Daniele Guastini
come quella cristiana, fede in un Dio trascendente e incarnato, eterno e storico,
che per questo si è posta da subito come essenziale la domanda su come e
Daniele Guastini
dove vedere il «Dio invisibile».
Eppure, i remoti iniziali passi della vita delle immagini cristiane, avvenuti alla
flebile luce delle catacombe e delle domus ecclesiae o annunciati negli scritti Genealogia dell’immagine cristiana
dei primi padri della Chiesa, non sono facili da decifrare. Spesso considerati
nient’altro che meri primordi di una tradizione solo dall’epoca bizantina in poi
Studi sul cristianesimo antico
giudicata davvero significativa, forse celano, invece, la vera essenza dell’im- e le sue raffigurazioni
magine cristiana; quella che per secoli ha influenzato la tradizione iconografica
I libri di Omar
Genealogia
dell’immagine cristiana
Studi sul cristianesimo antico
e le sue raffigurazioni
A cura di
Daniele Guastini
è un marchio
di VoLo publisher srl
Collana
I libri di Omar
A cura di
Daniele Guastini
Redazione
Francesco Migliorini
© 2014
by VoLo publisher srl
Firenze-Lucca, Italia.
Direzione editoriale:
via della Zecca 55
55100 Lucca
Tel. +39/0583/494820
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www.lacasausher.it
ISBN: 978-88-98811-04-5
Introduzione
Parola, immagine, figura 7
di Daniele Guastini
Prima sezione
Estetica e storia dell’arte 37
Le parole e le immagini
Appunti sulla genealogia dell’iconopoiesi paleocristiana 60
di Adriano Ardovino
Ritratto dell’anima
Nascita della ritrattistica in Occidente 155
di Giuseppe Fornari
Il sistema-immagine nello spazio cristiano 171
di Maria Andaloro
Seconda sezione
Teologia e storia del cristianesimo 189
Togliere l’immagine
Frammenti di “iconologia” protocristiana tra atopia e teofania 229
di Gaetano Lettieri
Icone di salubrità
Dottrine e prassi dell’immagine nel manicheismo 265
di Andrea Piras
Pegni di santità
Economie dell’immaginario nel Tardoantico cristiano 286
di Luigi Canetti
Contro l’idolatria
La fatica dell’immagine verso un’età adulta 340
di Maria Bettetini
«Essere immagine» e «farsi immagini»
L’anti-paolinismo nella polemica contro Simon Mago
delle Recognitiones pseudo-clementine
di Cora Presezzi
1
O. Cullmann, Le problème littéraire et historique du roman pseudo-clémentin, Paris, F.
Alcan, 1930, p. VII.
2
Le Recognitiones (Rec.) sono un testo apocrifo in senso tecnico, in quanto governate da un
dispositivo di pseudonimia e antidatazione: l’autore si presenta come Clemente di Roma,
collocandone l’attività – che storicamente si svolge alla fine del I sec. – nel tempo apo-
stolico, come discepolo di Pietro e suo diretto successore alla cattedra di Roma. Il Pietro
pseudo-clementino raccomanda inoltre che il suo messaggio sia trasmesso per via esoterica,
apocrifa dunque in senso etimologico e giustificazione teorica all’evidente marginalità della
teologia di cui è promotore. Il romanzo appartiene al cosiddetto corpus pseudo-clementino,
costituito da tre lettere, venti Omelie (Om.) e il romanzo Recognitiones in dieci libri. I due
maggiori scritti del corpus, Om. e Rec., sono datati al IV sec. e sarebbero dipendenti da
una comune fonte più antica o Grundschrift, la cui datazione oscilla tra l’inizio e la fine
del III sec. e il cui titolo, Periodoi (= Itinerari, sott. di Pietro), è noto grazie a una serie di
testimonianze antiche. Di Om. possediamo la versione greca, seppure da manoscritti tardi,
mentre di Rec. disponiamo di un notevole numero di manoscritti della sola versione rufi-
niana del 406. Per l’edizione critica cfr. B. Rehm (F. Paschke), Die Pseudoklementinen, II.
Rekognitionen in Rufins übersetzung, (GCS 51), Berlin, Akademie, 1965; per la traduzio-
210 Genealogia dell'immagine cristiana
5
Il racconto si apre sulla frenetica peregrinazione di Clemente tra le varie scuole filosofiche
in cerca di risposte alle proprie inquietudini intellettuali ed esistenziali. Dopo aver ascolta-
to la predicazione di Barnaba a Roma, Clemente parte alla volta di Cesarea dove incontra
Pietro che lo istruisce sul Vero Profeta. Il romanzo alterna episodi di discussione pubblica
tra Pietro e Simone – sull’identità di Simone stesso, su Dio, il male, l’immortalità dell’ani-
ma, il libero arbitrio – a brani di catechesi petrina. Dopo che Clemente ha finalmente
ricevuto il battesimo, avviene l’incontro misterioso con una donna che si rivela essere sua
madre, secondo il meccanismo della recognitio che fa da filo conduttore all’intero romanzo.
Altri due seguaci di Pietro – in precedenza discepoli di Simone – riconoscono dalla storia
della donna che si tratta di loro madre, scoprendosi così i fratelli di Clemente, che questi
credeva dispersi, Fausto e Faustino. Segue poi un terzo e ultimo riconoscimento, quello
dell’anziano padre di Clemente, Faustiniano, il quale anche si convertirà e riceverà il bat-
tesimo dopo esser stato protagonista di uno scambio di personalità con Simone, equivoco
sfruttato da Pietro in favore della propria causa.
6
La questione simoniana rappresenta un vero e proprio enigma su cui la critica si interro-
ga e si divide. Senza aprire qui il problema della reale identità storica di Simone (messia
samaritano, taumaturgo, primo gnostico o altro) mi limito a indicare che nel corpus pseu-
do-clementino Simone è alternativamente maschera di Paolo, di Marcione e l’antesignano
dell’eresia gnostica, cfr. G. Lettieri, Il corpo di Dio. La mistica erotica del Cantico dei Cantici
dal Vangelo di Giovanni ad Agostino, in Il Cantico dei Cantici nel Medioevo, Firenze, Edi-
zioni del Galluzzo, 2008.
7
Rec. I, 54 e I, 70.
8
Marcione si proclamava infatti unico e vero discepolo di Paolo, solo vero apostolo della
verità, cfr. A. von Harnack, Marcion: das Evangelium vom fremden Gott, Leipzig, Hinrich,
1924, ed. it. Marcione. Il Vangelo del Dio straniero, Genova, Marietti, 2007.
9
Sto qui omettendo di soffermarmi sulla questione del cosiddetto “documento giudeo-
cristiano” (Rec. I, 27-71). Si tratta del più antico “fossile” anti-paolino del corpus, in cui
compare, seppur non esplicitamente nominato, Paolo come personaggio distinto da Simo-
ne. L’avversione all’apostolo è qui fatta dipendere da episodi della biografia paolina pri-
ma della conversione, mentre nelle stratificazioni successive del testo avviene la fusione cui
facevo cenno tra dottrine paoline, marcionite e gnostiche, contestuale all’invenzione del
212 Genealogia dell'immagine cristiana
“mito” di Simone/inimicus. Come a dire che alla radice monistica della verità corrisponde,
per necessità logica, un’unica forma di falsità, di cui Simone diviene immagine. In propo-
sito al fossile di Rec. I, 27-71, cfr. A. Salles, La diatribe anti-paulinienne dans le «Roman
pseudo-clémentin» e l’origine des «Kerigmes de Pierre», in «Revue Biblique Internationa-
le», 64 (1957); G. Lüdemann, Paulus, der Heidenapostel, II. Der Antipaolinismus im frühen
Christentum, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1983, 228-257; F. Stanley Jones, An
Ancient Jewish Christian Source on the History of Christianity: Pseudo-Clementine Recogni-
tions I, 27-71, Christian Apocrypha Series 2, Atlanta, Scholars, 1995; C. Gianotto, Alcune
riflessioni a proposito di Recognitiones I,27-71: la storia della salvezza, in S.C. Mimouni e
F.S. Jones (edd.), Le Judéo-christianisme dans tous ses états, Paris, Cerf, 2001, 213-230; F.
Manns, Jérusalem, Antioche, Rome. Jalons pour une théologie de l’eglise de la circoncision,
Milano-Jerusalem, Terra Santa, 2009, 216-242; C. Gianotto, Paolo nelle pseudo-clementine,
in G. Ghiberti (ed.), Paolo di Tarso a duemila anni dalla nascita, Torino, Effatà, 2009.
«Essere immagine» e «farsi immagini» 213
E allora approfittate piuttosto della bontà di chi vi porge l’invito per far
ritorno alla vostra originale nobiltà; mostrate col vostro comportamento
di portare l’immagine del vostro stesso Creatore10.
1. Immaginazione e arbitrarietà
Nel lungo brano di controversia di Rec. II, 38-72, Simone, in una escala-
tion argomentativa, cerca di dimostrare l’esistenza di un Dio superiore,
contrapposto per potenza e perfezione al Dio creatore12.
La prima accusa a Simone si fonda sullo slittamento, teoricamente ine-
vitabile dal punto di vista del nostro autore, dal diteismo al paganesimo
politeistico: a Simone viene fatta sostenere la tesi dell’esistenza di un Dio
superiore al Dio biblico a partire dai luoghi in cui la Scrittura pare far
riferimento a una pluralità di dèi13. Sotto accusa è dunque al contempo il
venir meno al comandamento della fede nell’unico Dio e la pretesa simo-
niana di esser sia vero interprete della Legge sia suo critico relativizza-
10
Rec. V, 13, 6; cfr. Om. X, 6, 3: la «nobiltà originaria» è a disposizione degli uomini che
si rendono «simili a Dio con le buone azioni», divenendo «figli e… maestri di tutte le
cose».
11
Cfr., es., Is 58,6 ss.
12
Si identifica qui chiaramente una critica a Marcione, cfr. al riguardo A. Salles, Simon le
Magicien ou Marcion? in «Vigiliae Christianae», 12 (1958), 197-224.
13
Cfr. Rec. II, 38, 3-4: «Affermo (ego dico) che esistono molti dèi, ma ce n’è uno che non si
può conoscere (incomprehensibilem), ignoto a tutti (omnibus incognitum) e che è il Dio di
tutti gli altri dèi».
214 Genealogia dell'immagine cristiana
[C]he gli dèi siano parecchi l’ho imparato proprio dalle Legge... vi sono
moltissimi... testi della Legge che si possono citare – alcuni piuttosto
oscuri ma altri evidenti – a conferma che gli dèi sono molti. Uno di essi
forse è stato scelto per essere il Dio dei giudei. Ma io affermo che il Dio
degli dèi non è quest’ultimo, bensì quello che è anche il Dio di questi e
che neppure gli stessi giudei conoscono. Non è infatti il loro Dio, ma il
Dio di coloro che l’hanno saputo riconoscere (agnoverint)16.
14
Cfr. Rec. II, 39, 1-2: «Fondo le mie affermazioni unicamente sulla Legge dei giudei, poi-
ché chiunque sia interessato al fatto religioso sa bene che quella Legge ha un’autorevolezza
indiscussa, anche se è vero che ognuno interpreta la stessa Legge a modo suo».
15
Seguono poi un argomento basato e silentio sulla Scrittura e una serie di antitesi, tipiche
del ragionamento marcionita, cfr. Rec. II, 53, 2- 54, 5: «è per questo che io, rendendomi
conto dell’assoluta necessità di un Dio più misericordioso e potente del Dio imperfetto
autore della Legge, e capendo che cos’è un essere perfetto dal confronto con un essere
imperfetto, ho intuito dalla stessa Scrittura l’esistenza di quel Dio di cui essa non parlava.
In questo modo, Pietro, sono venuto a conoscere dalla Legge quanto la Legge stessa igno-
rava».
16
Rec. II, 39, 11-12.
17
Rec. II, 55, 1: «Solet ista, o Simon, absurda adversum dei meditari hi qui legem non magi-
stratis tradentibus legunt, sed semetipsos doctores habent et putant se intelligere posse legem,
quam sibi non exposuit ille qui a magistro didicerit»; cfr. anche Rec. II, 52.
18
Cfr., es., Rec. X, 61, 3.
19
Rec. X, 42, 5.
20
Dove suggestio è termine tecnico per indicare le fantasie infondate, cfr., es., Rec. V, 23,
8-9.
«Essere immagine» e «farsi immagini» 215
Uno che infatti non teme il Dio che tutto ha creato, bensì quelli che si
è fabbricato con le proprie mani (sed eos timet quos ipse manibus suis
fecit), cos’altro fa se non rendersi schiavo di una sciocca e inutile paura,
oltre a svalutarsi e abbassarsi al di sotto di quegli stessi idoli di cui ha
paura (quid nisi vano et inutili semetipsum obnoxium facit timori vilio-
remque se et abiectionem reddit quam sunt illa ipsa, quorum timorem men-
te concepit)?21
Io ritengo che esista una qualche potenza dotata di luce tanto smisurata e
ineffabile da essere incomprensibile nella sua grandezza. Persino il creato-
re del mondo ne ignorava la potenza, senza parlare del legislatore Mosè e
del vostro maestro Gesù22
Pietro risponde:
[N]on ti pare folle (amentiae res) uno che pretende di sostenere l’esisten-
za di un altro Dio oltre il Dio di tutti e dire: “io ritengo che esista una
qualche potenza”...?23
21
Rec. V, 13, 5-6.
22
Rec. II, 49, 3.
23
Rec. II, 50, 1.
24
Cfr. anche Rec. X, 42, 1-3: «Gli uomini creativi (ingegnosi) colgono da quello che leg-
gono molti parallelismi. Si deve perciò fare molta attenzione, quando si tratta della Leg-
ge di Dio, a non interpretarla in base alla comprensione che ne ha la propria intelligenza
(secundum proprii ingegni intelligentiam). Nella divina Scrittura ci sono infatti molte parole
che possono essere tirate a esprimere ciò che ciascuno istintivamente pensa (sibi unusqui-
sque sponte praesumpsit)... Occorre quindi apprendere il senso della Scrittura da chi lo ha
ricevuto (suscepit) dai Padri e ne mantiene inalterata la verità, in modo da poter... ripetere
(adserere) con pieno diritto quanto ha ricevuto senza sbavature». Sulla contrapposizione
tra intelligenza e mente pura cfr. Rec. X, 42 e Rec. V, 23.
216 Genealogia dell'immagine cristiana
25
Cfr., es., Rec. II, 33, 2-5: «Neque ergo dicere ea, ut ab ipso nobis dicta sunt, possumus. Non
enim dicere, sed docere ea in mandantis abemus et ex ipsi ostendere... neque rursus proprium
nobis aliquid dicere permissum est»; Rec. II, 38, 3, dove le affermazioni di Simone sono
introdotte dall’«Ego dico», mentre Pietro usa sempre docere/discere, cfr. anche Rec. II, 52,
7.
26
Rec. II, 50, 3.
27
Uno dei punti culminanti della contrapposizione tra Pietro e Simone nelle Omelie riguar-
da il tema della visione come accesso alla conoscenza del mistero, cfr. L. Cirillo, L’antipao-
linismo, cit., p. 295, che segnala la rassegna di esempi negativi (Aronne, Miriam etc.) tratti
da fonti scritturali di Om. XVII, 13-19: ciò che è mediato da apparizioni o visioni non
viene dalla rivelazione ma dalla collera di Dio (Om. XVII, 18, 1-4), poiché a un nemico
Dio parla attraverso sogni, a un amico parla faccia a faccia (Num 12, 6-8; Es 33, 11) come
fece con Mosè (Om. XVII, 18, 5-6). Sostenendo che l’evidenza sia da preferirsi alla visione
(Om. XVII, 5, 6; 13,1), Pietro traccia il difficile confine tra immaginazione mentale e vera
immagine: «all’uomo pio la verità scaturisce nella mente in modo naturale e puro, non è
provocata da un sogno; ai buoni [la verità] è data nella coscienza» (Om. XVII, 17, 1-5) e
porta a esempio la stessa confessione di Cesarea che lo vede protagonista di un’esperienza
di conoscenza assolutamente certa: è infatti la stessa Parola del Vero Profeta ad attestare
che l’apostolo ha intuito la vera natura del Cristo poiché «il Padre mio te l’ha rivelato».
28
«Parola della croce»: 1Cor 1, 18.
29
Cfr. At 9.
30
Rec. X, 42, 3.
«Essere immagine» e «farsi immagini» 217
[S]e questa potenza è una realtà nuova, come mai non ci dà un nuovo
organo di senso (novo aliquem sensum) oltre ai cinque sensi di cui siamo
dotati, in modo da potere – con quel nuovo senso che ci offre – accogliere
e capire (capere et intelligere) quella sua nuova potenza? E se non è in gra-
do di darcelo, come ha fatto a darlo a te?31
Non c’è che un solo Dio, un altro Dio non esiste che nell’immaginazione
di Simone33.
Fuori dal riferimento al solo Dio, non c’è altro che un precipizio nel nul-
la, una caduta in quelle “cose che non sono”, ea quae non sunt, che costi-
tuiscono il cuore del vangelo (paolino34) simoniano:
31
Rec. II, 50, 3; cfr. lo stesso argomento anche in Rec. II, 60, 5-6: «Da ergo nobis... tamquam
novus deus aut qui ab illo descenderis, sensum aliquem novum, per quem novum quem dicis
deum possimus agnoscere». Cfr. anche Rec. X, 47, 4-5.
32
Rec. II, 61, 2-6 e Rec. II, 66, 1-2.
33
Om. XVI, 10, 10; cfr. anche Rec. 2, 51, 2: «hinc accepta intelligentia, maius aliquid et
sublimius somnii instar excogitas, occasione tamen ex istis quinque sensibus sumpta, quorum
largitori ingratus es».
34
Cfr. 1Cor 1, 28.
218 Genealogia dell'immagine cristiana
dalla fantasia (per fantasias primo transferuntur)... per poi farlo precipitare,
gesticolando a vuoto, nell’irrealtà (deinde ad ea quae non sunt, vanis et ina-
nibus motibus effunduntur)35.
35
Rec. II, 64, 1-2. Cfr. E. Barilier, La revanche de Simon le magicien, in F. Amsler et al.,
Nouvelles intrigues, cit., 9-22, che accenna a questo tema, proponendo di leggervi una con-
futazione ante litteram dell’argomento ontologico; cfr. anche l’indicazione di L. Cirillo,
L’antipaolinismo, cit., p. 292.
36
Rec. V, 13, 1, proprio nel contesto di una critica agli idoli.
37
Cfr. G. Lettieri, L’ultimo nel primo, cit.; cfr. Rec. V, 23, 1-2: «Si enim vere velletis dei ima-
ginem colere, homini benefacientes vera in eo dei imaginem coleretis».
38
Rec. V, 13, 5.
39
Rec. II, 65, 2-4 in cui Pietro parla della falsa cogitatio e della malafede di coloro che
vogliono credere in ciò che si figurano col proprio pensiero (ex sua cogitatione formare).
«Essere immagine» e «farsi immagini» 219
è dal serpente annidatosi dentro di voi che viene quella fantasia (ista sug-
gestio) che vi convince di potervi credere religiosi quando onorate oggetti
inanimati, e di non ritenervi empi quando fate del male a uomini sensibili
e dotati di ragione41.
Quel serpente, inoltre, usa normalmente anche altri portavoce per dire
ad esempio che noi, in onore del Dio invisibile, adoriamo delle sue raffi-
gurazioni visibili (nos ad honorem invisibilis dei imagines visibiles adora-
mus). Questo è assolutamente falso. Se voleste infatti venerare veramen-
te l’immagine di Dio (vere velletis dei imaginem colere), fate del bene
all’uomo, e così venererete in lui la vera immagine di Dio (veram in eo
dei imaginem coleretis). Ogni uomo, infatti, porta l’immagine di Dio (in
40
Om. X, 6, 3. Cfr. anche Om. XI, 21,1-5; XVII, 6 ,2 - 12, 6; XVII, 7, 4-5 e 9-10; Rec. I, 28,
4 sull’anima come interna speces, immagine interna.
41
Rec. V, 23, 8-9.
42
Cfr. Om. X, 6,1: «gli uomini portano nel loro corpo l’immagine di Dio, come nel loro
intelletto la rassomiglianza del suo pensiero».
220 Genealogia dell'immagine cristiana
omni enim homine est imago dei); la somiglianza invece non tutti, ma
solo chi possiede un’anima benevola e una mente pura (non in omnibus
vera similitudo, sed ubi benigna anima et mens pura). Se dunque vole-
te veramente onorare l’immagine di Dio, noi vi facciamo conoscere la
verità: fate del bene all’uomo, che è fatto a immagine di Dio, offritegli
onore e rispetto, del cibo se ha fame... Dette azioni contribuiscono così
tanto a onorare l’immagine di Dio, che chi non le fa è come uno che
rechi offesa all’immagine divina. Che onore di Dio è, dunque, quello di
rivolgersi a statuette (formas) di pietra o di legno, venerare come dèi
raffigurazioni insignificanti e senza vita (inanes atque exanimes figuras),
e poi disprezzare l’uomo che è la vera immagine di Dio (in quo vere
imago dei est)?43
Il “noi” petrino è il noi della vera ecclesia, che resiste allo scandalo delle
immagini estrinseche per compiere un salto della fede dall’antropologia
creaturale all’ecclesiologia del riconoscimento. Nell’insistenza petrina sul
ruolo della comunità dei fedeli, testimonianza collettiva di una sogget-
tività che si fa luogo di riconoscimento per l’altro, vera imago è allora,
soprattutto, quella “esteriore” dell’altro uomo, argine alle derive “interio-
ri” di imagines che si risolvono in fantasiae.
43
Rec. V, 23, 1-8.
44
Cfr. G. Lettieri, L’ultimo nel primo, cit., pp. 131-142.
45
Cfr. G. Lettieri, L’ultimo nel primo, cit., p. 134, che ricorda come sia del tutto assente «il
valore soterico/sacrificale della croce (cuore dialettico di paolinismo e giovannismo)».
«Essere immagine» e «farsi immagini» 221
46
Rec. II, 15, 1-6. L’aneddoto è narrato da Aquila, un discepolo di Pietro convertito alla
vera fede dopo esser stato seguace di Simone. Nelle parole attribuite a Simone si intrec-
ciano un riferimento anti-demiurgico di ascendenza marcionita e una presentazione come
Redentore in chiave paolina. Si potrebbe anche ipotizzare qui un riferimento iniziale al Dio
ignoto del discorso di Paolo in At 17, 22.
47
1Cor 15, 45-49.
48
Efes 2, 15; 4, 24.
49
1Cor 15, 49; 2Cor 3, 18.
50
Rm 5, 12-17.
51
2Cor 5, 17.
52
Cfr., sulla connessione tra cristologia del nuovo Adamo e antropologia pneumatica di Pao-
lo, con particolare riferimento a 2Cor 3-4, G. Lettieri, L’ultimo nel primo, cit., pp. 134-142.
222 Genealogia dell'immagine cristiana
[C]olui che, dall’inizio del mondo, è il solo che attraversa tutti i tempi,
cambiando ogni volta di forma e di nome, fin quando, una volta giunto al
suo tempo e unto dalla misericordia di Dio in ricompensa per le sue fati-
che, godrà per sempre del riposo. Egli è colui che è stato giudicato degno
di essere il re e il signore di tutti gli esseri che popolano l’aria, la terra e le
acque. Egli ha inoltre ricevuto quel soffio di vita – quel soffio, involucro
infrangibile dell’anima, destinata a renderla immortale – che è di Colui
che ha creato l’uomo. Nella sua qualità di solo vero profeta egli ha impo-
sto, come il suo creatore, un nome che indica in maniera appropriata la
natura di ogni animale. Il nome che diede era infatti quello stesso che il
creatore aveva già dato alle sue creature. Quale motivo aveva quindi di
cogliere il frutto di un albero per vedere cosa è buono e cosa è cattivo, se
aveva ricevuto l’ordine di non mangiare? È ciò che nondimeno credono
gli uomini privi di senno56.
Voi siete l’immagine del Dio invisibile. Pertanto, coloro che vogliono
compiere un atto di pietà non pretendano che gli idoli siano immagini di
Dio... Infatti è l’uomo ad essere immagine di Dio. Allora, chi voglia com-
piere un atto di pietà nei confronti di Dio faccia del bene agli uomini, per-
53
Efes 2, 15; 4, 24.
54
Rec. II, 22, 4; Rec. IV, 9, 1.
55
Om. III, 18-20; Om. VIII, 10.
56
Om. III, 20, 1-2; cfr. anche Om. II, 52, 2 e III, 21,1-2.
«Essere immagine» e «farsi immagini» 223
ché il corpo umano porta in lui l’immagine di Dio. Ormai non tutti pos-
seggono la somiglianza, ma soltanto il puro intelletto di un’anima buona...
a chi ha onorato l’immagine di Dio con un atto di pietà, sarà riconosciuto
un buon salario; e, secondo lo stesso principio, colui che non accetta di
agire in tal modo sarà castigato per aver trascurato l’immagine57.
Io non credo che si ottenga il perdono, dopo aver ingannato per mezzo di
un passaggio inautentico della Scrittura, avendo così concepito delle idee
malvagie contro il Padre di tutte le cose; infatti, con la violenza inflitta
all’immagine, in particolare a quella del Re eterno, il colpevole attribuisce
l’offesa a Colui di cui l’immagine porta la somiglianza59.
57
Om. XI, 4, 1-5; cfr. anche Om. XI, 21, 3: «La giusta fede è un’immagine di Dio»; Om.
XVI, 10, 6-8 sull’anima come immagine interiore di Dio.
58
Cfr. Om. X, 7, 3; cfr. anche Rec. V, 2, 1: «Deus creator omnium ex initio ad imaginem
suam hominem fecit... sicut et verus nobis propheta enarravit».
59
Om. III, 17, 2.
60
Cfr. G. Lettieri, L’ultimo nel primo, cit., p. 132: «il riconoscimento dell’unico Dio e la
giudaicamente tradizionale polemica anti-idolatrica rappresentano il cuore della Legge
stessa, che consente agli uomini di scoprire che non gli idoli, ma loro stessi sono l’immagi-
ne del Dio invisibile».
61
In Om. II, 26, 2 la sostituisce invece con «un’immagine che tiene sospesa nel fondo della
sua casa».
224 Genealogia dell'immagine cristiana
62
Cfr., es., Rec. II, 41, 4-5: «Non è sufficiente chiamare uno dio perché lo sia di fatto... Per-
sino statue pagane (simulacra gentes) sono state considerate dèi, e sappiamo benissimo tutti
quanti che non lo sono. Gli empi se li sono meritati come per punizione gli dèi, perché
essendosi rifiutati di conoscere il vero Dio hanno preso per dio ogni raffigurazione e imma-
gine (forma et imago) in cui si imbattevano».
63
Cfr., sempre riferita a Simone, l’accusa di Rec. X, 47, 2: «sunt enim quidam qui quolibet
modo ad hoc tantum respiciunt ut vincant, et laudem per hoc magis quam salutem quaerant».
64
Secondo la “teologia della storia” pseudo-clementina, che Pietro espone come dottrina
delle sizigie, la verità si presenta sempre in endiadi con il proprio opposto, in una succes-
sione di figure antitetiche di falsità/verità, male/bene, inautenticità/autenticità che scandi-
scono la storia dell’umanità, cfr. Om. II, 15, 1-17, 2 e Rec. III, 61.
65
Segnalo la dipendenza, anche onomastica, tra il personaggio pseudo-clementino di Fau-
stiniano e il ben più celebre Faust che, dal XVI secolo in poi, vivrà – proprio come alter-
ego moderno di Simone – un’inesausta fortuna nell’esplorazione letteraria di moltissimi
autori, cfr. G. Lettieri, L’ultimo nel primo, cit., p. 134.
«Essere immagine» e «farsi immagini» 225
Irriconoscibile agli occhi dei suoi stessi figli66, l’uomo incontra nel dram-
ma dell’equivoco un’esperienza decisiva per il progresso della fede. Solo
Pietro è infatti in grado di riconoscere sotto la falsa immagine della facies
di Simone la vera identità di Faustiniano67. Svelato l’inganno, l’apostolo
consiglia al vecchio di inscenare una pubblica auto-denuncia del mago,
approfittando del sortilegio a causa del quale egli ha ora le fattezze di
Simone, e ritrattare le calunnie seminate contro Pietro.
Il romanzo introduce in questo modo lo scarto tra un primo riconosci-
mento, del tutto estrinseco e insufficiente, in cui l’anonimo personaggio
era stato identificato come Faustiniano, e la decisiva mediazione petrina,
che apre al ben più radicale riconoscimento della vera fede sancita dal
battesimo. Attraverso la figura dello scambio di facies, la nozione pseudo-
clementina di immagine si complica. Lavorando sul sottile confine che
separa identità ed equivocità, lo Pseudo-Clemente rielabora i due topoi
della letteratura tardo-antica dell’equivoco e del riconoscimento, interro-
gando i paradossi di una teologia rigidamente iconoclasta eppure imper-
niata su una relazione “iconica” tra Creatore e creatura. Declinata poi in
chiave ecclesiologica, la questione dell’immagine si intreccia al problema
della funzione storico-simbolica che il rito battesimale svolge nell’identifi-
cazione di una comunità aperta all’attesa escatologica.
Faustiniano è l’uomo esposto alla tentazione del falso messaggio, vittima
consenziente del rischio capitale che la fascinazione simoniana compor-
ta. Sebbene immagine di Dio, l’identità personale stessa, abitata da una
rischiosa libertà, può trasformarsi in simulacro, divenire maschera. La
stessa flessibilità semantica della facies (e del corrispettivo greco proso-
pon) restituisce la caratterizzazione mai univoca di questo oggetto dialet-
tico: apparenza e aspetto, maschera e volto, personaggio e persona, messa
in scena e rivelazione.
Lo scambio della faccia, il farsi maschera del volto, è il luogo del-
la massima ambiguità, che nasconde e insieme rivela. Tanto in positivo
quanto in negativo, infatti, è solo nell’altro che si dà riconoscimento.
Nell’opposizione tra l’apostolo e il suo doppio, l’uomo – Faustinianus –
può inverarsi o perdersi, cogliere o rinnegare il faustum, il buon presagio
della propria natura. Il ruolo dell’apostolo, prolungamento della mano e
della parola del Figlio, è allora quello di smascherare l’inganno, rompe-
re l’equivocità in direzione della vera identità e guidare all’attingimento
66
Cfr. Rec. X, 53,4-7: «Vediamo che il suo volto ha le fattezze di Simone, anche se la voce
che ci parla è quella di nostro padre (vultum in eo Simonis videntes, vocem tamen patris
nostri audiebamus)».
67
Ibidem: «Voi ne riconoscete solo la voce, che i malefìci (maleficiis) non hanno cambiata,
mentre io ne riconosco anche il volto (vultus) che agli altri appare mutato dalla magia di
Simone; ed è proprio il volto conosciuto di vostro padre Faustiniano».
226 Genealogia dell'immagine cristiana
Quale potere sono riuscito a mostrarvi, io, con la mia magia (ars magica)?
Ho fatto abbaiare cani di bronzo, ho fatto muovere statue, ho cambiato
faccia alle persone (figuras mutare hominum) e sono svanito di colpo di
fronte a chi mi stava guardando; ma queste cose avrebbero dovuto farvi
maledire la mia magia che, mentre vi facevo balenare davanti agli occhi
un prodigio truccato, avvolgeva le vostre anime in una diabolica rete per
impedirvi di credere a Pietro69.
68
Sul primato di Giacomo nella tradizione pseudo-clementina, cfr. G. Filoramo e C. Gia-
notto, Introduzione, in Id. (edd.), Verus Israel, cit.; C. Gianotto, Alcune riflessioni a proposi-
to di Recognitiones I,27-71: la storia della salvezza, cit.
69
Cfr. Rec. X, 66, 5-6.
«Essere immagine» e «farsi immagini» 227
70
Rec. X, 67, 2.
71
Riprendo questa suggestione da G. Didi-Huberman, Il colore della carne, o il paradosso
di Tertulliano, in L’immagine aperta. Motivi dell’incarnazione nelle arti visive, Milano, Bru-
no Mondadori, 2008, p. 90 (ed. or. L’image ouverte. Motifs de l’incarnation dans les arts
visuels, Paris, Gallimard, 2007).
228 Genealogia dell'immagine cristiana
72
Cfr., es., Is 1, 11; Am 5, 22; Ger 6, 20; Mi 6, 6-8; il passo di Mt 5, 23-24 sembra tutta-
via presupporre non un’ostilità di Gesù al sacrificio, quanto piuttosto una dichiarazione di
estrinsecità o indifferenza del sacrificio al fine della salvezza.
73
Rec. I, 54.
74
Interessante è qui sottolineare come nella letteratura vetero e neotestamentaria la que-
stione del Tempio fosse connessa al problema dell’irrappresentabilità di Dio. Celebre
è l’esempio del discorso di Stefano (At 7) che contrappone la tenda mobile del deserto
all’atto di Salomone, presentato in contraddizione con la tradizione dei patriarchi. D’altra
parte la stessa tradizione biblica, gli ambienti dissidenti giudaici, il samaritanesimo, nonché
alcune prese di posizione “autoritarie” di Gesù, restituiscono un’ampia gamma di opzioni
avverse al centro del culto di Gerusalemme: profezie sulla distruzione del Tempio si ritro-
vano nei libri di Geremia ed Isaia; Giuseppe Flavio (Bell. Iud. VI, V, 3) riporta, ad esempio,
una testimonianza su Gesù ben Anania che avrebbe predicato contro il Tempio; la tradi-
zione “dissidente” di Qumran si ritira in zone desertiche dove fonda una comunità ascetica
(“resto di Israele”, Documento di Damasco I, 3) ed un culto alternativo in polemica con il
sacerdozio di Gerusalemme; attestazioni infra-testamentarie dello sviluppo di un’ideologia
ostile al Tempio si trovano nei Testamenti dei Dodici Patriarchi e nel Corpus Enochico, come
ad esempio nel Libro dei Sogni che si conclude con una profezia della distruzione del Tem-
pio e della costruzione miracolosa di un nuovo Tempio.