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La Canzone Di
Colombano
(2000)
EmmeBooks 265
Nel cuore di una canzone del sedicesimo secolo c'è la sto-
ria fosca e triste che questo libro racconta. Quattro omi-
cidi, di una povera famiglia di pastori, tra cui una fan-
ciulla, Floretta. Ne è accusato Colombano Romean, un
maestro minatore provenzale sfidato a realizzare da solo
l'opera immane del traforo della Thullie che ancora si
ammira in val di Susa. Guidato dalle strofe e dagli archi-
vi, Perissinotto svolge un'inchiesta e plasma questo rac-
conto giallo, che contiene un complotto di brutale prepo-
tenza e una falsa accusa
Sommario
La canzone....................................................................................... 4
I Strofa prima ....................................................................... 6
II Strofa seconda ............................................................... 20
III Ritornello ......................................................................... 34
IV Strofa terza...................................................................... 50
V Strofa quarta .................................................................. 65
VI Ritornello ........................................................................ 81
VII Strofa quinta .................................................................. 96
VIII Strofa sesta................................................................... 113
IX Chiusa.............................................................................. 141
Epilogo ......................................................................................... 151
Dieci anni fa, conducendo ricerche sul folclore alpino per la mia tesi
di laurea, mi imbattei in una strana canzone che non avevo mai sentito
e della quale non vera traccia in nessuno dei testi che io conoscevo. A
cantarmela, in uno sperduto alpeggio alle pendici del monte Bellavar-
da, fu un'anziana donna, allora più che ottuagenaria, che tutti chia-
mavano semplicemente Ghitin. La canzone appariva estremamente
corrotta nel linguaggio, con ampie contaminazioni tra il francopro-
venzale, il piemontese e l'italiano. Essa era poi mancante di alcune
parti, a volte intere strofe, che la donna sostituiva con un allegro can-
terellare a bocca chiusa, benché la storia narrata fosse in realtà
estremamente triste e cruenta. Alcuni versi sembravano poi chiara-
mente mutuati da altri canti, in particolare dal famosissimo Donna
Lombarda, e sommariamente adattati al componimento specifico, con
errori di metrica che costringevano ad incredibili virtuosismi vocali.
Mi diedi a cercare per le montagne altre lezioni di quella singolare
canzone che aveva come eroe un tale Colombano e che raccontava,
come molte altre, di un terribile delitto: non trovai ulteriori tracce e
nessuno seppe darmi indicazioni utili. In presenza di una sola lezione,
di un'unica versione della storia, non potei fare alcuno studio compa-
rativo sul testo e neppure potei riferire la canzone a qualche fatto sto-
rico tramandato dalla tradizione orale, poiché nessuno nelle zone at-
tigue all'alpeggio aveva mai sentito parlare di Colombano e della sua
vicenda.
Mi arresi ed esclusi quel canto dal mio corpus di indagine con buo-
na pace di tutti. Qualche anno dopo la laurea, riordinando gli appunti
che dal giorno della discussione della tesi giacevano dimenticati in un
raccoglitore, mi trovai in mano il foglio sul quale avevo trascritto i
versi che Ghitin mi aveva cantato. Fui nuovamente incuriosito da quel-
le parole ancora prive di riscontri e decisi di far visita alla donna. Mi
Di là da cui boscagi
j'è quat mort da suterè.
E 'l pare e la mare
e la veja l'an massà;
e na fia d' quìndes ani
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ch'a smija penha endurmentà.
Figliolo,
malgrado la tua giovane età, l'intelligenza viva e
la sapienza che hanno fatto del povero montanaro un
giudice ti accompagneranno in questa tua prima
prova di amministratore dell'imperfetta giustizia del
mondo. Non sofferire in alcun modo che il giudizio su
Colombano Romean venga avocato ad altro Tribuna-
le se non a quello da te presieduto, perché tu solo po-
trai statuire con limpida coscienza l'innocenza del
nostro buon scalpellino. Tu solo sai quanto la sua
opera sia una grazia per il paese e per tutti noi: non
possiamo concedere che le calunnie arrestino il solo
uomo capace di portare a termine un tale lavoro, né
possiamo lasciare che il male si burli della probità.
Coloro che accusano Romean sarebbero meritevoli
della ruota e della tenaglia, ma la Carta concessa dal
nostro signore il Delfino ci obbliga a riconoscere ai
La canzone di Colombano 156/35
nostri vassalli le stesse guarentigie giurisdizionali di
cui noi godiamo: dovremmo farli giudicare dai loro
pari, ché il loro reato non potrebbe esser rimandato
ad altra corte, ed il tribunale dei villani li mandereb-
be certissimamente liberi. Con forza rinnovata dì a
tutti che della morte d'Isoardo non v'è altra causa
all'infuori della segale cornuta e che Colombano non
s'è macchiato d'alcun crimine: questa sia la tua sen-
tenza.
Ti protegga il Nostro Signore Iddio e ti infonda la
sua forza per sbaragliare le schiere dei Suoi nemici.
Anans al giüdise
a j'è tüt 'l pais
(Testo mancante. La cantatrice
sostituiva le parole dimenticate
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con un passaggio a bocca chiusa)
Sebbene l'avesse già letta molte volte, come del resto il ri-
manente della lettera, Ippolito fu ancora intimorito da quella
frase che di poco precedeva la conclusione.
Guardò il foglio, la calligrafia minuta e regolare del Prevosto
lo ricopriva interamente, come un ricamo d'inchiostro sulla
carta color della paglia; poi, con decisione, lo strappò in minu-
scoli frammenti, certo per cancellare ogni traccia di quelle pa-
role troppo compromettenti, ma soprattutto per la stizza d'a-
ver dovuto nuovamente subire le dure rampogne del suo si-
gnore. Né poteva in alcun modo negare che il Prevosto avesse
colpito nel segno biasimando l'arrendevolezza che egli aveva
mostrato davanti alle accuse di stregoneria. Per molti giorni,
concluso il processo, il giudice aveva calmato gli affanni dell'a-
nimo nella confortante sicurezza d'aver combattuto la lotta
contro il male nel giusto esercito, e poco importava se quello
era lo stesso esercito dei Beaudia e dei Rostollan. Egli aveva
giaciuto dimentico e sereno con la sua vedova e s'era addor-
mentato col capo tra i suoi seni ancora nudi, malgrado l'inizio
di settembre cominciasse a portar via dall'aria il tepore tanto
amato.
Con l'irresponsabilità d'un fanciullo, Ippolito aveva vissuto
Nel tempo che Ippolito era stato a pensare a tutte queste co-
se il giorno era svanito e le tenebre erano ora vinte da una
fredda luce lunare. Nella foresta, la notte sembrava una di
quelle albe autunnali, con la neve a terra, gli alberi nudi e scuri
e qualche vapore a metà tra terra e cielo. Non c'erano colori se
non il bianco spettrale della luce e il nero d'ogni oggetto e d'o-
gni ombra. Immobile sul ramo, sentiva il freddo penetrargli fin
dentro alle ossa. Si era atteso un silenzio assoluto e invece con-
statò che il bosco era attraversato da rumori improvvisi: il can-
to d'un uccello notturno, il correre veloce di qualche roditore
tra le foglie secche, lo scricchiolare dei rami. Ogni suono era
come uno squarcio su di una tela tesa e lo faceva trasalire e
palpitare. Ancora una volta desiderò andarsene, fuggire, lascia-
re tutti al loro destino e ancora una volta andò avanti, non per
coraggio, ma per la consapevolezza d'essersi spinto troppo ol-
Eccellenza,
il fuoco distrugga il documento che vi inviai con la
mia ultima missiva pregandovi di mantenerlo sigilla-
to fino al giorno in cui aveste avuto notizia della mia
morte. La mia vita non è più in pericolo e quello scrit-
to tratta di fatti che ormai è bene dimenticare: di-
struggetelo.
Vostro devotissimo.
Ippolito Berthe
Eccellenza,
da due giorni colui che levò la sua mano assassina
sul buon Isoardo e sulla sua famiglia è prigioniero
nelle segrete del castello di Chiomonte dal quale vi
scrivo; colui che armò quella mano è però libero, ché
Costante, l'assassino, non seppe indicarne il nome.
Ma quel nome, voi e io lo conosciamo.
Per settimane vi siete preso gioco di me e mi avete
usato quale strumento del vostro perverso disegno.
Fallito il tentativo di uccidere Colombano con il
pane avvelenato che ha dato la morte agli altri, avete
tramato nell'ombra e, con i vostri oscuri lacchè, avete
agitato gli animi contro Romean confidando nel lin-
ciaggio. Mentre a me raccomandavate il silenzio e la
discrezione, dai champiers facevate spargere la voce
delle uccisioni della Thullie. Tutto era pronto, ma an-
cora una volta Colombano è sfuggito alla morte e af-
ferrando l'anello di salvezza si è affidato alla giu-
stizia della chiesa.
Non vi siete perduto d'animo, anche perché aveva-
te in pugno l'arma migliore: cosa c'era di meglio di
I IV
Di la da cui boscagi «Culumban a l'a massà!»
j'è quat mort da suterè. siur giüdise pende lo farà
E 'l pare e la mare «Con 'l diau a l'a giügà!»
e la veja l'an massà; Culumban a l'è përzuné
e na fia d' quìndes ani «Con le masche a l'a dansà!»
ch'a smija penha endurmentà. siur giüdise lo farà brüsé
II Rit
Quand la gent a l'è muntà 'l bun Culumban (2 volte)
per andeje a suteré, a porta l'éigua dal mont al pian
a l'a vist Culumban 'I bun Culumban (2 volte)
ch'a fasia so mesté. a fura la pe(y)ra cun la sua man
A l'an vist Culumban
a l'an falu përzuné. V
…
Rit
'l bun Culumban (2 volte) VI
a porta l'éigua dal mont al pian Per pié 'l lüv a fan 'l pan
'l bun Culumban (2 volte) a fan 'l pan envelenà.
a fura la pe(y)ra cun la sua man. Chi ch'a na mangia 'n toc
a va a ciamé 'l consur.
III Chi ch'a na mangia dui toc
Anans al giüdise a va a ciamé 'l sotrur.
a j'è tüt 'l pais
… VII
E Culumban l'an liberà,
cun or e arzan a l'an pagà.
Ma vui chi scute, scuteme mi
l'onur 'd n'om a val 'd pi.
EmmeBooks 265