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In viaggio verso….

la Psicologia Positiva
Abraham Maslow è stato il primo a usare il termine Psicologia Positiva (PP) come
titolo di un capitolo del suo libro "Motivation and Personality" pubblicato nel 1954. In
questo libro ha sottolineato la scarsa attenzione prestata al lato positivo dell'esperienza
umana, al potenziale positivo e alle virtù dell'individuo.

In effetti, dalla fine della Seconda guerra mondiale, la psicologia si è allontanata molto
dalle sue radici originarie, che dovevano rendere la vita di tutte le persone più
appagante e produttiva, e ha iniziato a concentrarsi quasi interamente sulla guarigione
e il trattamento delle persone che soffrono.

In questo periodo, infatti, la psicologia si focalizza prevalentemente alla guarigione e


alla cura dei disturbi emozionali e comportamentali dovuti principalmente all’impatto
della guerra sulle persone, in particolar modo a curare i militari che rientravano dai
campi di battaglia.

Questa diviene un'area di interesse che il dottor Martin Seligman, presidente


dell'American Psychological Association (APA), ha evidenziato nel rapporto annuale
dell'APA nel 1998.

Il Dr. Seligman, padre fondatore della PP, era convinto che la psicologia avesse
bisogno di un nuovo corso: sosteneva che gli psicologi potevano prendere quello che
avevano appreso sulla scienza e la pratica del trattamento della malattia mentale e
usarlo per creare una pratica per rendere le persone più felici (Seligman et al., 2005).

Introduce così la PP come modello di riorientamento della psicologia clinica in cui c'è
un equilibrio nell'analisi degli aspetti positivi e negativi al fine di alleviare il disagio e
promuovere salute e benessere.

La PP diventa quindi una branca della psicologia che ha la missione di studiare i punti
di forza e i fattori che contribuiscono ad una vita piena e significativa. Usando le parole
del suo fondatore, la PP può essere definita come lo "studio scientifico del
funzionamento umano ottimale che mira a scoprire e promuovere i fattori che
consentono agli individui e alle comunità di prosperare" (Boniwell, 2012).

Perché ho deciso di far partire questo viaggio proprio dalla Psicologia Positiva?

Ritengo che il coaching e la PP condividano un punto di partenza molto importante: la


convinzione che le persone contengano in sé stessi, le risorse per la soluzione delle
proprie sfide. Nel mio percorso di studi a Londra alla Henley Business School, dove
ho sentito parlare per la prima volta di questo tema, sono rimasta affascinata dai suoi
contenuti e ho iniziato a praticarne i concetti di base.

In particolar modo ho iniziato ad utilizzare nelle mie sessioni di coaching individuale


e di team uno strumento molto interessante, le carte dei punti di forza. Come vengono
definiti i punti di forza?

Possono essere intesi come capacità, abilità, talenti, valori, convinzioni e risorse.
Secondo Aristotele, i punti di forza sono un tratto acquisito, appreso attraverso il noioso
processo di ripetizione che comporta numerosi tentativi ed errori. Forest et al. (2012)
descrivono i punti di forza come "una caratteristica distintiva che stimola e motiva le
persone a svilupparsi e funzionare in modo ottimale".

Queste carte, che comprendono i 50 punti di forza emersi da una ricerca hanno diversi
aspetti positivi. In primo luogo, sono uno strumento che incontra i diversi stili di
apprendimento: sono carte colorate con belle immagini per le persone visive, danno la
possibilità di prendere una carta, toccarla e spostarla sul tavolo alle persone cinestetiche
e la possibilità di parlare attraverso di loro, spiegando perché rappresentano un punto
di forza, alle persone auditive.

In secondo luogo, le carte sono uno strumento che permette di promuovere la


riflessione e la discussione in modo esperienziale: offrono l'opportunità di essere
creativi e giocosi e di imparare mettendo le mani in pasta.
Non per ultimo, e forse la cosa che dal mio punto di vista ha l’impatto più significativo,
permette alle persone di fare un cambio di paradigma: da "Cosa c'è di sbagliato in me
e come posso risolverlo?" a "Cosa c'è di buono in me e come posso usarlo di più?"

Ed è proprio questo il coaching che piace a me: concentrarsi sui punti di forza per
consentire alle persone di riconoscere, identificare e sviluppare la forza che hanno in
sé stessi. Ci sono studi che dimostrano che le persone che usano di più i loro punti di
forza sono più felici, più soddisfatte e si sentono come se avessero più energia a
disposizione (Govindji and Linley, 2007).

E questo ci riporta all’obiettivo del coaching, definito dal suo padre fondatore, Sir John
Whitmore "il coaching ha l’obiettivo di sbloccare il potenziale delle persone per
massimizzare le proprie prestazioni" (Whitmore, 2009).

Il messaggio che questa attività di coach dà alle persone è quello di cercare in ognuno
di noi le risorse che abbiamo a disposizione e che ci nutrono, per creare consapevolezza
su chi siamo, dove siamo e dove vogliamo andare, al fine di assumere il controllo della
propria vita. Vuoi provare anche tu le carte dei punti di forza?

Bibliografia

Boniwell, I. (2012). Positive psychology in a nutshell: A balanced introduction to the science of optimal
functioning. 3rd edn. Maidenhead: Open University Press.

Forest, J., Mageau, G. A., Crevier-Braud, L., Bergeron, É., Dubreuil, P., and Lavigne, G. L. (2012).
Harmonious passion as an explanation of the relation between signature strengths’ use and well-being at work:
Test of an intervention program. Human Relations, 65(9), 1233-52.

Govindji, R. and Linley, P. (2007). Strengths use, self-concordance and well-being: Implications for strengths
coaching and coaching psychologists. International Coaching Psychology Review, 2(2), pp.143–53.

Seligman, M.E.P., Steen, T.A., Park, N. and Peterson, C. (2005). Positive psychology in progress. Empirical
validation of interventions. American Psychologist, 60, pp.410–21.

Whitmore, J. (2009). Coaching for Performance: GROWing Human Potential and Purpose. The Principles and
Practice of Coaching and Leadership. 4th edn. London: Nicholas Brealey.

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