersi diversa.


Ben presto avrebbe imparato a scandire limmagine un po spenta del mattino
con quella riposata del pomeriggio e con quella pi brillante della sera.
Rideva dellavvertimento della nonna quando ammoniva che non bisogna
guardarsi a lungo nello specchio perch il riflesso si fa cangiante, diventa estraneo
e allora c da temersi.
Nello stazzo non c il doppio, ogni cosa unica: il doppio lapparizione del
defunto. Lacqua riposata della tina non ha riflesso: castit non violata.
Nella lunga lotta davanti allo specchio, Caterina aveva domato labito
facendolo aderire al suo corpo: Ecco, sono io, sono pronta. Mancava solo il
tocco finale nello specchio del bagno dove ci sono gli arnesi della buona
immagine. Un trucco leggero, una punta di crema, una striscia dombretto e di
rossetto per realizzare limmagine del desiderio.
Da maschera perturbante a maschera di bellezza per riconfermare il volto nel
suo stato di grazia. Un corpo in gloria.
Di l a poco sarebbe uscita col tailleur rosso, la camicetta di pizzo e le scarpe
nere. Immaginava che gli sguardi dei giovani si sarebbero appuntati su di lei
mentre procedeva in piena visibilit. E le sembrava di ascoltare giudizi di
ammirata meraviglia.
Sorrideva nel ricordare quando andava alla fonte pubblica, solo qualche anno
prima, tenendo in equilibrio sulla testa la tina di legno, i giovani seduti al lato
della strada gettavano sguardi e lei fingeva di respingerli e quando le chiedevano
un sorso dacqua, tirava diritta, altera, pur avendo il cuore in tumulto.
Ormai le attenzioni dei giovani del paese non le interessavano pi. Quegli
sguardi li spegneva prima che giungessero al suo corpo. In Costa Smeralda cera
una nuova giovent.
Caterina non si guarda pi nello specchio annerito di fuliggine, vuole un
riflesso chiaro e lampante, luminoso e corrispondente.
Ha cancellato la figura di adolescente che si ergeva contro il corso del fiume,
battendo i panni sulle pietre di granito.
Nelle spiagge smeraldine i corpi si abbandonano dolcemente allonda lieve
dellacqua salutare.
A Porto Cervo non c fontana n lavatoio n tinozza, non c immagine
distorta e sfuggente. Lo specchio smeraldo dellacqua perfettamente riflettente,
nel fondo come nella superficie. Il verde gioca con i suoi toni per incontrare
lazzurro e poi il blu cupo. Lo smeraldo riflette limmagine ideale.
Lei era la miracolata e voleva essere smeraldina.
Porto Cervo lo specchio del mondo, il teatro dove avrebbe mostrato i suoi
abiti perch l si realizzava la fantasia della sfilata. Ormai era avvenuto un taglio

nella sua vita, uno squarcio di cui non si potevano ricucire i bordi.
Una pulsione incontenibile sconvolgeva le viscere e invertiva il corso del
sangue. Eppure ancora persisteva quel velo di pudore che le impediva di
corrispondere chiaramente allo sguardo dellaltro e il rossore sul viso che
giungeva inaspettato dichiarava un resto del passato difficile da cancellare.
Caterina viveva il difficile passaggio dal tempo del telaio al tempo dello
specchio. Lora del telaio nello stazzo scoccava al crepuscolo quando, concluse le
faccende domestiche, iniziava il lavoro della tessitura. Le ore erano scandite dal
battito sordo del pedale e il movimento della navetta animava le mani al gioco
veloce dellintreccio.
Faceva da contrappunto la preghiera della nonna che recitava le formule della
liberazione dal male che terminavano con libera nos domine de morte repente e a
difesa dagli spiriti maligni invocava gli angeli schierati ai quattro angoli del letto.
La notte era un campo di battaglia tra potenze del bene e potenze del male. Il
Maligno appariva pi forte di Dio che lasciava campo libero ai demoni, come il
sole catturato dal tramonto lasciava che le tenebre invadessero il mondo.
La morte repente era il pericolo pi angosciante perch non dava il tempo della
penitenza per il perdono dei peccati.
Quando il telaio batteva lultimo tocco, nella stanza si avvertiva lo spessore del
silenzio: era lattimo di raccoglimento prima di recitare la preghiera liberatoria,
latto di fede e latto di dolore. Caterina ripeteva distrattamente latto di dolore
mettendoci dentro nella richiesta di perdono tutte le azioni e pensieri della
giornata. Latto di fede invece la impegnava in una testimonianza pi grande delle
sue forze. Certo, credeva in Dio padre onnipotente e in Ges Cristo suo unico
figlio e nello Spirito Santo ma bisognava credere anche nella Chiesa cattolica,
apostolica, romana, mentre lei conosceva soltanto la chiesa di Santa Maria di
Arzachena. E poi la impressionava la resurrezione dei morti che le suggeriva la
visione di tombe scoperchiate, n riusciva a dare unimmagine ferma alla vita del
mondo che verr.
Per fortuna cera lamen conclusivo che sembrava licenziare ogni parola e
chiudere definitivamente ogni responsabilit ma non allontanava le tenebre e il
male, loscurit e il peccato, il rischio della morte. di notte che si muore di male
oscuro.
Il crepuscolo in Costa Smeralda non portava langoscia delle tenebre,
accendeva invece lapertura gioiosa della notte che illuminava il palcoscenico del
drink e introduceva il divertimento del ballo sino allalba.
Tenera la notte a Porto Cervo ed piena di luce. il giorno a prendere le
sembianze della penombra in quelle mattinate che affondano nel sonno sino a
mezzogiorno. Nel bagliore delle luci notturne avvenivano gli incontri con gli

angeli biondi che venivano da terre lontane con i loro volti chiari: hanno
lapertura del sorriso che pure a momenti brilla di malignit ma vogliono il
corpo, non lanima, come invece i demoni nella notte dello stazzo.
Appare lontano, quasi cancellato ormai, il tempo vissuto nella fantasia del
ricamo quando preparava, come tutte le adolescenti, il corredo di futura sposa.
Allora lago e il filo avviavano limmaginazione amorosa. Il cerchietto del ricamo
era lo specchio del sogno. Tempo di avvento: lattesa della venuta del
pretendente, quando un giovane lavrebbe chiesta in sposa. Figurava pavoni sulla
tela intagliata, pavoni che tenevano sul becco fiori di orchidee.
Il ricamo tracciava litinerario del desiderio amoroso: ogni figura portata a
compimento sembrava abbreviare il tempo della venuta delluomo. Cos viveva il
percorso della profezia, vergine prudente, sempre vigile e accorta affinch non
venisse colta impreparata quando il suo cavaliere avrebbe bussato alla porta.
Chiss cosa le serbava il destino che limmaginazione colorava di rosa! Il
cammino dei desideri portava verso lignoto nellattesa di uno svelamento. La
speranza conviveva con il timore che rendeva misteriosa lattesa.
Nellonda dellimmaginazione continuava a ricamare lenzuola per sogni
damore di uno sconosciuto e tesseva coperte per adornare il letto nuziale che si
offriva intatto allincontro del mistero. E le tende di lino avrebbero filtrato lo
sguardo discreto della notte.
Ogni ragazza di Gallura conosceva la fiaba rituale della precunta: la richiesta di
fidanzamento. Il padre del pretendente sarebbe arrivato nella casa della prescelta
e avrebbe simulato lo smarrimento di una vitella chiedendo se lavessero in
custodia; il capo famiglia avrebbe risposto che non avevano visto alcuna vitella
smarrita, ma dopo una delicata insistenza mostrava una delle figlie per chiedere se
fosse quella, e, al diniego, mostrava laltra figlia: era proprio quella la vitella che
cercavano. Cos nasceva il gioco dellamore.
Quando le si presentavano questi ricordi, Caterina abbozzava un sorriso di
scherno: le sembrava un tempo morto quellattesa vana di un pretendente che
poteva non venire mai. Quelle tele ricamate in giornate senza fine venivano
sfilacciate dal vento del nuovo tempo turistico. Nei negozi di Olbia sono esposti
corredi di mirabile bellezza con ricami meravigliosi nei pi diversi colori.
Unesposizione di biancheria che annulla ogni tempo di attesa e si offre nella
dimensione del dono per soddisfare prontamente i desideri.
Labbandono dello stazzo le si ripresentava come un rituale cupo, senza
nostalgia, una memoria lontana, immersa in unatmosfera irreale. Teneva in mano
due pere di caciocavallo ancora grondanti di siero, appena uno sguardo alla madia
del pane e alla tinozza dellacqua. Lultima traccia di memoria era il pavimento in
terra battuta e il ronzio della porta che si chiudeva.

Camminava lungo il sentiero senza voltarsi, per non serbare immagini da


ricordare. Pensava che una folata di vento sollevasse la porta ed entrasse
nellabitazione per renderla spoglia e muta.
Nel dimenticare il luogo cancellava anche il tempo. Immaginava lo stazzo col
tetto scoperchiato, con i muri cadenti, inghiottito dalle rovine. Miracolosamente
rimaneva intatto il forno sul lato esterno della casa, affinch vi si rifugiassero le
tortore nel freddo inverno.
Le pareva che a lato del sentiero apparisse Fiorina, la capretta orfana che aveva
allattato col biberon: la guardava con occhi dolci strappandole un sorriso.
Attravers il ponticello sul torrente e appoggi il cesto sul carro. Il padre assest
le cose con le funi e spron i buoi verso Arzachena. Lungo il cammino a Caterina
sembrava che alle sue spalle spazio e tempo della sua adolescenza sprofondassero
nellabisso.
Le ruote del carro scricchiolavano sulla roccia affiorane dello sterrato e poi
affondavano dolcemente sulla rena della pianura, allentrata del paese il carro
della vita aveva cancellato tutto il passato.
La casa del paese ospitava la famiglia per alcuni mesi lanno, pi spesso si stava
nello stazzo quando cera da fare il formaggio e cuocere il pane, zappare il grano
e accudire al raccolto. Ora la casa, per Caterina, doveva diventare una reggia, era
ormai lestensione del suo corpo. Nuovi gli impianti, gli infissi, gli arredi, gli
oggetti. Lei ne era la regista. Pi volte entrava nel salotto per riempirsi gli occhi
ammirando i mobili comprati da poco: il buffet e il contro buffet laccato nero e
gli specchi che rimandavano le immagini dilatando gli spazi. Spostava un
soprammobile, muoveva le sedie con i bastoncini a croce nella spalliera, guardava
la sua immagine riflessa sul grande specchio rettangolare del tavolo da pranzo. Il
divano in pelle scura le mandava un odore di novit, con i braccioli rivestiti di
tessuto rosso che ravvivava lopacit della pelle. Le pareti dipinte di un azzurro
tenue erano punteggiate dai tocchi di una spugnetta che disegnava figure di
incerta geometria.
Nellarredare non era stata guidata da unintenzione di stile, limportante che
fosse entrata in casa la modernit.
I mobili pesanti della tradizione, carichi di memoria, erano stati portati nella
vecchia casa della nonna alla periferia del paese. Il guardaroba massiccio fatto dal
falegname e lottomana ereditato da una zia, il tavolo e le sedie pi volte
aggiustate che raccontavano storie di eredit, tutto viene portato via. Cose
vecchie, pesanti, oscure.
Il brillio del legno laccato splendendo dava gioia. Era la luce ad affascinarla, il
leggero, lo splendente, lo specchio.
I mobili della sala antica non riflettevano nessun immagine, anzi sembrava che

inghiottissero la luce nellopacit del legno e della stoffa. Quel guardaroba


racchiudeva e confermava il tempo appesantito del passato. La coperta dorbace
pesava sul letto matrimoniale ereditato dai nonni, sulle pareti le fotografie degli
avi, chiuse da cornici cupe, lanciavano sguardi severi.
Caterina continuava a comprare oggettini per riempire gli spazi vuoti della sala
che voleva arricchire di piccole storie raccontate dallatto stesso delle compere: un
piatto di Limoges mostrava i suoi colori e diceva di una misteriosa lontananza, un
cristallo di Boemia aveva gi nel nome una sua dolcezza suadente, una cupola di
San Pietro chiusa in un globo propiziava un possibile viaggio a Roma per vedere
il Papa.
Non aveva fatto portar via la cassapanca, laveva sistemata nel corridoio, se la
trovava di fronte ogni volta che passava, gettava uno sguardo inquieto ma non si
decideva mai ad aprirla. Vi era custodito il corredo di futura sposa ma non voleva
fare i conti con quel tempo di sentimenti amorosi che voleva cancellare. Aveva un
misterioso timore che i ricami di quelle tele, geroglifici di una scrittura
perturbante, si mettessero a raccontare desideri e sogni di trepida attesa di un
pretendente sconosciuto. Quella cassapanca manteneva segreti e sembrava
interrogarla sul pieno e sul vuoto della sua vita.
La mamma seguiva con dolce apprensione gli slanci della figlia, non
condivideva molte scelte ma non intendeva contrastare il suo volo di farfalla.
Certo, rimaneva perplessa davanti a quei mobili leggeri e riflettenti che avevano
cacciato il volto riposato della casa e le davano un senso di fragilit e
provvisoriet. Mal sopportava quegli specchi sfacciati che mostravano
spudoratamente le cose e che nei riflessi animavano un mondo di fantasmi. Ma
stava zitta e diceva a se stessa che quella era la casa della modernit voluta dalla
figlia.
E cos questa carnevalata, disse Priamo Solinas entrando nella sala, che
ci fanno questi giocattoli in casa mia, li avete presi dal negozietto di Maddalena,
la vedova allegra!
La moglie, premurosa con tono amorevole, lo calmava e gli diceva che a casa
era giunta la modernit. Ma lui ribatteva che la pazzia, antica o moderna che
fosse, sempre pazzia e minacciava che nulla fosse toccato nella cantina dove
cerano le provviste di un anno. Quando not che erano state tolte dalle pareti
della camera da letto le immagini degli avi, ordin imperiosamente che fossero
subito rimesse al loro posto.
Caterina, la stedda, come la chiamava la madre, era davvero una stella danzante,
per lei temeva un volo di ali spezzate, ma intanto osservava come lalba le passava
sul volto baciandola.
Un pomeriggio Caterina era entrata in cucina con aria di sorpresa e di festa

tenendo in mano un astuccio ben incartato e col fiocco rosso.


Mamma ti faccio un regalo, lho pensato da giorni e non ho saputo resistere:
una fede sarda in filigrana!
Apre lastuccio, prende lanello e lo infila nellanulare della madre,
abbracciandola. Lei, presa dallentusiasmo della figlia, si mostra sorpresa e felice,
per non deluderla, in verit come pu tenere un anello alla moda, che non un
dono del marito e che non dice di una promessa indissolubile!
Grazia Mura osservava il gioco dei cambiamenti in famiglia con lo sguardo
sempre rivolto ai figli. Comprendeva con sensibilit materna il giro di giostra
della figlia, quella tendenza a girare a vuoto, mossa dalla spinta del nuovo. Le
veniva in mente la scena di quei cespugli che il vento solleva facendoli rotolare
sulla linea del sentiero. Ma a volte limmagine era quella dei fiori di mandorlo che
volteggiano nellaria in un turbinio felice.
Di tutto si dava una ragione: la figlia non aveva difese per potersi
salvaguardare dalle cose straordinarie che sono successe. Osservava nei suoi occhi
tempeste di luce che a volte si spegnevano in oscurit. Le sembrava morsa dalla
tarantola, come se non riuscisse a realizzare i propri desideri, come se la vita le
offrisse doni che non poteva sfruttare pienamente.
Il destino ci ha sbalzato troppo avanti, diceva a se stessa, ora bisogna
tornare indietro per riprendere il nostro passo, ripercorrere a ritroso il cammino
per ritornare ai nostri confini.

Capitolo 4

Caterina aveva la sensazione che il mondo intorno a lei girasse come una
giostra. La sua giornata prendeva il ritmo di un tempo accelerato, pur non avendo
nessuna scadenza, era stimolata da suggestioni e da desideri fluttuanti.
In famiglia ascoltava i commenti del fratello Battista che paragonava il paese a
una pelle di leopardo screziata di macchie oscure della tradizione e di macchie
chiare della modernit. Andrea riferiva ogni cambiamento alla nuova divinit che
era il turismo. La fila delle costruzioni si snodava lungo la strada verso il mare.
Uomini e cose volgevano lo sguardo verso il miracolo della Costa Smeralda. Le
povere casette del paese si alzavano al cielo per allungare lo sguardo. I colori
delle pareti, prima opachi e sbiaditi, esplodevano nelle tonalit di una tavolozza
impazzita. Ad Andrea che chiedeva di comprare terreni che sarebbero diventati
aree fabbricabili, il padre rispondeva che quelle terre non si sarebbero mosse
continuando a essere campagna.
Caterina non vedeva nel cambiamento unapertura per la sua vita nuova.
Dietro a quel movimento di soldi, di cose e di persone continuava a resistere una
mentalit tradizionale, come se la realt fosse avvolta in una rete. Le sembrava
che certe innovazioni producessero per contrappeso pi forti resistenze. Il
vecchio e il nuovo nellincontrarsi prendevano una forma ibrida che non mancava
di accenti comici.
Antoniccu, il neo ricco, indossava i calzoncini color aragosta e calzava i sandali
della farmacia ma gettava le gambe come se stesse andando allo stazzo per
mungere le capre. Carlo, un giovane miracolato dal turismo, con i capelli
impomatati e con le scarpe alla moda, passeggiando nella piazza, continuava a
inciampare sulla lastra sconnessa di granito, tenendo in mano un registratore che
gridava canzoni di Sanremo. Stefania scuoteva la testa per far dondolare gli
orecchini e con finta noncuranza sollevava la mano per mostrare lanello di
zaffiro.
I negozi mostrano vetrine nuove e addobbate ma non si pu offuscare lo
sguardo rapace di Samuele Soro ritto sulla soglia a giudicare i passanti con la
piega del suo naso. N si poteva far tacere la lingua maldicente di Agnese Pistis
che continuava a leggere la vita delle donne con il libro severo e angusto della sua
morale, e la signora Claudia, che aveva aperto un negozio di fiori laddove cera

una latteria e continuava a filmare col suo sguardo tutto ci che accadeva in
piazza per commentare beffardamente con le amiche.
Caterina non sopportava pi questo teatro degli sguardi e delle critiche e
insisteva presso la madre per la costruzione della villa al mare nel terreno rimasto
di propriet.
Battista era rientrato da Milano per prendere tutti insieme la decisione, Andrea
aveva preparato una nota di spesa, Caterina, ribadendo che la casa della donna,
aveva gi preso contatti con larchitetto che aveva costruito la villa dellamica.
Sulla scelta del sito aveva vinto lei: doveva sorgere proprio sul rialzo della collina,
nella piena visibilit, da dove lo sguardo potesse dominare Porto Cervo e lansa di
mare.
Larchitetto proponeva una villa di stile smeraldino secondo il gioco archettoscaletta-terrazza e nellevidente predilezione per gli effetti di colore. Caterina
prendeva confidenza con parole nuove, usava genius loci, en plein air, con
latteggiamento ostentato di un nuovo sapere.
Con le amiche parlava di tegole a canale ocra naturale e in riferimento al
camino precisava che era di tipo tradizionale mediterraneo con faccia vista in
mattoni e che bisognava coniugare il manufatto della villa con il cespuglio e
con la roccia, a regola darte, in un accostamento di forme e colori.
Non le piaceva lintonaco grezzo che era di moda come raffinatezza turistica e
neppure il muro rustico a pietra vista perch le suggerivano lantico che era il suo
passato troppo recente e che voleva cancellare. Larchitetto non riusc a
convincerla neppure a mettere vecchie travi di ginepro a decoro, come effetto
estetico. Quelle travi le avrebbero ricordato il colore e lodore annerito dello
stazzo. Non ci fu intesa neppure nellarredo. Larchitetto proponeva lartigianato
artistico sardo, manufatti di ginepro e castagno, di leccio e di ciliegio ma lei
optava per i mobili della Brianza. N era daccordo che nelle stanze i vuoti
predominassero sui pieni sembrandole spoglie e dandole lidea della mancanza e
della povert. Il pieno invece confermava labbondanza e testimoniava la
ricchezza. Aveva accettato il cespuglio incatenato nel cerchio dellaiuola, una
versione moderna che contrastava col sottobosco selvaggio dello stazzo, cos
come le era piaciuto il masso di granito come statua nel giardino.
Linaugurazione della villa fu la conferma della sua appartenenza alla trib
smeraldina. Caterina offriva dolci e spumante di vernaccia, prosciutto con melone
e scaglie di formaggio e bottarga. I complimenti brillavano nellaura della sala.
Aveva invitato anche sua cugina Agnese laureatasi a Roma, una ragazza moderna
che laveva aiutata nel periodo di ambientazione dopo labbandono dello stazzo,
laveva accompagnata dalla parrucchiera per il primo taglio dei capelli e laveva
consigliata nella scelta dei tailleur nei negozi di Olbia. La present alla nuova

compagnia e tutti insieme trascorsero la serata in villa e la notte in uno yacht al


largo. Rientrando a casa, Caterina era ebbra di gioia ma Agnese stava sopra
pensiero come se tenesse per s una preoccupazione. Sollecitata a parlare,
espresse un giudizio severo sullesperienza della giornata dicendo che quella
compagnia non le era piaciuta e confessava che era molto preoccupata per il tipo
di vita che conduceva Caterina.
Tu non sei come loro, quella una giovent che vive un tempo di vacanza,
poi le tue amiche rientreranno nelle loro case, nelle loro famiglie per riprendere la
loro vita normale, fatta di regole, di compiti e di responsabilit. Questa che
vivono ora una fuga, per tre settimane succhiano nettare da ogni fiore. Noi
siamo stanziali, dobbiamo fare i conti col nostro ambiente, almeno in parte.
Certo che possiamo vivere le nostre esperienze amorose ma non sempre in piena
luce, senza farne una bandiera di vita. Le tue amiche qui vivono in un altro
mondo, tu no, tu sei nel tuo mondo e rischi di bruciarti.
Caterina cap di averla perduta. Questi consigli la riportavano indietro, nella
realt paesana. Ormai lei era smeraldina.
Un tardo pomeriggio prendendo una bibita nella Piazzetta di Porto Cervo il
discorso cadde sulla sessualit. Valeria, la giornalista di una rivista femminile,
difendeva la tesi del libero amore e della libert della donna nellespressione dei
propri sentimenti. Caterina laveva osservata a cena, la sera prima, mentre
ingoiava i bocconi come se prendesse una medicina preferendo dominare la
discussione con quella sua voce esile come il suo corpo che pure occultava
passioni nervose.
Irene, la psicologa di Locarno, rendeva pi problematica la discussione
parlando di pulsione e di rimozione, insistendo sui blocchi emotivi e sulla
gradualit del processo di liberazione della donna.
Trasmetteva gioia con la sua voce vibrante, col suo volto seducente di luna che
pure mostrava qualche linea di ruga.
Caterina seguiva il filo del discorso che le appariva piuttosto difficile ma che
rispondeva confusamente alla sua condizione. A momenti le considerazioni della
psicologa sembravano fatte apposta per lei, voleva certamente allargare i confini
della sua mentalit paesana ma non condivideva la liberalizzazione sessuale
dichiarata e pubblicamente accettata.
Sapeva bene che la sessualit apparteneva al controllo della comunit.
Ma Caterina sentiva pulsioni nuove. Il corpo era carne viva e palpitante che
voleva ribellarsi a ogni costrizione. In verit nulla sapeva del sesso. La prima
mestruazione era stato uno shock e nessuna esperienza aveva avuto del corpo
maschile.
Nel ballo sentiva il corpo dellaltro, la pulsione di lasciarsi andare o, come

diceva, di scivolare dolcemente, ma antiche resistenze frenavano le sue emozioni.


Hai delle labbra selvagge, le aveva sussurrato con occhi morbidi un
giovane veneziano.
Hai una schiena fremente, le aveva detto un ragazzo di Lugano che nel
ballo tentava di stringerla a s.
Caterina credeva che nella donna contasse soprattutto il viso e che la bellezza
fosse rivelata dalle fattezze del volto e dallespressione degli occhi, e invece erano
le parti del corpo a sedurre luomo: era come se le cosce, il sedere, le labbra, il
seno, i capelli fossero calamite di attrazione, fossero carne animata da spiriti
tentatori.
Le sembrava sconveniente che il sedere potesse essere un punto di
fascinazione. Lassociava a qualcosa di basso e di volgare. Era convinta che
lamore nascesse da un mistero, da uno sguardo inatteso, dallascolto di una frase
poetica, come da un improvviso battito di ali, e che il segnale fosse un tuffo al
cuore e un blocco del respiro. In Costa Smeralda sperimentava confusamente che
i l flirt era un gioco che si alimentava nei party e nei balli, nelle uscite in barca,
nellosservare corpi e misurarne lattrazione.
Le sembrava indecente la frase di Elena, lestetista, quando affermava che larco
della schiena poteva far impazzire un uomo e che un movimento delle natiche e
delle cosce procurasse brividi irrefrenabili. Non erano convincenti quelle parole
che uscivano da una bocca larga, sciacquate da labbra che inumidiva con la
lingua, labbra spesse che ostentava, convinta che fossero alla moda.
Le amiche si complimentavano con lei per la tessitura della sua carnagione ma
dicevano che era da ammorbidire con le creme e le suggerivano un trucco pi
marcato che invece lei usava leggero e con un profumo appena accennato perch
associava il trucco forte a una donna di malaffare.
Nelle riviste femminili trovava un mondo di consigli, di problemi e soluzioni.
Erano letture che laiutavano a capire meglio il suo nuovo mondo e a orientare il
nuovo sentire.
Ci che faceva nodo era la questione della verginit. Sentiva dalle amiche che
una serata poteva concludersi con un atto damore e lei proiettava questa
eventualit su di s. Ricordava una frase dellamica psicologa: bisogna regolare
listinto ma non reprimerlo.
Nellesperienza del ballo e del bacio sentiva il desiderio di abbandonarsi ma
aveva timore di ci che poteva succedere dopo. La sensazione di smarrimento era
ambivalente: piacere di abbandono e paura di perdersi al di l della sua volont.
Avrebbe voluto esporre chiaramente i suoi problemi alla psicologa ma aveva
ritegno: confessarsi era come essere disarmata e poi le sembrava sconveniente
raccontare la sua vita passata nello stazzo, di cui si vergognava.

Parlando con Irene cercava di nascondere pi che confessare, ma la psicologa


capiva il gioco di nascondimento e le consigliava di attenuare la forza di un super
io troppo forte e bloccante. In verit Caterina non capiva cosa volesse dire
precisamente ma intuiva che la metteva in guardia dal suo passato e che doveva
superare i suoi blocchi. Quando Irene afferm che ogni figlia si innamora del
padre nella prima infanzia, non pot trattenersi da una risata: Guarda che io ero
innamorata di mia zia, la sorella di babbo, che non si era sposata per accudire i
suoi nipotini. Mi rifugiavo sempre da lei e le chiedevo perch non mi aveva dato
il latte dal suo seno invece di portarmi da una donna che aveva unaltra bambina,
dato che mia madre aveva le mammelle secche per le febbri di malaria. Non
capivo bene le risposte della zia Marta che mi diceva di non avermi potuto dare il
latte perch non aveva conosciuto uomo.
Quando Irene spiegava che le bambine odiano la madre perch ruba loro il
padre, Caterina trovava sconce queste insinuazioni. Erano parole e cose sporche,
aberranti solo a pensarle. Io ho sempre voluto bene a mamma, anzi proprio di
mio padre avevo paura perch mi proibiva tutto, non mi accarezzava mai, ogni
suo sguardo era un rimprovero. Tutte le ragazze andavano a ballare il sabato sera
in uno stazzo accompagnate da fratelli e parenti ma babbo me lo impediva e
avvertiva che in casa non voleva donne leggere e che nella famiglia lonore
splendeva come il sole.
Zia Marta aveva onorato la famiglia proprio rimanendo nubile, rispettando
pienamente le regole del paese. La vergine, decoro della famiglia e della parentela,
era un modello ideale per lintera comunit. Saper fare la nubile richiedeva stile:
non essere toccata e neppure chiacchierata. Era lacqua della tina, tersa nella sua
castit. Certo, la nubile ha i suoi tormenti ma non deve avere debolezze: le
passioni lentamente si affievoliscono, si accovacciano nellangolo pi segreto
dellanimo e si addormentano.
Caterina sentiva che il suo corpo si stava aprendo. Era dolce abbandonarsi per
un po allabbraccio di un ragazzo nel ballo e immaginava che cosa ci sarebbe
stato al di l di quella dolce sensazione: perdersi del tutto le sembrava un
momento di pazzia meravigliosa. Pensava spesso a una frase di unamica. Allora
sei una donna completa. Ma cera unombra che pesava come un macigno e
prendeva la sembianza della nonna che diceva: La donna che fa il salto, non pu
tornare indietro, perde la cosa pi preziosa e non la pu riacquistare.
A Caterina, il quadro di vita del passato sembrava assurdo, era come un
racconto oscuro che veniva dalla lontananza del tempo. Ricordava che nella sua
adolescenza la verginit le appariva come un flusso di luce che saliva verso il cielo
e la illuminava, solo confusamente aveva a che fare con lombra delluomo.
Conosceva bene la legge non scritta: chi non si sposa vergine, chi si sposa

madre. Le cose si fanno per avere figli.


Caterina avvertiva che il turismo stava erodendo i muri di questa roccaforte.
Le adolescenti ridevano delle nubili, vestali della verginit: Avete il corpo
avvizzito, diceva Elisabetta, ora cosa ve ne fate dal vostro tesoro! E per
volete tenerci al laccio, volete rinchiuderci nel recinto delle capre, e proprio capre
ci chiamate, ma oggi non ci sono recinti, arrivata una ventata nuova che porta
via le vostre prediche; bene, bene, s, capre noi siamo, siamo libere e ci godiamo la
vita! Ma Matilde, una zitella di cinquantanni, presidente dellAzione Cattolica,
commentava: Le ragazze di oggi hanno lu culu caldu, le cosce sempre aperte,
spudorate come sono, hanno sempre le mutandine abbassate, sono sempre in
calore!
Caterina ricordava le parole della nonna che ammoniva di tenere sempre le
gambe strette come se ci fosse un pericolo invisibile: Solo chi ha il cervello
dolce, apre le gambe.
Il corpo si sarebbe aperto con il matrimonio per donarsi al marito e aprirsi ai
figli.
Ma in Costa Smeralda il piacere era unesigenza del corpo e un desiderio
dellanimo, era nellacqua e nellaria, nella sabbia e nel sole. Corpo assorbente di
acqua cristallina, di aria tonificante, di sabbia purissima, di sole abbronzante. Rito
dellincremazione: impasto nutriente e rivitalizzante per una nuova tessitura della
pelle. La giusta abbronzatura come perfetta maschera di bellezza.
Caterina leggeva nelle riviste femminili come si costruisce il corpo ideale.

Capitolo 5

Un pomeriggio di fine luglio Robert buss alla porta della villa. Caterina
laveva conosciuto da pochi giorni e aveva fatto con lui alcuni giri di ballo.
Battendo il martello della porta pronunci ad alta voce il suo nome con una
confidenza ingiustificata. Caterina scese le scale, sorpresa e preoccupata per la
visita inaspettata. La sera prima aveva osservato il suo corpo mentre lui ballava
con Simona. Un bel corpo slanciato, un viso aperto, unaria di sufficienza, sui 25
anni. Veniva da Amsterdam, lo yacht del padre era attraccato al porto dei panfili.
Caterina se lo trov di fronte con unespressione di massima naturalezza: Ti
ho fatto una sorpresa, lavevo in mente da ieri sera, dopo il ballo con te.
Lei era a disagio, fingeva gentilezza e ospitalit ma avrebbe voluto trattenerlo
sulla porta e uscire con lui in cerca degli amici. Ma Robert era gi nellandito,
fissava una riproduzione di Van Gogh e commentava con noncuranza: La
pazzia dellarte, larte della pazzia.
Caterina sentiva il peso di una presenza imbarazzante, ma ormai bisognava
stare al gioco. Robert era a suo agio, osservava un arazzo di Mogoro e tempestava
Caterina di domande complimentandosi per larredo. Caterina lo fece entrare nel
grande salone. Lo strano timore le pareva eccessivo e un po immotivato davanti a
un uomo che sembrava innocuo e senza mire. Comunque si sentiva a disagio: il
mistero di essere sola, nellintimit della casa, con un uomo appena conosciuto.
Riscopriva in s una mentalit del passato: un uomo e una donna, soli in casa,
un fuoco che pu accendersi.
Intanto Robert girava nella sala, toccava una ceramica sarda, si curvava per
osservare pi da vicino lincisione figurativa della cassapanca e ammirava il
quadro di donne curve che raccoglievano olive. Caterina lo guardava di spalle:
vestiva pantaloncini a bande azzurre che davano geometrie al bianco, la camicia
rigata di verde con i bottoni aperti sul petto e i mocassini bianco-azzurri. Per un
attimo aveva notato larco della schiena nellabbassarsi a osservare la parete
istoriata della cassapanca e aveva colto il suo corpo flessuoso.
Robert osservava e parlava come a se stesso e faceva domande senza attendere
risposte. A Caterina sembrava un tipo un po stravagante e distratto, non laveva
degnata neppure di uno sguardo, ma intanto si era tranquillizzata, anche se si
chiedeva il motivo di quella venuta.

Mi dicevi, ieri sera, che vieni da Amsterdam


Dovresti venire a visitarla, una citt accogliente, la mia casa proprio al
centro.
Com arredata la tua casa?
molto diversa da questa, rispose avvicinandosi alla finestra e gettando lo
sguardo verso il porto dei panfili.
Caterina voleva carpire qualche traccia della sua storia, come vivesse, che
famiglia fosse la sua, che lavoro facesse e se avesse una ragazza, e perci subito
ripropose la domanda: Ti chiedevo del tuo appartamento
Ah, una casa di tre piani, i genitori, Henrik con la sua compagna ed io.
diversa da questa, ci sono pochi mobili, pezzi unici, ricercati a lungo, mia madre
un segugio anche per la sua professione di architetto di interni. Artigianato antico
pi francese che tedesco. Ma i quadri li ho scelti io, di mostra in mostra, amo la
pittura viennese.
Tu viaggi molto, deve essere bello conoscere tanti luoghi
Be, la casa il mondo, un albergo ti accoglie in ogni luogo, intanto conosci
gente
E magari conosci tante donne, le scapp, mordendosi subito la lingua e gi
pensava di deviare il discorso.
S, incontro molte donne, si hanno tante esperienze, senza le donne il mondo
sarebbe opaco.
Finito di perlustrare lambiente Robert si accomod sul divano dai cuscini
color porpora e fissando per la prima volta Caterina disse con decisione: Ti
piacciono i colori forti, sei una tipa passionale! E intanto la scrutava risalendo
con gli occhi dalle gambe fino ai capelli soffermandosi sullo spacco della gonna
rossa e sulla camicetta bianca fermata sul petto da una spilla a foglia.
Caterina prov un disagio misto a piacere. Intanto lui recitava versi
specificando che erano di Goethe. Per sviare il discorso Caterina si avvicin alla
credenzina, prese due bicchieri e mise sul tavolo alcuni aperitivi e una bottiglia di
Martini bianco. Robert alzandosi disse: Un Martini, grazie, tenendo il
bicchiere sospeso attendeva che lei versasse lanalcolico rosso per fare cincin.
Hai scelto il rosso, mi dicono che le ragazze sarde hanno la passione della loro
terra, forte e di profumi intensi.
Ormai lo sguardo di lui esplorava il corpo di lei senza neppure preoccuparsi di
una corrispondenza. Caterina stava seduta allangolo del divano col corpo teso,
con le gambe strette come se fosse pronta ad alzarsi. Robert vers ancora due
dita di Martini, lo ingoi di colpo ma teneva le labbra sullorlo del bicchiere
ostentando piacere.
And a sedersi sul divano recitando versi di una poesia e, rimarcando le sillabe

delle parole, si distese sul divano poggiando la testa sul grembo di lei, muovendo
il braccio a spirale quasi avvolgesse le parole verso lalto. Caterina non ebbe la
prontezza di sottrarsi e alzarsi come avrebbe voluto. Era un gesto inatteso: le
sembr ingenuo e tuttavia insostenibile. Robert, tenendo gli occhi semichiusi,
continuava a recitare ricamando laria con le mani e con gli occhi persi sul
soffitto.
Caterina era rigida e sempre pi imbarazzata. Il capo di Robert muovendosi
nella foga della recita affondava sulle cosce di Caterina che teneva rigidi i muscoli
delle gambe per paura che un rilassamento fosse interpretato da lui come un
accondiscendere a qualcosa.
Lo sguardo distratto di Robert che ogni tanto, recitando, chiudeva gli occhi,
dette a Caterina il tempo di osservare il suo viso, le sue labbra che nel gioco della
declamazione sembrava mordessero dolcemente le parole e sbirci sul corpo
disteso sul divano con una gamba che faceva leva sul pavimento. Lo sguardo
ritorn fugacemente sul petto, sui rari peli chiari, la carnagione rosea, la camicia
che si era aperta mostrando il petto sino allombelico. Per un attimo gett lo
sguardo pi in basso ma subito lo ritir. Aveva bisogno di uninspirazione
profonda, liberatrice, per buttare fuori laria compressa dentro i polmoni. Ma
sarebbe sembrato un sospiro di desiderio o un affanno damore. Avrebbe voluto
sollevare la testa di Robert per chiudere la gonna che si era allargata scoprendo le
cosce e invece rimase immobile.
Robert aveva finito di declamare, prese la mano di Caterina e contava le dita
intrecciandole con le sue e stringendo i polpastrelli. Caterina sorrideva
forzatamente per stare al gioco ma notava che latteggiamento di lui stava
cambiando.
Robert strinse con maggiore pressione le dita e fece cadere la mano di Caterina
sul petto facendole fare una pressione poi si port la mano sulla bocca e la baci,
la riport sul petto introducendola sotto la camicia sino alla pancia. Caterina
avvert unonda di calore diffondersi nella schiena e allent la rigidit del bacino e
delle cosce. Per nascondere laffanno del respiro cominci a parlare pur di dire
qualcosa ma le parole le restavano impastate in bocca. Lui ebbe uno scatto e
cominci a baciare le cosce lisciandole con la lingua. Caterina avvert nel suo
corpo il furore di piacere che aveva invaso lui, sent che le resistenze del corpo
labbandonavano in balia di un tumulto che non aveva mai sperimentato. Lui si
inginocchi sul tappeto, sollev le gambe di lei stendendole sul divano. Caterina
sent il peso del corpo come una montagna, eppure leggero come una nube
avvolgente. Un turbinio di movimenti, di respiri contratti e di fremiti, avvert la
violenza della carne lacerata, trafitta dal dolore e dal piacere.
I respiri ansimanti ripresero il loro ritmo in una stanca quiete. Il corpo di lui

era inerte sopra di lei: lo sent come una massa pesante che la opprimeva, eppure
non voleva che si spostasse perch quel corpo testimoniava qualcosa di
straordinario, un evento incancellabile, come se lavesse segnata con un marchio
indelebile. Ma Robert si era gi scostato con decisione mentre lei lo tratteneva,
ebbe persino un gesto dimpazienza, e stava in piedi, senza pudore della sua
nudit, mentre lei rimaneva distesa, incapace di coprirsi. Robert infil le mutande
e i calzoncini, teneva la camicia in mano canticchiando con aria di indifferenza.
Caterina indoss la gonna e la camicetta e lo invitava a sedersi sul divano: aveva
bisogno di parlare con lui, per sentirlo vicino, come se ci che era successo avesse
bisogno di un lungo discorso, di un affettuoso stare insieme, quasi per consacrare
una giustificazione. Ma lui aveva un atteggiamento di distacco, quasi di
noncuranza.
Caterina si sent desolatamente sola come se il suo corpo fosse gettato
nellimmondezzaio. Tent ancora di invitarlo a sedere con una voce accorata,
quasi di preghiera. Siediti qui, vicino a me, parliamo Lui guard lorologio
e quasi fosse sorpreso disse a voce alta: tardi devo essere in banchina al
porto.
Ci vediamo stasera, disse lei, stiamo insieme.
No, stasera mio padre ha ospiti, d un party nello yacht.
Dritto sulla porta attendeva per salutare. Era come se la villa si afflosciasse e le
cadesse addosso e lei era una bambina sperduta tra le rovine.
Vai pure, vai pure se hai tanta fretta, corri sino a sperderti, soggiunse
sottovoce. Lui non avvert neppure la reazione, sollev il braccio in segno di
saluto e si accomiat con un ciao disinvolto.
Caterina sbatt il portone, rimase ferma, sent lo stridio delle gomme dellauto
ma le sembrava che lui fosse ancora ritto sulla soglia come una statua, fredda:
occupava tutto lo spazio con le braccia tese sulle pareti come se la chiudesse
dentro una prigione. Rimase inebetita a sentire il tempo, poi and a sedersi sul
divano, not qualche macchia di sangue sulla gonna, scrut il panno del divano e
si rassicur.
Si diresse in bagno e si mise sotto la doccia. Sinsaponava nellinguine
insistendo con ossessione, lacqua rigava il suo corpo che sembrava fosse
diventato estraneo poi aument il getto della doccia e cominci a frizionare le
membra prendendosi pizzicotti e assestando colpetti violenti e urlando: No, no,
no, non possibile, non possibile, come se niente fosse! Sentiva
unagitazione incontrollabile, voleva urlare e rompere tutto. Si mise davanti allo
specchio, si guard e improvvisamente fu come se il sangue avesse invertito il suo
corso.
Incominci a mimare una danza, con i capelli bagnati sulla faccia e cantava:

Evviva, evviva, sono una donna completa oh, oh, la verginit la


verginit Il ballo mio tiralal, tiralal! Usc grondante dacqua, entr
nella sala e ballava con la schiena piegata in avanti guardando il gioco delle orme
bagnate sul cotto lucido di cera e le tracce sul pavimento esaltavano il ritmo del
delirio con un canto rauco e compresso: la vita, la vita sei donna sei
una donna completa la verginit trarallall, trarallall! Raddrizz il corpo,
stese le braccia e le mani a volo e rideva: Vola, vola, spruzza acqua in tutta la
stanza, in tutta la casa, far le pulizie, far le pulizie come a Pasqua, s, far le
pulizie di Pasqua!
Dimprovviso si ferm come se la musica fosse finita, come se lavesse ascoltata
suonata da altri. Ritorn presente a se stessa, indoss laccappatoio e si sedette
davanti allo specchio guardando per terra e fissando un punto della mattonella.
Le si present la tina dello stazzo, vuota, senza acqua. Sollev lo sguardo, osserv
la sua immagine che le sembr prosciugata, la carnagione esausta, le labbra
contratte nel taglio sottile della bocca. Si scosse, fece un gesto liberatorio sulla
fronte quasi a cancellare i pensieri. Indoss una camicetta bianca e una gonna
nera, infil le scarpe: sent lo strano bisogno di andare allo stazzo distante una
cinquantina di metri.
Camminava come un automa. Tolse il gancio di legno, entr e scese nel
fondaco. Presa da eccitazione spostava il tino delle olive confettate, lanfora del
miele, fece girare sulla corda il grappolo delle perette di caciocavallo, picchi con
le nocche la damigiana dellolio di oliva. Sentiva lodore pesante della pancetta e
dei salumi appesi al ramo di leccio e quello sgradevole del formaggio stagionato.
Per un momento ebbe paura che comparisse la figura del padre. Usc dalla
cantina, sal le scale e chiuse la porta dirigendosi verso la villa. Si chiedeva perch
le fosse venuta la voglia impellente di quella visita, proprio in quella cantina che
odiava, voluta dalla decisa volont del padre, in quellantro sotto terra che sapeva
di cose in putrefazione. Rientrata in villa, si sedette al centro della sala
appoggiando i gomiti sul tavolo con uno sguardo assorto e mormorava:
Incredibile! come se nulla fosse successo cos, come acqua che scorre nel
fiume cos, quasi avesse sbrigato una pratica, cos, come bere acqua alla
fontana, semplice no, tutto ovvio!
Era impossibile rimanere in casa, bisognava uscire, non importa dove. Decise
di recarsi ad Arzachena. Parcheggi la macchina, attravers la piazzetta
osservando volti noti, indifferenti a tutto ci che le era accaduto.
proprio vero non accaduto nulla... il mondo c ancora, lorologio della
chiesa batte i suoi tocchi, i giovani con i capelli dritti di lacca biascicano motivi
musicali, Antoniccu passeggia con i calzoncini colore aragosta, Samuele sempre
dritto sulla soglia del negozio, i soliti vecchietti con i bicchieri di birra e anice.

Eppure nello scorcio della piazza si sent attraversata dallo sguardo di Maria la
signora della critica che sembrava le sussurrasse malignamente: Te lo sei dato
non ce lhai pi il tesoro, ah, ah il tesoro, la miracolata piena di soldi ha perduto il
tesoro, ascoltate, ascoltate, ha perduto il tesoro!
Giunta a casa parlava e parlava continuamente, come se avesse paura di un
attimo di silenzio, quasi non volesse dare alla madre il tempo di una domanda,
parlava e chiedeva cose futili senza attendere risposte. E risciacquava piatti e
bicchieri che erano gi lavati e ripassava la spugnetta sul granito della cucina. La
madre, meravigliata, sorrideva: Eh, ti ha morso la tarantola ti presa la
mania della pulizia, guarda che non entrato limmondezzaio in casa!

Capitolo 6

Il totem la volpe, il colore il celeste. Un braccio di mare si addentra nel


grembo della terra, a chiusura dellansa si erge lhotel Cala di Volpe. Il muro
fatto gobbo ad arte, storta larchitrave di ginepro scelta a decorazione, le tegole
sono scolorite con invecchiamento artificiale. Per proteggerlo dalla parte di terra,
la strada per la spiaggia di Capriccioli costretta a una curva.
Andrea Solinas fermava il camioncino carico di bibite nello spazio laterale dei
magazzini dellalbergo e guardava compiaciuto il monumento che si librava tra il
cerchio del mare e lo sfondo del cielo e sorrideva beffardo confrontandolo con lo
stazzo di Aggesi.
Il corpo centrale gli appariva leggero, in tensione verso lalto, le sponde laterali
accompagnavano la linea verso terra. Poi volgeva lo sguardo seguendo la macchia
di colore sullo sfondo delle colline granitiche. Certo non lha costruito Arturo
Cocco, il maestro di muro che faceva le cose storte con i suoi occhi strabici, be,
non ha fatto le scuole insieme allarchitetto di Parigi, e pronunciava il nome a
modo di sentenza, Jacques Cuelle, aggiungendo con supponenza,
accademico di Francia. E con la smorfia di un sorriso allusivo aggiungeva
ancora: In quelle stanze non si stendono stuoie sul pavimento per passare la
notte, non c fumo di sterpi ancora verdi per riscaldare il latte.
Assaporando questo nuovo sapere, concludeva con una frase che ormai gli era
familiare: Questo il miracolo, questo il turismo, il mondo una trottola,
tutto gira. Intanto scaricava le casse di bibite e ricaricava quelle vuote.
Percorreva il corridoio interno per consegnare le bollette negli uffici
commerciali e rientrando dava uno sguardo alle vetrine di gioielli che adornavano
il passaggio e leggeva a voce alta: Buccellato, Longari, Brioni, Misani-Villa,
Artemide.
Gettava uno sguardo verso la piscina e commentava: Hanno portato il mare
dentro la terra be, pi grandi delle pozzanghere per abbeverare le mucche.
Infine sollevava lo sguardo verso le finestre dellHotel e constatava che nessuno
mai vi si affacciava: gli avevano detto che larchitetto le aveva create per bellezza,
come quadri di autore.
Un saluto ammiccante al responsabile delle vettovaglie e usciva felice di fare
parte della grande famiglia, col suo tesserino di operatore commerciale del

Consorzio della Costa Smeralda.


Il padre Priamo aveva chiesto allavvocato Aloin, allatto di vendita dei terreni,
un posto sicuro in Costa per il figlio.
Sono smeraldino, diceva a se stesso quando sfrecciava con la sua Giulietta
rossa per le strade di Arzachena, dichiarando ai quattro venti la sua nuova
condizione. I compagni lo chiamavano il gasato del turismo, perch viveva in uno
stato di eccitazione, frequentava i locali esclusivi e si giocava lo stipendio ben
prima del giorno di paga.
Il padre avrebbe voluto che si occupasse dei fondi agricoli e che organizzasse
unazienda moderna come quella di Solerte Asara. Ma lui irrideva le proposte:
Passati sono i tempi di pulire il cortile dagli escrementi di vacche e maiali,
oggi la vita turismo, commercio, le cose sono pulite e corrono veloci e leggere.
Priamo Solinas non si dava per vinto e insisteva:
Abbiamo le nuove terre grasse di Saloni, c lacqua per lirrigazione, ci sono
persino i contributi regionali. Una grande impresa agricola per produrre latte,
formaggi, burro, carne, vitelli, agnelli e maiali.
Andrea sorrideva beffardo: Babbo, sei nato pastore e vuoi morire pastore, il
mondo cambiato, non un litro di latte, non un chilo di carne prodotti nella
campagne di Gallura entrano in Costa Smeralda, arrivano gli stock di prodotti
dallOlanda, tutto pronto, in tempi giusti. Ti ricordi, bastava la siccit di marzo
per rovinare unannata e quando si gonfiava il torrente non potevamo rientrare in
paese. Be, il commercio non ha autunno n inverno, non conosce pioggia o
vento. Non tempo di formaggio, tempo di gadget, parola dellultima
conquista che pronunciava con tono di voce piena e la ripeteva: gadget, gadget,
babbo hai sentito, gadget.
Il padre guardava con occhi severi questo figlio invasato ma faceva violenza a
se stesso per non rompere il contatto sperando che si ravvedesse. Allora lo
assecondava e gli proponeva di curare lazienda e produrre formaggi e carni per la
Costa. Non che tu devi fare il pastore o che devi prendere la zappa, hai il
diploma di ragioniere e devi fare il ragioniere, curare la contabilit, dirigere
lazienda e governare i mezzadri. Ne hai tempo per divertirti! E poi la campagna
ti abitua a saper prendere le misure alla tua vita sregolata.
Andrea accentuava la smorfia delle labbra. Andare allo stazzo per me un
lusso, ci vado con gli amici per mangiare il capretto, per vedere i turisti che
sgranano gli occhi davanti alla fila di porcetti allo spiedo e ai pani di miele amaro
che profumano nei cilindri di sughero.
E questo va bene! insisteva il padre. Potrai mostrare centinaia di forme di
formaggio e di ricotta esposte al fumo nei graticci di canna e le pere di
caciocavallo appese ai rami di leccio e i prosciutti che fanno corona al magazzino.

E la sera andare a ballare perch il tuo tempo. Tutto questo potrai fare, ma non
puoi tradire la discendenza: cosa ne faccio delle terre piovute dal cielo, il sogno
dei miei avi, per queste terre ho venduto Monti di Mola creando un vuoto
nellanimo.
Priamo avrebbe continuato a lungo nella sua perorazione ma Andrea lo
interrompeva: Con lattivit turistica posso guadagnare dieci volte tanto quello
che mi darebbero le tue terre, nello stazzo il mondo fermo, in Costa Smeralda
tutto in movimento, persino gli scogli sembrano vivi, mutano e diventano
statue, c il mare che non riposa mai, persino le dune camminano. C gente che
arriva e parte da tutto il mondo. Sai chi cera ieri a Porto Cervo? Cera la sorella
della regina dInghilterra, Margaret e il presidente della Banca Mondiale. I dolci
che facciamo una volta allanno e i piatti della festa ci sono tutti i giorni, il
carrello dei formaggi unopera darte di profumi e di sapori. Il tuo formaggio
puzzerebbe sui tavoli del ristorante del Cala di Volpe.
Allora Priamo Solinas montava in collera: Il tuo cervello puzza ch te lo sei
giocato come latte acido, tu credi che la strada sia tutta in discesa, non sarai il
primo a sbattere il capo contro i muri che non vedi, sei sempre in volo e non hai
ali, guarda che anche gli uccelli che pure hanno le ali sbattono contro le pareti
delle rocce di Monti di Mola. Io mi chiedo a chi hai rassomigliato nella parentela,
sembri di unaltra famiglia.
Cos dicendo strattonava la sedia, batteva i piedi e si allontanava, tagliando
laria con lo sguardo, come la lama di un coltello.
Andrea aveva un rapporto affettuoso con la madre, con lei scherzava e si
confidava. Quando portava in casa le amiche smeraldine, le ragazze della Costa le
chiamava, ostentava le sue doti di corteggiatore. Grazia Mura le definiva ragazze
senza famiglia. Alcune vestivano abiti che sembravano camice da notte, altre
avevano la gonna cos corta che tanto valeva togliersela del tutto. Tenevano le
labbra sempre aperte, sembravano esibire piaceri smodati. Avrebbe preferito che
Andrea frequentasse le ragazze bene di Arzachena che stavano diventando
moderne ma senza grilli per la testa. La mamma mostrava il suo disappunto con
sguardi di rimprovero ma Andrea rideva e diceva: M, sono donne dacqua,
sirene del mare!
Andrea lo stiamo perdendo, ripeteva Grazia Mura al marito quando a letto
iniziavano i lunghi discorsi e riassumevano le questioni di famiglia.
Lascialo stare, diceva il marito, il suo tempo, la vita gli cambiata
dimprovviso e ancora non ha preso le misure. Se si decidesse a prendersi cura
dellazienda agricola, metterebbe la testa a posto: sono le stagioni agrarie che ti
danno la misura del tempo, il ritmo si coglie seguendo lalternanza del giorno e
della notte. Cos uno impara a conoscere la luce della giornata e la sua ombra.

In verit Grazia Mura voleva che il figlio si fidanzasse con una giovane di
buona famiglia, di gente conosciuta e pesata. Quando faceva qualche accenno,
Andrea sbottava in risate fragorose, le si avvicinava, le faceva una carezza
canzonandola: Non ne voglio ragazze allantica, hanno lombra in testa, le
smeraldine volano come farfalle, hanno la frenesia nel corpo.
Bisogna guardare anche lombra per capire la vita, gli sussurrava
dolcemente la madre, non puoi abbandonarti completamente disarmato al
tempo, che non sai dove ti conduce.
Mamma, non ce n ombra, c la luce, lombra il passato, scomparsa
dietro la rupe di Monti di Mola, a Porto Cervo c la luce anche di notte, le ville
non fanno ombra e neppure gli alberi degli yacht. C pi luce nella piazzetta di
Porto Cervo a mezzanotte che nello stazzo a mezzogiorno!
Figlio mio, lombra e la luce stanno insieme, anche quando noi non ce ne
accorgiamo. Quando c la luce, lombra non la vedi ma se chiudi gli occhi la senti
vicina. Non siamo noi i padroni del tempo che va e torna sempre diversamente.
M, il tempo non torna, corre, va sempre avanti e bisogna avere il passo per
correre con lui. Lhai visto zio Pietro? Sta seduto sulla lastra di granito di casa sua
a parlare sempre del passato e dice che il tempo fa il suo giro e ripassa. Crede che
gli ripassi davanti! Sta con i vecchietti seduto sui muretti della piazza a raccontare
mille volte le vicende della sua vita, crede di fermare il tempo con le parole e non
sa che il tempo si porta via anche le parole e non c racconto che gli stia dietro.
Laltro giorno mi ha fermato per offrirmi un bicchierino di anice, lho canzonato
dicendogli che oggi si beve whisky. Si un po offeso e mi ha detto: Ti pare che
il mondo stia girando impazzito e invece il mondo sempre al suo posto, anche
la pietra che precipita dalla collina si fermer a valle. Il mondo gira anzi
rotola, gli facevo io, zio Pi, mettetevi a girare con lui, che ci fate fermo sulla
soglia di casa! Si offeso: il tuo cervello che gira, il mondo al suo posto, le
vedi le case e le campagne sono ferme, sei tu in giostra, e quando scenderai dalla
giostra non saprai manco dove sei! M, tu ragioni come zio Pietro. Sai come mi
chiamano a Porto Cervo? Mi chiamano Andrew, i miei amici si chiamano John,
Jacques, Robert, te limmagini se a Peppe il matto lo chiamassero Joseph!
Diventerebbe ancora pi matto di quello che !
Non farti beffe dei santi e dei matti, che sono sacri, te lo ricordi Davide Silla
che aveva messo il sigaro in bocca alla statua di SantAntonio e da allora
rimasto guasto per tutta la vita, con la mano storta e la bava in bocca.
Andrea ormai era un fiume in piena: Hai presente quando portavamo le
capre a Lu Stagnali nel primo autunno, ora si chiama Cala Romantica ed un
paradiso, vi cresce lerba ma non erba da pascolo, una striscia lunga di verde
ben rasata, si chiama campo da golf, l vanno i miliardari per giocare. Laltro

giorno il custode, lo conosci bene, Carletto Musu, quel poveraccio che si metteva
a letto quando era preso dai morsi della fame, ora fa il custode e siccome su quel
tappeto verde non ci sa camminare inciampa sulle buche laltro giorno
labbiamo sorpreso mentre faceva finta di giocare ma aveva preso la mazza al
rovescio. Abbiamo riso a crepapelle per una serata intera. Mamma, lo sai che il
campione del mondo di golf guadagna ogni anno quanto il paese intero di
Arzachena. Siamo in un altro mondo, tutto si mostra e attira lattenzione. La
picca di pietra in cui zio Pietro gettava il siero per i maiali, ora esposta come
opera darte allentrata della villa di un miliardario di Zurigo.
E s, rispondeva la madre, la pazzia c di mille tipi: quella pietra prima
serviva a qualcosa ed era viva, ora giace morta e non serve a nulla. La vita non
un filo senza nodi e i fili a volte fanno intrecci non riusciti come accade alla
stuoia per dormire, alla bisaccia del cavallo, al cesto del grano e tuttavia servono
per la vita. Tu parli mescolando parole: ci vuole un setaccio per separare la
semola dalla crusca.
Andrea chiedeva alla madre di convincere il padre a dargli i soldi per realizzare
un progetto che aveva in mente: costruire un grosso stabilimento come deposito
di merci e fare commercio allingrosso di bibite, liquori, vini e dolciumi. Aveva,
infatti, sondato le intenzioni del direttore commerciale del Consorzio della Costa
Smeralda, proponendogli di mettersi in proprio come operatore commerciale con
un preciso contratto di approvvigionamento di merci per il Consorzio stesso.
Occorreva lassenso del padre per linvestimento: bisognava comprare unarea
edificabile alla periferia di Arzachena e costruire lo stabilimento. Non poteva
certo sperare nellassenso del padre ma confidava nellopera mediatrice della
madre. Fu proprio lei ad avviare la tattica di accerchiamento per convincere il
marito. Accett la sfuriata della prima reazione ma sapeva che bisognava
acconsentire alle sue ragioni finch non si esaurissero. Aveva fatto balenare al
marito la possibilit che nel magazzino ci sarebbe posto anche per i prodotti della
campagna, il formaggio e le carni dello stazzo da vendere in Costa.
Linaugurazione del capannone fu una festa omerica: nello stazzo di Saloni fu
preparato per trecento persone. Ecatombe di maialetti, agnelli, capretti, capra
arrosto e pecora in cappotto, vitella alla brace, formaggi freschi e stagionati,
perette che si tagliavano a luna per adagiarle sulle piastre roventi. E poi linfinita
variet dei pesci. Insomma, tutto di mare, tutto di terra. Ma gi prima, il gusto
tentato dagli antipasti di prosciutto e di gamberoni e preso dal sapore dei ravioli
e dalla zuppa gallurese.
Da una parte il cerchio degli spiedi che fanno corona al fuoco di ginepro
profumato, dallaltra parte la lunga cerniera di brace per larrosto di vari tipi di
pesce. Sembrava che gli odori non si incontrassero, verso il mare esalavano gli

uni, verso la terra gli altri. La libagione doveva essere alla pari: vernaccia e
malvasia, vermentino e moscato, cannonau robusto per rispondere al sapore forte
delle carni di cinghiale e di muflone.
Gli auguri per Andrea cantavano unepopea: il pi esteso capannone della
Gallura, pi grande di quelli di Olbia. Sicuro il committente, il Consorzio della
Costa Smeralda, ma gi tanti alberghi della costa prenotavano le loro commesse.
Sono entrato nellonda del turismo, ripeteva a se stesso, ora anche io
sono unonda e il vento a favore. E immaginava la costa che va da San
Teodoro sino a Castelsardo come territorio di caccia per le ambizioni di mercato.
Questi pensieri a momenti simpuntavano e rivolgendosi a fantasmi lanciavano
minacce: Ora ve la faccio vedere io la concorrenza, non sono ragioniere per
caso, belli miei, lo vedrete il cavaliere galoppare su un cavallo invincibile e
conquistare mercati in tutta la Sardegna.
A mezzanotte, parenti e amici cominciavano ad andar via, i pi giovani
aspettavano ancora qualche ora per sciamare verso le discoteche. Andrea
rispondeva ai saluti e dava pacche sulle spalle ringraziando per gli auguri. Erano
rimasti gli inservienti per custodire labbondanza e mettere in ordine le cose. La
gioia gli riempiva i polmoni, sentiva laria della notte e avvertiva i profumi della
macchia mediterranea, quasi non lavesse respirata nei suoi venticinque anni di
vita, ma il corpo e la mente recepivano solo il presente ed erano proiettati nel
futuro.
La falce di luna era rapace come i suoi fantasmi di conquista. Allimprovviso
gli balen in mente unidea che aveva lurgenza del desiderio e che bisognava
soddisfare. Mise in moto la Giulietta e si diresse al grande capannone. Entr da
una porta di servizio come se volesse fare una sorpresa, attravers il corridoio
degli uffici ed entr dentro lo spazio immenso del magazzino. Dette uno sguardo
allinsieme per abbracciare il campo intero ed ergersi dominatore. I suoi guerrieri
erano schierati in ordine di combattimento: centinaia di bottiglie di liquori,
brandy, champagne, sicuri vincitori di trionfali battaglie. Si avvicinava, fissava le
etichette e intimava loro di gridare il loro nome: Moet-Chandon, Martin, Carlos
Primeiro, Vecchia Romagna. Poi passava alla fila dei whisky e ripeteva a voce alta:
Puro malto, 12 anni di invecchiamento. E commentava: Non lacquavite
di Romolo Siddi che aggiungeva pepe per renderla forte e vantarsi della sua
perizia e del suo alambicco. Soddisfatto si spostava lateralmente e ordinava il
presentatarm alla schiera dei vini: Barolo, Chianti, Amarone, Soave, e tutti i
cannonau della Sardegna, e sul ripiano superiore i vini bianchi pi rinomati e gli
spumanti e i vermouth. A fianco gli scaffali degli aperitivi e delle bibite: campari
soda, coca cola, aranciate, spume e gassose.
Siete pronti? Inizia la battaglia, siamo i migliori e vinceremo, supereremo i

rivali di Olbia, come dice il proverbio: cavallo raggiunto, cavallo superato.

Capitolo 7

Il miracolo per Priamo Solinas era un alone di luce che si condensava in


unombra sempre pi densa. La notte animava scene di sogni, ora organizzati in
una storia, ora dispersi e frantumati in schegge senza senso. Ma un sogno
insisteva con regolarit, arricchendosi sempre di nuovi elementi.
Compariva allimprovviso, nella notte, lo scarabeo dal dorso verdastro sui
bordi della tinozza dellacqua. Si muove affannato intorno al cerchio di latta che
fa da bordo al legno, sale in un corno della tinozza, si ferma sulla sommit come
se volesse specchiarsi nellacqua, mima con le zampe uno strano ballo, gira ancora
intorno al cerchio accelerando il ritmo. Sale sullaltro corno del recipiente, ha un
sussulto, si contrae come se stesse per spiccare il volo e cade dentro lo specchio
dellacqua.
Priamo Solinas si svegliava proprio nel momento in cui lo scarabeo apriva le
ali agitando le zampette sottili sul pelo dellacqua.
un sogno sorto dal nulla e insiste per molte notti. Nel ripetersi, a volte,
Priamo crede di sognare un sogno gi visto di cui dallinizio conosce sviluppo e
fine. Ma da un po di tempo il sogno presenta squarci di nuove scene. La prima
immagine si allarga fino a comprendere la parete e un angolo del tetto. La scena si
apre con lo scarabeo che spunta da una tegola sconnessa tra le canne, si affaccia
come per esplorare lambiente, corre lungo un asse di legno e prosegue sulla
parete scalcinata del muro giungendo al piedestallo della tina dacqua. Sale sul
bordo di latta e ripete il percorso gi noto. Ora il sogno ha una sua collocazione,
Priamo Solinas riconosce lo stazzo abbattuto dalla ruspa, ha presente persino le
macchie di fuliggine della parete, la tinozza proprio quella che sua madre aveva
fatto fare dal falegname per tre forme di formaggio.
Improvviso un lampo squarcia il buio e unimmagine appare nitida: ha sei anni,
avvicina uno sgabello di ferula al piedestallo della tinozza, vi sale, guarda
incantato lo specchio dacqua, il fondo lo turba come se lo sguardo vi
sprofondasse. Allora immerge la mano nellacqua e comincia a batterla e poi
anche laltra mano in un gioco emozionante. Proprio in quel momento sente il
cigolio della porta e voltandosi scorge il volto severo della mamma che fa un
gesto di disappunto e facendosi un segno di croce grida: No, lacqua santa,
peccato sporcare lacqua, un dono di Dio. E ripetendo scongiuri prende la

tinozza, butta lacqua nel trogolo dei maiali e si avvia col volto teso verso la
fonte, lungo il sentiero dove pascolano le mucche.
Cos il sogno diventato carico di emozioni ma a Priamo Solinas non
interessava dare risposte ai sogni perch i sogni sono pazzie.
Quando un uomo sogna fuori di casa, un pagliaccio in balia di un gioco
beffardo, c qualcuno che lo porta in giro. E siccome raccontare sogni, per i
pastori, sconveniente perch sono chiacchiere da donne, non ne fece cenno alla
moglie.
Un giorno il discorso cadde su una tinozza da recuperare come oggetto
darredo per la nuova casa. Priamo commentava con ironia di possederne una che
non poteva regalare perch esisteva solo nel sogno e accenn alla ricorrente
visione notturna. Il cenno si fece racconto sotto la pressione curiosa della moglie
che credeva nella premonizione dei sogni e spesso li interpretava quando le
amiche gliene raccontavano.
Grazia Mura proveniva da una famiglia di donne interpreti, la mamma e
soprattutto la zia Peppina credevano che ogni sogno fosse un messaggio:
spiegazione della vita passata o annuncio di quella futura. Anche i brandelli di
sogno pi sconclusionati nascondono un significato.
Cera nella tradizione familiare lusanza di raccontare sogni per comunicare
unossessione o un desiderio, per esprimere una speranza o una paura. La zia
Peppina parlava di un dio del sogno che ha nome Garriatore perch carica
sulluomo pesi insopportabili. uno spirito benigno a cui vietato svelare i
misteri della vita e della morte e allora inventa storie di pazzie per dare una
traccia del cammino del destino, imbroglia i fili e invita linterprete sapiente a
cogliere la tessitura nascosta.
Quando giunta lora, Garriatore getta una corda di pelle cruda al collo
delluomo, gli butta addosso un pastrano nero dorbace col cappuccio incavato
fino agli occhi, lo aggioga alla punta del carro per avviare il corso del viaggio. Si
inverte il senso delle cose.
Gi il gufo comincia a modulare il canto dellusignolo, il cinghiale segue come
un cane fedele, i cavalli selvaggi camminano goffi come scrofe appesantite. Nei
sentieri emergono simulacri di persone rinchiuse nel pozzo della memoria,
seguono il cigolio del carro con pesanti battiti di catene e subito si allontanano
senza sguardo n saluto.
Per lungo tratto Garriatore raccoglie rami bruciati, spine di rovi, foglie
velenose di oleandri e poi li cosparge di lavanda, passiflora e timo. Sulla strada il
carro si impantana dentro acque fangose, si appesantisce e sprofonda in
movimenti di contrazione e di affanno, ma subito ricompare leggero e luminoso e

vola con ali dargento nel terso lucore della notte. Nella valle ballano donne
vestite a festa, con seni coperti di filigrane di platino, con i fianchi scossi da
fulmini doro, ma allimprovviso si allontanano in lente dissolvenze e prendono
sembianze di corpi deformi, con gesti volgari e salaci. I pipistrelli hanno voli di
colombe. Laghi di cristallo per incanto mutano in pozze dacqua morta. Balli di
festa si allungano in processioni di defunti. Fiori di mandorlo danzano nellaria
con foglie morte dautunno. La ninnananna si confonde con la nenia del canto
funebre.
Ormai il mondo della notte si disperde in tenui chiarori che annunziano la
luce dellalba. Appena il tempo della svestizione. Garriatore toglie alluomo il
giogo e il cappuccio nero, lo libera dal peso della necessit e lo affida alla veglia,
alla luce del giorno.
La coperta della vita si mostra nel dritto con il suo disegno chiaro secondo la
sapienza e lordine del cucito e della tessitura; sul rovescio i punti risultano
irregolari, la linea spezzata, il disegno indefinito: scrittura illeggibile, discorso
insensato del sogno. Zia Peppina concludeva che la vita ha un dritto e un
rovescio, la veglia e il sonno, il caso e la necessit, la memoria e la dimenticanza,
ma confermava che proprio il sogno a svelarci la nostra storia segreta.
Grazia Mura rimase turbata per il sogno del marito, aveva strani presentimenti,
anche se le appariva confuso e misterioso. I segni che vi comparivano non erano
di buon augurio: lacqua indica tentazione, la donna col capo scoperto annuncia
vedovanza, il bambino indica preoccupazioni, la mucca annuncia eventi nefasti e
il cane significa cattive lingue. Non riusciva a capire cosa fosse lo scarabeo ma
certo diceva di immondizie e aveva i colori della malattia.
Il nucleo centrale del sogno rimaneva impenetrabile, comunque testimone di
oscuri presagi.
Il sogno non interpretato le faceva paura, quasi fosse una lettera del destino
non decifrata. Quel racconto correva sul filo del malinteso, bisognava percorrere
il cammino del labirinto per trovare luscita.
Per svelarne il mistero propose al marito di andare dalla maga, da Maria la
spiritata che chiamavano anche Maria la zoppa. Priamo Solinas mostrava unaria
di sufficienza, scettico e beffardo, assolutamente indifferente di fronte alla
tempesta che sconvolgeva la moglie. Per lui era un sogno come un altro. Ne aveva
visti sogni ancora pi strani e insensati: ponti scricchiolanti su fiumi in piena,
corpi smembrati che rotolavano dalle cime della collina, aveva sognato persino
cani che mutavano in capre, il corno di un bue sradicato nella strettoia di un
sentiero di pietra, la falce arrugginita di campi non mietuti. Potrebbe raccontare
di fiumi che volano sopra le cime delle montagne, di una fila di pipistrelli che

succhiano latte dal soffitto della camera da letto. Non gli interessava che quello
scarabeo avesse un colore verdastro, di quel colore non ne aveva mai visto, ma
non era poi molto diverso da quelli neri che arrotolano escrementi di mucca.
Non provava incubi n vedeva minacce.
Nella sua interpretazione Grazia Mura legava il sogno allo stazzo venduto e
abbattuto dalle ruspe e dava molta importanza allo sguardo severo della madre
che nelle difficolt della vita era solita usare sempre lespressione N falata la casa.
Ma ci che la impressionava di pi era lacqua contaminata e quello scarabeo con
i colori freddi e lucenti.
Decise di andare lei, sola, da Maria la spiritata per raccontare il sogno del
marito come se lavesse sognato lei stessa, magari completandolo per riempire
qualche buco oscuro. Tent ancora un accordo col marito ma questi si arrabbi
alla sola proposta e sbott: Non sono Peppe il matto per andare da quella
pazza di Maria la spiritata che getta grani in una scodella dacqua e olio e
pretende di leggere il futuro.
La maga lha ricevuta con unaria composta e assente, accoglieva gli ospiti con
una ritualit pensosa e misteriosa. Senza guardarla in faccia, fece un cenno
indicando uno sgabello di sughero mentre lei si accovacciava per terra su una
bisaccia di orbace fissando una mezzaluna nera ricamata sul bianco.
Grazia sapeva gi che il silenzio indicava lavvio del racconto ma provava
imbarazzo a esporre un sogno che non era suo. Allinizio il racconto scorreva
spedito ma poi incontrava dei blocchi e allora ci metteva del suo. Concluse il
racconto e avvertiva un disagio mentre osservava il volto perplesso e teso della
donna, segnato da una manifesta insofferenza. Allora Grazia Mura rivel che
aveva raccontato il sogno del marito anche perch le era sfuggita la frase: Il
ragazzo mise le mani dentro la tina dellacqua. La maga contraeva le rughe della
fronte e aggrottava le sopracciglia. Si alz. I suoi occhi spiritati la fissavano come
degli aculei penetranti che le oscuravano la vista. Laccompagn alla porta senza
dire parola.
Dopo alcuni giorni, Grazia Mura le port due pezze di formaggio e un orciolo
di miele. Al primo tocco, la maga apr la porta e gett lo sguardo sul cestino
nellarco del braccio e la fece entrare. Nella penombra un raggio di luce rivelava
pochi rami sul camino. Grazia adagi sul tavolo il formaggio e il miele e tenendo
in mano il cestino confessava di essere molto preoccupata per il sogno del marito
e chiedeva aiuto. La maga linterruppe invitandola a portarle un oggetto duso del
marito.
Grazia Mura rientr a casa prese il coltello a serramanico dalla giacca e ritorn
nella casa di Maria la spiritata. Si era attenuato il raggio di sole sul focolare, i
pochi rami sembravano spenti da tempo, un gatto magro cercava calore adagiato

su una maglia di lana sgualcita.


La maga tir fuori dal cassetto un telo simile a quello che si usa per coprire il
pane da lievitare, lo stese sulla bisaccia di orbace e vi adagi il coltello. A Grazia,
seduta sullo sgabello, sembrava di assistere a un rito che annunciava un esito
cruento con quel coltello che ogni tanto mandava riflessi di luce sinistra.
La maga inizi a mormorare li paruli forti, le formule magiche, con pause e
alterazioni della voce, come se mandasse comandi imperiosi e intimasse a forze
occulte di ubbidire. A un tratto sollev le mani tese sulla bisaccia e intrecci le
dita recitando parole misteriose, spost il coltello, prima orizzontale poi verticale
con la punta sul telo. Sembrava che quella punta acuminata dovesse squarciare il
velo del mistero. Grazia Mura guardava aspettando un evento che tardava a
mostrarsi, osservava il luccichio della lama e lopacit del manico di corno di
muflone cercando un nesso tra luce ed ombra.
Il corpo ieratico della maga mostrava una tensione interiore come se stesse
combattendo una battaglia decisiva.
Grazia tendeva lo sguardo quasi volesse aiutarla nellimpresa di strappare un
difficile responso. Al culmine della tensione segu un lento rilassamento, lo
sguardo di Maria la spiritata si compose in una stanca quiete, fece un profondo
respiro, sollev lo sguardo e le mani verso il soffitto di canne, rimase per un
attimo in sospensione poi rivolse gli occhi a Grazia Mura con amorevolezza
consolatoria e disse: Ho visto un lampo squarciare il cielo e illuminare la terra,
ho visto una goccia penetrare nel muro e tracciare nella parete una spaccatura, ho
visto un taglio che non si rimargina sulla fronte di un uomo e un ragno che tesse
una tela offuscando la mente, ho visto una tinozza che perde acqua da molte
piccole fessure, altro non posso dirti.
Grazia Mura sent il tetto abbassarsi gravando sulla sua testa e le pareti della
casa avvicinarsi come un muro scuro che appiattiva lo sguardo e chiudeva la
prospettiva.
Sulla porta la maga la guard con espressione vaga dincoraggiamento e disse:
Le cose avverranno nel tempo, ma ci sei tu con lui.
Rientrando a casa, il responso della maga perdeva la forza di una sentenza e si
apriva sempre pi a interpretazioni meno drammatiche. La confortava la frase:
Ma ci sei tu con lui.
Ne hanno affrontato di difficolt insieme e ancora ne affronteranno! In fondo
il responso non affermava esplicitamente la profezia di una condanna. E poi
parlava di un ragno, non di uno scarabeo, e lo scarabeo non costruisce alcuna
tela. Insomma il messaggio non le appariva pi cos chiaro, anzi diventava pi
enigmatico. Quella ferita sulla fronte poteva essere dettata dalla presenza del
coltello e non avere nessun rimando reale. Quante volte si era messa la cera dapi

sulle fessure della tina o lo strutto di maiale.


Cos il cielo di Grazia Mura mostrava le nubi nere sfilacciarsi e in parte
dissolversi tra deboli squarci di luce. Ci sei tu con lui: era comunque un
messaggio di speranza o meglio era la certezza dello stare insieme.
Tutta una vita insieme: il fuoco dellamore si accende una volta sola e non si
spegne pi; col tempo non fa pi fiamma ma le braci durano una vita. Braci di
ginepro e leccio: ora carboni ardenti, ora sotto la cenere. Il fidanzamento alla
festa di Santa Maria fu unapertura di luce piena. Il marito apriva la processione a
cavallo con lo stendardo della Madonna, anche Grazia seduta in groppa sembrava
una madonna, regina del paese. Al matrimonio, nel brindisi della poesia
improvvisata, il marito aveva cantato la bellezza di una santa, il volto misterioso
della luna, lanciando auguri di maternit. E poi la sera, nel colmo della festa, il
ritiro degli sposini nella camera preparata con cura, con il letto alto di ferro
battuto, con le lenzuola del corredo, ricamato in anni di adolescenza sognante.
Mani discrete e insidiose cercavano le sue intimit, con lemozione di entrare nel
mondo inesplorato della donna. Poi i figli: lamore si fonde nel destino della
famiglia, non c pi bisogno di mostrare laffetto perch viene a coincidere col
corso normale della vita.
La confortava la preghiera di cento generazioni sempre ripetuta con fede:
Tutto sia per lamore di Dio. Chiedeva soccorso alla Vergine Santa affinch le
cose avvenissero diversamente e soffiasse un vento pi propizio.
Grazia Mura ripose il coltello nella tasca della giacca del marito e non ne fece
parola. Ma per giorni lo osservava di nascosto per verificare qualche segno che
svelasse un cambiamento: con le sue antenne era capace di cogliere anche la
variazione di un movimento di ciglia e di misurare laccentuarsi della ruga che
rigava la guancia. Scrutava qualche sintomo che anticipasse lavvenire e rivelasse
la scadenza di un fatto inesorabile.
Ma non vedeva fili neri per temere lintreccio del destino. Pensava che nella
vita, a volte, ci si trova a giocare a mosca cieca col futuro.
Rassicurata che tutto procedesse senza intoppi si era liberata dei fantasmi
persecutori e presagiva il cammino della vita coniugale con una riservatezza
dignitosa anche nella ricchezza smisurata.

Capitolo 8

Battista Solinas aveva ormai concluso il corso di laurea in Lettere e filosofia


presso lUniversit Cattolica. Lorientamento antropologico aveva indirizzato
largomento della tesi sul processo di trasformazione operato dal turismo in una
societ arcaica. Sognava di proseguire gli studi a Parigi e seguire le lezioni di Levi
Strauss e di Jacques Lacan.
Il cielo si era aperto squarciando quella nube che incombeva sempre sul
prosieguo dei suoi studi, legato allandamento dellannata agraria e alla vendita
del formaggio. Ora la vita gli prospettava orizzonti chiari e luminosi e aveva la
sensazione di galoppare a briglia sciolta sulla cavalla preferita in una campagna
fiorita.
La madre aveva un debole per il primogenito che si era fatto onore negli studi:
il primo laureato nella parentela. Il padre avrebbe preferito farne un medico o un
magistrato e riteneva inutili gli studi che aveva scelto. E quando la moglie gli
spiegava che il figlio era un osservatore dei cambiamenti sociali, il marito
ribatteva che le cose non bisogna osservarle ma governarle.
Battista, rientrato in paese, incominciava a raccogliere materiale per la tesi.
Aveva ancora respirato il clima di festa in famiglia e la nuova visibilit in paese.
Era fin troppo evidente leffervescenza della sorella Caterina e lentusiasmo
ingenuo del fratello Andrea nella progettazione di castelli in aria. Non era
cambiato invece il volto del padre se non per quella supponenza che ostentava
nel passeggiare con gli amici in piazza. La madre teneva segreta la sua gioia come
se volesse esorcizzare il miracolo temendone il risvolto negativo.
Proprio in quei giorni si era conclusa la ristrutturazione della casa nel centro
di Arzachena. Battista non ebbe certo una buona impressione di quel mobilio da
neo-ricchi cos lontano dallo stile composto della borghesia milanese, conosciuto
nel frequentare le case dei compagni di studi. Gi questo gli sembrava un aspetto
interessante per la tesi a cui stava lavorando. Alla sorella che lo interrogava
sullarredo rispondeva che tutto era kitsch senza spiegare il significato della parola.
La mamma aveva preparato la cena delle grandi occasioni per il rientro del
figlio e per onorare la famiglia riunita e felice.
Versava sui piatti abbondanti porzioni di zuppa gallurese come supplemento
di affetto. Avrebbe voluto che ogni sera fosse ripetuto questo rito propiziatorio

di comunione familiare ma gi constatava che la ventata del turismo sconvolgeva


orari e comportamenti.
Caterina dimezzava la porzione di zuppa dicendo che era una bomba
calorica. Andrea mangiava in fretta per fare in tempo allappuntamento con il
gruppo degli amici e intanto sciorinava le sue proposte: un grande centro di
vendita di laterizi, un salone nautico che considerava la vera carta vincente della
nuova economia. Battista, osservando lespressione di rifiuto nel volto del padre
che si accentuava in disprezzo nella mimica degli occhi e delle labbra, cercava di
frenare gli slanci del fratello e lo richiamava a non fare il passo pi lungo della
gamba.
Priamo Solinas tronc ogni discorso per affermare che non buttava i soldi in
progetti fantasiosi e ribadiva che la vera impresa era quella agricola con le
mucche pezzate, con mammelle che toccano per terra e danno quaranta litri di
latte al giorno. Era padrone delle terre pi fertili dellagro di Arzachena e
bisognava impiantare unazienda moderna da amministrare in proprio, invece di
lasciarla ai mezzadri che sottraevano grano e formaggio gi prima di dividere a
met i prodotti.
Battista per calmare lo sdegno del padre invitava Andrea a prendere le redini
dei beni terrieri invece di pensare e investimenti azzardati e lo investiva di una
responsabilit verso tutta la famiglia. Ma la risposta era decisa: Perch non te ne
occupi tu, invece di fare le prediche a me? Eh no, tu sei lo studioso che vuole
andare a Parigi per specializzarsi in non so che cosa, in cose che non servono a
nulla.
Battista, risentito, lo aggred: Hai preso un diploma di ragioniere a forza di
ripetizioni private e ora credi di fare il manager lombardo passando le notti nei
locali notturni, ma cosa credi che si possa fare limprenditore senza scuola e senza
esperienza?
Caterina non parlava, osservava lorologio per lappuntamento con le amiche.
Grazia Mura intervenne con dolcezza per dire che le cose si risolvono con
pazienza e che ciascuno far la sua parte e che quella era una cena di
ringraziamento e di comunione.
A Battista, tutto preso dalla sua ricerca, in verit non interessavano le questioni
di famiglia se non per fare contenta la madre che riponeva in lui una grande
fiducia.
Era la tesi limpegno primario: gli si offriva un materiale ricchissimo da
raccogliere ed elaborare.
La Costa Smeralda era lesempio pi evidente di come si costruisce una favola
turistica e un impero economico. Gi aveva osservato come il turismo di lusso
avesse bisogno di unorigine mitologica: un principe nellavventura del mare

incontra una terra incantata, la sceglie mosso dal piacere e nellintento di un


investimento. Quella terra oggetto del desiderio si fa propriet ed entra nella
nicchia pi esclusiva del mercato mondiale del turismo.
Questo gli sembrava larcano della forma di produzione turistica: il piacere
gi inscritto nel campo della finanza.
Non gli sembrava facile misurare la distanza tra lo stazzo di Gallura e la banca
di Zurigo, n era semplice stabilire la differenza tra i bisogni dei caprari e quelli
del turista. Sorrideva pensando che nella lingua locale la parola bisogno significa
povert. Deve parlare del miracolo: una pietraia macchiata di cespugli, senza
masserizia n filanda, senza mulino n caseificio, per un inspiegabile incantesimo
diventa la terra promessa. Quei luoghi dove i caprari non ci volevano neanche i
peccati diventavano una localit da sogno.
Battista si mise in viaggio: la ricerca gli chiede di osservare come il turismo
trasforma un luogo, un tempo, un modo di vivere.
convinto di trascrivere in un block notes le ragioni di un cambiamento cos
radicale, ma intuisce che quel viaggio anche litinerario di un diario interiore nel
difficile confronto di passato e presente.
Allentrata del regno si erge un macigno su cui inciso un nome Costa Smeralda
ed timbrato dal marchio. La pietra il totem posto a indicare il passaggio da un
mondo a un altro. Pietra miliare, giudice dellentrata che chiede di pagare un
dazio economico e culturale.
Abbiamo venduto delle pietre, avevano detto i pastori della Gallura e ora
una pietra conficcata per segnare i confini del nuovo regno. Non pietra che
appartiene alla geologia, pietra incisa che indica lentrata nella terra promessa.
Battista conosceva i nomi di quella terra, ogni stazzo aveva un nome, e il nome
era dato da una particolare conformazione del terreno, dalla presenza
significativa di una fonte o di una pietra particolare, dal cognome della famiglia
proprietaria oppure da un evento impresso nella memoria della gente.
Battista guardava il masso inciso e non riusciva ad attribuirgli una relazione
con la terra n con la storia. La pietra incisa idolo della religione turistica,
capace di dare al luogo una nuova identit.
Non gli sembra possibile il confronto con la stele della Tomba dei giganti in
localit Li Lolghi che si erge proprio sul terreno del nonno materno: betili
maschili sono conficcati, propiziatori di vita e protettori dei morti, betili
femminili, carichi di forza vitale e dispensatori di fecondit. La pietra incisa della
Costa Smeralda non ha una relazione con la vita e con la morte e tuttavia
possiede una forza salvifica che garantisce la felicit della vacanza.
In quei terreni altre pietre intorno si ergono, pietre senza scrittura eppure
testimoni muti di lunghe storie del passato.

Due spuntoni di rocce hanno sembianza umana. Il racconto dice che un frate e
una monaca, consacrati a Dio, furono presi da unirrefrenabile passione e vollero
confondersi in una sola carne. Ma il padre guardiano scopr il loro peccato.
Fuggirono erranti, senza meta. Giunti nella giogaia di monti osservavano attoniti
grandi statue di granito conformate dal vento e dalle piogge. Rimasero incantati.
Sentirono i loro piedi radicarsi sulla terra, il loro sangue cristallizzarsi e i corpi
irrigidirsi. Ciascuno vide nella maschera dellaltro la metamorfosi in pietra. Cos
le statue hanno preso il nome: il Frate e la Monaca. Quando, bambino, Battista
passava nei pressi al seguito delle capre, preso da timore, gettava uno sguardo
fugace su quelle pietre statue che assumevano un impercettibile ondeggiare tra
rigidit e movimento. Non bisognava fissare lo sguardo perch poteva rimanere
incantato, sentire i piedi radicarsi e diventare statua di granito. Ora i turisti vanno
per diporto a visitare il Frate e la Monaca e girano intorno, distesi e senza timore,
del tutto ignari del pericolo che corrono.
Battista, proseguendo il viaggio, vuole fare il giudice itinerante ma preso
dalla fascinazione dei messaggi pubblicitari.
tutto un susseguirsi di nuove scoperte e di nuove sensazioni: la curva
armoniosa di Liscia di Rujia, una spiaggia lunghissima che vi invita a sdraiarvi al
sole e, poco dopo, lantica cala delle volpi dominata dal profilo medievale
dellHotel Cala di Volpe, pronto ad accogliervi alla sua tavola raffinata e a offrirvi
la dolcezza di un momento di relax, fra una bibita e un tuffo in piscina.
Insistono le voci di sirena.
Mare limpido e trasparente, dolcissimo / rocce di granito rosa levigate dal
tempo / spiagge e calette bianche e segrete / colline ricche di fiori e di mirto /
un cielo sereno case dalle forme dolci
Battista era preso da incantamento, ma come richiamato da una voce segreta, si
trov a osservare, a lato del sentiero, muri diroccati dove ancora resistevano travi
senza tetto: un vecchio stazzo dove si portavano le capre destate. Adolescente vi
aveva trascorso lunghi giorni di luglio e di agosto. Allora per lui una pietra era
una pietra, un albero di corbezzolo era semplicemente un albero di corbezzolo e
il mare non era dolcissimo e lo stazzo non era una casa dalle forme dolci e la
curva di Liscia Ruya era la propaggine estrema di unarida pietraia, e la collina era
un intrico di cisto e lentisco, che ogni pochi anni il fuoco riduceva a sterpi
anneriti.
La voce piena di malia insisteva: Venti propizi, brezza di vela, onde di
profumi esalano al mare
Intanto Battista era giunto alle Rocce del vento, cos i pastori le avevano chiamate
perch i labirinti della giogaia inserravano il vento che, costretto a percorsi senza
sfogo, fischiava senza trovare unuscita. Le rocce aguzze sfilacciavano il fantasma

del vento in sibili e spasimi. Quando i labirinti si riempivano della massa roteante
di aria, allimprovviso si udiva un boato come se la montagna partorisse un
mostro. Il vento liberatosi emetteva un urlo assordante che comprimeva le voci
dei caprari, invertiva le sillabe, scambiava le parole e dava messaggi insensati.
Allora le orecchie dei pastori si facevano sorde per non udire lurlo della follia
mentre le capre balzavano sui cespugli per rifugiarsi nella grande conca di granito
e osservavano la furia che precipita in mare.
Ormai Battista giunto allHotel Cala di Volpe. Lalbergo si offre come una
scultura esposta alla visione, un monumento aerolitico che stempera forma e
colori sulle creste dei graniti in lontananza. A oriente unapertura dorizzonte sul
mare, circondato da una vegetazione selvaggia. Lentrata nella Hall un invito
alla fruizione estetica: vetri di St. Gobain, decorazioni di Majoren, vetrate di
Jacques Couelle. Pavimentazione, archi, arredo rivelano unaura di cose artistiche.
Il percorso dalla Hall alla sala da pranzo costruita sul mare si svolge dentro un
porticato con le pareti interne adorne di artigianato artistico.
Il cliente turista non attraversa spazi neutri, non deve provare il disagio di un
percorso anonimo. La camera da letto realizza la poetica dellabitare, ciascuna
diversa dallaltra. Porte decorate, pareti adornate con cassapanche restaurate. Letti
in ferro battuto o in legno o in ceramica. Armadi con decorazioni, tende bianche
e ricamate. Sovraccoperte di artigianato sardo dautore.
Il terrazzo panoramico un angolo di privacy. Le finestre che si aprono nei
corridoi sono dei quadri: visione come ritaglio pittorico. Un montaggio di
immagini tra pittura e cinema.
In spiaggia si arriva in barca, un posto solitario, inaccessibile da terra. Quando
nel tragitto la barca giunge al centro dellansa si ferma per un attimo: si al
centro del mondo, si pu godere del cerchio del mare e del cielo, lo smeraldo
dellacqua trascolora nellazzurro e nel blu cupo allorizzonte; i vari toni del
verde della macchia mediterranea passano dal vivo al bruciato. Lultimo sguardo
rivolto al profilo medievale dellHotel Cala di Volpe.
Giunti nellangolo delleden fatto di rena bianca e conchiglie, Battista ricorda
che da ragazzo al seguito del gregge, vi era disceso da parte di terra, attratto da
una gomma di camion vomitata dal mare.
Battista esce dal Cala di Volpe, frastornato dalla visibilit delle cose e
dallartificio del bello. Da questo monumento dedicato alla natura, risale verso lo
stazzo di famiglia.
Esce dallo spazio sacro della Costa Smeralda e percorre lantico sentiero dei
cavalli.
Gli sembra davvero strano visitare il suo stazzo con lintento di analizzarlo
secondo i parametri della tesi di laurea. Penna e block notes sembravano

strumenti estranei per parlare di cose familiari. Fare linventario degli oggetti gli
pare del tutto inutile, registrandoli uno per uno provava la sensazione di un
estraniamento.
Ma ecco che quel mondo di cose comincia ad animarsi: lu musoni, non solo il
recipiente di legno per lacqua da bere, lu musoni la nonna, la madre,
lacquasantiera della casa-chiesa, indica il percorso della fontana, lacqua serbata
nel mistero della casa.
Lu balastraggju una madia per conservare il pane e il formaggio, ma in verit
un tabernacolo custode delle spianate che riempivano di luce la tavola con la
preghiera della mamma: Dacci oggi il nostro pane quotidiano.
La stuoia arrotolata si stendeva e diventava giaciglio per la notte intorno al
focolare.
Improvviso balza uno squarcio di memoria: vacanze di Natale, ragazzo di
terza media, una notte fredda nello stazzo, stende la bisaccia di orbace sopra la
stuoia, mette le gambe dentro una tasca e la testa nellaltra, il vecchio pastrano del
padre fa da coperta.
No, no, bisogna arginare i ricordi, la ricerca deve registrare le cose, occorre
prendere misure, raccogliere dati. Occorre descrivere lo stazzo, con freddezza.
un ambiente monocellulare a pianta rettangolare: cucina e a un tempo
luogo di lavoro e di riposo per la notte. Sei metri per cinque, una porta, una
finestra. Altezza al centro quattro metri e mezzo, alle pareti due metri e settanta.
Tetto a due spioventi, tre grandi travi, altre pi sottili, tanti assi, canne, malta e
tegole. Il camino centrale, il fumo esce tra le tegole sconnesse. Il pavimento in
terra battuta. Allesterno il forno e il recinto per i capretti. Diventa bicellulare
aggiungendo in linea un altro ambiente, in funzione di camera da letto. Pochi gli
oggetti: il paiolo di rame, il secchio per il latte, le forme di legno per fare il
formaggio, qualche pentola, piatti in ferro battuto, oggetti di legno, sughero, osso
e pelle. Il coltello demiurgo d loro la forma per adattarli a una funzione. Sono
oggetti che non si guastano allimprovviso, annunciano nel tempo lusura e a
volte basta un tocco di coltello per restituirli al loro compito. Gli oggetti di rame,
di latta, di ferro battuto sono trattati con cura, sono ospiti nello stazzo, sono
costati dei soldi e se si rovinano devono essere portati in paese per aggiustarli. La
corteccia estratta dal tronco della sughera gi un cilindro che chiede una base
per farsi recipiente, losso del corno di capra si fa bicchiere o cucchiaio, un tronco
si fa concavo per il pasto dei maiali.
Gli oggetti emergono nei vari momenti della giornata e costituiscono un piano
di vita. Mentre Battista annotava il paiolo e tracciava uno schizzo sul foglio,
loggetto cominci ad animarsi in un racconto: il padre lo metteva su due pietre
squadrate per riscaldare il latte sul focolare, quando raggiungeva la temperatura

del latte della mammella, metteva gi il paiolo, schiacciava nel cavo della mano un
po di caglio, un pezzetto di stomaco di capretto, e copriva con un telo. Gli
sembrava di sentire le parole del padre: Il latte deve morire per farsi formaggio,
e si attendeva in silenzio il tempo del mistero prima di comprimere i grumi di
pasta dentro le scodelle di legno con la passione delle mani.
Il povero elenco delle cose stava tutto in un foglio di quaderno, eppure
raccontava un lungo romanzo di vita, avrebbe riempito serate intere di
narrazione intorno al focolare.
Sul foglietto aveva annotato che intercorrevano secoli tra lHotel Cala di Volpe
e lantico stazzo di famiglia.

Capitolo 9

Battista ha gi dato il titolo al capitolo su Porto Cervo: Come nasce una favola
turistica. E come la favola si fa mito, grazie alla presenza dei primi ospiti di case
regnanti e poi storia raccontata dallalta finanza e dalla grande borghesia
mondiale. Ed singolare la sua stessa fondazione: sorge su tre vertici di un
triangolo, la villa del Principe, il porto dei panfili e lHotel Cervo, poi ad
anfiteatro le ville sullarco della collina.
Una citt di fondazione, ma non nata da traffico di merci o da presidio di
eserciti. Non porto commerciale o industriale o minerario, non centro
agricolo n fiera del bestiame. Nasce come colonia turistica, una citt nuova,
senza municipio, n cittadinanza.
A Battista appare come una citt invisibile pur nella sua ostentata visibilit. Lo
colpisce la dimensione fotografica con quella scenografia architettonica di un
miniaturismo riposante. In questa predominanza della scena, il ritmo nel gioco
dei livelli architettonici, nel movimento descrittivo degli scalini, dei poggioli e
degli archi, dei dislivelli dei tetti e patii.
Le costruzioni a piccola scala, ad anfiteatro, danno a Battista limpressione di
un grande presepio. Un eclettismo fatto di inclusioni di stili: il moresco e il
provenzale, lo spagnolo e il messicano, Capri, Portofino, St. Tropez. Specchio di
una clientela e di una committenza cosmopolita. E non manca un riferimento ad
alcuni aspetti dellarchitettura sarda: il comignolo a pergola quello di Oliena, i
balconcini sono quelli di Aritzo, gli archi richiamano le lolle del Campidano. Una
Sardegna assimilata per dettaglio.
Gli pare davvero singolare la citt turistica: non ci sono quartieri, carceri,
ospedali, cimitero, non ha centro n periferia. Non una citt del popolo e non
ha contado. Tende a svilupparsi lungo la linea della costa, assetata della striscia
terra-mare.
Nel suo viaggio non mancano le sorprese. Battista ha assistito a unimpresa:
come creare la natura costruendo il pi grande porto dei panfili del Mediterraneo.
Su una baia che muore lentamente dentro la terra si sta costruendo Porto
Marina Nuova e il cantiere navale.
La scheda tecnica pu sembrare unoffesa alla natura: dragaggio, scavo
subacqueo in roccia, tonnellate di calcestruzzo e di tombini di ferro, tubazioni,

cavi elettrici e telefonici, banchine, pavimentazioni, diga di protezione, pontili.


Battista osserva preso da meraviglia: il mare ha invaso la terra, lacqua
profonda anche l dove le pietre arrotondate venivano bagnate solo dalle grandi
tempeste. A lavori compiuti, la pubblicit assicura che nulla cambiato: Non
stata alterata la linea costiera, landamento stesso della baia ha permesso una
soluzione costruttiva che non compromettesse lequilibrio paesaggistico. Porto
Marina Nuova si situa in una baia naturale: poteva e doveva rimanere una marina
nel verde. Lacqua limpida e trasparente come lungo la costa. Nulla deve
cambiare, nulla deve essere alterato anche quando tutte le barche saranno al loro
posto di ormeggio.
Lo slogan pu dire che lopera un tempio dedicato alla natura.
Dunque la natura non esiste per se stessa, constatava Battista: la natura una
costruzione. Il paesaggio pensato e coincide con il modello di un progetto.
Lintervento edilizio pu squarciare la terra ma si pu subito sanare loffesa: la
scarpata sar ricoperta di verde, sopra la trincea sorger la fillirea, scavi e riporti
sono subito rimboschiti con rosmarino e corbezzoli e ingentiliti con mirto. La
linea costiera sar ritagliata con forbici sapienti e ricucita con fili di ricamo.
Battista constatava che per il turismo naturalistico la fantasia primaria la
geologia: pietra minerale e acqua come smeraldo. Il carattere distintivo lo
specchio. Il mare un fondale fotografico, come il granito della piazzetta, come
la vetrina del negozio. Non c nessun rapporto col sottosuolo, con il dentro.
Epidermide, senza organi interni. La terra patina geologica esposta alla visione.
Ci che intrigava Battista era il concetto turistico di natura.
Nella lingua locale la natura il sesso, pi specificatamente la sessualit
femminile procreatrice di vita. Per i pastori di Monti di Mola non esiste la parola
natura per indicare il paesaggio, non esiste il termine paesaggio e tanto meno quello
d i panorama. Esiste il territorio con la sua conformazione e i suoi confini: gli
stazzi e le cussoggj, lerba e la pietraia, il cespuglio, la fonte, la conca, lorto, le
capre, i cinghiali, le pernici e le lepri. Non squarcio paesaggistico da vedere e da
godere, territorio da percorrere, da sentire, da pascolare e coltivare: il massimo
della bellezza nella possanza di erba e virgulti in primavera. il corpo che sente
la natura, ne avverte il risveglio o la chiusura, la dolcezza e la violenza.
Preso in un gioco di fantasia, Battista si chiedeva se si potesse costruire una
forma di turismo capace di scrivere su quel territorio una nuova storia senza
cancellare lantica, se si potesse aggiungere ai miti, alle leggende e ai riti, i nuovi
racconti dellesperienza turistica. Si interrogava se lo stazzo con il suo universo
antropologico potesse porsi come metafora per un modello inedito di turismo
che elaborasse la tradizione locale ma rispondesse anche alle esigenze pi
moderne del turismo di lusso.

Gli veniva in mente un viaggio che gli architetti avrebbero dovuto fare prima
di formulare i loro progetti. Un viaggio di iniziazione.
Partire allalba dalla linea del mare verso la cresta rocciosa della collina. Vestiti
da caprari, con una bisaccia: acqua, pane e formaggio. Camminare e sentire
lintrico dei cespugli, toccare con mano le foglie di mirto e di lentisco per notare
la differenza di odore, mettere in bocca una bacca di ginepro per sentirne il
sapore, fare sentiero pestando lerba, avvertire la sporgenza della pietra affiorante.
Osservare larchitettura della macchia mediterranea: i cespugli pi bassi, le braccia
diseguali del corbezzolo e quelle raccolte del leccio e le fronde svettanti
dellolivastro. Cogliere le modulazioni musicali dei colori per ascoltare il loro
comporsi nella tavolozza. Interrogare il capraro e farsi raccontare il sogno
dellabitare il luogo ed entrare nellantro per il responso della sibilla e decifrare le
volute di fumo del lentisco.
Fermarsi alla fonte, curvarsi a bere lacqua, seguire la scia di mentuccia lungo le
pozze dellabbeveraggio del bestiame. Recepire forme e colori delle pietre e come
il canale taglia il corpo della terra. Imbattersi nel gregge delle capre, osservarle,
cogliere le loro espressioni, lo sguardo sghembo e interrogante, osservarne il salto
nei cespugli e larrampicarsi sulle rocce. Imbattersi in una pietra dinciampo e
porla come pietra miliare.
Fermarsi nello stazzo, mangiare pane e formaggio, ascoltare lo spartito
musicale di casa, recinto, forno, conca, macchia mediterranea. Poi la sera
rifugiarsi nello spazio protetto della conca di granito, stendere una stuoia e
sentire la terra, le zolle, il verso della volpe, lo strepitio del cinghiale o del
muflone. Ascoltare la musica silenziosa della notte e sentire le onde del mare da
dentro la terra.
il tattile che coinvolge in unesperienza viscerale col territorio: il visivo ne
coglie solo laspetto superficiale, assemblando fotografie per un montaggio, senza
un rapporto organico col mondo.
Lindomani limpresa pi impegnativa: la discesa verso il litorale misurando col
piede e col passo la scala del terreno. Una notte e un giorno, in silenzio, disposti
allascolto e con tutti i sensi tesi a recepire suoni, odori e colori, imparando a
leggere col corpo il territorio.
Ecco, allora, solo allora lanciare la sfida al luogo per sfruttarne linfinita
possibilit delle architetture, solo allora mettersi a progettare ricordando che il
primo atto dellarchitettura non la capanna, la tenda, la caverna ma la posa della
prima pietra che definisce lidentit del territorio. Captare la parte nascosta e
feconda dello spirito del luogo per rendere sensibile ci che non visibile. Solo
allora costruire in collaborazione con la terra e con la sua storia umana ed
elaborarla secondo le esigenze del tempo nuovo. E cos inventare il pi singolare

modello del turismo mondiale e magari riservare un terreno per il pascolo delle
capre come segno identitario e supplemento di magia.
Lesperienza del viaggio dice a Battista che il turismo di lusso ha il gusto delle
cose belle: il muro gobbo di una villa gli sussurra la sua arte, le aiuole gli svelano i
segreti di un sapiente giardinaggio, la pietra di natura prende un taglio di
scultura, il tronco contorto di ginepro dice di un supplemento artistico. A ogni
passo la natura, ammiccando astutamente, mostra il suo artificio.
Ricorda allora un monito: Quanto pi la civilt conserva e trapianta tale e
quale la natura, tanto pi spietato il suo dominio su di essa.
La forma moderna della natura non pu che essere tecnologia della natura. Il
mare, la terra, il cielo sono figure ritagliate di paesaggio. Vivere secondo natura
con tutti i comfort della cultura, secondo uno stile turistico.
Come una minaccia riecheggiano le parole del filosofo: Volete vivere secondo
natura? Immaginatevi un essere come la natura dissipatrice senza misura, senza
propositi e riguardi, senza piet e giustizia, feconda e squallida e al tempo stesso
insicura, immaginatevi lindifferenza stessa come potenza come potreste vivere
voi conformemente a questa indifferenza? Mentre voi in attitudine di rapimento
asserite di leggere nella natura il canone della vostra legge, volete qualcosa
dopposto, voi curiosi commedianti e ingannatori di voi medesimi. Il vostro
orgoglio vuole prescrivere e incarnare nella natura, perfino nella natura, la vostra
morale, il vostro ideale.
Alla fine del viaggio Battista si interrogava sul senso della meraviglia e sulla
struttura dellincantesimo.
Il demiurgo di questo miracolo il marchio che definisce la propriet e
garantisce lidentit. il totem che amministra il culto della religione turistica,
per cui i fedeli possono dire: Abitiamo nel tuo nome. La dimensione magica si
sposa con quella commerciale in un gioco di metafore suadenti. Acquistate un
pezzo del pi grande smeraldo del mondo. Un amuleto che rende preziosi la
costa, lacqua, il lotto. Non viene offerto un pezzo di terra, bens lo spirito del
mare e della terra primigenia.
Investite in un panorama che rester sempre vostro. Ed per questo che una
casa, un terreno nella Costa Smeralda valgono molto pi del loro prezzo a metro
quadro. Metri quadrati di felicit.
Il messaggio preciso: Investite nella bellezza della Costa Smeralda.
Il desiderio si rivela nella dimensione del sogno.
Ho sognato di comprare una villa a Porto Cervo, di immergermi nellacqua
smeralda, di entrare nei grandi business.
I verbi investire, acquistare, comprare appartengono al campo delleconomia ma

vengono subito trasportati nei cieli della bellezza, del sogno e dellappartenenza
sociale.
Battista completava quaderni di appunti e gi formulava alcuni titoli: Il mito e la
finanza, Il rito e leconomia, La favola e lindustria.

Capitolo 10

A Porto Cervo sfilano le maschere tragiche della Sardegna pastorale. Si svolge


una manifestazione di folclore sardo. I Mamuthones di Mamoiada, i Boes di
Ottana, i Thurpos di Orotelli non sono maschere da mettere sul viso per un
camuffamento, non hanno alcuna relazione col volto, operano un cambiamento
radicale: un uomo non pi un uomo, diventa un animale-dio.
Caterina avverte un turbamento quando le viuzze di Porto Cervo, itinerario
della caccia al tesoro di oggetti preziosi, allimprovviso si trasformano nel
percorso della follia.
Le maschere muggiscono, aggrediscono, travolgono.
I Thurpos diventano ciechi per parlare con gli di.
A Caterina sembrava che queste maschere arcaiche squarciassero il velo dorato
del turismo e urlassero una ribellione.
Con stupore sta a guardare con le amiche il rito della vestizione ed
sconcertata perch non assiste a un travestimento di carnevale: incute timore lo
stravolgimento del corpo in sembianza animale.
Al Mamuthone viene gettato addosso il vello di pecora nero, si stringono
intorno al petto le funi comprimendo il respiro e storcendo il corpo, sulle spalle
grava un masso di campanacci, si indossa la giacca al rovescio, la maschera di
pero selvatico scende sul volto, si copre la testa col fazzoletto femminile. Luomo
diventato Mamuthone.
Il Boe di Ottana ha il corpo coperto dalla mastruca, vello di capra, la maschera
bovina dalle lunghe corna viene stretta intorno al collo, squillano i sonagli. Si
compie il rito della metamorfosi: animalit e divinit coincidono.
Caterina ricorda incubi di sogni o febbri di malattie dellinfanzia quando i
mufloni, cos familiari, si presentavano con teste enormi e occhi sbarrati come
posseduti dal demonio: la nonna le chiamava le tentazioni del Maligno.
I giovani di Orotelli mettono al fuoco la corteccia di sughero: la faccia viene
annerita dalla fuliggine per diventare ciechi. Vengono aggiogati, si aggancia
laratro per arare la terra. Per le vie del borgo procedono i Thurpos, aggiogati e
muggenti, governati dai bovari, con i gambali lucenti, coperti dai cappotti neri
dorbace col cappuccio calato sulla fronte.
Penetra nelle viscere di Caterina quel muggito prolungato che annuncia lo

scatenamento della violenza. Strappano le funi, tirano calci, aggrediscono le


persone. I turisti nellesercizio dello shopping rimangono perplessi, le donne
entrano nei negozi, i bambini si ritraggono impauriti.
I bovari officianti del rito assestano colpi di pungolo, tirano con strappi le
funi, urlano, ribattono sulle zampe dei Boes i ferri della sottomissione. La
violenza dei corpi, il salto e lo storcimento danno a Caterina la sensazione di
assistere alla scena della follia.
Seguono i Mamuthones: una processione solenne e tragica. Procedono in
modo sghembo, con un passo impastoiato. Il corpo ha un ritmo asimmetrico e
avanza per saltelli. Le gambe fanno un saltello a sinistra, il busto una torsione a
destra e in alternanza salto a destra e torsione a sinistra. C un inciampo tra
piede e passo.
I turisti di Porto Cervo stanno tra curiosit e turbamento. Caterina assiste
attonita al rito, un rito che non ha parola n canto n musica: rimbomba il suono
cupo dei campanacci.
A breve distanza irrompono i Boes, invano tenuti a bada dai Merdles,
combattono tra loro nel gioco dellincornamento: nella tradizione le persone
devono buttarsi per terra al loro passaggio, ma i turisti rimangono in piedi,
inconsapevoli.
Ecco, linquietante processione sta per entrare nella Piazzetta di Porto Cervo.
Il cicerone del gruppo folcloristico dice che quella manifestazione non
carnevalesca. Dice che la maschera non ha a che vedere con la psicologia n con
la mimica. Non individuo n tipo, non lespressione di un viso. Dice che il rito
un sogno del tempo e che mascherarsi un destino. Ma i turisti vogliono
partecipare a una rappresentazione folcloristica.
Il cicerone insiste nel dire che la maschera indica una perdita totale
dellidentit. E dice ancora che non c differenza tra corpo e scena e che non si
tratta n di commedia n di tragedia n di pantomima.
Caterina prova disagio nellintendere il messaggio di un rito che non rientra
nella logica dello spettacolo. Avverte che il muggito non unalterazione della
voce, non soltanto un urlo strozzato. Risuona come annuncio sacro, come
ribellione originaria. Viene dalle viscere, attraversa i labirinti del corpo, si contrae
nella faringe, prende forza nella cavit della bocca e sibila tra le labbra socchiuse.
Risuona come un annuncio di apocalisse nel regno della felicit. Sembra fare eco
nel porto dei panfili e ritornare con effetto straniante nel cerchio della Piazzetta.
I turisti si chiedono a quale periodo risalgano le maschere e che cosa
rappresentino. E il cicerone spiega che non c unorigine della maschera e che la
maschera nel tempo ed del tempo e che non rappresenta alcunch. E aggiunge
che la maschera da sempre ed sempre nuova nel tempo che incombe sugli

uomini.
I turisti cercano il volto e chiedono a un Mamuthone di togliersi la maschera,
vogliono leggere il rito a carte scoperte, ma il cicerone avverte che non c alcun
rapporto fra maschera e volto e che dietro la maschera c unaltra maschera.
Caterina sconvolta: un turbamento che fa riaffiorare limmaginazione
adolescenziale di bestie selvatiche che in aperta campagna minacciavano la sua
natura di donna.
Conclusa la sfilata, tutti sono contenti dello spettacolo e non rimane traccia
dellinquietudine delle maschere.

Capitolo 11

La ricchezza regala unaria festiva ma quella di Priamo Solinas era una festa
senza santo. La giornata si apriva nella sua indolenza, senza programma. Non
doveva sellare la cavalla, mettere dentro la bisaccia pane, formaggio, lardo e sale e
avviarsi allo stazzo di Monti di Mola per accudire alle capre. Nel nuovo orologio
il tempo non coincideva pi con il suo programma, venuta meno la sua giusta
misura quando non ne eccedeva e non ne mancava. Quando la vita era vivere,
lavorare e raccontare. Non cera pi quella mirabile alleanza tra vita e tempo. Ora
il tempo gli scorreva a lato, una distanza leggera ma incolmabile, come due
sentieri separati che non prevedono nessun incontro.
Priamo era sempre indaffarato perch non aveva niente da fare.
Usciva di casa col vestito della festa anche nei giorni feriali, andava in piazza
per trovare gli amici e chiacchierare intorno a un tavolino pieno di bottiglie di
birra e di anice. Seduti a parlare del tempo senza viverlo. Uomini miracolati dalle
vendite dei terreni, a diversi livelli, perch anche i miracoli hanno dosature
differenti secondo la misura del conto in banca.
A volte le facce degli amici gli sembravano fissate in espressioni di maschera:
Giorgio, con quella contrazione della bocca e gli occhi spiritati, Piero, con la sua
lentezza nel capire e nel rispondere pareva che pagasse a rate i debiti della sua
esistenza, Giovanni che tentava di costruire unottava con parole che si
spegnevano nella banalit e quando lui stesso si rendeva conto dei versi scadenti
concludeva: Eh, abali gi semu arriati! e non si capiva se volesse intendere di
essere arrivati alla ricchezza del conto in banca o alla povert della sua vecchiaia
smorta.
Era strana questa festa senza calendario, senza appuntamenti, fuori dalla
scansione dei mesi e delle stagioni. Ricordava bene che la festa era una pazzia
meravigliosa, la felicit piena per una giornata intera, senza distinzione fra notte e
giorno, quando si diceva Abbiamo goduto sino a morirne, perch nella festa ci
si divertiva sino allo stremo e si rientrava stanchi morti dallintensit della
passione. Allora la festa non capitava allimprovviso, era attesa da tempo e lattesa
era gi motivo di piacere, poi esplodeva nella sua pienezza. Se ne conosceva data
e forma eppure era sempre assolutamente nuova, come se fosse ogni volta da
inventare. Al suo compimento si gettava un ponte col futuro: era laugurio di una

festa ancora pi grande per lanno successivo.


Cos il tempo legato alla vita era incatenato dalla rete del lavoro e della festa.
Ora non c pi la festa come piegatura del tempo: giornata della parola
gratuita, del dono e del piacere. Nella monotonia delle giornate non accadevano
eventi che suscitassero desideri.
Il detto popolare affermava che non si pu fare festa da soli: del pazzo si dice
che si fa tutto lui, ballare e cantare. Questo monito a volte sembrava riferito a lui
e gli suonava come una minaccia.
Priamo Solinas un uomo ricco, non ha pi paura del volto enigmatico del
futuro. Il futuro tutto presente perch garantito dal conto in banca. Conto in
banca era una formula rassicurante ed era solito usarla per antifrasi, per dire di un
poveraccio che non si dava da fare per la vita commentava: Eh, lu clciu,
poveretto, perch agitarsi, tanto ha un bel conto in banca.
Eppure quel conto in banca era un fantasma, non riusciva a dargli corpo e
sentirne la carne e il sangue. Certo era un fantasma che aveva il peso di una
montagna. Seicento milioni di lire era davvero una montagna, se anche le acque
del mare la circondassero, rimarrebbe ferma e sicura, come lisola di Tavolara che
si alza verso il cielo noncurante dellassalto di onde inquiete. Eppure anche
Tavolara nel lucore della notte o nelle giornate di foschia appariva inconsistente e
vaporosa.
Priamo cercava invano un santo per dare senso alla festa ma non esisteva un
santo che coprisse larco di un anno intero: persino i tre giorni di festa di Santa
Maria con la novena non coprivano nemmeno la met di un mese.
Il suo santo era il miracolo, un santo protettore ma senza nicchie in chiesa e
senza posto nella liturgia: era un idolo astratto e lontano che aveva imparato a
chiamare capitale finanziario. Senza preghiera n promessa n voto. Un idolo che
non aveva voce n sguardo e che non si poteva neppure adorare. Non era
neanche quel vitello doro della Bibbia, che aveva cantato qualche volta nelle gare
poetiche come una divinit falsa e bugiarda, ma che si poteva festeggiare ballando
intorno e chiedendogli grazie.
Ci che pi lo rattristava era laffievolirsi della vena poetica. Non andava pi
alle gare nei paesi di Gallura, neppure la canzone di un brindisi nel matrimonio
di un parente. Mancavano la pulsione della parola, il ritmo del verso e la
corrispondenza della rima. Rifiutava gli inviti dicendo di non avere tempo,
proprio ora che aveva tutto il tempo a disposizione. In verit non aveva pi il
tempo della poesia, come se si fossero seccate le fonti del sentimento.
Diceva a se stesso: No soccu in vena bona, non ho lispirazione. Non che
non avesse pronto il suo vocabolario ma quando chiamava le parole per
comporre la strofa, queste si spegnevano come stelle in un cielo oscurato.

A volte, quando era solo in casa, tentava di mormorare versi ma mancava


quella forza del sentimento che dava alla voce suono e senso, timbro e melodia.
Le parole mostravano la loro inconsistenza perch avevano perso il brivido della
sensazione. Eppure aveva a disposizione parole nuove portate dal turismo, dal
commercio e dalla televisione: avrebbe potuto farne sfoggio ma non facevano
lamore con le parole conosciute e non avevano parentela di rima. Non erano
parole giunte sulle ali degli aquiloni, era merce tariffata del mercato.
Nella nuova casa aveva una stanza tutta per s: doveva essere il luogo pi
vissuto della casa e invece segnava il vuoto della solitudine. Si sedeva nella
poltrona e si guardava intorno: erano muti quei mobili venuti da lontano,
parlavano della moda e dellemulazione sociale: quella libreria con qualche libro
posto per decorazione, una radio mai ascoltata, un vaso di cristallo senza fiori, un
paralume mai acceso, una gondola come soprammobile, quadri di paesaggi
anonimi alle pareti. Nessun dono di amici e di parenti. Stanza senza memoria. A
quegli oggetti non sapeva dare neppure un nome. Nessuna cosa che richiamasse
un ricordo, che illuminasse un evento, un lampo di gioia o unombra di nostalgia.
Non un filo di ragnatela negli angoli del soffitto.
La stanza di una contabilit estranea. Nel cassetto di un tavolo i documenti
della vendita dei terreni: lunica cosa che gli appartenesse. Tutto era pulito eppure
cera la muffa di un tempo non vissuto.
Non era spazio da abitare: ben diverso da quello dellovile di cui conosceva il
corpo e lanima, il filo e la tessitura, i sentieri e i bordi. Dello stazzo conosceva
anche il colore del tempo.
Non cerano pi le sue cose, le capre, il latte e il formaggio, il maiale e il
cavallo, la fonte, le erbe, la pietra, non cera quella candela a petrolio, lumino delle
notti invernali. Abat-jours era un nome troppo difficile da pronunciare.
Allora fissava la pelle di cinghiale, appesa alla parete meno illuminata della
stanza, per ascoltare ancora il racconto della sua impresa. Cera il tempo
incorporato in quella pelle di cinghiale. Una pelle intatta: il piccolo buco sulla
fronte era stato cucito, una pelle intatta come la memoria dellevento.
Correva voce tra i cacciatori di un cinghiale imprendibile contro cui invano
avevano scaricato pallettoni che lo attraversavano senza bucarlo. Gli avevano
dato il nome di Cinghiale del demonio. I battitori da Lunfarru, dalla valle
dellinferno, con cani e strepito di voci e fischi spingevano gli animali verso le
poste lungo il canalone. Il cinghiale del demonio passava sempre in una pista
inattesa con un grugnito da tuono e sfilava come se volasse tra i cespugli.
Una sera Priamo Solinas, cercando una capra che mancava alla conta, lo
incontr in fondo alla valle in un piccolo spiazzo senza cespugli: la testa enorme
in un corpo possente. Non fugg subito, gli sembr che lo guardasse quasi a sfida

come se lo beffasse dessere disarmato. Priamo si morse le labbra facendo il gesto


istintivo di sparare. Il bestione sinfil nei corridoi dei cespugli con un grugnito
di vittoria.
Non lo raccont neppure agli amici perch laffronto subito era umiliante ma il
proposito di vendetta cresceva nel suo animo. Tanti appostamenti nelle notti ma
tutti vani, aveva messo delle esche di fave secche in punti di passaggio che
sembravano obbligati, senza risultato. In autunno, quando il grande perastro
aveva maturato i suoi frutti, Priamo mise in atto il suo progetto. Aveva trascorso
tante notti sopra lolivastro a una decina di metri dal perastro, i frutti abbondanti
erano sparsi per terra. Ma il cinghiale del demonio non si presentava: era proprio
il diavolo, conosceva i propositi degli uomini. Affranto da una sconfitta
inaccettabile, fece lultimo tentativo. Si appollai nel punto in cui i due grossi
rami dellolivastro si piegano a letto e si mise carponi col fucile in carica. Attese
tutta la notte, ormai la luna impallidiva preannunziando lalba, Priamo stava per
decidere di scendere dallalbero e rientrare allo stazzo. Ma ecco un fruscio
lontano che diventava pi intenso sino a farsi calpestio rumoroso. Immobile
sullalbero guardava fisso verso il macchione del lentisco, ed ecco il bestione
sbucare e fermarsi in allarme prima di attraversare lo spiazzo verso il perastro: il
muso e gli occhi bassi, le orecchie diritte, perlustrando quellaria infida del
mattino. Avrebbe potuto sparargli ma era preso dallemozione della scena.
Lanimale si mosse con sospetto verso il perastro e cominci a mangiare
voracemente i frutti con rumore di mascelle. Priamo lo guardava preso da
ammirazione: una testa spropositata, un muso grosso, un corpo di muscoli pronti
allo scatto, certamente intorno ai cento chili. Era a tiro, non poteva certo
sbagliare bersaglio ma voleva che lemozione e il piacere durassero a lungo,
guardava le setole ispide sul collo e sul dorso, fissava le zanne di avorio opaco. A
un certo punto il bestione ebbe uno scatto e si mise di fronte, allarmato: il colpo
risuon e lunica pallottola buc la fronte, appena sopra gli occhi. Il cinghiale
abbass il muso a terra con le zampe anteriori piegate, rimase scolpito in
unestrema tensione di fuga.
Priamo Solinas si ridest come da un sogno, ancora una volta quella pelle era
capace di narrazione e illuminava il tempo della sua giovinezza. Quella stanza
muta, per un momento, divent familiare.
Come richiamato da unantica passione e stanco della vita noiosa del paese,
Priamo Solinas decise di ristrutturare il vecchio stazzo che sorgeva nellettaro di
terra non venduta. Era uno stazzo abbandonato da tempo, era servito come
rifugio provvisorio nei caldi mesi estivi. Sell la cavalla prima dellalba quasi lo
chiamasse lora della mungitura, mise sulla sella la bisaccia della festa e si avvi
verso Monti di Mola.

Era come se il tempo gli riproponesse un gesto e un sentimento del suo


passato di capraro. Quando giunse al bivio dove la strada carrabile scende verso il
mare e un sentiero pi stretto sale verso la collina, tir la briglia di scatto verso
sinistra e apostrof la cavalla: Ehi, eri abituata a proseguire diritta verso Aggesi,
non lo sai che quelle terre non sono pi mie e che lo stazzo non c pi, proprio
l c un albergo dove arriva della gente che non sa quanto possiede. E tirava
ancora la briglia a sinistra, verso la parte pi alta del costone. Giunto allovile
scese da cavallo, appese la bisaccia a un ramo di ginepro e lasci al pascolo la
bestia.
Stava dritto, immobile, a guardare lo stazzo in totale abbandono: il tetto
cadente, pezzi di canne, tegole e calcinacci disseminati per terra. Abbassando lo
sguardo mormorava rattristato: Non bisogna lasciarlo mai solo il tempo perch
si annoia e allora simpegna a consumare tutte le cose.
Le vecchie travi di ginepro erano ancora solide e anche le assi trasversali erano
sane, le tegole potevano essere recuperate, bisognava rimettere le canne e legarle
con la malta.
Fece rinfrescare le pareti interne ma lasci intatte quelle esterne che avevano
preso la pittura del tempo: quei colori che solo il gioco del vento e delle piogge
sanno inventare, con quelle concrezioni screziate di rosa e con striature argentee
che il sole riesce a spalmare, con sbavature che raffigurano disegni di nuvole
sparse e di cieli dipinti.
La prima volta, bambino di cinque anni, vi era giunto col nonno: era stata una
festa di allodole e di merli. Incantato guardava i mufloni allertati e interroganti.
Inseguiva nidiate di pernici che correvano con zampette sottili, illuso di poterle
raggiungere e prenderne qualcuna. Memorie lontane.
Ma ora poteva costruire unaltra storia. Fece cercare lacqua nellumidit del
canalone fino a trovare una vena profonda perch la fonte non si seccasse
destate, la delimit con pietre squadrate, a tempietto. Ristruttur anche il
vecchio forno dietro la casa nella speranza di una cotta di pane. Di veramente
nuovo cera solo la porta che aveva fatto costruire allantica affinch non
rassomigliasse a quelle fatte di tubi e vetri, esposte nei nuovi negozi di
Arzachena.
Era diventato il suo rifugio: uno stazzo allantica ma senza pascolo e senza
capre. Sarebbe voluto ripartire con una mucca gravida e con una scrofa da dieci
maialetti. Sapeva che lu miraculatu non poteva permettersi di queste stranezze e
poi a cinquanta metri era sorta la villa di famiglia a imitazione del modello
smeraldino.
Per costruire quello stazzo suo nonno aveva scelto un posto riparato, esposto
verso la collina, contro i venti marini di grecale e di levante e gli aveva dato un

nome di terra, Lu Nbaru, Il Ginepro.


La villa sorgeva invece sul pianoro, verso levante, con vista sul mare: il bel
panorama era la formula della nuova estetica.
Ormai tutto il territorio che un tempo si chiamava Monti di Mola aveva perduto
la sua identit. Porto Cervo dalla linea del porto e dal primo rialzo della Piazzetta
cominciava a scalare la collina con la sua cerchia di case ad anfiteatro.
Priamo Solinas, seduto su un cantone di granito osservava con occhi sghembi
quel borgo che era sorto dincanto. Gettava lo sguardo seguendo la linea del
costone che scende fino al mare. La torsione della schiena assecondava la
traiettoria dello sguardo reso pi acuto dal profilo aquilino del naso e dalla piega
rimarcata della bocca.
Lo sguardo sostava nel porto dei panfili dove gli yacht danzavano un ballo
straniero. Ma improvvisa appare unimmagine del passato: proprio di fronte alla
banchina del porto, a ridosso degli scogli, era precipitata Soriana, la piccola
mucca che dava un litro di latte al giorno, mentre allungava il collo per cogliere
un ciuffo derba sul pendio del precipizio. Il cielo si era oscurato e un grido
richiam i caprari della zona. I pastori sollevarono dalle acque il corpo inerte
dellanimale e risalirono in processione verso lo stazzo. Furono preparate le
interiora per il pasto sacrificale.
Priamo Solinas oscur il ricordo, nel porto dei panfili le barche oscillanti
sembravano culle di defunti, e punt lo sguardo sulla Piazzetta di Porto Cervo.
Inquieto perlustrava quello spazio che si allargava da un lato verso lHotel Cervo
e dallaltro verso la villa del Principe. Ansioso cercava un punto che non riusciva
a individuare, gli sembrava di coglierlo ma subito si dissolveva. Allora prese a
riferimento la piega del vallone e il cordone dello scoglio e riusc a situare il
punto dove trebbiava il grano: laia risultava proprio sulla Piazzetta un po pi a
destra verso lHotel Cervo.
La visione restitu al luogo la sua identit e anim la scena. Le mucche dai
garretti sottili, aggiogate con funi di pelle cruda, trascinavano un grosso masso
avvolto da una fune legata al centro del giogo. La pietra rotolava schiacciando le
spighe mentre le mucche giravano lente, sollecitate ogni tanto da una scudisciata
appena accennata per affrettare il passo. Poi con il tridente sollevava il grano
invocando un vento propizio per liberarlo dalla pula.
Forse un fruscio dei cespugli lo svegli dalla visione; rimase con gli occhi bassi
a guardare la lastra di granito dove era seduto.
Ma cera ancora un punto da cercare. Ributt lo sguardo verso lalbergo Luci di
la Muntagna, sembrandogli che in quei pressi sorgesse la fontana: a momenti era
come se intravedesse un brillio dacqua che subito scompariva. Allora ritirava lo
sguardo e immaginava di partire a piedi lungo il sentiero dei mirti e poi

proseguire a sinistra aggirando il pianoro dei lentischi per scendere sino allincavo
della valle. Dimprovviso gli sembr di avvertire lodore di mentuccia che lo
guidava verso la fonte. Eccola, era l, circondata da una corona di rovi e
bisognava farsi strada spostando qualche tralcio e ammirare lacqua incantata e
inginocchiarsi per bere e baciare lo specchio cristallino.
Quando vi giungeva allalba gli sembrava di vedere lo spirito della dea delle
fonti che si allontanava verso la conca di granito poco lontana. Nellumidit della
fonte, il verde resisteva al giallo della prima estate quando la vena dacqua si
rifugiava nel corpo della terra. Ora l, colmato il canale, si stendeva, larga come
una piazza, una stazione di servizio.
Nessun riconoscimento, n come le cose erano n come le cose sono.
La terra si era smarrita nel mare. La corona di ville si specchia sulle acque.
Nessun passaggio tra lumido e il secco, nessun taglio tra luce e ombra, non c
pi tenerezza e timore tra il giorno e la notte.
Ha vinto il mare, quellacqua inutile che nella sua abbondanza non era capace
di colmare la sete delle capre nella torrida estate.
Ora vi regna sovrano il tempo meridiano, regno dellestate, della vacanza
garantita dal sole, dalla sabbia e dal mare.
Priamo Solinas conosceva il mistero del morire del giorno, del ritirarsi della
luce: la luce prima abbandonava il bosco di ginepri folti dove riparavano i
cinghiali, poi lombra cadeva sullolivastro della fonte, infine pi velocemente si
ritirava sulla cresta della rupe, allora come toccata da un misterioso segnale la
capra guida del gregge aveva uno scatto, dava alcuni colpi di sonaglio e si avviava
verso la conca di granito.
Ora il sole sorge senza attesa, la notte cala senza presentimento. Le ville sono
in piena luce con giardini di fiori, eppure le pietre di arredo disseminate
nellambiente sono sculture sradicate, sembrano statue funebri.
Linfinita memoria di quel mondo precipitata in mare. Sullo sfondo, lo
specchio delle acque punteggiato di yacht che tracciano rotte senza naufragi.
Al vecchio capraro era rimasta unossessione, unimmagine che lo perseguitava
dolcemente. Dopo averla sognata pi volte laia, Priamo preso dallinquietudine
della rimembranza, sente un bisogno impellente di rivederla. Si mette in cammino
alla ricerca di una traccia. Certo, sa bene che laia non c pi, proprio l si
distende la Piazzetta di Porto Cervo, ma deve essere rimasto qualche piccolo
segno di riconoscimento. Per chi ha vissuto una vita in quei luoghi, basta un
piccolo segnale, magari una pietra che rimasta conficcata ai bordi, un cespuglio
che riemerge tra le fessure del lastricato, un seme di orzo che alza al cielo la spiga
della memoria. sufficiente una sensazione per richiamare il tempo e

circoscrivere uno spazio: un alito di vento, un respiro contratto del terreno,


magari leco del muggito di un bue.
Priamo scende dallo stazzo verso Porto Cervo, segue il sentiero ben noto,
familiari sono il piede e il passo nel percorso. Dove la discesa si fa pi dolce per
annunciare il piano, simbatte in un ostacolo: il muro di una villa ha interrotto il
sentiero nel punto in cui si biforcava, a sinistra verso il mare, a destra verso la
mulattiera per Arzachena.
Non sar certo un muro a impedire il cammino della passione e della memoria,
eppure questo blocco ha un effetto perturbante e diventa spartiacque fra due
mondi, confine tra il noto e lignoto.
Scavalcando il muretto, entrava in un mondo estraneo, ma non gli faceva paura
essere clandestino che varca una frontiera. Nella transumanza con le capre
conosceva lo sconfinamento ma ogni territorio nuovo diventava familiare:
bastava il passo per conoscerlo e il corpo per abitarlo. Nessuna linea di confine lo
spaventava, e poi erano sufficienti una conca di granito o un cespuglio di mirto
per creare amicizia tra due terre separate. Ma oltrepassando la linea di divisione
tra Monti di Mola e la Costa Smeralda avverte un senso di straniamento come se
fosse entrato in un mondo toccato dal malocchio. La villa ha un prato verde,
unerba pareggiata uniforme come se pascolata da animali fantastici o rasata dalla
falce del diavolo, la rupe non sprofonda le sue radici nel terreno, si erge obliqua
collocata su un piedestallo e mostra le sembianze truci di un animale fantastico,
dei fiori si arrampicano sui muri facendo cornice a quadri profondi di finestre, a
copertura si stende la geometria di un gioco di tetti con spioventi a contrasto. Nel
recinto ordinato delle siepi, non c ascolto di belato di capra. Aveva superato un
varco incalcolabile, lo spazio era un miraggio che sfuggiva a ogni riconoscimento.
La stessa villa diventava una figura sospesa come se non gravasse sulla terra,
unapparizione che indugiava prima di scomparire e tuttavia non scompariva.
Non avvertiva pi la presenza del suo corpo, come un automa che cammina
senza pi memoria del passo, ormai la strada stessa a fare cammino. Giunge in
un lastricato di pietre di un bel colore di terra, le lastre sono cucite in una rete
fitta senza intaglio. Si trova nel cuore del borgo turistico e allimprovviso il vuoto
si riempie e si sente oppresso dalla presenza delle cose. Cammina con passo
incerto e sospettoso.
Ai lati si allungano vetrine senza riflessi: le cose sono animate in unimmobilit
irreale, eppure protese in un movimento. Una vetrina brilla di gioielli che hanno
sguardi, occhi di vari colori che osservano seducenti e irridenti. In uno specchio,
le scarpe sospese su guglie sottili oscillano in uno strano balletto di passi. In una
vetrina, manichini vestiti di abiti sgargianti si accalcano sulla porta di uscita,
trattenuti da una soglia invalicabile. Le finestre sprofondano in case disabitate. Le

fioriere hanno arbusti rapaci. Delle persone passeggiano come figure vaghe in
espressioni di riso, bloccate in una smorfia. Per un attimo si avverte uno stridio
di ruote di carro su una strada di pietra: una scia sonora che si perde in una
traiettoria di abisso.
Priamo si aggomitola in un angolo di strada e cerca il contatto con la pietra ma
una pietra muta, non ne sente il flusso magmatico, una pietra che non serba la
luce delle stelle e non sprigiona la forza della terra. Non la pietra di granito che
lo ha cullato fin dallinfanzia e che condensa nelle sue venature silenzio e luce.
Solleva lo sguardo in alto e gli si apre una luna di cielo, un cerchio racchiude la
forma dellaia e mucche leggere fanno giri e una pietra di nube rotola a liberare il
grano dalla pula e i chicchi piovono dolcemente su canestri ricamati di fiori e di
spighe.
Eccola, la sua aia che si alzata in cielo perch non c pi posto in terra.
Signore, ha bisogno di qualcosa? Una voce estranea lo sveglia dalle visioni,
i passanti lo avevano visto mormorare preghiere incomprensibili e fare gesti
propiziatori.
Sta bene? Ha bisogno di aiuto?
Undi lu stazzu? Ripeteva pi volte chiedendo a estranei dove fosse il suo
stazzo. Una guardia giurata lo riconosce: Signor Priamo, che ci fate qui? Sono il
figlio di Giosu Cossu. Eh, non vorrete spendervi tutti i soldi qui il
portafoglio sempre aperto!
Priamo lo osserva stranito e si chiede cosa ci faccia il figlio di Giosu Cossu in
quel luogo strano con quella divisa da guardia carceraria.
Ora vi accompagno nel vostro stazzo, andiamo in macchina.
Appena fuori del borgo, il vecchio riconosce il mirto e il lentisco, le rocce
conficcate sul terreno e odora il profumo della terra.
Ferma, ferma qui, sono arrivato, conosco il sentiero per lo stazzo.

Capitolo 12

Babbo sta peggiorando, ripeteva Andrea, ieri mi ha fatto un discorso


strano, mi guardava con occhi obliqui e mi metteva in allarme contro nemici che
mi minacciavano. Quando gli chiedevo quali fossero i miei nemici ripeteva: Stai
attento, non fidarti, stai attento, tu non lo conosci il tempo, eh lu tempu, lu
tempu! Mantieni il segreto tu non li sai mantenere i segreti.
Priamo Solinas era pieno di segreti e li difendeva perch sono sempre
minacciati e rischiano di essere svelati. Senza segreti un uomo disarmato,
nudo davanti alla gente e davanti alla sorte. Non bisogna essere trasparenti: il
vetro va in frantumi perch trasparente. La mia pelle non trasparente,
diceva il vecchio, manco il coltello la buca! diventata spessa a Monti di Mola.
Non si poteva dire che stesse perdendo i contatti col mondo, anzi era come se
li rinforzasse: era il mondo che minacciava di sopraffarlo. Devi stare attento a
non farti cogliere di sorpresa, ripeteva al figlio, alla vita devi tirare la briglia
perch un cavallo bizzarro, se sei pasta molle vuol dire che il tempo non ti ha
stagionato.
Il vecchio non parlava n a se stesso n ad altri. Parlava perch preso
dallurgenza della parola. Il racconto si era impadronito di lui. Nella concitazione
alzava il tono della voce, si guardava intorno e subito lo abbassava come se
qualcuno lo stesse spiando, e quando lespressione era pi tesa puntava lindice
verso terra e diceva: Adesso lhai capito, lhai capito finalmente!
Andrea, rientrato a casa per prendere dei documenti, aveva sentito la voce del
padre e si chiedeva se ci fosse qualcuno a parlare con lui, dato che la madre
laveva lasciata nel negozio, si avvicin alla porta e si mise in ascolto. Il padre
parlava con voce accusatoria come se avesse qualcuno di fronte: Manco tu ci
sei, stai attento, se ti addormenti non ci sei pi, non ci sei al mondo, capito hai?
Andrea ne parl con la madre, preoccupato che la malattia si stesse aggravando
e proponeva di portarlo a Sassari per una visita da uno specialista o relegarlo
nellappartamento di Olbia dove non lo conosceva nessuno. Bisognava non farlo
uscire di casa: sarebbe una vergogna se si diffondesse la voce che Priamo Solinas
era impazzito.
A Grazia Mura la situazione non sembrava drammatica, aveva certamente
notato questi atteggiamenti ossessivi ma li attribuiva a una stanchezza della

mente e alle ombre dellanimo ed era convinta che il momento di crisi sarebbe
stato superato.
Caterina si faceva raccontare storie e ascoltava passioni vissute intensamente,
ricordi che presentavano scene vive e coinvolgenti, solo a momenti il racconto
aveva pause come se il vecchio inseguisse tracce che si cancellavano.
Priamo spesso perdeva la certezza dello sguardo, si accentuava il brillio degli
occhi nel fissare le cose.
Il passato cominci a oscurare il presente. Si ripresentava senza che Priamo lo
chiamasse e a volte si eclissava quando voleva inseguirlo. Era come se la sua vita
gli fosse raccontata dallesterno, da una voce che non poteva essere taciuta. Una
voce che sussurrava sequenze vissute agganciando squarci dellinfanzia ad altri
dellet pi matura, in un intreccio confuso. Stava perdendo la traccia del tempo.
Abbreviava in frasi sincopate lesperienza di lunghi anni di vita. A volte
ripeteva brandelli di storie rivolgendosi alla moglie con una domanda conclusiva:
Lhai capito il ragionamento?
Grazia Mura capiva il ragionamento anche quando il racconto sconclusionato
del marito offriva solo poche tracce, ma lei sapeva ricostruire le vicissitudini di
unesperienza vissuta insieme. Cos quando diceva che il forno era spento e
aggiungeva che era triste laia che ha paura delle formiche e che il vento malo
svuotava le spighe di grano e che nel cielo cerano uccelli dacciaio, allora Grazia
Mura ricostruiva la storia che usciva nitida dal vaneggiare del marito.
Era lanno 1943, lannata terribile della carestia, quando un vento caldo di
aprile si abbass sul campo di grano e fece abortire i semi. Fu una mietitura di
fame e nellaia si cercava di salvare i pochi chicchi dallassalto delle formiche. E
proprio quando la festa dellaia si era trasformata in un rito funebre, gli aerei
della guerra bombardavano lisola della Maddalena, di Caprera e di Santo Stefano
rombando nel silenzio angoscioso di Monti di Mola.
Grazia Mura che custodiva nel cuore tutta la storia di famiglia ricordava
langoscia del marito, quasi fosse colpevole della carestia e della fame del
primogenito alimentato solo con latte di capra. In questi brandelli di memoria
riemergevano soprattutto gli eventi negativi, quelli pi dolorosi.
Eppure una volta il marito vaneggiando diceva di vedere la luce della vita
uscendo dalla chiesetta di Liscia di Vacca dopo il rito del matrimonio, avendo al
fianco la pupilla dei suoi occhi, il gioiello di platino, sua moglie.
Nei momenti pi tristi fissava per lungo tempo la finestra della cucina, sentiva
il cielo oscurarsi prima che facesse buio come se nella pienezza del meriggio gli
cadesse addosso lombra della sera, allora mormorava: S fendi taldu, femu lu
focu, quasi cercasse luce nella fiammella dolivastro del focolare nel farsi tardi
del giorno.

Eppure non era il passato con il suo peso gravoso a offuscare la mente di
Priamo Solinas e tantomeno il sogno dello scarabeo che ormai faceva compagnia
alle sue notti di veglia e assopimento, e continuava a proporre varianti sempre pi
strane come quella di succhiare dal seno della madre, da ununica mammella che
prendeva la forma della tina dellacqua. Era la sua ombra a proiettarsi nel futuro,
come se aspettasse qualcosa che dovesse ancora accadere. Avvertiva che la fune
della vita aveva fatto un nodo che non poteva essere sciolto e interrogava il
tempo a venire. Il suo sguardo era teso a scrutare il futuro come se attendesse
sviluppi della sua vita. Voleva capire dove portasse il miracolo che gli era caduto
addosso.
Grazia Mura notava che la piega della guancia si accentuava infossandosi fino
al mento, i due lembi ispessiti rimarcavano una ruga profonda. Eppure non si
poteva dire che Priamo Solinas fosse invecchiato, si notava solamente
unaccentuazione del profilo del naso tirato dalla contrazione della bocca. Il
portamento del corpo mostrava un leggero piegamento della schiena che
sembrava dargli una maggiore energia nei movimenti. Non dava segni di
rilassamento, al contrario esprimeva una forte tensione. A volte lo sguardo
restava incantato fissando un vuoto come se lenergia per un attimo avesse
smesso di fluire nel corpo. La fronte aggrottata denunciava la presenza di
unombra che si agitava nella bruma della mente, allora Grazia Mura ripensava
alla tela del ragno della profezia di Maria la spiritata ma si liberava subito
dallantico fantasma aggrappandosi alla certezza del loro stare insieme.
Bisognava tenere a bada lombra che camminava a lato affinch non si mettesse
davanti a impedire il cammino, tenerla ai bordi del sentiero perch non offuscasse
il chiarore della strada.
Dai sogni che le raccontava il marito, si convinceva sempre di pi che il
motivo delle ossessioni era da ricondurre alla vendita dello stazzo di Monti di
Mola e che il miracolo aveva sconvolto il corso della sua vita cancellando tutti i
punti di orientamento.
Nellultimo sogno raccontava di trovarsi nella festa di Santa Maria, a
mezzanotte, sul muretto intorno alla chiesetta stavano seduti il padre, il nonno e
lo zio. Raccontava loro che erano giunti uomini dal mare con grandi barche e che
si muovevano leggeri nella sabbia e nelle acque ma non sapevano camminare sulle
pietre affioranti di Monti di Mola. E raccontava loro dellincredibile permuta dei
terreni: le pietraie scambiate con le terre fertili della pianura. Gli sembrava che lo
zio, famoso per la sua saggezza, facesse cenni di assenso ma che il padre lo
guardasse con unaria di rimprovero. Poi si alzarono e risalirono il sentiero tra i
cespugli di erica e fillirea, verso la conca delle capre. Forse era l il loro luogo di
riposo.

A un tratto la scena cambiava quadro: si trovava nelle terre grasse della pianura
con lerba che gli arrivava fino alla cintola e con il fiume che lambiva i campi di
grano, allimprovviso quelle terre si raffreddavano percorse da un vento malato.
Vedeva il fiume prosciugarsi mostrando un letto di ciottoli e rami.
Inspiegabilmente il terreno si copriva di macchia mediterranea, cespugli di mirto
e di lentisco carichi di bacche nere, corbezzoli splendenti nelle loro melette verdi
che gi tendono al giallo e sfumano nel rossiccio. Una strana metamorfosi: le
terre fertili della pianura tramutavano nellasperit della macchia mediterranea di
Monti di Mola. Stava in attesa che comparissero le capre con il loro sguardo
sghembo e la loro zampa astuta, invece rimanevano le mucche grasse e indolenti.
Al risveglio, ne rideva come di stranezze insensate, tra sogno e realt.
Lentamente il passato come visione si ecliss, ritornava come voce, come
suono, eppure indicava una traccia del tempo. La memoria visiva si spegneva. Un
muro gli oscurava il visibile e le voci sembravano rivelargli linvisibile della vita,
quella realt vissuta e male illuminata che veniva dal profondo, la parte oscura
dellesistenza.
Aveva la sensazione che il tempo si ritirasse e sprofondasse indietro in un
abisso. Non cera pi visione neppure fatta di frammenti a creare una scena, ad
aprire uno squarcio. Mancava la prospettiva. La memoria uditiva non dava
traiettoria, diceva e moriva in se stessa. I rumori erano familiari ma disancorarti
da ogni contesto, si presentavano nella loro essenzialit e diventavano
perturbanti: una folata di vento, che avvertiva come sferzata nel viso, il rotolare
di un masso che precipitava a valle, il belare della capra che si era rotta una
zampa, un battito di ali di pernici, labbaiare del cane contro la volpe a difesa del
gregge. Erano suoni noti ma rintronavano con forza ossessiva e lo perseguitavano
con strepito. A volte erano voci distorte che non provenivano dalle parole ma che
pure uscivano da profondit sommerse.
Grazia Mura decise di portarlo per un po di tempo a vivere nello stazzo e con
grande sollievo not un marcato miglioramento.
Una notte di maggio, Priamo Solinas si era alzato dal letto, si era vestito come
per andare alle capre, preso da un desiderio vago, senza un obiettivo. Si mise a
sedere sotto lolivastro sulla grande lastra di granito che il lavorio del vento e
dellacqua aveva conformato a luogo di riposo. Ricordava che suo zio nelle afose
notti di agosto usciva dallo stazzo con una bisaccia dorbace, la stendeva sulla
pietra piatta per passarvi la notte. Anche lui se ne stava sdraiato sulla lastra di
granito con una dolcezza languida, ravvivata da sussulti di gioia, uno strano senso
di felicit immotivata, e guardava ora la luna che stava indolente nel cielo, ora la
rupe che si protendeva a becco daquila. Sent il corpo pesante sul granito, quasi
lo accogliesse nel suo interrarsi. Allora si abbandon e si sent al sicuro in una

casa di pietra. Ripos a lungo. Ridestandosi si mise a sedere e guardava a valle il


grande presepio di luci di Porto Cervo.
Lo sguardo si pos sul comignolo dellHotel Luci di la Muntagna: allimprovviso
il comignolo prese la sembianza di un fantasma, si stacc dal tetto e cominci a
sollevarsi nellincantesimo del volo. Con danza leggera scendeva verso la casa dei
doganieri dietro il porto dei panfili, fece un giro di ballo intorno al comignolo
della casa facendo inchini e questi rispose con un segno di assenso. Tutti e due
risalirono festosi verso il campanile della chiesa sul rialzo della collina. Come
gabbiani si libravano nel cielo di Porto Cervo, lambendo i patii delle ville e le
fronde dei corbezzoli. Rimasero fermi, sospesi come per un saluto, fecero un
inchino e ciascuno fece ritorno alla propria casa.
Il vecchio sognava a occhi aperti.
Ripresa piena coscienza di s, si tolse la giacca di velluto e la mise a cuscino
distendendosi sul letto di granito. Nel sogno riapparvero i comignoli che
sembravano anime di defunti, vestiti di un saio grigio, in processione verso la
chiesetta antica di Liscia di Vacca. La porta della chiesa si spalanc e si sent un
tocco di campana: le ombre dei morti si misero a ballare nella piazzetta della
chiesa. Lo schiarirsi della notte annunziava unalba di calce che rischiarava il
bianco dei comignoli.
Priamo Solinas si dest e sent i passi della moglie che era ormai al suo fianco.
Che fai qui mio tesoro? Ci hai passato tutta la notte, torniamo a casa. Il
vecchio guardava ancora i comignoli illuminati da unalba radiosa e diceva
mormorando: I comignoli erano in volo, e raccontava alla moglie la visione.
Anche lei partecipava al volo con la fantasia come se ascoltasse una fiaba
dellinfanzia e con la mano accarezzava il volto del marito e gli sussurrava: Ehi,
il comignolo del nostro stazzo non si alza in volo, ben attaccato al tetto, non ha
neppure il tempo di volare impegnato com a comprimere il fumo acre del
lentisco ancora fresco. Le nostre sono pietre pesanti e non sanno volare. Le ville
dei turisti sono leggere, sono uccelli che vengono dal cielo e dal mare. I
comignoli di Porto Cervo non sono fatti per il fumo ma per dare leggerezza alle
case, sono fatti per volare.
Tenendosi per mano rientrarono nello stazzo. Lei lo guardava con un sorriso
dolce, lui aveva fisso lo sguardo per terra quasi cercasse la linea tortuosa del
sentiero.
Una mattina Priamo Solinas sent il desiderio di andare a trovare le sue capre
che aveva affidato al cugino Davide Pistis. Aveva confidenza con i luoghi e
sincammin verso il rialzo della collina da dove si potevano scorgere le bestie al
pascolo. Avrebbe voluto chiamarle ma si tratteneva. Il capraro ricordava la sua

abilit nel colpire la testa del gallo interrato, in occasione della festa di Santa
Maria, e si lamentava di non averlo pi sentito cantare in poesia. Ma Priamo
taceva, anche se traspariva un lieve sorriso tra le sue labbra. A pranzo, mangiava
con avidit la carne di capra, puntava il coltello verso il recipiente di sughero,
infilzava il pezzetto di carne e gli andava incontro con la bocca. Tagliava una
fetta di formaggio fresco di un mese, lo odorava e lo gustava trattenendo con
piacere il boccone in bocca.
Eh, caro Priamo ci vorrebbe un bel bicchiere di vino, di quello che facevi
nella vigna di Li Muri. Il vecchio non rispondeva, continuava ad assaporare il
formaggio e dopo un po di silenzio: buono anche senza vino.
Tu amavi dare i nomi ai capretti appena nati, alle femmine, i maschi non
avevano nomi perch destinati al macello, ora le capre stanno per figliare, puoi
preparare i nomi.
Non si preparano i nomi, nascono coi capretti, loro hanno gi un nome alla
nascita, bisogna riconoscerlo e dirlo ad alta voce per battezzarli.
Seguendo il gregge nel ritorno al recinto, notava una capra bianca con chiazze
marrone chiaro, la guardava con attenzione mentre si spostava ora a destra ora a
sinistra. Capiva che non mancava molto tempo a figliare. Seguiva landare
allarmato della bestia, come se avesse paura della volpe. Leggeva in quella capra
lansia e lamore del figlio. Fu preso da tenerezza, la segu nel suo appartarsi
dietro un cespuglio per assisterla nellintimit del parto. E alla capretta dette il
nome: Filomena.

Capitolo 13

Fu come un tuono sordo che sprofond dentro la terra. Il tocco lugubre della
campana suonava a morto, a Porto Cervo. Su Caterina ebbe leffetto di unombra
pesante che avvolgeva la casa, la valle e lintero borgo. Non era mai scoccata lora
della morte annunziata da una campana in Costa Smeralda. Eppure per lei era un
suono familiare perch nel paese di Arzachena le campane suonavano a morto
per un tempo estenuato.
Nel paradiso del turismo non si muore mai, non perch levento mortale non
possa accadere ma perch viene rigettato nellentroterra o nelle acque del mare.
Nelleterno paradiso turistico, la morte senza nome e senza nome non esiste.
un incidente sulla strada Ol-bia-Palau o un naufragio lungo la costa nordorientale
della Sardegna. La triste notizia viene riferita a un altrove, fuori dal regno della
felicit. Daltronde il piano di fabbricazione non aveva previsto la costruzione di
un cimitero: il pool degli architetti pi rinomati dEuropa colto da una
dimenticanza. La tomba un segno inquietante.
Caterina si chiedeva che cosa potesse essere successo se la campana della chiesa
di Stella Maris aveva suonato a morto, proprio con lo stesso lugubre tocco delle
campane di Arzachena. Forse era morto un personaggio importante, ma ancora
agonizzante sarebbe stato trasportato allospedale di Olbia oppure una solerte
burocrazia avrebbe portato la bara allaeroporto per una destinazione familiare.
Allimprovviso pens che fosse morto il brillante sacerdote di Porto Cervo, ma
era giovane e sano. Forse i sacerdoti devono avere le esequie nella propria
parrocchia.
Mentre Caterina viveva lo sgomento delle sue supposizioni, arriv suo fratello
Battista e rifer che era morto il dj di un famoso locale notturno. Era andato a
trovare un suo amico geometra che seguiva i lavori di una villa e nel muoversi
sulle sponde del secondo piano ha inciampato precipitando su un mucchio di
blocchetti. Morto sul colpo. Una persona conosciuta e stimata dal popolo della
notte, un apolide che era nato a Tangeri, veniva dalla California e aveva lavorato
in Costa Azzurra. Non aveva parenti n recapito. Un uomo senza destinazione
perch senza provenienza. Quel cadavere apparteneva totalmente ed
esclusivamente alla Costa Smeralda, non poteva essere trasportato altrove. Stava
l in un luogo senza sindaco n giudice n ufficiale sanitario, nellimprovvisa

solitudine di un borgo turistico. Non poteva essere spostato in un altro territorio


o consegnato a unaltra giurisdizione. Era l e affermava che la morte arriva a
ciascuno, senza ragioni n riguardi e non poteva farsene un disbrigo burocratico.
Quella morte diceva che anche per il turismo della Costa Smeralda c una
parcella del destino e che bisognava pagare il debito infinito della morte. E dove
non era ammesso neppure limpersonale si muore, ora un uomo, il dj da tutti
conosciuto, confermava linesorabile destino mortale.
Caterina rabbrivid pensando al funerale. Nulla di pi macabro di un funerale
per le viuzze di Porto Cervo, inverosimile persino immaginarlo. Ancora si
chiedeva in quale casa venisse composto il feretro e chi lo piangesse e quale rito
di cordoglio si potesse svolgere.
Aveva nome Thomas eppure apparteneva allanonimato. Un girovago senza
bagagli che racchiudeva i suoi effetti personali nella povert e nella gioia di una
valigia. Un uomo senza documenti anche se aveva un passaporto per ogni
frontiera. Era giunto in volo e tutta la sua vita era nel volo della musica e persino
lultimo gesto si consumato nel volo del precipizio. Ma ora era la morte che lo
inchiodava nel luogo e l bisognava inventare una sepoltura.
Caterina, nellesperienza della tradizione, aveva uninquietante familiarit con
la morte, aveva vissuto i riti di cordoglio anche in famiglia e sapeva che cera un
modo di piangere e di fare il lutto. Il linguaggio dei sentimenti si esprimeva anche
in prestazioni materiali e morali. Era usanza portare alla famiglia il pasto funebre
e la presenza dellintera comunit era conforto perch la morte non la si pu
affrontare da soli. E chi non partecipava al rito si macchiava di una colpa. E si
parlava del defunto, della sua vita, del suo destino e del suo compimento, e si
ripetevano le ultime parole che aveva pronunciato o si parlava del respiro
affannoso e dello sguardo incerto e della sua agonia. Nel canto funebre si
ripercorrevano le tappe fondamentali della sua vita e si esaltavano le sue virt.
Cos la comunit accettava la morte esorcizzandola e collocandola nella necessit
della vita e dandole quel tanto di solennit che contrassegna limportanza
dellevento fatale che ogni vita deve affrontare.
Ma per la morte del dj, non cera rito della tradizione. La Costa Smeralda nella
sua perfetta organizzazione non era preparata a ricevere e a gestire la morte
perch la morte possiede una storia e morire appartiene alla cultura non meno
che alla natura.
I sapienti costruttori di Porto Cervo non hanno saputo ereditare la tecnica
antica delle domus de janas, le antiche celle funerarie che accoglievano dentro la
pietra incavata il corpo del defunto, con un betile eretto a guardia del tempo.
Nel campanile di Arzachena c una campana preposta ad annunciare lagonia:
segnala luscita del prete che porta lolio santo al moribondo. La comunit rimane

sospesa e ascolta in silenzio lavvicinarsi della morte, tutto il vicinato partecipa


allagonia.
A Porto Cervo la notizia di unagonia trasformerebbe la camera del
moribondo in un luogo pubblico e il discorso perturbante uscirebbe
incontrollato per le strade.
La Cerasarda, artigianato della ceramica smeraldina, non ha un lapicida per
produrre unarte funeraria. Sarebbe insopportabile unepigrafe accanto al marchio
della felicit.
Il piccolo camposanto delle cussoggj galluresi situato fuori dal territorio
sacro della Costa Smeralda, si trova dietro larco delle colline, terra turisticamente
sconsacrata. Non camposanto con vista mare e non immerso nella natura:
natura esso stesso, terra nera e profonda che accoglie ogni corpo nel suo grembo.
Gi i rintocchi delle campane annunciavano il momento delle esequie, il tocco
lento prendeva il ritmo dellannuncio conclusivo e invitava tutti ad affrettarsi per
lestremo saluto.
Caterina e Battista scendono verso la chiesa dove il corpo del defunto gi
composto nel feretro: una bara di lusso e c unabbondanza di corone di fiori.
Caterina che pure aveva assistito ai funerali di tante persone in Arzachena
osservava turbata la calca di gente che affollava la chiesa: era gente della vita
notturna, cera anche il suo gruppo di amici. Ebbe una strana sensazione: in
dissolvenza vedeva lalternarsi dei volti del cordoglio con quelli della festa e le
sembrava che il trucco misto a lacrime si sciogliesse in sembianze di maschera.
Il velo di silenzio e di calura fu rotto dalle parole del prete: nellomelia usava la
metafora del nostro fratello che ci ha lasciato e aggiungeva che Porto Cervo
aveva perduto un suo figlio.
Le parole risuonavano strane per Caterina in un luogo che non conosceva n
famiglia n comunit: gente che sta per partire e dovr godere gli ultimi giorni di
ferie, gente che arriva nel mondo della felicit e trova inaccettabile la morte nel
tempo di vacanza.
Per un momento a Caterina sembr agghiacciante la pubblicit smeraldina che
invita a fare un viaggio fuori dal mondo.
Presa da questi pensieri, Caterina non si era accorta che il prete terminava la
cerimonia benedicendo con laspersorio la salma e dicendo che la morte apriva a
una nuova vita ma ricordava anche che tutti gli uomini abitano in una citt senza
fortificazioni e senza garanzia.
La bara, uscendo dalla chiesa, fu inghiottita dallintensit della luce ed esposta
alla visione del mare smeraldo. Ma subito sembr che il paesaggio intorno si
rattristasse e rendesse mute le ville e i giardini, e i colori diventassero cupi.
I megaliti del frontone della chiesa sembravano pietre funerarie, le ville

prendevano le sembianze di grandi tombe piene di fiori, i comignoli erano segni


di agenzie funebri. Il porto dei panfili si tramutava nel luogo del traghettamento
verso loltretomba.
Quella bara era diventata un segno inquietante: impossibile trattenerla ancora
un poco. Giusto il tempo per caricarla nel carro funebre e portarla fuori dal
perimetro sacro della Costa Smeralda, verso il cimitero, situato al di l della
collina.
In quel piccolo camposanto dove il dj entra nella familiarit della comunit dei
morti, si era scavata una fossa per la bara di uno sconosciuto. Le fotografie dei
defunti sulle tombe a parete sembravano chiedere notizie del nuovo venuto. Cera
molta gente ma in nessuna persona cera la disperazione di una perdita. Nessuno
ha abbandonato il cimitero, privato di una parte di s.
A Caterina parve che i morti della comunit accogliessero con profonda
umanit questo corpo vomitato dal mare, questa persona che ha incontrato la
morte in unisola lontana. Forse le ombre ascoltavano meravigliate la musica
sconosciuta di quel dj. Abituate alla nenia struggente dei loro canti, agli attitos e ai
lamenti funebri, rimanevano turbati da una musica sconosciuta, quella musica che
scuoteva corpo e animo nelle discoteche.
Una tromba squill nel raccoglimento di quel piccolo cimitero: lultimo saluto
di una musica tutta terrena, uneco stremata della felicit smeraldina.
Caterina pens che mai pi nessuno sarebbe tornato per pregare presso la
tomba di quellapolide. Allora sollev il capo verso leffigie della nonna,
invocando uno sguardo benigno verso quella croce di legno conficcata sulla nuda
terra: voleva affidarlo alla compassione dei suoi parenti. Forse anche i morti
adottano un figlio straniero.
Uscendo per ultima dal camposanto e socchiudendo il grande cancello di ferro,
fu presa da un brivido di freddo. Lultimo sguardo rivolto alla nonna chiedeva
una preghiera per il povero dj. Affidava alla nonna, regina dello stazzo, quel
giramondo che era stato preso dalla frenesia del tempo turistico.
Quando le anime dei morti faranno le processioni a mezzanotte con le loro
ombre senza lineamenti di riconoscimento, anche Thomas seguir il percorso
della rula, e il 2 novembre anche lui, randagio adottato, assagger il pasto che i
familiari preparano per i loro morti.
Al rientro a Porto Cervo sembrava presentarsi una scena perturbante: i
cavalieri dellapocalisse attraversavano con lugubre spirito di vittoria i lidi della
Costa Smeralda, passavano sui corpi esposti al rito del sole e della sabbia. Il
borgo diventava una grande necropoli con i lumini sempre accesi, i giardini erano
aiuole sepolcrali, gli alberghi diventavano mausolei che inneggiavano
sinistramente alla vita.

Capitolo 14

Per le mie vacanze ho scelto Pitrizza, lalbergo pi esclusivo della Costa


Smeralda, perch luogo della privacy assoluta, come recita la pubblicit.
Il taxi si ferma a una sbarra. LHotel Pitrizza non ha lingresso trionfale del
Cala di Volpe. Un muro recinge la parte dellentrata, gli altri confini sono il mare
e una selvaggia macchia mediterranea.
La barriera di controllo mi d una sensazione di riservatezza e di protezione
dal mondo esterno.
Il colore il bianco, il legno il ginepro.
Pitrizza vuol dire luogo di pietre e nulla pi della pietra garantisce il segreto: il
segreto una pietra inserrata nel corpo.
Mi colpisce larchitettura davvero singolare: lalbergo costituito da sei ville
sparse a macchia, a scala piccola. Allesterno i villini si presentano come capanne
a imitazione di un immaginario ovile sardo, con i tetti di pietra.
I megaliti sembrano numi tutelari, guerrieri messi a custodia dellintimit del
tempo. Lambiente ritagliato per rispondere a un particolare modo di abitare,
fatto di natura selvaggia e di cultura raffinata. Le costruzioni che sembrano le pi
artigianali della Costa Smeralda, sono quelle pi dotate di comfort. Linee, forme
e colori aderiscono al sapiente taglio urbanistico che simula il modello etnico
delle capanne dei pastori, tentando di sfuggire al vernacolo indigeno e ai
ghiribizzi di un gioco edilizio turistico.
Mi piace questa edilizia dellinterieur. Non volevo che mi mancasse troppo la
solitudine montana dellEngadina, nella consueta villeggiatura a St. Moritz.
Non amo il mare, ma Battista, nelle infinite discussioni allUniversit Cattolica
di Milano, mi parlava sempre della Costa Smeralda, tra orgoglio per la fama
mondiale della localit e risentimento di una colonizzazione subita. Un simpatico
moralismo isolano fatto di chiusure e venato di accenti politici indipendentisti.
Ogni discussione terminava con una sentenza: Unisola nellisola, la Costa
Smeralda non ci appartiene.
In verit, la prima impressione che ho avuto bellissima: gli racconter questa
mia esperienza.
Ci che mi colpisce la messa in scena architettonica e urbanistica: la
dislocazione dei villini e le loro forme arcaiche mi danno la sensazione di una

solitudine familiare e di unintrigante complicit con gli altri ospiti.


Il gioco spaziale tra pieni e vuoti suggerisce una libert di percorsi e nel
contempo dispone a incontri apparentemente casuali. Sentirsi soli un raffinato
modo di comunicare.
Il punto di ritrovo il ristorante-bar-salotto che per non fa comunit,
ciascuno vive a suo modo la relazione con gli altri.
Non paradossale che il punto privilegiato della privacy sia la piscina, situata
sulla direttrice ville-ristorante-mare: punto segreto e punto di visione. Luogo
obbligato di passaggio verso la spiaggetta, eppure spazio di nascondimento.
Trovo qui in piscina il momento pi vero del mio bisogno di privacy: vivere la
riservatezza, avvertire lintimit dellessere esposta, senza pareti e paraventi, nella
pura naturalit. Qui la nudit una grazia: non in relazione al vestiario e
neppure alla traiettoria dello sguardo degli altri.
Mi veniva da pensare che la privacy abbia a che fare con il furto, con
sentimento di colpa o di vergogna. Forse rimanda alla tana dei primati, alla
relazione sessuale esclusiva, al nascondimento delle provviste.
C una fantasia della preda: sentirsi cacciato e cacciatore.
Non conta solo lambiente esterno ma anche la relazione col mondo che sta
intorno. Non sperimenterei mai il nudo in una spiaggia affollata perch il corpo
vive unesperienza di volgarit: la scena popolare della messa in mostra,
lesposizione agli sguardi e alle profferte, la falsit del pudore guardone, gli
appetiti e chiacchiericcio della morale comune.
La volgarit data dalla relazione incontrollata con gli altri, dallo spazio
pubblico dilatato: il corpo al centro della scena, in un contesto di bagnanti, di
sdraie e ombrelloni. Ci che insopportabile il tempo di esposizione agli
sguardi. Mi fa paura la massa con intenti comuni, mi danno fastidio i desideri
anonimi della gente, lincontrollabilit delle sensazioni e perversioni. La folla
annulla tutti gli spazi e le distanze, fa massa ed pesante.
Alla prima colazione eravamo in sei nella saletta, un gruppo di tre, io e un
altro da solo, in una giusta dislocazione: tre vertici di un triangolo, il lato pi
corto era quello tra me e lui. Poi la famigliola and via e rimase un uomo e una
donna a sorseggiare un caff. Del triangolo rimasto un lato: separazione e
congiunzione di una donna sola e un uomo solo. Io sono qui, lui l, vicini e
distanti, e tuttavia complici: non sono una donna in attesa di corteggiamento ma
non escludo lincontro. Ogni tanto uno sguardo, ma lo sguardo ha un filtro che
rivela un modo discreto di vedersi e di essere visti.
Non si d privacy in aperta campagna: spazio indeterminato e pieno di
sorprese ostili. Spazio anonimo e perci ingovernabile.
Un corpo nudo sul muretto a secco della piscina di Pitrizza garantito dalla

riservatezza e nel contempo esposto alla comunicazione. Pu accadere che un


ospite, uno sconosciuto garantito, si imbatta lungo il percorso a lato della piscina
e osservi il mio corpo: pi che uno sguardo, una visione senza implicazioni
erotiche immediate. Il mio corpo non in mostra e perci esercita una castigata
seduzione.
Pitrizza ha come controcampo Zurigo. Ho un attico nella mia citt, da dove
posso vedere tutto e non essere vista da nessuno, ho la piscina, le lampade
abbronzanti e le creme, luce e tepore di serra. Ma tutto ci non crea intimit.
Clausura dorata e ansiosa. Il mio appartamento insonorizzato, ma non c
silenzio, a volte provo la sensazione di uno straniamento inquietante. Ciascun
ambiente fatto per me: la biblioteca e la sala di lettura, le tecnologie dellascolto
e della visione, la cucina robotizzata, la camera da letto alcova, la sala della
toilette e dellidromassaggio, eppure manca laura di una particolare relazione con
gli altri. E non perch non abbia amici o non possa avere amanti, manca un
rapporto di prossimit: quel taglio sottile tra vicinanza e lontananza. Tra
congiungimento e separazione.
La casa dentro la citt, posso difendermene ma non annullare le strade, i bus,
le banche, i market, le chiese e il parco. Il mio corpo e il mio animo appartengono
alla citt, non posso eludere i suoi effetti. Quando entro nellatrio, quando
prendo lascensore, non posso evitare gli sguardi, i saluti e i giudizi secondo
labitudine dei luoghi comuni.
Qui a Pitrizza il mio corpo posato sulla pietra, in diretto rapporto col sole,
con lacqua, col vento, col cespuglio: la castit del luogo complice della mia
nudit. Il mio corpo esposto a squarci di visione ma chi mi guarda non
padrone della scena.
La nudit non provocazione n esibizione. Gli ospiti sono discreti e raffinati,
sanno misurare la giusta distanza.
A Zurigo non controllo lo spazio del mio attico perch spazio attraversato
dalla citt, ingovernabile e super governata, che definisce socialmente il mio
status sociale e disperde la mia identit.
Il verticalismo del palazzo sembra garantirmi lo spazio del cielo, lelevazione
una fuga di sicurezza, ultimo piano vuol dire che non c nessuno sopra di me,
eppure quando guardo la citt dallalto non la domino, uno sguardo disperso. E
poi tutti nel condominio sanno di me, del mio status e del mio ruolo. Ne ho una
gratificazione perch il verticalismo una metafora dominante della realt socioculturale zurighese: competizione, dimostrazione, classificazione, ma subisco
anche il peso di un coinvolgimento non voluto.
Lo spazio di Pitrizza orizzontale, non competitivo. La selezione degli ospiti
garantita: garanzia spaziale e culturale.

Nella realt metropolitana la relazione col corpo di indifferenza e di rapina, e


dunque leffetto quello di difesa o di aggressione. Lerotismo metropolitano non
conosce privacy, nel gioco delle relazioni sociali, nella selezione degli incontri,
nella convenzione dei ruoli: sarebbe perversione se mi cercassi un amante di
occasione nel parco o nella strada.
A Pitrizza nulla di tutto ci: posso giocare con la relazione senza essere
coinvolta, se mi legassi non sarei pi sola, sarebbe finita la mia privacy. C
riservatezza anche nella fantasia della scena amorosa.
A Pitrizza non tengo una contabilit del tempo. Provo la sensazione di un
rapporto di vicinanza segreta col tempo e con lo spazio. Dico a me stessa: sono
qui e sono qui proprio ora, in questo momento. Questa prossimit mi d un
senso dindipendenza dal tempo: il tempo sta con me, non preme e non mi
soffoca, non mi impone un ritmo esterno. Avverto che ho tempo in quantit
perch non ci sono scadenze, un tempo indiviso, nonostante la scansione della
giornata.
A Zurigo avvertivo il ritmo febbrile del tempo, in cui proprio per guadagnarlo,
lo perdevo. Nulla di pi angosciante del week-end: pi lottavo per allungare il
tempo e pi si accorciava.
Qui vivo un tempo alla deriva, come le onde del mare nel ritmo della risacca. Il
silenzio sa camminare allunisono col tempo: la pausa non riposo per recuperare
energie, il ritmo del tempo che ascolto come una musica.
Non ritorner a Pitrizza: nessuna esperienza di privacy ripetibile. Quando si
svela una scena, non la si pu pi velare: se vi tornassi mi riconoscerei, il gi visto
uccide ogni privacy. Viene meno la fantasia della messa in scena.
Cercher un altro luogo e un altro tempo per trovare la mia privacy: un altrove
per unaltra scena.
Di queste pagine di diario far dono a Battista: una provocazione ma pu
essere anche un contributo per la sua tesi di laurea. Certo, so gi che non
condivider nulla di questo mio scritto. Mi sembra gi di sentire il suo giudizio
che risuona lapidario: La raffinata recita di un teatro immaginario. Ma potrebbe
essere anche pi severo: Una pagina da decadentismo estetizzante o peggio
Unesercitazione intellettualistica.
Quando mi ha ricevuto allaeroporto, appena gli ho detto che avevo prenotato
due settimane allHotel Pitrizza, con la sua simpatica espressione sarcastica mi ha
sussurrato: Ah, vai nellovile dei pastori! Oh, la figlia della borghesia finanziaria
svizzera che va a vivere nella societ primitiva! Avvisa la reception affinch ti
sveglino alle tre del mattino per la mungitura, fatti dire dove sono gli attrezzi e
soprattutto dov il gregge delle capre.

Il sarcasmo un tratto del suo carattere profondamente buono e sensibile. Io


ridevo alle sue parole e lo invitavo a venire a trovarmi per fare il formaggio
insieme e poi la ricotta che avremmo potuto vendere al mercatino di Porto
Cervo. Ma lui non stava al gioco linguistico delle battute, proseguiva con ironia
rassicurante: Stai tranquilla, una capanna con aria condizionata e ha pulsanti
servizievoli per qualsiasi necessit, non ti accorgerai neppure che falso lovile,
falso il primitivismo, falsa la natura vergine. E gi le battute sulla natura
vergine alludendo beffardamente che nelle campagne sarde non ci sono puttane,
e infine persino la barzelletta sulla pura lana vergine che d garanzia al cliente
di una lana che non proviene da capre bagasce. E cos tutto finito in una risata,
secondo il cameratismo universitario.
In verit con Battista non ci siamo trovati mai daccordo sul fenomeno del
turismo gi da quando studiavamo il metodo di ricerca per le tesi: la mia sui
Caratteri economici e culturali del turismo montano, il caso St. Moritz, e la sua
su Turismo e pastoralismo in una comunit sarda.
Quando legger il mio scritto dir che la privacy la contorta psicologia
dellurbanizzazione soffocante e della calca della societ industriale. Be,
certamente la privacy sarebbe improponibile nello stazzo della solitudine dei
pastori. Altre volte mi ha riferito che il padre, quando sincontrava con altri
caprari, si faceva una mangiata di parole, tanto erano assetati di scambiarsi le
nuove prima di rientrare nel mondo del silenzio. Mi aveva raccontato che mai un
pastore osserva unalba o un tramonto per goderne esteticamente, perch per lui
la natura il territorio da vivere e sperimentare nel corpo, non un paesaggio da
contemplare; ma io gli dir che ho goduto di albe incantate e che ho visto
tramonti di una dolcezza riposata e a volte struggenti nellesplosione di colori, e
se il capraro non si mai immerso in questo mare, io mi sono sentita rinascere a
contatto con questa acqua salutare che mostra il fondale nella sua trasparenza.
Quante volte a Milano, Battista mi ha ripetuto le tre categorie che connotano
lideologia turistica smeraldina: il naturale, lestetico, lastorico. E subito
formulava la sentenza: Il naturale non la natura, lestetico non larte,
lastorico la cancellazione della storia degli altri. E io a ripetergli che oggi la
natura una costruzione, il prodotto di una cultura e che lestetico un dovere
dellarchitettura e dellarredo, un ritaglio naturalistico, un artigianato sapiente, e
che il turista la storia la fa nel suo luogo di residenza e di lavoro, mentre nella
villeggiatura vuole solo rilassarsi e divertirsi. Le infinite discussioni terminavano
con una domanda inquisitoria: Secondo te, il turista, come uomo, trae
arricchimento dallesperienza della vacanza o questa per lui una parentesi
vuota? C un incontro tra culture differenti, un confronto di esperienze?
Si arrabbiava quando io gli rispondevo: Certo che si arricchisce, gode del pi

bel mare dEuropa, del sole pi luminoso e della rena pi bianca, non ti sembra
una ricchezza? Il turista un assaggiatore di specialites visive, tattili e gustative.
Quando gli dir che lesperienza di Pitrizza mi ha arricchita, gi vedo il suo
sguardo beffardo: Acquisita, sei la perfetta turista smeraldina, anche tu vieni a
goderti una terra miracolosamente dimenticata, a percorrere metri quadrati di
felicit e per intanto ti porti dietro tutta la tua cultura zurighese, anche la tua
privacy viene da Zurigo, daltronde bastano due ore di volo per raggiungere il
pi vicino dei posti fuori del mondo. Pitrizza ti piace perch vivi due settimane
fuori del mondo, io invece ci vivo tutto lanno nel mio mondo, senza incantamenti e
senza finzioni.
Allora si riaprir linfinito discorso su che cosa sia il turismo e Battista mi far
la solita domanda: Ma il turismo tour, cammino e ricerca oppure punto di
arrivo di pecore matte? Ed io continuer a sorridergli accusandolo di
moralismo e gli sussurrer lo slogan pubblicitario: La Costa Smeralda il pi
vicino dei posti fuori del mondo.

Capitolo 15

La chiesa Stella Maris di Porto Cervo addobbata a festa per il matrimonio di


Ester e Jonathan, rampolli della borghesia finanziaria svizzera. Caterina rivolge lo
sguardo allaltare adorno di orchidee, ammira labito bianco della sposa
inginocchiata su una predella damascata, poi volgendo gli occhi alla folla degli
invitati simbatte nello sguardo di un uomo che gira il capo esplorando
larchitettura della chiesa. Per un momento gli sguardi sincontrano con sorpresa
e interesse reciproco. Un sentimento che perdura per tutta la messa, poi nel
trambusto degli auguri quando tutti si accalcano intorno agli sposi, Caterina pu
vederlo in pienezza: gli occhi di acqua marina, i capelli castani che sfumano nel
biondo, un corpo armonioso, una camicia bianca, sbottonata sul collo e pantaloni
neri stretti sulla vita. Unespressione di sorriso con una piega sulla fronte che
sembra rivelare una sofferenza superata, come se la vita lo avesse provato per
uscirne vincitore. Un cenno di saluto nellespressione degli occhi quando
capitano insieme a fare gli auguri agli sposi.
Nel ritrarsi dallo scalino dellaltare, lei appoggia sbadatamente il piede sulla
punta della scarpa di lui: nellimbarazzo delle scuse il suo volto gentile scaccia
ogni nube di disappunto e le porge la mano presentandosi.
Insieme discesero dal promontorio della chiesetta verso il porto per
accompagnare gli sposi allo yacht che era pronto per il viaggio nuziale.
Caterina parlava di s perch voleva sapere di lui, che per era pi disposto
allascolto che alla parola. Ma intanto rivel che era da una settimana a Porto
Cervo in compagnia del fratello con lo yacht, attraccato al porto dei panfili e che
sarebbero partiti per le isole Canarie di l a qualche giorno. Caterina avvert un
brivido e sent il tempo restringersi comprimendole la gola. Non ebbe pi
interesse ad ascoltare che proveniva da Lugano e che se ne allontanava spesso
oppresso dalle valli chiuse da monti incombenti. Amava la dolcezza del lago ma
cercava spazi di libert nelle distese del mare.
Gli sposi entrarono trionfalmente nello yacht, un tenore inton un canto
daugurio accompagnato infine dal coro degli invitati. Lui prefer non entrare,
voleva passeggiare con Caterina lungo il pontile indicandole il panfilo di famiglia.
Nel camminare con indugi e sospensioni, a un tratto egli si ferm, si mise di
fronte a lei, le prese le mani e con aria dimbarazzo le disse che non avrebbe

partecipato al giro delle isole della Maddalena, preferiva stare con lei e poi
insieme a cena nel panfilo. E precis: Uno spuntino per ascoltare musica. Una
folata di luce illumin lanimo di Caterina preso da un vortice di felicit. Rispose
subito che ne sarebbe stata felice.
Lappuntamento alle ore 22 nella Piazzetta di Porto Cervo. Troppo lunga
lattesa per Caterina che era gi in zona ben prima dellora dellincontro a
guardare le vetrine nelle viuzze del borgo. Si avvicin appena vide lui che aveva
occupato un tavolino nellangolo pi appartato.
Guardavano il porto dei panfili, lentrata di qualche yacht, la linea del mare.
Caterina ogni tanto guardava lui che incantato esaltava la bellezza del luogo. I
momenti di silenzio predominavano sulle parole ma per Caterina stare insieme
con lui era tutto.
Quando giunsero allo yacht, il fruscio delle bandiere cantavano un inno alla
luna che tracciava sul mare la strada della felicit. Il brillio castigato delle luci
suggeriva unatmosfera incantata.
Trepida la sensazione di essere soli, lui mise una musica soffusa di una
dolcezza malinconica. Seduti sul divano, parole e silenzi. Caterina avrebbe
desiderato scrutare quel corpo ma non osava per timore di rompere
lincantesimo. Pi che uneccitazione avvertiva una sensazione diffusa di piacere
che non si raccoglieva in un punto preciso del corpo ma si propagava dolcemente
nelle membra, con un languore che aveva lievi fremiti. Cercava il suo sguardo, lo
incontrava per un attimo e lo perdeva. Non le sembrava opportuno usare le
astuzie della seduzione che aveva imparato a esercitare negli incontri smeraldini.
Laffascinava latteggiamento di lui che aveva una premura affettuosa ma anche
una lontananza enigmatica. Gli sguardi si incontrarono e rimasero fissi, lui si
port le palme della mano al volto, le strinse sulle guance coprendosi gli occhi, le
fece scivolare sul mento, le appoggi sulle ginocchia, fece un lungo respiro,
spalanc e socchiuse gli occhi poi spost il corpo nel divano verso di lei e le sue
ginocchia toccarono quelle di Caterina. I suoi occhi vagavano sul suo corpo.
Caterina abbandon il capo sulla sua spalla. Lui la cinse con le braccia attirando a
s il corpo. Caterina cercava la sua bocca ma lui rimase fermo come se trattenesse
il respiro. Una pausa infinita. Lei con le sue mani scarmigli i suoi capelli. Le
labbra si incontrarono in un bacio estenuato, dolcissimo. Caterina voleva
allungare questo tempo di sospensione in un piacere che veniva da lontano, era
presa da onde lente come lespandersi della marea. Ma lui ansimava in scatti ora
dolci ora violenti. Lei sent il sangue confluire nel ventre e poi irradiarsi
nellintero corpo, lui ansimava contraendo nella gola lamenti di passione, nel
vortice di uno spasimo che esplodeva in un singhiozzo di angoscia felice.
Entrambi sincontrarono in un furore di fremiti e scosse, precipitando in

unaffannata felicit.
Il ritmo dei respiri si allung in un dolce languore, unestasi serena che
conservava la sua forza nella spossatezza dei corpi. Lui scivol esausto a lato e
accarezzava i capelli di lei, li annodava e li scioglieva, Caterina gli stringeva la
mano a intermittenza al ritmo di una musica soave.
I due corpi stavano distesi sul tappeto morbido in una comunione di
sentimenti che le parole non osavano interrompere.
Allimprovviso, un brivido di freddo pensando che lui sarebbe partito
lindomani. Caterina sopprimeva il sentimento duro della realt perch la
partenza era scritta nel destino ma era convinta che quellarcangelo avrebbe fatto
ritorno. Le aveva raccontato di isole lontane e del desiderio di tornare in queste
acque smeralde, le aveva parlato di rocce affioranti e di acque esauste nei litorali
di altre isole. Ma lei era convinta che non avrebbe mancato lappuntamento del
ritorno.
Lindomani Caterina era gi al porto ben prima dellora della partenza. Lei e
larcangelo erano in piedi in silenzio sulla banchina. Stavano di fronte, lui sollev
lo sguardo verso il cielo e con gesto misurato allarg le braccia, le port al collo,
sganci la catenina di oro bianco, la tenne sollevata verso il cielo come se
officiasse un rito, abbass le braccia e cinse al collo di lei la catenina, lagganci
mormorando un augurio come pegno del suo ritorno. Quella catenina era la
corona della promessa, diceva di un abbandono e di un legame, forse erano i
grani a contare i giorni del rientro e dellabbraccio.
Tra i cavi di ferro e lo sventolio delle bandiere del mondo, il suono della
chiglia, galleggiante in un ballo sonnolento, annunciava la partenza e il distacco.
Lacqua sciabordava nella scia che rigava il mare. Caterina seguiva con occhi
tremolanti lalbero delladdio e della speranza mentre la schiuma si ricomponeva
a poppa.
Nel cerchio del destino le cose dovevano compiersi: quelluomo conosciuto nel
fondo della notte era un eroe che lasciava un vuoto ricco di promesse.
Oltre lorizzonte lei continuava a inseguire il percorso invisibile quasi fosse
una traccia da imprimere nella memoria: augurava approdi felici sperando che
ogni approdo non raccontasse una storia damore. Ma il suo arcangelo non era un
narratore di storie, navigava per la sua dolce inquietudine, per ascoltare il respiro
delle isole.
Il giro del mondo circolare e il cerchio si chiuder con un ultimo approdo in
Costa Smeralda: di questo era convinta.
E intanto lestate si spegneva in un tiepido autunno attenuando il ritmo
affaccendato delle vacanze smeraldine e le voci rimandavano echi di lontananza.
Al risveglio, in unalba di autunno, Caterina avvert una sensazione

sconosciuta, come se il corpo volesse svelare per sintomi un mistero. Spalanc le


finestre per un bisogno di aria.
Il sorgere del sole allorizzonte apparteneva per met al mare e per met al
cielo. Un raggio di luce sembrava staccarsi, come una saetta, e colpirla
illuminando la sua mente, messaggero di un annuncio sconvolgente: il mistero
dolce e angosciante di essere incinta.
Allimprovviso due masse di nubi, una bianca che proveniva dalloriente e una
nera dalloccidente, si scontrarono nel suo cielo. Dal mare veniva il frutto
meraviglioso dellamore, dalla terra quello avvelenato del peccato.
Lombra nera veniva dal paese di Arzachena e annunziava un dramma che non
poteva essere evitato: negava il miracolo dellamore e affermava la colpa dello
scandalo.
Laccusa senza appello: Caterina Solinas ha fatto il salto!
Il salto lo chiamavano in paese, quel salto nellabisso che appartiene solo alla
donna, marchio incancellabile della vergogna, disonore della famiglia e della
parentela.
Sentiva la voce correre per le strade del paese, entrare nelle case, risuonare
nella piazza, appiccicarsi alle labbra strette delle donne e risuonare cupa nel
giudizio della gente.
Vedeva scendere nella casa paterna lombra pi scura dove rimbombavano
lurlo del padre e il lamento della madre soggiogata da una pena angosciante.
Davanti a s la condanna: madre impura, figlio illegittimo, marchio per tutta la
vita. Persino il diritto di madre le sarebbe negato: la donna che ha fatto il salto
nubile e vedova a un tempo.
Il paese le appariva come un cerchio con orbite di occhi assassini e il silenzio
urlava un giudizio inappellabile.
Caterina dette le spalle allombra cupa della terra e guardava lapertura del
mare: larcobaleno univa gli scogli di Porto Cervo con isole lontane brillando di
fosforescenze palpitanti. Le onde del mare portavano messaggi di augurio.
Immaginava il suo ventre a cupola come il forno del pane e lo esponeva alla luce
del sole nascente e lo trasfigurava nellarcobaleno. Larco e il baleno. Fu
abbagliata dal desiderio del figlio meraviglioso.
Tutti gli ostacoli le parvero superabili: era pronta ad affrontare il mondo
intero. Non voleva nascondere lesperienza dellamore come fosse una vergogna.
Era giunto il suo tempo di avvento. Gi dopo lincontro con lui, con
larcangelo, era uscita dal giro degli appuntamenti smeraldini. Le sembravano
vuoti, giochi di compagnia ormai privi di interesse. Non cera pi bisogno di
inseguire limmagine del suo corpo, ora sentiva il suo corpo vero, pieno di vita,
tutto intero nella sua pienezza. Leros era nel suo ventre.

Non c pi il tempo vuoto degli infiniti intrattenimenti, ogni sera alla ricerca
di novit, assaporando gocce di dolce veleno nei mille fiori dei locali del
divertimento.
Le avevano suggerito di togliere il selvaggio alla sua pelle con la volutt delle
creme e ravvivare il colore delle sue guance pallide, le avevano inculcato
lossessione delle palpebre e delle sopracciglia. Le amiche di avventura, come
esorciste della modernit, volevano togliere lombra che accompagnava il corpo e
che dicevano essere unimpronta della sua terra natia. Le suggerivano di rompere
il legame con la rigidezza del suo passato e sciogliersi nellacqua smeralda. E
quellombra che volevano eliminare scomparve davvero ma entr nel suo corpo e
vi giaceva inquieta, non pi visibile. Cos abbagliata dalla luce artificiale passava il
tempo alla ricerca del suo tipo che doveva essere gentile ed elegante, ricco e
ballerino. E intanto assaporava il piacere del corteggiamento nel fare esperienze
di uomini e saperne di pi del loro corpo e del suo.
Aveva imparato da Sonia, lamica di Bologna, a sentirsi padrona dello sguardo
esangue di un corteggiatore e misurare la libido del corpo mettendo in atto
giochetti di destrezza in ragionate resistenze e finti abbandoni. Doveva
accumulare in fretta le esperienze per riempire il vuoto degli anni trascorsi nello
stazzo.
Ora sorrideva pensando alla linea della vita che sembrava la misura di tutte le
cose, sorrideva perch il piccolo rilievo del ventre annunciava gloriosamente il
pancione della gravidanza, dilatazione di un dono meraviglioso e protezione di
un tesoro misterioso: il cerchio della vita come misura dellinfinito.
Lincontro con lui non era avvenuto nel giro della serata di avventura, era nato
in luogo sacro, nella chiesa di Stella Maris, in occasione di un matrimonio che
sempre augurio di eventi felici.
Un altro vento soffiava da Arzachena: il vento malo della sventura. Sentiva le
voci: Caterina Solinas ha il passo pesante, non sola e non ha marito, usa abiti
larghi ma non rilievo che possa nascondere, finge di camminare leggera ma non
peso che possa occultare.
Le parole diventavano pietre acuminate. Lombra della pancia si proiettava nel
paese. La notizia della gravidanza illegittima aveva toccato un nervo antico della
comunit.
Ormai era avviato il rito della vittima sacrificale. Le erinni chiedevano sacrifici,
innalzavano lamenti per aumentare le pene. Glielo hanno ben arrotondato quel
ventre piatto! Come far a indossare quella camicetta di seta per mostrare i
capezzoli appuntiti ora che gli diventano turgidi per allattare il bastardo!
Le donne di Arzachena dicevano che Caterina aveva cercato il baratro e lo
aveva trovato, anzi precisavano che il baratro era lei stessa.

Questa colpa che si sconta vivendo: colpa originaria, senza riscatto. colpa
che risveglia il volto feroce della gente perch stata violata la legge non scritta
delletica sociale.
Quante volte Caterina aveva sentito dire che non si pu costituire comunit
con la donna libera e che la maternit regolata dal matrimonio.
Aveva sentito in chiesa, ma anche dagli avvertimenti della zia che quello della
donna un corpo da controllare: un corpo ciclico, in un perenne moto di marea.
Corpo fluido, in continuo mutamento: ha unesperienza organica del flusso del
sangue, del ritmo del tempo. Ha un taglio non ricomponibile, insensata ferita del
sanguinamento. Occorre regolare la sua sensibilit: recepisce gli influssi della
luna, acquatica e parla con le anime dei morti.
Le ripetevano che bisogna imporre la ragione della legge al mistero del corpo
femminile, regolare le passioni.
Il sangue della donna impuro, mistura proliferante, sostanza primigenia,
creativa e contaminante, che chiede la purificazione.
Il fuoco della donna fuoco dentro, magma incandescente che ribollisce ma
che deve rimanere compresso e incanalato nei giusti percorsi della legge.
Se lasciata libera, la donna salta i muri dei campi, una cavalla senza briglia
che pascola pascoli estranei e beve a tutte le fonti. Per porre fine allerranza e
allinquietudine bisogna attribuirle una dimora, una casa, una famiglia e un
calendario sociale di obblighi.
Caterina non voleva essere soggiogata dal peso della tradizione, sentiva una
grande forza dentro di s ed era pronta a combattere contro tutti: non era il
risentimento che lanimava, era lamore che le mostrava un altro orizzonte. Il suo
sguardo non era rivolto al passato, mirava al futuro, alla venuta del figlio
meraviglioso.
Con sguardo tenero esplorava dolcemente il suo corpo e sentiva la presenza
misteriosa del suo amore.

Capitolo 16

La decisione fu presa: dir alla madre che incinta, la madre trover il modo di
dirlo al padre. Con proposito fermo, Caterina rientr ad Arzachena, entr in casa
con passi decisi come se dovesse urlare un annuncio, vomitare un segreto
incontenibile.
Il padre stava per uscire, si stava assestando il borsalino per trovare la piega
giusta verso destra. Lannuncio le rimase in gola e rientr nelle viscere. Il padre
rispose al saluto e usc chiudendo la porta dietro di s.
Era un pomeriggio sonnolento e sbiadito che si animava nella casa per
lintenso odore di lievito: la madre stava estraendo dal forno la prima teglia di
biscotti con mandorle macinate e uva passa.
Dal corridoio annunci la sua presenza, entr in cucina con aria di meraviglia
e abbracci la mamma tenendo in mano un dolce. Un profumo antico creava
unaria di festa.
Grazia Mura introdusse nel forno altre due teglie ricordando un antico rito:
Vuoi che ti faccia la bambina di pasta? Ormai sei grande, ti ricordi il volto
della nonna quando faceva la bambola di pasta per te? Con la punta del coltello
imprimeva gli occhi nel cerchio del viso, ritagliava le gambe e le braccia e con la
lama faceva un taglio sulla pancia: incantata assistevi allopera e laiutavi a
metterla sulla pala di ferro per linfornata. Ne usciva un idolo con il volto roseo,
con la pancia piena come se dovesse partorire e tu lavvolgevi con un panno e te
la stringevi al cuore e, dopo aver giocato a fare la mamma, iniziavi anche tu uno
strano rito. Prendevi la bambina di pasta con una mano e le dicevi: Come sei
buona, quanto mi piaci e staccavi con un morso una gamba e poi laltra e dicevi:
La mia bambina, la mia stedda e mangiavi le braccia, Oh, poverina, vieni dalla
tua mamma e staccavi la testa, La mia stedda, ecco adesso sei al sicuro nella
pancia della tua mammina. Noi ridevamo e tu subito chiedevi alla nonna unaltra
bambina di pasta per giocare ancora a fare la mamma. Quando ti sposerai e avrai
una stedda, anche tu le farai una bambina di pasta, anche se oggi ci sono le
bambole da comprare che sembrano bambine vere e sono anche vestite in
costume sardo.
Il racconto della madre aveva messo in moto un flusso di sentimenti che
proveniva dallinfanzia ma investiva con violenza la sua condizione presente.

Forse era il momento opportuno per confessare il suo segreto, anche se


rovinava quellatmosfera dincantesimo che regnava in cucina.
La madre metteva in forno un dolce, Caterina guardava la pasta crescere e
indorarsi. Il mistero buio del forno era pieno di luce.
Non ebbe il coraggio di annunciare direttamente il suo segreto e allora invent
una metafora: Non far la bambola di pasta, far un cavallino a mio figlio per
vederlo correre a briglia sciolta per i sentieri dello stazzo e lungo la spiaggia di
Capriccioli.
No, preferisco una bambina, ribadiva la madre, in vecchiaia ho bisogno
di dolcezza, i maschietti sono sempre in fuga in cerca di qualcosa e poi ho tante
cose da insegnare a una nipotina.
Sulla panca cera il pane che lievitava sotto teli di lino. Madre e figlia
sembravano due sacerdotesse in attesa del responso delloracolo. Era il momento
dellannuncio.
Caterina, che aveva preparato un lungo discorso fatto di premesse e di
giustificazioni, sbott improvvisamente: Mamma, attendo un bambino, e
guard intensamente gli occhi della madre sorpresa dallo sguardo penetrante, e
gli sguardi si incontrarono e rimasero sospesi e le parole sembrava che
chiedessero tempo per essere interpretate.
Una pausa infinita e subito: Sono incinta!
Lannuncio in Grazia Mura ebbe leffetto di unilluminazione di luce piena e
nel contempo di unoscurit totale, unambivalenza di gioia e di angoscia. Lo
sguardo luminoso che Grazia aveva gettato sul grembo della figlia si ritir in fuga
e si inserr nelle sue viscere. Le sembrava di ascoltare un suono di campane che
alternavano squilli di festa a tocchi funebri. La gioia le veniva dal cuore, dal suo
ventre di madre, lombra proveniva dal compito gravoso di dare lannuncio al
marito e dallo scandalo nel paese.
Sapeva che la sporcizia della maldicenza si sarebbe ammucchiata intorno alla
casa e le mosche vi avrebbero deposto le loro uova.
Guard la figlia con tenerezza fissando il suo grembo poi riabbass lo sguardo
sulla linea scura del tappeto e mormorava a se stessa: come dirlo a tuo padre!
Era stata sempre intermediaria sapiente di situazioni difficili e nunzia
accomodante di tristi vicende ma stavolta non trovava fili per una tessitura e
neppure per fare un rattoppo a uno squarcio.
Invano cercava parole di mediazione: lei che pure conosceva il respiro tra filo e
maglia, lei che sapeva amministrare lintervallo tra silenzio e parola.
Eppure aveva imparato ad attenuare la violenza delle parole e spogliarle del
velo dellira per renderle mansuete al ragionamento, con sguardo di dolcezza
sapeva smussare anche le acutezze della voce alterata del marito. Si confortava

pensando che anche la critica del paese avrebbe messo la ruggine e le mascelle
delle malelingue si sarebbero stancate di mordere.
Caterina avrebbe voluto gridare al padre che nellamore la sua vita apparteneva
solo a lei e che era decisa ad andarsene via di casa. Era pronta a difendere la sua
libert ma sapeva che le sue parole si sarebbero bloccate in gola davanti al giudice
severo della figura paterna.
La figlia nubile appartiene al padre, custode della sua verginit e garante di
fronte a chi verr per domandarla in sposa. Solo per linea femminile poteva
comunicare i suoi sentimenti, i maschi sono custodi rigidi della tradizione nel
controllo della sessualit femminile.
La tradizione aveva il peso del tempo, Caterina sentiva questa gravit che la
opprimeva e voleva sottrarsi a questo passato schiacciato su se stesso, pronta
anche a sostenere lurto del tribunale della parentela e delle voci giudicanti della
comunit.
Riascoltava le parole della madre: Sai di che pasta fatto il paese! e allora
sentiva come se gente e case fossero un ammasso di pasta lievitata di odio,
putrefatta di rancore.
Grazia Mura meditava sulle possibili soluzioni: a lei labilit del tessere aveva
insegnato come si fa lintreccio e come si pu disfarlo.
Rifiut lipotesi dellaborto anche se in paese cerano le donne esperte. Farla
sposare con un altro avrebbe incontrato il rifiuto deciso di Caterina, trasferirsi
nellappartamento acquistato a Sassari per il periodo della gravidanza e del parto,
ma comunque sarebbero dovuti ritornare col bambino in paese. Erano espedienti
per difendersi dalle critiche della comunit. In verit per lei avere un nipotino era
la gioia pi grande ma voleva aiutare la figlia nella solitudine di un mondo
avverso.
Caterina invece non si sentiva sola, aveva dentro il ventre linfinito
accompagnamento e lamore per il suo arcangelo era sempre pi intenso. Quando
le si presentavano i volti feroci delle donne giudicanti ribatteva: Non battete le
mani sulle ginocchia perch in me non c il male, non c la morte, c la vita; le
parole che vomitate contro di me, rimangiatevele nel profondo delle vostre
viscere. S, parlando sempre degli altri, non avete vissuto la vostra vita, le parole
scomposte invece di arricchirvi vi hanno impoverito. Avete passato il tempo
spiando il passo falso degli altri ma voi siete rimaste ferme con le gambe
rattrappite, i vostri occhi che credono di vedere lontano, osservano immagini
dentro la vostra stessa caverna. Io non sono presa dallangoscia ma dalla felicit
dellattesa. Voi condannate allespiazione e al lutto perch non conoscete il tempo
di avvento. Io salgo su un monte, non discendo nel precipizio. Nel campo
guardate i papaveri rossi e non vedete la viola, non sentite il suo profumo. Il mio

arcangelo ritorner, ma non per saldare il conto di una colpa ma per chiudere il
cerchio dellamore. Mi volete prigioniera nella tomba della casa e io invece uscir
in giro per disperdere al vento le vostre parole, per confondere i vostri sguardi.
Mi avete definito capra, si vero, capra come Nevina, la capra prediletta del
gregge che saliva sulla rupe, guardava la vallata e il mare per affermare la sua
libert.
Caterina aveva comprato un abito che segnava il dolce rilievo del ventre. Il suo
volto esprimeva una gioia vissuta dentro.
La madre cercava il momento pi adatto per dare la notizia al marito e a come
arginare lurto, magari erigendosi lei stessa allinfuriare impetuoso per fare riparo
alla figlia. Quasi proteggesse la casa stessa perch quella disgrazia in famiglia
richiamava subito limmagine della casa abbattuta.
Ricordava quando gli aveva annunciato lattesa del primogenito: la sua felicit
era tutta presa dal mistero del ventre femminile. Ora quel ventre della figlia era
una mina che avrebbe squarciato anche la rupe di Monte Moro.
Lannuncio fu un tuono, Priamo Solinas le parole le ingoi come un peso
insopportabile che fece nodo in gola e poi nelle viscere. Il soffitto si abbass su di
lui come un uccello nero, unombra che oscurava la mente, la stanza, la casa.
Stette a fissare la pietra del focolare per lungo tempo, gli sembrava che dal
camino, senza fuoco, uscisse del fumo nero che dichiarava al paese lobbrobrio
dellumiliazione; poi chiese alla moglie chi fosse il padre, per riparare allo
scandalo col matrimonio. Quando seppe che era un turista svizzero vide
oscurarsi ogni orizzonte. Lonore abbandonava la casa, ormai tomba per tutta la
famiglia. Come faremo a uscire di casa e mostrare il volto alla gente!
Lautunno era gi inverno, la notte seguiva alla notte.
Caterina attravers la piazza per recarsi in chiesa alla messa cantata: la messa
della festa che consacrava la prima uscita delle coppie dei fidanzati per rendere di
dominio pubblico levento.
Per una donna sola, senza marito, non ci sono lanci di grano auguranti n
musica di piatti di porcellana che sinfrangono sul selciato.
Gli occhi della gente convergevano come frecce sul corpo di lei che procedeva
leggera col suo dolce peso. Per lei pronosticavano la morte in parto per espiare il
peccato e restituire al neonato la sua innocenza. Volevano farne una pana, la
donna morta in parto, condannata a lavare i panni del figlio nel fiume per sette
anni e per sette anni ancora se fosse stata disturbata nellespiazione della sua
condanna e perci pronta a lanciare maledizioni contro gli avventori. Ma
Caterina scacciava i tristi presagi con uno svolazzo di gonna e procedeva
ricambiando il sorriso di uninfiorescenza che esplodeva su un albero del sagrato
mentre gli sguardi la inseguivano sino al portone della chiesa e si ritiravano

scandalizzati.
Entr in chiesa e incedeva come una regina, orgogliosa della sua gravidanza e
tutta compresa nella sua intimit. Con sguardi obliqui le donne la destinavano al
sacrificio. Chi recitava il rosario ebbe un inciampo della parola.
Avrebbero voluto vederla alla prima messa, quella delle vedove, con in capo il
velo della penitenza, tutta compunta nel canto del Miserere e invece la scostumata
era in piedi al centro della chiesa e si voltava a sfida verso le navate laterali. Il suo
sguardo non era rivolto alla Madonna dei sette dolori ma alla Vergine
dellAnnunziata che dice s allangelo Gabriele.
Caterina si diresse verso laltare per fare la comunione, avanzava con un volto
radioso, con passo lento e cadenzato. Non sembrava un agnello sacrificale ma una
Madonna che rendeva grazie.
Le malelingue sorprese dallatto audace tacevano, furono quasi colte da
unimpossibile ammirazione.
Una pia donna mormorava: La miracolata fa un altro miracolo.
Le donne furono prese da un sentimento di maternit nel vederla incedere
come una dea nella sua felicit, anche se non riuscivano a capire come si fosse
riconciliata con Dio a causa del peccato. Lei stringeva tra le mani giunte la
catenina doro, pegno della promessa del ritorno del suo arcangelo. Pregava per la
sacra famiglia.
La mamma lattendeva in ansia, preoccupata che la figlia non fosse riuscita a
sopportare il peso degli sguardi ma quando la vide attraversare la piazza col volto
sereno e col passo sicuro ebbe un moto di tenerezza. Laria pulsava di luce.
Quando lamore illumina la vita, anche lombra, imprigionata dalla luce, filtra
in raggi di filigrana.
Caterina sgranava un melograno lungo la spaccatura da cui gi ridevano i
chicchi di un rosso cupo quando allimprovviso avvert le prime doglie. Accorse
la mamma che chiam una donna esperta, il parto fu sollecito, la felicit piena del
figlio meraviglioso: un maschietto per essere navigatore, per essere capraro.
Il volto della puerpera rivelava unintensa espressione di castit, perch ogni
madre sempre vergine.
Grazia Mura entr nella stanza con un vassoio di dolci e con la tazza delluovo
sbattuto.
Al primo strillo di pianto del bambino entr nella casa una folata di luce che
illumin i mobili da tempo oscurati. Cadde lo scialle del lutto che pendeva
allentrata della casa. I raggi del sole mettevano in rilievo i ricami del tappeto con
le sue tinte calde. Il vaso smaltato mostrava venature di colori. Una brezza
leggera frugava negli angoli pi segreti. Gli specchi riflettevano la luce

illuminando le pareti. Una donna del vicinato ha portato fiori con parole
daugurio. Nel giardino gli uccelli tenevano pagliuzze nel becco, presi dallamore
del nido. Cera unaria di musica, nella casa era sopraggiunta la sonorit del
tempo nuovo.
Anche Priamo Solinas avvert questo annunzio di festa. Aveva sentito lo strillo
del pianto della nascita: gli ricordava memorie felici e risvegliava timori presenti.
Non volle vedere il bambino, trascorreva le ore nel chiuso della sua stanza o
nella cantina a risistemare ripetutamente le cose. Ma il pianto del piccolo suonava
come una musica felice che illuminava il suo cupo mutismo.
La moglie gli diceva: Se venuto al mondo, nella nostra casa, vuol dire che
questo bambino doveva esserci, forse un altro miracolo, lo sai che a noi
capitano i miracoli. Fra qualche anno al piccolo racconterai del cinghiale del
demonio e di Rosina e Bandulera che a cornate difendevano i capretti dalle volpi.
E gli dirai che sono cose vere, anche se lui le ascolter come fiabe. Quando
crescer, diventer un capraro e avr una barca con un albero pi alto
dellolivastro.
Eh, lascia perdere le fantasie, le cose vere non sono racconti, sono ferite che
lacerano la carne pi del coltello, rispondeva il vecchio.
Tutto col tempo guarisce, anche lo squarcio sulla coscia che ti ha aperto la
zanna del cinghiale solo un ricamo sulla pelle. Vieni, vieni con me.
Grazia Mura lo prende per mano e lo conduce nella cameretta del bimbo. Il
marito un po riluttante ma gi si trova davanti alla culla, getta uno sguardo
furtivo verso quella creatura estranea, eppure familiare.
Lo vedi quanto bello, lu steddu, ha il tuo nome. Il nome rimbalz nella
stanza, usc dalla finestra, fece il giro del paese e torn a casa per confermare la
discendenza. Quel nome che gli sarebbe sembrato blasfemo, entrava purificato
nella catena della famiglia e della parentela.
Guarda, ti rassomiglia, carne di tua figlia, sangue tuo. La parola sangue
lo turb perch sangue una parola maschile, indica la discendenza per linea
maschile e rimanda al padre: richiam lombra di quello sconosciuto che aveva
disonorato la figlia. Ma la nube si dissip davanti alla luce che proveniva dalla
culla.
Grazia Mura prese il bimbo in braccio e invitava il marito ad accarezzarlo, gli
prese la mano e lappoggi sulla guancia del piccolo. La bocca e il mento hanno
preso dalla nostra parte, sono i tuoi, accarezza il tuo primo nipotino, la gente
noter che gli hanno dato il nome del nonno.
Grazia si pose di fronte, sollev il bambino tenendo una mano sulla schiena e
una sul collo e loffriva in dono al marito.
Prendilo, tienilo, sentilo

Priamo si schermiva esitando: Non so prendere bambini piccoli, non so


tenerli in braccio
Non vero, tu sai tenere con dolcezza anche agnelli e capretti appena nati,
tieni e glielo adagi sul petto. Lui lo prese imbarazzato e lo cullava
muovendo le braccia a strattoni mentre lo guardava con occhi incerti, che si
addolcivano.
Grazia lo riprese ma sapeva che quel contatto avrebbe addomesticato la sua
rudezza e dissipato la sua resistenza. Quel corpicino avrebbe sciolto il suo corpo
e ravvivato i moti dellanimo: una scintilla avrebbe acceso il cuore del marito. E
gi vedeva il bambino saltare sulla groppa del nonno e cavalcare fiero e felice, e il
nonno gli costruiva un cavallino di ferula per scorrazzare nelle vie del vicinato, in
attesa di farne un cavallerizzo e un cacciatore di cinghiali. E lo vedeva correre per
la casa sbattendo le porte e accovacciarsi nel canestro di asfodelo e nascondersi
dietro la tenda per sorprendere la mamma. E quando la sera cadeva dimprovviso
nel sonno sul grembo della nonna, essa non avr il coraggio di smuoverlo per
metterlo nella culla.
Priamo si chiuse nella sua stanza, dette un giro di chiave per stare solo con i
suoi sentimenti: si chiama Priamo il nipotino, e quel nome gli pareva impresso sul
corpo del bimbo come il marchio di famiglia inciso sul fianco del vitellino. I
sentimenti lo pungevano come spine di tiria ma nellesplosione dei loro fiori
gialli.
Be, se si chiama davvero Priamo non potr fallire il bersaglio della testa del
gallo interrato. Gi lo vedeva ragazzo per insegnargli come stare in sella con la
schiena diritta e lespressione altera del volto e come tirare la briglia della cavalla
nella processione di Santa Maria per farle inarcare il collo e farla camminare di
traverso per riprendere poi landatura cadenzata: allora la gente avrebbe
mormorato con meraviglia che quel ragazzo era davvero il nipote di Priamo
Solinas. E condurlo sui sentieri di mirto per mostrargli il giaciglio del cinghiale e
quello pi leggero della volpe, e raccontargli la storia del cinghiale del demonio
per rassicurarlo che il diavolo non esiste perch lha ucciso lui, in una notte di
luna.
Caterina, dopo il parto, non attese un mese per la prima uscita da fare in chiesa
per purificarsi, secondo lantica tradizione che imponeva a ogni puerpera di
riconciliarsi con lecclesia, con la comunit dei figli di Dio.
Ritorn nella villa, voleva annunciare al mare il lieto evento: la voce correva tra
le onde e giungeva nelle isole pi lontane. Cos larcangelo sentir la buona
novella e metter la prua verso la Costa Smeralda e vi giunger quando la
campagna sar ricoperta dalle roselline del cisto e la ginestra spinosa lancer

folate di colori verso il cielo. Allora una vela apparir allorizzonte.


Caterina scendeva in spiaggia allalba per affidare al mare i suoi messaggi,
imprigionava nel cavo della mano un velo dacqua come se rubasse segreti alle
onde che si ritraevano. Sognava e profetizzava.
Unalba chiara di giugno spingeva il piccolo Priamo nellaltalena che dondolava
come le onde del mare, poi mise il bambino a cavalcioni sul collo e additava una
barca invisibile che ritornava per un abbraccio infinito e invocava larcobaleno
per indicare litinerario e congiungere gli orizzonti. E nel sogno a occhi aperti
vedeva approdare la barca e volare sul sentiero verde dei mirti in fiore e giungere
nel giardino della villa.
Camminava sul bagnasciuga guardando le orme imprimersi sulla sabbia e
accennava passi di danza spingendo un turbinio di rena madreperlacea, poi si
appoggiava a uno scoglio e osservava con tenerezza la linea terra-mare, quella
linea delicata e fragile di comunicazione amorosa. Le acque lambivano
dolcemente il litorale, strisce di terra si distendevano nel grembo del mare. Storia
amorosa fatta di tenerezza: il salino entrava negli stagni, la dolcezza dei fiumi si
scioglieva nellimmensit del mare. Linea delicata e fragile perch taglio di
separazione e tramite di ricongiungimento: il gioco damore delle maree
raccontava il mito del distacco e il desiderio dellabbraccio.
Caterina sentiva la nostalgia del corpo che aveva conosciuto nella notte di
agosto fino alle luci dellalba, sentiva carezze di mani vellutate e si contorceva e si
acquietava. Lo vedeva scalzo, silenzioso, con i calzoncini verdi e la maglietta
bianca con i bordi azzurrini, i capelli morbidi, gli occhi trasparenti, il volto
darcangelo dallo sguardo assorto. Sentiva il pulsare dellamore, la presenza e il
mistero della carne anche nella sua assenza.
Torner da isole sperdute perch ogni isola dice di una lontananza, o forse
partir dal lago di Lugano, incassato dentro pareti di monti. Lascer quella terra
chiusa, quelle acque assetate di profondit che scavano la valle: tombe dellabisso,
acque dal buio fondo. Preso dalla nostalgia e dalla passione torner e lo yacht
getter lancora sulle sponde di Monti di Mola. Egli certamente sar preso
dallinfinito desiderio del figlio.
Caterina teneva tra le braccia il bambino, metteva i piedi in acqua, poi se lo
stringeva al petto e lanciava in cielo uno spruzzo augurante verso lorizzonte.
Faceva un cerchio sulla sabbia e vi rinchiudeva il tempo della promessa e
dellaugurio. Le onde che sinfrangevano sulla riva annunziavano messaggi da
decifrare.
Al largo dellisolotto di Mortorio transitavano barche che venivano da lontano,
alcune facevano una virata verso il porto dei panfili, altre avevano ancora tante

miglia da fare. Caterina ricordava la profezia della maga: Quando lui giunger, i
gabbiani si alzeranno nel cielo in una festa di voli e poi lo precederanno verso il
porto, le acque saranno calme e sorger unalba di luce.
Nellattesa, Caterina la notte sognava lintimit con lui e allalba era vigile
perch da un momento allaltro avrebbe visto lalbero della felicit solcare il mare.
Chi posseduta dallamore vede chiaro il tempo a venire. Ecco lannuncio:
lascolto di un battito di vela.

Capitolo 17

Una sera, nelle pieghe di nubi oscure, Priamo Solinas intravide Fulana, per un
attimo. apparsa la sua figura sfilacciata in un cielo di abisso. Quando anche
solo il baleno del suo volto compare allorizzonte, vuol dire che
inesorabilmente entrata nel cerchio pi ristretto della tua vita.
Nel gioco tempestoso dei cumuli nembi non si poteva distinguere se fosse
vicina o lontana. La sua presenza delimita lorizzonte ma la distanza non
misurabile, n il suo passo calcolabile.
Fulana si muove nel mistero del tempo, per dire che tutte le cose le
appartengono. Avanza per cerchi concentrici, scivolando come una biscia e
restringendo gradualmente il campo. Quando giunge allultimo cerchio si ferma
per prepararsi allattacco, allora luomo a tiro. Lagonia una lotta, corpo a
corpo.
Ti sei messa in cammino verso di me, ma non sar breve il tuo viaggio. Ti ho
riconosciuto, lo dovrai fare pi volte il tuo giro. Perch vuoi anticipare il corso
del mio destino? Non ti chiedo di attendere per assaporare unultima gioia n per
lenire un dolore, ma per dare una risposta a una domanda che mi tormenta. Ho
ancora bisogno di tempo per capire la svolta della mia vita, solo un po di tempo,
non molto, sono a buon punto, mancano ancora pochi conti, non tarder a
chiuderli. Mi devi rispettare come io rispetto te, altrimenti il tempo che mi
occorre te lo strapper con le unghie. E nel corpo a corpo sentirai il mio alito e
io sentir il tuo.
Tu non mi cogli alla sprovvista, io sono vigile e ancora so maneggiare il
pungolo con la lunga correggia per sferzarti come faccio con i buoi e tenerti a
bada. Ho braccia robuste per agganciarti alla cintola e lottare avvinghiati e
rotolare lungo il pendio sino alla fontana.
Perch hai fretta? Non sei tu forse maestra nellintrattenere il tempo? Neppure
tu puoi far nulla contro il destino. vero, la parabola della mia vita sta per
toccare terra ma c ancora un breve tratto.
Cosa credi che non ti riconosca? Certo, sei sempre una sconosciuta, eppure ti
ho incontrato altre volte.
Una mattina di primavera ti ho visto riflessa negli occhi di Bonara, la capra

solitaria che cercava virgulti nel pendio scosceso e precipit nel burrone. Quando
lho raggiunta mi guardava agonizzante con i suoi occhi dolci, implorando aiuto,
lho accarezzata e il suo collo si distese inerte. Allora ti ho visto per un attimo
riflessa negli occhi della capra e subito sei scomparsa. Quando te ne vai, lasci un
vuoto perch la tua presenza riempie il mondo.
Ho conciato la pelle di Bonara per raccontare la sua storia.
Ti avevo conosciuto a ventanni, alla vigilia della festa di Santa Maria che
sognavo per un anno intero. Il patto della felicit con mio zio: a lui la vigilia, a
me il giorno pieno della festa, perch il bestiame non poteva essere lasciato solo.
E quella festa era attesa, desiderata, pensata e mi ero allenato al tiro della miria
per colpire la testa del gallo interrato fino al collo, e per confermare con uno
sguardo il sentimento verso Grazia che sarebbe diventata mia moglie.
Era lalba della vigilia: il ponticello di travi sconnesse, indebolito dal torrente
in piena, non ha retto al passaggio e zio Paolo stato inghiottito dal tumulto
delle acque. Abbiamo ripescato a valle il corpo gonfio, labbiamo ricomposto in
un telo e il suo volto gi prendeva le sembianze di maschera dove ho
riconosciuto te. La notte precedente aveva notato la stella dentro la falce della
luna ma pensavo che il malaugurio riguardasse le barche sballottate dalle onde.
Ti ho visto nella lingua di fuoco che ha carbonizzato mio cugino nellincendio
che si spento in mare: le fiammate lo hanno sorpreso nella fuga lungo il sentiero
della valle. Lingua di fuoco, falce inesorabile gettata dalla tua mano maestra
nellarte della mietitura.
Aspetta che io concluda i conti, manca il totale.
La mia vita era la famiglia, il lavoro e la festa, poi tutto cambiato, linfinita
ricchezza: n lavoro n festa. Devo capire la mia vita per accettare la morte.
Io non appartengo alla gente smeraldina che prende la vita per gioco: quella
gente che puoi cogliere di sorpresa, per gioco e neppure se ne accorge perch
senza difese, vive listante e tu la puoi prendere allistante. Costoro vanno leggeri
sulla terra ma io ho un corpo pesante, radicato come le pietre di Monti di Mola.
La mia vita lho sempre capita fino alla svolta, poi mai pi, e avrei capito anche la
mia morte, ora ho bisogno di tempo, pochissimo tempo.
Vita e morte sono parole levigate dal tempo, ciottoli arrotondati dalle ricorrenti
piene del fiume. Da bambini prendevamo cinque ciottoli rotondi per il gioco
della mano, secondo il ritmo: gettavamo le pietruzze per terra per racchiuderle in
un colpo nel cavo della mano, allora il male era esorcizzato e la vita assicurata.
Era cos semplice essere padroni della vita! Ora la vita me la porto addosso e le
sue tracce sono impresse sulla pelle.
Sono successe cose che non ho avuto il tempo di chiarire. Ero abituato a
distendere la mia vita come una pelle di capra sul pavimento dello stazzo,

immaginando il futuro ancora arrotolato, con speranza e sospetto.


Da quando c stata la svolta del tempo, la vita acqua che scorre fuori dal
letto del fiume, farina male impastata, pasta non lievitata, formaggio non
stagionato.
Tu li capisci questi discorsi e se non mi vuoi ascoltare, il fischio con cui
richiamo le capre capace di richiamare il tempo che mi vuoi rubare. La mia
ombra non coincide ancora col mio corpo.
A Priamo Solinas pareva di aver trovato un accordo con Fulana, anche se essa
si nascondeva nelle pieghe del tempo. Daltronde nessuno come lei sa attendere
che le cose si compiano.
Li ho quasi conclusi i conti, ci sono dei numeri che non riesco a mettere in
colonna, chiedono di essere sottratti, ma della vita nulla pu sottrarsi.
Tu sei linnominabile cos puoi terrorizzarci, ma noi ti abbiamo dato tanti
nomi : Falci missatoggya, Maladitta, Ventulera, Umbra niedda, Stragna, Sola sola,
Cumpritogghja, Miserere, e tanti altri. Te li abbiamo dati per scoprire i tuoi
travestimenti e cos abbiamo preso confidenza con te, anche se rimani
unestranea.
Ti credi onnipotente e invece anche tu scompari con me, siamo pari, non ci
sono pi io e non ci sei pi tu. Ma il mio nome rimane, c un nipotino che si
chiama Priamo, tu non lo conosci perch non ti appartiene.
Ti ricordi quando mamma ti rimproverava: Sei sempre in agguato, non hai
altro da fare! Non ti vergogni di rubarmi una bambina di cinque anni, remitana!
E mia nonna quando urlava contro di te perch ti eri portata via la nipote a
ventanni: Scostumata, ti piace la carne morbida, mia nipote ventenne! Ladra del
tempo, non sei buona ad altro che a rubare e non ti sazi mai.
Manca il totale, forse non possibile fare bene i conti quando la vita stata
sconvolta dal miracolo o forse il mistero si svela proprio nellattimo della morte.
Non ho pi parole da dirti, tu mi hai insegnato a tacere e ad ascoltare, ma il
silenzio ancora vita.
Che cosa vedo?
Sulla collina, cervo, capra o muflone?
Nella valle, vedo mia madre raccogliere bacche di lentisco, come se sgranasse
un rosario. Forse ricomparsa per indicarmi la strada.
Eccole, le capre mi attendono per condurmi lungo i sentieri di erica e fillirea.
Non c bisogno di portare con me un fazzoletto di fave per Rosina e Bandulera:
il cielo un grande stazzo dove c tutto in abbondanza e le capre danno latte per
tutti. E la tina dellacqua sempre colma, come la madia del pane.

Ora, forse, ho capito: non c mistero da svelare, la vita stata come doveva
essere, secondo il destino.
Quando prendi laltro capo del filo ti accorgi che il nodo fa parte della fune.
Anche la tela del ragno un ricamo della vita e della morte.
Lavevo gi pensata la morte e mi ero preparato a sentire il velo denso sulle
palpebre oscurare la luce, proprio prima di scorgere il sentiero del tempo
interrotto.
Quando Fulana mi ha fatto lultimo cenno, ho detto ai miei cari: Spegnete il
fuoco, tutto ormai compiuto, non coprite le brace con la cenere, tanto lalba
non verr no, no, coprite le brace sotto una montagna di cenere, custoditele,
cos al mattino potrete dire: Ci ha lasciato il fuoco acceso per la nostra giornata.
Mi preparavo per una discesa nellabisso e invece salgo sulla collina per
spiccare il volo. Rosina e Bandulera, le mie belle capre, hanno gi imparato a
volare, mi stanno ai lati e mi fanno cenni. Eccomi, sono pronto. La stanza stata
liberata da tutto ci che mi teneva legato alla vita, la finestra aperta.
La luce sta diventando unombra chiara che copre le tenebre.
lora: il taglio, la piega del tempo, appena un sussurro come un alito
contratto, una nenia lontana, una scia di luce profonda. N memoria n
dimenticanza.

Capitolo 18

Che cosa rimasto? Il canto. La poesia era sprofondata nellabisso di luce ed


ombra con Priamo Solinas per fare esperienza del mistero, poi riemersa per
rifugiarsi nella conca di granito.
Ora danza nellalba di Monti di Mola e penetra laria della sua risonanza.
Parole dombra e parole di luce.
Spande brandelli di versi, tracce di ascolto, alla ricerca di un nuovo poeta che
sappia prendere al volo i versi per un nuovo canto.
Un uomo seduto sul bordo della fontana dissecata, col capo tra le mani
appoggiato sulle ginocchia.
Allimprovviso lacqua rifluisce dal grembo della terra e si fa specchio. Un alito
di vento fecondatore modula frammenti di poesia, si ode una voce dal fondo
abissale del silenzio. il viatico, lannuncio.
Luomo solleva il capo, mostra il suo volto di fanciullo e annuncia un canto
nuovo. Parole di pietra e parole dacqua. Nuovi virgulti spuntano dai tronchi
bruciati dagli incendi. Lune dacqua rilucenti attendono la tortora e gi sentono il
battito dali dei colombacci.
I versi dalla cresta della collina risuonano nel canalone fino al mare.
Il canto oscuro, nasconde e rivela.
Dice di una capra sgozzata sulla pietra fioraia della Piazzetta di Porto Cervo.
Sacrificio per quale divinit?
Un velo ha coperto mare e cielo. La capra giace sventrata, n aquila n volpe si
avvicinano.
Offerta insensata! Le cose non tendono alla trasparenza.
La pietra levigata dellarchitettura turistica si fa porosa e ospita semi portati dal
vento, su qualche fessura del muro cresce lombelico di Venere.
I muri delle ville di Porto Cervo hanno accenti di lanugine.
Il giovane poeta interroga il futuro e dice che nessun luogo pi provvisorio
delleden e annuncia altre forme di turismo: n eterno paradiso n valle
dellinferno. Dice che lacqua smeralda specchio di Narciso che riflette un volto
sconosciuto. Non c terra domestica n per il capraro n per il turista: ciascun
luogo da scoprire.
La poesia si libra sulla soglia della conca e rivela unamicizia tra Monti di Mola

e Costa Smeralda: quando le cose appartengono al tempo, procedono per


integrazione.
Impossibile isolare un singolo colore del fascio dellarcobaleno. Lantico e il
moderno: non c tessitura se non con due fili.
Echeggiano nomi arcaici e nuovi: Lu Stagnali e Cala Romantica.
Il poeta fanciullo rimprovera i turisti che, come lumache, portano con s il
guscio della propria casa per sentirsi a loro agio in ogni parte del mondo. Allora
improvvisa una ballata sullavventura del viaggio, sul rischio affascinante
dellincontro. Un turismo fatto di soglie: esperienze di transito e mondi da
esplorare.
Viaggio come taglio, senza biglietto di andata e ritorno, perch anche il ritorno
a casa propria svela un mondo nuovo.
Il poeta fanciullo percorre la spiaggia e ricorda linfanzia: ha memoria di
unaltalena e prova ancora lemozione dellattesa di un panfilo: lamore della
madre, lattesa del padre. Raccoglie conchiglie madreperlacee dalla rena bianca e
nelliridescenza dei colori legge le tracce evanescenti della vita marina. Il brillio
sussurra storie di violenza: gusci vuoti della sofferenza del mare, ributtati sulla
spiaggia con bagliori ingannevoli.
Il canto svela che la storia pi bella di un frutto non sta nel suo nocciolo ma
nella buccia, dipinta da unavventura di colori e sapori.
La metafora pi vera lalbero di corbezzolo che d frutti e fiori nella stessa
stagione: le campanule fanno musica ospitando le api per il miele amaro, le
bacche trascolorano dal verde al giallo per esplodere nel rosso rilucente.
La poesia canta un tempo nuovo.

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