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3 Risposta sismica

del terreno libero

3.1 COMPORTAMENTO SISMICO DEI TERRENI

3.1.1 Onde sismiche

L’applicazione di una sollecitazione dinamica ad un mezzo continuo produce


vibrazioni che si trasmettono nel mezzo sotto forma di onde sismiche.
La sorgente che le genera può essere di tipo meccanico, elettro-magnetico, etc.
superficiale o interna al mezzo. Le sorgenti meccaniche possono essere naturali (terremoti,
moto ondoso, vento) o artificiali (esplosioni, installazioni di pali, fondazioni di macchine
vibranti, traffico, etc.) e operano in differenti campi di frequenza (fig. 3.1).

Figura 3.1 - Campi di frequenza delle sorgenti meccaniche delle onde sismiche.

Le onde sismiche (fig. 3.2) si distinguono in onde di volume e onde di superficie.

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Figura 3.2 - Riflessione, rifrazione e verticalizzazione delle onde di volume.

1. ONDE DI VOLUME. Quando le onde sismiche si propagano all’interno di un mezzo


infinitamente esteso (sorgente interna al mezzo) si definiscono onde di volume (fig. 3.3) e si
propagano secondo fronti d’onda sferici. Le onde di volume sono di due tipi:
● onde P (onde di compressione): producono vibrazioni polarizzate nella direzione di
propagazione e deformazioni di compressione o estensione; si trasmettono con una velocità
V p che in presenza di fluido di porosità è prevalentemente condizionata dalle proprietà di

questo;
● onde S (onde di taglio): producono vibrazioni polarizzate in direzione perpendicolare alla
direzione di propagazione e deformazioni di taglio; le onde S assumono una velocità Vs

dipendente esclusivamente dalle caratteristiche dello scheletro solido; di conseguenza è alle


onde S che occorre fare riferimento per la misura della rigidezza dei terreni sciolti saturi.

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Figura 3.3 - Onde di volume.

Le onde P ed S, lungo il loro percorso, danno luogo contemporaneamente a tre


fenomeni:
● sotto la superficie libera nell’attraversare l’interfaccia dal mezzo 1 al mezzo 2:
□ generazione di onde riflesse nel mezzo 1 e trasmesse nel mezzo 2, anche di tipo diverso
(B) da quelle incidenti (A) secondo la legge di Snell (fig. 3.4):
sin i sin r sin r ' sin t sin t '
    (3.1)
Vi  A Vr  A Vr  B  Vt  A  Vt  B 

ir (3.2)
in cui:
i , Vi  A  angolo con la normale e velocità dell’onda A incidente

r , Vr  A  angolo con la normale e velocità dell’onda A riflessa

r ' , Vr  B  angolo con la normale e velocità dell’onda B generata e riflessa

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t , Vt  A  angolo con la normale e velocità dell’onda A trasmessa

t ' , Vt  B  angolo con la normale e velocità dell’onda B generata e trasmessa

Figura 3.4 - Riflessione e rifrazione.

□ modifica di ampiezza di spostamenti in misura inversamente proporzionale all’impedenza


sismica Z  V dei mezzi a contatto:
1 
ur  ui (3.3)
1 
2
ut  ui (3.4)
1 
in cui:
   2V2 1V1 rapporto tra le impedenze dei due mezzi

ui ampiezza dell’onda incidente

ur ampiezza dell’onda riflessa

ut ampiezza dell’onda trasmessa.

● all’interfaccia con la superficie libera: generazione di onde superficiali (onde R e L), perché
il mezzo 2 (aria) non può trasmettere onde elastiche; le onde R sono caratterizzate da
componenti parallele e perpendicolari alla direzione dell’onda.

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2. ONDE DI SUPERFICIE. Nel caso di un mezzo semi-infinito (come il terreno), quando
le onde di volume (prodotte da una sorgente interna al mezzo) raggiungono la frontiera
generano le onde di superficie (fig. 3.5), che si propagano attraverso la superficie stessa. Le
onde di superficie sono di due tipi:
● onde di Love: producono vibrazioni orizzontali polarizzate nella direzione perpendicolare
alla direzione di propagazione e deformazioni di taglio; sono onde legate alla stratificazione
dei terreni e derivano dalla riflessione multipla tra superficie inferiore e superiore di uno
strato di terreno in cui rimangono intrappolate le onde S. Esse si producono in genere in
presenza in superficie di strati deformabili di ridotta potenza che sovrastano depositi di
rigidezza elevata.
● onde di Rayleigh: producono vibrazioni che sono la risultante di una vibrazione polarizzata
su un piano verticale, in direzione perpendicolare alla direzione di propagazione, e di una
vibrazione orizzontale polarizzata lungo la direzione di propagazione; il moto risultante è
ellittico retrogrado; la deformazione indotta è sia di taglio che di compressione.

Figura 3.5 - Onde di superficie.

All’interno del terreno, all’aumentare della profondità r, le onde di Rayleigh si


attenuano meno rapidamente di quelle di volume (che si attenuano secondo una legge del tipo
1/r) e in modo che la componente verticale sia predominante su quella orizzontale e
significativa fino ad una profondità pari alla lunghezza d’onda R . In superficie,

all’aumentare della distanza epicentrale r, le onde di Rayleigh diventano predominanti rispetto


a quelle di volume (che invece prevalgono in prossimità dell’epicentro), poiché si attenuano

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secondo una legge del tipo 1 r , mentre quelle di volume secondo una legge del tipo 1/r2
(fig. 3.6).

Figura 3.6 - Onde sismiche generate da una fondazione circolare con oscillazione verticale.

3. VELOCITÀ DELLE ONDE SISMICHE. In generale la velocità delle onde sismiche


dipende dalle caratteristiche fisiche (densità) e meccaniche (modulo di Young E , coefficiente
di Poisson  , ecc.) del mezzo attraverso cui si propagano e dalla frequenza f dell’onda
( V    f ). In un mezzo omogeneo elastico (cioè nel campo delle piccole deformazioni) la
velocità di propagazione delle onde sismiche è indipendente dalla frequenza (onde non
dispersive). In tal caso valgono le seguenti relazioni in condizioni di far field (fig. 3.7):

G
VS  (3.5)

Eed E 1   1 
VP    VS (3.6)
  1  1  2  0,5 

0,87  1,12
VR  VS (3.7)
1 
Al variare del  del terreno (fig. 3.7) risulta V p Vs  f   (= 1,5÷2,0 per terreni insaturi e

rocce) e Vr Vs  1 .

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Figura 3.7 - Confronto tra i valori delle velocità.

L’ipotesi di onde non dispersive (validità delle relazioni precedenti) è accettabile nei
seguenti casi:
● attraversamento di roccia o di terreno omogeneo (poco smorzante): le onde si possono con
buona approssimazione considerare non dispersive nel campo delle piccole deformazioni
(dominio elastico lineare) e delle basse frequenze, e si possono quindi applicare le relazioni
precedenti;
● misure sismiche: le frequenze dell’eccitazione (1-10 Hz) e l’ampiezza massima delle
deformazioni indotte (< 0.0001%) sono tali da potere applicare tale modello.
Invece, nel caso di terreni stratificati o caratterizzati da altre forme di eterogeneità
(discontinuità, giunti, ecc.), la velocità delle onde sismiche non si può più ritenere
indipendente dalla frequenza.
Inoltre è utile definire la velocità delle onde di volume apparenti (velocità di Lysmer),
utilizzata nelle funzioni di impedenza dinamica di una fondazione di cui al par. 4.4 (fig. 3.8):
3, 4VS
VLa  (3.8)
 1  

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Figura 3.8 - Velocità di Lysmer.

Circa la dipendenza della velocità delle onde di volume dal grado di saturazione Sr del
terreno:
● la velocità delle onde S è scarsamente influenzata da Sr (non potendo l’acqua sostenere
sforzi di taglio); in sabbie grossolane pulite dove gli effetti della capillarità sono trascurabili
il grado di saturazione influenza il valore di Vs solo nel termine di densità ρ; in terreni con

un più elevato contenuto di fine le tensioni interparticellari dovute alla capillarità


contribuiscono ad aumentare la rigidezza del terreno attraverso il modulo G;
● la velocità delle onde P è invece influenzata da Sr e in particolare:
□ per Sr < 99%, la Vp è controllata dalla rigidezza dello scheletro solido nella stessa maniera
delle onde S;
□ per Sr = 100%, la Vp è controllata dal mezzo liquido che è incompressibile (Vp=1500m/s);
□ per 99% < Sr < 100%, la Vp varia sensibilmente col grado di saturazione (fig. 3.9).

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Figura 3.9 - Variabilità di Vp con Sr per Sr = 99÷100%.

3.1.2 Comportamento meccanico

Il principio degli sforzi efficaci afferma che:

 11  12  13   '11  '12  '13  u 0 0 


  22  23    '21  '22  '23      0 u 0 
 21 (3.9)
 31  32  33   '31  '32  '33   0 0 u 

in cui:
 ik tensione totale

 'ik tensione efficace

 coefficiente dipendente dal grado di saturazione (= 1 per S = 1).


Nei processi statici le condizioni di drenaggio variano tra le due situazioni limite:
● condizioni non drenate u  0 (drenaggio impedito): velocità di caricamento elevate
rispetto alla velocità di filtrazione (condizione a breve termine dall’inizio del caricamento
per terreni a grana fine);
● condizioni drenate u  0 (drenaggio libero): velocità di caricamento basse rispetto alla
velocità di filtrazione (condizione a lungo termine dall’inizio del caricamento per terreni a
grana fine, e condizione permanente per terreni a grana grossa).

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Nei processi dinamici le velocità di caricamento sono così elevate che,
indipendentemente dalle proprietà del terreno, è sempre lecito assumere che le condizioni
siano non drenate (fig. 3.10).

Figura 3.10 - Velocità di caricamento e condizioni di drenaggio.

Date le condizioni non drenate in cui si può ritenere si trovi un terreno sotto carichi
dinamici, risultano trascurabili gli effetti indotti da variazioni di tensioni isotrope in termini di
tensioni efficaci e quindi di deformazioni volumetriche. Di conseguenza il comportamento
dinamico e ciclico dei terreni è studiato in condizioni di carico tangenziale       ed è

sintetizzabile attraverso una coppia di parametri equivalenti (fig. 3.11):


● modulo di rigidezza tangenziale:

G    (3.10)

● fattore di smorzamento:

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WD
  D    (3.11)
4 WS

Figura 3.11 - Relazione τ-γ in condizioni cicliche.

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È stato provato che, anche se esistono comportamenti diversi del terreno in ragione
della natura delle sollecitazioni applicate, la risposta sforzi-deformazioni è riconducibile ad un
unico modello reologico e non ha alcun significato definire le proprietà dinamiche in
contrapposizione a quelle statiche. In campo dinamico, bisogna sottolineare le distinzioni tra
processi ciclici e processi propriamente dinamici: per i primi – ai quali ci riferiamo – le forze
d’inerzia sono trascurabili, per i secondi sono di notevole entità. Data la complessità, sia
dell’azione sollecitante che della risposta del terreno (non lineare e non reversibile), è invalso
l’uso di caratterizzarne il comportamento per diversi livelli di deformazione a taglio  . Sono
individuabili tre campi di comportamento (fig. 3.12):
● piccole deformazioni:    l (convenzionalmente G   l   0, 95G0 ):

□ lineare: G     G0 costante;

□ reversibile: D     D0 costante;

□ u non drenato o  v drenato: nullo;

● medie deformazioni:  l     v ( G   v   0,50G0  0,65G0 ):

□ non lineare: G     G0 decrescente ed uguale ad ogni ciclo (  G  1 );

□ non reversibile: D     D0 crescente ed uguale ad ogni ciclo (  D  1 );

□ u non drenato o  v drenato: nullo;

● grandi deformazioni:    v :

□ non lineare: G     G0 decrescente e minore ad ogni ciclo (  G  1 );

□ non reversibile: D     D0 crescente e maggiore ad ogni ciclo (  D  1 );

□ u non drenato o  v drenato: non nullo.

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Figura 3.12 - Comportamento meccanico.

Allo stato attuale i modelli del legame tensione-deformazione (i quali non hanno certo
la pretesa di sostituirsi alla sperimentazione) sono (fig. 3.13):
● il modello iperbolico;
● il modello iperbolico modificato;
● il modello di Ramberg-Osgood.
Per ciascun modello τ-γ, lo smorzamento può essere associato col criterio di Masing oppure
indipendente.

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Figura 3.13 - Modelli meccanici.

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3.1.3 Parametri meccanici

I parametri G ( ) e D    sono convenientemente esprimibili nella forma:

 G   
G ( )  G0     G0  G    (3.12)
 G0 
D     D0  D    (3.13)
in cui:
● per piccole deformazioni (    l ): G     1 , D     0 ;

● per medie deformazioni (  l     v ): G     1 , D     0 ;

● per grandi deformazioni (    v ): ad ogni ciclo di carico-scarico, G     1 decresce e

D     0 cresce e ciò è descrivibile dai relativi parametri di degradazione associati all’N-

esimo ciclo:
GN 
G  N   1 (3.14)
G 1

DN 
D  N   1 (3.15)
D 1

1. DETERMINAZIONE INDIRETTA. Le correlazioni di determinazione indiretta, lungi dal


volersi sostituire alla sperimentazione sui terreni, che è indispensabile per lo studio del
comportamento delle opere geotecniche sotto carichi sismici, servono ad ottenere delle
grandezze di riferimento con le quali confrontare i risultati delle prove in sito e di laboratorio.
Pertanto, le indicazioni e correlazioni che sono qui riportate vanno considerate (Lanzo e
Silvestri, 1999) come:
● strumenti di stima approssimata dei parametri, in mancanza di misura diretta degli stessi;
● criteri di verifica dell’attendibilità di misure, in assenza della sufficiente esperienza o
confidenza ingegneristica sui valori riscontrabili nella pratica.
Le soglie di deformazione  l e  v dipendono da I P (fig. 3.14).

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Figura 3.14 - Soglie di deformazione l e v .

I parametri G0 e D0 dipendono da storia e stato tensionali (fig. 3.15) e sono

esprimibili nella forma proposta da Hardin (1978):


n
G0  p' 
 S  f  e     OCR m (3.16)
pa  pa 
j
D0  p' 
 Z  f  e     OCR k (3.17)
pa  pa 
in cui:
f e funzione decrescente dell’indice dei vuoti (= 1 per terreni a grana fine)

pa pressione di riferimento

p' pressione isotropica 1 3   'v  2 'h 

OCR grado di sovraconsolidazione  'v max  'v 0 (= 1 per terreni a grana grossa)

S , n, m coefficienti dipendenti da f  e  e I P

Z , j, k coefficienti dipendenti da f  e  e I P .

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Figura 3.15 - Dipendenza di G0 e D0 da storia e stato tensionali.

Le funzioni G    , D    dipendono da una serie di fattori illustrati in fig. 3.16.

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Figura 3.16 - Fattori di influenza di G   e D    .

Dai modelli reologici       è possibile ricavare modelli analitici di G    e D    (fig.

3.17).

Figura 3.17 - Correlazioni empiriche di G   e D    .

Esiste una correlazione anche per la degradazione ciclica (fig. 3.18).

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Figura 3.18 - Dipendenza della degradazione ciclica di G da  e I P .

2. DETERMINAZIONE DIRETTA. Le prove per la misura sperimentale dei parametri


meccanici si distinguono in due categorie (fig. 3.19):
● prove in sito (applicabili a terreni a grana fine e a grana grossa), che consistono nel generare
onde sismiche e nel determinarne la velocità di propagazione in porzioni definite di
sottosuolo; l’uso di tali prove comporta:
□ il vantaggio delle proprietà allo stato naturale;
□ lo svantaggio del comportamento non lineare non misurabile;
● prove in laboratorio (applicabili a terreni a grana fine), che consentono di investigare
qualsiasi aspetto del comportamento ciclico/dinamico del terreno; l’uso di tali prove
comporta:
□ il vantaggio di basse deformazioni a rottura;
□ lo svantaggio del disturbo dei campioni.

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Figura 3.19 - Misura sperimentale dei parametri meccanici.

Il principio su cui si basano le prove in sito è:


1) generare onde di volume (P, S) o di superficie (R, L) con una sorgente polarizzata;
2) registrare gli effetti con uno o più ricevitori (geofoni);
3) misurare direttamente le velocità di propagazione delle onde P ed SH nel terreno,
nell’ipotesi di terreno elastico lineare, omogeneo, isotropo e non confinato limitatamente
all’area comprendente la sorgente e il ricevitore;
4) stimare indirettamente i parametri che caratterizzano il comportamento del terreno in
campo dinamico (modulo di taglio iniziale G0 e rapporto di smorzamento iniziale D0) con
relazioni valide nelle ipotesi di cui al punto 3:
G  VS2 (3.18)

Eed  VP2 (3.19)


2
0, 5 VP VS   1
 2 (3.20)
VP VS   1

E  2 VS2 1    (3.21)

2  
D 2 2
,  (3.22)
4   V/f 
Le componenti indispensabili per una misura consistono in:
● una sorgente S meccanica di impulsi di appropriata energia, direzionale e preferibilmente
reversibile;

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● due o più ricevitori R1, R2,… (geofoni) contenenti uno (1D) o più (3D) trasduttori di
velocità d’accelerazione di appropriata risposta dinamica; i geofoni devono essere dotati di
un sistema di connessione al terreno;
● un dispositivo A di acquisizione e registrazione dei segnali d’uscita dei trasduttori
(oscilloscopio);
● un trasduttore alloggiato nella sorgente (trigger), che segnali l’istante di partenza delle onde
dalla sorgente.
Le prove in sito, sulle quali ci soffermeremo nel seguito, si distinguono in (fig. 3.20):
● prove geofisiche: indagano le strutture del sottosuolo mediante la propagazione in superficie
od in foro delle onde P ed SH e misurano i tempi di arrivo di dette onde al fine di misurarne
le velocità;
● prove geotecniche: indagano le proprietà meccaniche del sottosuolo su piccola scala; poiché
la compressibilità volumetrica delle terre sciolte è inferiore a quella dell’acqua, la misura
delle V p è inefficace per la caratterizzazione delle proprietà meccaniche dei terreni saturi;

per tale motivo si fa riferimento a sorgenti unidirezionali ed alle onde di taglio, la cui
velocità non è influenzata dal grado di saturazione.

Figura 3.20 - Metodi geofisici e geotecnici basati sul monitoraggio di vibrazioni.

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Le prove possono essere eseguite (fig. 3.21):
1) in foro (prove geotecniche): Cross-hole (CH), Down-hole (DH), ecc.;
2) in superficie:
□ metodi geofisici: prospezioni sismiche a riflessione o rifrazione;
□ metodi geotecnici: metodi basati sulle onde superficiali (SASW, MASW, Re.Mi, ecc.).

Figura 3.21 - Caratteristiche delle prove in foro e in superficie.

1. Le misure sismiche in foro richiedono l’ubicazione della sorgente e/o dei ricevitori
all’interno del terreno, alla profondità a cui si vuole effettuare la misura e per tale motivo
necessitano dell’esecuzione di un foro che può avvenire prima dell’esecuzione della misura
(prova cross-hole, down-hole, suspension velocity logging method) o contestualmente (cono
sismico, dilatometro sismico). Le onde sismiche generate sono onde di volume (onde P e S).
Le misure consistono nel provocare un disturbo meccanico (sorgente) in un punto nel terreno
(o in superficie) e nel determinare i tempi di arrivo t Ri delle onde sismiche così generate in

uno o più punti (ricevitori) allineati in superficie (o nel terreno). Nota la distanza tra i
ricevitori d RR (metodo di intervallo) e tra ricevitori e sorgente d SR (metodo diretto), l’istante

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di partenza (trigger) delle onde t0 , si può determinare la velocità delle onde sismiche

corrispondenti alla profondità esplorata nel dominio del tempo:


□ metodo diretto:
d SR1 d SR2
V  z   (3.23)
t R1  t0 tR2  t0

□ metodo di intervallo:
d R1R2
V  z  (3.24)
t R2  t R1

I segnali registrati ai ricevitori possono essere filtrati (per l’eliminazione di eventuali disturbi
ambientali) e interpretati per la determinazione dei tempi di arrivo delle onde con un’analisi
nel dominio delle frequenze: il segnale registrato dai ricevitori è composto da infinite
armoniche, ciascuna delle quali compie N c  R1  R2   2 cicli tra le stazioni riceventi, ha

frequenza f e lunghezza d’onda   d R1 R2 N c ; si ricava la curva di dispersione delle velocità

V  z ,     f alla profondità z .

I risultati vengono restituiti sotto forma di valori puntuali della velocità a diverse profondità.
Dopodichè si può attribuire a ciascuno strato, individuato da due misure successive, un valore
costante pari al valore assunto nel punto superiore o al valore medio.
Nello schema CH (fig. 3.22), una sorgente meccanica è ubicata in profondità
all’interno di un foro; uno o due ricevitori sono ubicati alla stessa profondità nel terreno in
fori adiacenti e allineati. La prova consiste nell’abbassare o sollevare, a passi successivi di
1m, sorgente e ricevitori all’interno di fori verticali rivestiti, mantenendoli sempre alla stessa
profondità e in modo da non perdere l’allineamento dei trasduttori orizzontali; per ciascuna
posizione viene energizzata la sorgente (in genere producendo delle sollecitazioni verticali,
onde SV, onde SH o, mediante esplosioni, onde P) e vengono acquisiti i segnali
corrispondenti. Si ottiene la misura, con la profondità lungo la verticale esaminata, dei tempi
di arrivo (diretti, tra sorgente e ricevitore, e/o di intervallo, tra i due ricevitori) e quindi delle
velocità delle onde SV e/o SH e delle onde P (dirette) che si propagano in direzione
orizzontale.

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Figura 3.22 - Misure sismiche in foro: prova CH

Nello schema DH (fig. 3.23), una sorgente meccanica è ubicata in superficie; uno o
due ricevitori sono ubicati nel foro. La prova consiste nel mantenere fissa la sorgente e,
all’interno del foro rivestito (ma non necessariamente verticale), abbassare o sollevare, a passi
successivi di 1m, i ricevitori, di cui è fissata la distanza e l’orientazione relativa dei
trasduttori; per ciascuna posizione viene energizzata la sorgente delle onde P (battute
verticali) e la sorgente delle onde S (battute orizzontali), eventualmente invertendone
l’orientazione, e vengono acquisiti i segnali corrispondenti. Si ottiene la misura, con la
profondità lungo la verticale esaminata, dei tempi di arrivo (diretti, tra sorgente e ricevitore,
e/o di intervallo, tra i due ricevitori) e quindi delle velocità delle onde SH e delle onde P
(dirette) che si propagano in direzione verticale.

Figura 3.23 - Misure sismiche in foro: prova DH

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2. Le misure sismiche in superficie richiedono l’ubicazione della sorgente e dei
ricevitori in superficie e per tale motivo necessitano dell’esecuzione di prefori, non sono
invasive per il terreno, non comportano alcun impatto ambientale, sono anche più economiche
rispetto alle prove sismiche in foro, consentono di investigare aree molto estese. Le onde
sismiche generate sono di volume (sismica a riflessione o rifrazione) e superficiali R (SASW,
MASW, NASW, ReMi).
Le prospezioni sismiche a riflessione e rifrazione (fig. 3.24) consistono nell’allineare
in superficie sul terreno un certo numero (in genere 24) di geofoni 1-D (orizzontali o verticali)
e nel posizionare la sorgente (di vibrazioni verticali od orizzontali) al centro o all’estremità
dello stendimento, in linea oppure no. Effettuata l’energizzazione, dall’interpretazione dei
tracciati degli spostamenti verticali (od orizzontali) rilevati dai geofoni a partire dall’istante di
attivazione della sorgente (trigger), si determina l’istante di arrivo delle onde riflesse o
rifratte, che viene riportata in funzione della distanza progressiva dalla sorgente
(dromocrona). Dallo studio della dromocrona delle onde rifratte o riflesse, attraverso
considerazioni geometriche, si risale allo spessore dello strato o degli strati superficiali
attraversati dalle onde e alle relative velocità di propagazione (delle onde P o S). Si possono
effettuare più energizzazioni in corrispondenza della stessa configurazione, e poi ripetere le
misure facendo migrare nella direzione della linea di stendimento sorgente e ricevitori (di una
distanza pari a un terzo o un quarto della lunghezza dello stendimento).

Figura 3.24 - Misure sismiche in superficie: riflessione e rifrazione.

Nei metodi basati sulle onde superficiali si ricava il profilo della velocità delle onde S
con la profondità (profilo di rigidezza) relativo ad un determinato sito in maniera indiretta,
utilizzando una sorgente meccanica e più ricevitori, disposti in superficie. Tali metodi si
articolano in due fasi:

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1) monitoraggio della velocità di propagazione delle onde di Rayleigh lungo la superficie
(“field testing”) consisteva cui si deduce la curva di dispersione caratteristica del sito in
esame (velocità di fase delle onde di Rayleigh in funzione della frequenza);
2) adattamento di modelli empirici (sconsigliati) o numerici alle misure in sito per ricavare il
profilo di rigidezza (processo di inversione).
In particolare, la prova SASW (fig. 3.25) prevede l’utilizzo di una sorgente e due (o
più fino a 4) ricevitori (stazioni) disposti in superficie, allineati ed equidistanti, con la
sorgente da una parte rispetto ai ricevitori (common receivers midpoint geometry). La prova
si articola nelle seguenti operazioni:
a) vengono posizionati i due geofoni in superficie ad una piccola distanza (in genere 1 m) e
simmetricamente rispetto alla verticale che s’intende esaminare;
b) la sorgente viene ubicata ad una distanza pari all’interasse dei geofoni (1 m) allineata e da
una parte;
c) viene attivata la sorgente e con essa il trigger e l’acquisizione ai ricevitori;
d) viene ripetuta la sollecitazione più volte e i corrispondenti segnali mediati (per eliminare
eventuali disturbi ambientali);
e) la sorgente viene spostata dalla parte opposta rispetto ai ricevitori e si ripetono i punti c e
d (per eliminare l’effetto dell’eventuale inclinazione degli strati; il modello interpretativo
adottato considera gli strati orizzontali);
f) viene sostituita la sorgente (per investigare profondità maggiori producendo onde di
maggiore lunghezza) e distanziati i geofoni e ripetuti i punti precedenti (di solito con una
sequenza progressiva di 1, 2, 4, 8, 16 e 32 m).
Lo scopo della prova è quello di determinare un profilo di rigidezza (velocità di propagazione
delle onde S) per il terreno in esame.

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Figura 3.25 - Misure sismiche in superficie: prova SASW.

3.2 RISPOSTA SISMICA LOCALE

3.2.1 Generalità

Il moto sismico al bedrock u RIM  t  è condizionato da due fattori (fig. 3.26):

1) la sorgente M  x, t  , cioè dalla quantità di energia liberata, dai meccanismi focali, dalla

lunghezza della frattura, dagli scorrimenti di faglia, ecc.: quando le tensioni d’attrito nella
faglia superano la resistenza al taglio si hanno scorrimenti e rotture con liberazione di onde
sismiche di volume (onde P e onde S); queste onde si irraggiano con velocità diverse in tutte
le direzioni; si ha perciò una progressiva attenuazione dell’energia trasportata dalle onde
sismiche di natura geometrica (radiation damping);
2) il cammino di propagazione L  h, t  , cioè dalla distanza ipocentrale e dai processi fisici di

attenuazione dell’energia del movimento sismico: nel loro cammino le onde sismiche
subiscono anche altre modificazioni, che sono legate a fenomeni di riflessione e rifrazione
in corrispondenza dell’interfaccia tra strati di caratteristiche diverse (attenuazione per
scattering) e allo smorzamento interno dei terreni (material damping); ne consegue
un’ulteriore attenuazione del contenuto energetico con la distanza e una verticalizzazione
della direzione di propagazione delle onde sismiche;

91
Il moto sismico in superficie uFFM  t  dipende dalla trasformazione che il moto

u RIM  t  subisce a causa della:

3) azione di filtro H  r , t  , che gli strati di terreno superficiale operano sulle onde P e S a

partire dal basamento roccioso fino alla superficie libera.

Figura 3.26 - Trasformazioni subite dal moto sismico dalla sorgente alla superficie.

1. LA RISPOSTA SISMICA LOCALE. In pratica, date le difficoltà di prevedere con


esattezza i contributi 1) e 2), per analizzare la risposta del terreno libero ci si limita allo studio
della risposta sismica locale (cioè del meccanismo 3) la quale è l'insieme delle modifiche in
ampiezza, durata e contenuto in frequenza che un moto sismico (orizzontale) u RIM  t  , relativo

alla formazione rocciosa di base, subisce attraversando gli strati di terreno sovrastanti fino alla
superficie per diventare uFFM  t  .

Dal punto di vista tecnico, è significativa una valutazione della risposta sismica locale
che assuma come moto sismico di riferimento uR  t  , relativo ad un ipotetico (o reale)

affioramento della formazione rocciosa di base.


Il confronto tra uFFM  t  e u RIM  t  (o uR  t  ) può esser fatto:

● nel dominio delle frequenze, valutando la funzione di trasferimento H;


● nel dominio del tempo, valutando il fattore di amplificazione S.
2. MODELLI PER VALUTARE LA R.S.L. I modelli utilizzati nelle analisi di RSL sono
raggruppabili in diverse categorie in relazione:

92
I) al numero di dimensioni impiegate per la schematizzazione del problema (in tal caso si
parla di modelli monodimensionali, bidimensionali e tridimensionali);
II) al tipo di soluzione che propongono, cioè in forma chiusa (modelli analitici) o numerica
(modelli FEM);
III) allo schema fisico adottato per rappresentare il terreno (metodi della trave a taglio
continua o discretizzata) e, infine, alle leggi costitutive impiegate per il terreno (modelli
lineari, lineari equivalenti, non lineari ed elasto-plastici);
IV) al fatto che l’analisi della RSL venga condotta in termini di pressioni totali o di pressioni
efficaci.
I. La dimensionalità del modello (1D, 2D, 3D) da utilizzare in una applicazione reale
sarà condizionata da numerosi fattori quali:
● le eterogeneità morfologiche, stratigrafiche e geotecniche del deposito;
● l’intensità del terremoto e della scossa sismica di riferimento, nonché, la quantità e la
qualità delle conoscenze sulle caratteristiche geometriche, geologiche e geotecniche.
In particolare, la conoscenza di queste ultime, è fondamentale qualora si impieghino modelli
2D, ed a maggior ragione 3D, per i quali sono necessarie, al fine di realizzare un modello
“realistico”, conoscenze che generalmente non è possibile raggiungere ad un livello adeguato
alla complessità del problema. È quindi da sottolineare che, l’affidabilità dei risultati ottenuti
con modelli complessi è tanto minore quanto più il problema è complesso e le conoscenze
limitate. Qualsiasi sia la complessità del modello impiegato (ad esempio 2D o 3D), è sempre
importante il confronto dei risultati con quelli ottenuti mediante modelli più semplici (ad
esempio 1D). Ad eccezione dei codici di calcolo che permettono di analizzare l’interazione
terreno-struttura, l’analisi della RSL è sempre fatta in condizioni di superficie libera da
costruzioni (condizioni free field).
II. Solitamente i modelli che conviene utilizzare sono:
● analitici, se monodimensionali;
● FEM, se bi- o tridimensionali.
III. Nonostante i fenomeni dissipativi siano per lo più di carattere attritivo, cioè
tutt’altro che puramente viscosi, il modello visco-elastico offre notevoli vantaggi per
descrivere i fenomeni di smorzamento nei terreni: diffusione dell’energia sprigionata dal
terremoto su fronti d’onda di raggio crescente con la distanza dalla sorgente (smorzamento
geometrico); fenomeni di riflessione e rifrazione (smorzamento per scattering); fenomeni
dissipativi nei mezzi attraversati (smorzamento interno). Sia per un sistema discreto che per
un mezzo continuo, tale assunzione permette infatti di conservare inalterata la validità di

93
tecniche di analisi lineare per sollecitazioni cicliche e dinamiche, alle basse così come alle
medie deformazioni (fig. 3.27).

non lineare non lineare


lineare:
proprietà stabile: instabile:
  l
l    v   v
modulo
G0 G     G0 G     G0
G  
rigidezza
degradazione
0 0 <1
 G  G  N  G 1
modulo
D0 D     D0 D     D0
D  
smorzamento
degradazione
0 0 >1
 D  D  N  D 1

u non drenato o  v drenato 0 0 0

visco-elastico visco-elastico
modello meccanico non lineare
lineare lineare equiv.
lineare, lineare equiv., incrementale,
metodo d’analisi
tensioni totali tensioni totali tensioni efficaci
Figura 3.27 - Modelli meccanici per diversi livelli deformativi.

Il modello visco-elastico può essere formulato (fig. 3.28):


● al discreto, per problemi al contorno; il legame costitutivo e l’equazione del moto di un
oscillatore semplice sollecitato da una forza F , sono:
ku  cu  F  mu , (3.25)
in cui, se F  t   A cos  t    , allora:

WD  cu 2p c
D   ; (3.26)
4 WS 4 1 2 ku p  2k
2

● al continuo, per problemi di RSL; il legame costitutivo e l’equazione del moto per un
elemento di volume, sono:
 2u  3u  2u
G 2   2 , (3.27)
z t z 2 t
in cui, se u  z , t   p  z  cos  t    , allora:

WD u 2p 
D   . (3.28)
4 WS 4 1 2 Gu p  2G
2

94
Figura 3.28 - Modello visco-elastico.

Se le deformazioni sono medie, i parametri G e D dipendono da  , e a sua volta  è


determinabile se si conoscono G e D . Quindi si esegue l’analisi tante volte quante ne
occorrono finché la deformazione  k ottenuta usando i parametri G   k 1  e D   k 1  , con

 k 1 di tentativo, fino a convergenza (fig. 3.29):

 k 1   k   (3.29)
con  reale, positivo e opportunamente piccolo.

95
Figura 3.29 - Analisi lineare equivalente.

IV. Data l’elevata rapidità dell’azione sismica, ci si può ritenere in condizioni di


drenaggio impedito, e quindi condurre l’analisi della RSL in termini di tensioni totali.

3.2.2 Funzione di trasferimento

Per tener conto del fatto che il terreno agisca come un “filtro”, incrementando
l’ampiezza del moto in corrispondenza di alcune frequenze e riducendola per altre, si valuta la
funzione di trasferimento, la quale è una funzione complessa definita nel dominio delle
frequenze dal rapporto tra spettro di Fourier del moto sismico in superficie e quello del
basamento roccioso o dell’affioramento roccioso ipotetico (fig. 3.30):
uFFM max
H1     (3.30)
uRIM max
u FFM max
H 2    (3.31)
u R max
il cui modulo è la funzione di amplificazione (modulo della funzione complessa di
trasferimento), rispettivamente:

A1     Re 2 H1     Im 2 H1    (3.32)

96
A2     Re2 H 2     Im 2 H 2    (3.33)

Figura 3.30 - La funzione di trasferimento.

1. STRATO REGOLARE. Nel seguito si riportano le soluzioni, in termini di funzioni di


trasferimento, relative ad un modello monodimensionale analitico viscoelastico in tensioni
totali, che si basano sulle seguenti ipotesi esemplificative:
a) bedrock orizzontale e infinitamente esteso;
b) deposito omogeneo o, al più, stratificato orizzontalmente;
c) moto sismico costituito da onde di taglio che si propagano verticalmente polarizzate
orizzontalmente, SH.
Le ipotesi a) e b) inerenti la geometria del deposito sono legittimate nel caso in cui si abbia a
che fare con un deposito orizzontalmente stratificato, con giacitura del substrato orizzontale,
con spessore del deposito notevolmente inferiore rispetto alle altre due dimensioni e,
comunque, lontano dai bordi.
L’ipotesi c) relativa al moto sismico trova giustificazione nella constatazione che:
c1) le onde sismiche nell’attraversare gli strati del terreno subiscono numerose rifrazioni e
riflessioni, governate dalla legge di Snell, che implica, considerato che generalmente gli
strati più superficiali sono meno rigidi, un avvicinamento delle onde sismiche rifratte alla
verticale;

97
c2) dal punto di vista ingegneristico, le sollecitazioni sismiche più significative nella
progettazione di strutture e infrastrutture antisismiche sono le onde SH.
Nel caso di sollecitazione armonica stazionaria orizzontale con frequenza circolare
u
  2 f , dopo aver imposto la condizione al contorno   0, t   G   0, t   0 , è possibile
z
dimostrare che:
u  z , t   U n  z   u  0, t  (n = 0,1,2,3…) (3.34)

1
H1     (3.35)
cos H VS*
1
A1     (3.36)
cos H VS*

1
H 2    (3.37)
cos  H V   j  1 I *  sin  H VS* 
S
*

1
A2max     (n = 0,1,2,3…) (3.38)
1 I    2  n  D

in cui:
Un  z  n-esima forma modale

Vs*  Vs 1  jD  velocità complessa dell’onda di taglio dello strato

Vr*  Vr 1  jD  velocità complessa dell’onda di taglio del substrato

I *  rVr*  V 
s s
*
rapporto d’impedenza complesso (= ∞ per substrato rigido).

A ciascun modo di vibrare n, corrisponde la frequenza:


VS   
n    n   2 f n (n = 0,1,2,3…) (3.39)
H2 
Se la vibrazione dello strato (fig. 3.31) corrisponde alla prima forma modale (n = 0),
vale a dire con la prima frequenza naturale di vibrazione, allora gli spostamenti risultano
essere tutti dello stesso segno; al contrario, in corrispondenza dei modi superiori (n =
1,2,3…), gli spostamenti dei punti dello strato avvengono sia in una direzione che nell’altra.

98
Figura 3.31 - Deformazioni relative alle prime quattro forme modali.

L’analisi di A1    (fig. 3.32) mostra che la risposta di un deposito di un terreno ad

un’eccitazione armonica è fortemente influenzata dalla frequenza   2 f dell’eccitazione:


le frequenze in corrispondenza delle quali si verificano elevate amplificazioni dipendono dalla
geometria (spessore H ) e dalle caratteristiche fisico-meccaniche (velocità delle onde di taglio
VS  G  ) del deposito del terreno. La situazione più pericolosa in termini di fenomeni di

amplificazione si verifica quando la frequenza dell’eccitazione armonica (   2 f ) è pari ad

una delle frequenze fondamentali  n dello strato. Quando si verifica tale condizione

(    n ) si ha la risonanza dello strato, e la funzione di amplificazione A1    è massima.

99
Figura 3.32 - Funzione di amplificazione A1.

L’analisi di A2    (fig. 3.33) mostra che nell’ipotesi di substrato rigido ( I   ) la

funzione di amplificazione assume i valori più alti. Fisicamente ciò avviene perché le onde
che si propagano nello strato verso il basso, a seguito della riflessione sul terreno, sono
completamente riflesse dal substrato. L’energia associata alle onde rimane quindi totalmente
“intrappolata” all’interno dello strato. Invece, nell’ipotesi di substrato deformabile ( I   ),
queste stesse onde sono in parte riflesse all’interno dello strato e in parte trasmesse nella
roccia sottostante. Si ha quindi una dissipazione di energia (smorzamento per radiazione o per
scattering) che determina una minore amplificazione del moto sismico rispetto al caso di
substrato rigido ( A2 crescente con I ).

100
Figura 3.33 - Funzione di amplificazione A2.

Infine, la funzione di amplificazione A2 max mostra come il picco dell’amplificazione si

riduca al crescere dello smorzamento interno (I = cost, D crescente) o per radiazione (I


crescente, D = cost).
2. EFFETTI DELLE IRREGOLARITÀ. Un deposito di terreno reale è in genere
caratterizzato da eterogeneità e anisotropie (sia geometriche che meccaniche, sia verticali che
orizzontali), nonché da irregolarità morfologiche superficiali e profonde, le quali modificano
la RSL che si ottiene con la schematizzazione di strato regolare. I fattori che maggiormente
influenzano la modifica della RSL sono:
1) eterogeneità verticali;
2) non linearità;

101
3) effetti di bordo;
4) effetti topografici.
1. Sia per la presenza di strati di materiale diverso, sia per l’influenza delle condizioni
al contorno sulle proprietà meccaniche dei terreni, e in particolare della tensione efficace, si
assiste ad una variazione in direzione verticale, senza soluzione di continuità, di alcuni
parametri tra cui la rigidezza G e lo smorzamento D.
Gli effetti della variabilità di G con la profondità sono stati oggetto di un maggior
numero di ricerche. Vinale e Simonelli (1983) hanno analizzato la variabilità del moto
sismico in superficie riferendosi ad un deposito di spessore H, densità ρ costante e velocità di
propagazione delle onde di taglio variabile con la profondità con legge (fig. 3.34):

(3.40)

in cui:
V0 velocità delle onde S in corrispondenza della superficie

, m parametri che esprimono il grado di eterogeneità del deposito.

102
Figura 3.34 - Variazione delle prime quattro forme modali col rapporto di eterogeneità VH/V0 per m = 1.

L’influenza dell’eterogeneità del deposito si traduce in una sostanziale modifica dei


modi di oscillazione, tanto più evidente quanto maggiore è la frequenza naturale considerata.
Inoltre che, all’aumentare del grado di eterogeneità VH/V0, si ha una riduzione delle ampiezze
degli spostamenti a parità di profondità e una concentrazione dei massimi in corrispondenza
degli strati più superficiali del deposito.
Le funzioni di amplificazione, non riportate per brevità, mostrano all’aumentare di α
(e quindi del rapporto VH/V0), un aumento della frequenza fondamentale (cioè una
diminuzione del primo periodo, T1) ed un aumento del valore di picco corrispondente.
2. Per valutare come cambia la risposta sismica di un terreno, passando da un
comportamento lineare ad uno non lineare, generalmente si confrontano i parametri
caratteristici dello scuotimento sismico in superficie avvenuti in occasione di diversi eventi
sismici. Tale fine, può essere raggiunto sia mediante analisi numerica, e quindi facendo
variare il terremoto di input nelle modellazioni, sia mediante registrazioni strumentali, e in tal
caso occorre registrare terremoti di moderata e forte intensità.

103
Qualitativamente, l’influenza della non linearità del comportamento del terreno su
alcuni fattori (deformazione di taglio massima  max , modulo di taglio G, rapporto di

smorzamento D e accelerazione di picco u z  max ) in funzione della profondità e

dell’accelerazione massima al bedrock uRIM max , è riportata in fig. 3.35.

Figura 3.35 - Variazione dei fattori del comportamento meccanico con l’accelerazione max sul bedrock.

Utilizzando leggi G(  ) e D(  ) funzione dell’indice di plasticità I P , lo studio della

RSL di un materiale particolarmente deformabile e con un dominio di comportamento lineare


molto esteso ( I P =200%), per valori crescenti dell’energia del moto sismico di riferimento

(fig. 3.36) mostra i seguenti effetti della non linearità (Lanzo e Silvestri, 1999):
● al crescere del livello deformativo raggiunto, si ha un’attenuazione della funzione di
amplificazione inversamente proporzionale al rapporto di smorzamento;
● al crescere dei livelli energetici del moto sismico di riferimento, si ha uno spostamento delle
frequenze naturali del deposito a valori minori e, a livelli deformativi elevati (  >0.01%), si
assiste a fenomeni di attenuazione del moto sismico.

Figura 3.36 - Funzioni di amplificazione per livelli crescenti di deformazione a taglio.

104
3. Nei depositi reali, per via della loro forma caratterizzata da chiusure laterali e quindi
mal assimilabili a schemi monodimensionali, si verificano i così detti effetti di bordo. Gli
effetti di amplificazione ai bordi dei depositi, sono riconducibili a due tipi di fenomeni:
● focalizzazione delle onde sismiche: in aree in prossimità dei bordi delle valle alluvionali si
può verificare l’interferenza costruttiva di onde riflesse ed onde rifratte;
● generazione di onde superficiali: le onde incidenti in corrispondenza dell’interfaccia non
orizzontale tra strato lapideo di base e terreno al bordo della valle, generano onde di
superficie con direzione di propagazione orizzontale (fig. 3.37).

Figura 3.37 - Generazione di onde superficiali dai bordi di un deposito.

Confronti tra modellazioni 1D e 2D (fig. 3.38) hanno evidenziato come si modifica la


RSL trascurando o considerando la bidimensionalità del deposito.
Nel caso di valle superficiale con forma trapezia, il modello 1D fornisce risultati in
buon accordo con quelli ottenuti con modello 2D in corrispondenza del centro della valle
(stazione 8), mentre le differenze diventano sempre più significative allontanandosi dal centro
e procedendo verso i bordi (stazioni 6 e 4). In prossimità del bordo della valle (stazione 2),
ovvero laddove sono pronunciati i fenomeni di interferenza tra onde verticali incidenti e le
onde di superficiali rifratte, la funzione di amplificazione ottenuta con il modello 2D presenta
una risposta a larga banda del deposito mentre per il modello 1D è caratterizzata da un picco
isolato.
Nel caso di valle profonda con forma a catino, i modelli 1D e 2D forniscono risultati
sostanzialmente diversi, in termini di forma e di ampiezza della funzione di amplificazione,
sia al centro che ai bordi della valle. La principale differenza è costituita dall’andamento

105
vibratorio, caratterizzato cioè da più picchi relativi, delle funzioni di amplificazione ottenute
con i modelli 2D. Inoltre, queste ultime, sottostimano i fenomeni di amplificazione rispetto ai
modelli 1D in prossimità del bordo della valle (stazione 2); viceversa, avvicinandosi al centro
della valle (stazioni 4, 6 e 8), il modello 2D sovrastima, rispetto ai modelli 1D, i fenomeni di
amplificazione alle frequenze più alte.

Figura 3.38 - Analisi 1D e 2D delle amplificazioni di una valle superficiale e di una valle profonda.

4. Il fenomeno fisico di amplificazione del moto sismico alla sommità di un rilievo


topografico va attributo (Bard, 1982):
● a fenomeni di focalizzazione delle onde sismiche (fig. 3.39): le onde sismiche con direzione
di propagazione verticale o subverticale, in corrispondenza della superficie libera vengono
rifratte e riflesse, e favorite dalla particolare conformazione topografica, tendono a
concentrare la loro energia in corrispondenza di alcune zone del rilievo piuttosto che in
altre;
● sia all’interazione fra onde sismiche incidenti e onde sismiche rifratte.

106
Figura 3.39 - Focalizzazione delle onde sismiche .

Un modello abbastanza realistico per quantificare l’entità del fenomeno è stato


analizzato da Géli et al. (1988), fig. 3.40. Si osserva che, in corrispondenza della cresta
(punto 1), si ha un chiaro effetto amplificativo per una larga banda di frequenze
adimensionali; in particolare, l’amplificazione raggiunge il massimo (circa pari ad 1.5) per n
= 2 (cioè quando la lunghezza dell’onda incidente ë è pari alla semilarghezza L del rilievo),
mentre ai fianchi e alla base del rilevo la funzione di amplificazione ha andamento piuttosto
irregolare con successive amplificazioni e attenuazioni dovute all’interazione tra onde
incidenti e rifratte. Inoltre è dimostrabile che i fenomeni di amplificazione tra cresta e base del
rilievo aumentino proporzionalmente al fattore di forma H/L.

107
Figura 3.40 - Focalizzazione delle onde sismiche .

3.2.3 Fattore di amplificazione

Ai fini della progettazione strutturale, è utile per rappresentare i fenomeni di


amplificazione, calcolare il fattore di amplificazione, definito dal rapporto tra l’accelerazione
massima in superficie e quella relativa alla roccia affiorante (fig. 3.41):
uFFM max
S (3.41)
uR max

108
Figura 3.41 - Definizione del fattore di amplificazione.

Ingegneristicamente il parametro S è definito come:


S  S S  ST (3.42)
in cui:
SS  1 amplificazione dovuta al tipo di terreno (= 1 per spettro verticale)

ST  1 amplificazione dovuta agli effetti topografici (= 1 per  I  1 ).

Per quanto riguarda il parametro S S , la normativa sismica (EC8, OPCM 3274)

classifica i sottosuoli in base alla rigidezza via via decrescente, a partire dal tipo A, costituito
da roccia affiorante, al tipo E; definisce poi i sottosuoli S1 ed S2, molto deformabili e
suscettibili di rottura sotto azione sismica per i quali si impone di effettuare studi specifici per
la determinazione dell’azione sismica stessa. I primi 5 tipi di sottosuoli (da A ad E) sono
definiti dal valore di alcuni parametri geotecnici, il più significativo dei quali è la velocità
equivalente delle onde di taglio nei primi 30m di sottosuolo, calcolata come (fig. 3.42):
30
VS ,30  (3.43)
 i hi VSi
in cui:
hi spessore (in m) dell’i-esimo strato di sottosuolo

109
VSi velocità delle onde di taglio (in m/s) a piccole deformazioni (   105 ) dell’i-esimo

strato di sottosuolo.

Figura 3.42 - Definizione dei tipi di sottosuolo (EC8, OPCM3274).

A differenza dell’EC8, l’OPCM 3274 definisce il parametro VS30 facendo riferimento ai primi
30m di sottosuolo a partire dal piano di posa delle fondazioni del manufatto (il che appare più
razionale ai fini della valutazione del moto di input alla base della struttura).
Il contributo degli effetti topografici ST è definito sinteticamente dalla normativa in

base alla morfologia del terreno su cui è fondata la struttura (fig. 2.11).
Inoltre la normativa sismica (EC8, OPCM) fornisce velocità e spostamento massimi in
superficie sempre in funzione dei parametri introdotti in precedenza:
uFFM max  0, 025  S  TC  TD  ag (3.44)

110
uFFM max  0,16  S  TC  ag . (3.45)

3.3 LIQUEFAZIONE

Indipendentemente dalla natura e dalle proprietà meccaniche dei terreni, se il


terremoto ha magnitudo e durata superiori a particolari valori di soglia, allora i livelli
deformativi indotti nel terreno possono diventare tali da far nascere significative
sovrappressioni neutre u  0 associate ad un comportamento tenso-deformativo ciclico
degradato (fig. 3.43).

Figura 3.43 - Terreni suscettibili di liquefazione.

111
Tali sovrappressioni abbassano ed al limite annullano le tensioni tangenziali di rottura
(fig. 3.44):
  c '   u  tg (3.46)
in cui:
 tensione tangenziale di rottura
c ' coesione drenata
 tensione normale
u pressione neutra
 ' angolo di attrito.

Figura 3.44 - Fenomeno della liquefazione.

Si può trascurare il pericolo di liquefazione quando S  ag  0.15 g e, al contempo, la

sabbia in esame soddisfi almeno una delle condizioni seguenti:

112
● contenuto in argilla superiore al 20% con indice di plasticità >10;
● contenuto di limo superiore al 35% e resistenza N1(60) > 20;
● frazione fine trascurabile e resistenza N1(60) > 25.
Viceversa, occorre costruire un criterio di liquefacibilità e, a tal fine, è necessario
definire operativamente la liquefazione (fig. 3.45):
 'v 0 u  1 (3.47)
in cui:
 'v 0 tensione normale efficace iniziale
u pressione neutra corrente.

Figura 3.45 - Definizione operativa di liquefazione.

Ciò premesso, un criterio di liquefacibilità semplificato è rappresentato dall’uso di


grafici che rappresentino correlazioni empiriche tra misure in sito e sforzi ciclici di taglio (in
grado di approssimare una storia di carico irregolare) che hanno provocato liquefazione
durante terremoti passati, in cui:
● sull’asse orizzontale di tali grafici è riportata una proprietà del terreno misurata in sito, per
esempio il valore normalizzato della resistenza penetrometrica alla punta ( N SPT o N CPT ) o

la velocità di propagazione delle onde di taglio Vs ;

● sull'asse verticale è riportato lo sforzo di taglio ciclico indotto dal terremoto ( e ),

solitamente normalizzato rispetto alla pressione efficace di confinamento (  'v 0 ).

113
I grafici che esprimono  e  'v 0 in funzione di Vs (fig. 3.46), sono molto promettenti per la

valutazione della suscettibilità a liquefazione di terreni con difficoltà di campionamento


(come sabbie e limi) o di esecuzione di prove penetrometriche (ghiaie). Inoltre, i metodi per la
misura sperimentale di Vs sono progrediti significativamente negli ultimi anni.

Figura 3.46 - Criterio di liquefacibilità basato sulle Vs.

In tutti i grafici in questione è rappresentata una curva limite di resistenza ciclica, che
separa la regione in cui non si verifica liquefazione (a destra) da quella in cui la liquefazione è
possibile (a sinistra e sopra la curva). Viene talora fornita più di una curva, per esempio con
riferimento a terreni con diverso contenuto di fine (%), oppure a diversi valori di magnitudo
M del terremoto. Ad eccezione dei criteri che fanno uso della resistenza penetrometrica
statica (CPT), è preferibile non applicare i metodi empirici di verifica alla liquefazione
quando i terreni potenzialmente liquefacibili si presentino in strati o lenti di spessore non
superiore a poche decine di cm. In presenza di un contenuto rilevante di ghiaia, la
suscettibilità a liquefazione non può essere esclusa; tuttavia in questo caso le osservazioni
sperimentali sono tuttora insufficienti a costruire correlazioni empiriche affidabili.

114

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