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di Paolo Sommella, Manlio Lilli, Giuseppe M. Della Fina, Sergio Rinaldi Tufi,
Josep Guitard i Dunand, Luigi Caliò, Luisa Migliorati, Pierre Leriche
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capoluogo civile e come roccaforte militare dell'intera comunità. È certo che la costruzione
delle grandi cinte murarie che caratterizzano queste zone coinvolgerà precedenti aree
necropolari solo con la fase dell'assimilazione anche politica a Roma, secondo logiche di
sviluppo che verranno poi sanzionate dai tracciati della viabilità romana. È comunque
indubbio che segno specifico della città sono le mura urbane, spesso disegnate secondo
criteri strategici che prevedono perimetri continui con alzati in opera quadrata rinforzati
da aggeri. Nelle città etrusche, in particolare nell'Etruria meridionale, in età arcaica le
strutture urbane sono già definite: anche se in molti siti le difese sono legate alla situazione
naturale, è evidente che un'esigenza di apprestamenti defensionali tecnicamente evoluti
deve essersi manifestata a logica premessa delle poderose mura delle città del IV-III sec.
a.C. L'urbanizzazione segue comunque regole di chiara derivazione dall'esperienza del
mondo greco dell'Italia meridionale. Tra le fondazioni urbane che si impiantano ex novo
con piani regolari, dati precisi derivano da Spina e Marzabotto: quest'ultima si conferma, a
partire dal 500 a.C., come caposaldo di una valle appenninica, fondato su schemi allogeni
ma con adeguamenti funzionali specifici e con testimonianze locali delle tecniche di
pianificazione (pietre, anche con decussis, sepolte agli incroci principali della maglia
ortogonale), che si affiancano a una specificità religiosa sottesa dall'identità tra
l'orientamento urbano e quello dei templi e degli altari dell'acropoli. Le città etrusche, in
specie quelle di nuova fondazione, sono dotate di fortificazioni che, pur nell'assenza di dati
puntuali, si generalizzano nel V secolo e appaiono in alcuni casi di eccezionale imponenza
monumentale. Gli oltre 6 km della cinta di Veio esemplificano integralmente gli analoghi,
ma a volte scarsamente noti, sistemi defensionali di Cerveteri, Tarquinia e Vulci:
organizzate su linee murate spesso integrate da aggere e fossato, le imponenti cerchie
evidenziano esperienze architettoniche e tecnologiche differenziate dall'uso dell'opera
quadrata o dell'apparecchio poligonale (nell'Etruria settentrionale) collegato al materiale
lapideo disponibile nelle cave viciniori al centro abitato. Il collegamento dei maggiori punti
urbani con un sistema viario di raccordo - anche interregionale - anticipa lo sviluppo della
rete viaria romana nell'ambito della politica di completa ristrutturazione che caratterizza la
conquista del III secolo. Il caso di Bolsena ne è esempio emblematico: la città etrusca, già
organizzata ortogonalmente nell'area di Orvieto, viene rifondata in zona diversa, secondo i
canoni tecnico- politici che permeano il fenomeno dell'espansionismo romano irradiatosi
dopo le guerre sannitiche. In stretta analogia si pone lo spostamento di Falerii,
riprogrammata in area pianeggiante, lontano dal sito originario adattato al sistema
collinare di Civita Castellana, secondo il sistema romano della viabilità principale
cruciforme. I contesti mesoitalici vedono contrapposte le realtà insediative sui due versanti
appenninici. Nell'area adriatica le forme aggregative sono costituite già in età arcaica da
ambiti territoriali organizzati in pagi in cui l'assetto politico delle comunità regolerà solo in
seguito (III-II sec. a.C.) la diffusione di specifiche forme architettoniche, tra cui le unità
santuariali di aggregazione etnica: allo stato attuale, le documentazioni non permettono
letture analitiche, se si escludono sistemi difensivi tecnicamente elementari, che, almeno
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nelle scelte strategiche, inducono a ricostruire una fitta rete di punti fortificati in zone
naturalmente arroccate. Diversamente, nella regione laziale tra VII e VI secolo la città
definisce precise realtà formali con valenze anche monumentali. Su aree selezionate in base
ad analoghi criteri geomorfologici, si differenziano gli aspetti funzionali e soprattutto quelli
cultuali: motivo ricorrente è costituito dalle fortificazioni continue, che caratterizzano i
centri laziali di più recente documentazione, con difese ad aggere di terra (Roma,
Lavinium, Ardea, Anzio, ecc.), sia a spina che contraffortate, ulteriormente protette da
fossati. Il quadro insediativo è efficacemente completato da Plinio il Vecchio (Nat. hist., V,
68 ss.) che riporta gli elenchi di comunità scomparse sine vestigiis, uno comprendente 20
città famose, l'altro 30 populi definiti Albenses e ricollegati al rito della spartizione delle
carni sul Monte Cavo. Le liste, che rispecchiano il popolamento del Lazio in una fase
preurbana, evidenziano un preciso riferimento geografico a quella che sarà la situazione dei
centri abitati nel Latium vetus, quando Roma ne assume progressivamente la leadership
politica e culturale. Nell'Urbe gli adeguamenti urbani datati dalla tradizione annalistica e
interpretati dai documenti archeologici appaiono significativi dei settori di intervento che
dovevano essere generalizzabili nelle megapoleis del periodo. Dalla stesura, nella parte
centrale del foro, di un consistente battuto pavimentale alla limitazione dell'area poi
occupata dalla Regia, dalla sistemazione dell'area del Comizio contestualmente alla
costruzione della prima Curia e delle prime case fino alla definizione del sistema idrologico
della valle forense, lo svolgersi del progetto funzionale urbanistico che accompagna
l'architettura "maggiore", quella cultuale, è il segnale della trasformazione progressiva di
Roma in una grande città. Nel versante etrusco dell'Italia meridionale meglio si può
recepire la progressiva diffusione formale e funzionale delle norme e delle tecniche
urbanologiche greche, derivate dai primi impianti coloniali, che vengono ad incidere in aree
già contraddistinte da precoci capacità di organizzazione aggregativa. È quanto ad esempio
risulta dal rispetto delle aree a funzione differenziata nel rapporto città-necropoli a Capua.
Qui sembra che le sepolture più antiche (età del Ferro) siano collocate in una zona
all'esterno dell'area destinata all'abitato sui limiti che questo ebbe in età storica:
sembrerebbe così indiziarsi un insediamento protostorico già definito, anche se organizzato
su nuclei sparsi che solo in seguito verranno coagulati con forme regolari. Tale processo
formativo della città permette di elaborare un modello che forse può leggersi nella
successione topografica desumibile dai dati archeologici di Pontecagnano, nucleo
territoriale del resto associabile a Capua nell'ambito di una scelta areale favorevole agli
scambi e ai contatti sia marittimi che terrestri, oltre che alla intermediazione con le
popolazioni dell'entroterra. In diverso contesto, rispetto al sistema agricolo città-territorio
dell'interno, l'insediamento di Cuma pre-ellenica, situato su una rupe costiera, appare
finalizzato al controllo delle rotte marine obbligate dalle correnti e costituisce una sorta di
cuneo nella fascia litoranea, in sintomatico pendant italico con la presenza greca
dell'emporio di Pithecusa nell'Isola d'Ischia. Nell'assenza di dati del periodo presso il
caposaldo puteolano, spunti cronologici e formali provengono da Napoli, città che ha
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viabilità. Il tipo articolato di pianificazione regolare ricollega il centro pompeiano alla koinè
urbanistica che si diffonde a partire dal tardo Arcaismo e, soprattutto nel V secolo, viene
accettata in ambiente italico con un adeguamento locale delle tecniche urbanologiche
esportate dai centri greci della costa nei diversi contesti della penisola. Il sistema
pompeiano si confronta infatti con altri centri, da quelli tirrenici (Laos), a quelli adriatici
(Larinum), all'interno (Grumentum). Ben datato è il caso di Serra di Vaglio che,
adeguandosi nella forma e nell'organizzazione ai non lontani esempi urbanistici coloniali
(Metaponto), presenta l'eco di un'organizzazione viaria regolare. L'informazione innovativa
‒ e finalmente puntuale ‒ è dunque quella di centri con planimetrie regolari ma modellate
sul terreno, risalenti al momento dell'impianto, soprattutto nei decenni iniziali del III sec.
a.C., poli collegati al passaggio di vie a lunga percorrenza e con caratteristiche comuni
nell'area italica (da Castiglione di Paludi a Pomarico, ecc.). Ovviamente il modello non è
unico. Uno sguardo sulle consistenze insediative dell'hinterland campano non può
prescindere da quei nuclei fortificati che costituiscono un pendant a quanto si conosce lungo
le dorsali appenniniche dell'Abruzzo e del Molise, oltre che nell'area ciociara ai confini del
Lazio meridionale. Si tratta di punti fortificati, a volte di notevole ampiezza topografica, con
cinte per lo più in opera poligonale. Spesso il sistema difensivo è a struttura territoriale e,
identificabile su ampio sviluppo areale, si svolge con una serie di cinte situate a vista in uno
schema che abbraccia passaggi obbligati o valli attrezzate per l'utilizzo comune ai fini del
pascolo e della transumanza (Monti Trebulani, massiccio del Matese, ecc.). Se il caso di
Thurii non sembra isolato nel comprensorio ionico, perché dopo un decennio si assiste a
Taranto ad una analoga applicazione su un'urbanizzazione di grande respiro, è indubbio che
in altri contesti l'esperienza trova ulteriori applicazioni. Il fenomeno è ben noto nel mondo
fenicio-punico insulare, ove Tharros conserva le tracce della rete stradale della fase punica
sotto la città romana, e ancor più Caralis tradisce nell'impianto regolare romano la fase
punica che si sviluppava su direttrici ad incroci ortogonali. Del pari avviene in Sicilia, ove la
terrazzata Solunto presenta, su una dislocazione orograficamente impegnativa, un piano di
chiara derivazione dalla teorizzazione greca. Del tutto diversa è la documentazione
urbanistica che l'ambiente dell'Adriatico meridionale fornisce con i diversi tipi di
insediamento esistenti in Daunia a partire dall'età del Ferro, inquadrabili sia in gruppi di
abitati d'altura compatti e difesi (villaggi del Gargano) sia in strutture sparse dislocate
intorno a luoghi naturalmente forti (Canosa). Archeologicamente noti sono anche gli
insediamenti sparsi, sul modello di Banzi e di Lavello: disposti ad occupare in modo non
continuo ampie porzioni di territorio (recentissimo il riconoscimento della Venusia
preromana), si presentano facilmente accessibili e senza cinte di difesa, in alcuni casi
almeno fino al IV sec. a.C. (Herdoniae). Complessi infine i sistemi di pianura ove all'interno
di enormi recinti fortificati si distendono insediamenti che possono definirsi di tipo
disaggregato (le difese di Arpi sviluppano 13 km), caposaldi di sistemi territoriali paganico-
vicani. La notazione introduttiva riguardante il fenomeno della "romanizzazione" deve
premettere che un modello "ippodameo", nell'ambito dell'urbanologia romana, può leggersi
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solo per quei centri in cui la ristrutturazione amministrativa, conseguenza dello statuto
imposto da Roma, venga ad incidere su un assetto effettivamente greco di precedente
fondazione. Le città rifondate derivano pertanto da forme planimetriche che possono
risalire alle città regolari del VI e V secolo: un preciso riscontro è dato dall'esemplificazione
di Paestum che presenta infatti il fenomeno dell'inserimento politico-amministrativo
coloniale romano in un'area urbanizzata fin dall'età arcaica. Riguardo alla forma urbana
delle città fondate da Roma, in generale si possono organizzare due distinte categorie di
impianti: da un lato le colonie di cittadini (coloniae optimo iure) che, solitamente
posizionate lungo le coste della penisola, assumono anche il nome di coloniae maritimae.
Dall'altro le colonie latine, contraddistinte dallo ius Latii che ne delimita alcuni aspetti
politico-amministrativi. Queste ultime, sotto il punto di vista planimetrico, risentivano
fortemente della scelta dell'insediamento in contesti oroidrografici condizionanti essendo
spesso posizionate lungo direttrici viarie dell'interno peninsulare. Ne consegue che, a fronte
della regolarità dello schema della viabilità intramuranea, il perimetro delle fortificazioni si
adegua all'irregolarità dei contesti geografici. Al contrario le colonie marittime sono
caratterizzate da forme regolari sia nella viabilità, che divide lo spazio cittadino su modello
ortogonale, sia nel percorso delle fortificazioni, che non sono condizionate da fattori esterni
a causa dell'andamento pianeggiante delle località costiere prescelte. Esse risultano, almeno
in origine, di piccola dimensione essendo legate ad una deduzione ridotta di abitanti,
diversamente dalle colonie latine che hanno una funzione di ripopolamento e di
sfruttamento agricolo oltre che di controllo militare areale. Ulteriori diversificazioni
derivavano dagli stessi statuti politico-amministrativi che comportavano la presenza o
meno di particolari tipologie edilizie. Con il passare del tempo le diversità formali delle città
romane fondate ex novo tendono comunque ad azzerarsi e si assiste con il II sec. a.C. a una
sostanziale omogeneizzazione delle planimetrie cittadine indipendentemente dagli assetti
amministrativi. Da tale data inoltre le colonie latine risultano piuttosto legate al riassetto di
precedenti insediamenti che a nuove deduzioni. Tra le colonie latine del tipo canonico si
ricordano gli esempi di Cosa, lungo la via Aurelia (273 a.C.) e, di poco anteriori, Alba Fucens
non lontano dal lago Fucino e Atri nel Piceno con il suo pendant di Venosa in Lucania, tutte
fondate nel decennio tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C. Se ne può dedurre che
caratteristica in questi centri è la posizione lungo un pendio collinare o sulla cima di basse
alture che contribuiscono alla difesa e giustificano la disposizione della città su terrazze.
Accanto a questo tipo di città leggiamo in Ostia lo standard della colonia romana, con forma
geometrica e impianto stradale cruciforme che converge nel punto centrale della città,
secondo uno schema, a volte chiamato "castrense": giustamente si è però distinto tale
modello da quello degli accampamenti, di cui ben si conosce la forma. In effetti altri tipi di
impianti urbani hanno piuttosto titolo per essere accostati formalmente ai castra in quanto
spesso si tratta della ricostruzione stabile ("pietrificazione") di originarie forme precarie di
insediamenti militari. È il caso delle augustee Aosta e Torino, alle quali pienamente si
adatta l'osservazione polibiana (VI, 31, 10) sull'accampamento "simile ad una città",
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chiarificatrice del rapporto cronologico e formale che intercorre fra impianti militari ed
urbani regolari. Nel II secolo, dunque, dopo che il processo di urbanizzazione si è
generalizzato in tutta l'Italia romana, si origina una casistica di centri che non più arroccati
sulle posizioni meglio difendibili, ma lontane dalle vie commerciali, hanno come
caratteristica quella di gravitare sui più importanti assi stradali delle penisola. Lungo tali
direttrici si organizzano centri a valenza di caposaldo territoriale (ad es., le città della via
Emilia), ma anche quelli che sviluppano funzioni più specifiche, come i centri di mercato e
gli stessi porti. A Luni la colonia romana ha forma tradizionale, con il canonico rettangolo
che presenta lo schema regolare orientato sulla viabilità originante Aemilia Scauri, ma si
adegua su un lato all'andamento dell'antica linea di costa. Questo ne sottolinea fin dall'inizio
la vocazione portuale, anche se l'incremento dello scalo è legato allo sfruttamento delle cave
di marmo, proprietà della colonia passate nella prima età augustea nel possesso imperiale.
In alcune aree gli insediamenti conservano a lungo il plafond architettonico del momento
della fondazione, anche se già con l'età successiva alla vittoria su Annibale l'Italia si
monumentalizza grazie alla progressiva acquisizione di un patrimonio edilizio di grande
varietà, che vede anche l'assimilazione di modelli diffusi nel mondo ellenistico (basiliche,
grandi portici, ecc.). Tali innovazioni nell'apparato interno delle città sono agevolate dalle
rivoluzioni tecnologiche che si succedono in campo edilizio nel II sec. a.C. e permettono,
attraverso l'uso generalizzato del conglomerato cementizio, costruzioni su più piani che
ridisegnano gli scenari cittadini tradizionali, come i grandi complessi che strutturano i
pendii collinari con costruzioni a vari livelli. Dal punto di vista urbanistico, se gli schemi
restano quelli dei primi impianti, l'organizzazione degli spazi si modifica in funzione
architettonica, grazie all'inserimento intramuraneo di grandi superfici edificate, secondo un
fenomeno ben individuato dagli anfiteatri nei centri della Campania. L'adeguamento si
moltiplica con l'acquisizione diversificata di tipologie architettoniche che vanno da quelle
funzionali (assoluta novità gli acquedotti che rivoluzionano il tradizionale
approvvigionamento idrico), a quelle per il tempo libero (i teatri si affiancano agli anfiteatri,
ma con utenza differenziata) e a quelle in costante sviluppo tecnologico (le terme, nate in
zone d'acque calde, giungono nel I secolo al sistema di riscaldamento artificiale). È da
rilevare che l'innovazione urbanistica che nell'arco di un cinquantennio collega tutte le città
dell'Italia preaugustea è riferibile al fenomeno innescato dalla Guerra Sociale, che nelle
fonti sarà più volte ricordato come un momento tragico per le sorti di Roma stessa. Gli
episodi del 90/89 a.C. sono ormai letti come originati non certo da una ricerca di
autonomia, quanto dall'esasperazione delle tendenze all'equiparazione politica e in
definitiva dalla volontà del completo inserimento nelle strutture gestionali attraverso
l'acquisizione della cittadinanza. Ne è logica conseguenza che il fenomeno bellico origina il
momento della ristrutturazione, che vede diffondersi un modello urbano su tutta la
penisola, con la generalizzazione di tipologie edilizie anche d'immagine (porte urbiche) che
evidenziano una progressiva assimilazione dei valori dell'urbanitas da parte delle
aristocrazie cittadine. I ceti emergenti dedicano il loro impegno all'adeguamento
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architettonico delle città, che sempre più si rifanno a modelli standardizzati e con schemi
urbani codificati uniformemente. I decenni immediatamente successivi alla lex Pompeia,
che nell'89 a.C. concede lo ius Latii alla Gallia transpadana e soprattutto la piena
cittadinanza ai magistrati locali, lasciano tracce in tutti quei grandi centri dell'Italia
settentrionale che ancora oggi presentano nella conservatività del piano stradale
ortogonale la programmazione antica e a volte la stessa zonizzazione (ad es., nelle aree
pubbliche con la corrispondenza tra il foro antico, la piazza della cattedrale e il comune).
L'organizzazione razionale degli spazi preparati per l'impostazione del programma edilizio,
l'utilizzo del modulo ottimale dei due actus quadrati (70 × 70 m) nella scacchiera del piano
poi scandita dai percorsi stradali differenziati per importanza, la definitiva acquisizione
delle reti infrastrutturali, la diffusione dell'edilizia anche funzionale ed in particolare la
monumentalizzazione degli impianti politico-amministrativi nell'area forense proiettano
questi centri in un'ottica di modernità urbana che li differenzia nettamente rispetto alla
tradizione dei precedenti insediamenti a nord e a sud della fascia padana. È un fenomeno
che comunque non conosce più distinzioni di carattere areale e che si diffonde su tutta la
penisola, coinvolgendo nuove e vecchie comunità con una normativa che, pur emanata dal
potere centrale in un ambito di consensus politico, si adegua all'effettivo differenziarsi delle
esigenze della gestione locale rispettandone le specifiche anche etniche.
Bibliografia
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minima parte, e soprattutto da Marzabotto, la cui analisi può quindi risultare di qualche
utilità. La città, fondata in un luogo strategico per le comunicazioni tra Etruria e Pianura
Padana, in prossimità di un guado del fiume Reno, presenta una suddivisione funzionale
degli spazi legata alle caratteristiche morfologiche del sito: infatti mentre una piccola altura
a nord-est fu occupata dall'acropoli, sede dei santuari collettivi, ed in primis
dell'auguraculum, l'abitato venne impiantato nell'area pianeggiante posta a sud-est
dell'acropoli. Questo settore, che occupa circa 25 ha ed è difeso da un aggere, si presenta
organizzato in maniera regolare. Secondo la ricostruzione proposta dagli scavatori sembra
che esso sia stato realizzato secondo un reticolo di strade ortogonali, partendo da un asse
generatore principale nord-sud largo 15 m. Come per altre situazioni è innegabile che un
grande peso nelle trasformazioni urbane lo abbiano giocato le vicende socio- politiche, che
influendo ora positivamente ora negativamente su determinati ambiti geografici crearono
le premesse per fasi di stallo o di sviluppo, come ad esempio è documentato da un lato, per
il V sec. a.C., nell'area etrusco-latina e dall'altro, per il VII e VI sec. a.C., in numerose zone,
dalla Puglia alla Lucania, dalla Sabina Tiberina all'Umbria al Piceno. Il caso della Lucania
appare paradigmatico della esistenza di diversi tipi di insediamenti agli inizi del IV sec. a.C.
Centri di altura, fortificati con circuiti poderosi, riconducibili al modello arcaico degli oppida,
appaiono documentati sia nelle zone più interne che in quelle paracostiere. Tuttavia,
mentre nelle zone più interne questi abitati continuano a conservare le stesse
caratteristiche anche con il IV sec. a.C., nelle altre zone è possibile osservare come l'abitato
inizi ad estendersi al di fuori della primitiva cerchia muraria, interessando gli altipiani
sottostanti. Al primo gruppo sembrano riferibili ad esempio gli abitati di Montecoppolo,
Cersosimo, Satriano, Serra di Vaglio, caratterizzati da scarsi segni di organizzazione urbana
interna. Contemporaneamente, sono noti casi come quello di Roccagloriosa, nei quali viene
superato il modello degli oppida indirizzandosi verso forme urbane più vicine a quelle
proprie della città. Rimanendo all'esempio di Roccagloriosa, è noto come l'iniziale
insediamento sul versante montano più elevato, munito di un poderoso sistema di
fortificazioni alla fine del V sec. a.C., sia interessato da significativi cambiamenti a partire
dalla seconda metà del IV sec. a.C.: il segno più evidente di questo processo evolutivo,
interrotto dalla conquista romana del secondo e terzo decennio del III sec. a.C., vede
l'abitato occupare zone al di fuori delle mura disponendosi in maniera regolare. Indicazioni
più chiare sono comunque offerte dall'impianto lucano di Laos, posto anch'esso sulla fascia
tirrenica. La città presenta un impianto viario regolare il cui fulcro è costituito da una
plateia centrale larga 12 m, intersecata a distanze regolari da stenopoi di larghezza
compresa tra 4,7 e 4,8 m, cosicché ne risultano isolati di 96 m. Caratteristiche non troppo
dissimili sembra avere l'impianto lucano di Grumentum. In parte diverso il caso di
Paestum dove l'occupazione lucana, trovandosi in presenza di un impianto già ben
strutturato in età greca, sembra aver preferito la soluzione meno impegnativa,
riutilizzando monumenti ed aree e apportando solo piccolissime modifiche come nel caso,
ad esempio, dell'ekklesiasterion, nel quale un altare con dedica in lucano prese il posto di
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quello di Zeus. Anche in area apula è possibile ritenere che il progresso urbano sia stato
interrotto proprio dalla romanizzazione. A Monte Sannace, ad esempio, tra IV e III sec.
a.C. è documentata dalla realizzazione di mura, di ampi spazi pubblici e stoài, abitazioni di
impianto ellenistico, una monumentalizzazione che investe l'intero abitato. In Italia centro-
settentrionale una straordinaria importanza è rivestita dalle aree picena, umbra e
sannitica. Le conoscenze sui centri piceni ed umbri risultano ancora frammentarie e
comunque i resti più frequenti sono relativi a cinte murarie e più di rado a tracciati viari.
Seppur con la cautela che la conoscenza ancora imperfetta di molti abitati impone, è
possibile ipotizzare che lo sviluppo urbano abbia riprodotto senza mutamenti
un'occupazione protostorica e arcaica per oppida. Un aspetto significativo è costituito
spesso dalla concentrazione di abitati, come ad esempio nella valle tra Assisi e Spoleto,
dove in età romana sono noti oltre alla colonia latina di Spoleto, ben sei municipi (Asisium,
Hispellum, Urvinum Hortense, Fulginae, Mevania, Trebiae). Più raramente tuttavia è
possibile che già a partire da età arcaica, come sembrerebbe indicare il caso di Gubbio, di
cui sono noti i confini attraverso il testo delle Tavole Iguvine, uno degli insediamenti ne
abbia assorbito altri minori. Per quanto riguarda più specificatamente l'area picena, la
conoscenza ancora superficiale di molti centri romani, per i quali vi sono indizi per supporre
la presenza di un abitato precedente, ci priva senz'altro di numerose informazioni sulla
urbanizzazione della regione prima della romanizzazione. Degli abitati, spesso testimoniati
dal rinvenimento di materiale ceramico, nella maggior parte dei casi rimangono scarsi resti
di strutture, come nel caso di Osimo (ceramica d'impasto buccheroide e frammenti di
vasellame attico sia a figure nere che rosse) e di Senigallia. Informazioni sono variamente
note ad esempio per Pesaro (area tra via Mazza e via delle Galligarie) e Matelica (area del
teatro comunale), dove sono state individuate abitazioni con pareti costruite in blocchi (in
basso) e a graticcio (in alto) e con copertura in coppi e tegole, a Camerino (area di Piazza
Garibaldi) e ad Ancona (colle dei Cappuccini). Profonde differenze esistono, rispetto ai
territori piceni e umbri, in quelli sanniti, corrispondenti approssimativamente all'area
occupata attualmente dall'Abruzzo, dal Molise e dalla parte montana della Campania, dove
il modello urbano non sembra affermarsi anteriormente alla municipalizzazione. Il modello
diffuso in prevalenza è quello cosiddetto "paganico-vicanico", organizzato per centri
preferibilmente di altura nei quali la struttura di maggior significato sembra essere
costituita da mura perlopiù in opera poligonale. Basti pensare tra gli altri ai casi di
Frosolone oppure di Fonte del Romito (Isernia). Qui recenti indagini hanno rivelato un
insediamento con funzione di presidio come indica l'esistenza di un recinto in opera
poligonale il quale racchiude una superficie di 227.000 m², che sembra possibile far risalire
all'epoca delle guerre sannitiche, tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C. All'interno delle
mura, provviste di un unico punto di accesso, mancano strutture che facciano pensare a
forme di insediamento stabile. Un importante ausilio per la comprensione
dell'organizzazione abitativa di queste aree viene dai testi epigrafici (ad es., la legge iscritta
su tavola bronzea da Rapino), i quali ricordano l'esistenza di entità abitative note secondo
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Cultura e vita sociale dell'Italia romana, Milano 1991, pp. 417-735; M. Castoldi et al., Popoli
Italici e culture regionali, Cinisello Balsamo 1997; P. Sommella, s.v. Urbanistica, in EAA, II
Suppl.1971-1994, V, 1997, pp. 899-904.
IL FENOMENO URBANO NEL MONDO ETRUSCO-ITALICO
di Giuseppe M. Della Fina
Il tema della formazione della città nell'Italia preromana e, segnatamente, in Etruria è
stato oggetto negli ultimi decenni di un accesso dibattito incrementato in anni recenti dai
dati scaturiti dai risultati dei primi scavi, realizzati su larga scala, nelle grandi aree urbane.
Solo agli inizi degli anni Ottanta del Novecento sono iniziate infatti ricerche a Tarquinia,
coordinate da M. Bonghi Jovino, e a Cerveteri, dirette da M. Cristofani, e, ancora più di
recente, a Veio. Intorno alla metà del XX secolo, ma già nei decenni finali dell'Ottocento,
non mancarono indagini pioneristiche in aree urbane, ma quasi sempre si arrestarono agli
strati di epoca romana o interessarono edifici sacri in cui era frequente, alla stessa maniera
che nelle tombe, rinvenire reperti di notevole livello artistico. Con una eccezione,
particolarmente significativa, quella di Marzabotto, che resta tuttora l'abitato etrusco che
conosciamo meglio. Qui scavi regolari iniziarono nel 1862 per iniziativa di P. Aria e di G.
Gozzadini; interrotti, furono ripresi nel 1888 da E. Brizio. Dopo una nuova interruzione, le
indagini archeologiche ripartirono regolarmente nel 1950 e, dopo una sosta ulteriore, nel
1988 su impulso di G. Sassatelli. A cavallo fra l'esperienza avviata nell'Ottocento e quelle
recenti si collocano le ricerche effettuate nell'area urbana di Roselle, promosse nel 1942
dall'Istituto Nazionale di Studi Etruschi e Italici e subito interrotte per essere riprese a
partire dal 1959 (nel 1957 l'Istituto Archeologico Germanico aveva, nel frattempo, iniziato
ad interessarsi delle mura), e nel sito di Acquarossa, presso Viterbo, riportato alla luce a
partire dal 1966 dagli scavi dell'Istituto Svedese di Studi Classici. All'insieme di queste
risultanze vanno aggiunti i dati scaturiti da indagini topografiche effettuate con metodi
particolarmente accurati. Alle pionieristiche ricerche di G.F. Gamurrini, A. Cozza, A. Pasqui
e R. Mengarelli, primi estensori della Carta Archeologica d'Italia (ma vanno ricordati
almeno G. Dennis, con il suo The Cities and Cemeteries of Etruria, e L. Canina per L'antica
Etruria marittima), si sono affiancate le ricognizioni promosse negli anni Cinquanta da J.B.
Ward Perkins in un'area molto estesa corrispondente ai centri e ai territori di Veio,
Capena, Anguillara e Campagnano. Per citare altri esempi, vanno menzionate le indagini
promosse nell'ambito del progetto Forma Italiae, legato alle attività dell'Istituto di
Topografia dell'Università di Roma "La Sapienza", o quelle effettuate nella valle
dell'Albegna e nell'Ager Cosanus o nel territorio di Tuscania. La mole dei nuovi dati a
disposizione non deve offuscare le indicazioni scaturite dagli scavi effettuati in necropoli,
che costituiscono a tutt'oggi la stragrande maggioranza delle informazioni a nostra
disposizione, o dall'analisi della tradizione letteraria greca e latina attenta al tema della
città. Un ampio dibattito si è sviluppato intorno al concetto stesso di città e come per il
mondo antico essa possa caratterizzarsi e riconoscersi: in cosa differisce, nel concreto,
nell'Italia preromana, un centro protourbano da una città? Una domanda che si lega
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strettamente alla determinazione del momento stesso della nascita della città nella penisola
italiana e, conseguentemente, al ruolo svolto in merito dalla colonizzazione greca. Un'altra
questione centrale è la valutazione dei processi formativi: sinecistici o nucleari? Ovvero la
città è sorta dal progressivo sinecismo di più villaggi presenti magari sullo stesso pianoro, o
da un "atto rivoluzionario" rispetto a un precedente modo di occupare il territorio? E, in tal
caso, da quali fenomeni è stato determinato e a quali si è accompagnato? Anche
quest'ultimo non è un interrogativo di poco momento considerando che per alcuni ‒
segnatamente R. Peroni e la sua scuola ‒ la nascita della città in Italia sarebbe stata
contemporanea e intrecciata, in più modi, con l'affermazione della proprietà privata della
terra. Un altro aspetto da valutare è il rapporto intercorso, una volta affermata la scelta
urbana, tra la città e il territorio: si è parlato, ad esempio, di città aperta, ovvero di un
rapporto di scambio continuo con la campagna circostante. Dalla discussione non è restata
fuori la constatazione che non tutti i popoli dell'Italia preromana fecero una scelta a favore
della città e che per quelli che la compirono divenne in seguito quasi un carattere distintivo
rispetto ad altri ethne e ad altre culture: non si deve dimenticare infatti che ampie zone
della penisola conobbero il fenomeno urbano solo a seguito della romanizzazione. Un livello
ulteriore del dibattito ha mostrato che all'interno dello stesso popolo non tutte le diverse
fasce sociali fecero la scelta urbana con la stessa convinzione. Stando al caso etrusco ‒
certamente il più analizzato ‒ si è visto che l'aristocrazia, legata strettamente alla proprietà
della terra, condivise la scelta a favore della città (altrimenti non sarebbe stata possibile),
ma conservò un certo distacco da essa, mentre il demos, il ceto "imprenditoriale"
intermedio a vocazione artigianale e commerciale, la sostenne con una convinzione
maggiore. Una testimonianza di ciò si è voluta vedere, ad esempio, nella rinascita, durante
il IV sec. a.C., di insediamenti piccoli e medi nel territorio delle maggiori città-stato quasi a
costituire una possibile alternativa ideale ad esse, dopo la nota crisi del V sec. a.C. che
aveva colpito soprattutto il demos e che lo aveva costretto a ridimensionare il proprio
potere d'indirizzo politico. Un'altra testimonianza della "freddezza" dell'aristocrazia nei
confronti della città si è voluta vedere nel sorgere, sempre durante il IV sec. a.C., di
necropoli gentilizie distinte da quelle regolate dalle autorità cittadine: è il caso a Velzna
(Orvieto) delle necropoli di Settecamini e di Castel Rubello, che accolgono le tombe dipinte
Golini I, Golini II ed Hescanas, rispetto a quelle di Crocifisso del Tufo e di Cannicella. In
questa ottica (e quasi come primo, provvisorio bilancio delle ricerche in corso) va segnalata
la vistosa diversità, il dislivello tra l'impegno profuso nelle tombe e, in misura minore, nei
santuari e quello riservato alle abitazioni e alle città nel loro insieme; ciò ha, come ha
suggerito G. Colonna (1988), "la sua radice ultima nella strutturazione della società e può
essere ricondotto, in termini generali, al maggior peso da un lato del privato rispetto al
pubblico, dall'altro del sacro rispetto al profano". Sui processi di formazione della città il
dibattito scientifico in atto ha raggiunto risultati di particolare significato. Gli scavi, ma, in
questo caso, soprattutto le ricognizioni topografiche avevano segnalato, già da qualche
decennio, l'abbandono, tra la fine del II e gli inizi del I millennio a.C., nell'Etruria
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protostorico, ma qui attestata ancora nei decenni finali dell'Orientalizzante e in età arcaica.
Le dimensioni sono quelle di un insediamento di tipo urbano, ma senza le infrastrutture e i
servizi che lo renderebbero tale: lo stesso spazio del sacro sembra confinato
eccezionalmente nella sola sfera del privato e finora nessuna traccia di templi è stata
rinvenuta. L'evidente anomalia è stata spiegata in maniera convincente dagli scavatori col
carattere manifatturiero del centro controllato da alcune gentes della vicina Vetulonia. La
fondazione di una città era legata nell'Italia preromana e segnatamente nel mondo etrusco
e latino ad un preciso rituale. Festo (p. 358 Lindsay) afferma esplicitamente che: "nei libri
etruschi dei riti sta scritto secondo quale rito sono fondate le città, consacrati gli altari e i
templi, con quale inviolabilità i muri e secondo quale regime giuridico (sono determinate) le
porte". La fondazione di una città viene a rappresentare quindi un atto essenzialmente
religioso, impressione che è rafforzata dal fatto che la scelta del sito era preceduta dalla
presa degli auspici, come suggerisce bene il racconto della fondazione della stessa Roma. Il
consenso degli dei consentiva all'augure di delimitare una porzione di territorio che
diveniva effatus e liberatus, ovvero definito con precisione e liberato dalle presenze
soprannaturali che potevano ostacolare lo sviluppo dell'insediamento umano. Il rapporto
con le divinità, da quel momento, sarebbe avvenuto in luoghi specifici, i templi ‒ il cui
spazio sarebbe stato effatus, liberatus, ma anche consecratus ‒, e secondo rituali ben
precisi (Briquel 2000). Ottenuti gli auspici, le azioni successive sono ben descritte da
Catone nelle Origines: "i fondatori di una città aggiogavano un toro a destra e una vacca
nella parte interna. Cinti alla maniera di Gabi, e cioè con il capo coperto da un lembo della
toga rimboccata, essi reggevano il manico dell'aratro piegato in modo da far ricadere le
zolle all'interno. E nel tracciare il solco in questa maniera, determinavano il luogo delle
porte sollevando l'aratro". Ma quando i Romani di età repubblicana e imperiale compivano
queste azioni erano ben consapevoli di ripetere un rituale ben più antico e, con buone
probabilità, sorto in ambito etrusco, come sembrano suggerire i pochi dati dell'"etrusca
disciplina", giunti fino a noi e la constatazione dell'origine etrusca di un termine quale
mundus e la trasmissione al latino, attraverso l'etrusco, del termine groma pur di origine
greca.
Bibliografia
R. Bloch, Urbanisme et religion chez les Étrusques: explication d'un passage fameux de
Servius, in Studi sulla città antica. Atti del Convegno di Studi sulla città etrusca e italica
preromana (Bologna, 1966), Bologna 1970, pp. 14- 17; J. Le Gall, Rites de fondation, ibid.,
pp. 59-65; E. Sereni, Città e campagna nell'Italia preromana, ibid., pp. 109-28; J.B. Ward
Perkins, Città e pagus. Considerazioni sull'organizzazione primitiva della città nell'Italia
centrale, ibid., pp. 293-97; G. Colonna, Urbanistica e architettura, in G. Pugliese Carratelli
(ed.), Rasenna. Storia e civiltà degli Etruschi, Milano 1986, pp. 371-530; F. Di Gennaro,
Forme di insediamento tra Tevere e Fiora tra l'età del Bronzo e l'età del Ferro, Firenze
1986; G. Colonna, I Latini e altri popoli del Lazio, in G. Pugliese Carratelli (ed.), Italia
omnium terrarum alumna, Milano 1988, pp. 411-528; R. Peroni, Comunità e insediamento
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in Italia fra età del Bronzo e prima età del Ferro, in A. Momigliano - A. Schiavone (edd.),
Storia di Roma, I. Roma in Italia, Torino 1988, pp. 199-236; A. Guidi, Alcune osservazioni
sull'origine delle città etrusche, in Atti del II Congresso Internazionale Etrusco (Firenze, 26
maggio - 2 giugno 1985), I, Roma 1989, pp. 285-92; M. Pacciarelli, Ricerche topografiche a
Vulci: dati e problemi relativi all'origine delle città medio-tirreniche, in StEtr, 56 (1989-
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del processo di urbanizzazione, in ScAnt, 5 (1991), pp. 163-208; M. Cristofani (ed.), Caere.
Lo scarico arcaico della Vigna Parrocchiale, I-II, Roma 1992-93; A. Guidi, Le età dei
metalli in Italia centrale e in Sardegna, in A. Guidi - M. Piperno (edd.), Italia preistorica,
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preromana, Milano 1993; M. Rendeli, Città aperte. Ambiente e paesaggio rurale
organizzato nell'Etruria meridionale costiera durante l'età orientalizzante e arcaica, Roma
1993; M. Pacciarelli, Sviluppi verso l'urbanizzazione nell'Italia tirrenica protostorica, in La
presenza etrusca nella Campania meridionale. Atti delle giornate di studio (Salerno -
Pontecagnano, 16-18 novembre 1990), Firenze 1994, pp. 227-53; R.C. De Marinis,
Comprensori protourbani e articolazione sociale nella cultura di Golasecca, in A.M. Bietti
Sestieri - V. Kruta (edd.), XIII International Congress of Prehistoric and Protohistoric
Sciences (Forlì, 8-14 September 1996), Section 12. Colloquium XXIII, Forlì 1996, pp. 23-
34; R. Peroni, L'Italia alle soglie della storia, Roma - Bari 1996, pp. 409-585; M. Bonghi
Jovino - C. Chiaramonte Trerè, Tarquinia. Testimonianze archeologiche e ricostruzione
storica. Scavi sistematici nell'abitato (campagne 1982-1988), Roma 1997; A. Carandini, La
nascita di Roma. Dei, Lari, eroi e uomini all'alba di una civiltà, Torino 1997, pp. 457-87; A.
Mandolesi, La "prima" Tarquinia. L'insediamento protostorico sulla Civita e nel territorio
circostante, Firenze 1999; D. Briquel, La leggenda di Romolo e il rituale di fondazione delle
città, in A. Carandini - R. Cappelli, Roma. Romolo, Remo e la fondazione della città
(Catalogo della mostra), Milano 2000, pp. 39-44. A. Guidi, Preistoria della complessità
sociale, Roma - Bari 2000, pp. 194-241.
LA CITTÀ ROMANA IMPERIALE NELL'EUROPA CENTRO-SETTENTRIONALE
di Sergio Rinaldi Tufi
Alla metà del II sec. d.C., nel celebre Elogio a Roma, Elio Aristide descriveva l'Impero come
una sorta di federazione di città-stato: al di là delle ovvie suggestioni encomiastiche, il
quadro tratteggiato dal retore di cultura greca non era troppo lontano dalla realtà. Con l'età
antonina si raggiunse infatti l'apice dello sviluppo del modello urbano su tutto il territorio
dell'Impero. Realtà complesse e a volte molto diverse finirono con l'essere incanalate entro
modelli istituzionali e urbani tutto sommato omogenei. La politica intrapresa fu assai
equilibrata e rispettosa nelle aree di antica tradizione urbana, come Grecia e province
orientali, mentre più incisiva e intensa fu l'opera dove le strutture urbane erano meno
radicate. Nell'area europea centro-settentrionale il fenomeno dell'urbanizzazione si
identifica essenzialmente con il momento della romanizzazione. È un'area in massima parte
caratterizzata, in età preromana, dalla civiltà celtica; e sappiamo che un aspetto
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importante di tale civiltà era il modo di abitare prevalentemente sparso nel territorio: le
varie civitates (popolazioni) avevano però come punti di riferimento santuari e/o luoghi
fortificati dove all'occorrenza convergere. La vita urbana è quindi una novità introdotta da
Roma: a partire da Cesare e soprattutto da Augusto, il fenomeno della costruzione di città
assume dimensioni impressionanti, tanto più se si pensa che a tale fenomeno si
accompagnano, in misura ugualmente rilevante, ulteriori forme di organizzazione del
territorio, come la creazione di reti viarie su ampia scala e la suddivisione e l'assegnazione
(centuriatio) dei terreni coltivabili.
LE GALLIE
Un primo fertile terreno di intervento è costituito dalla Gallia Narbonese, sottomessa
soprattutto grazie alle campagne condotte tra il 125 e il 121 a.C. contro Salluvii, Allobrogi,
Arverni: venne subito tracciata la via Domizia, che metteva in comunicazione l'Italia con le
province iberiche, e vennero fondate Aquae Sextiae Salluviorum (Aix-en-Provence) e la
futura capitale Narbo Martius (Narbonne). Anche se la costituzione della provincia non fu
immediata, si avviò un intensissimo processo di romanizzazione. In questa regione la
cultura classica esercitava da tempo influssi più avvertibili che altrove, grazie alla presenza
dell'antica colonia greca di Marsiglia. L'antica capitale dei Salluvii, Entremont, era una città
gallo-greca; Glanum (Saint- Rémy) si era sviluppata all'uscita di una gola nella catena delle
Alpilles, con un'area sacra, un'area residenziale di ricche dimore e, al centro, un'area
amministrativa e monumentale, in cui spicca un foro-agorà di pianta trapezoidale. Qui i
Romani si trovarono non a costruire insediamenti ex novo, ma a intervenire con modifiche
e restauri in città già strutturate. A Glanum, ad esempio, gli interventi furono
sostanzialmente di tre tipi: riutilizzazione, con alcune modifiche, delle dimore dell'area
residenziale; valorizzazione, anche con l'aggiunta di nuovi altari e templi, dell'area sacra;
totale rifacimento (con obliterazione degli edifici precedenti) dell'area centrale, attuato in
età augustea. Il nuovo foro ha una struttura alquanto originale, in quanto, provvisto di
basilica e (più tardi) di curia, si affaccia su una piazza che ospita monumenti celebrativi e
onorari. Su questa piazza si affacciano anche da un lato il teatro, dall'altro una coppia di
templi tetrastili dedicati a Gaio e Lucio Cesare, con l'asse perpendicolare a quello del foro.
Nell'insieme, il disegno di questo centro monumentale presenta un aspetto piuttosto
originale e ci dimostra fin d'ora quanto possa essere ampia la varietà delle soluzioni
adottate nel coordinare la disposizione di foro, curia, basilica, tempio o templi, teatro.
Altrove abbiamo preziose indicazioni non solo sull'organizzazione delle spazio cittadino, ma
anche sull'assetto del territorio; è il caso della colonia cesariana, e poi augustea, di Arausio
(Orange), che ha restituito una pianta marmorea dell'età di Vespasiano, dove è riprodotta
con esattezza la mappa delle campagne circostanti, divise in appezzamenti coltivabili
(Catasto di Orange). La Colonia Paterna Arelate (Arles) ebbe anch'essa il suo sviluppo
decisivo con Augusto, non lontano dalla grande palude della Camargue, sul sito di un antico
centro celto-ligure sul Rodano. Le autorità romane concepirono questa città quasi come
modello di urbanizzazione in territorio provinciale, con i punti focali nel grande foro (dotato
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sulla sommità della collina detta oggi di Fourvière sorge l'area monumentale centrale: foro,
con tempio e criptoportico, edifici per spettacolo (teatro e odeon), templi; su un'isola posta
in corrispondenza della confluenza fra Rodano e Saône, Condate, era un quartiere
artigiano; sulla lingua di terra triangolare costituita dalla confluenza stessa, Druso
Maggiore aveva fondato nel 12 a.C. il grande altare dedicato a Roma e Augusto, presso il
quale si svolgeva ogni anno un'assemblea religiosa e politica detta concilium. Si trattava del
punto di riferimento per tutte le popolazioni delle Tres Galliae: accanto all'altare (noto
attraverso riproduzioni su monete) sorse un anfiteatro (in buona parte conservato), che
certamente era la sede dell'assemblea, al quale si aggiunse un circo-ippodromo, dove
presumibilmente avevano luogo i ludi celebrativi. Alesia, oppidum protagonista della
resistenza gallica contro Cesare, andò trasformandosi in città romana a partire da Augusto
o da Tiberio, con uno sviluppo che tuttavia ebbe il suo culmine solo nel II secolo. Sul luogo
di un santuario preromano di Taranis sorse in età imperiale un nuovo tempio, poi
completato da una piazza porticata e da una basilica: si realizzò quindi anche qui un foro
tripartito. Un foro tripartito era anche presente a Lutetia Parisiorum (Parigi), dove
peraltro l'abitato si estendeva in maniera abbastanza regolare sulla riva sinistra della
Senna e nell'area oggi occupata da Notre-Dame, e dove, oltre al complesso forense,
spiccavano due teatri e due grandi edifici termali. Mentre Lutetia restò a lungo senza
mura, Augustodunum (Autun) presentava fin da età augustea una cinta molto ampia, dalla
pianta approssimativamente trapezoidale. Il cardo maximus, fiancheggiato da portici, era il
tratto urbano della grande "via di Agrippa" da Lugdunum al canale della Manica. Tracce di
un impianto urbanistico regolare sono individuabili a Caesarodunum (Tours) e a
Condivincum (Nantes). L'Aquitania già in epoca preromana aveva sviluppato cultura e
condizioni di vita alquanto avanzate; ben strutturata era anche la rete viaria di terra e
d'acqua, con un punto di forza nel porto atlantico di Burdigala (Bordeaux), che successe
presto a Mediolanum Santonum (Saintes) nel ruolo di capitale. È difficile ricostruire un
quadro urbanistico preciso dell'antica Bordeaux: nell'area centrale era un complesso
monumentale costituito da una serie di spazi porticati; vi è inoltre un importante edificio
termale del I sec. d.C., in cui si inserì nel III secolo un mitreo, mentre, lungo la Garonna, la
rilevanza economica e commerciale dell'emporion è rivelata dalla presenza di magazzini
monumentali ospitati in un criptoportico. Sull'altro fiume, la Devèze, era un porto interno,
che si aggiungeva a quello marittimo penetrando nell'abitato: notevoli sono i resti delle
banchine e anche di un grosso mercato sorto nel II-III secolo. Argentomagus, non lontano
dall'attuale Argenton-sur-Creuse, è particolarmente interessante, in quanto documenta il
passaggio da un notevole centro celtico (difeso da un terrapieno) a una città romana, che si
sviluppò soprattutto nel I sec. d.C. con un teatro, un anfiteatro e soprattutto con alcuni
templi. Si tratta di due fana di tipo celtico, a pianta quadrata con galleria perimetrale,
costruiti all'inizio del I sec. d.C. e poi rifatti, nell'ambito di un grande recinto rettangolare, in
età neroniana. Si è ipotizzato che questi fana non siano una ripresa o una continuazione di
modelli celtici (come si pensava), ma che costituiscano anch'essi un'invenzione romana, sia
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(entrambi con vita piuttosto breve) di Vetera I e Vetera II. Anche qui, pur all'interno di
una cinta muraria non del tutto regolare, è ricostruibile un impianto di tipo ortogonale, nel
cui ambito si collocano foro, templi, anfiteatro, case e strutture artigianali. Le province
alpine, insieme alla provincia Rezia e Vindelicia, furono annesse per volere di Augusto per
rendere più sicuro il limite settentrionale dell'Italia. L'importanza di queste aree era,
quindi, soprattutto strategica e l'urbanizzazione non assunse aspetti eclatanti. In
particolare, per quanto riguarda la Rezia, la capitale Augusta Vindelicum (Augsburg), pur
sviluppandosi da un originario castrum augusteo, non sembra avere impianto regolare. Al
contrario, a Cambodunum (Kempten) si conoscono insulae di assetto regolare, terme e
soprattutto un importante complesso foro-tempio-basilica. Castra Regina
(Regensburg/Ratisbona), sul Danubio, e Brigantium (Bregenz), sul Lago di Costanza,
sorsero sul sito di precedenti oppida celtici: mentre la prima, con un castellum dell'età di
Vespasiano e con un castrum risalente a Marco Aurelio, mantenne la sua prevalente
vocazione militare, la seconda conobbe uno sviluppo urbano, testimoniato soprattutto dai
resti del foro. Il Norico, annesso all'Impero con Augusto, ricevette l'assetto provinciale con
Claudio: la romanizzazione si avviò dunque prima del formale inserimento nello stato
romano. È il caso dell'abitato sul Magdalensberg, circa a metà strada fra il Danubio e
Aquileia, che, già florido all'inizio del I sec. a.C., conobbe un notevole salto di qualità alla
metà dello stesso secolo, con la creazione di un ampio foro provvisto di basilica e tabernae.
In età tiberiana si aggiunsero un praetorium, un edificio per riunioni, un tempio dedicato
ad Augusto e Roma. In connessione con la costituzione della provincia, la città si trasferì
nella sottostante pianura, con il nome di Virunum: sarà la capitale provinciale, con un
impianto urbanistico abbastanza regolare, imperniato su un asse centrale e su un
complesso foro-basilica-Capitolium. La Pannonia, definitivamente assoggettata da Tiberio
nel 10 d.C., fu lungamente il baluardo dell'Impero lungo il Danubio: anche qui le città
principali si svilupparono in genere da insediamenti militari. È il caso di Carnuntum e di
Vindobona (Vienna), che inizialmente avevano fatto parte del Norico, di Emona (Lubiana),
che a partire dal II sec. d.C. fu assegnata all'Italia, di Aquincum (Budapest) e anche di
centri situati in retrovia, come Gorsium. Non sembrano avere avuto invece origini
castrensi Scarbantia, Savaria, Sopianae e Sirmium, su un affluente del Danubio, la Sava:
città che sembra avere avuto per le fortezze danubiane la stessa importanza (punto di
smistamento e rifornimento, nonché sede organizzativa) che ebbe Treviri per il fronte
renano. Un'altra importante provincia danubiano-balcanica, la Mesia, presenta situazioni
nettamente differenziate nella sua parte orientale, detta Inferiore, dove, sulle coste del
Mar Nero, costituivano una preesistenza fortemente condizionante le colonie di antica
fondazione greca, e in quella detta Superiore (più a monte lungo il corso del Danubio),
caratterizzata soprattutto dagli insediamenti fortificati lungo il limes, che costituiscono una
prosecuzione della linea retico-norico-pannonica. Questi centri, però, non si svilupperanno
in senso civile e non elaboreranno perciò progetti urbanistici impegnativi, neppure quando,
con la conquista della Dacia, il confine si allontanerà verso nord. Eppure dal punto di vista
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anche la Colonia Ulpia Serdica (Sofia), fondata da Traiano sul luogo di un insediamento
tracio. Più avanzata verso il Mar Nero era invece Nicopolis ad Histrum, fondata da Traiano
presso il fiume detto oggi Jantra. La cinta muraria aveva pianta quadrangolare (e al nucleo
principale si aggiungeva una sorta di castellum difensivo esterno); l'impianto urbanistico
era ortogonale, mentre in posizione quasi centrale è il foro databile all'età adrianea, ma con
importanti interventi successivi. Per la Dalmazia, definitivamente assoggettata in età
augustea, non disponiamo di aree di scavo particolarmente estese se non a Iader e,
soprattutto, a Salona e a Doclea (testimonianze di una certa rilevanza si trovano tuttavia
anche a Narona, Aenona, Scodra, Aequum). L'unico esempio chiaro di urbanistica regolare,
con disposizione a scacchiera degli edifici, è Iader, impianto che ha lasciato tracce
evidentissime nell'ordito del centro di Zara medievale e moderna. Questa città portuale su
una penisoletta di forma allungata, già florida in età repubblicana, divenne colonia in età
augustea: la pianta era del tipo ad assi centrali, basata cioè sull'incrocio di un cardo
maximus e di un decumanus maximus; il foro non è al centro, ma spostato notevolmente
verso sud-est, probabilmente sul sito di quella che era stata un'arx preromana. Questo
complesso, oltre che dal foro vero e proprio, era costituito da un tempio in posizione
sopraelevata (Capitolium) e da una basilica: uno schema frequente, ad esempio, in Gallia,
ma che qui costituisce invece l'unica attestazione. Il primo impianto dovrebbe datarsi
all'età augustea; il portico, con criptoportico che circonda il Capitolium, è di età flavia,
mentre la basilica fu aggiunta in età severiana. La Dacia, prima della conquista da parte di
Traiano, aveva sviluppato con i suoi re, e soprattutto con l'ultimo, Decebalo, un formidabile
sistema di fortezze in altura a protezione della capitale Sarmizegetusa. Anche dopo la
romanizzazione, il territorio mantenne (sia pure in situazioni diverse) la sua vocazione
strategica; i castra conosciuti (alcuni meglio, molti in maniera sommaria) sono circa
ottanta. La capitale della provincia, sorta in pianura ai piedi dell'altura che ospitava l'antica
capitale dacica, era Ulpia Traiana Sarmizegetusa. La città aveva una pianta
approssimativamente quadrata, con un poderoso muro di cinta dagli angoli arrotondati (il
modello dei castra era evidentemente ben presente); all'interno tuttavia conosciamo non
tanto l'impianto urbano nel suo insieme, quanto alcuni monumenti, fra cui il foro, bordato
da un portico sul lato nord.
Bibliografia
G. Alföldy, Die Romanisierung in den Donauprovinzen Roms, in P. Kneissl (ed.), Alte
Geschichte und Wissenschaftsgeschichte, Darmstadt 1988, pp. 1-21; S. Rinaldi Tufi,
Dalmazia, Roma 1989; M. Millet, The Romanization of Britain, Cambridge 1990; P. Gros,
La France gallo-romaine, Paris 1991; P. Gros - M. Torelli, Storia dell'urbanistica. Il mondo
romano, Roma - Bari 1994³; G. Hajnoczi (ed.), La Pannonia e l'Impero Romano, Roma
1995.
LA CITTÀ ROMANA IMPERIALE NELLA PENISOLA IBERICA
di Josep Guitard i Dunand
Al termine della seconda guerra punica, verso la fine del III sec. a.C., buona parte del
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territorio della Penisola Iberica fu incorporata nello stato romano. Iniziò il processo di
romanizzazione: un fenomeno innovatore che produsse nel corso di duecento anni
trasformazioni molto profonde in tutti gli aspetti (culturali, linguistici, sociali, economici,
politici, religiosi) e pose le basi di quella solidissima costruzione sociopolitica che il governo
di Augusto inquadrò nelle tre provinciae Hispaniarum: la Tarraconese, la Betica e la
Lusitania. Lo sviluppo del fenomeno urbano e la sua progressiva estensione a tutto il
territorio peninsulare furono senza dubbio gli strumenti chiave di tali trasformazioni. È
necessario segnalare in primo luogo le accentuate differenze culturali tra i diversi popoli
della Penisola Iberica nelle fasi iniziali di questo processo, sebbene in linea generale si
debba distinguere nettamente la situazione dei popoli del versante mediterraneo e sud-
peninsulare da quella dei popoli delle regioni interne. Nel sud, la Hispania Ulterior,
territorio del mitico regno di Tartessos che aveva ricevuto una forte influenza punica, era
la zona di maggiore tradizione urbana. Vi si trovavano centri urbani pienamente consolidati
sia sulla costa che nell'interno: alcuni di origine coloniale, come Malaka (Malaga), Sexi
(Almuñecar) o l'importante Gadir (Cadice), i cui inizi sono datati dalla tradizione al 1100
a.C.; altri autoctoni, come Hasta Regia (Mesas de Asta, Jerez de la Frontera), Hispalis
(Siviglia), Carmo (Carmona), e molti altri. La Hispania Citerior mediterranea, dai Pirenei
fino alle regioni sud-orientali della penisola era abitata da popoli di cultura iberica con forte
influenza punica e greca. In alcune zone, dove la colonizzazione era stata particolarmente
intensa, come nelle odierne province di Murcia e Alicante, la strutturazione urbana degli
abitati indigeni era già senza dubbio in via di definitiva maturazione. Più a nord, comunque,
il panorama dei numerosi popoli iberici ricostruito dall'archeologia testimonia
probabilmente alcuni gruppi che senza dubbio avanzavano già verso l'urbanizzazione,
sebbene questo processo non si fosse ancora solidamente definito. È possibile che ciò
spieghi perché qui, sebbene con eccezioni, la romanizzazione abbia comportato un
mutamento radicale nell'ubicazione e nella tipologia dei nuclei di insediamento. Infine,
all'interno, le regioni settentrionali e nord-occidentali della penisola erano abitate da popoli
molto diversi, con strutture tribali ancora primitive e in parte ancora non sedentarizzati:
Lusitani, Celtiberi, Baschi, Celti del nord-ovest. Durante il II sec. a.C. l'attività
urbanizzatrice di Roma in Hispania fu molto limitata, sebbene esistessero già le prime
fondazioni citate nelle fonti antiche. È il caso di Tarraco (Tarragona), base logistica romana
durante la guerra punica, di Italica (Santiponce, Siviglia), fondata nel 206 a.C., di
Gracchuris (Alfaro, La Rioja) e Iliturgi (Mengíbar, Jaen), fondazioni di Tiberio Sempronio
Gracco nel 179 a.C., di Carteia, fondata nella baia di Algeciras (Cadice) nel 171 a.C., di
Corduba (Cordova) risalente alla metà del secolo, di Brutobriga e Valentia (Valencia),
fondazioni di Decimo Giunio Bruto nel 138-133 a.C., di Palma e Pollentia nell'isola di
Maiorca, fondazioni di Cecilio Metello Balearico nel 123/2 a.C. Il ruolo centrale che alcune
di queste città assunsero successivamente non deve comunque far dimenticare
l'eccezionalità delle fondazioni, proprio per questo minuziosamente citate nelle fonti. Il
dominio militare romano nella penisola sviluppava le infrastrutture necessarie, ma non era
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peso della componente militare della nuova città. I resti delle mura, del tempio definito di
Diana nel foro, del teatro e dell'anfiteatro e dei suoi tre acquedotti mostrano come, dai
primi anni della colonia, si sviluppò un'architettura pubblica imponente, che
successivamente, nel corso del I sec. d.C., trasformò la città in un importante centro
monumentale. Caesaraugusta, sul corso medio dell'Ebro, fondata poco dopo il 19 a.C., fu un
insediamento di veterani ubicato in un punto strategico e una città accuratamente
pianificata fin dagli inizi, come testimonia il suo perimetro fortificato con torri a pianta
semicircolare e porte complesse. Le ricerche archeologiche hanno portato alla luce i resti
del foro, situato a nord della città in prossimità del fiume, in intima relazione con il ponte e
forse con un possibile porto fluviale. Una funzione distinta dovette certamente assumere la
Colonia Iulia Augusta Faventia Paterna Barcino, fondata anch'essa ex novo alla fine del I
sec. a.C. Le piccole dimensioni, di molto inferiori a quelle usuali, contrastano con la
monumentalità dei suoi edifici pubblici, tra i quali risalta il tempio forense. Certamente la
sua fondazione rispondeva alla finalità di inquadrare amministrativamente, nell'assetto
giuridico coloniale, i numerosi cittadini romani già da anni insediati in diversi centri del
territorio. La nuova città dovette essere concepita in questo caso come centro religioso,
politico e amministrativo di una colonia il cui territorio inglobasse i nuclei urbani
preesistenti. Oltre alle nuove fondazioni, grande importanza ebbero le promozioni coloniali
e municipali di molte città. Così, alcuni dei nuclei urbani preesistenti dell'Hispania, che già
avevano assolto un ruolo centrale nei primi anni della romanizzazione e ai quali nella nuova
organizzazione veniva conferito un ruolo significativo, furono promossi alla categoria di
colonia romana, con o senza deductio di nuovi coloni. Altre città furono trasformate in
municipia, con l'istituzione di uno statuto municipale e la concessione dei corrispondenti
privilegi. Per completare questo panorama è utile un riferimento alle fondazioni urbane nei
territori nord-occidentali della penisola. Esse sono ben esemplificate dalle fondazioni
augustee delle città che in seguito avrebbero rispettivamente assunto il ruolo di capitali dei
tre distretti giuridici in cui sarebbero stati strutturati i territori: Bracara Augusta (Braga),
Asturica Augusta (Astorga) e Lucus Augusti (Lugo). Nonostante l'importante ruolo politico
che erano destinate ad assumere, queste tre città non furono coloniae e inizialmente
nemmeno municipia: si direbbe che per l'integrazione di questi nuovi territori il governo
romano avesse nuovamente scelto un sistema di maturazione progressiva simile a quello
che decenni prima avevano vissuto con buoni risultati i restanti territori ispanici. A questa
politica di urbanizzazione fecero riscontro, a partire dall'età augustea, un intenso sforzo
edilizio e una politica di edilizia pubblica che dovette anche rivestire un profondo significato
ideologico. L'esempio più significativo è costituito da Tarraco, che, a partire dall'epoca di
Augusto, assunse il ruolo di capitale della Tarraconese e divenne una delle città più
importanti dell'Occidente romano. Nell'arco di un secolo, tra l'epoca augustea e la fine del I
sec. d.C., Tarraco si trasformò profondamente attraverso l'applicazione di successivi
programmi edilizi di grande portata. Molto importante fu il primo di essi, che comportò il
rimodellamento del foro coloniale e la costruzione della basilica e del teatro e che costituisce
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un'attestazione di come teatro e foro fossero gli edifici urbani più importanti nei primi anni
dell'Impero, dal momento che, oltre alle loro funzioni specifiche, condividevano il compito
di rappresentare il nuovo ordine imperiale instaurato da Augusto. La grande
monumentalizzazione di Tarraco si compì alla seconda metà del I sec. d.C., con la
costruzione del grande complesso architettonico del foro provinciale, sede del concilium
provinciae. Qui, come a Mérida, si riprodusse nel recinto dedicato al culto imperiale un
programma iconografico ispirato a quello del Foro di Augusto di Roma. Nei primi anni
dell'Impero venne dunque fissata la struttura urbana dell'Hispania ed ebbe inizio un
importante processo di monumentalizzazione delle sue città, che in termini generali arrivò
a definitiva maturazione in età flavia, nella seconda metà del I sec. d.C. Negli aspetti
strutturali e giuridici il punto di maturazione venne segnato dalla concessione dello ius Latii
agli Ispanici da parte dell'imperatore Vespasiano e dall'applicazione concreta di questa
concessione, che provocò un considerevole salto nell'estensione dell'organizzazione
municipale come strumento per esercitare i nuovi diritti. A partire dal II sec. d.C.
l'evoluzione delle città ispaniche non avvenne secondo un programma organico e coerente e
non è quindi facilmente generalizzabile; si può invece affermare che, nella sua essenza, la
rete urbana di cui si dotò la Penisola Iberica agli inizi dell'epoca imperiale perdurò fino ad
epoca tardoantica e, in certa misura, soprattutto in alcune zone della penisola, ha tuttora
un peso nella struttura urbana locale.
Bibliografia
Los foros romanos de las provincias occidentales, Madrid 1988; M.A. Marin Díaz,
Emigración, colonización y municipalización en la Hispania republicana, Granada 1988; R.
Marcet - E. Sanmarti, Empúries, Barcelona 1989; Les villes de Lusitanie romaine, Paris
1990; W. Trillmich - P. Zanker (edd.), Stadtbild und Ideologie. Die Monumentalisierung
hispanischer Städte zwischen Republik und Kaiserzeit, München 1990; La casa urbana
hispanorromana, Zaragoza 1991; La ciudad hispanorromana, Barcelona 1993; La ciudad en
el mundo romano. XIV Congreso Internacional de Arqueología Clásica, I-II, Tarragona
1994; P. León (ed.), Colonia Patricia Corduba. Una reflexión arqueológica, Sevilla 1996; J.
Arce - S. Ensoli - E. La Rocca (edd.), Hispania romana. Da terra di conquista a provincia
dell'Impero (Catalogo della mostra), Roma 1997.
LA CITTÀ ROMANA IMPERIALE IN AFRICA
Se gli interessi romani nell'area mediterranea del continente africano risalgono a periodi
assai antichi, un processo di urbanizzazione vero e proprio si realizza solo in età imperiale,
con un picco significativo in età severiana, sotto la dinastia che aveva in Tripolitania origini
e clientele. Altro fattore notevole dello sviluppo delle città africane, in particolar modo
quelle costiere, è il crescente sviluppo che condurrà alcune province africane a svolgere un
ruolo preponderante nella vita economica e commerciale dell'Impero. Il panorama urbano
dell'Africa romana è tuttavia scarsamente omogeneo, con divergenze notevoli tra le
diverse realtà culturali e geografiche. Nell'Africa Proconsolare l'urbanizzazione divenne
consistente solo nel I sec. d.C., con la costruzione di complessi pubblici, quali il foro di
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Ippona di età augustea e quello di Dougga di epoca traianea, oltre che di infrastrutture
(ponti, acquedotti, mercati, strade, teatri e anfiteatri). Si sviluppa così un processo di
adattamento di centri preesistenti ai moduli urbanistici romani che privilegia le città
costiere (Ippona, Utica) ed i centri interni a vocazione agricola, su cui si fonda l'economia
della provincia (Theveste, Dougga, Mactar), e del quale restano tracce sia monumentali
che epigrafiche. Gli esiti di questa trasformazione appaiono compiuti alla fine del secolo
successivo, quando si assiste da una parte alla moltiplicazione dei capitolia anche in centri
di minore entità (Furnus Maius, Ucubi, Belaris Maios, ecc.) desiderosi di adeguarsi al
modello romano, dall'altro alla promozione di luoghi di culto dedicati a divinità locali o
legate alla vocazione agricola e commerciale della regione, come ad esempio il tempio di
Saturno a Dougga, edificato nella posizione canonica di fronte al mercato ma realizzato nei
moduli architettonici della tradizione africana, con tre celle affiancate aperte sulla piazza.
Coeva è la creazione di tre fori, rispettivamente di Althiburos, Sufetula e Thuburbo Maius,
dalle caratteristiche così differenti da lasciar intendere una libertà di moduli architettonici
e spaziali funzionali alle specifiche esigenze sociali ed economiche dei centri nei quali furono
realizzati. Se ad Althiburos mancano gli edifici a destinazione pubblica ed il Capitolium è
separato dalla piazza, a Thuburbo Maius l'aspetto cultuale appare dominante, con un
massiccio Capitolium che aggetta dal lato nord-occidentale. A Sufetula invece tre templi tra
loro collegati si affacciano sulla piazza pressoché quadrata. Il desiderio di uniformarsi ai
canoni delle città romane promuove la realizzazione di strutture termali e di edifici per gli
spettacoli, oltre che di archi onorari e trionfali. Nel secolo successivo il processo di
monumentalizzazione prosegue secondo le dinamiche fin qui accennate e in età severiana si
aggiunge un nuovo elemento, con la creazione di strutture abitative private esemplate su
quelle di stampo classicamente italico, come attesta l'edilizia privata di Bulla Regia.
Un'intensa campagna di restauro venne promossa in età dioclezianea; decisamente più
scarsa appare essere l'attività di Costantino, mentre nella seconda metà del IV secolo la
decisione imperiale di restituire alle città africane un quarto dei vectigalia al fine di
risarcire gli edifici pubblici, riportata dal Codex Theodosianus, stimola una ripresa edilizia
sia pubblica che privata, unitamente al mantenimento degli edifici di spettacolo, alcuni dei
quali attivi anche in età vandala. In Tripolitania la romanizzazione interessa in primo luogo
i centri costieri: nel corso del II sec. d.C., Sabratha e Leptis Magna vengono arricchite di
luoghi di spettacolo e di culto organizzati secondo gli schemi urbanistici romani e che a
livello cultuale consentono una commistione continua tra il vecchio ed il nuovo Pantheon.
La ristrutturazione di Leptis da parte di Settimio Severo è un'opera architettonicamente
organica, che prevede tra l'altro la risistemazione del porto, con ingenti opere di
sbarramento e la realizzazione di nuovi moli, del faro e del tempio di Giove Dolicheno. Dal
porto la via colonnata giunge alle terme di Adriano e costeggia il nuovo impianto forense, in
un'area precedentemente non urbanizzata, terminato da Caracalla in forme più modeste,
ma che comunque tradiscono l'unitarietà progettuale con le altre costruzioni e la capacità di
adeguamento alle preesistenze. In Cirenaica, il processo di romanizzazione è molto
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graduale, così che la prima campagna di ristrutturazioni in grande stile è conseguente alla
rivolta giudaica del 115-117 d.C., che aveva prodotto danni ingenti all'apparato
monumentale. Nel corso del II secolo la ricostruzione di Cirene, sede del governatore, si
muove proprio nell'aderenza dei moduli urbanistici e architettonici alla tradizione romana,
quali la diffusione dei portici, l'innalzamento dei templi su podi, l'uso dell'ordine corinzio e
dell'arco. Durante il secolo seguente, il centro urbano gravita nell'area di fondovalle, con
strade porticate che scandiscono gli spazi; nel percorso verso l'agorà si eleva il propileo
dedicato ad Alessandro Severo, un monumento unico nel suo genere in Cirenaica. Alla crisi
del III sec. d.C. si aggiunge il terremoto del 262, così che soltanto nel IV secolo si vedono i
segni di una ripresa che tuttavia non interessa tutti i centri urbani, ma soprattutto la
nuova capitale, Tolemaide, con la ristrutturazione della via colonnata che conduceva
all'aula per le udienze e la creazione di un arco alle sue estremità occidentali. *
Bibliografia
P. Romanelli, Storia delle provincie romane dell'Africa, Roma 1959; R. Bianchi Bandinelli -
E. Vergara - G. Caputo, Leptis Magna, Roma 1963; P.-A. Février, Urbanisation et
urbanisme de l'Afrique romaine, in ANRW, 10, 2 (1982), p. 351 ss.; H. Jouffroy, La
construction publique en Italie et dans l'Afrique romaine, Strasbourg 1986; L. Bacchielli,
La Tripolitania, in Storia di Roma, III, 2, Torino 1993, pp. 339-49; Id., La Cirenaica, ibid.,
pp. 603-609; F. Ghedini, L'Africa Proconsolare, ibid., pp. 309-25.
LA CITTÀ ROMANA IMPERIALE IN GRECIA E NELLE PROVINCE ORIENTALI
di Luigi Caliò
Dopo le devastazioni tardorepubblicane, l'impero di Augusto portò nuova prosperità nelle
province orientali, che, già fortemente urbanizzate, non conobbero ulteriori fondazioni in
periodo romano. Le città vissero un momento di grande ricchezza per tutto l'Alto Impero,
soprattutto i grandi centri fondati sulle principali vie di commercio (Palmira, Damasco,
Gerasa, Bostra, Petra) e i porti del Mediterraneo (Efeso, Mileto, Nicomedia, Smirne). La
ricostruzione avvenne sotto l'egida dello stesso imperatore e con l'inizio del principato si
assistette ad un forte intervento imperiale sull'organizzazione urbanistica, sull'assetto del
territorio e sulla distribuzione demografica per incorporare le varie regioni nel sistema
amministrativo romano; a questi interventi si accompagnò anche la romanizzazione
dell'aspetto delle città più importanti, in modo diverso da regione a regione. Nella Grecia,
che non partecipava dello stesso benessere delle città orientali, i grandi programmi edilizi
vennero promossi direttamente dall'imperatore e furono volti sia all'esaltazione della
stessa casa imperiale, sia alla glorificazione delle città più famose per il loro passato.
Paradigmatico è l'esempio di Atene, oggetto di un programma edilizio promosso dallo
stesso Augusto: l'Agorà fu completamente risistemata da Agrippa, che vi costruì l'odeon,
con un atto volto a cancellare la valenza politica dello spazio centrale della piazza. Lo spazio
pubblico fu ulteriormente ristretto dalla ricostruzione del tempio di Ares, trasportato
probabilmente da Acarnai, che richiamava il tempio di Marte Ultore del Foro di Augusto.
All'Agorà greca si affiancò la nuova Agorà romana, progettata da Cesare nel 47 a.C., ma
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inaugurata solo tra l'11 e il 9 a.C., che divenne il nuovo centro delle attività commerciali.
Solamente a partire dall'inizio del II sec. d.C. Atene subirà un processo edilizio assimilabile
a quello delle grandi città orientali, con la monumentalizzazione delle strade di
rappresentanza (la via delle Panatenaiche e la via che dalla Stoà di Attalo porta all'Agorà
romana). Durante il regno di Adriano Atene conobbe una vera e propria risistemazione
urbanistica, con il completamento del tempio di Zeus Olympios e la costruzione dell'arco
che segna l'entrata alla Neapolis adrianea, che si sarebbe dovuta costruire sulle sponde
dell'Ilisso e che sarà completata successivamente con la costruzione dello stadio di Erode
Attico. Nel vecchio tessuto urbano di Atene Adriano inserì la biblioteca, un Pantheon e
probabilmente una basilica. Diversa è la situazione a Corinto, dove, dopo la distruzione del
146 a.C., fu fondata una colonia romana nel 44 a.C. Il centro politico e religioso della città fu
completamente riadattato alle nuove esigenze amministrative della colonia, con una nuova
agorà romana su un sito dove tuttavia rimanevano preesistenze ellenistiche importanti,
come la stoà sud. Gli ambienti di quest'ultima, in particolare, completamente ristrutturati,
furono utilizzati come uffici amministrativi della città, compreso il bouleuterion. Anche in
questo caso gli edifici monumentali di Corinto testimoniano una forte propaganda augustea,
dovuta forse all'influenza di Agrippa, patrono della città tra il 20 e il 15 a.C. In Asia Minore
le città, sicuramente più prospere, vennero monumentalizzate non solo per intervento
imperiale, ma anche ad opera dei cittadini più influenti e in esse si nota una maggiore
attività architettonica e urbanistica. Efeso, rifondata da Lisimaco, rimase in secondo ordine
durante il regno degli Attalidi, per divenire poi, nel 29 a.C., centro amministrativo della
provincia d'Asia. I primi interventi, come la risistemazione della rete viaria e la costruzione
degli acquedotti, sono ancora legati al potere centrale; sempre ad iniziativa imperiale sono
dovute le costruzioni nell'agorà civile, atte ad esaltare la persona e la famiglia
dell'imperatore. Contemporaneamente cominciò a farsi strada anche l'evergetismo privato:
così due liberti di Agrippa dedicarono la porta monumentale sud-orientale dell'agorà
tetragona, probabilmente già all'inizio del periodo augusteo, mentre la famiglia dei Tiberi
Celsi all'inizio del II sec. d.C. costruì la Biblioteca di Celso, la cui facciata richiama una frons
scaenae, secondo uno schema ampiamente sfruttato in quest'area geografica. Nella zona
del porto in epoca adrianea Claudio Veruliano donò alla città un grande portico adibito a
palestra e nella zona nord della città P. Vedio Antonino finanziò un ginnasio dedicato ad
Artemide e ad Antonino Pio. Più particolare è il discorso per Mileto che, essendo priva di
importanza amministrativa, fu oggetto di minori interventi da parte del potere imperiale; a
partire dall'inizio del I sec. a.C. si monumentalizzò tuttavia il tratto iniziale della via
processionaria che univa il Delphinion al santuario di Apollo a Dydima. La parte
meridionale, prima di giungere all'agorà, era occupata da due edifici di grande impatto
decorativo: il ninfeo monumentale, di periodo traianeo, e la porta nord dell'agorà
meridionale, costruita alla metà del II sec. d.C. Gli edifici ripropongono, come già ad Efeso e
in numerosi altri esempi, le decorazioni delle frontes scaenae e dovevano dare la stessa
impressione di ricchezza delle sale marmoree delle terme imperiali, giocando sull'equivoco
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tra spazio esterno e interno. La nuova sistemazione della città si regolava sulla successione
di spazi chiusi e monumentalizzati, che delimitavano lo spazio cittadino in diversi ambienti
e che avevano valenze profondamente diverse da quelle delle antiche agorài di area greca.
A partire dalla creazione nel 64 a.C. della provincia di Siria, sembra che Roma abbia
continuato la politica urbanistica dei Seleucidi. La formazione della Decapoli ne è un chiaro
esempio: l'organizzazione di queste città, quasi tutte in Transgiordania, è generalmente
attribuita a Pompeo, ma le ricerche recenti hanno fatto risalire questa organizzazione del
territorio al periodo augusteo. Lo scopo era quello di costituire una barriera contro i
nomadi delle steppe, le ambizioni commerciali dei Nabatei e le mire espansionistiche dei
principi Asmonei di Giudea. Questo programma non dovette tuttavia riuscire e gli stessi
Nabatei si stabilirono in seguito a Gerasa. La politica romana non richiedeva nuove
fondazioni, ma piuttosto un rafforzamento delle vecchie: tutte le città della Decapoli sono
definite infatti come fondazioni dello stesso Alessandro e lo Stato romano non fece altro che
confermare formalmente la loro condizione di poleis indipendenti e autonome. Interventi
romani diretti non sono frequenti in questo periodo: si possono citare i casi di Bostra e di
Philippopolis e, in Siria, un solo episodio di fondazione di colonia militare
(Berytus/Heliopolis). In maniera analoga si conservò inalterato il sistema della Tetrapoli
siriana e le città furono solamente trasformate nel loro impianto monumentale. Così
l'aspetto esteriore di Antiochia venne profondamente modificato per la prima volta sotto
Tiberio, facendo della via principale un'ampia strada colonnata, trasformata
successivamente tra Traiano e Antonino Pio. Apamea di Siria presenta una situazione
interessante: distrutta da un terremoto nel dicembre del 115 d.C., fu oggetto di un vasto
programma di rinnovamento edilizio; molto probabilmente l'impianto della nuova città, che
sembra riprendere quello più antico, era più vasto della città precedente. La grande arteria
colonnata, costruita a partire dagli ultimi anni di Traiano (116/7 d.C.) sopravvive ancora
oggi per circa 2 km di lunghezza. A circa metà della via si trova l'agorà, fondata nel secondo
quarto del II sec. d.C. e preceduta dal tempio di Tyche che si affaccia direttamente sulla
grande strada. Se tuttavia nel caso delle città di fondazione ellenistica troviamo
generalmente una sovrapposizione delle strutture del periodo romano che non alterano
profondamente il tessuto urbanistico, diversa appare la situazione di Palmira. Lo sviluppo
urbano in età romana cominciò nel 19 d.C., sotto Tiberio: la strada colonnata fu costruita a
partire dalla seconda metà del II sec. d.C. per unire con un'arteria i vari quartieri. La
distribuzione dei quartieri della città si fondava su base tribale a carattere familiare: le
quattro tribù di Palmira avevano infatti un'area specifica, al centro della quale sorgeva un
santuario; per questo i vari quartieri mantennero orientamenti diversi e la strada
colonnata dovette seguire un andamento spezzato in tre tronconi per collegare i poli
abitativi e arrivare al santuario di Bel, centro religioso della città. L'enfatizzazione di questo
percorso principale, che oltre al ruolo di cardo aveva anche un forte carattere religioso (le
stesse colonne dei portici sono consacrate alle divinità), è dovuta al tentativo di dare alla
città un'apparenza ellenizzante, che tuttavia è solo esteriore. Gli stessi cambiamenti di
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rotta della strada colonnata sono mistificati con la presenza di un arco monumentale a
pianta triangolare (inizio III sec. d.C.) e di un tetrapilo. Philippopolis, infine, è di fatto
l'unica fondazione romana in Siria, promossa da Filippo l'Arabo sul sito del villaggio di
Shahba, di cui forse era originario. L'impianto generale del sito è quello del castrum, come
mostra il circuito murario urbano nel quale si aprivano quattro porte monumentali a tre
fornici. L'incrocio degli assi viari principali della città era sottolineato da un grande tetrapilo
e a nord-ovest del decumano si trovava il centro monumentale tra le strutture del quale si
riconosce il Philippeion, santuario dedicato al dio Marino, padre divinizzato dell'imperatore.
Bibliografia
S. Alcock, Archaeology and Imperialism: Roman Expansion and the Greek City, in JMedA,
2, 1 (1989), pp. 87-135; Ead., Graecia Capta. The Landscape of Roman Greece, Cambridge
1993; F. Zayadine, L'urbanisation des cités du désert. Petra, Palmyre, Doura-Europos et
Gerasa, in La ciudad en el mundo romano. Actas del XIV Congreso Internacional de
Arqueología Clásica, Tarragona 1994, pp. 381-93; F.M. Fales (ed.), Siria. Guida
all'archeologia e ai monumenti, Venezia 1997; D. Willers, Griechische Kunst, 4. Kaiserzeit,
in H.-G. Nesselrath, Einleitung in die griechische Philologie, Stuttgart - Leipzig 1997, pp.
659-77; P. Baldassarri, Sebastoi Soteri. Edilizia monumentale ad Atene durante il
Saeculum Augustum, Roma 1998.
LA DISTRIBUZIONE DEGLI SPAZI E DELLE FUNZIONI
di Luisa Migliorati
Accanto alla definizione degli elementi urbanistici estrapolabile dai dati archeologici, resta
insostituibile per la nostra conoscenza la letteratura latina sull'argomento, desumibile in
particolare dal De architectura di Vitruvio, che risulta essere una codifica a posteriori di
quanto era stato ampiamente applicato già nei secoli antecedenti l'età augustea. La sua
affermazione sulla necessità dell'architetto di metabolizzare le esperienze e applicare
l'elaborazione esprime gli esiti del percorso evolutivo romano nel campo dell'urbanistica,
che si distingue per flessibilità e adeguamento sia ai portati culturali allogeni sia ai
suggerimenti geomorfologici. Anche per Vitruvio la prima generica distinzione nell'ambito
formale urbano avviene tra spazio pubblico e privato; i criteri di definizione del primo, di
cui fanno parte le mura, sono di difesa, religione, utilità; si elencano in tal modo i concetti
ispiratori dell'impianto che dovranno trovare concreta manifestazione nelle costruzioni a
fruizione collettiva. Come in ambiente greco, il percorso, la forma, le dimensioni del
perimetro murario sono già i primi elementi distintivi della forma urbana corrispondenti
alla funzionalità primaria di difesa alla quale devono adeguarsi le città romane. L'esigenza
difensiva, teoricamente indipendente dallo status giuridico del centro, deve confrontarsi
con la vocazione specifica della fondazione ex novo, e dunque con i percorsi territoriali a
lungo raggio; il rapporto con questi trova generalmente il punto di scambio nei varchi
murari (Terracina come Rimini), ma si attua anche attraverso settori viari di raccordo
(Alba Fucens, Cosa), in tal caso con minore condizionamento reciproco. Le mura compaiono
come primo atto costitutivo tanto in Vitruvio quanto in iscrizioni di diversa cronologia; la
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lettura comparata dei dati evidenzia gli elementi che in ogni tempo (dal I sec. a.C. al V sec.
d.C.) hanno simboleggiato la strutturazione, o il rifacimento, di un centro urbano: le
fortificazioni con le porte, e di seguito le specifiche del foro e degli edifici commerciali (
porticus ovvero commercia), che nel caso di Verona lasciano alla sola indicazione cloacas il
compito di suggerire la globale ristrutturazione dell'impianto attraverso la realizzazione
della rete fognante. La legislazione sulle vie urbane ripropone, dalla Repubblica agli editti
del Tardo Impero, anche il divieto parziale di circolazione veicolare, per contenere un
volume di traffico eccessivo rispetto all'inadeguato dimensionamento delle sedi stradali;
fattore, questo, condizionante il facile coinvolgimento di interi quartieri in pur piccoli
incendi, ai quali, a Roma, non poté ovviare neppure la normativa neroniana con lo specifico
latis viarum spatiis. Nelle altre città gli assi secondari hanno una larghezza media tra i 3 e i
4,5 m, mentre 6 m circa sono destinati a quelli principali. Alcune ampiezze fuori dalla
norma sono dovute ad una preesistenza della viabilità rispetto all'insediamento (ad es., la
via Postumia all'interno di Libarna). Accanto al sistema stradale e fognario, secondo Dionigi
di Alicarnasso (III, 13), il terzo elemento della "grandezza dell'Impero romano" era
rappresentato dagli acquedotti. In effetti, se se ne esclude la monumentalità, che è da
sempre un elemento costitutivo del paesaggio, le strutture dell'approvvigionamento idrico
della città romana sono una delle principali note caratterizzanti il funzionamento degli
impianti urbani a partire soprattutto dall'età di Augusto, che ne curò particolarmente la
normativa. Tuttavia l'immagine della città si realizza prima di tutto nell'emergere del luogo
collettivo rispetto all'arearesidenza; infatti quest'ultima non assicura l'identità urbana,
rinnovabile e modificabile com'è, senza soluzione di continuità (si vedano gli esempi
pompeiani di compravendita con esiti planimetrici completamente disorganici), per riuscire
a riprodurre uno spazio naturale adeguato alle esigenze climatico-ambientali, secondo le
norme igieniche diffuse da Ippocrate in poi. I criteri distributivi del tipo abitativo, in cui si
inserisce spesso un'attività artigianale, sono tuttavia vincolati ad una forma geometrizzata,
cellula prima di un isolato, che a sua volta diventa modulo dell'aggregato; è su tale base che
si determina la variazione nel tempo del rapporto insulare con un modulo programmatico
tendente all'unitario nella prima età imperiale. La definizione dell'impianto viario, seconda
fase del programma urbanistico, prevede di conseguenza, visto il rapporto di
interdipendenza tra strade e isolati, l'articolazione interna del piano, anche se esplicitato
dal testo vitruviano solo attraverso l'enunciazione di una precisa gerarchia tra gli assi
urbani (plateiai e angiportus) e della loro migliore disposizione in relazione ai fattori
climatici, che come si è detto, coinvolge l'assetto delle case nell'esposizione e
nell'illuminazione. La ripartizione degli spazi è dunque contestuale e la selezione delle aree
per le varie funzioni (religiosa, politico-amministrativa, reliquisque locis communibus)
prevede come parametri l'utilità e la migliore fruizione da parte della collettività, alla quale
deve cedere l'interesse individuale. È quanto esemplificato nella metà del II sec. a.C. dal
caso ostiense, in cui il pretore Caninio definisce con previdenza mediante cippi le zone
demaniali riservate allo Stato fino al Tevere, togliendole alla possibilità di espansione
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edilizia privata. Per quanto concerne invece il tema della zonizzazione dei culti, il
suggerimento della dislocazione del tempio alla Triade Capitolina nel luogo più elevato non
trova riscontri se non in centri situati in zone a orografia interna differenziata, come Cosa,
con la trasformazione di un tempio precedente sull'arx e non nel foro, o Brescia; ma in casi
come quello veronese il dislivello tra la piazza forense e il Capitolium non poteva
rispondere a tale esigenza. Qui, come del resto a Brescia, come a Luni o a Minturnae, Ostia,
Augusta Raurica, Augusta Bagiennorum, Ampurias, l'evidenziazione e la distinzione del
settore religioso sono ottenute mediante la separazione dell'area sacra dal resto del quadro
forense attraverso l'asse principale di percorrenza urbana. La disposizione degli edifici civili
(basilica, curia o uno solo dei due) presenta delle variabili legate talvolta anche a problemi
di saturazione edilizia: sul lato breve della piazza (Brescia, Augusta Raurica, Augusta
Bagiennorum), su uno dei lati lunghi (Ostia e Verona, confrontabili anche per la
separazione del complesso generalmente unitario curia-basilica tramite un asse viario,
forse anche Ampurias e Luni per la sede del senato), o alle spalle del tempio quando
limitati alla sola curia (Potentia, Augusta Bagiennorum); tuttavia il rapporto spaziale che si
viene a determinare con l'elemento templare, chiarificato anche tramite il sistema di
accesso alla piazza stessa, sembra essere in diretta rispondenza con le funzioni ideologiche
affidate agli edifici: una preponderanza del sacro, ovvero l'immagine di una operativa
attività politico-amministrativa. Quest'ultima viene ad essere sottolineata, sia in Italia che
nelle provincie, in piccoli centri nei quali è primaria la vocazione amministrativa: a Lucus
Feroniae, Veleia, Calleva Atrebatum (Silchester), Ruscino (Château Roussillon), Venta
Icenorum (Caistor-by-Norwich) è la basilica ad acquistare nel tessuto urbano una
posizione di primo piano con la limitazione del settore sacro a una semplice aedes Augusti.
Il foro è ormai un contesto cronologicamente articolato, che ha comunque superato per
ogni centro il momento della fondazione; non ci sono infatti testimonianze di un'area
catalizzatrice di tutte le funzioni pubbliche per le prime colonie romane, che per statuto
erano effigies parvae simulacraque Romae. Nel quadro monumentale forense,
predeterminato da costanti edilizie (luoghi di culto, curia, comizio, mercato), la basilica non
appare che tardivamente, introducendosi quasi inavvertitamente all'interno degli impianti
con l'utilizzazione di uno degli spazi porticati bordanti la piazza, locus adiunctus che non ha
ancora acquisito la dignitas che l'esempio progettuale di Fano documenta come reale
componente dell'organismo forense. Ma, per quanto riguarda i primi impianti basilicali, il
ricordo della chiusura di parte della stoà sud dell'agorà di Priene per crearvi un'aula di
riunioni giustifica la denominazione di stoà data agli edifici romani da Dione Cassio. È d'altra
parte quanto si verifica ad Ampurias o a Luni, ove la basilica utilizza un'ala della porticus
triplex intorno al Capitolium in una manifesta indisponibilità areale per mancata
previsionalità. Anche ad Alba Fucens il tardivo (I sec. a.C.) inserimento dell'edificio
giudiziario in un foro strutturato dal III sec. a.C. comporta l'obliterazione di strutture
abitative. Tuttavia nel suo aspetto definitivo il foro della colonia latina tradisce
indubbiamente una programmazione areale coerente, con la successione, da nord-ovest,
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delle zone amministrativa, commerciale, religiosa, inserite tra i due assi di fondovalle
(tracciato originante lo schema urbanistico) nella coincidenza di fulcro topografico e civico e
lascia quindi il dubbio per la struttura demolita che si tratti di una costruzione privata
impropriamente posizionata. D'altra parte, la dislocazione dell'area forense, che raramente
si allontana dalla posizione centrale (ad Aosta l'area pubblica raggiunge come limite nord le
mura), non poteva che esprimere in tutti i centri la volontà di una progettualità d'impianto
definita sin dalla prima fase urbana. Non è ovviamente escluso l'eventuale ripensamento,
come documentato ad esempio dagli ampliamenti del foro di Florentia. Tra le aree
specialistiche gravitanti sulla piazza pubblica, quella commerciale si presenta spesso
duplicata attraverso le strutture individuali delle tabernae e il complesso centripeto del
macellum. Le prime possono effettivamente collocarsi ovunque, sbriciolandosi nel tessuto
urbano o coagulandosi presso i grandi horrea in una specializzazione areale che vede ad
esempio, sia a Milano che a Brescia, definire l'importanza commerciale di settori
paramuranei collegati a vettori territoriali, o nei centri portuali selezionare le zone presso
la costa per le strutture di immagazzinaggio (Ostia, Pozzuoli, Ancona). L'impegno
monumentale del macellum non vede che una destinazione in zona centrale e dunque in
caso di scelta obbligata per l'area centrale tra strutture cellulari e mercato polivalente si
assiste all'azzeramento delle prime in funzione del secondo. È così a Pompei, che vede le
botteghe del lato orientale del foro sostituite progressivamente dal macellum di II sec. a.C.
e dai successivi edifici che sino all'eruzione del Vesuvio compongono in termini
monumentali le semplici strutture del settore est. L'esempio pompeiano sembra proprio
ricondurci alla completa tipologia edilizia necessaria all'espletamento delle funzioni
pubbliche; la sua forma allungata, eccessivamente secondo i canoni vitruviani di un
rapporto di 2:3, può accogliere anche l'erario, il carcere e una sede corporativa, mentre ne
viene escluso l'impianto termale di I sec. a.C., che trova una localizzazione in zona non
lontana probabilmente erede della primitiva fascia pomeriale inedificata. Quest'ultima
tipologia edilizia decisamente aggregante (si pensi alla costruzione delle Terme Centrali con
l'obiettivo di decongestionare almeno in parte il "centro storico" di Pompei) difficilmente
risulta inserita direttamente sulla piazza forense, soprattutto nei casi di adeguamento
tipologico ai canoni diffusi dai grandi impianti imperiali. Un'altra componente del settore
"tempo libero" risponde in modo ottimale alle esigenze degli abitanti sia della città che della
campagna: l'anfiteatro, una delle costanti edilizie a partire dall'età augustea (con precedenti
significativi in Campania). Ovviamente una serie ampia di motivi induce alla dislocazione
dell'anfiteatro in area periferica o extramuranea: la funzione, legata principalmente ai
combattimenti gladiatori, e dunque la partecipazione di masse di spettatori non
culturalmente motivate e in gran parte provenienti dal territorio, fattori determinanti
possibili incidenti e suggerenti un rapporto topografico molto stretto con le mura; il settore
ergonomico, con la riduzione dei tempi di trasporto del materiale edilizio, con il
conseguente sensibile ridimensionamento dei costi-uomo e dei tempi-uomo; i problemi di
circolazione, per l'impianto e la durata del cantiere per una costruzione di tanta mole; non
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ultimo, infine, l'impegno areale che necessitava l'acquisizione di una vasta superficie in un
centro generalmente già strutturato e i conseguenti problemi di esproprio. Per il teatro il
discorso è diverso. Se talvolta si assiste alla dislocazione unitaria del binomio teatro-
anfiteatro (Teramo, Aosta, Carsulae), la vocazione culturale del primo, associata alla
valenza cultuale materializzata nella vicinanza con un edificio templare, ne rende attuabile
la collocazione anche in zona urbana paraforense, secondo i dettami vitruviani (Brescia,
Minturnae, Rimini, Tusculum, ecc.) o comunque quasi sempre intramuranea (Luni, Torino,
Lucca, Grumento, ecc.). Non è da dimenticare inoltre la preferenza di adeguamento
collinare della cavea secondo un concetto, forse più tipico dell'ambiente greco, ma
ampiamente diffuso nel mondo romano, che ne condiziona ovviamente la dislocazione in
riferimento all'impianto. In un contesto di continua espansione, valido per quasi tutti i
centri, non sempre sono sufficienti le frequenti larghe previsionalità dei piani
programmatici; caratteristici diventano dunque i fenomeni di superamento dei limiti
urbani originari, che investono anche settori inizialmente destinati ad aree cimiteriali
intatte fino ad allora per la rigorosa ottemperanza alla legge, mai caduta in disuso, delle XII
Tavole. Zone necropolari arealmente compatte a Roma (Esquilino) come ad Ostia o a
Capua subiscono la necessaria bonifica, mentre lungo le viabilità in uscita si alternano
strutture ricettive a luoghi sepolcrali.
Bibliografia
P. Rossi (ed.), Modelli di città. Strutture e funzioni politiche, Torino 1987; P. Sommella,
Italia antica. L'urbanistica romana, Roma 1988; P. Gros, Les étapes de l'aménagement
monumental du forum: observations comparatives (Italie, Gaule Narbonnaise,
Tarraconaise), in La città nell'Italia settentrionale in età romana, Roma 1990, pp. 29-68;
J.-Ch. Balty, Curia Ordinis, Bruxelles 1991; G.L. Grassigli, "Sintassi spaziale" nei fori della
Cisalpina. Il ruolo della curia e della basilica, in Ocnus, 2 (1994), pp. 79- 96; La ciudad en el
mundo romano. Actas del XIV Congreso Internacional de Arqueología Clásica, Tarragona
1994; Splendida civitas nostra, Roma 1995; P. Gros, L'architecture romaine, 1. Les
monuments publics, Paris 1996.
I SISTEMI DI DIFESA DEI CENTRI URBANI NEL MONDO ROMANO
di Luigi Caliò
Fondamentalmente diversa rispetto al mondo greco è la situazione in Italia, anche se per il
periodo più antico i sistemi di fortificazione urbana sono influenzati dalle cinte delle città
greche d'Occidente. I primi esempi di mura in opera poligonale sono attestati in varie zone
italiane tra il VI e il III sec. a.C., dall'ambiente magnogreco (Velia) all'Italia centrale. Le
mura di Alatri sono datate variamente tra il IV ed il I secolo, mentre a Ferentino
coesistono tecniche costruttive diverse. Particolarmente antica, forse della fine del V sec.
a.C., sembra essere la cinta di Arpino, in cui l'unica porta conservata espone il fianco
sinistro agli assalitori. Le mura di Roma, oltre ad essere emblematiche per la grandiosità
dell'opera, hanno il privilegio di essere datate con una certa sicurezza. La cinta muraria,
costruita dopo il sacco dei Galli del 390 a.C., nelle parti ancora conservate segue, in diversi
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tratti, il tracciato di una cinta più antica; il lato più debole era fortificato con un sistema
complesso che comprendeva una fossa, un muro e un terrapieno (agger), per una larghezza
complessiva di circa 90 m. Il paramento esterno è in blocchi di tufo disposti per testa e per
taglio, secondo una tecnica già nota in Grecia e nelle città greche d'Occidente. Più difficile è
stabilire quali siano i rapporti tra le fortificazioni greche ed etrusche, anche se si può
presupporre un generico debito a queste da quelle. In Etruria caratteri generali sono
l'adattamento all'orografia del terreno e un tracciato discontinuo. Si nota soprattutto
l'assenza di bastioni o di torri. Le fortificazioni mantengono in genere un aspetto
arcaizzante con un frequente utilizzo di apparati pseudoisodomi. Bisogna attendere la
costituzione delle prime colonie romane a partire dall'inizio del IV secolo per trovare un
tipo di organizzazione cittadina che utilizza le mura come elemento principale per la
definizione dello spazio urbano. L'impianto delle colonie romane più antiche (Ostia,
Minturno, Pyrgi) è dettato dalla sistemazione del perimetro rettangolare della cinta e dalla
sistemazione dei due assi ortogonali interni. Diversamente le colonie di diritto latino, meno
legate a schemi rigidi, presentano modelli urbanistici di derivazione greca e adottano
circuiti più liberi, legati alla orografia del terreno. Elementi di derivazione greca si
riscontrano nelle mura di Paestum (273 a.C.), come la corte interna o, nella porta della
Sirena, l'uso dell'arco che richiama la Porta Rosa di Velia. A Cosa (273 a.C.) le mura sono
costruite con un apparato poligonale; le porte presentano un sistema a doppia corte
all'interno del circuito murario. In pieno stile ellenistico è anche la cinta muraria di Falerii
Novi (241 a.C.), costruita in un apparato isodomo di blocchi di tufo, che ha lungo il circuito
50 torri quadrangolari. Dopo le guerre che hanno caratterizzato l'inizio del I secolo i
magistrati locali finanziano soprattutto opere di difesa: in questo periodo sono costruite in
Italia 35 cinte fortificate e almeno altre 20 sono state restaurate. Si diffondono le tecniche
di poliorcetica utilizzate in Oriente e le nuove cinte presentano sistemi difensivi avanzati
soprattutto per quanto riguarda la costruzioni di porte e torri. Alcune cinte sono
particolarmente ricche, come le mura della città sannita di Telesia che su un circuito di 2,5
km hanno 35 torri e 3 grandi porte. In periodo augusteo si assiste ad un fiorire senza
precedenti delle mura urbane, anche in città che già avevano una cinta muraria.
Paradossalmente proprio dopo la pacificazione, il paesaggio urbano si militarizza in modo
simbolico con fortificazioni monumentali, anche se in alcuni casi poco funzionali, come a
Spello o a Verona. Così in Italia, in Gallia, nella Penisola Iberica vengono solennizzati i limiti
della città che, con la costruzione delle mura, esprimono la dignitas della comunità ed il
consensus all'imperatore. Infatti non è possibile costruire cinte murarie senza
l'autorizzazione imperiale e la loro presenza costituisce un privilegio importante. Simbolo
della nuova epoca è ad esempio il donativo di una cinta di circa 6000 m da parte dello
stesso imperatore alla colonia di Nîmes. Soprattutto in Gallia, dove l'edilizia militare era
stata meno forte che in Italia, si costruiscono grandi cinte murarie (Fréjus, Aix-en-
Provence, Autun, Vienne), che circondano un'area molto più grande dell'abitato effettivo e
si caratterizzano per la loro monumentalità. La scarsa importanza dell'aspetto militare
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con poco impegno economico. Si assiste così a costruzioni che sfruttano preesistenze
architettoniche o materiale di reimpiego. Le mura hanno una considerevole altezza e sono
normalmente fornite di torri aggettanti che superano di un piano l'altezza normale delle
cortine. Generalmente i camminamenti sono su più piani. In alcuni casi le cortine esterne
hanno decorazioni formate con la disposizione dei mattoni che richiamano quelle di periodo
augusteo o postaugusteo. In Occidente il prototipo delle mura tardoromane è dato dalla
cinta di Aureliano. Costruita in modo da sfruttare gli elementi geografici vantaggiosi alla
difesa, come il fiume o i rilievi orografici, ingloba diversi monumenti preesistenti. Per tutto
il Tardo Impero continua una preoccupazione costante per la difesa che si concretizza in
alcune opere di grande spessore architettonico come le mura di Salonicco o di
Costantinopoli. Ancora nel 396 Arcadio ed Onorio promulgano una legge che invitava le
città a costruire nuove mura o a rinforzare le vecchie e Teodosio II nel 413 erige la nuova
cinta di Costantinopoli, nel 439 la prolunga sul fronte marino.
Bibliografia
S. Johnson, Late Roman Fortifications, London 1983; H. Jouffroy, La construction publique
en Italie et dans l'Afrique romaine, Strasbourg 1986; Les enceintes augustéennes dans
l'Occident romain, Nîmes 1987; S. van de Maele - J.M. Fossey (edd.), Fortificationes
antiquae, Amsterdam 1992.
I SISTEMI DI DIFESA E DELIMITAZIONE DEI CENTRI URBANI NEL VICINO
ORIENTE FINO ALL'ETÀ ROMANA
di Pierre Leriche
Secondo le fonti letterarie il Vicino Oriente achemenide era assai poco urbanizzato, se si
eccettuano le città fenicie o le capitali regionali come Damasco. Sidone aveva opposto ad
Artaserse la barriera di alte mura protette da un triplo fossato e Tiro possedeva torri e
mura alte 16 m, "spesse in proporzione e formate da larghi filari di pietre legate da
intonaco". Le mura di Babilonia erano invece già in rovina all'arrivo di Alessandro e antiche
capitali, quali Karkemish, Hama e Qadesh, come hanno dimostrato gli scavi, erano oramai
decadute. Il Vicino Oriente conquistato da Alessandro era, con ogni probabilità,
essenzialmente rurale; allo stesso modo la Palestina, teatro di ripetute operazioni militari,
rivela nel IV sec. a.C. un incontestabile declino. Questa situazione spiega la vigorosa politica
di urbanizzazione dei Seleucidi, che crearono molte nuove città di grandi dimensioni
(Seleucia di Pieria e, sul Tigri, Laodicea sul mare), o ricostruirono, ingrandendole, quelle già
esistenti (Aleppo-Beroia, Damasco). Tutte erano circondate da mura che, sottolineando
visivamente il dominio e la forza del potere fondatore, divenivano il simbolo stesso della
città. Per la prima volta ad Antiochia veniva creata la personificazione della Tyche della
città, sotto forma di una donna ornata di corona turrita, un'allegoria che avrebbe
conosciuto una grande diffusione. In seguito, dalle colonie militari impiantate lungo le vie di
comunicazione e nelle zone poco urbanizzate nacquero numerose città ellenistiche: Cyrrhus
o Edessa sulla strada dell'Eufrate e dell'Iran, Gadara in Fenicia-Palestina, Babilonia in
Mesopotamia, Seleucia dell'Eulaios nell'Elam. Allo stesso modo, la colonia militare di Dura-
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Europos, fondata per controllare la strada del medio Eufrate, nella metà del II sec. a.C. fu
trasformata in città ippodamea di 75 ha, con possenti fortificazioni in pietra. In Palestina,
nel I sec. a.C., la piccola città fortificata di Macheronte, base avanzata della dinastia degli
Asmonei contro i Nabatei, fu dotata di una cittadella e di una spessa cinta muraria a pianta
poligonale, rinforzata da torri poderose (fino a 25 × 10 m). Le fortificazioni di queste città ci
sono note grazie alle scoperte degli ultimi decenni (Ibn Hani, Apamea di Siria, Dura-
Europos, Gebel Khaled, Apamea sull'Eufrate e Gadara), mentre altre città, prima ritenute
ellenistiche, vengono ora attribuite all'epoca romana (Gerasa). Le città ellenistiche situate
in una posizione strategica posseggono tutte una cittadella posta nel punto più elevato, al
quale si raccordano le mura urbane, che sfruttano le asperità del rilievo. Sul terreno
pianeggiante, alcune adottano un tracciato rettilineo (Aleppo, Seleucia sul Tigri), altre
applicano con intelligenza i precetti di Filone di Bisanzio (ad es., le mura a scaglioni di
Apamea sull'Eufrate, le numerose postierle di Gadara). A Seleucia sul Tigri il sistema
difensivo era rinforzato da canali che assolvevano alla funzione di veri e propri "muri
d'acqua". Si afferma una nuova tecnica costruttiva, che impiega blocchi modulari di pietra
tenera, talvolta associati ad un apparato poligonale, la cui estetica contribuisce al prestigio
della città. Le città greche passate sotto la dominazione partica conservarono la loro
autonomia e non svolsero funzioni di appoggio per il sistema difensivo del potere centrale.
A Dura-Europos le fortificazioni furono neglette dall'esercito partico, che stazionava in un
campo più a nord, nella vallata. Fu allora, probabilmente, che Apamea sull'Eufrate,
divenuta città di frontiera dell'impero partico, cessò di vivere. Seleucia sul Tigri, dal canto
suo, perdette il suo rango di capitale, dopo la rivolta contro i Parti nel 35-42 d.C., a
vantaggio della nuova città di Ctesifonte (non ancora localizzata), sulla riva sinistra del
Tigri. Lo sviluppo della città-santuario di Hatra, invece, rappresenta un eccellente esempio
della qualità e dell'evoluzione delle fortificazioni urbane partiche a un secolo di distanza. Nel
I sec. d.C. la città era circondata da una fortificazione quadrangolare in mattoni crudi,
spessa 3 m, su uno zoccolo di pietrisco, munita di torri quadrangolari da 5 a 6 m di
larghezza e 3,5 m di spessore. In una seconda fase la città estese i suoi confini e fu
circondata da una cinta muraria dal tracciato approssimativamente ovale, che racchiudeva
numerose tombe-torri e si apriva su una porta a labirinto. Un muro parallelo duplicava la
muraglia interna, mentre all'esterno era un fossato con parapetto interno eminente, sì da
formare un muro avanzato (proteichisma), a sua volta preceduto da una scarpa. La
muraglia principale, spessa 3 m, era costruita in mattoni crudi su uno zoccolo in pietra
concia, alto 1 m, ed era munita di torri cave rettangolari con feritoie su tre lati a livello del
suolo. In seguito alcune di queste torri furono rafforzate, in modo che aggettassero
maggiormente dalla cortina. Dal I sec. a.C. alla metà del III d.C., le città tendono a
sottolineare la propria importanza per mezzo delle fortificazioni, che esse mantengono o
ricostruiscono in maniera identica, come Apamea di Siria dove, dopo le scosse sismiche, si
aggiunse una nuova porta a quella settentrionale, in forma di arco trionfale. Le città di
nuova formazione si circondarono ugualmente di mura in pietra con torri ridotte e porte
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21/3/2014 Treccani, il portale del sapere
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