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Lezione 4

Didattica della filosofia

4.1 Excursus storico sull’insegnamento della filosofia in Italia


Il dibattito italiano sulle modalità di insegnamento della filosofia si è sostanzialmente orientato intorno
a due possibilità generali: un modello teoretico e un modello storico; con le loro relative degenerazioni:
il modello dogmatico e quello storicistico. Il modello teoretico ha come presupposto fondamentale
una contrapposizione irreversibile tra verità ed errore in filosofia, strutturabile attraverso
l’apprendimento di precise strategie argomentative. La declinazione di questo modello è sempre
avvenuta partendo da una precisa prospettiva filosofica assunta come modello di verità, e ciò avveniva
in concomitanza con il prevalere culturale di precisi orientamenti di sapere/potere: si pensi alla
prospettiva scolastica alla fine dell’800 (il famoso manuale per i licei di Rossignoli del 1898) o, qualche
decennio prima, il prevalere del paradigma positivista: i programmi Boselli del 1888 prevedevano una
tripartizione della filosofia in psicologia, logica ed etica, con la filosofia scientifica, dunque, che andava
a sostituire quella scolastica. Solo nel 1884 – ma fu una breve parentesi – la riforma Coppino
introdusse, per la prima volta, lo studio della Storia della filosofia nell’ultimo anno di liceo, con la
motivazione di favorire nello studente l’accrescimento della consapevolezza delle difficoltà che da
secoli caratterizzano il pensiero filosofico. Questa precisazione evidenziava, in effetti, il limite maggiore
del modello teoretico; se esso, infatti, abituava lo studente a discutere di problemi in modo rigoroso, è
chiaro, però, che le premesse del docente che impostava la lezione erano le uniche cose a non essere
messe mai in discussione. Il ritorno del modello teoretico si è verificato nei documenti preparati dal
Ministero della pubblica istruzione nel 1998, dove il modello storico – di cui diremo tra poco – viene
definitivamente abbandonato a favore di un’elaborazione critica del modello teoretico; critica perché
esso deve essere pensato senza presupporre un modello di base dominante. Tra le innovazioni più
importanti che la proposta ha innescato nella scuola italiana va sottolineato il modello zetetico (da
zetesis, «indagine») elaborato da Bianco, il quale, proprio privilegiando la dimensione argomentativa,
consiglia di partire sempre dalle questioni sollevate dagli alunni per condurli, ragionando, alla
formalizzazione di questioni filosofiche generali (su queste proposte pesa, ci sembra, il progressivo
avvicinamento del panorama italiano a modelli culturali della filosofia analitica).
L’unico esempio di divulgazione filosofica che ha tentato di tenere insieme prospettiva storica e analisi
dei problemi fu il manuale di Windelband del 1892, che suddivideva la storia della filosofia in sezioni
(problemi teoretici - problemi pratici) procedendo, poi, alla ricostruzione delle diverse argomentazioni
concettuali così come esse si sono storicamente presentate. Il modello storico non presuppone una
contrapposizione radicale tra verità ed errore, ma una sorta di dialettica tra punti di vista parziali.
Sappiamo tutti che questo modello ha in Hegel il suo più illustre esponente. Nelle Lezioni sulla storia
della filosofia (1833) Hegel sostiene che la successione delle diverse filosofie ha un significato
filosofico, perché essa manifesta lo svolgimento dello Spirito che deve trovare se stesso: la differenza
tra gli europei e i popoli asiatici e africani, è che i primi sono liberi sapendolo, mentre gli altri non lo
sanno e quindi non esistono in libertà; inoltre, proprio osservando la storia europea, per Hegel esiste
una corrispondenza tra la successione dei sistemi filosofici e la deduzione logica delle determinazioni
concettuali dell’Idea; da questo punto di vista si capisce perché verità ed errore sono in un rapporto
dialettico: ogni filosofia è stata necessaria, e tale è ancora, scrive Hegel; i principi si conservano, e la
filosofia più recente
è il risultato di tutti i principi precedenti; in tal senso nessuna filosofia è stata confutata. Ciò che è stato
confutato non è il principio di quella data filosofia, ma soltanto la pretesa ch’esso rappresenti la
conclusione ultima, assoluta. Ovviamente, il rischio interno a questa prospettiva è che il punto di vista
che si pone capace di sviluppare questa visione comprensiva di tutta la storia della filosofia rischia di
determinate gli stessi effetti dogmatici del modello precedente, anche se Hegel ha esplicitamente
rifiutato questa possibilità; nonostante ciò egli ha lasciato aperto il problema. Illustri studiosi hegeliani,
come Hösle, hanno cercato di ovviare a questo rischio puntando su una correzione tipologica della
storia della filosofia; autori come Husserl, ad esempio, hanno proposto (Crisi) una tripartizione della
filosofia moderna: oggettivismo (Cartesio e Locke), dissoluzione dell’oggettivismo (Hume), filosofia
trascendentale (Kant), cercando così di armonizzare dimensione argomentativa e dimensione storica
nel rispetto della specificità delle diverse prospettive. Sottolineamo, inoltre, che il modello storico non
è il modello storicistico, ma ne rappresenta una banale degenerazione; una diffusa moda relativistica
ha portato al banale, e filosoficamente irrilevante, concetto di un’equivalenza effettiva di tutti i punti di
vista, ognuno dei quali non rappresenta altro che l’espressione della verità che una data epoca
riconosce come tale. La conseguenza immediata è quella di intendere la filosofia come una
dimensione interna alla più ampia e generica dimensione della cultura, in modo da abolirne la
specificità a favore di una ibridazione con le scienze umane, nel cui alveo verrebbe ricompresa; non
a caso, questa visione risponde alle esigenze di pedagogisti e sociologi di ritagliarsi una spazio
epistemologico nell’organizzazione del sistema culturale italiano, ignorando proprio la dimensione
storica della filosofia, estremamente più lunga e densa delle recenti scienze umane. Il metodo storico
trovò la sua consacrazione in Italia attraverso la Riforma Gentile del 1923, nata come reazione del
neoidealismo italiano (Croce e Gentile) al clima positivistico dominante. Fin dalla sua introduzione in
tutti gli anni del corso di studio, Gentile ne sottolineò l’aspetto antidogmatico e, di fronte all’evidente
circolarità di storia e filosofia, affermò che tale circolarità non poteva essere risolta, ma andava
accettata come tale:
non vi è filosofia che ci si possa foggiare altrimenti che come conclusione del processo storico; né vi
è processo o momento storico, che non sia la costruzione della filosofia. È evidente che l’equilibrio
così delineato è profondamente instabile; se l’accento pende dal lato della filosofia viene garantita la
sua dimensione teoretica (e del resto nelle intenzioni di Gentile vi era lo studio dei testi), a scapito del
contenuto storico; se l’accento cade sulla storia, viene riconosciuta la molteplicità delle prospettive,
ma a scapito della dimensione teoretica. In Italia si verificò questa seconda possibilità; già nel 1925 il
manuale storico, estromesso dalla riforma del ’23, ritornò tra i banchi; i Programmi De Vecchi del
1936 introdussero la scansione triennale tutt’ora vigente, fatte salve le poche modifiche introdotte dalla
Commissione alleata che nel 1944 defascistizzò i programmi. Negli anni ’50 i filosofi cattolici tornarono
all’attacco del metodo storico riproponendo la centralità di quello teoretico; il dibattito, comunque
importante, venne viziato dall’eccessiva rigidità della posizione cattolica, che limitava drasticamente
la scelta degli autori da studiare – erano del tutto assenti gli idealisti, ma erano presenti i filosofi di
area cattolica come Gioberti e Rosmini. Lo scontro più duro si ebbe tra Paci e Garin negli anni 1956 -
1958. Secondo Garin, la filosofia doveva operare una radicale storicizzazione per offrire una
considerazione unitaria della realtà data alla nostra esperienza; Paci reagì
osservando che realtà ed esperienza erano concetti filosofici e che, di conseguenza, la ragione non
poteva evitare di alzarsi ad un livello teoretico che la storicizzazione voleva sacrificare; ma poi, alla
ricerca di una confluenza tra fenomenologia e materialismo, concludeva dicendo che la ragione nasce
dalla storia, dal processo storico del quale la ragione può offrire un’interpretazione alla scopo di
trasformarlo secondo nuove possibilità, riassorbendo la stessa posizione di Garin in un progetto più
ampio. Verso la fine del 1970 la Commissione di scienze sociali chiese l’abolizione della filosofia a
favore delle scienze sociali, così come lo storico della filosofia Paolo Rossi esplicitamente chiedeva,
privilegiando la dimensione storico-sociale rispetto a quella teoretica. Fortunatamente, la Società
filosofica italiana già dal 1975 riportò al centro del dibattito la specificità della filosofia; nella seconda
metà degli anni Ottanta vi fu la profonda innovazione introdotta dai Programmi Brocca, purtroppo
mai entrati in vigore; essi prevedevano l’estensione dell’insegnamento filosofico agli indirizzi
tecnologici ed economici, e il ritorno ad una lettura dei testi. La discussione sui modi di diversificare i
programmi di filosofia nei vari indirizzi si è arenata negli anni Novanta per il prevalere, all’interno degli
orientamenti ministeriali, di una nuova ondata di pedagogisti ansiosi di schiacciare nuovamente la
filosofia sul terreno più agevole e innocuo delle scienze umane.
4.2 Filosofia e computer
Partiamo da una generale caratterizzazione dei software didattici; sostanzialmente la tipologia è
duplice: chioschi informativi e applicazioni costruiti a partire dal concetto di interattività. Dunque, una
prima chiarificazione: cosa si intende con questo elemento strutturale? Ci riferiamo a quella
caratteristica che consente all’utente di influenzare con le proprie scelte individuali le modalità di
presentazione e di fruizione del prodotto stesso. Se questa è la natura del mezzo, si tratta di stabilire
la sua funzione all’interno del contesto didattico legato alla filosofia, che di per sé ha già alle spalle
una strutturazione storicamente determinata. La prospettiva che guida questa nostra indagine si
sviluppa a partire da una visione del supporto informatico come strumento che deve interagire, e non
sostituire, con gli altri strumenti didattici. Siamo ben lontani dal considerarlo uno strumento
rivoluzionario perché dal punto di vista cognitivo punta sull’intelligenza senso-motoria e non su quella
più astratta. Per questo abbiamo innanzitutto sottolineato l’interattività e non il carattere più
immediatamente visibile, cioè la multimedialità; con quest’ultima ci riferiamo ad un insieme composto
di testi, immagini, suoni, di cui è ovvio esempio la televisione e che ci avverte subito di un aspetto
basilare: interattività e multimedialità non si implicano a vicenda. In effetti, è indubbio che la tendenza
sociale più pervasiva sia quella che insiste sulla componente multimediale lasciando più nell’ombra
l’aspetto interattivo; da un punto di vista didattico, però, il fatto che uno studente possa muoversi in un
contenitore altamente differenziato richiamando diversi tipi di opzioni audio o grafiche non risulta
particolarmente interessante. Aver optato per l’interattività significa avere di mira sempre le facoltà
riflessive del soggetto, le capacità di messa a fuoco del senso veicolato e di argomentazione. Per
intenderci, siamo sempre all’interno dell’organizzazione che l’insegnante dà al proprio lavoro e che
può assumere il computer come supporto alla comprensione del testo scritto. È chiaro che ci riferiamo
a chi non pensa affatto di aver trovato, con l’informatica, il passpartout per tutti i contesti di
apprendimento, con la consapevolezza di una cornice cognitiva che propone un processo formativo
più aderente alla realtà delle cose a differenza dei linguaggi specialistici delle discipline tradizionali.
Proprio così, invece, l’uso del computer perde significatività cognitiva e diventa un semplice pedaggio
pagato anche dalla scuola alla cultura dell’informazione e una serie di soli contenitori cognitivi intitolati,
non tanto ipoteticamente, «dall’intelligenza sequenziale alla simultaneità», «dalla lettura alla
conoscenza vista e sentita»; significativi due esempi: «Una certa mamma quando il suo bimbo ha
mangiato gli spinaci, lo premia con un gelato. Di quali ulteriori informazioni avreste bisogno per essere
in grado di predire se il bimbo: a) giungerà ad amare o ad odiare gli spinaci; b) ad amare o ad odiare
il gelato; c) ad amare o ad odiare la mamma?» Ho provato a rifarmi la stessa domanda sostituendo
qualche termine. Insegnante al posto di mamma, tradizionale lezione trasmissiva per spinaci e
multimedialità per gelato. E mi sono risposto che in questo caso non ci vogliono altre informazioni per
trovare la soluzione. L’odio per la
lezione-spinaci è un dato di fatto così come quello per la mamma-insegnante (o almeno per l’istituzione
che rappresenta). E sono convinto che non tarderà ad arrivare neppure quello per il gelato -
multimedialità se quest’ultima verrà considerata come la domenica della didattica; l’altro esempio si
può trarre dalla ricostruzione storica di un problema di matematica:
– 1960 - Un contadino vende un sacco di patate per 10.000 lire. Le sue spese di produzione sono
4/5 del prezzo di vendita. Qual è il suo guadagno?;
– 1970 - (insegnamento-tradizionale) Un contadino vende un sacco di patate per 10.000 lire. Le
sue spese di produzione sono 4/5 del prezzo di vendita, e cioè 8.000 lire. Qual è il suo
guadagno?;
– 1970 - (insegnamento-innovativo) Un contadino scambia un insieme P di patate con un insieme
M di monete. La cardinalità dell’insieme M è uguale a 10.000 e ogni elemento di M vale una lira.
Disegna 10.000 grossi punti che rappresentino gli elementi dell’insieme M. L’insieme S delle
spese di produzione è un sottoinsieme di M ed è formato da 2.000 grossi punti in meno di quello
dell’insieme M. Rappresenta l’insieme S e rispondi alla domanda seguente: qual è la cardinalità
dell’insieme G che rappresenta il guadagno? Disegna G in colore rosso;
– 1980 - Un contadino vende un sacco di patate per 10.000 lire. Le sue spese di produzione sono
8.000 lire e il suo guadagno è di 2.000 lire. Sottolinea la parole «patata» e discutine con i tuoi
compagni;
– 2000 - Supponendo che degli agricoltori vogliano vendere un sacco di patate per 10.000 lire, fai
una ricerca in Internet per determinare il volume della domanda potenziale di patate nel nostro
paese. Completa la ricerca analizzando gli elementi del problema e costruendo la struttura
reticolare dei rapporti che intercorrono fra essi. Infine, dopo aver preparato una presentazione
multimediale del lavoro, fai una tabella a doppio ingresso o un grafico per mostrare i diversi modi
di cucinare le patate.
Adesso è la natura del supporto che dobbiamo descrivere e prima di farlo in maniera diretta la
trarremo, negativamente, accennando al primo tipo di supporto a cui abbiamo fatto riferimento, ovvero
il chiosco informativo. Il chiosco è un contenitore di testi di diversa natura; che esso risulti
particolarmente utile agli studiosi è evidente ma che abbia una significativa ricaduta didattica è una
conclusione più problematica. In ambito filosofico esistono prodotti di questo tipo: l’antologia Filosofi
al computer (Loescher dal 1996) o l’opera completa di Platone (Laterza) su cd-rom; in questi casi,
però, lo scopo è semplicemente quello di offrire uno strumento che vuole sostituire quello cartaceo e,
nella migliore delle prospettive, ci si potrebbe solo augurare di coinvolgere gli studenti, a partire da
questo modello, nella creazione di una propria antologia su temi specifici. Ma il nostro obiettivo è un
prodotto informatico multimediale con un grado apprezzabile di interattività; inoltre, se accettiamo
questa ipotesi, dobbiamo sapere che essa di fatto implica che quel sapere che ci incarichiamo di
organizzare o riorganizzare attraverso le nuove tecnologie va in ogni caso posseduto, altrimenti queste
ultime rimangono scatole vuote o futili divertimenti. Il che propone, com’è evidente, un problema di
natura pratica: il rapporto fra grado di preparazione degli studenti e complessità dei contenuti
ipertestuali (siano essi costruiti o semplicemente utilizzati). Gli scopi non sono molto diversi
dalla tradizionale pratica di insegnamento: fare in modo di offrire a tutti la possibilità di apprendere,
cercare di stimolare l’applicazione individuale e, sul versante della valutazione, riuscire a individuare
in maniera precisa le carenze o i progressi di uno studente. Ed è proprio su quest’ultimo punto che si
incontrano, in ambito informatico, le principali carenze in termini di programmazione. La storia dei corsi
di apprendimento tramite computer è piuttosto vecchia e risale agli inizi degli anni ’60 negli U.S.A. con
i Computer Assisted Instruction; lo schema di questi programmi è estremamente semplice: domanda
– risposta (giusta o sbagliata) – domanda – …(% di risposte giuste e sbagliate); è fin troppo facile
osservare che una valutazione quantitativa così sintetica può al massimo confermare valutazioni
estremamente positive o negative e, dunque, non è di grande aiuto per valutare la qualità del processo
educativo a prescindere dalla specificità degli ambiti disciplinari.
Che non sia un problema di facile risoluzione è testimoniato dal fatto che ancora nel 1989 il programma
Dialog realizzato dagli americani Barker e Scott della Gonzaga University nella forma di una
simulazione informatica dell’Eutifrone di Platone, per quanto proponesse alcune soluzioni interessanti,
come la lavagna che lo studente è chiamato a completare indicando l’opzione per lui esatta, richiedeva
risposte sempre del tipo vero/falso offrendo, alla fine, indicazioni meramente quantitative. Nel biennio
1990 – 1992 esce il primo software didattico di filosofia in italiano, Teacher di P. Carelli; si tratta di
uno strumento che nasce, consapevolmente, come semplice questionario che raggruppa le domande
per blocchi problematici disposti storicamente; ma né in questa versione né in quella aggiornata del
1995 intitolata Socrate si affronta esplicitamente il problema di come recuperare l’errore. Sempre nel
1995 Rossetti e Lanari propongono la versione italiana di Dialog. L’anno successivo Lanari e Stelli
sviluppano la simulazione informatica delle Meditazioni Metafisiche di Cartesio; è il primo software
legato alla filosofia che si pone, programmaticamente, il problema dell’interattività e di un percorso per
l’errore che non sia la semplice conta delle risposte «false» fornite dallo studente. Il programma
propone delle lavagne all’interno delle quali vengono progressivamente delle premesse sulle quali lo
studente è invitato a riflettere e a derivare delle conseguenze che può sviluppare in un percorso che
concorre a strutturare nelle sue specifiche connessioni data la generale struttura reticolare che si
dipana a partire dai problemi in cui il testo cartesiano viene destrutturato; i percorsi previsti dal
programma non sono tutti alternativi e le opzioni proposte sono sempre molteplici; le categorie di
corretto e scorretto vengono organizzate a strati nel senso che vi sono opzioni non completamente
corrette (o scorrette) che conducono ad altri percorsi da perlustrare anche se, in ogni caso, le varie
ramificazioni conducono sempre ad un percorso principale. Ogni procedimento di corretta deduzione
dalle premesse indicate diventa, a sua volta, la premessa di un nuovo percorso argomentativo.
Nel 1999, sempre gli stessi autori, pubblicano il primo di tre cd-rom contenenti softwares per
l’insegnamento della filosofia; il primo contiene quindici unità didattiche relative alla filosofia antica e
medioevale e ogni singola unità è articolata al suo interno per diversi argomenti i quali, a loro volta,
rinviano a degli esercizi organizzati per blocchi problematici.
L’attenzione posta alla strutturazione degli esercizi è evidente; essi non sono semplici questionari al
termine dei quali, secondo una successione domande-risposte, viene quantificato il numero di risposte
esatte; non si può pensare di insegnare ad apprendere allo stesso modo in cui vengono programmati
i computer. L’obiettivo dei due autori, condivisibile in linea di principio, è stato quello di presumere di
poter ottenere un’applicazione di pensiero, da parte dello studente, visibile dal docente. Lo studente è
infatti chiamato a confrontarsi con tre tipi fondamentali di risposte: singola, multipla e animata. In quelle
a risposta multipla lo studente è chiamato a scegliere o a scartare due o più delle risposte che gli
vengono presentate; una stessa domanda può essere fatta rientrare in entrambe le categorie.
Nell’ultimo tipo di risposte il fruitore è chiamato allo sforzo maggiore dovendo rispondere o a quesiti
riepilogativi di diverse unità didattiche e che, dunque, pongono confronti tra diversi autori o teorie,
o dovendo spostare sequenze argomentative da una parte all’altra della lavagna rispettando la giusta
sequenza logica. Il programma è fornito anche di un archivio sotto forma di un file di testo che trascrive
una serie di parametri legati alla prestazione dello studente e destinati, in una certa misura, a far parte
della valutazione globale che il docente formulerà dell’attività dello studente. Hanno significati diversi
due prestazioni, quantitativamente simili, se il docente può visualizzare i comportamenti dello studente
durante lo svolgimento della prova per vedere, cioè, se di fronte a certe domande impiega più tempo
per rispondere, se è tornato a pagine precedenti, se ha utilizzato il proprio glossario, se ha indicato di
essersi servito della lettura di una porzione di testo per rispondere…..; servendoci di questi elementi
possiamo permetterci di fissare la riconferma di uno studente preparato o la crescita, anche in termini
di metodo, di uno studente che presenta una situazione di partenza più carente.
Né manca il tentativo di prestare attenzione a fenomeni di cui la didattica deve tener conto ovvero il
fatto che in un contesto di classe non si può escludere che si tratti il programma come un gioco dove
cliccare a caso di fronte alle difficoltà, dove immergersi a livello senso-motorio e non riflessivo; infatti
dopo il secondo tentativo errato il computer si blocca e invita lo studente a riflettere riproponendo il
percorso di pensiero. Fornisce inoltre la possibilità di affiancare ai dizionari presenti nei manuali un
dizionario personale che, in alcuni casi, può contribuire ad ampliare la propria comprensione di un
termine con un processo più attivo per quei profili cognitivi che hanno una maggiore difficoltà ad
apprendere e a memorizzare dal libro la terminologia filosofica. In effetti, sulla base di questi esempi,
il problema non è tanto tecnologico quanto l’avere idee sulla didattica della filosofia con lo scopo, la
cui necessità sembra difficilmente contestabile, di «istituzionalizzare» la dimensione argomentativa
della filosofia in modo da impostare strategie culturali di difesa del suo specifico significato formativo
dai tentativi periodici di inglobarla in ambiti disciplinari più ampi e ovviamente generici cosicché la
figura del docente che preme per far riflettere non faccia solo parte dei ricordi di qualche studente
fortunato.
Questo comporta che si tengano sotto controllo i rischi dell’invadenza da parte di mode pedagogistiche
o psicologiche, pur non escludendo un serio confronto con le teorie delle scienze umane in merito a
conoscenza, apprendimento e relazione educativa. Inoltre, si deve prendere sul serio la necessità di
evitare con cura ogni ristretto e riduttivo punto di vista elevato a unica categoria progettuale. Il che
implica continuare nel ripensamento delle premesse teoretiche di ogni modello ma anche cercare di
identificare i paradigmi comuni e le domande ad essi connesse. Ma non è pensabile in un’ottica interna
alla sola filosofia; questo discorso non vuole e non può affatto prescindere dalle valide indicazioni
programmatiche offerte da quella didattica problematica che ha giustamente contribuito a denunciare
lo stato spesso inerziale di una scuola assestata sulla stanca ripetizione di una routine abbandonata
a se stessa e sta insistendo su un processo educativo che sappia problematizzare le proprie gerarchie
interne, non poche volte obsolete, armonizzando un contesto che proprio un uso sapiente dei nuovi
media può portare a trascrivere sotto l’auspicio di una progettualità viva; di un’attenzione alle
complesse relazioni che l’individuo, in tutte le fasi della sua crescita, intrattiene con i sistemi simbolico-
culturali che ci attraversano; di un sapere che si sforzi di non essere un arcipelago senza collegamenti
interni ma che sappia navigare tra le isole sulla scorta di problemi definiti da affrontare. È
indispensabile una progettazione attenta e flessibile. Il lavoro deve essere inserito nell’offerta formativa
dell’istituto e nel piano di lavoro del Consiglio di classe, per potersi integrare in modo coerente con
obiettivi, metodi e argomenti programmati. Non sono opportune, a mio avviso, finalità specifiche,
tranne quella di familiarizzare con strumenti sempre più diffusi e forse indispensabili, superando sia
gli atteggiamenti di paura che quelli di mitizzazione. In questo senso l’uso della LIM, proprio per la sua
capacità di gestire immagini, testi, mappe concettuali, risorse on line, può diventare un utile supporto
o, in alcune fasi, un sostituto della lezione frontale, offrendo una maggiore rapidità e una più vasta
gamma di possibilità di interazione tra docente e gruppo classe.

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