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Quaderni.

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QUADERNI
DEL DOTTORATO DI ITALIANISTICA
DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI

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© 2005, Edizioni B.A. Graphis

Prima edizione 2005

Questo volume è stato pubblicato con il contributo


del Dipartimento di Italianistica dell’Università degli Studi di Bari

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compre-


sa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.
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l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia
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Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi co-
munque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura.
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Alcuni grandi interpreti


della critica letteraria
primonovecentesca

Edizioni B.A. Graphis


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Proprietà letteraria riservata


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per conto della Graphiservice s.r.l.
ISBN 88-7581-025-7
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Alcune note sul realismo di Auerbach


di Eleonora Forenza

Dante Della Terza in Da Vienna a Baltimora. La diaspora degli in-


tellettuali europei negli Stati Uniti d’America1 traccia l’itinerario
storico-biografico di numerosi intellettuali europei che, costretti
all’esilio dalle leggi razziali nazi-fasciste, concluderanno la loro
parabola intellettuale in America, dopo aver vissuto gli anni del
secondo conflitto mondiale in esilio: tra loro, Leo Spitzer ed Erich
Auerbach. La condizione diasporica segna profondamente l’ela-
borazione di Mimesis2, scritta da Auerbach ad Istanbul nel 1940,
ossia durante la sua permanenza in Turchia (durata dal 1936 al
1947), prima del definitivo trasferimento a Yale.
Il contesto è un’Europa dilaniata dalla guerra ed osservata da
margine e, forse, proprio per questo abbracciata tutta dal filologo
berlinese in un ambizioso sforzo di comprensione3; la condizione,
sottolineata nelle pagine conclusive di Mimesis, è di isolamento
dal contesto culturale di appartenenza, di mancanza di strumenti
bibliografici e di possibilità di aggiornamento nella redazione del-
le note ai testi.
Lo stesso Auerbach, però, sottolinea come questo pur soffer-
to disagio nello svolgimento del lavoro di ricerca abbia in un cer-
to senso agevolato, nella stesura dell’opera, l’afflato straordina-
riamente sintetico e la priorità assoluta data all’esegesi dei testi: «è
possibilissimo che il libro debba la sua esistenza proprio alla man-
canza di una grande biblioteca specializzata; se avessi potuto far
ricerche, informarmi su tutto quello che è stato scritto intorno a
tanti argomenti, forse non mi sarei più indotto a scriverlo»4.
Il ‘metodo’ auerbachiano, in questo excursus attraverso più di
trenta secoli di letteratura – dall’Antico Testamento a To the light-

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house – si innesta sulle letture vichiane (nella definizione di uno


storicismo ‘radicale’) e sull’impostazione, a queste ultime connes-
sa, filologico-romanza. Da esse – nota Aurelio Roncaglia – deri-
vano sia la prospettiva europeistica che, lungi dal contraddire le
rivendicate matrici tedesche nell’elaborazione dell’opera, presup-
pone la centralità di una concezione unitaria della tradizione e
della civiltà europee5, sia la particolarità dell’accezione auerba-
chiana della metodologia stilistica.
Negli Epilegomena zu Mimesis, articolo apparso nel 1950 sulla
rivista «Romanische Forschungen», l’autore interviene per chiari-
re alcuni elementi dell’opera (divenuti oggetto di disparati, finan-
che contrapposti, fraintendimenti interpretativi): il ‘relativismo
concettuale’ ed il ‘prospettivismo storico’.
Subito dopo la pubblicazione di Mimesis, avvenuta in Germa-
nia nel 1946, Renè Wellek nota come la categoria di realismo sia
usata nell’opera non solo in modo non univoco, ma, anzi, con-
traddittorio. Auerbach, invece, rivendica come consustanziale al
metodo l’assenza di una definizione categoriale:
spesso è stato detto che i miei concetti informativi non sono chiari e
che le categorie ordinatrici richiederebbero una più precisa definizio-
ne. È vero che io non definisco questi termini, anzi che non sono del
tutto conseguente nel loro uso; ma ciò è accaduto intenzionalmente e
per metodo. Il mio sforzo di precisione s’indirizza al singolo e al con-
creto, mentre le formule generali necessarie a comparare, raggruppa-
re o definire i fenomeni l’uno rispetto all’altro dovevano essere fluide
ed elastiche. Esse dovevano adattarsi caso per caso alle possibilità
esplicitate dall’oggetto singolo, e devono esser interpretate caso per
caso sulla base del contesto6.

Uno storicismo di matrice vichiana e filologico-romanza, dun-


que, basato sull’idea che la definizione di concetti e di astrazioni
tipologiche si addica solo alle scienze esatte e si frapponga, inve-
ce, ad una piena comprensione della molteplicità e della singola-
rità irripetibile dei fenomeni storici. Non vi è mai, quindi, tra-
scendenza né del metodo né della categoria interpretativa rispet-
to all’oggetto, e, anzi, viene rivendicata come fondamentale pro-
gresso delle scienze umane l’assunzione di un prospettivismo di
giudizio che impedisca di valutare i fenomeni storici sulla base di
parametri introdotti «dall’esterno con pretese di assolutezza»7.

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Alla radicalità di quest’impostazione storicista Auerbach non


sottrae né se stesso né il canone di Mimesis: «è meglio essere le-
gati al proprio tempo consapevolmente piuttosto che inconsape-
volmente. [...] Mimesis è, in modo del tutto consapevole, un libro
scritto da un uomo determinato, in una situazione determinata,
all’inizio del 1940»8. Il relativismo storico di Auerbach si conno-
ta anche, secondo Roncaglia, per la sua assunzione-interpretazio-
ne della tesi crociana della contemporaneità di ogni storia9. E se
anche la storia del realismo può essere considerata e ordinata so-
lo a partire dall’oggi, risulta chiaro perché i parametri gnoseolo-
gici di Mimesis sembrano definirsi solo nei capitoli conclusivi del-
l’opera (quelli dedicati al realismo moderno). Il filologo berline-
se, all’accusa di aver utilizzato nell’analisi dei testi un canone in-
terpretativo proprio della contemporaneità, replica che la catego-
ria di realismo è oggettivamente e inevitabilmente determinata e
pensata nel contesto europeo contemporaneo: il punto di vista è
intenzionale e consapevolmente assunto.
Il procedimento usato da Auerbach in Mimesis è definito da
Aurelio Roncaglia «metodo dei campioni»10. Esso consiste nella
selezione lungo l’asse evolutivo del progresso storico di alcune
«sezioni orizzontali»11, ossia brani di testo (posti in apertura di
ogni singolo capitolo e assunti come prioritari e determinanti ri-
spetto all’interpretazione fornita dall’autore) da cui, attraverso
l’analisi linguistica e ‘sociologica’, si cerca di «tirar fuori tutto ciò
che vi è compresso»12.
Sottolineando il carattere casuale e non programmatico della
scelta dei campioni, Auerbach paragona il proprio metodo a quel-
lo usato da Virginia Woolf nel romanzo To the lighthouse. Egli se-
leziona «testi qualsiasi, scelti più per un incontro e propensione
casuale che per un fine preciso»13, ossia con una casualità «essen-
ziale ad un metodo che rifiuta qualsiasi pianificazione precosti-
tuita secondo categorie critiche trascendenti l’indagine»14.
Il filologo moderno ed il romanziere moderno sono per Auer-
bach accomunati dalla

fiducia che un qualunque fatto della vita scelto casualmente contenga


in ogni momento e possa rappresentare la somma dei destini: [...] fi-
ducia maggiore nelle sintesi ottenute con l’esaurire un fatto quotidia-
no, piuttosto che nella trattazione completa in ordine cronologico. Il

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procedimento seguito dagli autori moderni si può paragonare a quello


di alcuni filologi moderni che pensano che dall’interpretazione di po-
chi passi dell’Amleto [...] si possa ricavare qualcosa di più decisivo in-
torno a Shakespeare e alla sua epoca che non da corsi monografici che
trattino sistematicamente e cronologicamente la sua vita e le sue ope-
re; anzi in proposito si può citare il presente studio. Non avrei potuto
scrivere una storia del realismo europeo [...] avrei dovuto discutere
[...] la definizione di realismo [...] sono convinto che quei motivi fon-
damentali della storia del realismo letterario, se non ho errato nell’in-
dividuarli, si devono riscontrare in un qualunque testo realistico15.

Il filologo berlinese sceglie, dunque, di non scrivere una storia


del realismo essenzialmente per tre motivi: per la mole di dati che
essa avrebbe richiesto; perché reputa filologicamente e storica-
mente errato elaborare una definizione astratta della categoria di
realismo; perché considera più utile, al fine della comprensione
dell’interpretazione letteraria della realtà in un dato momento sto-
rico, l’analisi stilistica di un testo da cui inferire elementi dello
‘spirito dell’epoca’.
Ed è proprio nella definizione del metodo tramite la compa-
razione con la tecnica realistica del romanzo moderno che emer-
gono i nodi interpretativi di Mimesis su cui la critica ha più di-
battuto. L’assunto secondo cui è possibile inferire le caratteri-
stiche di un periodo storico (non solo, dunque, lo ‘psicogramma’
di un singolo autore, come in Spitzer) dall’incisione di un testo e
dalle analisi delle differenziali linguistiche e stilistiche presup-
pone non solo una tendenza universalista, di chiara matrice te-
desca, nel «riconoscere scienze e lavori speciali quali avvii ad una
visione universale»16, ma anche la tesi della ‘solidarietà stilistica
di un’epoca’.
Qui è riscontrabile la prima divergenza fra la stilistica ‘menta-
lista’ di Spitzer e quella ‘del reale’ di Auerbach il quale, a partire
dal metodo filologico e dalla explication de textes di scuola france-
se, rielabora profondamente il metodo stilistico proposto da Leo
Spitzer, suo predecessore alla cattedra di Filologia a Marburg.
Nel saggio dal significativo titolo I limiti della critica stilistica
ed i problemi della critica letteraria17, Cesare Cases svolge una ser-
rata critica della Stilkritic sia nell’accezione spitzeriana che in
quella auerbachiana, sostenendo che il metodo basato sull’analisi

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linguistica e sull’individuazione nell’opera di un tratto stilistico


divergente dalla ‘norma’ non porti affatto, come invece accade
nell’explication de textes francese, ad una fondazione oggettiva del
metodo, bensì ad una sua assoluta arbitrarietà, soggettività e adat-
tabilità al fine.
Per Spitzer il compito della stilistica è penetrare nell’animo
dell’autore18 e disegnare il «diagramma linguistico del sentimen-
to ispiratore dell’opera d’arte»19. Assumendo la linguistica come
via privilegiata e autonoma d’analisi, Spitzer stabilisce un nesso
fra il moto psicologico individuale e le devianze stilistiche dalla
‘norma’ del linguaggio: «la deviazione stilistica individuale dalla
norma generale deve rappresentare un passo storico compiuto
dallo scrittore, rivelare un mutamento di cui lo scrittore è dive-
nuto consapevole e che egli tradurrà in una forma linguistica ne-
cessariamente nuova»20. Leo Spitzer, secondo Cases, pretende
oggettiva un’analisi in realtà assolutamente soggettiva, ridotta al-
la penetrazione della monadica mens del singolo autore, avvenu-
ta attraverso l’analisi linguistica e la comprensione circolare (click)
dell’«etimo spirituale di un’opera»: «siamo in piena teologia»21.
Auerbach si differenzia da Spitzer per un’accezione della stili-
stica che probabilmente non si può definire antimentalista22, ma
che sicuramente pone l’accento sul legame fra opera, scrittore e
contesto storico più che sui fattori psicologici individuali del sin-
golo autore: si sofferma «sui presupposti sociali dello stile»23 fino
a portare alcuni a pensare ad un tentativo di fusione fra metodo
sociologico e metodo stilistico; egli, non considerando l’analisi
linguistica la via esclusiva per la comprensione del testo, la con-
nette sempre alle dinamiche storiche e sociali (stilistica del reale).
Per Giorgio Bàrberi Squarotti il metodo «storico-stilistico»24 di
Mimesis si fonda su una «semantica sociologica dello stile [...]
Auerbach è al di là del concetto spitzeriano di rapporto imme-
diato di stile e sentimento: lo stile è per lui il luogo delle ideologie,
delle fondamentali disposizioni e degli essenziali comportamenti
di fronte al mondo e alle cose, è organizzazione prima di ogni al-
tra cosa, è interpretazione del reale, e l’autentica critica stilistica
consiste nel prendere coscienza, attraverso l’esame delle strutture
fondamentali di uno stile, della posizione interpretativa della
realtà assunta dallo scrittore entro la sua età (di qui la particolare
forma di storia stilistica attuata in Mimesis)»25. Bàrberi Squarotti,

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dunque, rileva una diametrale contrapposizione fra il soggettivi-


smo critico di Spitzer, per cui lo stile non è altro che la manifesta-
zione fenomenologica, tecnicamente misurabile, di un giudizio di
valore «demandato alla critica estetica»26 e la stilistica auerbachia-
na, per cui lo stile è la modalità gnoseologica dell’arte, è organiz-
zazione della conoscenza artistica, che non può non essere con-
nessa al contesto storico. Da questa idea dello stile, capace di su-
perare la dicotomia fra contenuto e forma, deriva secondo Bàrberi
Squarotti la possibilità di una «critica oggettiva»27.
Queste considerazioni, secondo Cases, invece, non valgono as-
solutamente a dare fondazione oggettiva ad un metodo che, anzi,
si colloca pienamente nella crisi dell’oggettivismo poiché inserisce
«la stessa critica stilistica nella teologia spitzeriana della storia»28.
Inoltre, partendo dal paragone col metodo usato da Virginia
Woolf nell’episodio del Calzerotto marrone, Cases evidenzia come
l’unico tratto universale che s’inferisce dal ‘nuovo realismo’ (pro-
cesso che sia Auerbach che Lukács fanno incominciare da Flau-
bert) consista «nella riduzione della realtà al momento puntuale
della sua indifferente banalità»29, ossia ad un momento universa-
le sganciato dalla concretezza oggettiva delle dinamiche storico-
sociali:
lungi dall’essere la vera via, la scoperta che salva la critica letteraria sia
dallo sterile positivismo che da gratuiti giudizi estetici, la critica stili-
stica viene considerata30 come il prodotto dell’incapacità di afferrare
il processo come un tutto, incapacità cui si crede di ovviare analizzan-
do il frammento, come se questo non fosse tale proprio per la rottura
di quella totalità cui aspetta di essere restituito. Come la Woolf [...] co-
sì il critico stilistico va allineando teorie di belle conchiglie, e auscul-
tandole gli sembra di sentir sonare nelle loro cavità l’eco potente di un
mare ritiratosi a seguito di qualche sovrumano, teologico intervento31.

Per Roncaglia Cases pone l’accento più sull’Auerbach ‘critico-


teologo’ che sull’Auerbach ‘critico-militante’ che «potrebbe pa-
rere vicino alla critica marxista»32 (in particolare lukácsiana) per
l’attenzione alla questione del realismo. In realtà questo accosta-
mento è assolutamente infondato. Per Lukács il realismo non è
mimesi, ossia non consiste nella descrizione della realtà, ma nella
capacità, che implica partecipazione, di rispecchiare il processo
storico33:

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il problema del rispecchiamento della realtà oggettiva [...] come fon-


damento dell’arte, [...] il problema del realismo [...] è il problema fon-
damentale della letteratura; i problemi di stile possono essere posti so-
lo all’interno del suo campo di validità, oppure, e allora con un accento
negativo, in relazione contro di esso34.

La critica stilistica è, in sintesi, da considerarsi per Cases una


critica ‘post festum’, ossia che interviene o può intervenire con va-
lenza ancillare, tecnico-strumentale, dopo che il giudizio e la sele-
zione critica sono già avvenuti attraverso altri percorsi interpreta-
tivi. Per dimostrare questa tesi, Cases paragona di uno stesso bra-
no la lettura lukácsiana, ancorata ad elementi oggettivi nel meto-
do e nell’analisi storica, e quella stilistica, funzionale anche ad in-
terpretazioni fra loro contrapposte dello stesso testo.
Auerbach elabora una ricognizione delle diverse maniere di
«interpretare la realtà per mezzo della rappresentazione lettera-
ria o ‘imitazione’»35 traendo ispirazione dall’idea platonica di
mimesi intesa come «copia della copia della verità insieme con la
pretesa dantesca di presentare nella Divina Commedia la realtà
vera»36. Il punto di partenza della sua analisi è la separazione de-
gli stili e dei livelli della rappresentazione d’età classica e ripresa
dai classicisti. Essa costringe la rappresentazione del reale e del
quotidiano all’interno dello stile umile e del comico. Una com-
pleta liberazione da questa divisione si ha con il realismo moder-
no che assume il quotidiano nella trattazione seria. Nella ricogni-
zione delle «opere realistiche di carattere serio e di stile serio»37,
che sono l’oggetto dell’analisi di Mimesis, Auerbach si sofferma
sulla «prima breccia»38 che si apre nella teoria classica della divi-
sione degli stili: la storia di Cristo, ove ciò che è sublimemente tra-
gico s’incarna in ciò che è straordinariamente umile, concreto,
quotidiano.
Da essa discende, secondo Auerbach, la concezione figurale39
della realtà che contraddistingue l’età medievale:

secondo tale concezione, un fatto che accada sulla terra, indipenden-


temente dalla forza che gli deriva dalla sua concreta realtà hic et nunc,
significa non soltanto se medesimo, bensì anche un altro fatto che es-
so preannuncia, o confermandolo, ripete, e la connessione fra gli av-
venimenti non viene considerata preminentemente come evoluzione
temporale o causale, ma come unità dentro il piano divino, di cui tut-

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ti gli avvenimenti sono membra e immagini riflesse, la loro immediata


connessione terrena è d’importanza minore, e talvolta la conoscenza
di essa è, per l’interpretazione, del tutto superflua40.

Dante Della Terza in un saggio pubblicato su «Belfagor»41


analizza il nesso genetico e interpretativo fra le categorie auerba-
chiane ‘figura’ e ‘realtà’. La categoria di figura ha consentito al cri-
tico tedesco una radicale comprensione dei personaggi danteschi,
la cui pienezza d’identità si raggiunge, senza perdere in concre-
tezza individuale, nel compimento del destino divino. In Mimesis
l’interpretazione figurale della realtà viene relativizzata e resa con-
tingente, vi è un

cedimento dell’area semantica della «figura» rispetto a quella spazial-


mente più estesa e teoreticamente più comprensiva della «realtà» [...].
Con Mimesis la realtà della figura, la quale era apparsa nella coscienza
riflessa del critico come la cifra dell’invenzione poetica dantesca, cede
il posto in una prospettiva di più ambizioso lavoro allo studio delle fi-
gure o delle immagini della realtà42.

In sintesi, tutti quei mondi (a partire da quello classico) che


avevano avuto una funzione meramente gregale negli studi su
Dante assumono una loro rilevanza indipendente dall’«onnivora
coscienza dantesca». In questo percorso la validità dell’interpre-
tazione figurale assume dei limiti storici e interpretativi, eviden-
ziandosi come una delle possibili maniere di interpretazione let-
teraria del reale e acquisisce, quindi, rilievo la categoria di realtà,
che ha in Mimesis, come si è detto, un carattere relativo e fram-
mentario.
Dante Della Terza individua un ulteriore problema posto dal-
la lettura di Mimesis, ossia la compresenza di due linee interpre-
tative:

da un lato vi è, infatti, un procedimento critico orizzontale, volto a ri-


velare l’individualità degli scrittori e la loro modalità di rappresenta-
zione del reale nella singola opera attraverso un’analisi di tipo intensi-
vo ed affidato al metodo stilistico. Dall’altro, un movimento verticale
ed estensivo, basato su un’indagine sociologico-contenutistica, verso
una realtà che però si rivela talmente sfuggente da non essere rappre-
sentata in modo assoluto da nessuno scrittore43.

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L’indagine sulla mimesi letteraria produce, dunque, da un lato,


una galleria di monografie sulle immagini del reale, dall’altro una
ricerca storico-evolutiva sulla rappresentazione della realtà che
culmina negli ultimi saggi dell’opera, quelli sul realismo moderno.
Questa duplicità ha autorizzato una doppia interpretazione di
Mimesis: vi è chi, come Leo Spitzer o Macchioni Jodi, tende a leg-
gere Mimesis come un insieme di quadri monografici, e chi invece,
come Cases o Roncaglia, ritiene che nel saggio su Virginia Woolf
venga a compimento la spinta teleologica che contraddistingue-
rebbe tutta l’opera.
La carrellata attraverso le varie rappresentazioni serie della
realtà, che si apre con il realismo in età antica in contrapposizio-
ne all’interpretazione di matrice giudaico cristiana, ha come mo-
menti di snodo (e di contrapposizione alla divisione classicista de-
gli stili) la rappresentazione figurale dantesca e quella realistica
del romanzo contemporaneo.
La questione della rappresentazione della realtà nel mondo an-
tico è sviluppata nel celebre saggio La cicatrice di Ulisse attraver-
so la comparazione di due testi ‘epici’ che daranno vita a due di-
versi filoni realistici nella cultura europea: l’Odissea e l’Antico Te-
stamento.
Il realismo omerico, che, in realtà, è antecedente alla divisione
classica degli stili, viene analizzato attraverso la digressione (volta
a ritardare e distendere la tensione e non ad incrementare il cli-
max) sull’origine della cicatrice tramite cui la dispensiera Euriclea
riconosce Ulisse. Omero non crea una differenza prospettica fra
il filone centrale della narrazione e la digressione: non vi è sfon-
do, tutto è in primo piano, offerto ad una minuziosa descrizione,
alla «gioia dei sensi»44. Nulla vi può essere di non descritto, di non
visibile nelle sue relazioni spaziali e temporali, neanche ciò che at-
tiene alla lineare e schematica intimità dei personaggi: anch’essa,
statica e priva di significative evoluzioni, può essere descritta e,
quindi, circoscritta.
Radicalmente diverso è il procedimento biblico, analizzato at-
traverso l’episodio di Abramo ed Isacco. Qui le descrizioni spa-
zio-temporali sono presenti solo nella misura in cui sono utili alla
comprensione dell’azione; il discorso si caratterizza per la man-
canza di raffigurazione, anzi per l’impossibilità della raffigurazio-
ne, a partire proprio da quella di Dio; l’evoluzione psicologica dei

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personaggi, molto complessa, a differenza che nel testo omerico,


si manifesta più attraverso il non detto che tramite i frammentari
discorsi diretti.
In Omero, dunque, l’assoluto valore della descrizione, uno
«stile di primo piano»45, con nessi logici e sintattici orizzontali fra
gli eventi; nell’Antico Testamento, uno ‘stile di sfondo’ in cui pre-
dominano gli elementi di verticalizzazione. C’è un’altra differen-
za radicale fra testo omerico e testo biblico: il primo ha la ‘pre-
tesa’ del ‘racconto della realtà’, il secondo, quella dell’‘assoluta
realtà del racconto’ (pretesa sulla quale si fonda il metodo esege-
tico). Nell’Antico Testamento, infatti, l’unità della struttura reli-
giosa verticale ordina la realtà in una maniera che non potrà esse-
re catalogata all’interno di nessun genere letterario. Inoltre, in
Omero la rappresentazione del sociale è statica ed il quotidiano
può essere assunto nell’epico e nel sublime in quanto realtà di una
cerchia a-storica e aristocratica; nella Bibbia, invece, non solo vi è
la rappresentazione del popolo e della mobilità sociale, ma subli-
me e quotidiano sono incarnati l’uno nell’altro, quindi, di fatto,
inseparabili.
Nel saggio su Fortunata, celebre protagonista della Cena Tri-
malchionis del Satyricon di Petronio, Auerbach si sofferma su uno
dei punti più alti del realismo in età antica, evidenziando la pecu-
liarità della tecnica narrativa petroniana. Non è, infatti, il narra-
tore a darci l’affresco del mondo sordido dei liberti, ma un liber-
to stesso appartenente a quell’ambiente di cui, tramite locuzioni
proverbiali e frasi fatte, fa trasparire la grettezza. Il «soggettivismo
spinto»46 del narratore fa sì che egli, descrivendo quella realtà in
cui fortuna e beatitudo coincidono, descriva anche se stesso: «un
procedimento assai artificioso, un espediente di prospettiva, una
specie di specchio doppio che nella letteratura antica conservata-
ci costituisce [...] un caso rarissimo»47.
Rispetto all’Odissea, archetipo del romanzo petroniano, la rap-
presentazione realistica è completamente differente. Innanzitutto
per la tecnica narrativa, che in Omero è oggettiva ed in Petronio,
invece, è soggettiva sia nella narrazione, che avviene tramite un
gioco fra narratore e mondo narrato, sia nello stile, che, come la
lingua (a proposito del Satyricon si parla, infatti, di plurilingui-
smo), varia a seconda dell’appartenenza sociale del narratore. Al-
tro elemento di distanza dal realismo omerico è l’inserimento dei

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personaggi all’interno di dinamiche storico-evolutive. Se in Ome-


ro l’eroe epico non subisce evoluzioni sociali ed è staticamente
collocato in una atemporale casta aristocratica, al centro della nar-
razione petroniana vi è proprio il cambiamento di fortuna: «de
nihilo crevit», è, infatti, formula ricorrente nella descrizione delle
parabole economiche di questi parvenu. Questi cambiamenti,
inoltre, non sono da attribuire, come nella commedia antica,
all’intervento del destino, ma all’abilità dei singoli.
Il realismo petroniano se, quindi, da un lato, è accostabile a
quello del romanzo moderno per la descrizione non stereotipata
delle dinamiche sociali e per il fatto di far parlare i personaggi con
la propria lingua, dall’altro lato incappa nel grosso limite del rea-
lismo antico: ossia il dover relegare tutta questa materia ad una
trattazione umile e bassa, comica. Petronio, dunque, soggiace alla
legge della divisione degli stili e ciò gli impedisce di dare profon-
dità storica alle analisi delle dinamiche sociali del mondo della
Graeca urbs d’età neroniana. Il limite del realismo diventa, dun-
que, anche limite nella concezione storica: la storiografia antica,
caratterizzata da moralismo e retorica, si preclude, quindi, secon-
do Auerbach, la comprensione delle dinamiche collettive.
Totalmente diverso per il filologo berlinese è l’atteggiamento
del Nuovo Testamento: qui, come in tutti gli scritti di tradizione
giudaico-cristiana, vi è una completa assenza della divisione degli
stili e una trattazione assolutamente seria e tragica del mondo di
pescatori a cui Pietro, protagonista dell’episodio analizzato, ap-
partiene. Nel Nuovo Testamento si trova la rappresentazione di un
movimento, quello cristiano, che ha la forza storica di creare
profonde variazioni nella vita sociale e individuale delle persone,
coinvolgendo innanzitutto gli strati popolari, poiché è nell’uomo
qualunque che si realizzano la parabola e la dottrina di Cristo.
La rappresentazione figurale della realtà ha origine, secondo
Auerbach, proprio con la predicazione del cristianesimo ai paga-
ni. Essa ha implicato un adattamento dell’Antico Testamento, che
venne «svalutato in quanto storia e legge del popolo ebraico e si
trasformò in una serie di “figure”, vale a dire di profezie e di
preannunzi della venuta di Cristo»48.
Emerge di qui chiaramente la differenza fra il realismo antico,
non problematico e legato alla «sicurezza del sensibile»49, e il rea-
lismo del cristianesimo primitivo, caratterizzato dalla lotta fra

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«fenomeno sensibile e significazione che riempie la visione della


realtà»50.
Nell’episodio dantesco di Farinata e Cavalcante, Auerbach si
sofferma più distesamente (ed anche con qualche evoluzione –
nota Della Terza – rispetto ai precedenti studi danteschi) proprio
sull’interpretazione figurale della realtà e sottolinea la straordina-
ria potenza espressiva della lingua dantesca, capace di attingere a
diverse fonti e di piegare anche le forme espressive del quotidia-
no alla gravitas del suo stile.
Alla mescolanza linguistica si associa una straordinaria esat-
tezza nella rappresentazione della quotidianità che, anche nelle
forme più crude, può essere considerata sublime. Si ha dunque,
in Dante, la confluenza dell’antica tradizione classica, che divide
gli stili, e di quella cristiana, che li mescola.
Auerbach ritiene che Dante non si sia mai completamente libe-
rato della teoria della separazione degli stili. Questo dato si evin-
ce, a suo avviso, non solo dagli scritti teorici, ma anche dal fatto
che Dante abbia definito Commedia il suo itinerario attraverso
l’oltretomba in base al modus loquendi e al binomio inizio amaro-
chiusa felice (cfr. Epistola a Cangrande).
Benvenuto da Imola è tra i primi commentatori a sottolineare
la presenza nella Commedia di ogni tipo di poesia e a comprende-
re che essa è da considerare senz’altro appartenente al genere il-
lustre e sublime, al di là della sua collocazione da parte di Dante
nello stile umile. Per Auerbach la Commedia

è un’opera d’arte imitatrice della realtà in cui si affacciano tutte le pos-


sibili regioni del reale: passato e presente, sublime grandezza e sprege-
vole bassezza, storia e leggenda, tragedia e commedia, uomini e paesi;
ed è finalmente la storia dell’evoluzione e della salvezza di un uomo sin-
golo, Dante, e come tale una figurazione della salvezza dell’umanità51.

La straordinaria potenza del realismo dantesco è data, dun-


que, da un lato, dalla rappresentazione dell’esperienza sensibile
terrena nella sua storica e drammatica concretezza; dall’altro, dal-
la continua correlazione di questo livello con il piano divino.
I due eretici del canto X dell’Inferno, infatti, non perdono la
loro individualità caratteriale e ‘materialità’ storica: anzi i tratti
terreni ricevono completa estrinsecazione proprio con il suggello
del giudizio divino:

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la struttura figurale assicura [...] tanto alla figura quanto al compi-


mento, il carattere storico e concreto della realtà – diversamente da
quanto avviene per le forme simboliche e allegoriche; cosicché figura
e compimento si corrispondono senza però che il significato di cia-
scuna ne escluda la realtà; un avvenimento di significato figurale con-
serva il suo significato letterale e storico, non diventa puro simbolo, ri-
mane avvenimento52.

Dopo aver trattato la crisi dell’impalcatura cristiana come ele-


mento ordinatore del pensiero nel XV secolo, Auerbach presen-
ta, secondo Della Terza, una galleria di eroi dell’anti-realtà:

Rabelais, Montaigne, Shakespeare, Moliere, Cervantes, nella misu-


ra in cui hanno evitato di attingere alla sfera del realismo serio, politi-
co-economico, ci vengono presentati come una sorta di antieroi nel
complicato sviluppo della vicenda di Mimesis53.

E proprio la mancanza di profondità storica nella trattazione


del quotidiano fa gravitare questi saggi su quelli finali (All’hôtel
de La Mole, Germinie Lacerteux e Il calzerotto marrone), dedicati
al realismo moderno, che hanno, come si è detto, valore di sug-
gello conclusivo rispetto alla ricerca sulla rappresentazione reali-
stica nella cultura occidentale.
Occorre qui però brevemente notare come, in realtà, ancora le
pagine di Flaubert e dei fratelli Edmond e Jules de Goncourt al-
ludano, per il filologo berlinese, ad una dimensione antirealistica.
Fra le pagine su Flaubert, in cui il compito del romanziere è
l’oblio di sé in una fusione con la realtà oggettuale, e quelle su Vir-
ginia Woolf, in cui, invece, si assiste ad una sostanziale perdita di
contatto con la realtà empirica sia nel meccanismo narrativo che
nella coscienza del personaggio, si colloca l’analisi del Germinal
di Zola.
Egli, diversamente dai fratelli de Goncourt, per i quali l’atten-
zione per il quarto stato coincideva con l’attrazione per l’esotico
ed il patologico,

ha preso sul serio l’idea dello stile mescolato, ha superato il realismo


puramente estetico della generazione precedente, è uno dei pochissi-
mi scrittori del secolo che abbiano tratto la loro opera dai grandi pro-
blemi del tempo. In tal senso è comparabile solo a Balzac54.

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All’insistita sottolineatura (vagamente lukácsiana per Della


Terza) della presenza della dialettica economico-politica nella de-
finizione del realismo di Zola, seguono le pagine sul realismo sen-
za storia del Calzerotto marrone, ossia sulla frammentazione delle
coscienze e l’universalizzazione del banale quotidiano come trat-
ti rappresentativi della contemporaneità.
Infine, una breve nota sulla ricezione di Mimesis in Italia.
L’opera, dopo una non entusiastica recensione di Delio Cantimo-
ri all’edizione tedesca, verrà pubblicata da Einaudi nel 1956, es-
sendo stata da Pavese e Bobbio giudicata ‘tempestiva’ rispetto al
dibattito culturale italiano dell’epoca (ci si trova nel pieno del di-
battito sul realismo successivo alla pubblicazione di Metello di
Pratolini). Essa verrà accolta come istanza di rinnovamento della
critica da molti giovani filologi (Contini, Schiaffini, Terracini) e si
inserirà all’interno del filone critico crociano o, secondo Fubini,
come ‘momento simbolico’ successivo al giudizio di valore e alla
distinzione fra poesia e non poesia; o, dirà Contini, a dare valen-
za sperimentale e ausilio tecnico alla critica ‘una ed indivisibile’.
Nonostante l’attenzione della critica negli anni Sessanta, atten-
zione superata successivamente con l’affermarsi della metodologia
strutturalista, non si può dire che Mimesis abbia lasciato una scuo-
la in Italia. Da ultimo, al convegno nazionale dell’ADI del settem-
bre 2002, Francesco Orlando, nella relazione Auerbach e Bachtin:
due maestri inconciliabili, ha sottolineato il divario fra l’importan-
za degli studi di Auerbach e la mancanza di una scuola che ne ab-
bia portato avanti le riflessioni.

Note
1
D. Della Terza, Da Vienna a Baltimora. La diaspora degli intellettuali europei
negli Stati Uniti d’America, Editori Riuniti, Roma 1987.
2
E. Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, Einaudi, To-
rino 2000, 2 voll.
3
Rodolfo Macchioni Jodi in Scrittori e critici del Novecento, Edizioni A. Lon-
go, Ravenna 1968, pp. 243-244, sottolinea il rapporto fra la barbarie distruttiva im-
perversante nella «civiltà occidentale» e il fatto che quest’ultima fosse «oggetto
d’amoroso studio». Di questo «stato d’animo» sarebbe riprova la conclusione stes-
sa di Mimesis: «questo mio libro [...] contribuisca a riunire tutti coloro che hanno
custodito puro l’amore per la nostra storia occidentale».
4
E. Auerbach, Mimesis, cit., vol. II, p. 343.
5 Nel sottotitolo del libro si fa riferimento più genericamente all’Occidente, in-

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teso, secondo Roncaglia, «in senso più culturale che geografico», forse proprio per-
ché «Auerbach aveva portato nell’analisi storico-letteraria il senso di una superio-
re comunanza spirituale che da europea tendeva a farsi universale». Si può con-
cordare con Roncaglia nel definire Mimesis un esempio di «filologia europea». Lo
stesso Auerbach parla di «studi europeistici».
6
E. Auerbach, Epilegomena zu Mimesis, in «Romanische Forschungen», 65,
1950, pp. 1-18, citato in A. Roncaglia, Saggio introduttivo a E. Auerbach, Mime-
sis, cit., vol. I, p. IX.
7
Ivi, vol. I, p. XIII.
8 Ivi, vol. I, p. XX.
9
«Come si vedono le cose dal contesto europeo? Un tale contesto nessuno può
conoscerlo che dall’oggi, e proprio da quell’oggi che è determinato dall’origine,
dalla formazione e dalla storia personale dell’osservatore». Ivi, vol. I, p. XX.
10
Ivi, vol. I, p. XXI.
11
Ibid.
12 E. Auerbach, Mimesis, cit., vol. II, p. 43.
13
Ivi, vol. II, p. 342.
14 A. Roncaglia, Saggio introduttivo, cit., vol. I, p. XXII.
15 E. Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, cit., vol. II,

pp. 332-333.
16 Ivi, vol. II, p. 57.
17 C. Cases, I limiti della critica stilistica e i problemi della critica letteraria, in

«Società», II, 1955, 1, pp. 46-63 e 2, 266-291, poi raccolto, con il titolo Leo Spitzer
e la critica stilistica, in Il testimone secondario. Saggi e interventi sulla cultura del No-
vecento, Einaudi, Torino 1985.
18
Ironizza Cases: «individuum non est ineffabile» o, per dirla col Croce di Con-
versazioni critiche, «solum individuum effabile».
19 G. Bàrberi Squarotti, Il codice di Babele, Rizzoli, Milano 1971.
20 C. Cases, I limiti della critica stilistica, cit.
21 Ibid.
22
Auerbach stesso dice di non aver strumenti per opporsi all’impostazione
mentalista di Spitzer.
23 A. Roncaglia, Saggio introduttivo, cit., vol. I, p. XXIX.
24
G. Bàrberi Squarotti, Il codice di Babele, cit., p. 22.
25 «Lo stile è concepito come portatore delle nozioni fondamentali dell’inter-

pretazione e della concezione del mondo dello scrittore e del suo tempo, della sua
tradizione e della società a cui partecipa», ibid. Dello stesso avviso Roncaglia, che
parla di stilistica di «forme morali ed estetiche, [...] di visioni del mondo», in A.
Roncaglia, Saggio introduttivo, cit., vol. I, p. XXXII.
26
G. Bàrberi Squarotti, Il codice di Babele, cit.
27
Ivi, p. 25.
28
C. Cases, I limiti della critica stilistica, cit.
29
Ibid.
30
Si intende: dallo stesso Auerbach.
31
C. Cases, I limiti della critica stilistica, cit.
32
A. Roncaglia, Saggio introduttivo, cit., vol. I, p. XXXVIII.
33
Cfr. a questo proposito G. Lukács, Il marxismo e la critica letteraria, Einau-
di, Torino 1953, e in particolare il saggio Narrare o descrivere.
34
G. Lukács, Il marxismo e la critica letteraria, cit., pp. 14-15. A questo pro-
posito Macchioni Jodi scrive: «Auerbach [...] rimanda ad una nozione sociologica

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delle prospettive culturali che è ben diversa dagli schemi proposti dal marxismo,
così come è diverso il significato del realismo. Esso ha qui il valore di rapporto con
la realtà concepita come dinamica e pluriforme vita, come concreto divenire stori-
co della civiltà. Realistica è quindi l’opera che riesce a rispecchiare – imitare – la
sensibilità, il mondo umano, sociale e culturale di un’epoca». Macchioni Jodi espri-
me un giudizio severamente negativo sullo storicismo auerbachiano, definendolo
«descrittivo e non critico» e parlando di Mimesis nei termini di una carrellata com-
paratista di medaglioni senza alcuna sostanziale unità, in Scrittori e critici del No-
vecento, cit., p. 244.
35 E. Auerbach, Mimesis, cit., vol. II, p. 339.
36
Ibid.
37
Ivi, vol. II, p. 342.
38
Ibid.
39 Il concetto di ‘figura’ viene elaborato da Auerbach in Figura, studio dante-

sco del 1938.


40 E. Auerbach, Mimesis, cit., vol. II, p. 341.
41 D. Della Terza, Ritratti di critici contemporanei. Erich Auerbach, in «Belfa-

gor», XVIII, 1963.


42
D. Della Terza, Da Vienna a Baltimora, cit., p. 80.
43
Ibid.
44
E. Auerbach, Mimesis, cit., vol. I, p. 15.
45 Ivi, vol. I, p. 13.
46
Ivi, vol. I, p. 33.
47 Ibid.
48 Ivi, vol. I, p. 57.
49 Ibid.
50
Ibid.
51
Ivi, vol. I, p. 205.
52
Ivi, vol. I, p. 213.
53 D. Della Terza, Da Vienna a Baltimora, cit., p. 85.
54 E. Auerbach, Mimesis, cit., vol. II, p. 290.

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