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Quindi posso avere anche un impianto che funziona a punto fisso, ma non produce
eccedenze. Il funzionamento a punto fisso ha il pregio della semplicità.
Quando l'impianto è acceso non ha bisogno di nessun tipo di regolazione. Questo ha
un beneficio termodinamico perchè l'impianto non regolato avrà un rendimento
elettrico elevato. Ogni volta che devo parzializzare il rendimento elettrico scende,
quindi se funziono sempre al 100% del carico, il rendimento elettrico sarà quello
nominale, quindi quello più alto possibile. Gli inconvenienti: se non scelgo in
maniera opportuna le ore di funzionamento posso avere produzione di eccedenza:
questo non è un grosso problema se le eccedenze sono limitate, ma può diventare
un problema economico se le eccedenze cominciano a pesare molto (oltre il 15/20%
di tutta l'energia elettrica prodotta) a quel punto il conto economico dell'impianto
può cominciare ad essere negativo. Oltre le eccedenze elettriche posso avere anche
eccedenza termiche. Se la potenza termica è superiore a quella richiesta dall'utenza,
se produco in più lo dovrò dissipare.
facendo in modo che la potenza erogata in cogenerazione sia sempre non superiore
a quella richiesta. Quindi se questa è la richiesta termica e il motore ha una potenza
termica disponibile di 500KW, ci sono delle ore in cui effettivamente riesco a
recuperare tutti i 500KW e devo integrare la caldaia, e altre ore in cui devo
parzializzare l'impianto per non produrre le eccedenze termiche. Dal punto di vista
termodinamico questa è certamente la soluzione che mi da il vantaggio di
massimizzare il rendimento termico, però anche in questo caso quando l'impianto è
parzializzato il rendimento elettrico scende. Non produco eccedenze termiche, ma
posso produrre eccedenze elettriche perchè su di esse non faccio nessun controllo.
Di norma il funzionamento a punto fisso è più semplice se si riesce a dimensionare
l'impianto in modo soddisfacente, facendo in modo che funzioni a punto fisso senza
produrre troppe eccedenze termiche e elettriche, alla fine questa è la soluzione
migliore. In subordine ha senso anche dimensionare l'impianto per farlo funzionare
con pilotaggio elettrico. Una volta che abbiamo scelto le modalità di esercizio ed ora
in poi daremo sempre per scontato che l'impianto funziona in parallelo e, per
semplicità, faremo l'ipotesi che funzioni a punto fisso (negli esempi numerici questa
sarà l'ipotesi perchè la più semplice possibile), avendo scelto già la modalità di
esercizio abbiamo completato il dimensionamento dell'impianto perchè comunque
abbiamo da scegliere la taglia e la tecnologia tra le varie possibili. Già la taglia e la
scelta della tecnologia sono influenzate sulle ipotesi fatte a monte sul
funzionamento fatto in parallelo o a punto fisso. Per esempio se l'impianto deve
funzionare a isola, non posso scegliere la taglia. La taglia deve coincidere col picco
della richiesta. Invece, se deve funzionare in parallelo la posso scegliere, però la
taglia sarà diversa a seconda di se faccio un punto fisso o un pilotaggio elettrico.
Quindi tutte queste scelte sono legate tra di loro. Alla fine posso identificare, in via
preliminare, un certo numero di possibili soluzioni che ci sembrano plausibili sia in
termini di tecnologia scelta(motore/turbina..) sia in termini di taglia. A quel punto si
devono analizzare tutte le possibili soluzioni e identificare alla fine quella migliore.
questo è il processo che dovremo seguire. Di norma qual è il criterio finale. La taglia
migliore è la più alta possibile compatibilmente con le esigenze di far funzionare
l'impianto almeno per 4000/5000 ore, senza produrre troppe eccedenze termiche e
elettriche.
Perchè la taglia deve essere la più grande possibile? Perchè se io metto un motore
piccolo mi costa di più, avrà un rendimento elettrico basso e se la taglia è troppo
piccola non incide in maniera significativa sui conti economici dell'utente. Se ho un
utente che solitamente assorbe 10MWe e gli installo un impianto di cogenerazione
da 100KW, l'impianto di cogenerazione dal punto di vista termodinamnico
funzionerà benissimo perchè l'energia che produce sarà sempre tutta consumata,
ma ovviamente quando il mio utente si farà i conti economici non se ne accorgerà
nemmeno che c'è un impianto di cogenerazione, perchè è talmente piccolo e
insignificante rispetto le dimensioni dello stabilimento che l'intervento è inutile.
Quindi per questi motivi la taglia deve essere più grande possibile, però
compatibilmente con le esigenze che abbiamo detto (funzionamento prolungato con
limitate eccedenze termiche ed elettriche).
Come si fa che siano soddisfatti questi requisiti? Dobbiamo partire dalle curve di
durata, dai diagrammi di carico, si fanno ipotesi sulla tecnologia e sulla taglia e poi si
fa l'analisi di fattibilità, confrontare fra loro le diverse soluzioni, fino ad identificare
quella ottimale. Di solito quando le utenze termiche sono a temperatura medio
bassa 90/95°C o anche ci sono richieste miste (metà a bassa temperatura e metà ad
alta) e le taglie non sono troppo grandi (fino 10MW), non c'è motivo per non
scegliere un motore alternativo. Quando una di queste ipotesi non è verificata posso
scegliere le turbine a gas. Il caso delle turbine a vapore è raro. Nei nostri esempi
sceglieremo sempre tra motore alternativo e turbine a gas, che sono le due
tecnologie in competizione nel campo delle piccole/medie taglie a seconda che il
livello di temperatura delle richieste termiche sia basso/medio.
La scelta della trigenerazione, piuttosto della cogenerazione fa parte delle ipotesi
iniziali sulla tecnologia da impiegare, normalmente ci limiteremo a una
cogenerazione semplice senza assorbitore, quando la sola richiesta termica ci
permette di raggiungere almeno 3000/4000 ore di funzionamento. Se la richiesta
termica ha una durata inferiore, quindi per raggiungere le stesse ore devo installare
per forza anche un assorbitore, a quel punto passiamo alla trigenerazione.
LEZIONE 6/05/2020 2° PARTE.
-L’impianto inoltre non dovrà essere troppo piccolo e quindi insignificante rispetto ai
fabbisogni energetici dell’utenza, in modo da coprire almeno il 30-40% dei carichi
dell’utenza. Al di sotto di queste percentuali infatti l’impianto diviene poco
significativo.
-Il tutto deve avvenire con almeno 4000-5000 h di funzionamento, quante più sono
le ore di funzionamento meglio sarà dal punto di vista del ritorno economico anche
se abbiamo visto che aumentare le ore di funzionamento significa in genere
abbassare la taglia dell’impianto per non produrre eccedenze elettriche e termiche a
meno che non si decida di fare un pilotaggio elettrico o termico. In verità noi il
pilotaggio lo troveremo tra le ipotesi sui criteri da adottare nel ragionamento ma
non lo utilizzeremo. Oggi come oggi il pilotaggio vista la situazione del mercato
potrebbe essere previsto ma per evitare grosse complicazioni, ipotizziamo che
l’impianto funzioni a punto fisso, quando l’impianto è in funzione, esso funziona al
100% del carico.
-Per le tariffe elettriche e del gas sono stati presi dei valori di riferimento.
Partiremo dalla soluzione più prudente, più cautelativa, ovvero dal gradino più basso
della curva di durata del carico termico, sulla base della richiesta. Quindi il motore
sarà il più piccolo in grado di funzionare sempre, almeno nelle ore in cui è presente
una richiesta termica, senza dissipare il calore. Se questo dimensionamento ci
soddisfa lo accettiamo per buono, se viceversa vediamo che questo motore è troppo
piccolo, riduciamo le ore mettendoci su un gradino più alto della curva di durata (la
curva sarà a gradini, non continua come questa) e proviamo con un motore un po’
più grande. Se ci accorgiamo ad esempio che queste ore sono 2000 ovvero vediamo
in partenza che se prevedo che l’impianto non abbia un assorbitore più di 2000 ore
all’anno la cogenerazione non può funzionare, andiamo a controllare cosa accade
invece se supponiamo di avere un carico frigorifero. Nei nostri esercizi ci sarà
sempre un carico frigorifero e vista la limitata durata del carico termico, supporremo
la presenza dell’assorbitore. Una volta deciso, sulla base di queste osservazioni
preliminari, che è richiesto un assorbitore, dovremo subito porci un problema.
Immaginiamo di avere un certo carico frigorifero:
L’assorbito
re in base al dimensionamento fatto sul carico termico avrà una certa taglia, ad
esempio supponiamo che sia quella segnata/ . In linea di principio il gruppo
frigorifero ad assorbimento è in grado di coprire questa parte del carico frigorifero.
Quella evidenziata è infatti proprio l’energia frigorifera che possiamo erogare in
cogenerazione, alimentato l’assorbitore con i reflui termici. In merito alle
integrazioni, teoricamente avremo due possibilità:
-visto che la soluzione di riferimento prevede già dei gruppi frigoriferi elettrici,
possiamo supporre che questa energia frigo di integrazione sia soddisfatta con i
gruppi già esistenti, così come le integrazioni termiche sono fornite mediante le
caldaie. Questa è la soluzione più naturale e nella maggior parte dei casi anche la più
conveniente. L’alternativa è istallare un assorbitore di taglia pari al picco della
richiesta invece che di taglia corrispondente al massimo che posso alimentare in
cogenerazione e fin quando posso alimentare l’assorbitore con i reflui termici lo
faccio, quando non posso più farlo alimento l’assorbitore con caldaia. Quindi
quando la potenza frigo richiesta è questa(segnata in verticale) la parte inferiore la
erogo in cogenerazione, la parte rimanente la erogo alimentando l’assorbitore con
energia termica prodotta in caldaia. Questa può essere una soluzione comoda
perché una volta istallata la macchina ad assorbimento, elimino i frigoriferi elettrici e
faccio tutto con la stessa macchina. Ma sappiamo benissimo che questa condizione
è poco conveniente dal punto di vista termodinamico ed economico. Produrre
l’energia frigorifera con questo assorbitore alimentato con caldaia non è
conveniente.
Se devo produrre 1KWh frigo con un assorbitore però alimentato mediante una
caldaia ho bisogno di 1/COPass KWh termici e quindi 1/COPass*ƞ ca KWh di energia
primaria. Se la stessa energia frigorifera la produco con un chiller elettrico avrò
bisogno di 1/COPel KWh elettrici e quindi 1/COPel*ƞel KWh primari. Facciamo il
confronto e vediamo che nel caso di un assorbitore a singolo effetto il COP=0.7 e il
CUC di questa catena di conversione sarà CUC=0.7*0.9=0.6(circa) mentre con un
normale chiller di COP=3 e il CUC=3*0.46=1.5(circa). Non c’è paragone, meglio
alimentare l’energia frigorifera con un chiller elettrico. Lo stesso confronto dal punto
di vista dei costi e delle emissioni porta allo stesso risultato. Solo con un assorbitore
bistadio il confronto è più benevolo nei confronti dell’assorbitore ma comunque
anche se dal punto di vista termodinamico i due sistemi sono confrontabili, dal
punto di vista economico a meno che il metano non costi eccessivamente poco
conviene sempre la catena con gruppo frigorifero elettrico. Con questa banalissima
analisi si può capire come conviene produrre tali integrazioni. Noi scegliamo sempre
una soluzione che non è la migliore ma è quella più semplice, ovvero fare tutto il
frigorifero con l’assorbitore perché questa è la soluzione più facile da utilizzare. Se
devo produrre parte dell’energia frigorifera con l’assorbitore e parte con il
frigorifero elettrico, quando faccio i bilanci energetici, economici e di emissioni
evitate è tutto più complicato. Quindi se c’è l’assorbitore esso copre tutto il carico. A
questo punto se avremo fatto questa scelta una ulteriore semplificazione sarà
questa: avendo la presenza simultanea di richiesta termica e frigorifera diventa
assolutamente indifferente la scelta di utilizzare l’energia termica del motore
prioritariamente per alimentare l’utenza termica o l’assorbitore. Supponiamo di
avere la presenza contemporanea di richiesta termica e frigorifera, (disegno una
curva di carico e di durata contemporanea)
e supponiamo che la disponibilità dei reflui termici non sia sufficiente a soddisfare
entrambe le richieste. Devo scegliere a chi dare priorità ovvero o do priorità
all’utenza termica e poi integro un po di frigorifero con la caldaia che alimenta
l’assorbitore o do priorità al frigorifero con l’integrazione di calore tramite caldaia.
Visto che alla fine devo azionare comunque la caldaia o per coprire una parte del
carico termico o per coprire una parte di carico frigorifero, proprio grazie alla
decisione di coprire il carico frigorifero solo mediante assorbitore alimentato da
caldaia, la scelta diviene totalmente indifferente sia dal punto di vista
termodinamico che economico. Se non fosse vera l’ipotesi fatta in precedenza mi
dovrei chiedere volta per volta se mi conviene alimentare l’utenza termica o
frigorifera. Tra l’altro non è sempre detto che si possa facilmente stabilire la scelta
più conveniente tra le due, molto dipende dal costo dell’energia elettrica che è
variabile a seconda delle fasce orarie (più bassa in ore vuote, più alta in ore piene)
quindi potremo avere facilmente una situazione in cui nelle ore vuote conviene
alimentare l’utenza termica mentre i chiller elettrici costano poco, mentre nelle ore
piene si inverte la condizione e mi conviene alimentare l’assorbitore per evitare di
consumare energia elettrica nei chiller.
Se c’è l’assorbitore nel caso di singolo effetto il COP=0.7 per il doppio effetto il
COP=1.2. Nelle analisi economiche dovremo considerare un elemento che può
divenire importante: a norma di legge il GN utilizzato per produrre energia elettrica
non è soggetto al pagamento di accise se non che ad una piccolissima tassa
trascurabile. Quando però utilizziamo un impianto di cogenerazione esso produce
sia energia termica che energia elettrica. Quindi nasce il problema di valutare
quanto del metano sia utilizzato per produrre energia elettrica e quanto sia
utilizzato per produrre energia termica. Poiché dal punto di vista termodinamico
non è possibile distinguere il metano che produce calore e quello che produce
energia elettrica, si utilizza un criterio fissato dall’autorità per l’energia elettrica per
il quale si assume convenzionalmente che il consumo specifico di metano per
produrre energia elettrica sia pari a 0.22 Sm³/KWh. Esso è fissato per legge e negli
anni aggiornato. Quindi avrò un consumo specifico pari a
Con 1m³ metano ho a disposizione una quantità di energia pari a PCI KWh primari
dove PCI si misura in KWh/m³ e lo assumiamo pari a 9,59. Quindi avrò a disposizione
9,59 KWh primari, con cui avrò una produzione di PCI*ƞel,cog KWh elettrici. La legge
mi dice che posso poi defiscalizzare del mio m³ iniziale 0.220*PCI*ƞe (Sm³). Questa
sarà la frazione di m³ non soggetta ad accise. Si può scrivere anche come
ƞe ƞe
=
1 0,474 dove questo denominatore si può considerare come un
PCI ×o ,220
rendimento elettrico di riferimento. La frazione di metano su cui pago le tasse sarà
ƞe
1− e quindi l’incidenza sul consumo iniziale di metano per ogni m³ delle tasse
0,474
ƞe
sarà: 1− 0,474 ∗Iu , m. La defiscalizzazione si applica quindi per ogni m³ con questa
formula. Questo 0,474 sarà il rendimento di riferimento corrispondente al consumo
specifico di riferimento pari a 0.22 fissato dall’autorità, che dipende dal valore
attribuito al PCI standard. Quanto vale questa imposta? Se l’utenza che stiamo
considerando è già di per se un’utenza soggetta a regime fiscale industriale (un
albergo, un ospedale, un’industria), questa imposta sarà quella propria del regime
industriale. Se invece il sistema di riferimento è caratterizzato da un regime
civile(uffici, università, condominio) una legge ancora precedente stabilisce che è
possibile grazie alla presenza della cogenerazione transitare dal regime industriale a
quello civile a patto che l’energia elettrica prodotta in cogenerazione sia almeno il
10% di tutta l’energia primaria che l’utenza consuma sotto forma di gas naturale,
quindi l’impianto deve essere abbastanza grande. Inoltre l’impianto di
cogenerazione dovrà essere gestito non dall’utente dell’energia elettrica e termica
che produca ma da una terza società, cioè si dice che l’impianto è servito in servizio
energia, ci vuole questo soggetto esterno che a questo punto diventa un soggetto
industriale, che per mestiere produce energia elettrica e termica in cogenerazione
che poi rivende all’utente finale. Se le due condizioni vengono rispettate allora
l’utente che prima era in regime civile transita in regime industriale e l’imposta che
pagheremo sarà quella del regime industriale. In tutti gli altri casi il regime resta
civile. Facciamo anche qui un’ipotesi semplificativa e quando l’utenza è nel regime
civile facciamo l’ipotesi che questo servizio energia sia sempre verificato, quindi
supponiamo che il transito alla cogenerazione comporti il passaggio al regime di tipo
industriale e poi a-posteriori verifichiamo che questa assunzione sia davvero
corretta.
Una volta che tra le diverse possibili ipotesi avremo scelto quella che ci piace di più
dovremo verificare in via preliminare, non avendo il tempo di ripetere lo studio in
diverse ipotesi di lavoro se almeno per le ore di fascia F3 quelle per cui il prezzo
dell’energia prelevata dalla rete pubblica è più basso convenga far funzionare
l’impianto. Nelle ore vuote può accadere che il costo dell’energia che posso
prelevare dalla rete sia inferiore del costo dell’energia elettrica che posso ottenere
in cogenerazione. Quindi a quel mi converrebbe spegnere l’impianto nelle ore vuote
e prelevare l’energia dalla rete. Oggi il rischio è abbastanza remoto se l’impianto è in
assetto cogenerativo ovvero se il rendimento termico è elevato, però negli esempi
dovremo sempre fare questa verifica. Andremo a realizzare questa verifica con una
formula relativa al costo del KWh prodotto, questa condizione:
Cu , gnCog ƞt Cu , gnCa
Cu , cog= − /ƞe + M dove ƞt è il rendimento termico nelle ore
PCI ƞca PCI
che ci interessa verificare, ovvero nelle ore vuote di fascia F3. Confrontiamo questo
costo con il Cee di rete che prendiamo dalle tariffe di riferimento presenti in
appendice e che assumiamo pari a 134 €/MWh che è un costo che tiene conto di
tutti gli oneri tranne le imposte. Sono dei costi tutti al netto delle accise elettriche.
Ogni volta dobbiamo controllare per le ore vuote che il primo costo sia minore del
secondo, se essi coincidono o il primo è maggiore del secondo in quelle ore è meglio
che l’impianto non funzioni. Questo confronto lo facciamo in questa maniera se
tutta l’energia elettrica è destinata all’autoconsumo, perché se tutta l’energia
elettrica la autoconsumo evito di comprarla.
Supponiamo per esempio che il 30 % dell’energia elettrica che sto producendo sia
destinata alla vendita delle eccedenze e il rimanente 70%all’autoconsumo.
A questo punto per capire,almeno nelle ore vuote, se convenga far funzionare
l’impianto o no cosa faccio? Per il 70 % l’energia elettrica va all’autoconsumo e
quindi il relativo costo evitato è quello di rete in fascia 3 (C U , EEF 3 ¿. Per il rimanente
30 % il prezzo che devo considerare è quello a cui venderei l’energia se la producessi
( P EEF 3 ¿; faccio una media pesata e capisco se con questo costo di produzione mi
conviene o no per far funzionare l’impianto; assumiamo un costo costante di circa
60 €/MWh.
Attenzione: questa espressione appena scritta andrà bene sia per la cogenerazione
sia per la trigenerazione nelle ipotesi in cui ci siamo messi perché anche se è
presente l’assorbitore, questo se c’è produce TUTTA l’energia frigorifera quindi se
quest’ipotesi è vera, qualora l’impianto decidiamo di mantenerlo in funzione in ore
vuote quello che evitiamo è sempre un consumo in caldaia. I gruppi frigoriferi
elettrici di integrazione, nelle ipotesi in cui ci siamo messi(impianto di cogenerazione
con l’assorbitore) non esistono proprio più, dunque vediamo che ragionamento sto
facendo:
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