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Si può costruire una curva di una somministrazione che non sia per ev; la parte della curva che va dal
tempo zero al punto massimo ([c] max) corrisponde alla fase di assorbimento, più o meno lenta, che
ci consente di arrivare alla
massima concentrazione una
volta terminato l’assorbimento
attraverso la mucosa orale, o
transcutanea ecc.
Studieremo poi il fatto che noi si possa decidere di somministrare il farmaco più volte al giorno e per
un tempo prolungato. Le prime due curve in alto, a sinistra e a destra si riferiscono ad una misurazione
di [c] di farmaco che è stato somministrato in un'unica volta; partiamo dal tempo 0 (con farmaco 0),
arriviamo, dopo l’assorbimento o dopo la fase distributiva della via ev, ad una [c] max per poi tornare
a 0.
In una terapia cronica le curve sono di
questo tipo (ultimi due grafici in basso
nella figura); una somministrazione
continua orale darà luogo ad una
sequenza di curve di [c]/tempo come
questa e se il farmaco sarà
somministrato in via ev sarà simile a
questa (il grafico più in basso di tutti) è
caratterizzato da spike il picco dei quali
è la [c] max, avremo poi la distribuzione
e così via. Notare che mentre queste due
curve tronano a zero in cronico non
torniamo mai a zero; i valori di [c] nel
tempo restano ben al di sopra dello zero (es pz iperteso, controllo pressorio costante).
Bisogna comprendere la relazione tra la dose e l’effetto, allora se nel grafico invece della [c] mettiamo
l’effetto desiderato, possiamo dire che siamo in quella che chiamiamo finestra terapeutica quando le
[c] plasmatiche del mio farmaco siano al di sopra di un valore minimo, al di sotto del quale il farmaco
non funziona. Tuttavia non voglio neanche [c] max onde evitare che la [c] esca dalla finestra
terapeutica e determini effetti indesiderati.
L’altezza è la differenza di
tempo tra le due misurazioni, la
base maggiore è la [c] più alta,
viceversa per la base minore. Se
si fa la sommatoria di tutte le
basi per tutti i tempi in altezza,
calcolo la figura. Teoricamente
però non posso conoscere
l’ultimo tempo perché per
arrivare ad una [c] 0 dovrei
aspettare giorni e giorni, perché
dovrei smaltire tutto il farmaco.
Allora, per non perdere la
“coda” (l’inizio del trapezio in
somministrazione ev mi sfugge perché in realtà il primo punto che misuro non è il vero punto [c]
max, perché il sangue si muove nel nostro organismo), mancando la regola dei trapezoidi di capo e
coda, faccio riferimento agli integrali con i quali possiamo verificare il delta nel tempo da 0 a infinito.
Grazie alla cromatografia a massa atomica possiamo misurare il ng/ml; lo 0 corrisponde alla minima
concentrazione che possiamo rilevare.
Se si risolve l’integrale otteniamo che l’AUC è uguale a [c] 0 (concentrazione al t 0, tutto il farmaco
somministrato per via ev)/Ke (costante di eliminazione), inoltre definiamo un parametro K che ci da
informazioni sul meccanismo di eliminazione del farmaco.
Allora AUC è:
• direttamente proporzionale alla [c]0
• inversamente proporzionale a quanto velocemente il farmaco sarà eliminato,
Avrò allora un’area tanto più ampia, a parità di dosaggio, quanto più lentamente il farmaco
esce e quanto più rapidamente entra.
Altro esempio, la via orale per la morfina rispetto alla via endovenosa→ la morfina data per os ha
una F del solo 25%, il restante non riesce ad attraversare la mucosa.
Ultimo es è la nitroglicerina che per os ha F praticamente 0, perché ha un elevato primo passaggio
epatico, ma se lo metto sotto la lingua risolve un attacco di angina in atto. C’è un altro aspetto
interessante che può emergere dal riconoscere l’AUC di un farmaco, essa dipende dalla dose, se do
una dose doppia la AUC è il doppio, ma è anche vero che, se io la dose di farmaco 100, che mi da un
AUC di 600, la spezzo nelle 24 h, quindi per es do 33-33-33, l’AUC di ogni singola somministrazione
è pari all’area complessiva ottenuta se avessi dato il farmaco tutto in un'unica dose.
È un’informazione utile sapere che, se io do tutta la dose in unica somministrazione, l’AUC sarà
uguale alla somma di tutte le AUC che io otterrei suddividendo la singola dose in più dosi minori.
Quindi l’AUC è direttamente proporzionale alla dose, ma è anche facilmente deducibile che, data una
certa dose (e quindi la sua relativa AUC), se essa stessa è spezzata nelle 24h, avrò un numero di sotto
aree, pari al numero delle somministrazioni che faccio, proporzionali a quel quantitativo
somministrato.
Ciò trova un pratico esempio quando somministro antibiotici. In questo caso vogliamo stare sopra
una [c] min, necessaria ad eliminare i batteri (in microbiologia MIC). Allora posso dare la dose intera
all’inizio della terapia (per stare abbondantemente al di sopra della dose minima), posso anche dare
l’antibiotico in più somministrazioni nell’arco della giornata ma ad una dose tale che le AUC che ne
derivano siano in buona parte al di sopra della minima [c] inibente.
Quindi AUC ci consente di definire la dose per stare sopra la min [c] efficace (quindi dentro la finestra
terapeutica).
Quindi la farmacocinetica ha 2 applicazioni; la prima per stabilire la F, la seconda per stabilire quanta
copertura ho in termini di finestra terapeutica se dimezzassi la dose.
Lo stabilire la biodisponibilità di una via piuttosto che un'altra ha uso pratico a seconda del pz che ho
davanti. Se la morfina ha una F del 25% nella somministrazione per os (in un volontario sano,
prestatosi ai test del farmaco), nella compressa vi è necessaria una quantità di morfina 4 volte
superiore a quella che è dentro la fiala (fiala ev, compressa os). Il produttore del farmaco metterà
nella compressa un quantitativo 4 volte superiore a quello della fiala.
Quindi la dose equi-attiva ad esempio per la morfina è di 10 mg ev e 40 mg per via orale, non a caso
ho parlato di morfina; se sbagliamo la dose il pz va in crisi respiratoria con rischio di exitus. Inoltre
non so bene, se parlo del paziente, che tipo di assorbimento realmente avrà (magari ha patologie che
compromettono il suo assorbimento).
In conclusione, più la F è inferiore rispetto al valore assoluto di F della somministrazione ev, più nella
clinica noi dovremo valutare attentamente se somministrare il farmaco o meno per quella via (se il pz
ha l’intestino che assorbe meglio non gli si può dare una compressa da 40 mg, e allora la dose 40
magari ci da una concentrazione eccessiva). Quindi la F della scheda tecnica ci serve da allarme, tanto
è più alta la biodisponibilità, tanto più liberi siamo di trattare il pz, se la biodisponibilità è più bassa
dobbiamo usare più cautela (quindi magari si usa un quarto di compressa o mezza)→Devo titolare
la dose.
La matematica ci dice come calcolare il parametro, ma la clinica non può usare il valore assoluto→
la matematica ci da un’informazione di massima (se l’assorbimento è ridotto in vivo non può essere
facilmente prevedibile).
All’interno dello stesso pz la variabilità può essere presenta in base ad esempio all’assunzione a
digiuno o non a digiuno. Il LAG time è il ritardo di inizio della fase di assorbimento; ci son farmaci
che hanno un tempo di ritardo prima dell’assorbimento.
Per definizione, i farmaci che maggiormente sono caratterizzati da un ritardo tra assorbimento e
misurazione nel compartimento centrale, sono quelli soprattutto somministrati per os poiché abbiamo,
oltre alla fase di passaggio nelle mucose, l’entrata nel circolo portale, il passaggio al fegato e in
seguito il rilascio nel circolo sistemico. Questo tempo può essere lungo e conseguentemente anche il
tempo di raggiungimento di [c] max. Ciò può non essere un grave problema per la maggior parte dei
farmaci, ma se consideriamo un farmaco anti-epilettico, e lo si sta sperimentando per metterlo in
commercio per la gestione della crisi convulsiva, avere un ritardo anche solo di 20 min di
raggiungimento di [c] max è deleterio, poiché il farmaco dovrebbe essere in grado di curare l’attacco
in atto al momento. Quindi per alcuni farmaci sarà fondamentale sapere se hanno o no il LAG time
(i farmaci d’emergenza devono avere LAG time minimo).
Terzo e ultimo uso del concetto di biodisponibilità è lo studio della bio-equivalenza. Parliamo di
farmaci generici (il termine generico non va bene, oggi sono chiamati farmaci equivalenti→ essi sono
principi attivi per i quali il primo produttore aveva un brevetto scaduto cosicché lo stesso farmaco
sarà commercializzato da un'altra azienda).
I farmaci equivalenti non hanno avuto un gran bel mercato. I motivi sono sciocchi, non ce ne sono di
farmacocinetici che dimostrano che un dato farmaco equivalente sia inferiore all’originator.
Secondo la legge, un decreto legislativo del 2006, per farmaco equivalente si intende un medicinale
che ha la stessa composizione qualitativa, quantitativa, e la stessa forma farmaceutica, del medicinale
di riferimento, nonché una bio-equivalenza con il medicinale originator dimostrata da studi
appropriati.
Quindi, quando parliamo di un farmaco equivalente, non ci riferiamo ad un prodotto che è formulato
esattamente allo stesso modo dell’originale, ma deve essere formulato allo stesso dosaggio
dell’originale.
Nella normativa però si dice anche che i vari sali, esteri, eteri ecc. sono considerati la stessa sostanza
attiva se non presentano differenze significative. Su questo ci si è arroccati poiché i recipienti
contenenti il prodotto (es la capsula degli antibiotici) non è detto che abbiano la stessa tempistica di
brevettualità. Ci sono alcune formulazioni che si sciolgono meno di altre. Ma se questo non modifica
i parametri di biodisponibilità e bio-equivalenza poco importa.
Questa legge è stata creata per ridurre il prezzo dei farmaci, per ridurre il monopolio che un'unica
industria poteva avere su un prodotto. Il prezzo è ridotto perché, se il principio è lo stesso, l’industria
non dovrà ripetere né gli studi pre-clinici, né quelli clinici (es paracetamolo cura la febbre, che si
chiami tachipirina o in altro modo il meccanismo d’azione è lo stesso, l’efficacia sarà la stessa).
Quello che deve essere dimostrato dall’industria è che quel farmaco porti a [c] plasmatiche
sovrapponibili al farmaco originale→medesima biodisponibilità.
L’accordo prevede che il test di bio-equivalenza sia basato sul confronto esclusivamente statistico di
parametri farmacocinetici; normalmente vengono usati l’AUC, la [c] max e, solo in alcuni casi, come
quello dell’anti-epilettico, anche il T max (quando, prima o dopo, avremo [c] max).
La norma afferma che l’intervallo accettabile di bio-equivalenza, adeguato a confrontare la
biodisponibilità
dell’equivalente con quella
del prodotto originale, deve
essere intorno al 20%.
È un confronto statistico
ottenuto in seguito allo
stabilimento che al 90%,
come intervallo di
confidenza, il rapporto della
media delle AUC e delle [c]
max rientrino dentro questo
limite del 20%. Vuol dire
che se io faccio il rapporto
dell’AUC del generico con
l’AUC dell’originator e
questo mi da un valore di 0,8
i due farmaci sono
considerati bio-equivalenti. Così come sono bio-equivalenti se il rapporto mi da un valore di 1, 25.
Cioè la media dei rapporti deve essere compreso in un intervallo di 0,8 e 1,25 che in scala logaritmica
è simmetrico (non vuol dire che in questo caso ho il 125% in più).
Quindi io posso accettare un’AUC maggiore o minore rispetto all’originator fino al 20% perché il
rapporto dia luogo ad un intervallo che sia in questo range.
L’unico punto con cui posso essere abbastanza d’accordo a riguardo delle contestazioni sui farmaci
equivalenti è sul numero di volontari su cui si fanno gli studi di bio-equivalenza. È stato dato un
numero da 24 a 36, non si sa perché; l’ENA dice che possiamo fare uno studio su almeno 12 soggetti.
Noi stiamo valutando un dato di equivalenza su una ventina di volontari sani. Lo studio si fa
somministrando al soggetto sano il farmaco originale (compressa ev ecc.), si lascia passare un certo
t e, successivamente, allo stesso volontario si da lo stesso principio attivo equivalente, o viceversa.
Misuro le [c], ottengo le AUC, calcolo il rapporto delle AUC, (nei miei 12 volontari), calcolo la media
di tutto e stabilisco il rapporto di biodisponibilità, di bio-equivalenza.
Questo si chiama studio cross-over perché allo stesso soggetto somministro entrambi i preparati
cosicché io riduca la variabilità tra soggetti. Naturalmente determinerò i parametri cinetici che mi
serviranno per fare lo studio.
Questa è una tabella di un
farmaco che è il report prodotto
per dimostrarne l’equivalenza.
La curva con i quadratini rossi è
il farmaco originator di
riferimento, gli altri tre sono tre
diverse formulazioni dello
stesso principio attivo dove d90
è la variabilità di misura delle
particelle; vuol dire che al 90 %,
ad es nel d20, le particelle hanno
diametro di 20 micrometri.
Ora, per quanto i valori di [c]
max si possano discostare e per
quanto le AUC, per esempio
quella della curva più grande,
(che non si assorbirà molto bene) possano essere più spostate rispetto agli altri lotti, tutti hanno un
valore di bio-equivalenza assolutamente compreso nel range 0,8 1,25.
Qualcuno potrebbe dire che questa variabilità che è stata data come parametro di riferimento, questa
variabilità del 25%, può essere significativa ai fini della terapia, può giustificare una maggior o
minore efficacia o maggior o minore tossicità del mio equivalente rispetto all’originale?