Grafica
Nino Mele
www.imagomultimedia.it
2011, Edizioni Il Maestrale
Redazione: via Monsignor Melas 15 - 08100 Nuoro
Telefono e Fax 0784.31830
E-mail: redazione@edizionimaestrale.com
Internet: www.edizionimaestrale.com
ISBN 978-88-6429-194-9
Bachisio Bandinu
Capitolo 1
Il Principe navigava col suo yacht al largo delle coste nord-orientali della
Sardegna. Un pomeriggio di fine estate giunse in vista delle coste della Gallura:
una visione mirabile lo affascin. Cerchi dacqua smeralda entravano a
rinchiudersi nel grembo della terra. Le spiaggette ritagliate tra scogliere di granito
erano rosa come cerbiatti, anse inondate di luce, colori esaltati dalla trasparenza
del mare e dai riflessi delle rocce. La terra verde cupa della macchia mediterranea
era screziata di bianchi graniti stemperantesi nel rosa. Sulle cime delle colline,
cupole e castelli di rocce, creste resegate e massi cavi. Disegni, volumi, colori in
unarcaica solitudine. Il paesaggio era il tempo, un corpo geologico disteso nella
fissit preistorica. Nessuna presenza delluomo. Il cervo, il muflone e laquila, la
volpe, il cinghiale e il gatto selvatico; alberi di ginepro e di olivastro; arbusti di
corbezzolo e di lentisco, cespugli di erica e rosmarino.
Quella terra non era abitata dalluomo. Il Principe volle che fosse sua e la
chiam Costa Smeralda.
Priamo Solinas non sopportava questa favola turistica, una cantilena
mormorata dalle sirene del mare, da gente che osserva la terra dalla linea delle
acque.
La terra va misurata col piede e col passo, ripeteva, per sentire la pietra
affiorante e lintrico dei cespugli, per sentire la zolla indurita nel giaciglio della
notte al seguito del gregge.
Della terra il capraro conosceva il volto e il grembo, la durezza contorta del
ginepro che fa nodo per condensare il tempo, le radici del lentisco che si
insinuano nella spaccatura della pietra, la vena dacqua che sinterra alla prima
calura dellestate.
Il mare non ha radici n confini, si perde nella sua liquidit. infido perch
non di nessuno. Naviganti sbattuti nellabbraccio dellinsenatura avevano
raccontato dellinganno delle acque.
Sulla terra noi viviamo, insisteva Priamo Solinas alzando la voce contro
nemici immaginari, ed essa ferma, ha confini e ha un padrone.
E cos questaltra storia della terra miracolosamente dimenticata dove il
tempo si fermato!
Non si ferma il tempo, procede col suo ritmo inesorabile e accumula memoria
per dare senso alla vita. Il presente inquieto scruta quel tanto di futuro che tocca
la famiglia e lovile.
Monti di Mola si chiama questa terra ed terra abitata dagli avi e ha la memoria
della pietra, terra che racconta storie di eredit e conferma lunghe discendenze.
Qui ho conosciuto mio nonno, patriarca di queste cussoggj che raccontava di
suo nonno, compagno di Giuseppe Garibaldi nelle battute di caccia durante
lesilio di Caprera. Da millenni e ancora oggi il nuraghe Albcciu sfida il cielo e
la violenza della luce. I grandi massi, rivestiti di muschi e licheni, hanno preso i
colori del tempo.
Gli antichi abitanti della Gallura si recavano presso la Tomba dei giganti di Li
Lolghi e giacevano ai piedi della stele per i riti di incubazione, per ricevere nei
sogni i messaggi dei padri e per guarire da mali mortali.
Non basta incidere su una pietra il nome Costa Smeralda per cancellare la
memoria di Monti di Mola. Costa Smeralda nome dacqua e viene dal mare, dice
di un colore e di un approdo.
Monti di Mola voce che risuona nelloralit del tempo, rimbalza sulla cresta
delle rocce, sprofonda nellabisso della valle, sinterra nelle radici dellolivastro.
nome di terra, nato dalla qualit della pietra con cui si facevano le mole per
macinare il grano e per affilare le lame dei coltelli.
Monti di Mola, ripeteva il capraro rimarcando la sonorit delle sillabe e
sentendo la parola impastata di materia vibrante: leco gli restituiva la voce dagli
incavi delle rocce dove fanno il nido le civette e dove si allunga distesa la biscia al
sole di primavera.
Priamo Solinas portava le capre al pascolo dei germogli di mirto quando vide
veleggiare le barche dai lunghi alberi. Una barca si stacc dal grande veliero e
quattro uomini approdarono sullansa di mare, parlavano in italiano e in una
lingua straniera e facevano gesti come per delimitare un arco di costa e indicando
verso lentroterra il rialzo della collina. Il capraro stava nascosto dietro una
macchia di lentisco, ascoltava brandelli di discorso ma senza capire che cosa
davvero volessero e che interesse avessero per quelle lande deserte.
Degli uomini vennero dal mare e approdarono nelle coste della Gallura
portando fiori di loto. Fu stravolta la memoria delle persone e delle cose. Quella
terra della pi squallida povert fu scelta per costruire il paradiso turistico.
Egli aveva ascoltato i racconti delle vendite dei terreni, storie dingenuit e di
astuzie. Suo cugino Salvatore gli chiedeva consiglio sullopportunit di vendere i
terreni di Capriccioli.
Cinquanta milioni di lire mi vogliono offrire, una somma che fa girare il
cervello. Tu le conosci bene quelle terre di pietre e cespugli e senza acqua per
abbeverare il bestiame.
Se te la senti di vendere leredit, fallo pure, daltronde tu non hai figli
maschi e hai una certa et, su quelle terre non c futuro di famiglia e poco ti
verrebbe dagli affitti.
Mi sistemo per tutta la vita, potrei comprare degli appartamenti a Olbia e a
Sassari, far studiare le due figlie e vivere senza problemi.
Salvat, sei tu a decidere, ma non farti ingannare dal mediatore, se ti offrono
cinquanta milioni, tu devi chiedere di pi, puoi fissare il prezzo in ottanta milioni
o non se ne fa niente.
E se perdo loccasione! Non posso tirare troppo la corda.
Le terre stanno l, non si muovono! Sono loro che verranno da te.
In Arzachena le notizie delle vendite dei terreni si inseguivano in un gioco di
inganni e di fortune, chi non aveva saputo attendere, gi si pentiva, chi giocava
alrialzo temeva di essere escluso. Si era diffusa la notizia della vendita
dellisolotto di Mortorio, quarantotto ettari, per poco meno di quattro milioni di
lire, poche lire a metro quadro.
La gente si chiedeva quanto valesse un ettaro di sterpaglie e di pietre affioranti.
Un campione senza valore, eppure lofferta di molti milioni: una somma senza
misura per il capraro gallurese che aveva tutta leconomia domestica nel
ripostiglio di una cassapanca.
Era nata la metafora dei soldi portati dal vento di levante.
Il denaro era uno spiritello che percorreva i sentieri di euforbia e artemisia e
rimbalzava perturbante di stazzo in stazzo gettando una luce abbagliante sulla
collina che scende alle spiagge di perla.
Il paesaggio fu toccato da un incantesimo: le rocce di granito si trasformarono
in pietre preziose, gli scogli divennero statue, il mare si fece smeraldo, i cespugli
mandavano un profumo di erbe officinali. Un effetto di magia rese il mare
dolcissimo e il litorale divenne un susseguirsi di calette ritagliate ad arte.
Per il borgo di Arzachena serpeggiava una parola magica: li milioni, e unaltra
che incuteva persino timore, li milialdi. Priamo Solinas aveva sentito queste parole
sussurrate per le strade del paese, esorcizzate in chiacchiere sospettose nei bar e
nei negozi. Poi queste parole attraversarono le soglie delle case creando fantasmi
di luce e ombre di invidia.
Quant un miliardo? una cifra che procura sgomento perch fuori dalla
stima di una contabilit locale. Tremila anni di differenza separano la pastorizia
della sussistenza dalla raffinata economia del turismo.
Cos lo scambio avvenne nella dimensione del dono. I pastori credevano di
trasparente, porta con s delle ombre che offuscano anche la luce del sole.
Avvertiva con un senso di colpa il mistero del miracolo e ne attribuiva la
responsabilit al destino. Per attenuare il colpo di fortuna pensava che la sua vita
non sarebbe cambiata di molto e non avrebbe goduto spudoratamente della
ricchezza improvvisa.
In che cosa avrebbe potuto cambiare la propria vita!
Certo sarebbe cambiata per i figli e perci bisognava esorcizzare il malocchio
della gente. Per questo era pronta ad assumersi quella parte di tragico che si
nasconde dietro il miracolo.
Riaffior un ricordo di quando aveva ventanni, la sorella minore si era spenta
consumata dalla tubercolosi e nel dolore della perdita aveva sentito la frase di un
visitatore venuto per le condoglianze, che diceva a un amico: Adesso Grazia
lunica ereditiera di terre e case, davvero un buon partito. Lei pregava la
Madonna negando di aver desiderato leredit della sorella e confermando di
averla amata e pianta con grande dolore.
Allalba Grazia Mura vide il marito che stava indossando labito di campagna:
Stai uscendo? disse.
Non vado lontano, rispose Priamo con un tono di voce che non
ammetteva altre domande e affrettandosi a uscire.
Si diresse verso lo stazzo di Dario Azara, mormorando tra s e s versi sulla
terra promessa. Scelse un itinerario tortuoso per non essere visto dai pastori del
luogo ed evitare domande inopportune. Fece un giro largo per arrivarci dalla
parte del boschetto di querce da sughero. Da dietro un grosso albero guardava le
terre che sarebbero diventate sue. Le conosceva ma ora le ammirava facendoci
lamore. Prima insegu con lo sguardo i confini per abbracciare la terra nella sua
pienezza: quella terra era un corpo di donna, bello come sua moglie quando
erano sposi novelli. Lerba trascolorava dal verde al rossiccio e al giallo. Non era
quellerba terriccia di Monti di Mola, era erba per mucche, alta sino al ginocchio,
pastosa e nutriente. Ne seguiva il leggero ondulare quasi fosse un campo di grano
in attesa della mietitura. Poi seguiva la linea del fiume che scorreva lento sino al
crepaccio dove precipitava nel recinto degli orti e del frutteto. Tarre cu lu riu in
mezu mormorava e ascoltava le sue stesse parole, dolci come quelle
dellacqua e della terra. Osservava i peri selvatici che segnavano punti e
tracciavano linee disegnando una geometria che dava ritmo allo spazio della
tanca, alberi che gi pensava di innestare a pere, quella camusina di giugno e
quella tardiva di settembre, da legare in filari per durare sino a Natale e allanno
nuovo.
Aveva visto lazienda moderna di Samuele Colbu segnata da tubi dirrigazione
per avere lerba fresca anche destate. Immaginava i terreni della collina gialli di
Capitolo 2
nomi che depennava dalla lunga lista della storia delle famiglie e della comunit.
A ogni stazzo venduto attribuiva il prezzo pagato secondo la voce popolare e
scandiva i milioni di lire aggiungendovi il giudizio sullingenuit del proprietario
ingannato. Quelle terre che fino ad allora avevano raccontato storie di eredit
familiari ora echeggiavano nomi stranieri. Nomi nuovi che non si attaccavano alla
terra: erano come uccelli di mare che fanno giri di voli senza posarsi mai. I vecchi
nomi resistevano perch avevano radici e sembravano scritti col fuoco nel corpo
della terra stessa, eppure ben presto furono inghiottiti da un unico nome:
Consorzio della Costa Smeralda. Il nome nuovo impresse il suo marchio su tremila
ettari di terre, cancellando segni e nomi di unantica storia.
Intanto Priamo era giunto al suo podere, la cavalla si accost al muretto, al
cancello di rami dolivastro induriti al fuoco. Sollev il gancio, pass e lo richiuse
senza scendere da cavallo. Giunto allovile tolse la bisaccia e la sella e lasci libero
lanimale al pascolo. Entr nello stazzo come se fosse ospite ma subito lo trov
ancora suo. Si distese sulla stuoia e guardava il soffitto: le tre travi di ginepro, i
travicelli e gli assi e il tetto dargilla con le tegole sconnesse per fare uscire il fumo
del focolare. I muri screpolati facevano vedere i cantoni di granito legati con un
impasto di malta. Guardava le assicelle una per una, nei loro punti chiari e oscuri
e si fermava sullultima proprio sopra la porta che mostrava una chiazza bruna
che sembrava un ornamento, e la penultima che si assottigliava nellattacco al
muro. Una tegola rialzata dal vento e nera dal fumo faceva entrare qualche goccia
di pioggia quando la tempesta infuriava pi violenta. Al soffiare dello scirocco,
sulle aperture del tetto ristagnavano nuvolette di fumo che aleggiavano chiare e
scure in un dolce turbinio. Il libeccio ricacciava dentro cerchi di fumo per
affermare il suo dominio. Al maestrale le canne sconnesse fischiavano una musica
che si rinforzava disperatamente. A volte il fischio rassomigliava al suo quando
dal pianoro richiamava le capre, ma era pi variato e dolce. Il muro dalla parte
del forno faceva una gobba e presentava una fenditura. Guardava la madia di
olivastro e la tinozza di pero selvatico: bisognava portarle via in modo che nessun
oggetto morisse e la ruspa trovasse un tempio sconsacrato. Quella madia
trasfigurava limmagine della madre che lavorava lammasso di farina per il pane e
arrotondava con le mani la pasta di formaggio facendola girare fino a prendere la
forma di pera con il picciolo a stella. E lui bambino si specchiava sul paiolo di
latte come in un cielo. La forma di pera sembrava una mammella palpitante tra le
mani della madre che seduta su uno sgabello di sughero faceva arco sulla schiena
quasi a proteggere la sua creatura. E vedeva ancora la nonna mentre apriva la
porta e compariva con il recipiente dacqua sopra il capo tenendo con una mano
il corno della tinozza, inarcando le braccia e flettendo la schiena per appoggiarla
sopra le assi di olivastro. E ancora la madre che adagiava cerchi di pasta nellolio
e formule daugurio. Il fuoco avviava la sua musica col crepitio del cisto secco e
con la fiammella a candela del ramo di olivastro e con i sospiri del lentisco ancora
fresco. Uscendo dalla bocca del forno, il pane illuminava il mondo.
Erano squarci del tempo, vicini e lontani, ritmi di litanie ripetute con
struggente malinconia. La memoria sfumava in filamenti di nebbia poi i fili si
rimettevano a tessere per conto loro e inventavano trame nitide. A volte i ricordi
li inseguiva e, quando ormai erano scomparsi, si riaffacciavano senza chiamarli.
Capitolo 3
Laura buss alla porta, senza neppure entrare, Caterina era gi pronta per
lappuntamento dalla parrucchiera. Da Manuela recitava il cartello sulla porta. Una
donna di mezza et con un sorriso aperto e con i capelli a onde.
Avanti, avanti, eccomi sono tutta per voi, che meraviglia! Non vedevo una
treccia cos bella dalla mia infanzia in Romagna.
Mia cugina Caterina, disse Laura in atteggiamento di confidenza, ha
deciso di essere moderna!
Certo la treccia non si usa pi, acconsent la parrucchiera, la tagliamo ma
da conservare come ricordo importante.
No, non voglio conservarla, intervenne Caterina, non ho nulla da
ricordare.
Limmagine nello specchio le si presentava ingrandita e come se acquistasse
una certa importanza e le attribuisse una responsabilit. Al di l vedeva riflessa la
stanza dilatando gli spazi ed esponendola indifesa in una dimensione
incontrollabile. Avvert linsistenza delle forbici sulla treccia che appena recisa
sciolse i capelli a caschetto. Si senti spoglia, come smarrita, osserv sorpresa il
collo allungato che staccava la testa dal busto in modo spropositato.
Bene, disse la parrucchiera, adesso valorizziamo il bel volto asciutto con
una cornice di capelli vaporosi, ed esaltiamo il collo davvero perfetto, e intanto
le spostava la testa in su, poi a destra e a sinistra come se studiasse una statua.
Caterina gettava sguardi sospettosi ma gradualmente prendeva coraggio
compiaciuta dellacconciatura che a mano a mano si completava in un casco di
capelli mosso da pieghe dorate.
Eccoti, sei stupenda, concluse la parrucchiera, sei un figurino, a
passeggio stasera ti farai ammirare.
Caterina si guardava felice eppure con un vago turbamento: i capelli corti
rivelavano un volto nuovo con qualche sorpresa nel riconoscersi. Una leggera
linea di rossetto dava rilievo alle labbra strette, solo un accento di colore sulle
sopracciglia.
Appena fuori dalla sala, si rivolge a Laura con decisa volont di lotte e con aria
di trionfo: Questa la testa, ora tocca al corpo.
Voleva disfare quella rete di orbace tessuta in venti anni trascorsi nello stazzo
che la teneva prigioniera con le sue maglie strette. Disfare pi facile di tessere,
basta una smagliatura e tirare come per gioco il capo del filo.
La nonna ripeteva che per fare le cose ci vuole una vita, per disfarle basta un
attimo e faceva lesempio della morte che spesso non concede neppure il tempo
dellagonia. E il nonno a conferma diceva che per crescere un albero di ulivo ci
vogliono tanti anni, per abbatterlo basta un colpo di accetta.
Era con il corpo la battaglia pi tenace e il corpo era labito. Ci sono voluti
cento anni per conquistare pochi centimetri di nudit, dalla gonna della nonna
che copriva le caviglie sino alla gonna appena sotto il ginocchio della bella
giovent. E qualche breccia si era aperta sui colori, anche se fece scandalo la
prima uscita in piazza di una ragazza con le scarpe rosse. Labito contadino
nascondeva il corpo e lo conformava a fogge e a colori obbligati.
Per Caterina la rivoluzione avvenne nel pi lussuoso negozio di Olbia: il
passaggio dal rustico al civile.
Nella boutique la scelta cadde su un tailleur verde che brillava di primavera e che
le infondeva una sensazione di leggerezza, e su un altro rosso che la illuminava e
donava colore a un volto di antiche malarie. Ma il pezzo forte era labito da sera:
si guardava allo specchio combattuta tra la folle passione della serata di gala e
lombra di antichi tab. Capiva che quellabito lavrebbe spinta oltre i confini
della sua misura ma era pi forte la fantasia della comparsa esaltante nel locale
notturno.
La commessa del negozio la guardava con cenni di assenso e lassicurava che
quellabito le cadeva addosso divinamente e che faceva risaltare la grazia del suo
corpo.
Compr labito della seduzione.
Era stato troppo breve il tempo delle prove nella boutique, lesame sarebbe
continuato pi accuratamente davanti allo specchio della camera da letto.
Si apre la scena del monologo nel teatro del corpo e dellabito.
Caterina toglie dalla busta il tailleur rosso, stacca letichetta del prezzo, la tiene
in mano leggendo a voce alta la cifra, compiaciuta. Infila la gonna dalla testa,
contrae il respiro e laggancia stringendo il cerchio della vita. D uno sguardo
frontale poi di profilo con un moto di assenso. Indossa una camicetta ornata di
merletti, ne ammira le trame nere in filigrana e osserva il contrasto seducente col
rosso della giacca e la corrispondenza con il nero delle scarpe dal tacco
aggressivo. Eccomi, sono unaltra, sono io, e si acconcia i capelli con le dita a
ventaglio.
In un primo momento labito a interessarla, la foggia e il colore, ma ben
presto lattenzione rivolta al corpo, a come labito lo conforma. Allora inizia
una lunga battaglia.
Si avvicina allo specchio, lo sguardo diretto, punta gli occhi sul volto, sul
petto, poi si allontana di un passo, pi volte lo sguardo scende sino ai piedi e
risale fino alla testa. Ha uno scatto, si mette di profilo, fissa un fianco e fa un
cenno di disappunto, si assesta il cerchio della gonna, d un colpo sui fianchi con
le mani a coltello e approva contraendo le labbra.
Esce dal campo visivo e vi rientra a passi lenti, attraversa la luce dello specchio
ed esce dallaltro lato, rientra ancora osservandosi con sguardo obliquo.
nella sua vita, uno squarcio di cui non si potevano ricucire i bordi.
Una pulsione incontenibile sconvolgeva le viscere e invertiva il corso del
sangue. Eppure ancora persisteva quel velo di pudore che le impediva di
corrispondere chiaramente allo sguardo dellaltro e il rossore sul viso che
giungeva inaspettato dichiarava un resto del passato difficile da cancellare.
Caterina viveva il difficile passaggio dal tempo del telaio al tempo dello
specchio. Lora del telaio nello stazzo scoccava al crepuscolo quando, concluse le
faccende domestiche, iniziava il lavoro della tessitura. Le ore erano scandite dal
battito sordo del pedale e il movimento della navetta animava le mani al gioco
veloce dellintreccio.
Faceva da contrappunto la preghiera della nonna che recitava le formule della
liberazione dal male che terminavano con libera nos domine de morte repente e a
difesa dagli spiriti maligni invocava gli angeli schierati ai quattro angoli del letto.
La notte era un campo di battaglia tra potenze del bene e potenze del male. Il
Maligno appariva pi forte di Dio che lasciava campo libero ai demoni, come il
sole catturato dal tramonto lasciava che le tenebre invadessero il mondo.
La morte repente era il pericolo pi angosciante perch non dava il tempo della
penitenza per il perdono dei peccati.
Quando il telaio batteva lultimo tocco, nella stanza si avvertiva lo spessore del
silenzio: era lattimo di raccoglimento prima di recitare la preghiera liberatoria,
latto di fede e latto di dolore. Caterina ripeteva distrattamente latto di dolore
mettendoci dentro nella richiesta di perdono tutte le azioni e pensieri della
giornata. Latto di fede invece la impegnava in una testimonianza pi grande delle
sue forze. Certo, credeva in Dio padre onnipotente e in Ges Cristo suo unico
figlio e nello Spirito Santo ma bisognava credere anche nella Chiesa cattolica,
apostolica, romana, mentre lei conosceva soltanto la chiesa di Santa Maria di
Arzachena. E poi la impressionava la resurrezione dei morti che le suggeriva la
visione di tombe scoperchiate, n riusciva a dare unimmagine ferma alla vita del
mondo che verr.
Per fortuna cera lamen conclusivo che sembrava licenziare ogni parola e
chiudere definitivamente ogni responsabilit ma non allontanava le tenebre e il
male, loscurit e il peccato, il rischio della morte. di notte che si muore di male
oscuro.
Il crepuscolo in Costa Smeralda non portava langoscia delle tenebre,
accendeva invece lapertura gioiosa della notte che illuminava il palcoscenico del
drink e introduceva il divertimento del ballo sino allalba.
Tenera la notte a Porto Cervo ed piena di luce. il giorno a prendere le
sembianze della penombra in quelle mattinate che affondano nel sonno sino a
mezzogiorno. Nel bagliore delle luci notturne avvenivano gli incontri con gli
angeli biondi che venivano da terre lontane con i loro volti chiari: hanno
lapertura del sorriso che pure a momenti brilla di malignit ma vogliono il
corpo, non lanima, come invece i demoni nella notte dello stazzo.
Appare lontano, quasi cancellato ormai, il tempo vissuto nella fantasia del
ricamo quando preparava, come tutte le adolescenti, il corredo di futura sposa.
Allora lago e il filo avviavano limmaginazione amorosa. Il cerchietto del ricamo
era lo specchio del sogno. Tempo di avvento: lattesa della venuta del
pretendente, quando un giovane lavrebbe chiesta in sposa. Figurava pavoni sulla
tela intagliata, pavoni che tenevano sul becco fiori di orchidee.
Il ricamo tracciava litinerario del desiderio amoroso: ogni figura portata a
compimento sembrava abbreviare il tempo della venuta delluomo. Cos viveva il
percorso della profezia, vergine prudente, sempre vigile e accorta affinch non
venisse colta impreparata quando il suo cavaliere avrebbe bussato alla porta.
Chiss cosa le serbava il destino che limmaginazione colorava di rosa! Il
cammino dei desideri portava verso lignoto nellattesa di uno svelamento. La
speranza conviveva con il timore che rendeva misteriosa lattesa.
Nellonda dellimmaginazione continuava a ricamare lenzuola per sogni
damore di uno sconosciuto e tesseva coperte per adornare il letto nuziale che si
offriva intatto allincontro del mistero. E le tende di lino avrebbero filtrato lo
sguardo discreto della notte.
Ogni ragazza di Gallura conosceva la fiaba rituale della precunta: la richiesta di
fidanzamento. Il padre del pretendente sarebbe arrivato nella casa della prescelta
e avrebbe simulato lo smarrimento di una vitella chiedendo se lavessero in
custodia; il capo famiglia avrebbe risposto che non avevano visto alcuna vitella
smarrita, ma dopo una delicata insistenza mostrava una delle figlie per chiedere se
fosse quella, e, al diniego, mostrava laltra figlia: era proprio quella la vitella che
cercavano. Cos nasceva il gioco dellamore.
Quando le si presentavano questi ricordi, Caterina abbozzava un sorriso di
scherno: le sembrava un tempo morto quellattesa vana di un pretendente che
poteva non venire mai. Quelle tele ricamate in giornate senza fine venivano
sfilacciate dal vento del nuovo tempo turistico. Nei negozi di Olbia sono esposti
corredi di mirabile bellezza con ricami meravigliosi nei pi diversi colori.
Unesposizione di biancheria che annulla ogni tempo di attesa e si offre nella
dimensione del dono per soddisfare prontamente i desideri.
Labbandono dello stazzo le si ripresentava come un rituale cupo, senza
nostalgia, una memoria lontana, immersa in unatmosfera irreale. Teneva in mano
due pere di caciocavallo ancora grondanti di siero, appena uno sguardo alla madia
del pane e alla tinozza dellacqua. Lultima traccia di memoria era il pavimento in
terra battuta e il ronzio della porta che si chiudeva.
Capitolo 4
Caterina aveva la sensazione che il mondo intorno a lei girasse come una
giostra. La sua giornata prendeva il ritmo di un tempo accelerato, pur non avendo
nessuna scadenza, era stimolata da suggestioni e da desideri fluttuanti.
In famiglia ascoltava i commenti del fratello Battista che paragonava il paese a
una pelle di leopardo screziata di macchie oscure della tradizione e di macchie
chiare della modernit. Andrea riferiva ogni cambiamento alla nuova divinit che
era il turismo. La fila delle costruzioni si snodava lungo la strada verso il mare.
Uomini e cose volgevano lo sguardo verso il miracolo della Costa Smeralda. Le
povere casette del paese si alzavano al cielo per allungare lo sguardo. I colori
delle pareti, prima opachi e sbiaditi, esplodevano nelle tonalit di una tavolozza
impazzita. Ad Andrea che chiedeva di comprare terreni che sarebbero diventati
aree fabbricabili, il padre rispondeva che quelle terre non si sarebbero mosse
continuando a essere campagna.
Caterina non vedeva nel cambiamento unapertura per la sua vita nuova.
Dietro a quel movimento di soldi, di cose e di persone continuava a resistere una
mentalit tradizionale, come se la realt fosse avvolta in una rete. Le sembrava
che certe innovazioni producessero per contrappeso pi forti resistenze. Il
vecchio e il nuovo nellincontrarsi prendevano una forma ibrida che non mancava
di accenti comici.
Antoniccu, il neo ricco, indossava i calzoncini color aragosta e calzava i sandali
della farmacia ma gettava le gambe come se stesse andando allo stazzo per
mungere le capre. Carlo, un giovane miracolato dal turismo, con i capelli
impomatati e con le scarpe alla moda, passeggiando nella piazza, continuava a
inciampare sulla lastra sconnessa di granito, tenendo in mano un registratore che
gridava canzoni di Sanremo. Stefania scuoteva la testa per far dondolare gli
orecchini e con finta noncuranza sollevava la mano per mostrare lanello di
zaffiro.
I negozi mostrano vetrine nuove e addobbate ma non si pu offuscare lo
sguardo rapace di Samuele Soro ritto sulla soglia a giudicare i passanti con la
piega del suo naso. N si poteva far tacere la lingua maldicente di Agnese Pistis
che continuava a leggere la vita delle donne con il libro severo e angusto della sua
morale, e la signora Claudia, che aveva aperto un negozio di fiori laddove cera
una latteria e continuava a filmare col suo sguardo tutto ci che accadeva in
piazza per commentare beffardamente con le amiche.
Caterina non sopportava pi questo teatro degli sguardi e delle critiche e
insisteva presso la madre per la costruzione della villa al mare nel terreno rimasto
di propriet.
Battista era rientrato da Milano per prendere tutti insieme la decisione, Andrea
aveva preparato una nota di spesa, Caterina, ribadendo che la casa della donna,
aveva gi preso contatti con larchitetto che aveva costruito la villa dellamica.
Sulla scelta del sito aveva vinto lei: doveva sorgere proprio sul rialzo della collina,
nella piena visibilit, da dove lo sguardo potesse dominare Porto Cervo e lansa di
mare.
Larchitetto proponeva una villa di stile smeraldino secondo il gioco archettoscaletta-terrazza e nellevidente predilezione per gli effetti di colore. Caterina
prendeva confidenza con parole nuove, usava genius loci, en plein air, con
latteggiamento ostentato di un nuovo sapere.
Con le amiche parlava di tegole a canale ocra naturale e in riferimento al
camino precisava che era di tipo tradizionale mediterraneo con faccia vista in
mattoni e che bisognava coniugare il manufatto della villa con il cespuglio e
con la roccia, a regola darte, in un accostamento di forme e colori.
Non le piaceva lintonaco grezzo che era di moda come raffinatezza turistica e
neppure il muro rustico a pietra vista perch le suggerivano lantico che era il suo
passato troppo recente e che voleva cancellare. Larchitetto non riusc a
convincerla neppure a mettere vecchie travi di ginepro a decoro, come effetto
estetico. Quelle travi le avrebbero ricordato il colore e lodore annerito dello
stazzo. Non ci fu intesa neppure nellarredo. Larchitetto proponeva lartigianato
artistico sardo, manufatti di ginepro e castagno, di leccio e di ciliegio ma lei
optava per i mobili della Brianza. N era daccordo che nelle stanze i vuoti
predominassero sui pieni sembrandole spoglie e dandole lidea della mancanza e
della povert. Il pieno invece confermava labbondanza e testimoniava la
ricchezza. Aveva accettato il cespuglio incatenato nel cerchio dellaiuola, una
versione moderna che contrastava col sottobosco selvaggio dello stazzo, cos
come le era piaciuto il masso di granito come statua nel giardino.
Linaugurazione della villa fu la conferma della sua appartenenza alla trib
smeraldina. Caterina offriva dolci e spumante di vernaccia, prosciutto con melone
e scaglie di formaggio e bottarga. I complimenti brillavano nellaura della sala.
Aveva invitato anche sua cugina Agnese laureatasi a Roma, una ragazza moderna
che laveva aiutata nel periodo di ambientazione dopo labbandono dello stazzo,
laveva accompagnata dalla parrucchiera per il primo taglio dei capelli e laveva
consigliata nella scelta dei tailleur nei negozi di Olbia. La present alla nuova
Capitolo 5
Un pomeriggio di fine luglio Robert buss alla porta della villa. Caterina
laveva conosciuto da pochi giorni e aveva fatto con lui alcuni giri di ballo.
Battendo il martello della porta pronunci ad alta voce il suo nome con una
confidenza ingiustificata. Caterina scese le scale, sorpresa e preoccupata per la
visita inaspettata. La sera prima aveva osservato il suo corpo mentre lui ballava
con Simona. Un bel corpo slanciato, un viso aperto, unaria di sufficienza, sui 25
anni. Veniva da Amsterdam, lo yacht del padre era attraccato al porto dei panfili.
Caterina se lo trov di fronte con unespressione di massima naturalezza: Ti
ho fatto una sorpresa, lavevo in mente da ieri sera, dopo il ballo con te.
Lei era a disagio, fingeva gentilezza e ospitalit ma avrebbe voluto trattenerlo
sulla porta e uscire con lui in cerca degli amici. Ma Robert era gi nellandito,
fissava una riproduzione di Van Gogh e commentava con noncuranza: La
pazzia dellarte, larte della pazzia.
Caterina sentiva il peso di una presenza imbarazzante, ma ormai bisognava
stare al gioco. Robert era a suo agio, osservava un arazzo di Mogoro e tempestava
Caterina di domande complimentandosi per larredo. Caterina lo fece entrare nel
grande salone. Lo strano timore le pareva eccessivo e un po immotivato davanti a
un uomo che sembrava innocuo e senza mire. Comunque si sentiva a disagio: il
mistero di essere sola, nellintimit della casa, con un uomo appena conosciuto.
Riscopriva in s una mentalit del passato: un uomo e una donna, soli in casa,
un fuoco che pu accendersi.
Intanto Robert girava nella sala, toccava una ceramica sarda, si curvava per
osservare pi da vicino lincisione figurativa della cassapanca e ammirava il
quadro di donne curve che raccoglievano olive. Caterina lo guardava di spalle:
vestiva pantaloncini a bande azzurre che davano geometrie al bianco, la camicia
rigata di verde con i bottoni aperti sul petto e i mocassini bianco-azzurri. Per un
attimo aveva notato larco della schiena nellabbassarsi a osservare la parete
istoriata della cassapanca e aveva colto il suo corpo flessuoso.
Robert osservava e parlava come a se stesso e faceva domande senza attendere
risposte. A Caterina sembrava un tipo un po stravagante e distratto, non laveva
degnata neppure di uno sguardo, ma intanto si era tranquillizzata, anche se si
chiedeva il motivo di quella venuta.
delle parole, si distese sul divano poggiando la testa sul grembo di lei, muovendo
il braccio a spirale quasi avvolgesse le parole verso lalto. Caterina non ebbe la
prontezza di sottrarsi e alzarsi come avrebbe voluto. Era un gesto inatteso: le
sembr ingenuo e tuttavia insostenibile. Robert, tenendo gli occhi semichiusi,
continuava a recitare ricamando laria con le mani e con gli occhi persi sul
soffitto.
Caterina era rigida e sempre pi imbarazzata. Il capo di Robert muovendosi
nella foga della recita affondava sulle cosce di Caterina che teneva rigidi i muscoli
delle gambe per paura che un rilassamento fosse interpretato da lui come un
accondiscendere a qualcosa.
Lo sguardo distratto di Robert che ogni tanto, recitando, chiudeva gli occhi,
dette a Caterina il tempo di osservare il suo viso, le sue labbra che nel gioco della
declamazione sembrava mordessero dolcemente le parole e sbirci sul corpo
disteso sul divano con una gamba che faceva leva sul pavimento. Lo sguardo
ritorn fugacemente sul petto, sui rari peli chiari, la carnagione rosea, la camicia
che si era aperta mostrando il petto sino allombelico. Per un attimo gett lo
sguardo pi in basso ma subito lo ritir. Aveva bisogno di uninspirazione
profonda, liberatrice, per buttare fuori laria compressa dentro i polmoni. Ma
sarebbe sembrato un sospiro di desiderio o un affanno damore. Avrebbe voluto
sollevare la testa di Robert per chiudere la gonna che si era allargata scoprendo le
cosce e invece rimase immobile.
Robert aveva finito di declamare, prese la mano di Caterina e contava le dita
intrecciandole con le sue e stringendo i polpastrelli. Caterina sorrideva
forzatamente per stare al gioco ma notava che latteggiamento di lui stava
cambiando.
Robert strinse con maggiore pressione le dita e fece cadere la mano di Caterina
sul petto facendole fare una pressione poi si port la mano sulla bocca e la baci,
la riport sul petto introducendola sotto la camicia sino alla pancia. Caterina
avvert unonda di calore diffondersi nella schiena e allent la rigidit del bacino e
delle cosce. Per nascondere laffanno del respiro cominci a parlare pur di dire
qualcosa ma le parole le restavano impastate in bocca. Lui ebbe uno scatto e
cominci a baciare le cosce lisciandole con la lingua. Caterina avvert nel suo
corpo il furore di piacere che aveva invaso lui, sent che le resistenze del corpo
labbandonavano in balia di un tumulto che non aveva mai sperimentato. Lui si
inginocchi sul tappeto, sollev le gambe di lei stendendole sul divano. Caterina
sent il peso del corpo come una montagna, eppure leggero come una nube
avvolgente. Un turbinio di movimenti, di respiri contratti e di fremiti, avvert la
violenza della carne lacerata, trafitta dal dolore e dal piacere.
I respiri ansimanti ripresero il loro ritmo in una stanca quiete. Il corpo di lui
era inerte sopra di lei: lo sent come una massa pesante che la opprimeva, eppure
non voleva che si spostasse perch quel corpo testimoniava qualcosa di
straordinario, un evento incancellabile, come se lavesse segnata con un marchio
indelebile. Ma Robert si era gi scostato con decisione mentre lei lo tratteneva,
ebbe persino un gesto dimpazienza, e stava in piedi, senza pudore della sua
nudit, mentre lei rimaneva distesa, incapace di coprirsi. Robert infil le mutande
e i calzoncini, teneva la camicia in mano canticchiando con aria di indifferenza.
Caterina indoss la gonna e la camicetta e lo invitava a sedersi sul divano: aveva
bisogno di parlare con lui, per sentirlo vicino, come se ci che era successo avesse
bisogno di un lungo discorso, di un affettuoso stare insieme, quasi per consacrare
una giustificazione. Ma lui aveva un atteggiamento di distacco, quasi di
noncuranza.
Caterina si sent desolatamente sola come se il suo corpo fosse gettato
nellimmondezzaio. Tent ancora di invitarlo a sedere con una voce accorata,
quasi di preghiera. Siediti qui, vicino a me, parliamo Lui guard lorologio
e quasi fosse sorpreso disse a voce alta: tardi devo essere in banchina al
porto.
Ci vediamo stasera, disse lei, stiamo insieme.
No, stasera mio padre ha ospiti, d un party nello yacht.
Dritto sulla porta attendeva per salutare. Era come se la villa si afflosciasse e le
cadesse addosso e lei era una bambina sperduta tra le rovine.
Vai pure, vai pure se hai tanta fretta, corri sino a sperderti, soggiunse
sottovoce. Lui non avvert neppure la reazione, sollev il braccio in segno di
saluto e si accomiat con un ciao disinvolto.
Caterina sbatt il portone, rimase ferma, sent lo stridio delle gomme dellauto
ma le sembrava che lui fosse ancora ritto sulla soglia come una statua, fredda:
occupava tutto lo spazio con le braccia tese sulle pareti come se la chiudesse
dentro una prigione. Rimase inebetita a sentire il tempo, poi and a sedersi sul
divano, not qualche macchia di sangue sulla gonna, scrut il panno del divano e
si rassicur.
Si diresse in bagno e si mise sotto la doccia. Sinsaponava nellinguine
insistendo con ossessione, lacqua rigava il suo corpo che sembrava fosse
diventato estraneo poi aument il getto della doccia e cominci a frizionare le
membra prendendosi pizzicotti e assestando colpetti violenti e urlando: No, no,
no, non possibile, non possibile, come se niente fosse! Sentiva
unagitazione incontrollabile, voleva urlare e rompere tutto. Si mise davanti allo
specchio, si guard e improvvisamente fu come se il sangue avesse invertito il suo
corso.
Incominci a mimare una danza, con i capelli bagnati sulla faccia e cantava:
Eppure nello scorcio della piazza si sent attraversata dallo sguardo di Maria la
signora della critica che sembrava le sussurrasse malignamente: Te lo sei dato
non ce lhai pi il tesoro, ah, ah il tesoro, la miracolata piena di soldi ha perduto il
tesoro, ascoltate, ascoltate, ha perduto il tesoro!
Giunta a casa parlava e parlava continuamente, come se avesse paura di un
attimo di silenzio, quasi non volesse dare alla madre il tempo di una domanda,
parlava e chiedeva cose futili senza attendere risposte. E risciacquava piatti e
bicchieri che erano gi lavati e ripassava la spugnetta sul granito della cucina. La
madre, meravigliata, sorrideva: Eh, ti ha morso la tarantola ti presa la
mania della pulizia, guarda che non entrato limmondezzaio in casa!
Capitolo 6
E la sera andare a ballare perch il tuo tempo. Tutto questo potrai fare, ma non
puoi tradire la discendenza: cosa ne faccio delle terre piovute dal cielo, il sogno
dei miei avi, per queste terre ho venduto Monti di Mola creando un vuoto
nellanimo.
Priamo avrebbe continuato a lungo nella sua perorazione ma Andrea lo
interrompeva: Con lattivit turistica posso guadagnare dieci volte tanto quello
che mi darebbero le tue terre, nello stazzo il mondo fermo, in Costa Smeralda
tutto in movimento, persino gli scogli sembrano vivi, mutano e diventano
statue, c il mare che non riposa mai, persino le dune camminano. C gente che
arriva e parte da tutto il mondo. Sai chi cera ieri a Porto Cervo? Cera la sorella
della regina dInghilterra, Margaret e il presidente della Banca Mondiale. I dolci
che facciamo una volta allanno e i piatti della festa ci sono tutti i giorni, il
carrello dei formaggi unopera darte di profumi e di sapori. Il tuo formaggio
puzzerebbe sui tavoli del ristorante del Cala di Volpe.
Allora Priamo Solinas montava in collera: Il tuo cervello puzza ch te lo sei
giocato come latte acido, tu credi che la strada sia tutta in discesa, non sarai il
primo a sbattere il capo contro i muri che non vedi, sei sempre in volo e non hai
ali, guarda che anche gli uccelli che pure hanno le ali sbattono contro le pareti
delle rocce di Monti di Mola. Io mi chiedo a chi hai rassomigliato nella parentela,
sembri di unaltra famiglia.
Cos dicendo strattonava la sedia, batteva i piedi e si allontanava, tagliando
laria con lo sguardo, come la lama di un coltello.
Andrea aveva un rapporto affettuoso con la madre, con lei scherzava e si
confidava. Quando portava in casa le amiche smeraldine, le ragazze della Costa le
chiamava, ostentava le sue doti di corteggiatore. Grazia Mura le definiva ragazze
senza famiglia. Alcune vestivano abiti che sembravano camice da notte, altre
avevano la gonna cos corta che tanto valeva togliersela del tutto. Tenevano le
labbra sempre aperte, sembravano esibire piaceri smodati. Avrebbe preferito che
Andrea frequentasse le ragazze bene di Arzachena che stavano diventando
moderne ma senza grilli per la testa. La mamma mostrava il suo disappunto con
sguardi di rimprovero ma Andrea rideva e diceva: M, sono donne dacqua,
sirene del mare!
Andrea lo stiamo perdendo, ripeteva Grazia Mura al marito quando a letto
iniziavano i lunghi discorsi e riassumevano le questioni di famiglia.
Lascialo stare, diceva il marito, il suo tempo, la vita gli cambiata
dimprovviso e ancora non ha preso le misure. Se si decidesse a prendersi cura
dellazienda agricola, metterebbe la testa a posto: sono le stagioni agrarie che ti
danno la misura del tempo, il ritmo si coglie seguendo lalternanza del giorno e
della notte. Cos uno impara a conoscere la luce della giornata e la sua ombra.
In verit Grazia Mura voleva che il figlio si fidanzasse con una giovane di
buona famiglia, di gente conosciuta e pesata. Quando faceva qualche accenno,
Andrea sbottava in risate fragorose, le si avvicinava, le faceva una carezza
canzonandola: Non ne voglio ragazze allantica, hanno lombra in testa, le
smeraldine volano come farfalle, hanno la frenesia nel corpo.
Bisogna guardare anche lombra per capire la vita, gli sussurrava
dolcemente la madre, non puoi abbandonarti completamente disarmato al
tempo, che non sai dove ti conduce.
Mamma, non ce n ombra, c la luce, lombra il passato, scomparsa
dietro la rupe di Monti di Mola, a Porto Cervo c la luce anche di notte, le ville
non fanno ombra e neppure gli alberi degli yacht. C pi luce nella piazzetta di
Porto Cervo a mezzanotte che nello stazzo a mezzogiorno!
Figlio mio, lombra e la luce stanno insieme, anche quando noi non ce ne
accorgiamo. Quando c la luce, lombra non la vedi ma se chiudi gli occhi la senti
vicina. Non siamo noi i padroni del tempo che va e torna sempre diversamente.
M, il tempo non torna, corre, va sempre avanti e bisogna avere il passo per
correre con lui. Lhai visto zio Pietro? Sta seduto sulla lastra di granito di casa sua
a parlare sempre del passato e dice che il tempo fa il suo giro e ripassa. Crede che
gli ripassi davanti! Sta con i vecchietti seduto sui muretti della piazza a raccontare
mille volte le vicende della sua vita, crede di fermare il tempo con le parole e non
sa che il tempo si porta via anche le parole e non c racconto che gli stia dietro.
Laltro giorno mi ha fermato per offrirmi un bicchierino di anice, lho canzonato
dicendogli che oggi si beve whisky. Si un po offeso e mi ha detto: Ti pare che
il mondo stia girando impazzito e invece il mondo sempre al suo posto, anche
la pietra che precipita dalla collina si fermer a valle. Il mondo gira anzi
rotola, gli facevo io, zio Pi, mettetevi a girare con lui, che ci fate fermo sulla
soglia di casa! Si offeso: il tuo cervello che gira, il mondo al suo posto, le
vedi le case e le campagne sono ferme, sei tu in giostra, e quando scenderai dalla
giostra non saprai manco dove sei! M, tu ragioni come zio Pietro. Sai come mi
chiamano a Porto Cervo? Mi chiamano Andrew, i miei amici si chiamano John,
Jacques, Robert, te limmagini se a Peppe il matto lo chiamassero Joseph!
Diventerebbe ancora pi matto di quello che !
Non farti beffe dei santi e dei matti, che sono sacri, te lo ricordi Davide Silla
che aveva messo il sigaro in bocca alla statua di SantAntonio e da allora
rimasto guasto per tutta la vita, con la mano storta e la bava in bocca.
Andrea ormai era un fiume in piena: Hai presente quando portavamo le
capre a Lu Stagnali nel primo autunno, ora si chiama Cala Romantica ed un
paradiso, vi cresce lerba ma non erba da pascolo, una striscia lunga di verde
ben rasata, si chiama campo da golf, l vanno i miliardari per giocare. Laltro
giorno il custode, lo conosci bene, Carletto Musu, quel poveraccio che si metteva
a letto quando era preso dai morsi della fame, ora fa il custode e siccome su quel
tappeto verde non ci sa camminare inciampa sulle buche laltro giorno
labbiamo sorpreso mentre faceva finta di giocare ma aveva preso la mazza al
rovescio. Abbiamo riso a crepapelle per una serata intera. Mamma, lo sai che il
campione del mondo di golf guadagna ogni anno quanto il paese intero di
Arzachena. Siamo in un altro mondo, tutto si mostra e attira lattenzione. La
picca di pietra in cui zio Pietro gettava il siero per i maiali, ora esposta come
opera darte allentrata della villa di un miliardario di Zurigo.
E s, rispondeva la madre, la pazzia c di mille tipi: quella pietra prima
serviva a qualcosa ed era viva, ora giace morta e non serve a nulla. La vita non
un filo senza nodi e i fili a volte fanno intrecci non riusciti come accade alla
stuoia per dormire, alla bisaccia del cavallo, al cesto del grano e tuttavia servono
per la vita. Tu parli mescolando parole: ci vuole un setaccio per separare la
semola dalla crusca.
Andrea chiedeva alla madre di convincere il padre a dargli i soldi per realizzare
un progetto che aveva in mente: costruire un grosso stabilimento come deposito
di merci e fare commercio allingrosso di bibite, liquori, vini e dolciumi. Aveva,
infatti, sondato le intenzioni del direttore commerciale del Consorzio della Costa
Smeralda, proponendogli di mettersi in proprio come operatore commerciale con
un preciso contratto di approvvigionamento di merci per il Consorzio stesso.
Occorreva lassenso del padre per linvestimento: bisognava comprare unarea
edificabile alla periferia di Arzachena e costruire lo stabilimento. Non poteva
certo sperare nellassenso del padre ma confidava nellopera mediatrice della
madre. Fu proprio lei ad avviare la tattica di accerchiamento per convincere il
marito. Accett la sfuriata della prima reazione ma sapeva che bisognava
acconsentire alle sue ragioni finch non si esaurissero. Aveva fatto balenare al
marito la possibilit che nel magazzino ci sarebbe posto anche per i prodotti della
campagna, il formaggio e le carni dello stazzo da vendere in Costa.
Linaugurazione del capannone fu una festa omerica: nello stazzo di Saloni fu
preparato per trecento persone. Ecatombe di maialetti, agnelli, capretti, capra
arrosto e pecora in cappotto, vitella alla brace, formaggi freschi e stagionati,
perette che si tagliavano a luna per adagiarle sulle piastre roventi. E poi linfinita
variet dei pesci. Insomma, tutto di mare, tutto di terra. Ma gi prima, il gusto
tentato dagli antipasti di prosciutto e di gamberoni e preso dal sapore dei ravioli
e dalla zuppa gallurese.
Da una parte il cerchio degli spiedi che fanno corona al fuoco di ginepro
profumato, dallaltra parte la lunga cerniera di brace per larrosto di vari tipi di
pesce. Sembrava che gli odori non si incontrassero, verso il mare esalavano gli
uni, verso la terra gli altri. La libagione doveva essere alla pari: vernaccia e
malvasia, vermentino e moscato, cannonau robusto per rispondere al sapore forte
delle carni di cinghiale e di muflone.
Gli auguri per Andrea cantavano unepopea: il pi esteso capannone della
Gallura, pi grande di quelli di Olbia. Sicuro il committente, il Consorzio della
Costa Smeralda, ma gi tanti alberghi della costa prenotavano le loro commesse.
Sono entrato nellonda del turismo, ripeteva a se stesso, ora anche io
sono unonda e il vento a favore. E immaginava la costa che va da San
Teodoro sino a Castelsardo come territorio di caccia per le ambizioni di mercato.
Questi pensieri a momenti simpuntavano e rivolgendosi a fantasmi lanciavano
minacce: Ora ve la faccio vedere io la concorrenza, non sono ragioniere per
caso, belli miei, lo vedrete il cavaliere galoppare su un cavallo invincibile e
conquistare mercati in tutta la Sardegna.
A mezzanotte, parenti e amici cominciavano ad andar via, i pi giovani
aspettavano ancora qualche ora per sciamare verso le discoteche. Andrea
rispondeva ai saluti e dava pacche sulle spalle ringraziando per gli auguri. Erano
rimasti gli inservienti per custodire labbondanza e mettere in ordine le cose. La
gioia gli riempiva i polmoni, sentiva laria della notte e avvertiva i profumi della
macchia mediterranea, quasi non lavesse respirata nei suoi venticinque anni di
vita, ma il corpo e la mente recepivano solo il presente ed erano proiettati nel
futuro.
La falce di luna era rapace come i suoi fantasmi di conquista. Allimprovviso
gli balen in mente unidea che aveva lurgenza del desiderio e che bisognava
soddisfare. Mise in moto la Giulietta e si diresse al grande capannone. Entr da
una porta di servizio come se volesse fare una sorpresa, attravers il corridoio
degli uffici ed entr dentro lo spazio immenso del magazzino. Dette uno sguardo
allinsieme per abbracciare il campo intero ed ergersi dominatore. I suoi guerrieri
erano schierati in ordine di combattimento: centinaia di bottiglie di liquori,
brandy, champagne, sicuri vincitori di trionfali battaglie. Si avvicinava, fissava le
etichette e intimava loro di gridare il loro nome: Moet-Chandon, Martin, Carlos
Primeiro, Vecchia Romagna. Poi passava alla fila dei whisky e ripeteva a voce alta:
Puro malto, 12 anni di invecchiamento. E commentava: Non lacquavite
di Romolo Siddi che aggiungeva pepe per renderla forte e vantarsi della sua
perizia e del suo alambicco. Soddisfatto si spostava lateralmente e ordinava il
presentatarm alla schiera dei vini: Barolo, Chianti, Amarone, Soave, e tutti i
cannonau della Sardegna, e sul ripiano superiore i vini bianchi pi rinomati e gli
spumanti e i vermouth. A fianco gli scaffali degli aperitivi e delle bibite: campari
soda, coca cola, aranciate, spume e gassose.
Siete pronti? Inizia la battaglia, siamo i migliori e vinceremo, supereremo i
Capitolo 7
tinozza, butta lacqua nel trogolo dei maiali e si avvia col volto teso verso la
fonte, lungo il sentiero dove pascolano le mucche.
Cos il sogno diventato carico di emozioni ma a Priamo Solinas non
interessava dare risposte ai sogni perch i sogni sono pazzie.
Quando un uomo sogna fuori di casa, un pagliaccio in balia di un gioco
beffardo, c qualcuno che lo porta in giro. E siccome raccontare sogni, per i
pastori, sconveniente perch sono chiacchiere da donne, non ne fece cenno alla
moglie.
Un giorno il discorso cadde su una tinozza da recuperare come oggetto
darredo per la nuova casa. Priamo commentava con ironia di possederne una che
non poteva regalare perch esisteva solo nel sogno e accenn alla ricorrente
visione notturna. Il cenno si fece racconto sotto la pressione curiosa della moglie
che credeva nella premonizione dei sogni e spesso li interpretava quando le
amiche gliene raccontavano.
Grazia Mura proveniva da una famiglia di donne interpreti, la mamma e
soprattutto la zia Peppina credevano che ogni sogno fosse un messaggio:
spiegazione della vita passata o annuncio di quella futura. Anche i brandelli di
sogno pi sconclusionati nascondono un significato.
Cera nella tradizione familiare lusanza di raccontare sogni per comunicare
unossessione o un desiderio, per esprimere una speranza o una paura. La zia
Peppina parlava di un dio del sogno che ha nome Garriatore perch carica
sulluomo pesi insopportabili. uno spirito benigno a cui vietato svelare i
misteri della vita e della morte e allora inventa storie di pazzie per dare una
traccia del cammino del destino, imbroglia i fili e invita linterprete sapiente a
cogliere la tessitura nascosta.
Quando giunta lora, Garriatore getta una corda di pelle cruda al collo
delluomo, gli butta addosso un pastrano nero dorbace col cappuccio incavato
fino agli occhi, lo aggioga alla punta del carro per avviare il corso del viaggio. Si
inverte il senso delle cose.
Gi il gufo comincia a modulare il canto dellusignolo, il cinghiale segue come
un cane fedele, i cavalli selvaggi camminano goffi come scrofe appesantite. Nei
sentieri emergono simulacri di persone rinchiuse nel pozzo della memoria,
seguono il cigolio del carro con pesanti battiti di catene e subito si allontanano
senza sguardo n saluto.
Per lungo tratto Garriatore raccoglie rami bruciati, spine di rovi, foglie
velenose di oleandri e poi li cosparge di lavanda, passiflora e timo. Sulla strada il
carro si impantana dentro acque fangose, si appesantisce e sprofonda in
movimenti di contrazione e di affanno, ma subito ricompare leggero e luminoso e
vola con ali dargento nel terso lucore della notte. Nella valle ballano donne
vestite a festa, con seni coperti di filigrane di platino, con i fianchi scossi da
fulmini doro, ma allimprovviso si allontanano in lente dissolvenze e prendono
sembianze di corpi deformi, con gesti volgari e salaci. I pipistrelli hanno voli di
colombe. Laghi di cristallo per incanto mutano in pozze dacqua morta. Balli di
festa si allungano in processioni di defunti. Fiori di mandorlo danzano nellaria
con foglie morte dautunno. La ninnananna si confonde con la nenia del canto
funebre.
Ormai il mondo della notte si disperde in tenui chiarori che annunziano la
luce dellalba. Appena il tempo della svestizione. Garriatore toglie alluomo il
giogo e il cappuccio nero, lo libera dal peso della necessit e lo affida alla veglia,
alla luce del giorno.
La coperta della vita si mostra nel dritto con il suo disegno chiaro secondo la
sapienza e lordine del cucito e della tessitura; sul rovescio i punti risultano
irregolari, la linea spezzata, il disegno indefinito: scrittura illeggibile, discorso
insensato del sogno. Zia Peppina concludeva che la vita ha un dritto e un
rovescio, la veglia e il sonno, il caso e la necessit, la memoria e la dimenticanza,
ma confermava che proprio il sogno a svelarci la nostra storia segreta.
Grazia Mura rimase turbata per il sogno del marito, aveva strani presentimenti,
anche se le appariva confuso e misterioso. I segni che vi comparivano non erano
di buon augurio: lacqua indica tentazione, la donna col capo scoperto annuncia
vedovanza, il bambino indica preoccupazioni, la mucca annuncia eventi nefasti e
il cane significa cattive lingue. Non riusciva a capire cosa fosse lo scarabeo ma
certo diceva di immondizie e aveva i colori della malattia.
Il nucleo centrale del sogno rimaneva impenetrabile, comunque testimone di
oscuri presagi.
Il sogno non interpretato le faceva paura, quasi fosse una lettera del destino
non decifrata. Quel racconto correva sul filo del malinteso, bisognava percorrere
il cammino del labirinto per trovare luscita.
Per svelarne il mistero propose al marito di andare dalla maga, da Maria la
spiritata che chiamavano anche Maria la zoppa. Priamo Solinas mostrava unaria
di sufficienza, scettico e beffardo, assolutamente indifferente di fronte alla
tempesta che sconvolgeva la moglie. Per lui era un sogno come un altro. Ne aveva
visti sogni ancora pi strani e insensati: ponti scricchiolanti su fiumi in piena,
corpi smembrati che rotolavano dalle cime della collina, aveva sognato persino
cani che mutavano in capre, il corno di un bue sradicato nella strettoia di un
sentiero di pietra, la falce arrugginita di campi non mietuti. Potrebbe raccontare
di fiumi che volano sopra le cime delle montagne, di una fila di pipistrelli che
succhiano latte dal soffitto della camera da letto. Non gli interessava che quello
scarabeo avesse un colore verdastro, di quel colore non ne aveva mai visto, ma
non era poi molto diverso da quelli neri che arrotolano escrementi di mucca.
Non provava incubi n vedeva minacce.
Nella sua interpretazione Grazia Mura legava il sogno allo stazzo venduto e
abbattuto dalle ruspe e dava molta importanza allo sguardo severo della madre
che nelle difficolt della vita era solita usare sempre lespressione N falata la casa.
Ma ci che la impressionava di pi era lacqua contaminata e quello scarabeo con
i colori freddi e lucenti.
Decise di andare lei, sola, da Maria la spiritata per raccontare il sogno del
marito come se lavesse sognato lei stessa, magari completandolo per riempire
qualche buco oscuro. Tent ancora un accordo col marito ma questi si arrabbi
alla sola proposta e sbott: Non sono Peppe il matto per andare da quella
pazza di Maria la spiritata che getta grani in una scodella dacqua e olio e
pretende di leggere il futuro.
La maga lha ricevuta con unaria composta e assente, accoglieva gli ospiti con
una ritualit pensosa e misteriosa. Senza guardarla in faccia, fece un cenno
indicando uno sgabello di sughero mentre lei si accovacciava per terra su una
bisaccia di orbace fissando una mezzaluna nera ricamata sul bianco.
Grazia sapeva gi che il silenzio indicava lavvio del racconto ma provava
imbarazzo a esporre un sogno che non era suo. Allinizio il racconto scorreva
spedito ma poi incontrava dei blocchi e allora ci metteva del suo. Concluse il
racconto e avvertiva un disagio mentre osservava il volto perplesso e teso della
donna, segnato da una manifesta insofferenza. Allora Grazia Mura rivel che
aveva raccontato il sogno del marito anche perch le era sfuggita la frase: Il
ragazzo mise le mani dentro la tina dellacqua. La maga contraeva le rughe della
fronte e aggrottava le sopracciglia. Si alz. I suoi occhi spiritati la fissavano come
degli aculei penetranti che le oscuravano la vista. Laccompagn alla porta senza
dire parola.
Dopo alcuni giorni, Grazia Mura le port due pezze di formaggio e un orciolo
di miele. Al primo tocco, la maga apr la porta e gett lo sguardo sul cestino
nellarco del braccio e la fece entrare. Nella penombra un raggio di luce rivelava
pochi rami sul camino. Grazia adagi sul tavolo il formaggio e il miele e tenendo
in mano il cestino confessava di essere molto preoccupata per il sogno del marito
e chiedeva aiuto. La maga linterruppe invitandola a portarle un oggetto duso del
marito.
Grazia Mura rientr a casa prese il coltello a serramanico dalla giacca e ritorn
nella casa di Maria la spiritata. Si era attenuato il raggio di sole sul focolare, i
pochi rami sembravano spenti da tempo, un gatto magro cercava calore adagiato
Capitolo 8
Due spuntoni di rocce hanno sembianza umana. Il racconto dice che un frate e
una monaca, consacrati a Dio, furono presi da unirrefrenabile passione e vollero
confondersi in una sola carne. Ma il padre guardiano scopr il loro peccato.
Fuggirono erranti, senza meta. Giunti nella giogaia di monti osservavano attoniti
grandi statue di granito conformate dal vento e dalle piogge. Rimasero incantati.
Sentirono i loro piedi radicarsi sulla terra, il loro sangue cristallizzarsi e i corpi
irrigidirsi. Ciascuno vide nella maschera dellaltro la metamorfosi in pietra. Cos
le statue hanno preso il nome: il Frate e la Monaca. Quando, bambino, Battista
passava nei pressi al seguito delle capre, preso da timore, gettava uno sguardo
fugace su quelle pietre statue che assumevano un impercettibile ondeggiare tra
rigidit e movimento. Non bisognava fissare lo sguardo perch poteva rimanere
incantato, sentire i piedi radicarsi e diventare statua di granito. Ora i turisti vanno
per diporto a visitare il Frate e la Monaca e girano intorno, distesi e senza timore,
del tutto ignari del pericolo che corrono.
Battista, proseguendo il viaggio, vuole fare il giudice itinerante ma preso
dalla fascinazione dei messaggi pubblicitari.
tutto un susseguirsi di nuove scoperte e di nuove sensazioni: la curva
armoniosa di Liscia di Rujia, una spiaggia lunghissima che vi invita a sdraiarvi al
sole e, poco dopo, lantica cala delle volpi dominata dal profilo medievale
dellHotel Cala di Volpe, pronto ad accogliervi alla sua tavola raffinata e a offrirvi
la dolcezza di un momento di relax, fra una bibita e un tuffo in piscina.
Insistono le voci di sirena.
Mare limpido e trasparente, dolcissimo / rocce di granito rosa levigate dal
tempo / spiagge e calette bianche e segrete / colline ricche di fiori e di mirto /
un cielo sereno case dalle forme dolci
Battista era preso da incantamento, ma come richiamato da una voce segreta, si
trov a osservare, a lato del sentiero, muri diroccati dove ancora resistevano travi
senza tetto: un vecchio stazzo dove si portavano le capre destate. Adolescente vi
aveva trascorso lunghi giorni di luglio e di agosto. Allora per lui una pietra era
una pietra, un albero di corbezzolo era semplicemente un albero di corbezzolo e
il mare non era dolcissimo e lo stazzo non era una casa dalle forme dolci e la
curva di Liscia Ruya era la propaggine estrema di unarida pietraia, e la collina era
un intrico di cisto e lentisco, che ogni pochi anni il fuoco riduceva a sterpi
anneriti.
La voce piena di malia insisteva: Venti propizi, brezza di vela, onde di
profumi esalano al mare
Intanto Battista era giunto alle Rocce del vento, cos i pastori le avevano chiamate
perch i labirinti della giogaia inserravano il vento che, costretto a percorsi senza
sfogo, fischiava senza trovare unuscita. Le rocce aguzze sfilacciavano il fantasma
del vento in sibili e spasimi. Quando i labirinti si riempivano della massa roteante
di aria, allimprovviso si udiva un boato come se la montagna partorisse un
mostro. Il vento liberatosi emetteva un urlo assordante che comprimeva le voci
dei caprari, invertiva le sillabe, scambiava le parole e dava messaggi insensati.
Allora le orecchie dei pastori si facevano sorde per non udire lurlo della follia
mentre le capre balzavano sui cespugli per rifugiarsi nella grande conca di granito
e osservavano la furia che precipita in mare.
Ormai Battista giunto allHotel Cala di Volpe. Lalbergo si offre come una
scultura esposta alla visione, un monumento aerolitico che stempera forma e
colori sulle creste dei graniti in lontananza. A oriente unapertura dorizzonte sul
mare, circondato da una vegetazione selvaggia. Lentrata nella Hall un invito
alla fruizione estetica: vetri di St. Gobain, decorazioni di Majoren, vetrate di
Jacques Couelle. Pavimentazione, archi, arredo rivelano unaura di cose artistiche.
Il percorso dalla Hall alla sala da pranzo costruita sul mare si svolge dentro un
porticato con le pareti interne adorne di artigianato artistico.
Il cliente turista non attraversa spazi neutri, non deve provare il disagio di un
percorso anonimo. La camera da letto realizza la poetica dellabitare, ciascuna
diversa dallaltra. Porte decorate, pareti adornate con cassapanche restaurate. Letti
in ferro battuto o in legno o in ceramica. Armadi con decorazioni, tende bianche
e ricamate. Sovraccoperte di artigianato sardo dautore.
Il terrazzo panoramico un angolo di privacy. Le finestre che si aprono nei
corridoi sono dei quadri: visione come ritaglio pittorico. Un montaggio di
immagini tra pittura e cinema.
In spiaggia si arriva in barca, un posto solitario, inaccessibile da terra. Quando
nel tragitto la barca giunge al centro dellansa si ferma per un attimo: si al
centro del mondo, si pu godere del cerchio del mare e del cielo, lo smeraldo
dellacqua trascolora nellazzurro e nel blu cupo allorizzonte; i vari toni del
verde della macchia mediterranea passano dal vivo al bruciato. Lultimo sguardo
rivolto al profilo medievale dellHotel Cala di Volpe.
Giunti nellangolo delleden fatto di rena bianca e conchiglie, Battista ricorda
che da ragazzo al seguito del gregge, vi era disceso da parte di terra, attratto da
una gomma di camion vomitata dal mare.
Battista esce dal Cala di Volpe, frastornato dalla visibilit delle cose e
dallartificio del bello. Da questo monumento dedicato alla natura, risale verso lo
stazzo di famiglia.
Esce dallo spazio sacro della Costa Smeralda e percorre lantico sentiero dei
cavalli.
Gli sembra davvero strano visitare il suo stazzo con lintento di analizzarlo
secondo i parametri della tesi di laurea. Penna e block notes sembravano
strumenti estranei per parlare di cose familiari. Fare linventario degli oggetti gli
pare del tutto inutile, registrandoli uno per uno provava la sensazione di un
estraniamento.
Ma ecco che quel mondo di cose comincia ad animarsi: lu musoni, non solo il
recipiente di legno per lacqua da bere, lu musoni la nonna, la madre,
lacquasantiera della casa-chiesa, indica il percorso della fontana, lacqua serbata
nel mistero della casa.
Lu balastraggju una madia per conservare il pane e il formaggio, ma in verit
un tabernacolo custode delle spianate che riempivano di luce la tavola con la
preghiera della mamma: Dacci oggi il nostro pane quotidiano.
La stuoia arrotolata si stendeva e diventava giaciglio per la notte intorno al
focolare.
Improvviso balza uno squarcio di memoria: vacanze di Natale, ragazzo di
terza media, una notte fredda nello stazzo, stende la bisaccia di orbace sopra la
stuoia, mette le gambe dentro una tasca e la testa nellaltra, il vecchio pastrano del
padre fa da coperta.
No, no, bisogna arginare i ricordi, la ricerca deve registrare le cose, occorre
prendere misure, raccogliere dati. Occorre descrivere lo stazzo, con freddezza.
un ambiente monocellulare a pianta rettangolare: cucina e a un tempo
luogo di lavoro e di riposo per la notte. Sei metri per cinque, una porta, una
finestra. Altezza al centro quattro metri e mezzo, alle pareti due metri e settanta.
Tetto a due spioventi, tre grandi travi, altre pi sottili, tanti assi, canne, malta e
tegole. Il camino centrale, il fumo esce tra le tegole sconnesse. Il pavimento in
terra battuta. Allesterno il forno e il recinto per i capretti. Diventa bicellulare
aggiungendo in linea un altro ambiente, in funzione di camera da letto. Pochi gli
oggetti: il paiolo di rame, il secchio per il latte, le forme di legno per fare il
formaggio, qualche pentola, piatti in ferro battuto, oggetti di legno, sughero, osso
e pelle. Il coltello demiurgo d loro la forma per adattarli a una funzione. Sono
oggetti che non si guastano allimprovviso, annunciano nel tempo lusura e a
volte basta un tocco di coltello per restituirli al loro compito. Gli oggetti di rame,
di latta, di ferro battuto sono trattati con cura, sono ospiti nello stazzo, sono
costati dei soldi e se si rovinano devono essere portati in paese per aggiustarli. La
corteccia estratta dal tronco della sughera gi un cilindro che chiede una base
per farsi recipiente, losso del corno di capra si fa bicchiere o cucchiaio, un tronco
si fa concavo per il pasto dei maiali.
Gli oggetti emergono nei vari momenti della giornata e costituiscono un piano
di vita. Mentre Battista annotava il paiolo e tracciava uno schizzo sul foglio,
loggetto cominci ad animarsi in un racconto: il padre lo metteva su due pietre
squadrate per riscaldare il latte sul focolare, quando raggiungeva la temperatura
del latte della mammella, metteva gi il paiolo, schiacciava nel cavo della mano un
po di caglio, un pezzetto di stomaco di capretto, e copriva con un telo. Gli
sembrava di sentire le parole del padre: Il latte deve morire per farsi formaggio,
e si attendeva in silenzio il tempo del mistero prima di comprimere i grumi di
pasta dentro le scodelle di legno con la passione delle mani.
Il povero elenco delle cose stava tutto in un foglio di quaderno, eppure
raccontava un lungo romanzo di vita, avrebbe riempito serate intere di
narrazione intorno al focolare.
Sul foglietto aveva annotato che intercorrevano secoli tra lHotel Cala di Volpe
e lantico stazzo di famiglia.
Capitolo 9
Battista ha gi dato il titolo al capitolo su Porto Cervo: Come nasce una favola
turistica. E come la favola si fa mito, grazie alla presenza dei primi ospiti di case
regnanti e poi storia raccontata dallalta finanza e dalla grande borghesia
mondiale. Ed singolare la sua stessa fondazione: sorge su tre vertici di un
triangolo, la villa del Principe, il porto dei panfili e lHotel Cervo, poi ad
anfiteatro le ville sullarco della collina.
Una citt di fondazione, ma non nata da traffico di merci o da presidio di
eserciti. Non porto commerciale o industriale o minerario, non centro
agricolo n fiera del bestiame. Nasce come colonia turistica, una citt nuova,
senza municipio, n cittadinanza.
A Battista appare come una citt invisibile pur nella sua ostentata visibilit. Lo
colpisce la dimensione fotografica con quella scenografia architettonica di un
miniaturismo riposante. In questa predominanza della scena, il ritmo nel gioco
dei livelli architettonici, nel movimento descrittivo degli scalini, dei poggioli e
degli archi, dei dislivelli dei tetti e patii.
Le costruzioni a piccola scala, ad anfiteatro, danno a Battista limpressione di
un grande presepio. Un eclettismo fatto di inclusioni di stili: il moresco e il
provenzale, lo spagnolo e il messicano, Capri, Portofino, St. Tropez. Specchio di
una clientela e di una committenza cosmopolita. E non manca un riferimento ad
alcuni aspetti dellarchitettura sarda: il comignolo a pergola quello di Oliena, i
balconcini sono quelli di Aritzo, gli archi richiamano le lolle del Campidano. Una
Sardegna assimilata per dettaglio.
Gli pare davvero singolare la citt turistica: non ci sono quartieri, carceri,
ospedali, cimitero, non ha centro n periferia. Non una citt del popolo e non
ha contado. Tende a svilupparsi lungo la linea della costa, assetata della striscia
terra-mare.
Nel suo viaggio non mancano le sorprese. Battista ha assistito a unimpresa:
come creare la natura costruendo il pi grande porto dei panfili del Mediterraneo.
Su una baia che muore lentamente dentro la terra si sta costruendo Porto
Marina Nuova e il cantiere navale.
La scheda tecnica pu sembrare unoffesa alla natura: dragaggio, scavo
subacqueo in roccia, tonnellate di calcestruzzo e di tombini di ferro, tubazioni,
Gli veniva in mente un viaggio che gli architetti avrebbero dovuto fare prima
di formulare i loro progetti. Un viaggio di iniziazione.
Partire allalba dalla linea del mare verso la cresta rocciosa della collina. Vestiti
da caprari, con una bisaccia: acqua, pane e formaggio. Camminare e sentire
lintrico dei cespugli, toccare con mano le foglie di mirto e di lentisco per notare
la differenza di odore, mettere in bocca una bacca di ginepro per sentirne il
sapore, fare sentiero pestando lerba, avvertire la sporgenza della pietra affiorante.
Osservare larchitettura della macchia mediterranea: i cespugli pi bassi, le braccia
diseguali del corbezzolo e quelle raccolte del leccio e le fronde svettanti
dellolivastro. Cogliere le modulazioni musicali dei colori per ascoltare il loro
comporsi nella tavolozza. Interrogare il capraro e farsi raccontare il sogno
dellabitare il luogo ed entrare nellantro per il responso della sibilla e decifrare le
volute di fumo del lentisco.
Fermarsi alla fonte, curvarsi a bere lacqua, seguire la scia di mentuccia lungo le
pozze dellabbeveraggio del bestiame. Recepire forme e colori delle pietre e come
il canale taglia il corpo della terra. Imbattersi nel gregge delle capre, osservarle,
cogliere le loro espressioni, lo sguardo sghembo e interrogante, osservarne il salto
nei cespugli e larrampicarsi sulle rocce. Imbattersi in una pietra dinciampo e
porla come pietra miliare.
Fermarsi nello stazzo, mangiare pane e formaggio, ascoltare lo spartito
musicale di casa, recinto, forno, conca, macchia mediterranea. Poi la sera
rifugiarsi nello spazio protetto della conca di granito, stendere una stuoia e
sentire la terra, le zolle, il verso della volpe, lo strepitio del cinghiale o del
muflone. Ascoltare la musica silenziosa della notte e sentire le onde del mare da
dentro la terra.
il tattile che coinvolge in unesperienza viscerale col territorio: il visivo ne
coglie solo laspetto superficiale, assemblando fotografie per un montaggio, senza
un rapporto organico col mondo.
Lindomani limpresa pi impegnativa: la discesa verso il litorale misurando col
piede e col passo la scala del terreno. Una notte e un giorno, in silenzio, disposti
allascolto e con tutti i sensi tesi a recepire suoni, odori e colori, imparando a
leggere col corpo il territorio.
Ecco, allora, solo allora lanciare la sfida al luogo per sfruttarne linfinita
possibilit delle architetture, solo allora mettersi a progettare ricordando che il
primo atto dellarchitettura non la capanna, la tenda, la caverna ma la posa della
prima pietra che definisce lidentit del territorio. Captare la parte nascosta e
feconda dello spirito del luogo per rendere sensibile ci che non visibile. Solo
allora costruire in collaborazione con la terra e con la sua storia umana ed
elaborarla secondo le esigenze del tempo nuovo. E cos inventare il pi singolare
modello del turismo mondiale e magari riservare un terreno per il pascolo delle
capre come segno identitario e supplemento di magia.
Lesperienza del viaggio dice a Battista che il turismo di lusso ha il gusto delle
cose belle: il muro gobbo di una villa gli sussurra la sua arte, le aiuole gli svelano i
segreti di un sapiente giardinaggio, la pietra di natura prende un taglio di
scultura, il tronco contorto di ginepro dice di un supplemento artistico. A ogni
passo la natura, ammiccando astutamente, mostra il suo artificio.
Ricorda allora un monito: Quanto pi la civilt conserva e trapianta tale e
quale la natura, tanto pi spietato il suo dominio su di essa.
La forma moderna della natura non pu che essere tecnologia della natura. Il
mare, la terra, il cielo sono figure ritagliate di paesaggio. Vivere secondo natura
con tutti i comfort della cultura, secondo uno stile turistico.
Come una minaccia riecheggiano le parole del filosofo: Volete vivere secondo
natura? Immaginatevi un essere come la natura dissipatrice senza misura, senza
propositi e riguardi, senza piet e giustizia, feconda e squallida e al tempo stesso
insicura, immaginatevi lindifferenza stessa come potenza come potreste vivere
voi conformemente a questa indifferenza? Mentre voi in attitudine di rapimento
asserite di leggere nella natura il canone della vostra legge, volete qualcosa
dopposto, voi curiosi commedianti e ingannatori di voi medesimi. Il vostro
orgoglio vuole prescrivere e incarnare nella natura, perfino nella natura, la vostra
morale, il vostro ideale.
Alla fine del viaggio Battista si interrogava sul senso della meraviglia e sulla
struttura dellincantesimo.
Il demiurgo di questo miracolo il marchio che definisce la propriet e
garantisce lidentit. il totem che amministra il culto della religione turistica,
per cui i fedeli possono dire: Abitiamo nel tuo nome. La dimensione magica si
sposa con quella commerciale in un gioco di metafore suadenti. Acquistate un
pezzo del pi grande smeraldo del mondo. Un amuleto che rende preziosi la
costa, lacqua, il lotto. Non viene offerto un pezzo di terra, bens lo spirito del
mare e della terra primigenia.
Investite in un panorama che rester sempre vostro. Ed per questo che una
casa, un terreno nella Costa Smeralda valgono molto pi del loro prezzo a metro
quadro. Metri quadrati di felicit.
Il messaggio preciso: Investite nella bellezza della Costa Smeralda.
Il desiderio si rivela nella dimensione del sogno.
Ho sognato di comprare una villa a Porto Cervo, di immergermi nellacqua
smeralda, di entrare nei grandi business.
I verbi investire, acquistare, comprare appartengono al campo delleconomia ma
vengono subito trasportati nei cieli della bellezza, del sogno e dellappartenenza
sociale.
Battista completava quaderni di appunti e gi formulava alcuni titoli: Il mito e la
finanza, Il rito e leconomia, La favola e lindustria.
Capitolo 10
uomini.
I turisti cercano il volto e chiedono a un Mamuthone di togliersi la maschera,
vogliono leggere il rito a carte scoperte, ma il cicerone avverte che non c alcun
rapporto fra maschera e volto e che dietro la maschera c unaltra maschera.
Caterina sconvolta: un turbamento che fa riaffiorare limmaginazione
adolescenziale di bestie selvatiche che in aperta campagna minacciavano la sua
natura di donna.
Conclusa la sfilata, tutti sono contenti dello spettacolo e non rimane traccia
dellinquietudine delle maschere.
Capitolo 11
La ricchezza regala unaria festiva ma quella di Priamo Solinas era una festa
senza santo. La giornata si apriva nella sua indolenza, senza programma. Non
doveva sellare la cavalla, mettere dentro la bisaccia pane, formaggio, lardo e sale e
avviarsi allo stazzo di Monti di Mola per accudire alle capre. Nel nuovo orologio
il tempo non coincideva pi con il suo programma, venuta meno la sua giusta
misura quando non ne eccedeva e non ne mancava. Quando la vita era vivere,
lavorare e raccontare. Non cera pi quella mirabile alleanza tra vita e tempo. Ora
il tempo gli scorreva a lato, una distanza leggera ma incolmabile, come due
sentieri separati che non prevedono nessun incontro.
Priamo era sempre indaffarato perch non aveva niente da fare.
Usciva di casa col vestito della festa anche nei giorni feriali, andava in piazza
per trovare gli amici e chiacchierare intorno a un tavolino pieno di bottiglie di
birra e di anice. Seduti a parlare del tempo senza viverlo. Uomini miracolati dalle
vendite dei terreni, a diversi livelli, perch anche i miracoli hanno dosature
differenti secondo la misura del conto in banca.
A volte le facce degli amici gli sembravano fissate in espressioni di maschera:
Giorgio, con quella contrazione della bocca e gli occhi spiritati, Piero, con la sua
lentezza nel capire e nel rispondere pareva che pagasse a rate i debiti della sua
esistenza, Giovanni che tentava di costruire unottava con parole che si
spegnevano nella banalit e quando lui stesso si rendeva conto dei versi scadenti
concludeva: Eh, abali gi semu arriati! e non si capiva se volesse intendere di
essere arrivati alla ricchezza del conto in banca o alla povert della sua vecchiaia
smorta.
Era strana questa festa senza calendario, senza appuntamenti, fuori dalla
scansione dei mesi e delle stagioni. Ricordava bene che la festa era una pazzia
meravigliosa, la felicit piena per una giornata intera, senza distinzione fra notte e
giorno, quando si diceva Abbiamo goduto sino a morirne, perch nella festa ci
si divertiva sino allo stremo e si rientrava stanchi morti dallintensit della
passione. Allora la festa non capitava allimprovviso, era attesa da tempo e lattesa
era gi motivo di piacere, poi esplodeva nella sua pienezza. Se ne conosceva data
e forma eppure era sempre assolutamente nuova, come se fosse ogni volta da
inventare. Al suo compimento si gettava un ponte col futuro: era laugurio di una
proseguire a sinistra aggirando il pianoro dei lentischi per scendere sino allincavo
della valle. Dimprovviso gli sembr di avvertire lodore di mentuccia che lo
guidava verso la fonte. Eccola, era l, circondata da una corona di rovi e
bisognava farsi strada spostando qualche tralcio e ammirare lacqua incantata e
inginocchiarsi per bere e baciare lo specchio cristallino.
Quando vi giungeva allalba gli sembrava di vedere lo spirito della dea delle
fonti che si allontanava verso la conca di granito poco lontana. Nellumidit della
fonte, il verde resisteva al giallo della prima estate quando la vena dacqua si
rifugiava nel corpo della terra. Ora l, colmato il canale, si stendeva, larga come
una piazza, una stazione di servizio.
Nessun riconoscimento, n come le cose erano n come le cose sono.
La terra si era smarrita nel mare. La corona di ville si specchia sulle acque.
Nessun passaggio tra lumido e il secco, nessun taglio tra luce e ombra, non c
pi tenerezza e timore tra il giorno e la notte.
Ha vinto il mare, quellacqua inutile che nella sua abbondanza non era capace
di colmare la sete delle capre nella torrida estate.
Ora vi regna sovrano il tempo meridiano, regno dellestate, della vacanza
garantita dal sole, dalla sabbia e dal mare.
Priamo Solinas conosceva il mistero del morire del giorno, del ritirarsi della
luce: la luce prima abbandonava il bosco di ginepri folti dove riparavano i
cinghiali, poi lombra cadeva sullolivastro della fonte, infine pi velocemente si
ritirava sulla cresta della rupe, allora come toccata da un misterioso segnale la
capra guida del gregge aveva uno scatto, dava alcuni colpi di sonaglio e si avviava
verso la conca di granito.
Ora il sole sorge senza attesa, la notte cala senza presentimento. Le ville sono
in piena luce con giardini di fiori, eppure le pietre di arredo disseminate
nellambiente sono sculture sradicate, sembrano statue funebri.
Linfinita memoria di quel mondo precipitata in mare. Sullo sfondo, lo
specchio delle acque punteggiato di yacht che tracciano rotte senza naufragi.
Al vecchio capraro era rimasta unossessione, unimmagine che lo perseguitava
dolcemente. Dopo averla sognata pi volte laia, Priamo preso dallinquietudine
della rimembranza, sente un bisogno impellente di rivederla. Si mette in cammino
alla ricerca di una traccia. Certo, sa bene che laia non c pi, proprio l si
distende la Piazzetta di Porto Cervo, ma deve essere rimasto qualche piccolo
segno di riconoscimento. Per chi ha vissuto una vita in quei luoghi, basta un
piccolo segnale, magari una pietra che rimasta conficcata ai bordi, un cespuglio
che riemerge tra le fessure del lastricato, un seme di orzo che alza al cielo la spiga
della memoria. sufficiente una sensazione per richiamare il tempo e
fioriere hanno arbusti rapaci. Delle persone passeggiano come figure vaghe in
espressioni di riso, bloccate in una smorfia. Per un attimo si avverte uno stridio
di ruote di carro su una strada di pietra: una scia sonora che si perde in una
traiettoria di abisso.
Priamo si aggomitola in un angolo di strada e cerca il contatto con la pietra ma
una pietra muta, non ne sente il flusso magmatico, una pietra che non serba la
luce delle stelle e non sprigiona la forza della terra. Non la pietra di granito che
lo ha cullato fin dallinfanzia e che condensa nelle sue venature silenzio e luce.
Solleva lo sguardo in alto e gli si apre una luna di cielo, un cerchio racchiude la
forma dellaia e mucche leggere fanno giri e una pietra di nube rotola a liberare il
grano dalla pula e i chicchi piovono dolcemente su canestri ricamati di fiori e di
spighe.
Eccola, la sua aia che si alzata in cielo perch non c pi posto in terra.
Signore, ha bisogno di qualcosa? Una voce estranea lo sveglia dalle visioni,
i passanti lo avevano visto mormorare preghiere incomprensibili e fare gesti
propiziatori.
Sta bene? Ha bisogno di aiuto?
Undi lu stazzu? Ripeteva pi volte chiedendo a estranei dove fosse il suo
stazzo. Una guardia giurata lo riconosce: Signor Priamo, che ci fate qui? Sono il
figlio di Giosu Cossu. Eh, non vorrete spendervi tutti i soldi qui il
portafoglio sempre aperto!
Priamo lo osserva stranito e si chiede cosa ci faccia il figlio di Giosu Cossu in
quel luogo strano con quella divisa da guardia carceraria.
Ora vi accompagno nel vostro stazzo, andiamo in macchina.
Appena fuori del borgo, il vecchio riconosce il mirto e il lentisco, le rocce
conficcate sul terreno e odora il profumo della terra.
Ferma, ferma qui, sono arrivato, conosco il sentiero per lo stazzo.
Capitolo 12
mente e alle ombre dellanimo ed era convinta che il momento di crisi sarebbe
stato superato.
Caterina si faceva raccontare storie e ascoltava passioni vissute intensamente,
ricordi che presentavano scene vive e coinvolgenti, solo a momenti il racconto
aveva pause come se il vecchio inseguisse tracce che si cancellavano.
Priamo spesso perdeva la certezza dello sguardo, si accentuava il brillio degli
occhi nel fissare le cose.
Il passato cominci a oscurare il presente. Si ripresentava senza che Priamo lo
chiamasse e a volte si eclissava quando voleva inseguirlo. Era come se la sua vita
gli fosse raccontata dallesterno, da una voce che non poteva essere taciuta. Una
voce che sussurrava sequenze vissute agganciando squarci dellinfanzia ad altri
dellet pi matura, in un intreccio confuso. Stava perdendo la traccia del tempo.
Abbreviava in frasi sincopate lesperienza di lunghi anni di vita. A volte
ripeteva brandelli di storie rivolgendosi alla moglie con una domanda conclusiva:
Lhai capito il ragionamento?
Grazia Mura capiva il ragionamento anche quando il racconto sconclusionato
del marito offriva solo poche tracce, ma lei sapeva ricostruire le vicissitudini di
unesperienza vissuta insieme. Cos quando diceva che il forno era spento e
aggiungeva che era triste laia che ha paura delle formiche e che il vento malo
svuotava le spighe di grano e che nel cielo cerano uccelli dacciaio, allora Grazia
Mura ricostruiva la storia che usciva nitida dal vaneggiare del marito.
Era lanno 1943, lannata terribile della carestia, quando un vento caldo di
aprile si abbass sul campo di grano e fece abortire i semi. Fu una mietitura di
fame e nellaia si cercava di salvare i pochi chicchi dallassalto delle formiche. E
proprio quando la festa dellaia si era trasformata in un rito funebre, gli aerei
della guerra bombardavano lisola della Maddalena, di Caprera e di Santo Stefano
rombando nel silenzio angoscioso di Monti di Mola.
Grazia Mura che custodiva nel cuore tutta la storia di famiglia ricordava
langoscia del marito, quasi fosse colpevole della carestia e della fame del
primogenito alimentato solo con latte di capra. In questi brandelli di memoria
riemergevano soprattutto gli eventi negativi, quelli pi dolorosi.
Eppure una volta il marito vaneggiando diceva di vedere la luce della vita
uscendo dalla chiesetta di Liscia di Vacca dopo il rito del matrimonio, avendo al
fianco la pupilla dei suoi occhi, il gioiello di platino, sua moglie.
Nei momenti pi tristi fissava per lungo tempo la finestra della cucina, sentiva
il cielo oscurarsi prima che facesse buio come se nella pienezza del meriggio gli
cadesse addosso lombra della sera, allora mormorava: S fendi taldu, femu lu
focu, quasi cercasse luce nella fiammella dolivastro del focolare nel farsi tardi
del giorno.
Eppure non era il passato con il suo peso gravoso a offuscare la mente di
Priamo Solinas e tantomeno il sogno dello scarabeo che ormai faceva compagnia
alle sue notti di veglia e assopimento, e continuava a proporre varianti sempre pi
strane come quella di succhiare dal seno della madre, da ununica mammella che
prendeva la forma della tina dellacqua. Era la sua ombra a proiettarsi nel futuro,
come se aspettasse qualcosa che dovesse ancora accadere. Avvertiva che la fune
della vita aveva fatto un nodo che non poteva essere sciolto e interrogava il
tempo a venire. Il suo sguardo era teso a scrutare il futuro come se attendesse
sviluppi della sua vita. Voleva capire dove portasse il miracolo che gli era caduto
addosso.
Grazia Mura notava che la piega della guancia si accentuava infossandosi fino
al mento, i due lembi ispessiti rimarcavano una ruga profonda. Eppure non si
poteva dire che Priamo Solinas fosse invecchiato, si notava solamente
unaccentuazione del profilo del naso tirato dalla contrazione della bocca. Il
portamento del corpo mostrava un leggero piegamento della schiena che
sembrava dargli una maggiore energia nei movimenti. Non dava segni di
rilassamento, al contrario esprimeva una forte tensione. A volte lo sguardo
restava incantato fissando un vuoto come se lenergia per un attimo avesse
smesso di fluire nel corpo. La fronte aggrottata denunciava la presenza di
unombra che si agitava nella bruma della mente, allora Grazia Mura ripensava
alla tela del ragno della profezia di Maria la spiritata ma si liberava subito
dallantico fantasma aggrappandosi alla certezza del loro stare insieme.
Bisognava tenere a bada lombra che camminava a lato affinch non si mettesse
davanti a impedire il cammino, tenerla ai bordi del sentiero perch non offuscasse
il chiarore della strada.
Dai sogni che le raccontava il marito, si convinceva sempre di pi che il
motivo delle ossessioni era da ricondurre alla vendita dello stazzo di Monti di
Mola e che il miracolo aveva sconvolto il corso della sua vita cancellando tutti i
punti di orientamento.
Nellultimo sogno raccontava di trovarsi nella festa di Santa Maria, a
mezzanotte, sul muretto intorno alla chiesetta stavano seduti il padre, il nonno e
lo zio. Raccontava loro che erano giunti uomini dal mare con grandi barche e che
si muovevano leggeri nella sabbia e nelle acque ma non sapevano camminare sulle
pietre affioranti di Monti di Mola. E raccontava loro dellincredibile permuta dei
terreni: le pietraie scambiate con le terre fertili della pianura. Gli sembrava che lo
zio, famoso per la sua saggezza, facesse cenni di assenso ma che il padre lo
guardasse con unaria di rimprovero. Poi si alzarono e risalirono il sentiero tra i
cespugli di erica e fillirea, verso la conca delle capre. Forse era l il loro luogo di
riposo.
A un tratto la scena cambiava quadro: si trovava nelle terre grasse della pianura
con lerba che gli arrivava fino alla cintola e con il fiume che lambiva i campi di
grano, allimprovviso quelle terre si raffreddavano percorse da un vento malato.
Vedeva il fiume prosciugarsi mostrando un letto di ciottoli e rami.
Inspiegabilmente il terreno si copriva di macchia mediterranea, cespugli di mirto
e di lentisco carichi di bacche nere, corbezzoli splendenti nelle loro melette verdi
che gi tendono al giallo e sfumano nel rossiccio. Una strana metamorfosi: le
terre fertili della pianura tramutavano nellasperit della macchia mediterranea di
Monti di Mola. Stava in attesa che comparissero le capre con il loro sguardo
sghembo e la loro zampa astuta, invece rimanevano le mucche grasse e indolenti.
Al risveglio, ne rideva come di stranezze insensate, tra sogno e realt.
Lentamente il passato come visione si ecliss, ritornava come voce, come
suono, eppure indicava una traccia del tempo. La memoria visiva si spegneva. Un
muro gli oscurava il visibile e le voci sembravano rivelargli linvisibile della vita,
quella realt vissuta e male illuminata che veniva dal profondo, la parte oscura
dellesistenza.
Aveva la sensazione che il tempo si ritirasse e sprofondasse indietro in un
abisso. Non cera pi visione neppure fatta di frammenti a creare una scena, ad
aprire uno squarcio. Mancava la prospettiva. La memoria uditiva non dava
traiettoria, diceva e moriva in se stessa. I rumori erano familiari ma disancorarti
da ogni contesto, si presentavano nella loro essenzialit e diventavano
perturbanti: una folata di vento, che avvertiva come sferzata nel viso, il rotolare
di un masso che precipitava a valle, il belare della capra che si era rotta una
zampa, un battito di ali di pernici, labbaiare del cane contro la volpe a difesa del
gregge. Erano suoni noti ma rintronavano con forza ossessiva e lo perseguitavano
con strepito. A volte erano voci distorte che non provenivano dalle parole ma che
pure uscivano da profondit sommerse.
Grazia Mura decise di portarlo per un po di tempo a vivere nello stazzo e con
grande sollievo not un marcato miglioramento.
Una notte di maggio, Priamo Solinas si era alzato dal letto, si era vestito come
per andare alle capre, preso da un desiderio vago, senza un obiettivo. Si mise a
sedere sotto lolivastro sulla grande lastra di granito che il lavorio del vento e
dellacqua aveva conformato a luogo di riposo. Ricordava che suo zio nelle afose
notti di agosto usciva dallo stazzo con una bisaccia dorbace, la stendeva sulla
pietra piatta per passarvi la notte. Anche lui se ne stava sdraiato sulla lastra di
granito con una dolcezza languida, ravvivata da sussulti di gioia, uno strano senso
di felicit immotivata, e guardava ora la luna che stava indolente nel cielo, ora la
rupe che si protendeva a becco daquila. Sent il corpo pesante sul granito, quasi
lo accogliesse nel suo interrarsi. Allora si abbandon e si sent al sicuro in una
abilit nel colpire la testa del gallo interrato, in occasione della festa di Santa
Maria, e si lamentava di non averlo pi sentito cantare in poesia. Ma Priamo
taceva, anche se traspariva un lieve sorriso tra le sue labbra. A pranzo, mangiava
con avidit la carne di capra, puntava il coltello verso il recipiente di sughero,
infilzava il pezzetto di carne e gli andava incontro con la bocca. Tagliava una
fetta di formaggio fresco di un mese, lo odorava e lo gustava trattenendo con
piacere il boccone in bocca.
Eh, caro Priamo ci vorrebbe un bel bicchiere di vino, di quello che facevi
nella vigna di Li Muri. Il vecchio non rispondeva, continuava ad assaporare il
formaggio e dopo un po di silenzio: buono anche senza vino.
Tu amavi dare i nomi ai capretti appena nati, alle femmine, i maschi non
avevano nomi perch destinati al macello, ora le capre stanno per figliare, puoi
preparare i nomi.
Non si preparano i nomi, nascono coi capretti, loro hanno gi un nome alla
nascita, bisogna riconoscerlo e dirlo ad alta voce per battezzarli.
Seguendo il gregge nel ritorno al recinto, notava una capra bianca con chiazze
marrone chiaro, la guardava con attenzione mentre si spostava ora a destra ora a
sinistra. Capiva che non mancava molto tempo a figliare. Seguiva landare
allarmato della bestia, come se avesse paura della volpe. Leggeva in quella capra
lansia e lamore del figlio. Fu preso da tenerezza, la segu nel suo appartarsi
dietro un cespuglio per assisterla nellintimit del parto. E alla capretta dette il
nome: Filomena.
Capitolo 13
Fu come un tuono sordo che sprofond dentro la terra. Il tocco lugubre della
campana suonava a morto, a Porto Cervo. Su Caterina ebbe leffetto di unombra
pesante che avvolgeva la casa, la valle e lintero borgo. Non era mai scoccata lora
della morte annunziata da una campana in Costa Smeralda. Eppure per lei era un
suono familiare perch nel paese di Arzachena le campane suonavano a morto
per un tempo estenuato.
Nel paradiso del turismo non si muore mai, non perch levento mortale non
possa accadere ma perch viene rigettato nellentroterra o nelle acque del mare.
Nelleterno paradiso turistico, la morte senza nome e senza nome non esiste.
un incidente sulla strada Ol-bia-Palau o un naufragio lungo la costa nordorientale
della Sardegna. La triste notizia viene riferita a un altrove, fuori dal regno della
felicit. Daltronde il piano di fabbricazione non aveva previsto la costruzione di
un cimitero: il pool degli architetti pi rinomati dEuropa colto da una
dimenticanza. La tomba un segno inquietante.
Caterina si chiedeva che cosa potesse essere successo se la campana della chiesa
di Stella Maris aveva suonato a morto, proprio con lo stesso lugubre tocco delle
campane di Arzachena. Forse era morto un personaggio importante, ma ancora
agonizzante sarebbe stato trasportato allospedale di Olbia oppure una solerte
burocrazia avrebbe portato la bara allaeroporto per una destinazione familiare.
Allimprovviso pens che fosse morto il brillante sacerdote di Porto Cervo, ma
era giovane e sano. Forse i sacerdoti devono avere le esequie nella propria
parrocchia.
Mentre Caterina viveva lo sgomento delle sue supposizioni, arriv suo fratello
Battista e rifer che era morto il dj di un famoso locale notturno. Era andato a
trovare un suo amico geometra che seguiva i lavori di una villa e nel muoversi
sulle sponde del secondo piano ha inciampato precipitando su un mucchio di
blocchetti. Morto sul colpo. Una persona conosciuta e stimata dal popolo della
notte, un apolide che era nato a Tangeri, veniva dalla California e aveva lavorato
in Costa Azzurra. Non aveva parenti n recapito. Un uomo senza destinazione
perch senza provenienza. Quel cadavere apparteneva totalmente ed
esclusivamente alla Costa Smeralda, non poteva essere trasportato altrove. Stava
l in un luogo senza sindaco n giudice n ufficiale sanitario, nellimprovvisa
Capitolo 14
bel mare dEuropa, del sole pi luminoso e della rena pi bianca, non ti sembra
una ricchezza? Il turista un assaggiatore di specialites visive, tattili e gustative.
Quando gli dir che lesperienza di Pitrizza mi ha arricchita, gi vedo il suo
sguardo beffardo: Acquisita, sei la perfetta turista smeraldina, anche tu vieni a
goderti una terra miracolosamente dimenticata, a percorrere metri quadrati di
felicit e per intanto ti porti dietro tutta la tua cultura zurighese, anche la tua
privacy viene da Zurigo, daltronde bastano due ore di volo per raggiungere il
pi vicino dei posti fuori del mondo. Pitrizza ti piace perch vivi due settimane
fuori del mondo, io invece ci vivo tutto lanno nel mio mondo, senza incantamenti e
senza finzioni.
Allora si riaprir linfinito discorso su che cosa sia il turismo e Battista mi far
la solita domanda: Ma il turismo tour, cammino e ricerca oppure punto di
arrivo di pecore matte? Ed io continuer a sorridergli accusandolo di
moralismo e gli sussurrer lo slogan pubblicitario: La Costa Smeralda il pi
vicino dei posti fuori del mondo.
Capitolo 15
partecipato al giro delle isole della Maddalena, preferiva stare con lei e poi
insieme a cena nel panfilo. E precis: Uno spuntino per ascoltare musica. Una
folata di luce illumin lanimo di Caterina preso da un vortice di felicit. Rispose
subito che ne sarebbe stata felice.
Lappuntamento alle ore 22 nella Piazzetta di Porto Cervo. Troppo lunga
lattesa per Caterina che era gi in zona ben prima dellora dellincontro a
guardare le vetrine nelle viuzze del borgo. Si avvicin appena vide lui che aveva
occupato un tavolino nellangolo pi appartato.
Guardavano il porto dei panfili, lentrata di qualche yacht, la linea del mare.
Caterina ogni tanto guardava lui che incantato esaltava la bellezza del luogo. I
momenti di silenzio predominavano sulle parole ma per Caterina stare insieme
con lui era tutto.
Quando giunsero allo yacht, il fruscio delle bandiere cantavano un inno alla
luna che tracciava sul mare la strada della felicit. Il brillio castigato delle luci
suggeriva unatmosfera incantata.
Trepida la sensazione di essere soli, lui mise una musica soffusa di una
dolcezza malinconica. Seduti sul divano, parole e silenzi. Caterina avrebbe
desiderato scrutare quel corpo ma non osava per timore di rompere
lincantesimo. Pi che uneccitazione avvertiva una sensazione diffusa di piacere
che non si raccoglieva in un punto preciso del corpo ma si propagava dolcemente
nelle membra, con un languore che aveva lievi fremiti. Cercava il suo sguardo, lo
incontrava per un attimo e lo perdeva. Non le sembrava opportuno usare le
astuzie della seduzione che aveva imparato a esercitare negli incontri smeraldini.
Laffascinava latteggiamento di lui che aveva una premura affettuosa ma anche
una lontananza enigmatica. Gli sguardi si incontrarono e rimasero fissi, lui si
port le palme della mano al volto, le strinse sulle guance coprendosi gli occhi, le
fece scivolare sul mento, le appoggi sulle ginocchia, fece un lungo respiro,
spalanc e socchiuse gli occhi poi spost il corpo nel divano verso di lei e le sue
ginocchia toccarono quelle di Caterina. I suoi occhi vagavano sul suo corpo.
Caterina abbandon il capo sulla sua spalla. Lui la cinse con le braccia attirando a
s il corpo. Caterina cercava la sua bocca ma lui rimase fermo come se trattenesse
il respiro. Una pausa infinita. Lei con le sue mani scarmigli i suoi capelli. Le
labbra si incontrarono in un bacio estenuato, dolcissimo. Caterina voleva
allungare questo tempo di sospensione in un piacere che veniva da lontano, era
presa da onde lente come lespandersi della marea. Ma lui ansimava in scatti ora
dolci ora violenti. Lei sent il sangue confluire nel ventre e poi irradiarsi
nellintero corpo, lui ansimava contraendo nella gola lamenti di passione, nel
vortice di uno spasimo che esplodeva in un singhiozzo di angoscia felice.
Entrambi sincontrarono in un furore di fremiti e scosse, precipitando in
unaffannata felicit.
Il ritmo dei respiri si allung in un dolce languore, unestasi serena che
conservava la sua forza nella spossatezza dei corpi. Lui scivol esausto a lato e
accarezzava i capelli di lei, li annodava e li scioglieva, Caterina gli stringeva la
mano a intermittenza al ritmo di una musica soave.
I due corpi stavano distesi sul tappeto morbido in una comunione di
sentimenti che le parole non osavano interrompere.
Allimprovviso, un brivido di freddo pensando che lui sarebbe partito
lindomani. Caterina sopprimeva il sentimento duro della realt perch la
partenza era scritta nel destino ma era convinta che quellarcangelo avrebbe fatto
ritorno. Le aveva raccontato di isole lontane e del desiderio di tornare in queste
acque smeralde, le aveva parlato di rocce affioranti e di acque esauste nei litorali
di altre isole. Ma lei era convinta che non avrebbe mancato lappuntamento del
ritorno.
Lindomani Caterina era gi al porto ben prima dellora della partenza. Lei e
larcangelo erano in piedi in silenzio sulla banchina. Stavano di fronte, lui sollev
lo sguardo verso il cielo e con gesto misurato allarg le braccia, le port al collo,
sganci la catenina di oro bianco, la tenne sollevata verso il cielo come se
officiasse un rito, abbass le braccia e cinse al collo di lei la catenina, lagganci
mormorando un augurio come pegno del suo ritorno. Quella catenina era la
corona della promessa, diceva di un abbandono e di un legame, forse erano i
grani a contare i giorni del rientro e dellabbraccio.
Tra i cavi di ferro e lo sventolio delle bandiere del mondo, il suono della
chiglia, galleggiante in un ballo sonnolento, annunciava la partenza e il distacco.
Lacqua sciabordava nella scia che rigava il mare. Caterina seguiva con occhi
tremolanti lalbero delladdio e della speranza mentre la schiuma si ricomponeva
a poppa.
Nel cerchio del destino le cose dovevano compiersi: quelluomo conosciuto nel
fondo della notte era un eroe che lasciava un vuoto ricco di promesse.
Oltre lorizzonte lei continuava a inseguire il percorso invisibile quasi fosse
una traccia da imprimere nella memoria: augurava approdi felici sperando che
ogni approdo non raccontasse una storia damore. Ma il suo arcangelo non era un
narratore di storie, navigava per la sua dolce inquietudine, per ascoltare il respiro
delle isole.
Il giro del mondo circolare e il cerchio si chiuder con un ultimo approdo in
Costa Smeralda: di questo era convinta.
E intanto lestate si spegneva in un tiepido autunno attenuando il ritmo
affaccendato delle vacanze smeraldine e le voci rimandavano echi di lontananza.
Al risveglio, in unalba di autunno, Caterina avvert una sensazione
Non c pi il tempo vuoto degli infiniti intrattenimenti, ogni sera alla ricerca
di novit, assaporando gocce di dolce veleno nei mille fiori dei locali del
divertimento.
Le avevano suggerito di togliere il selvaggio alla sua pelle con la volutt delle
creme e ravvivare il colore delle sue guance pallide, le avevano inculcato
lossessione delle palpebre e delle sopracciglia. Le amiche di avventura, come
esorciste della modernit, volevano togliere lombra che accompagnava il corpo e
che dicevano essere unimpronta della sua terra natia. Le suggerivano di rompere
il legame con la rigidezza del suo passato e sciogliersi nellacqua smeralda. E
quellombra che volevano eliminare scomparve davvero ma entr nel suo corpo e
vi giaceva inquieta, non pi visibile. Cos abbagliata dalla luce artificiale passava il
tempo alla ricerca del suo tipo che doveva essere gentile ed elegante, ricco e
ballerino. E intanto assaporava il piacere del corteggiamento nel fare esperienze
di uomini e saperne di pi del loro corpo e del suo.
Aveva imparato da Sonia, lamica di Bologna, a sentirsi padrona dello sguardo
esangue di un corteggiatore e misurare la libido del corpo mettendo in atto
giochetti di destrezza in ragionate resistenze e finti abbandoni. Doveva
accumulare in fretta le esperienze per riempire il vuoto degli anni trascorsi nello
stazzo.
Ora sorrideva pensando alla linea della vita che sembrava la misura di tutte le
cose, sorrideva perch il piccolo rilievo del ventre annunciava gloriosamente il
pancione della gravidanza, dilatazione di un dono meraviglioso e protezione di
un tesoro misterioso: il cerchio della vita come misura dellinfinito.
Lincontro con lui non era avvenuto nel giro della serata di avventura, era nato
in luogo sacro, nella chiesa di Stella Maris, in occasione di un matrimonio che
sempre augurio di eventi felici.
Un altro vento soffiava da Arzachena: il vento malo della sventura. Sentiva le
voci: Caterina Solinas ha il passo pesante, non sola e non ha marito, usa abiti
larghi ma non rilievo che possa nascondere, finge di camminare leggera ma non
peso che possa occultare.
Le parole diventavano pietre acuminate. Lombra della pancia si proiettava nel
paese. La notizia della gravidanza illegittima aveva toccato un nervo antico della
comunit.
Ormai era avviato il rito della vittima sacrificale. Le erinni chiedevano sacrifici,
innalzavano lamenti per aumentare le pene. Glielo hanno ben arrotondato quel
ventre piatto! Come far a indossare quella camicetta di seta per mostrare i
capezzoli appuntiti ora che gli diventano turgidi per allattare il bastardo!
Le donne di Arzachena dicevano che Caterina aveva cercato il baratro e lo
aveva trovato, anzi precisavano che il baratro era lei stessa.
Questa colpa che si sconta vivendo: colpa originaria, senza riscatto. colpa
che risveglia il volto feroce della gente perch stata violata la legge non scritta
delletica sociale.
Quante volte Caterina aveva sentito dire che non si pu costituire comunit
con la donna libera e che la maternit regolata dal matrimonio.
Aveva sentito in chiesa, ma anche dagli avvertimenti della zia che quello della
donna un corpo da controllare: un corpo ciclico, in un perenne moto di marea.
Corpo fluido, in continuo mutamento: ha unesperienza organica del flusso del
sangue, del ritmo del tempo. Ha un taglio non ricomponibile, insensata ferita del
sanguinamento. Occorre regolare la sua sensibilit: recepisce gli influssi della
luna, acquatica e parla con le anime dei morti.
Le ripetevano che bisogna imporre la ragione della legge al mistero del corpo
femminile, regolare le passioni.
Il sangue della donna impuro, mistura proliferante, sostanza primigenia,
creativa e contaminante, che chiede la purificazione.
Il fuoco della donna fuoco dentro, magma incandescente che ribollisce ma
che deve rimanere compresso e incanalato nei giusti percorsi della legge.
Se lasciata libera, la donna salta i muri dei campi, una cavalla senza briglia
che pascola pascoli estranei e beve a tutte le fonti. Per porre fine allerranza e
allinquietudine bisogna attribuirle una dimora, una casa, una famiglia e un
calendario sociale di obblighi.
Caterina non voleva essere soggiogata dal peso della tradizione, sentiva una
grande forza dentro di s ed era pronta a combattere contro tutti: non era il
risentimento che lanimava, era lamore che le mostrava un altro orizzonte. Il suo
sguardo non era rivolto al passato, mirava al futuro, alla venuta del figlio
meraviglioso.
Con sguardo tenero esplorava dolcemente il suo corpo e sentiva la presenza
misteriosa del suo amore.
Capitolo 16
La decisione fu presa: dir alla madre che incinta, la madre trover il modo di
dirlo al padre. Con proposito fermo, Caterina rientr ad Arzachena, entr in casa
con passi decisi come se dovesse urlare un annuncio, vomitare un segreto
incontenibile.
Il padre stava per uscire, si stava assestando il borsalino per trovare la piega
giusta verso destra. Lannuncio le rimase in gola e rientr nelle viscere. Il padre
rispose al saluto e usc chiudendo la porta dietro di s.
Era un pomeriggio sonnolento e sbiadito che si animava nella casa per
lintenso odore di lievito: la madre stava estraendo dal forno la prima teglia di
biscotti con mandorle macinate e uva passa.
Dal corridoio annunci la sua presenza, entr in cucina con aria di meraviglia
e abbracci la mamma tenendo in mano un dolce. Un profumo antico creava
unaria di festa.
Grazia Mura introdusse nel forno altre due teglie ricordando un antico rito:
Vuoi che ti faccia la bambina di pasta? Ormai sei grande, ti ricordi il volto
della nonna quando faceva la bambola di pasta per te? Con la punta del coltello
imprimeva gli occhi nel cerchio del viso, ritagliava le gambe e le braccia e con la
lama faceva un taglio sulla pancia: incantata assistevi allopera e laiutavi a
metterla sulla pala di ferro per linfornata. Ne usciva un idolo con il volto roseo,
con la pancia piena come se dovesse partorire e tu lavvolgevi con un panno e te
la stringevi al cuore e, dopo aver giocato a fare la mamma, iniziavi anche tu uno
strano rito. Prendevi la bambina di pasta con una mano e le dicevi: Come sei
buona, quanto mi piaci e staccavi con un morso una gamba e poi laltra e dicevi:
La mia bambina, la mia stedda e mangiavi le braccia, Oh, poverina, vieni dalla
tua mamma e staccavi la testa, La mia stedda, ecco adesso sei al sicuro nella
pancia della tua mammina. Noi ridevamo e tu subito chiedevi alla nonna unaltra
bambina di pasta per giocare ancora a fare la mamma. Quando ti sposerai e avrai
una stedda, anche tu le farai una bambina di pasta, anche se oggi ci sono le
bambole da comprare che sembrano bambine vere e sono anche vestite in
costume sardo.
Il racconto della madre aveva messo in moto un flusso di sentimenti che
proveniva dallinfanzia ma investiva con violenza la sua condizione presente.
pensando che anche la critica del paese avrebbe messo la ruggine e le mascelle
delle malelingue si sarebbero stancate di mordere.
Caterina avrebbe voluto gridare al padre che nellamore la sua vita apparteneva
solo a lei e che era decisa ad andarsene via di casa. Era pronta a difendere la sua
libert ma sapeva che le sue parole si sarebbero bloccate in gola davanti al giudice
severo della figura paterna.
La figlia nubile appartiene al padre, custode della sua verginit e garante di
fronte a chi verr per domandarla in sposa. Solo per linea femminile poteva
comunicare i suoi sentimenti, i maschi sono custodi rigidi della tradizione nel
controllo della sessualit femminile.
La tradizione aveva il peso del tempo, Caterina sentiva questa gravit che la
opprimeva e voleva sottrarsi a questo passato schiacciato su se stesso, pronta
anche a sostenere lurto del tribunale della parentela e delle voci giudicanti della
comunit.
Riascoltava le parole della madre: Sai di che pasta fatto il paese! e allora
sentiva come se gente e case fossero un ammasso di pasta lievitata di odio,
putrefatta di rancore.
Grazia Mura meditava sulle possibili soluzioni: a lei labilit del tessere aveva
insegnato come si fa lintreccio e come si pu disfarlo.
Rifiut lipotesi dellaborto anche se in paese cerano le donne esperte. Farla
sposare con un altro avrebbe incontrato il rifiuto deciso di Caterina, trasferirsi
nellappartamento acquistato a Sassari per il periodo della gravidanza e del parto,
ma comunque sarebbero dovuti ritornare col bambino in paese. Erano espedienti
per difendersi dalle critiche della comunit. In verit per lei avere un nipotino era
la gioia pi grande ma voleva aiutare la figlia nella solitudine di un mondo
avverso.
Caterina invece non si sentiva sola, aveva dentro il ventre linfinito
accompagnamento e lamore per il suo arcangelo era sempre pi intenso. Quando
le si presentavano i volti feroci delle donne giudicanti ribatteva: Non battete le
mani sulle ginocchia perch in me non c il male, non c la morte, c la vita; le
parole che vomitate contro di me, rimangiatevele nel profondo delle vostre
viscere. S, parlando sempre degli altri, non avete vissuto la vostra vita, le parole
scomposte invece di arricchirvi vi hanno impoverito. Avete passato il tempo
spiando il passo falso degli altri ma voi siete rimaste ferme con le gambe
rattrappite, i vostri occhi che credono di vedere lontano, osservano immagini
dentro la vostra stessa caverna. Io non sono presa dallangoscia ma dalla felicit
dellattesa. Voi condannate allespiazione e al lutto perch non conoscete il tempo
di avvento. Io salgo su un monte, non discendo nel precipizio. Nel campo
guardate i papaveri rossi e non vedete la viola, non sentite il suo profumo. Il mio
arcangelo ritorner, ma non per saldare il conto di una colpa ma per chiudere il
cerchio dellamore. Mi volete prigioniera nella tomba della casa e io invece uscir
in giro per disperdere al vento le vostre parole, per confondere i vostri sguardi.
Mi avete definito capra, si vero, capra come Nevina, la capra prediletta del
gregge che saliva sulla rupe, guardava la vallata e il mare per affermare la sua
libert.
Caterina aveva comprato un abito che segnava il dolce rilievo del ventre. Il suo
volto esprimeva una gioia vissuta dentro.
La madre cercava il momento pi adatto per dare la notizia al marito e a come
arginare lurto, magari erigendosi lei stessa allinfuriare impetuoso per fare riparo
alla figlia. Quasi proteggesse la casa stessa perch quella disgrazia in famiglia
richiamava subito limmagine della casa abbattuta.
Ricordava quando gli aveva annunciato lattesa del primogenito: la sua felicit
era tutta presa dal mistero del ventre femminile. Ora quel ventre della figlia era
una mina che avrebbe squarciato anche la rupe di Monte Moro.
Lannuncio fu un tuono, Priamo Solinas le parole le ingoi come un peso
insopportabile che fece nodo in gola e poi nelle viscere. Il soffitto si abbass su di
lui come un uccello nero, unombra che oscurava la mente, la stanza, la casa.
Stette a fissare la pietra del focolare per lungo tempo, gli sembrava che dal
camino, senza fuoco, uscisse del fumo nero che dichiarava al paese lobbrobrio
dellumiliazione; poi chiese alla moglie chi fosse il padre, per riparare allo
scandalo col matrimonio. Quando seppe che era un turista svizzero vide
oscurarsi ogni orizzonte. Lonore abbandonava la casa, ormai tomba per tutta la
famiglia. Come faremo a uscire di casa e mostrare il volto alla gente!
Lautunno era gi inverno, la notte seguiva alla notte.
Caterina attravers la piazza per recarsi in chiesa alla messa cantata: la messa
della festa che consacrava la prima uscita delle coppie dei fidanzati per rendere di
dominio pubblico levento.
Per una donna sola, senza marito, non ci sono lanci di grano auguranti n
musica di piatti di porcellana che sinfrangono sul selciato.
Gli occhi della gente convergevano come frecce sul corpo di lei che procedeva
leggera col suo dolce peso. Per lei pronosticavano la morte in parto per espiare il
peccato e restituire al neonato la sua innocenza. Volevano farne una pana, la
donna morta in parto, condannata a lavare i panni del figlio nel fiume per sette
anni e per sette anni ancora se fosse stata disturbata nellespiazione della sua
condanna e perci pronta a lanciare maledizioni contro gli avventori. Ma
Caterina scacciava i tristi presagi con uno svolazzo di gonna e procedeva
ricambiando il sorriso di uninfiorescenza che esplodeva su un albero del sagrato
mentre gli sguardi la inseguivano sino al portone della chiesa e si ritiravano
scandalizzati.
Entr in chiesa e incedeva come una regina, orgogliosa della sua gravidanza e
tutta compresa nella sua intimit. Con sguardi obliqui le donne la destinavano al
sacrificio. Chi recitava il rosario ebbe un inciampo della parola.
Avrebbero voluto vederla alla prima messa, quella delle vedove, con in capo il
velo della penitenza, tutta compunta nel canto del Miserere e invece la scostumata
era in piedi al centro della chiesa e si voltava a sfida verso le navate laterali. Il suo
sguardo non era rivolto alla Madonna dei sette dolori ma alla Vergine
dellAnnunziata che dice s allangelo Gabriele.
Caterina si diresse verso laltare per fare la comunione, avanzava con un volto
radioso, con passo lento e cadenzato. Non sembrava un agnello sacrificale ma una
Madonna che rendeva grazie.
Le malelingue sorprese dallatto audace tacevano, furono quasi colte da
unimpossibile ammirazione.
Una pia donna mormorava: La miracolata fa un altro miracolo.
Le donne furono prese da un sentimento di maternit nel vederla incedere
come una dea nella sua felicit, anche se non riuscivano a capire come si fosse
riconciliata con Dio a causa del peccato. Lei stringeva tra le mani giunte la
catenina doro, pegno della promessa del ritorno del suo arcangelo. Pregava per la
sacra famiglia.
La mamma lattendeva in ansia, preoccupata che la figlia non fosse riuscita a
sopportare il peso degli sguardi ma quando la vide attraversare la piazza col volto
sereno e col passo sicuro ebbe un moto di tenerezza. Laria pulsava di luce.
Quando lamore illumina la vita, anche lombra, imprigionata dalla luce, filtra
in raggi di filigrana.
Caterina sgranava un melograno lungo la spaccatura da cui gi ridevano i
chicchi di un rosso cupo quando allimprovviso avvert le prime doglie. Accorse
la mamma che chiam una donna esperta, il parto fu sollecito, la felicit piena del
figlio meraviglioso: un maschietto per essere navigatore, per essere capraro.
Il volto della puerpera rivelava unintensa espressione di castit, perch ogni
madre sempre vergine.
Grazia Mura entr nella stanza con un vassoio di dolci e con la tazza delluovo
sbattuto.
Al primo strillo di pianto del bambino entr nella casa una folata di luce che
illumin i mobili da tempo oscurati. Cadde lo scialle del lutto che pendeva
allentrata della casa. I raggi del sole mettevano in rilievo i ricami del tappeto con
le sue tinte calde. Il vaso smaltato mostrava venature di colori. Una brezza
leggera frugava negli angoli pi segreti. Gli specchi riflettevano la luce
illuminando le pareti. Una donna del vicinato ha portato fiori con parole
daugurio. Nel giardino gli uccelli tenevano pagliuzze nel becco, presi dallamore
del nido. Cera unaria di musica, nella casa era sopraggiunta la sonorit del
tempo nuovo.
Anche Priamo Solinas avvert questo annunzio di festa. Aveva sentito lo strillo
del pianto della nascita: gli ricordava memorie felici e risvegliava timori presenti.
Non volle vedere il bambino, trascorreva le ore nel chiuso della sua stanza o
nella cantina a risistemare ripetutamente le cose. Ma il pianto del piccolo suonava
come una musica felice che illuminava il suo cupo mutismo.
La moglie gli diceva: Se venuto al mondo, nella nostra casa, vuol dire che
questo bambino doveva esserci, forse un altro miracolo, lo sai che a noi
capitano i miracoli. Fra qualche anno al piccolo racconterai del cinghiale del
demonio e di Rosina e Bandulera che a cornate difendevano i capretti dalle volpi.
E gli dirai che sono cose vere, anche se lui le ascolter come fiabe. Quando
crescer, diventer un capraro e avr una barca con un albero pi alto
dellolivastro.
Eh, lascia perdere le fantasie, le cose vere non sono racconti, sono ferite che
lacerano la carne pi del coltello, rispondeva il vecchio.
Tutto col tempo guarisce, anche lo squarcio sulla coscia che ti ha aperto la
zanna del cinghiale solo un ricamo sulla pelle. Vieni, vieni con me.
Grazia Mura lo prende per mano e lo conduce nella cameretta del bimbo. Il
marito un po riluttante ma gi si trova davanti alla culla, getta uno sguardo
furtivo verso quella creatura estranea, eppure familiare.
Lo vedi quanto bello, lu steddu, ha il tuo nome. Il nome rimbalz nella
stanza, usc dalla finestra, fece il giro del paese e torn a casa per confermare la
discendenza. Quel nome che gli sarebbe sembrato blasfemo, entrava purificato
nella catena della famiglia e della parentela.
Guarda, ti rassomiglia, carne di tua figlia, sangue tuo. La parola sangue
lo turb perch sangue una parola maschile, indica la discendenza per linea
maschile e rimanda al padre: richiam lombra di quello sconosciuto che aveva
disonorato la figlia. Ma la nube si dissip davanti alla luce che proveniva dalla
culla.
Grazia Mura prese il bimbo in braccio e invitava il marito ad accarezzarlo, gli
prese la mano e lappoggi sulla guancia del piccolo. La bocca e il mento hanno
preso dalla nostra parte, sono i tuoi, accarezza il tuo primo nipotino, la gente
noter che gli hanno dato il nome del nonno.
Grazia si pose di fronte, sollev il bambino tenendo una mano sulla schiena e
una sul collo e loffriva in dono al marito.
Prendilo, tienilo, sentilo
miglia da fare. Caterina ricordava la profezia della maga: Quando lui giunger, i
gabbiani si alzeranno nel cielo in una festa di voli e poi lo precederanno verso il
porto, le acque saranno calme e sorger unalba di luce.
Nellattesa, Caterina la notte sognava lintimit con lui e allalba era vigile
perch da un momento allaltro avrebbe visto lalbero della felicit solcare il mare.
Chi posseduta dallamore vede chiaro il tempo a venire. Ecco lannuncio:
lascolto di un battito di vela.
Capitolo 17
Una sera, nelle pieghe di nubi oscure, Priamo Solinas intravide Fulana, per un
attimo. apparsa la sua figura sfilacciata in un cielo di abisso. Quando anche
solo il baleno del suo volto compare allorizzonte, vuol dire che
inesorabilmente entrata nel cerchio pi ristretto della tua vita.
Nel gioco tempestoso dei cumuli nembi non si poteva distinguere se fosse
vicina o lontana. La sua presenza delimita lorizzonte ma la distanza non
misurabile, n il suo passo calcolabile.
Fulana si muove nel mistero del tempo, per dire che tutte le cose le
appartengono. Avanza per cerchi concentrici, scivolando come una biscia e
restringendo gradualmente il campo. Quando giunge allultimo cerchio si ferma
per prepararsi allattacco, allora luomo a tiro. Lagonia una lotta, corpo a
corpo.
Ti sei messa in cammino verso di me, ma non sar breve il tuo viaggio. Ti ho
riconosciuto, lo dovrai fare pi volte il tuo giro. Perch vuoi anticipare il corso
del mio destino? Non ti chiedo di attendere per assaporare unultima gioia n per
lenire un dolore, ma per dare una risposta a una domanda che mi tormenta. Ho
ancora bisogno di tempo per capire la svolta della mia vita, solo un po di tempo,
non molto, sono a buon punto, mancano ancora pochi conti, non tarder a
chiuderli. Mi devi rispettare come io rispetto te, altrimenti il tempo che mi
occorre te lo strapper con le unghie. E nel corpo a corpo sentirai il mio alito e
io sentir il tuo.
Tu non mi cogli alla sprovvista, io sono vigile e ancora so maneggiare il
pungolo con la lunga correggia per sferzarti come faccio con i buoi e tenerti a
bada. Ho braccia robuste per agganciarti alla cintola e lottare avvinghiati e
rotolare lungo il pendio sino alla fontana.
Perch hai fretta? Non sei tu forse maestra nellintrattenere il tempo? Neppure
tu puoi far nulla contro il destino. vero, la parabola della mia vita sta per
toccare terra ma c ancora un breve tratto.
Cosa credi che non ti riconosca? Certo, sei sempre una sconosciuta, eppure ti
ho incontrato altre volte.
Una mattina di primavera ti ho visto riflessa negli occhi di Bonara, la capra
solitaria che cercava virgulti nel pendio scosceso e precipit nel burrone. Quando
lho raggiunta mi guardava agonizzante con i suoi occhi dolci, implorando aiuto,
lho accarezzata e il suo collo si distese inerte. Allora ti ho visto per un attimo
riflessa negli occhi della capra e subito sei scomparsa. Quando te ne vai, lasci un
vuoto perch la tua presenza riempie il mondo.
Ho conciato la pelle di Bonara per raccontare la sua storia.
Ti avevo conosciuto a ventanni, alla vigilia della festa di Santa Maria che
sognavo per un anno intero. Il patto della felicit con mio zio: a lui la vigilia, a
me il giorno pieno della festa, perch il bestiame non poteva essere lasciato solo.
E quella festa era attesa, desiderata, pensata e mi ero allenato al tiro della miria
per colpire la testa del gallo interrato fino al collo, e per confermare con uno
sguardo il sentimento verso Grazia che sarebbe diventata mia moglie.
Era lalba della vigilia: il ponticello di travi sconnesse, indebolito dal torrente
in piena, non ha retto al passaggio e zio Paolo stato inghiottito dal tumulto
delle acque. Abbiamo ripescato a valle il corpo gonfio, labbiamo ricomposto in
un telo e il suo volto gi prendeva le sembianze di maschera dove ho
riconosciuto te. La notte precedente aveva notato la stella dentro la falce della
luna ma pensavo che il malaugurio riguardasse le barche sballottate dalle onde.
Ti ho visto nella lingua di fuoco che ha carbonizzato mio cugino nellincendio
che si spento in mare: le fiammate lo hanno sorpreso nella fuga lungo il sentiero
della valle. Lingua di fuoco, falce inesorabile gettata dalla tua mano maestra
nellarte della mietitura.
Aspetta che io concluda i conti, manca il totale.
La mia vita era la famiglia, il lavoro e la festa, poi tutto cambiato, linfinita
ricchezza: n lavoro n festa. Devo capire la mia vita per accettare la morte.
Io non appartengo alla gente smeraldina che prende la vita per gioco: quella
gente che puoi cogliere di sorpresa, per gioco e neppure se ne accorge perch
senza difese, vive listante e tu la puoi prendere allistante. Costoro vanno leggeri
sulla terra ma io ho un corpo pesante, radicato come le pietre di Monti di Mola.
La mia vita lho sempre capita fino alla svolta, poi mai pi, e avrei capito anche la
mia morte, ora ho bisogno di tempo, pochissimo tempo.
Vita e morte sono parole levigate dal tempo, ciottoli arrotondati dalle ricorrenti
piene del fiume. Da bambini prendevamo cinque ciottoli rotondi per il gioco
della mano, secondo il ritmo: gettavamo le pietruzze per terra per racchiuderle in
un colpo nel cavo della mano, allora il male era esorcizzato e la vita assicurata.
Era cos semplice essere padroni della vita! Ora la vita me la porto addosso e le
sue tracce sono impresse sulla pelle.
Sono successe cose che non ho avuto il tempo di chiarire. Ero abituato a
distendere la mia vita come una pelle di capra sul pavimento dello stazzo,
Ora, forse, ho capito: non c mistero da svelare, la vita stata come doveva
essere, secondo il destino.
Quando prendi laltro capo del filo ti accorgi che il nodo fa parte della fune.
Anche la tela del ragno un ricamo della vita e della morte.
Lavevo gi pensata la morte e mi ero preparato a sentire il velo denso sulle
palpebre oscurare la luce, proprio prima di scorgere il sentiero del tempo
interrotto.
Quando Fulana mi ha fatto lultimo cenno, ho detto ai miei cari: Spegnete il
fuoco, tutto ormai compiuto, non coprite le brace con la cenere, tanto lalba
non verr no, no, coprite le brace sotto una montagna di cenere, custoditele,
cos al mattino potrete dire: Ci ha lasciato il fuoco acceso per la nostra giornata.
Mi preparavo per una discesa nellabisso e invece salgo sulla collina per
spiccare il volo. Rosina e Bandulera, le mie belle capre, hanno gi imparato a
volare, mi stanno ai lati e mi fanno cenni. Eccomi, sono pronto. La stanza stata
liberata da tutto ci che mi teneva legato alla vita, la finestra aperta.
La luce sta diventando unombra chiara che copre le tenebre.
lora: il taglio, la piega del tempo, appena un sussurro come un alito
contratto, una nenia lontana, una scia di luce profonda. N memoria n
dimenticanza.
Capitolo 18