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La Nuova Alleanza1

Non vi ho parlato della Nuova Alleanza? Vi ho portato – questo lo conoscete


probabilmente – sono le due Chiese, adesso qui le ho riunite, ma se andate a Santa
Sabina, a Roma, appena entrate nella Chiesa e poi vi voltate, di dietro, trovate le figure di
due donne, lì sono separate mentre adesso, qui, sono unite, nella fotografia, e in una c’è
scritto: “Ecclesia ex Circumcisione” e nell’altra “Ecclesia Gentibus.” Questo è molto
interessante, che nel sec. V-VI – la Chiesa di Santa Sabina è di quel tempo – a Roma
c’era la coscenza che la Chiesa è un’unione di due Chiese, la Chiesa degli Ebrei, la
Chiesa dei circoncisi, e la Chiesa delle genti. Allora, c’è una donna qui che tiene in mano
la Bibbia ebraica, scritta in ebraico, e questa tiene in mano la Bibbia greca. Quindi è
quello che leggiamo nella Lettera agli Efesini che “dei due il Signore fatto un popolo
solo,” però dei due che hanno ciascuno la propria identità. Quindi c’è ancora a Roma, in
quel tempo, la consapevolezza che la Chiesa è composta, diciamo, dei due popoli, le genti
e i circoncisi. Ecco, [nella descrizione dell’immagine di copertina] vi ho messo:
«Mosaico del V sec. Due figure femminili che rappresentano il ramo della Chiesa
d’origine Ebrea e quella d’origine pagana, che insieme formano la Chiesa universale
fondata da Gesù Cristo».

1.1 La novità di Cristo: se stesso

Allora, la domanda “intelligente” finale era: «Ma insomma, allora Gesù che cosa
ha portato di nuovo?». E a questa domanda Sant’Ireneo risponde con una risposta molto
bella: «Omnem novitatem attulit semetipsum afferens» (Contro le Eresie, IV, 34: PG 7,
1083), cioè ha portato tutta la novità portando se stesso. È Lui la novità. Perché, vedete,
questo è un problema che c’era già nel II sec, al tempo d’Ireneo: «Ma, insomma ... le
radici ebraiche, le tradizioni ebraiche … allora, Gesù che cosa ha portato di nuovo?» Ha

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Gli appunti che seguono risalgono ad una lezione tenuta Martedì 18 Maggio 2004, presso la sede
“Maison de Mamré’”, in Gerusalemme, che è attualmente proprietà del Patriarcato Siro-Cattolico. Note,
riferimenti e citazioni sono state prelevate da F. R. De Gasperis, Cominciando da Gerusalemme (Lc 24,
47). La sorgente della fede e dell’esistenza cristiana, Edizioni Piemme, Casale Monferrato (AL) 1997.
portato se stesso. Per capire bene questo, però, dobbiamo capire bene che cos’è la Nuova
Alleanza. E qui vi domando un po’ d’attenzione, forse, perché normalemete noi pensiamo
che la Nuova Alleanza coincida con il Nuovo Testamento, e invece non è così. La Nuova
Alleanza comincia con l’Esilio e il ritorno dall’Esilio. Allora, cerchiamo di capire bene
che cosa è successo con l’Esilio, l’Esilio Babilonese.

1.2 L’Esilio: la fine di un mondo

L’Esilio Babilonese viene all’inizio del VI sec. Anzi alla fine del VII sec., direi,
avviene un fatto che dà inizio a tutto un mondo nuovo. Questo fatto è la morte del re
Giosia (640-609). Giosia è stato il re più “santo” della Bibbia, si può dire. La Bibbia non
racconta nessun peccato di Giosia, racconta i peccati di Davide, ma non racconta nulla di
male di Giosia. Giosia era invece il figlio di un re piuttosto empio, un certo Amòn (642-
640), che era il figlio di un re ancora peggiore, Manasse (687-642), in cui veramente tutto
il regno di Giuda ha conosciuto una grande decadenza religiosa, proprio di fede. Per
tenersi buoni gli Assiri, questi re di Giuda, praticamente, avevano introdotto nel tempio i
culti pagani, i culti del sole. Giosia si trova ad essere re a otto anni, all’età di otto anni, e
invece è un grande riformatore. Praticamente, voi trovate la storia di Giosia alla fine del
II Libro dei Re e poi nel II Libro delle Cronache, perché sono storie parallele (soprattutto
II Re, cap. 22 e 23, e II Cr., cap. 34 e 35). Prima di Giosia, circa un secolo prima, c’era
stato un altro re – sono tutti della casa di Davide, sono tutti discendenti di Davide – il re
Ezechia (716-687), che pure era stato un re molto buono. Aveva fatto una riforma
religiosa, soprattutto del culto del tempio, ed è quello, che voi ricordate, che è chiamato
l’Emmanuele, perché è il figlio di Acaz (736-716), dunque del tempo di Isaia.
Quando il Siracide rilegge tutta la storia di Israele (Sir. 45-49), dice così: «Se si
eccettuano Davide, Ezechia e Giosia, tutti commisero peccati; poiché avevano
abbandonato la legge dell’Altissimo, i re di Giuda scomparvero» (Sir. 49, 4). Quindi i re
migliori per il Siracide sono Davide, Ezechia e Giosia; però come dicevo, di Davide
conosciamo anche i peccati, invece di Giosia non si dice altro che bene. Quindi (Giosia)
fa riformare la religione, fa riparare il tempio, fa osservare il Sabato, fa distruggere gli
idoletti pagani che, appunto, si erano diffusi fra le varie famiglie, con questi re cattivi, e
nei lavori che si fanno nel tempio – voi conoscete un po questa storia, no? – si scopre un
libro (2 Re 23,25), un libro della legge che praticamente corrisponde a una parte del
nostro Deuteronomio, dal cap. 12 al 27, più o meno. Allora, questo libro è fatto rileggere,
Giosia sente questa parola del Signore che era stata dimenticata, quindi piange perché il
popolo si è allontanato da Dio, e basandosi su questa parola fa tutta una riforma religiosa,
anche molto esigente, direi, con poche esitazioni. Restituisce il culto puro, cioè dello
Jahvismo puro, e non solo lo fa a Gerusalemme, ma siccome nel frattempo l’Assiria sta
declinando, lui riconquista i territori del regno del nord, che erano stati svuotati
praticamente dalla popolazione, che era stata portata in esilio in Assiria e dove erano stati
invece inmesse altre popolazioni venute dall’impero Assiro – e allora sono nati i
Samaritani, no? Quindi lui riconquista queste terre, arriva fino alla Galilea e impone
questa riforma a tutti gli altri, anche a questi che non erano di origine Giudaica.
Questo regno dura circa trentasette anni, e intanto la scena internazionale sta
cambiando, perché emergono i Babilonesi. I Babilonesi premono sugli Assiri, gli Assiri si
ritirano. Viene conquistata Ninive ad un certo punto (612), la capitale della Siria, e allora
gli Egiziani, il Faraone egiziano prepara un grande esercito per andare ad aiutare gli
Assiri – non che gli interessasse molto degli Assiri, ma a lui interessava di custodire la
potenza egiziana lungo la riva del mare, poiché gli Egiziani hanno sempre avuto un
predominio su tutta la costa praticamente. C’erano anche piccoli regni, ma tutti sotto
l’impero egiziano. Allora, se voi conoscete il paese, ad un certo punto per andare in Siria,
bisogna entrare ed attraversare la Galilea, e lì c’è un uadi, che ancora oggi si chiama
Uadi Ara, dove ci sono dei villaggi arabi-israeliani e quindi spesso non è una strada
sicura perché anche oggi, ogni tanto, ci sono attentati, diciamo, terroristici! Questo uadi è,
ed era specialmente allora, un uadi stretto in cui però potevano passare i grossi eserciti ed
era l’unico punto per andare al nord. Allora, il faraone scrive a Giosia: «Fammi passare»
– dato che questo sbocca davanti a Meghiddo, davanti alla fortezza di Meghiddo, che stà
nella piana di Ezralòn, sotto Nazaret praticamente, vicino al Lago di Galilea, e poi
continua sù verso Damasco - «Fammi passare. Io non ho niente contro di te, ma devo
andare al nord, ad aiutare gli Assiri». Giosia, che era un buon politico, ha pensato: «Se io
faccio passare questo, mi faccio nemici i Babilonesi, perché lui và ad aiutare gli Assiri», e
quindi gli ha detto: «No, non ti faccio passare. C’è la fortezza di Meghiddo che sbarra il
passaggio». Allora, arrivati a Meghiddo si fa la battaglia e, fin dall’inizio, Giosia viene
colpito da una freccia degli arcieri egiziani, è portato sul carro, è portato a Gerusalemme,
muore. Quindi poi il re, il Faraone Nekào, passa (609). Lui arriva poi nel nord, a
Carchemis nel 605 – quindi vedete c’erano quattro anni di marcia! – viene battuto dai
Babilonesi e quindi l’impero Assiro finisce e il Faraone si ritira in Egitto. Questa morte di
Giosia è stato un caso molto grave nella storia di Israele. Perché? Perché questo è il re
“santo”! allora, si erano abituati – e del resto ci siamo abituati anche noi ancora – ad una
teologia del premio e del castigo: «Se le cose ti vanno male, vuol dire che tu sei un
peccatore. Se le cose ti vanno bene, vuol dire che sei giusto». Questo invece è “un pugno
nello stomaco”, diciamo, (questa morte di Giosia) perché Giosia è il migliore re di
Israele, eppure muore al primo colpo della battaglia. Quindi questa è una scossa.
E questo è molto interessante per capire la Bibbia. La Bibbia forma le dottrine
pertendo dai fatti, dalla storia. La Bibbia non è una religione “fatta a tavolino in
biblioteca”. Non è una costruzione intellettuale: procede per fatti. Poi c’è l’intelligenza
dei fatti. Quindi è molto importante, mi pare, e non so se ve ne parlavo ma, dāvār (‫)ּדָ בָר‬,
la “parola”, noi la chiamiamo “parola” ma in realtà bisognerebbe dire “fatto”. Dāvār (
‫ )ּדָ בָר‬vuol dire “azione”. Alcuni anni fà, una trentina d’anni fà, il Giornale del Partito
Laburista Israeliano si chiamava Dāvār (‫ )ּדָ בָר‬e noi in italiano lo avremmo tradotto
“l’Azione”, non “la parola”. Quindi, “le dieci parole” del Decalogo sono “le dieci cose”.
Devārîm (‫ )ּדְ ב ִָרים‬è il nome del libro del Deuteronomio. A Betlemme, quando nasce Gesù,
gli angeli svegliano i pastori, e dopo i pastori dicono: «Andiamo a Betlemme a vedere
questo fatto che ci è stato annunziato». E lì il greco usa rēma (ρήμα). Rēma (ρήμα) vuol
dire “parola anunziata”, ma prima di tutto è un “fatto” e questo “fatto” è un bambino!
Infatti, dāvār (‫)ּדָ בָר‬, ebraico, se si traduce in greco si può tradurre in due modi: o è lógos
(λόγος), e lógos (λόγος) vuol dire “discorso, parola”, come nel senso nostro, o è rēma
(ρήμα). Quindi, esattamente ... perché vedete oggi noi quando leggiamo qualche cosa
diciamo sempre: «Parola di Dio». Però questo qualche volta nella liturgia è un po’ strano,
perché magari si legge, non sò, c’è un testo del Siracide che dice: «Sono meglio i vizi di
un uomo che le virtù di una donna», Parola di Dio! Ma è vero che è parola di Dio nel
senso che sono fatti del popolo di Dio che, in decadenza, degenerando è arrivato persino
a dire che “sono migliori i vizi di un uomo che le virtù di una donna”. Quindi il primo
senso è “fatto della storia di Dio”. I peccati di Davide sono parola di Dio, certo; ma non
nel senso che bisogna imitarli, ma nel senso che fanno parte della storia del popolo di
Dio, e quindi la salvezza di Dio passa anche attraverso quei fatti. Quindi non sò se è
sempre bene dire: «Questa è parola di Dio». Adesso lo diciamo e forse è meglio di prima
che non lo si diceva mai, no? Ma bisognerebbe capire bene che cosa vuol dire parola.
Quindi prima avvengono i fatti e poi c’è l’intelligenza di questi fatti. Nella Pentecoste,
per esempio, gli Apostoli parlano e si fanno capire da gente che parla in varie lingue:
questo è un fatto, poi viene la spiegazione di Pietro che dice: «Questo fatto non è che
hanno bevuto!», perché questo fatto si potrebbe anche interpretare come una sbornia. No,
questo fatto è “una sbornia di Spirito Santo”, diciamo.
Questo è molto importante per capire la Bibbia perché, per esempio, in questo
caso, tutto comincia con la morte di Giosia, che è una tragedia nazionale, perché è il re. I
figli di Giosia sono una rovina, e sono gli ultimi re di Giuda. Ce n’è uno (Ioacaz - 609)
che viene portato in Esilio in Egitto, dal Faraone. Ce n’è un altro, Ioiakim (609-597), che
è piuttosto un pessimo re e che viene poi ucciso. Ce n’è un altro Ioiachìn (598-597) che
viene portato in Esilio a Babilonia. C’è l’ultimo, Sedecia (597-587/6), che siccome si
ribella ripetutamente a Nabucodonosor, alla fine viene preso prigioniero, muore a
Babilonia ... anzi, prima gli vengono uccisi i figli davanti a lui, poi viene accecato così
che gli rimanga questa impressione dei figli. Finisce il regno di Giuda e viene l’Esilio.
l’Esilio con due deportazioni, nel 597 e nel 587, con la distruzione di Gerusalemme,
l’incendio del Tempio, la distruzione delle mura della città, le migliori famiglie portate a
Babilonia: praticamente, la devastazione. Veramente, ancora peggio, credo,
dell’Olocausto, la shoah, perché? Perché se vi ricordate Dio ha fatto alleanza con Davide,
gli ha detto: «Sul tuo trono siederà un tuo discendente per sempre». Qui finisce il trono,
finisce la discendenza di Davide, finisce l’indipendenza nazionale, finisce il Tempio di
Salomone, praticamente è una crisi non soltanto politica e nazionale, ma è una crisi di
fede. Fino ad allora, se vi ricordate, fin dal Libro dei Giudici si erano abituati a dire: «Le
guerre fra i popoli sono la verifica di qual’è il vero Dio. Se noi vinciamo vuol dire che il
nostro Dio è più grande degli altri dei», e fino ad allora è andata bene perché il regno di
Giuda era rimasto in piedi. Anche quando cade il regno di Israele potevano dire: «Bè,
quello era il regno eterodosso», dei fratelli separati, in un certo senso, «Noi abbiamo il
Tempio, il Tempio del Signore è con noi, il Signore è con noi, il Signore è con noi ...» e
pian piano, invece di «Il Signore è con noi», «Il Signore è nostro», e quindi «Lo teniamo
e siamo salvi». Adesso viene tutto distrutto, e quindi la conclusione che se ne deriva
seguendo quella teologia precedente sarebbe che il dio dei Babilonesi è più grande del
Signore di Israele. Allora, che bisogna fare? Convertirsi al dio dei Babilonesi e perdere la
fede? Alcuni forse l’hanno fatto. Alcuni forse hanno detto: «Ma qui non c’è nessun Dio;
bisogna fare gli affari nostri», e si sono messi a fare il commercio e sono rimasti a
Babilonia, anche quando invece è stato possibile ritornare. Ma insomma, c’è questa
grossa crisi di fede che è determinata dalla fine di un mondo. Praticamente, l’Esilio è la
fine di un mondo.
Se vi ricordate quando gli Israeliti volevano il re, dicono a Samuele: «Dacci il re».
Samuele (1040 ca.) era contrario. Samuele va dal Signore e gli dice: «Ma come si fa a
dargli un re ad un popolo di cui tu sei il re». E il Signore dice: «Senti, tanto si sono messi
in testa di avere il re, non glielo toglie nessuno. Dagli il re, però avvisali che il re farà i
suoi guai». Ecco, questo vedete, dopo quattrocento anni il regno finisce. Quindi, Samuele
aveva avuto ragione. Però questo ci fa anche vedere come Dio ci tratta, no? Quando noi
ci mettiamo in testa una cosa, il Signore dice: «Bè, vai fino in fondo là, sbattici il naso e
poi te ne accorgerai!». Quindi, “l’Esilio è la fine della Monarchia”. Da quel giorno non
c’è più stato un re Davidico in Israele, fino ad oggi. Se ci sono stati dei re come Erode
(37-34 a.C.), o come Alessandro Ianneo (103-76 a.C.), questi erano re-sacerdoti,
praticamente, erano Maccabei (dal 166 a.C. in giù, con Giuda Maccabeo), erano
discendenti dei Maccabei, quindi non erano Davidici. Eppure, Dio aveva promesso che
sul trono di Davide sarebbe rimasto un discendente di Davide per tutta l’eternità.

1.3 La nascita di un mondo nuovo

Quindi crisi di fede, crisi di teologia, perché è finita la teologia della


“retribuzione”. Non è più vero che la fortuna corrisponde alla bontà e alla virtù, e
viceversa. Questa fine di un mondo è la nascita di un mondo nuovo. E qui allora emerge
una figura che è veramente un “gigante”, diciamo, nella storia biblica, ed è Geremia, il
profeta Geremia (627, vocazione di Geremia; Ger. 25,3). Il profeta Geremia in questa
situazione, io direi, diventa “il padre spirituale” di questa situazione, cioè lui capisce che
non si deve resistere ai Babilonesi, perché ormai il Signore ha deciso di punire Giuda di
tutti i peccati di Amòn, di Manasse, ecc. Anche se Giosia ha fatto questa riforma, questa
riforma ha giovato a Giosia perché è morto, sì ucciso, ma è morto santo, ma ormai la
decadenza religiosa di Giuda, del popolo di Israele, è inarrestabile. Quindi bisogna
arrendersi ai Babilonesi – non che Geremia sia pro-babilonese, perché lui poi ha delle
profezie molto forti contro Babilonia. Ma dice: «Babilonia, per ora, vi porterà in Esilio.
poi toccherà anche a Babilonia».
Geremia era amico di Giosia, e quindi era amico dei discendenti di Giosia.
Praticamente si vede che i re di Giuda, gli ultimi re di Giuda lo consultano, di nascosto,
hanno grosso rispetto, ma poi non seguono i suoi consigli. Perché lui dice: «Arrenditi ai
Babilonesi e salverai la città, il Tempio, la nazione». Invece, il partito prevalente a
Gerusalemme è il partito pro-egiziano. Contano sull’aiuto dell’Egitto, che poi già una
volta li ha delusi, e quindi irritano Nabucodonosor, il quale in un primo momento,
conquista Gerusalemme e si porta in Esilio una parte della popolazione, però senza
distruggere niente (597). Dopo dieci anni (587), continuano a fare peggio e allora
distrugge tutto quanto e porta tutti in Esilio. E a Geremia, Nabucodonosor dà ordine di
lasciarlo in pace: se vuole venire in Esilio venga in Esilio, se no resti pure dove sta,
perché Nabucodonosor ha capito che Geremia lo ha aiutato, fondamentalmente a
convincere gli Israeliti ad arrendersi. Pensate che a Lakish, lo conoscete Lakish? Lakish è
una fortezza che sta verso il sud, ed era una delle fortezze del regno di Giuda (in Idumea).
Lì sono state trovate dagli archeologi alcune lettere su ceramica, su terracotta. Lettere del
comandante della fortezza che dice: «Il profeta scoraggia i soldati a resistere». Il
“profeta” è certamente Geremia, il quale appunto dice: «É inutile resistere perché intanto
il Signore vi ha messo nelle mani dei Babilonesi». Geremia non va in esilio a Babilonia,
però scrive una lettera agli esiliati (Ger 29), in cui dice: «State buoni in Esilio, pregate per
i Babilonesi, sposatevi, comprate terre, aspettate che sia il Signore a liberarvi. Non
cercate voi di liberarvi con le vostre forze, perché ormai avete perduto il “diritto” di
essere aiutati dal Signore, ma il Signore vi aiuterà». E infatti, l’Esilio dura 40-50 anni.
Poi i Babilonesi vengono distrutti dai Persiani (539), e i Persiani, Ciro (549), dà il
permesso di ritornare (Esd. 5,14). Quelli che vogliono ritornare possono ritornare a
Gerusalemme.

1.4 Geremia: il profeta della Nuova Allenza

Però che cosa fà Geremia? Geremia tira fuori dall’esperieza dell’Esilio una
visione spirituale completamente nuova, ed è lui, come voi sapete, il profeta della Nuova
Alleanza, perché è lui che al capitolo trentuno del suo libro parla di un’alleanza nuova
che il Signore concluderà con la casa di Israele e con la casa di Giuda. In questo tempo
lui comincia a parlare di un’alleanza nuova. Allora i capitoli fondamentali della Nuova
Alleanza sono Ger. 31-33. Leggiamo il passo “cruciale”, diciamo, Ger. 31, 31-34: «Ecco
verranno giorni – dice il Signore – nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda
io concluderò una allenaza nuova [‫ׁשה‬
ָ ָ‫]ּב ְִרית חָד‬. Non come l’alleanza che ho conclusa con
i loro padri, quando li ho presi per mano per farli uscire dal paese d’Egitto, una alleanza
che essi hanno violato, benché io fossi loro Signore. Parola del Signore. Questa sarà
l’alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò
la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il
mio popolo. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il Signore,
perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io
perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato». Allora, l’Esilio è
l’occasione, il momento per cui il Signore fa con la casa di Israele e con la casa di Giuda
un alleanza nuova. Vediamo in che consiste questa novità.
“Non come l’alleanza che ho conclusa con i loro padri, quando li ho presi per
mano per farli uscire dal paese d’Egitto”, quindi non come l’alleanza del Sinai.
“Una alleanza che essi hanno violato, benché io fossi loro Signore”: non è il
Signore che ha rotto l’alleanza del Sinai, sono gli Israeliti che hanno rotto l’alleanza.
Quindi, l’alleanza nuova, direi, non va considerata come una seconda alleanza. Da parte
del Signore il Signore resta l’alleato, sempre. Però gli uomini hanno violato l’alleanza.
Allora, la novità di questa alleanza in che consiste? Non con il partner dell’alleanza,
perché rimane sempre “la casa di Giuda e la casa di Israele” (Ger. 31, 31), quindi
l’alleanza è sempre con lo stesso partner umano.
Ma, questa volta, “Io porrò la mia legge nel loro animo” (v. 33a). La mia legge,
tōrātī (‫)ּתֹורתִ י‬
ָ dice, quindi la mia tōrā, non un altra tōrā, ma la tōrā del Sinai verrà messa
dentro all’animo.
“La scriverò sul loro cuore” (v. 33b). Ora voi capite subito che l’alleanza del Sinai
è scritta su due tavole di pietra, se si mettono due tavole di pietra nell’animo di una
persona vuol dire che quelle tavole cambiano e quella persona cambia. Cioè, non è
un’altra tōrā, però c’è una trasformazione nella tōrā, diventa una legge del cuore.
“Allora io sarò il loro Do ed essi saranno il mio popolo” (v. 33c). Questa è la
formula classica dell’alleanza, fin da Es. 19, quando dice: «Io sarò il vostro Dio e voi
sarete il mio popolo». Quindi la formula dell’alleanza è la stessa; il partner dell’alleanza è
lo stesso, la tōrā è la stessa, però è messa nel cuore.
E allora – questo è molto interessante per capire poi parecchie altre cose – allora,
“Non ci sarà più bisogno di qualcuno che vi istruisca dal di fuori dicendovi: Riconoscete
il Signore, perché tutti mi conosceranno dal più piccolo al più grande” (v. 34). Cioè,
Geramia non dice che allora non saranno più necessari maesrti dal di fuori, ma dice che
l’insegnamento di questi maestri sarà sempre preceduto dalla tōrā che sta nel cuore.
L’insegnamento da fuori arriva a delle persone che sono già istruite dall’alleanza del
Signore nel cuore. Quindi l’insegnamento estreno deve fare i conti con l’insegnamento
interno, quello che Sant’Agostino chiama “il maestro interiore”, no?, che poi per noi è lo
Spirito Santo, evidentemente.

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