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Opera teatrale in due atti composta nel 1944, la trama riprende il mondo già
delineato in un racconto che l’autore stesso scrisse nel 1934 dal titolo Ritratto di
una ragazza di vetro. Come già detto, protagonista e narratore della storia è Tom,
il tipico sognatore – che vorrebbe vivere avventure fantastiche e realizzare i suoi
desideri – costretto a mantenere e prendersi cura della madre Amanda, una donna
che vive di ricordi della sua gioventù in cui era amata e corteggiata da tutti, e sua
sorella Laura, di una timidezza estrema e chiusa nel suo mondo, causa anche
una malattia che l’ha resa zoppa.
Siamo alla fine degli anni ‘30 e Tom conduce una vita noiosa e banale che, unita
alla forte presenza della madre, lo rende sofferente e insoddisfatto. Pensa che
l’unico ostacolo che lo frappone dal vivere la vita che desidera sia la sua famiglia,
la sua personale gabbia di metallo. L’unico conforto è il cinematografo che
frequenta a ogni ora della notte. Amanda è preoccupata per lui, ma soprattutto per
Laura che se ne sta tutto il tempo ad ascoltare dischi, leggere e accudire una
collezione di animaletti di vetro. Le sue preoccupazioni si ingigantiscono quando
scopre che la figlia ha lasciato il corso di segretaria che stava seguendo. La donna
perciò diventa ossessionata dall’idea di trovarle un marito che le garantisca un
futuro sereno e dignitoso, arrivando a superare perfino gli standard sopra le righe
dell’eccentrica signora Bennet di Jane Austen. Così la madre chiede a Tom di
occuparsene, di trovare qualcuno per la giovane.
Per liberarsi dalla petulanza di sua madre, il giovane invita a casa Jim, un amico di
vecchia data che lavora con lui alla fabbrica. Ma mentre Amanda si dà da fare
perché tutto risulti perfetto, Laura si rende conto che Jim altri non è che un
ragazzo per cui ai tempi del liceo aveva una cotta spaventosa.
Oltre al danno, pure la beffa. Durante la cena improvvisamente va via la luce e con
uno stratagemma Amanda riesce farli rimanere soli. I due si ritrovano così a
parlare al lume di candela e pian piano Jim riesce a vincere la timidezza di Laura,
riuscendo perfino a rubarle un ballo e un bacio. Tutto fa presupporre un bel lieto
fine. Ma no. Ad arrivare, con la dolcezza di un pugno nello stomaco, è la verità:
Jim è impegnato con un’altra donna.
Laura però accetta la sua confessione e gli dona l’unicorno spezzato durante il loro
unico ballo, prima di chiudersi in un tragico silenzio mentre Amanda si infuria con
Tom ritenendo che il figlio sapesse già del fidanzamento di Jim e volesse solo
beffarsi di loro. Il dramma si chiude con il soliloquio di Tom, il quale spiega che
se ne era andato di casa e non era più tornato sui suoi passi. Anche se il ricordo di
sua madre e sua sorella lo ha tormentato per tutta la vita.
Lo zoo di vetro tanto amato dalla ragazza si dimostra quindi una chiave di lettura.
Oltre a essere il mondo interiore di Laura – fatto di fragili illusioni – è anche la
sua essenza stessa. Gli animali sono delicati e risultano quasi grossolani alla vista,
ma se illuminati rivelano i colori dell’arcobaleno: sono Laura stessa,
all’apparenza una ragazza debole e scialba, ma in realtà più umana di tutti gli
altri.
«Per carità, non pensi che io non abbia mai niente da fare! Le mie
statuine di vetro mi prendono molto tempo. Il vetro ha bisogno di
attenzioni.»
(Laura Wingfield)