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CONCLUSIONI

“È un omaggio speciale che il sole fa a me


personalmente”, è tentato di pensare il signor
Palomar, o meglio l’io egocentrico e megalomane
che abita in lui. Ma l’io depressivo e autolesionista
che coabita con l’altro nello stesso contenitore,
obietta: “Tutti quelli che hanno occhi vedono il
riflesso che li segue; l’illusione dei sensi e della
mente ci tiene sempre tutti prigionieri”.
Interviene un terzo coinquilino, un io più
equanime: “Vuol dire che, comunque sia, io
faccio parte dei soggetti senzienti e pensanti,
capaci di stabilire un rapporto con i raggi solari, e
di interpretare e valutare le percezioni e le
illusioni”.1

RIFLESSIONE SUL CONTEMPORANEO

Prima di procedere con le conclusioni è necessario giustificare il motivo del


ricorso, all’interno della tesi, a campi di indagine e materie lontane tra loro,
anche se tutte accomunate da un legame con l’espressività umana. Per
comprendere il motivo per cui una tesi in arte contemporanea può addentrarsi
nella filosofia e nella letteratura, è necessario riflettere sulla natura stessa della
parola “contemporaneo”, cercando di darne una definizione.

La definizione cronologica del contemporaneo è assolutamente riduttiva; il


contemporaneo, infatti, non coincide mai con il tempo presente, nei confronti
del quale mette in campo una vera e propria sconnessione:

1
Italo Calvino, Palomar, Torino, Einaudi, 1983.

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Appartiene veramente al suo tempo, è veramente contemporaneo colui che non coincide
perfettamente con esso né si adegua alle sue pretese ed è perciò, in questo senso, inattuale; ma
proprio per questo attraverso questo scarto e anacronismo, egli è capace più degli altri di percepire e
afferrare il suo tempo.2

Questa affermazione di Agamben è centrale nella nostra ottica, poiché


ricolloca il contemporaneo come una concezione che non coincide
perfettamente con il tempo presente, che non ne ricalca gli andamenti,
identificando questa funzione altresì nella moda, sempre sottesa alla ricerca
dell’attuale e per questo eternamente in ritardo. Questa riflessione non è però
l’autorizzazione ad astrarsi dalla realtà, alla ricerca di un mitico arcaismo,
poiché immediatamente Agamben precisa che: “Un uomo intelligente può
odiare il suo tempo, ma sa in ogni caso di appartenergli irrevocabilmente, sa di
non poter sfuggire al suo tempo”.3 Possiamo interpretare questo passo,
confermando che trattare argomenti classici significa dotarli di un significato
contemporaneo, poiché è l’unico a noi disponibile. Il concetto di Arcaico,
attribuito comunemente a ciò che è particolarmente vecchio, significa:
prossimo all’origine (arké). Questo significa che, allo stesso modo del
contemporaneo, l’arcaico non è un concetto cronologico, collegato al passato,
bensì una concezione che progredisce assieme al divenire storico. Su questo
argomento è interessante confrontare l’opinione simile espressa da Mark
Rothko in uno dei suoi rari commenti a una sua opera (Syrian Bull):

Si tratta di una nuova interpretazione di un vecchio dipinto, ma contiene distorsioni mai avutesi
prima. Poiché l’arte è tuttavia atemporale, l’impiego di un simbolo ha tuttora la sua piena
giustificazione, indipendentemente da quanto sia vecchio.4

La spiegazione di Agamben sul contemporaneo prosegue con un riferimento


diretto alla funzione dello sguardo e al suo ruolo di disvelamento della realtà,

2
Giorgio Agamben, Che cos’è il contemporaneo?, Roma, Nottetempo, 2008, p. 9.
3
Ibidem.
4
Jacob Baal-Teshuva, Mark Rothko (1903-1970) Il dipinto come dramma, cit., p. 37.
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in prima istanza attraverso la citazione di una poesia di Osip Mandel’štam, poi
con una riflessione diretta sulla funzione dello sguardo:

Vorrei a questo punto proporvi una seconda definizione della contemporaneità: contemporaneo è
colui che tiene fisso lo sguardo nel suo tempo, per percepirne non le luci, ma il buio. Tutti i tempi
sono, per chi ne esperisce la contemporaneità, oscuri. Contemporaneo è appunto colui che sa
vedere questa oscurità, che è in grado di scrivere intingendo la penna nella tenebra del presente.5

La luce è interpretata dal filosofo, allo stesso modo di Pasolini, come visione
unificante della realtà, mentre l’oscurità, come il buio flebile delle lucciole, è
ricondotto alla capacità individuale di ognuno di noi di disporsi nei confronti
di questa realtà fenomenica, di portare la propria individualità all’interno del
processo percettivo. Il buio, infatti, non va avvertito come tale; il soggetto
percettivo deve percepirlo come: “Qualcosa che lo riguarda e non cessa di
interpretarlo”.6 Il nostro lavoro prende in considerazioni diverse modalità
espressive e diversi tempi storici, tale scelta è giustificata dalla volontà di
seguire il motto che Agamben pone alla fine del suo breve saggio:

Il contemporaneo non è soltanto colui che, percorrendo il buio del presente, ne afferra l’inesitabile
luce; è anche colui che, dividendo e interpolando il tempo, è in grado di trasformarlo e di metterlo
in relazione con gli altri tempi, di leggerne in modo inedito la storia.7

OGGETTI SIGNIFICATIVI

Tutte le teorie volte alla creazione di un rapporto reciproco con il soggetto


della visione si scontrano con una visione pragmatica della realtà, tipica
dell’uomo della tautologia, ma che in parte colpisce ogni individuo. Se è facile
davanti a una tomba convincere il nostro ascoltatore che quell’immagine, così
fortemente connotata, è qualcosa di più di una semplice cassa di legno o

5
Ivi, p. 13.
6
Ivi, p. 15.
7
Ivi, p. 24.
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marmo, ben più difficile è convincere il nostro interlocutore del medesimo
concetto, davanti ad un’anonima brocca di vetro. La motivazione di questa
evidente disparita è dovuta al retroterra che tali oggetti hanno assunto nel
senso comune e nella coscienza, sia collettiva sia individuale. Nessuno sarebbe
disposto a dire che un altro uomo è semplicemente un ammasso di carne,
ossa, tendini ecc., eppure davanti a una brocca di vetro non abbiamo alcun
problema a eludere persino la domanda. A nostro giudizio il problema
dell’immagine è equivalente nei due casi, ma esistono oggetti in cui questo
problema è più stridente, poiché con maggior difficoltà è raggirata la nostra
naturale predisposizione alla semplificazione della realtà, di matrice biologica.
L’opera d’arte è per sua natura uno dei massimi esempi di oggetto
significativo, anche se al suo interno ci sono numerose sfaccettature; ogni
individuo è colpito maggiormente da un tipo di espressione artistica in
particolare e all’interno di quell’espressione anche da un determinato stile e da
una determinata tecnica esecutiva. Questo non significa che è consigliabile
ignorare le altre forme artistiche; il compito del critico dovrebbe rendere
evidente questa frattura, propiziando un maggior coinvolgimento emotivo e
viscerale nei confronti dell’immagine.

L’importanza dell’attenzione del pubblico verso l’opera, messa in risalto ad


esempio dalle parole e dalle scelte artistiche di Rothko, può essere utilizzata
per comprendere l’importanza del rapporto tra gli uomini, che deve nascere da
subito come un rispecchiamento. Davanti ad un volto dobbiamo porci in
un’ottica di reciprocità, necessaria per comprendere il senso profondo
dell’immagine. Il rispecchiamento nell’altro, metafora della proprietà della
pupilla, è basato sul coinvolgimento personale ed emotivo. Emmanuel Lévinas
sottolinea ottimamente come tale processo passi per l’accettazione reciproca e

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superi il giudizio, in un rapporto in cui: “Mentre l’Altro di manifesta,
l’interrogante si svela”.8

L’IMMAGINE E IL VOLTO

Il rapporto di reciprocità è alla base della relazione tra gli uomini ed è lo stesso
che deve essere utilizzato nella valutazione degli oggetti, in particolar modo
nell’analisi di un’opera d’Arte, poiché: “ l’immagine è, si può dire, l’allegoria
dell’essere”.9 Anche Marguerite Duras accomuna l’umanità con gli oggetti nel
suo teso L’uomo atlantico:

Voi e il mare; siete una cosa sola, per me, un unico oggetto, quello della mia parte in questa
avventura. Anch’io guardo il mare. Voi dovete guardarlo con me, come io lo guardo, con tutte le
mie forze, al vostro posto.10

Il rapporto tra Artista e pubblico è da sempre fondamentale, non servono


studi psicanalitici per spiegare l’importanza della conferma da parte del
pubblico, al lavoro dell’artista, che dovrebbe porsi come unico obiettivo
quello di tendere al pubblico (l’altro). Munch scrive a proposito della funzione
dell’Arte che: “In generale l’arte nasce dal desiderio dell’individuo di rivelarsi
nell’altro”.11 Per questo motivo le dinamiche dell’arte sono la
concretizzazione, con diversi gradi di consapevolezza da parte degli artisti,
dell’idea lévinassiana di faccia a faccia e di generosità. L’artista si offre al
pubblico e resta in attesa dello sguardo dello spettatore per potervisi riflettere
all’interno, avviando il processo di doppia umanizzazione.

8
Emmanuel Lévinas, Nomi propri, cit., p. VI.
9
Ivi, p. 181.
10
Marguerite Duras, Testi segreti (L’uomo seduto nel corridoio, L’uomo atlantico, La malattia della
morte), cit., p. 31.
11
Fiorella Nicosia, Edvard Munch, Firenze-Milano, Giunti, 2005.

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La ricerca dell’ambivalenza delle immagini è la via per la comprensione
dell’individuo e dell’opera d’arte, che dell’individuo è emanazione. Tale
concetto è espresso in modo mirabile da un’affermazione di Mario
Giacometti:

La grande avventura, consiste nel veder sorgere qualcosa di ignoto ogni giorno, nello stesso volto:
un’avventura più grande di qualsiasi viaggio intorno al mondo.12

La grande avventura descritta da Giacometti è quella che compie il critico


d’Arte, ogni volta che si trova faccia a faccia con un dipinto, allo stesso modo
dello spettatore; ma è anche l’avventura di ogni uomo che vive tra gli uomini,
tra i loro volti.

Anche questo lavoro è stato per me una grande avventura, nella quale ho
cercato sempre di lasciarmi tentare dagli aspetti perturbanti dell’immagine. Vi
ringrazio per la cortese attenzione.

12
Alberto Giacometti, Conversazione con André Parinaud, cit.
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