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Editoriale

D opo quasi due anni di lavoro il numero monografico di Chora dedicato a Enzo Paci è
finalmente pronto per la pubblicazione. Esso non si proponeva di uscire in concomi-
tanza di una ricorrenza, e ciò nondimeno saluterà in anticipo l’arrivo del trentenna-
le della scomparsa del filosofo teoretico, confidando di poter inaugurare, almeno nello spirito,
una serie di eventi e di celebrazioni che, auspicabilmente, verranno dedicati alla sua figura nel
corso del 2006. L’insieme delle testimonianze raccolte dai curatori e dalla redazione – e ottenu-
te grazie alla generosa e volenterosa collaborazione degli eredi dell'insegnamento paciano –
costituisce una fotografia di una porzione notevolmente ampia e rappresentativa della filoso-
fia italiana contemporanea, e testimonia in forza di ciò come l’eredità della ricerca di Paci abbia
saputo affermarsi in maniera solida e influente proprio per esser stata capace di produrre frut-
ti eterogenei, tendenze di ricerca e stili del discorso filosofico anche molto distanti – non solo
tra di loro, ma anche nei confronti dello stesso insegnamento paciano. E’ la vitalità di questo
movimento di diversificazione, ripensamento e rinnovamento che testimonia con forza il moti-
vo di una innegabile continuità nei confronti di una comune provenienza, radicata nel multi-
forme e a-sistematico impegno del filosofo di Monterado; e il fatto che questa monografia sia
stata voluta e progettata da coloro che nascevano proprio durante l’ultimissimo periodo della
vita di Paci fa pensare che il fascino della sua proposta non sia mai spento e che, come un filo
ininterrotto, continui a esercitare la sua suggestiva influenza. Un legame sottile e tenace, come
quello che unisce Enzo Paci a Paul Ricoeur, filosofi coetanei che furono anzitutto amici (fin dai
tempi della comune prigionia nei campi di concentramento tedeschi) e poi colleghi, rivolti
verso analoghi progetti filosofici ispirati dalla sensibilità esistenzialista, dal rigore della feno-
menologia e da un ideale enciclopedico di interdisciplinarietà. La redazione dedica il presente
fascicolo di Chora alla memoria dei due grandi pensatori, quello italiano – scomparso quasi
trent’anni or sono – e quello francese – venuto a mancare nei giorni scorsi.
La Direzione

Chora - Laboratorio di attualità, scrittura e cultura filosofica - Anno V, n. 11 (Maggio 2005)


E-mail: chora2001@hotmail.com - www.chora.too.it
Questa pubblicazione è stata registrata presso il Tribunale di Milano in data 20/09/2002 al n. 458; finanziata grazie ai fondi messi a
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03/08/1985; realizzata dal lavoro volontario e gratuito degli studenti e cultori della materia che compongono la redazione; pubblica-
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tati a contattarci per far valere il loro diritto.
Tiratura: 1500 copie
Direzione editoriale: Matteo Bianchetti, Massimiliano Lorenzo Cappuccio, Erasmo Silvio Storace
Direttore responsabile: Massimiliano Lorenzo Cappuccio ed Erasmo Silvio Storace
Redazione: Matteo Bianchetti, Claudio Bonaldi, Massimiliano Lorenzo Cappuccio, Chiara Colombo, Davide Rizza, Erasmo Silvio
Storace, Emiliano Vincenzo Toppi
Hanno collaborato a questo numero: Matteo Bianchetti, Massimiliano Cappuccio, Chiara Colombo, Sonia Ghidoni, Andrea
Giananti, Michele Ginammi, Massimiliano Luce, Giuseppe Moscati, Ilenia Beatrice Protopapa, Alessandro Sardi, Nicola Spinelli,
Erasmo Silvio Storace
Si ringraziano calorosamente: Domenico Jervolino, Federico Leoni, Alfredo Marini, Fulvio Papi, Emilio Renzi, Carlo Sini, Salvatore
Veca, Amedeo Vigorelli, Stefano Zecchi
Progetto grafico interno: Claudio Bonaldi
Progetto grafico copertina: Massimiliano Lorenzo Cappuccio

ERRATA CORRIGE: il titolo corretto del contributo di Giovanni PRISINZANO comparso su Chora n. 10 è il seguente: “La formulazione del
problema dei giudizi sintetici a priori nelle sezioni introduttive della Critica della ragion pura”. Ci scusiamo con l’autore per l’errore.
Sommario

Enzo Paci

Editoriale p. 1

OMAGGIO A RICOEUR p. 4
L’unità della sua opera e il paradigma della traduzione
di Domenico JERVOLINO

Dossier p. 6
ENZO PACI: il filosofo, la vita e la cultura
a cura di Massimiliano CAPPUCCIO e Alessandro SARDI
ATTRAVERSANDO IL DIARIO FENOMENOLOGICO p. 9
di Enzo PACI

ENZO PACI: p. 11
LE FORME DEL SOGGETTO TRA AUTOBIOGRAFIA E FONDAMENTO
di Fulvio PAPI

IL GIOVANE ENZO PACI: p. 22


DAL CONFRONTO CON CROCE ALL’ESISTENZIALISMO POSITIVO
Intervista ad Amedeo VIGORELLI
a cura di Massimiliano CAPPUCCIO e Alessandro SARDI

PLATONE NELLA RIFLESSIONE DEL GIOVANE PACI p. 25


di Matteo BIANCHETTI

PRESENZA DI ENZO PACI p. 31


NELLA CRISI DELLA CULTURA CONTEMPORANEA
di Stefano ZECCHI

UN RICORDO DEL MAESTRO. ENZO PACI E L’ARTE p. 35


Intervista a Stefano ZECCHI
a cura di Matteo BIANCHETTI

L’ESISTENZA CHE DIVENTA FILOSOFIA p. 37


Per una rilettura dell’opera di Enzo PACI
di Giuseppe MOSCATI
ENZO PACI E LA POLIS: p. 42
DALLA NASCITA DI AUT AUT ALLA FINE DEL COMUNISMO
Intervista a Salvatore VECA
a cura di Massimiliano CAPPUCCIO

OSSERVATORIO SULLE RIVISTE: AUT AUT p. 47


a cura di Massimiliano CAPPUCCIO

PACI E MERLEAU-PONTY p. 50
Una testimonianza e qualche riflessione
di Guido Davide NERI

ENZO PACI, LA FENOMENOLOGIA E IL PENSIERO POLITICO p. 53


Intervista ad Alfredo MARINI
a cura di Massimiliano CAPPUCCIO, Alessandro SARDI, Erasmo Silvio STORACE

ENZO PACI: LA FENOMENOLOGIA DEI PROCESSI IN RELAZIONE p. 62


di Alessandro SARDI

L’EDITORIA, I PERIODICI E LE CONFERENZE: p. 67


ENZO PACI FUORI DALL’UNIVERSITÀ
Intervista a Emilio RENZI
di Massimiliano CAPPUCCIO

ENZO PACI E L’AMERICA p. 72


di Massimiliano LUCE

ENZO PACI: LA “SCIENZA UNIFICATA” NELL’UMANISMO DI DEWEY p. 78


di Alessandro SARDI

IL FILOSOFO E IL DRAMMATURGO: p. 84
ENZO PACI E THOMAS MANN, STORIA DI UNA CORRISPONDENZA

ENZO PACI E LA VITA DELLA VERITÀ p. 87


di Carlo SINI

ENZO PACI E LA SCUOLA DI MILANO p. 89


I maestri, i colleghi, gli allievi in un’intervista a Carlo SINI
a cura di Federico LEONI

DAL COMPUTAZIONALISMO ALLA FENOMENOLOGIA p. 96


Enzo PACI, Alan TURING e l’impossibile gioco dell’imitazione
di Massimiliano CAPPUCCIO

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE DI ENZO PACI p. 107


a cura di Alessandro SARDI

UN PERCORSO TRA LE OPERE DI ENZO PACI p. 109


a cura di Massimiliano CAPPUCCIO

In libreria... Schede di lettura, recensioni p. 115

Nei prossimi numeri... p. 128


4 OMAGGIO A PAUL RICOEUR

OMAGGIO A RICOEUR
L’unità della sua opera e il paradigma
della traduzione

di Domenico Jervolino

Paul Ricoeur è morto Venerdì 20 Maggio, all’età di 92 anni. Se gli interpreti, allora, si ponevano il problema di
Ricordiamo la sua opera attraverso la testimonianza del Prof. conoscere la domanda delle domande, quella che è alla
Domenico Jervolino, che oltre ad essere uno dei suoi studiosi base di tutte le altre e guida la lunga via del filosofo,
più accorti è anche uno dei suoi allievi più devoti. Il testo è trat- quest’ultimo, sottraendosi alla questione e rinviandola
to da “Omaggio a Ricoeur. L’unità della sua opera e il paradig- al lavoro di lettura dei suoi interpreti, difendeva anche
ma della traduzione”, nel dossier « ll dono delle lingue. La tra- la libertà del suo camminare.
duzione e l’esperienza dell’alterità », a cura di D. Jervolino e R. Per quel che mi riguarda, nel mio libro del 1984 Il cogi-
Pititto, in Studium, n. 5/2003, pp. 657-667. Ringraziamo to e l’ermeneutica. La questione del soggetto in Ricoeur, pro-
l’autore per averci consentito di riprodurre il testo. ponevo di cogliere nella “questione del soggetto” il cen-
tro tematico del suo filosofare. Io trovavo in Ricoeur
a Paul Ricoeur un’alternativa alla concezione del soggetto dominante
nella filosofia moderna e criticata da Heidegger in
Il miglior omaggio a un pensatore è un dono di pen- Holzwege, quindi non un soggetto per il quale il mondo
siero, che è nello stesso tempo la risposta al dono che diventa spettacolo e dominio, ma un soggetto, incarnato
egli ci fa con la sua opera, provocando e alimentando il e plurale, inteso come sforzo e desiderio di essere, sicché
nostro interrogare. io non solo sottolineavo l’integrazione metodologica di
Paul Ricoeur possiede nel grado più alto questa capa- riflessione e interpretazione, ma auspicavo un esito pra-
cità di donare, che il segno di una fedeltà alla vocazione tico dell’ermeneutica ricoeuriana in direzione di una
propria del filosofo che egli ha fatta sua fin dalla sua gio- etica e una politica della liberazione. Ricoeur nella sua
vinezza, già alla scuola di Dalbiez, il suo professore di generosa e benevola prefazione esprimeva la sua grati-
filosofia nel liceo di Rennes. Nella ricchezza di un pen- tudine “à l’égard d’un travail qui, d’ouvrages dispersés
siero dal quale tutti noi abbiamo ricevuto, noi onoriamo et de nombreux articles lus avec soin, fait une seule oeu-
questa fedeltà di tutta una vita, che ha scelto come paci- vre que tout à la fois je reconnais – en tous les sens du
fico reame il dominio della parola filosofica, coltivata, mot – et que je me sens bien incapable d’avoir écrite...”1.
meditata, trasmessa attraverso la semplice felicità del- Ma non voglio parlare più a lungo di me stesso, per-
l’insegnamento: “La parola è il mio regno”, “Io sono ché lo scenario di quello che ho chiamato un “conflitto
stato un professore felice”, noi tutti ricordiamo queste amoroso” fra l’Autore e i suoi interpreti si è ripetuto più
dichiarazioni di Ricoeur. Alla fedeltà a una vocazione volte. A partire dalla prefazione al libro di Don Ihde del
filosofica appartiene anche la preoccupazione del cre- 1971, che inaugura la letteratura su Ricoeur nell’area
dente di “non mescolare i generi”, di salvaguardare cioè anglofona, quest’ultimo parte dalla considerazione che
l’autonomia del discorso filosofico e la penombra nella “ciascuno dei suoi libri ha costituito una risposta a un
quale esso necessariamente cammina, anche rispetto alla problema determinato e ha affrontato situazioni e sfide
luce abbagliante della Parola rivelata (che peraltro susci- differenti”e che invece, grazie all’opera del suo interpre-
ta nella vita del credente altre forme di oscurità). te, “di colpo essi sono collocati all’interno di un’unica
La questione dell’unità dell’opera di Ricoeur è stata prospettiva che li ingloba come un tutto. Una nuova
a lungo oggetto di quello che ho avuto modo di chia- domanda è rivolta ad essi: che cosa dicono, se li si consi-
mare un “conflitto amoroso”, alla maniera di Jaspers, dera non già isolatamente, ma nel loro complesso?”2.
tra l’Autore e i suoi interpreti, questi ultimi impegnati Così ancora in A reponse by Paul Ricoeur nella pregevole
alla ricerca di un filo conduttore nella sua vasta e varie- raccolta curata da John B. Thompson, egli scrive, a pro-
gata produzione, egli attento piuttosto ai momenti di posito della introduzione del Thompson: “La prospettiva
discontinuità, alle rotture nel suo percorso, alla doman- che egli propone corregge l’impressione opposta alla
da da cui nasce ogni singola opera e che lascia un resi- quale io ho la tendenza a soccombere: quella di una certa
duo irrisolto che impone di continuare il cammino. mancanza di continuità nei miei scritti. Perché ciascuna
1. Préface a D. Jervolino, Il cogito e l’ermeneutica. La questione del soggetto in Ricoeur, Procaccini, Napoli 1984, p. 7 (Marietti, Genova
19932, p. IX).
2. Foreword a D. Ihde, Hermeneutic Phenomenology. The Philosophy of Paul Ricoeur, Northwestern University Press, Evanston 1971,
p. XIII.
OMAGGIO A PAUL RICOEUR 5

delle mie opere affronta una sfida determinata, e ciò che In questo modo ci sono, almeno per quel che mi
la collega alle precedenti mi sembra essere, più che lo riguarda, ma credo di poter parlare non solo per me
svolgimento regolare di un unico progetto, il riconosci- stesso, le condizioni per dichiarare chiuso il conflitto
mento di un residuo lasciato dall’opera precedente, un amoroso fra l’autore e i suoi interpreti. Al conflitto,
residuo che dà origine a sua volta a una nuova sfida”3. segue la pace, una pax philosophica che contiene in se
Ricorderò ancora il convegno spagnolo su Ricoeur svol- stessa, superato, il conflitto, cioè l’estraneità reciproca
tosi a Granada nel 1987. La prima relazione di quel fra l’autore e suoi lettori e interpreti.
Convegno, svolta da Manuel Maceiras e intitolata Paul Questa pax philosophica egualmente, anzi a maggior
Ricoeur: una ontología militante, si apriva con le parole ragione, comporta l’elemento dell’amore e della ricono-
“Questa esposizione obbedi- scenza, fra autore e lettori, nel
sce al proposito ambizioso, duplice senso del riconosci-
non so fino a che punto ade- mento e della gratitudine
guato, di cercare di inqua- Riconoscimento della
drare l’opera di Ricoeur nel “cosa del pensiero” che
suo complesso...” e poi si comanda la sequenza, in un
impegnava in una articolata certo senso infinita, delle
ricostruzione di quest’ulti- interrogazioni, tutte gravitan-
ma intesa come risposta ti attorno a quella che per
fenomenologico-esistenziale Kant è la domanda fonda-
e fenomenologico ermeneu- mentale della filosofia: che
tica all’interrogativo di Kant: cosa è l’uomo? e che Agostino
Che cosa è l’uomo? Ricoeur esprime in forma più dram-
rispondeva, ringraziando, matica: Quaestio mihi factus
ma anche affermando: “Mi è sum. Io sono diventato un
molto difficile prendere par- problema per me stesso.
tito rispetto a questa inter- Riconoscimento e gratitu-
pretazione complessiva nella dine per la risposta: “E’ l’uo-
misura in cui io, come auto- mo capace di...”, una rispo-
re, sono soprattutto sorpreso sta che, a sua volta, può pro-
per la discontinuità che fa di durre una serie infinita di
ogni opera una risposta limi- risposte...: L’uomo capace
tata a una questione , o di... parlare, di agire, di rac-
meglio a una provocazione, contare e di raccontarsi, di
essa stessa limitata. In que- assumersi la responsabilità
sto senso, solo un lettore e della proprie azioni..., ma
un lettore sinottico, com’è anche di ricordare e di
Maceiras, può assumersi il dimenticare, di fare la storia
compito di designare la fina- e di scriverla, di giudicare e
lità perseguita con costanza di essere giudicato, di com-
e la mediazione metodologi- prendere la propria condi-
ca che il raggiungimento di zione umana, attraverso il
tale finalità esige”4. Paul Ricoeur lavoro paziente dell’inter-
Questo fondamentale pretazione e della traduzio-
richiamo al lavoro della lettura lasciava però aperta ne, che è ancora una capacità di dire altrimenti...
una possibilità: che l’autore diventasse lettore di se Ed è anche, alla fine di una lunga navigazione nella
stesso. Sappiamo che questa possibilità si è realizzata vita, la capacità di realizzare, grazie alla difficile espe-
negli anni più recenti e che lo stesso Ricoeur ha indica- rienza del perdono, che l’uomo vale più delle proprie
to la nozione di “homme capable” come filo condutto- azioni e delle proprie colpe e che il culmine della sag-
re “sottile ma continuo” di tutta la sua opera, nella gezza è la capacità di meravigliarsi di fronte al sempli-
varietà dei suoi approcci e dei suoi sviluppi, partendo ce splendore del puro fatto di esistere come esseri
dalla giovanile fenomenologia della volontà, dall’“io umani..., come ci insegnano quegli umili maestri che
posso” che mi costituisce come soggettività volente, sono i gigli dei campi e gli uccelli del cielo...
sempre correlata all’involontario della natura fino alla Riconoscimento e gratitudine, come dicevo all’inizio
ricapitolazione dei molteplici modi in cui il sé si con- di questa relazione, per il dono del pensiero che ci
quista nella dialettica ininterrotta fra immediatezza e viene fatto e che ci invita a filosofare a nostra volta. Il
riflessione, fra la medesimezza che è propria alla rapporto fra autore e lettori non è di fusione né di estra-
maniera di essere delle cose e l’essere se stessi delle neità, ma diventa riconoscimento reciproco e appello
persone, fra il sé e il suo altro, o meglio le forme, mol- alla libertà del filosofare.
teplici anch’esse, dell’alterità. Forse comprendiamo ora meglio perché l’ultima
Un sé che non è patrimonio geloso dell’io in prima parola di La mémoire, l’histoire, l’oubli è “Inachèvement”
persona, ma il pronome riflessivo onnipersonale sé che e perché l’immagine con la quale Ricoeur caratterizza
alla fine coincide con la condizione degli esseri umani la sua ermeneutica rispetto a quella gadameriana della
che agiscono e soffrono assunta nell’atto povero e regale “fusione degli orizzonti” sia l’immagine della “fuga
insieme della riflessione filosofica. degli orizzonti”.
3. A response by Paul Ricoeur, in P. Ricoeur, Hermeneutics and the human sciences, a cura di J. B. Thompson, Cambridge University
Press- Editions de la Maison des Sciences de l’Homme, Cambridge-Paris 1981, p. 32.
4. Cfr. Paul Ricoeur: los caminos de la interpretación, a cura di T. Calvo Martinez e R. Avila Crespo, Anthropos, Barcelona 1991, pp.
45, 67.
6 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

DOSSIER: ENZO PACI


IL FILOSOFO, LA VITA, LA CULTURA
a cura di
Massimiliano Cappuccio
e Alessandro Sardi

Q uesto dossier inaugu-


ra una serie di appro-
fondimenti monogra-
fici che Chora si propone di
dedicare a quei protagonisti
del passato della ricerca filoso-
fica milanese che hanno rap-
presentato nella maniera più
autorevole e influente la tradi-
zione filosofica in Italia:
Antonio Banfi, Remo Cantoni,
Mario Dal Pra, Ludovico
Geymonat, Piero Martinetti,
Giulio Preti. E, appunto, Enzo
Paci. Si tratta di un percorso
attraverso il pensiero di quei
“maestri dei nostri maestri”
che i più giovani filosofi dell’a-
teneo milanese non hanno
potuto incontrare personal-
mente ma che, indirettamente,
hanno imparato a conoscere e a
stimare, attraverso l’insegna-
mento di coloro che furono
allievi loro e che ora ne prose-
guono la ricerca nelle stesse
istituzioni accademiche. L’in-
trapresa di questo cammino
nella memoria storica e filosofi-
ca rappresenta la proposta che
Chora ha voluto sviluppare per
avviare un’indagine riflessiva
sulle condizioni della propria
Enzo Paci - Foto di Paola Mattioli scrittura, sulla provenienza del
ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura 7

pensiero che ci costituisce e ci individua nel- ti o con i quali, in ogni caso, hanno dovuto
l’appartenenza al nostro concreto modo di confrontarsi.
frequentare la ricerca filosofica. Non si può ignorare poi che, oltre ad esser-
Si è scelto di dedicare a Enzo Paci si distinto per la sua attività professionale,
(Monterado, 1911 - Milano, 1976) la prima Paci ha incarnato una delle figure più stima-
tappa di questo percorso per alcune ragioni te, in Europa, del cosiddetto filosofo della cul-
specifiche. Enzo Paci è stato uno dei primis- tura, tanto che il suo nome, in alcuni contesti,
simi studiosi italiani a promuovere nel e non senza la prudenza degli opportuni
nostro paese la conoscenza di importanti cor- distinguo, viene comparato a quello di illu-
renti della filosofia contemporanea, tra le stri intellettuali d’oltralpe. Per coloro che
quali si segnala, primariamente, la fenome- scoprono Paci per la prima volta, a quasi
nologia di Husserl e dei suoi discepoli. trent’anni dalla sua morte, il suo profilo –
Preceduto in questo da Antonio Banfi, Paci contornato dal chiaroscuro del ricordo e
ha però condotto una politica culturale di della storia, e forse sfumato dal lucore nebu-
diffusione della fenomenologia impareggia- loso dell’interpretazione - affiora con i linea-
bile per robustezza, capillarità e fecondità: menti ben riconoscibili di quel pensatore
una proposta “militante”, che perseguiva la impegnato che intende rispondere del suo
compenetrazione della fenomenologia con le impegno di fronte all’intera società cui
opzioni filosofiche più vivaci negli anni ’60 e appartiene, avvertendo la chiamata di un
’70, come l’esistenzialismo e il marxismo, e confronto responsabile e sincero con le gran-
che per di più si proponeva di impugnare la di domande e con le sfide della sua epoca;
metodologia husserliana come uno strumen- una figura di filosofo destinata probabilmen-
to efficacissimo per far proprie (ma anche te ad apparire sempre più obsoleta nell’o-
per influenzare in senso antipositivistico e dierna ripartizione disciplinare istituzionale,
relazionistico) esperienze intellettuali e cul- ma che, proprio in forza del suo carattere
turali diversissime, sbocciate in ambiti disci- quasi archetipico, non smette di rappresenta-
plinari tra loro lontani e per lo più incomuni- re, nell’inconscio collettivo della filosofia, un
canti, come le scienze naturali, la psiconalisi, suggestivo termine di riferimento per il suo
la letteratura e le arti, la musica e l’architet- spirito progettuale ampio e limpido, per il
tura. Come ogni studente potrà constatare suo impegno schietto e radicale, e – soprat-
accostandosi alle sue opere, alcuni dei saggi tutto – per la sua vocazione ad un dialogo e
fenomenologici di Enzo Paci costituiscono ad una sintesi interdisciplinari che siano
ancora oggi degli strumenti di introduzione autentici e sostanziali, perché capaci di getta-
allo studio o di approfondimento insuperati re ponti tra forme culturali e filosofiche
per chiarezza espositiva nonché per spessore distanti senza annullarne l’irriducibile, reci-
e ampiezza di prospettiva; gli stessi testi su proca, alterità.
cui i fenomenologi più maturi si sono forma- Massimiliano Cappuccio
8 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

Paci nascosto e rubato Fortunatamente, ho trovato molto materiale


nella biblioteca comunale di Busto Arsizio, la
Nel 2002 decisi di svolgere la tesi di laurea quale vanta un’ottima ed abbondante scelta
su Enzo Paci. Fino ad allora, di Paci, avevo di testi filosofici (tutta l’opera di san
letto qualche pagina di Funzione delle scienze Tommaso per indici, fatta da padre Busa è in
e significato dell’uomo e ne avevo sentito solo consultazione, oltre alle opere omnie in latino
parlare, una volta e a lungo, da un insegnan- di diversi autori del Rinascimento... raro per
te mio amico di Busto Arsizio, di nome essere una biblioteca di paese), grazie al
Renato Marazza; il quale, all’età di 17 anni, lavoro che svolse ormai decine di anni fa il
saltava volentieri le lezioni al Liceo classico primo direttore, professor Roggia. Sempre
per andare a Milano ad ascoltare quelle di l’amico Marazza mi ha lasciato consultare
Paci. In seguito, Marazza sostenne tre esami diversi suoi testi e riviste davvero rari. Così
di filosofia teoretica ed ebbe modo di fre- in qualche modo ho rimediato tutto ciò che
quentare Paci in strane ed affascinanti confe- mi serviva e anche di più.
renze alla Pirelli, con gli operai, su fenome- Una domanda, però, mi perseguita ormai
nologia e marxismo, nei chiostri e nei bar da qualche anno: perché non esce un’antolo-
milanesi. Era il 1968. Fu sempre Marazza a gia dei saggi di Paci inerenti al periodo feno-
dirmi che il professor Carlo Sini, con il quale menologico? Magari comprendente quei
mi sarei laureato nel 2003, era al tempo assi- saggi così difficili da reperire intatti sulle
stente di Paci. Pensai che la fenomenologia e varie riviste... Considerando che ogni anno
il relazionismo, nella prospettiva di un auto- escono migliaia di testi filosofici, perché non
re italiano, tanto accattivante da attirare a una piccola antologia, ben introdotta e corre-
lezione gli studenti del liceo, fossero una data di note e bibliografia, di un Pensatore
buona scelta per la tesi. Inoltre pensai che che ha semplicemente fatto conoscere
avrei letto velocemente tutto in italiano e Husserl e ha dato l’incipit allo studio della
avrei risparmiato tempo trovando in fretta fenomenologia genetica in Italia, andando
testi e saggi. Mi sbagliavo, almeno per il tra i primi all’archivio di Lovanio?
secondo punto. Mi accorsi in fretta di quanto Al tempo della tesi, ormai tre anni fa, avrei
fosse difficile reperire il materiale per il mio tanto gradito trovarmi fra le mani, gratuita-
lavoro. mente, un dossier orientativo come questo.
Alcune riviste mancavano nelle principali Credo che esso costituisca il primo passo per
biblioteche milanesi; diversi i testi pasticciati una piccola e parziale riscoperta del filosofo
e fotocopiati... ma come? All’Università di di Monterado e del suo prezioso lascito che,
Milano i testi di Paci fotocopiati? “Aut Aut” oggi, ancora aleggia fra i chiostri, nei corri-
e “Archivio di Filosofia” incompleti e spagi- doi, sopra e sotto crociera, al di là delle
nati: alcuni saggi erano stati letteralmente colonne e fra gli alberi della scena milanese.
strappati dal fascicolo e portati a casa da
qualche collezionista di carta stampata. Alessandro Sardi
ENZO PACI 9

ATTRAVERSANDO IL DIARIO FENOMENOLOGICO*

di Enzo Paci

Riproduciamo alcuni passaggi tra i più suggestivi e scegliere per la morte, per l’autodistruzione atomica.
significativi dell’opera del 1961. Ma è «dignum omni admiratione» perché porta con
sé la verità perché già in sé l’evidenza della verità,
perché per parlare del male deve avere in sé il bene,
la vita del bene, una vita che non può negare perché
Pavia, 14 marzo 1956 è la sua vita intenzionale in prima persona, il suo essere
soggetto, il suo emergere come soggetto. Ma questo
Piazza Leonardo da Vinci, isolata, quasi chiusa. Le é Husserl. Ed è il contrario dell’assolutizzazione del-
torri medievali, scabre, rosseggianti. Le rondini le l’io perché é la mediazione relazionale, l’autoricono-
circondano. Silenzio di secoli. Mi siedo su una pan- scimento della verità che l’uomo porta in sé e che
china isolata, dopo le lezioni all’Università. Sento di dev’essere realizzata nella storia, nel tempo, nel
dover ricominciare, di aver sbagliato, di non aver mondo. Individuazione come senso della verità.
perseguito con chiarezza, con tenacia, con profondi- Verità che diventa compito, che nega il mondo già
tà, quello che cercavo. E’ vero: in ogni fatto, in ogni costituito per ricostituirlo, per renderlo vivo.
cosa isolata, si rivelano legami con tutte le cose, con Trasformazione radicale per l’uomo: per diventare
tutti gli altri fatti. Nel tempo, nel tempo della natura uomo come mai fino ad ora è stato. Ma questo non è
e della storia. Ed ogni fatto è individuale anche se ha il ritorno husserliano al cogito? II mio relazionismo
la forma di tutti gli altri fatti del suo tipo. sarà possibile senza la ripresa della fenomenologia?
Individuazione? Ma cosa vuol dire? L’individuo è L’esistenzialismo è una specie di situazione di dub-
unico e pure è il tutto. La filosofia comincia quando bio fattuale. Era giusto far vedere che la negatività
questo uno-singolo scopre che ha in sé relazioni tipi- non è neppure concepibile senza la positività della
che, essenziali con tutto il resto. Nessun fatto è solo verità che portiamo in noi, anche se la misconoscia-
individuale, nessun fatto è solo universale. Questa mo. Si vive con la propria epoca, e lottano in noi le
necessaria mediazione del fatto non è ne cosa né sue contraddizioni, le sue verità, i suoi errori.
idea, così come l’uomo non e né bestia né angelo. Bisogna ancora una volta, con tenacia e con pazien-
Ogni realtà è qualcosa di più dell’astratta universali- za, ricominciare, riprendere la ricerca, correggersi,
tà è qualcosa di meno della realtà assoluta singolare bruciare la coscienza impura per ritrovare in se stes-
o totale. II fatto primo sono io, il soggetto. Non il sog- so il senso della verità, il telos del mondo. Appena si
getto dell’idealismo, non l’assoluto, ma l’incontro riflette sul proprio cammino si é gettati brutalmente
concreto del finito e dell’infinito, della luce e del- nella strettezza della propria incapacità: si sente che
l’ombra. Io come uomo, come l’uomo che ha in sé il l’errore, l’oscurità, la vanità, la superficialità, sono in
mondo, anche il mondo che ignora. Uomo: «dignum noi, li portiamo in noi stessi. Ma in noi stessi c’é veri-
omni admiratione animal», «medium mundi». Può tà e la vita. II mondo greco. Pericle. L’errore di
riimmergersi nell’oscurità o innalzarsi alla verità, né Atene. Colloquio con i Meli in Tucidide. Sofocle
celeste, né terreno. Non da solo — ma con tutti gli sente la presenza della pazzia. Euripide si rifugia in
altri, vivi e morti: in relazione con tutti, con tutti i Tracia. Meglio stare con gli stranieri se Atene diven-
soggetti. Può scegliere per la ragione che è vita, può ta straniera a se stessa.
* Enzo Paci, Diario fenomenologico, (14 marzo 1956 – 30 giugno 1961), 1961, Il Saggiatore, Milano, pp. 11-13.
10 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

Machiavelli interroga gli antichi e «quelli per loro venire. Tutta la nostra vita, come presenza eviden-
umanità gli rispondono». Un nuovo Rinascimento? te, è il risvegliarsi e il chiarirsi del passato: è temps
Un Rinascimento per tutta l’umanità? retrouvé. La verità che dormiva si trasforma, diven-
ta verità tipica, figura essenziale. Ma continua,
risvegliandosi, a cercarsi, a correggersi nelle reci-
2 Aprile 1956 proche relazioni che la costituiscono, a cercare un
compimento, un telos.
Le torri. II passato. Sentire il loro
senso, la loro ragione. La loro sto-
ria nel mondo nel quale hanno vis-
suto e vivono, nelle relazioni che le
costituiscono e mi costituiscono.
Lasciare che diventino documenti,
che il loro silenzio maturi in un
nome. Risvegliarle, risvegliarsi.

10 aprile 1956

Queste antiche torri medievali,


questo solido passato. Dura ed
impenetrabile alterità dell’oggetto.
Sono irrisolvibili nella mia sogget-
tività? Ma la natura e la storia non
sono separate da noi. Siamo noi in
esse, addormentati, oggettivati.
Noi che attendiamo di svegliarci.

Milano, 12 aprile 1956

Noi e le cose siamo legati da un


misterioso piacere, «ce plaisir spe-
cial» di cui parla Proust a proposi-
to dei campanili di Martin-ville.
«En constatant, en notant la forme
de leur flèche, le déplacement de
leurs lignes, l’ensoleillement de
leur surface, je sentais que je n’al-
lais pas au bout de mon impres-
sion, que quelque chose était der-
rière ce mouvement, derrière cette
clarté, quelque chose qu’ils sem-
blaient contenir et derober à la
fois.»
Non qualcosa «dietro», ma qual-
cosa che si e occultata o che si è
sedimentata e che bisogna ora
disoccultare, nel presente, per l’av- P.zza Leonardo da Vinci, a Pavia, e le sue quattro torri, in una stampa antica.
FULVIO PAPI 11

ENZO PACI:
LE FORME DEL SOGGETTO TRA
AUTOBIOGRAFIA E FONDAMENTO*

di Fulvio Papi

1. Le tre radici del «mondo della vita» volta per non smarrire noi stessi in qualche ostinata sin-
tesi di contenuto (di cui Paci, credo, sia stato un poco vit-
II libro di Enzo Paci Dall’esistenzialismo al relazionismo tima), e chiederci, piuttosto, se, in questi mutamenti, non
del 1957 cade proprio nel mezzo dei quattro decenni di vi sia una forma filosofica prevalente, che ripeta la sua
profonda passione filosofica, e di quel libro, in particola- marca nella metamorfosi dei contenuti. Non cercherò
re, sono gli ultimi due saggi a tenere unite le proposizio- quindi l’oggettività filosofica, quella che comunemente si
ni che costituiscono il testo con la sicurezza delle mosse dice «il pensiero», ma al di là della figura che pure è
acquisite, e insieme, l’inquietudine vaga di quelle che necessario evocare, una modalità del pensare.
recano il segno di una prova ulteriore e di un movimen- Da quali orizzonti filosofici era atteso il tema husser-
to. Paci allora faceva lezione a Pavia sulla Crisi delle scien- liano del «mondo della vita»? Direi che esso viene reso
ze europee di Husserl: e si interrogava sul significato più omogeneo al patrimonio di interpretazioni già solidifi-
pieno, anzi sulla rete di signi- cate attraverso tre tramiti
ficati, che stava conducendo molto potenti che agisco-
un concetto come quello di no tra loro in modo solida-
«mondo della vita», che si le. L’esistenza è incompiu-
trovava a interagire con un ta, ed è un insieme di rela-
lessico filosofico dove domi- zioni che attraversano un
navano semi come processo, mondo senza possibile
emergenza, permanenza, compimento. L’identico è
tempo, trascendenza, relazio- una costruzione intellet-
ne, schematismo, forma, tuale che stabilisce una
essenza, vita, consumo, aper- forma astratta, incorpora-
tura, lavoro, soggettività. ta in un oblio del tempo.
Nel lessico di Paci degli Non c’é identico nell’esi-
anni avvenire nessuno di stenza temporale, e persi-
questi termini sarà destinato no la nostra percezione
a cadere nell’ombra, e tutta- «non è separabile — dice
via verranno altre parole Paci — dalla storia dell’u-
molto potenti, così che ognu- niverso»: rimuovere que-
na, del precedente dizionario, sta radice naturalistica e
si aggregherà in nuovi conte- vitale che colloca la vicen-
sti semantici, e si troveranno da del pensare (spesso
nuove gerarchie di significati. ricevuta dalla filosofia
È a queste variabili di senso, come un destino origina-
che scandiscono forme di rio) sarebbe una dimenti-
temporalità filosofica, che canza che impedisce di
occorre prestare attenzione. capire. Pensare, aprire il
Fulvio Papi discorso è certamente
Una prima volta per com-
prendere l’emergenza di un tutto ciò che noi possedia-
nuovo ordine discorsivo e il modo della sua argomenta- mo, ma è come un piccolo astro che passa per un firma-
zione, la strategia filosofica, attraverso la quale esso mento infinito e cede e acquista luce ed energia prima
diviene una permanenza concettuale, o, per trasformare di trovare la sua metamorfosi. Questo scenario evolu-
la parola in lingua filosofica, una verità; una seconda zionistico, che veniva da Whitehead, non sarà più ripe-

* Il testo è riprodotto per gentile concessione dell'Autore, e compare originariamente in Fulvio Papi, Vita e filosofia. La scuola di Milano:
Banfi, Cantoni, Paci, Preti, Guerini e Associati, Milano, 1990.
12 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

tuto così, ma la sua efficacia si farà sentire, in tutta la nomiche secondo Banfi — , ma è la metafisicità che iden-
costellazione concettuale in movimento: corpo, inten- tifica ogni nostra parola, gesto, sguardo, desiderio, con-
zionalità, cogito, ego, trascendentale. cetto, o azione come circoscritta nell’orizzonte di un
II secondo tramite che offre un sicuro schema di tempo che lavora alla perdita della nostra permanenza
intelligibilità al «mondo della vita di Husserl», (data la alterandone in ogni istante lo stato, poiché varia il siste-
relazione diretta tra questo Merleau Ponty e l’ultimo ma di relazioni che ne sorreggono la continuità. E pure è
Husserl) è il mondo della percezione, così come viene un tempo che disegna la forma di ogni nostra possibilità
descritto da Merleau Ponty. Le grandi filosofie, l’idea- ulteriore come valorizzazione del senso.
lismo, l’empirismo, il realismo sono tutte costruzioni Occorre saper ascoltare il suggerimento o la voce della
intellettuali che dimenticano la radice di senso da cui memoria profonda. La tradizione della metafisica cade
nasce ogni possibilità di verità. II corpo come «impres- quando lo stare nel tempo, l’essere costituiti di tempora-
sione del processo che non possiamo fermare», è il lità diviene la verità che non si vede, che non si costrui-
medio concreto tra l’astrazione spirituale della coscien- sce secondo le due lenti — vedere — della metafisica e —
za e l’astrazione materiale della cosa: il mondo della costruire — della scienza, ma si sente nel proprio corpo
percezione è il mondo della verità in quanto direzione, come una irrimediabile contingenza e come un campo
forma, intenzionalità. aperto di possibilità: luogo di smarrimento e di possibile
Paci ripete con Merleau Ponty: «La soggettività, a annullamento in altri ordini naturali capaci di nuovi
livello della percezione, non è nient’altro che temporali- coinvolgimenti, oppure luogo di costruzione di un sog-
tà». Si può dire che qui siamo nel luogo di confine dove getto che trasforma la caducità del suo destino in oriz-
la temporalità dell’organismo che tende inevitabilmente zonte di verità: la percezione, l’intenzionalità, la forma
al consumo e all’estinzione, diviene contemporaneamen- che nasce dalla relazione che precede ogni ordinamento
te processo di temporalizzazione, «tempo che si riapre» e intellettuale, ogni opposizione tra soggetto e oggetto,
che trasforma in senso e direzione della vita l’energia che devono essere ascoltate.
va perduta, per cui la costituzione del senso porta il La critica alla tradizione della metafisica, giocata tutta
segno della sua origine vitale. con la mossa del tempo, assomiglia più di quanto non si
II terzo tramite, anche qui con una valenza di assimi- sia ammesso finora alla critica della metafisica di
lazione, del «mondo della vita» di Husserl, è stato sen- Bergson (che del resto era uno degli autori giovanili di
z’altro l’interpretazione dello schematismo trascendenta- Paci). Solo che in Bergson la visione dell’essere ritorna
le kantiano derivata dal famoso libro di Heidegger e inte- nella irrevocabilità del passato di cui la funzione della
so (lo schematismo) come «arte segreta della natura», con memoria evocatrice è l’atto metafisico, l’esperienza
un’espressione che è presa dal testo kantiano. «Lo sche- metafisica per eccellenza. Per Paci, al contrario, tutto il
matismo diviene la Lebenswelt dell’ultimo Husserl»: l’i- passato, la storia dell’universo che entra nella comples-
dentificazione è senza residui. sione del nostro corpo, la memoria inconscia che agisce
L’oggetto si trascende nella immagine e si oltrepassa nei movimenti stessi del desiderare, del percepire, del
nello schema secondo un processo temporale: nello sche- formare, apre la possibilità del futuro, secondo un pro-
matismo l’oggetto si costituisce nell’orizzonte della sog- cesso di metabolizzazione del tempo — consumo —
gettività e la conoscenza mostra la sua radice sensibile e entropia, impossibilità e valore. L’impossibilità di supe-
storica. Questa costruzione, dove convergono organici- rare l’irreversibile, diviene una sintesi del passato, che,
smo, filosofia della ambiguità, critica della conoscenza e se realizza la regola profonda della memoria, e non si
mondo della vita, agisce come una memoria naturale perde nell’astrazione dell’intelletto, del metodo, della
profonda che, nel suo riconoscimento o nel suo miscono- coscienza, stabilisce un successo certo tra il tempo e il
scimento, spartisce gli spazi della dimenticanza e della possibile, l’entropia e la verità.
consapevolezza, dell’illusione e della verità, e quindi isti- Questa certezza, questa continuità, per così dire, tra
tuisce il compito di una filosofia fenomenologica. inconscio e conscio questa paideia della verità o questo
Dunque critica alla metafisica classica, geometrico insegnamento all’autenticità è il non detto, ma nello stes-
tempio di concetti che restituiscono il mondo come un so tempo la marca profonda di questa riflessione filosofi-
disegno senza autore, poiché aboliscono il tempo, luogo ca. Così che la filosofia, nel suo non detto, è in realtà l’u-
della contingenza e del movimento, quando è proprio la nica salvaguardia della vita, il libro di una saggezza non
caducità temporale a costruirne la sola emergenza possi- avara che, secondo uno schema di tutta la cultura
bile, attraverso la quale la parola può disegnarsi vital- dell’Occidente — costruisce la libertà proprio sul ricono-
mente nella scena incompiuta del mondo. scimento della sua radice condizionale. Come essa è cri-
tica della metafisica, così è critica della metodologia: la
2. Tempo entropia verità verificazione è una ritualizzazione della conoscenza che
avviene dopo che la direzione della conoscenza è già
L’unica metafisica possibile non è quel costrutto stata agita in un altrove, che la verificazione, per il suo
dimentico della propria origine — quella storia delle modo di considerare i fatti, non può nemmeno investire.
costruzioni intellettuali della presenza secondo I fatti della teoria — sostiene Paci — sono costruzioni
Heidegger o regno della fenomenologia delle idee anti- delle teorie e non sono quelle condizioni di esperienza
FULVIO PAPI 13

che rendono possibile l’apertura delle domande che si All’inizio del penultimo saggio del libro di cui ho
normalizzano nel teorico. riferito le tracce che mi paiono più rilevanti, c’é la
C’é un fondamento, che è proprio il «fondo», la radi- riflessione di un io che si osserva e che ascolta il lin-
ce e che, al di là delle procedure mondane attraverso le guaggio dei tempi plurali delle cose che appartengono
quali si costruiscono le figure sociali della verità, costi- allo sguardo «le torri medioevali si innalzano nude e
tuisce la verità. Esso può essere sentito, indicato nell’in- rosseggianti davanti a me. A primavera le circondano
sieme dei processi della sua espressione, ma non può le rondini. Si inseguono a volo e il loro acuto garrire
essere detto secondo lo stile della proposizione «al punteggia un silenzio di secoli»), o che appartengono
principio è lo spirito» o «al principio è la materia», per- alla memoria («I morti vivono in noi, col loro senso
ché questo modello di proposizioni che definiscono, della vita [... ] e se li interroghiamo per la loro umanità
sono prigioniere di un destino curioso, quello di trova- ci rispondono, e si aprono in noi, nel presente un varco
re per sé nella forma della propria comunicazione una verso l’ avvenire»).
verità che le sottrae al flusso del tempo, cioè al luogo Oggi confesso che questo «varco», questa possibilità
dal quale parlano. Affermiamo così un contenuto d’in- sempre aperta, questa intenzionalità limitata e circoscrit-
formazione che, in quanto richiede il valore della mas- ta e pure sempre totalmente esistente, questo «adesso»
sima oggettivazione, perderà il suo senso. che si trasforma sempre in un «momento» del tempo e
Ma l’esistenza non può che costruirsi nell’Altro: quindi senza significati più generali di cui sia l’apparte-
pena il solipsismo, l’intellettualismo, la vuota contem- nenza e il segno, e, pur tuttavia, momento sempre dona-
plazione della propria origine: contemplare la propria tivo di un senso coinvolgente, mi pare un modo per non
origine è perdere la possibilità della propria verità. II sentire in sé l’invisibile trama delle rovine. Invece Paci, in
tempo come possibilità aperta di senso va metaboliz- un flusso dei tempi e dei sensi, concludeva «occorre sen-
zato nel discorso, e la lezione dell’autenticità che si tire la verità».
realizza, non può che invitare a costruire la verità. La «Sentire»: a suo tempo questo «sentire» mi sembrò più
strada della verità conduce solo all’Altro: ma la sepa- che soggettivo addirittura «privato», tanto la fragilità
razione non deve essere perseguita. Occorre rimanere dell’interpretare, il pre-giudizio può condurre all’incom-
nella ambiguità che è il rapporto inevitabile tra vita e prensione. Giovane intellettuale, avrebbe risposto Paci,
pensiero. Profonda ambiguità, ma che nessun gesto che avrebbe avuto bisogno, per la sua salvezza o solo per
del pensiero, che non si illuda di uscire dai confini del il suo decoro, di una radicale esperienza di conversione,
mondo, può evitare. quale quella della riduzione fenomenologica, al fine di
La verità è una possibilità sempre aperta, un bisogno smettere la sua professione involontaria di voce di tempi;
continuo dell’alterità per poter essere costruita, proprio calcificati, di speranze fossilizzate, etiche conformistiche
come un amore che non può immaginare di realizzare se e fedeltà distruttive.
stesso, se non nella dimensione dell’altro, e in una rela- Certamente l’io del testo di Paci è autoreferenziale, ma
zione che non è mai conclusa, e che non si trasferisce mai questo non conduce ad alcuna particolare evidenza, poi-
nel sistema pacificato del possesso, dove l’amore non è ché occorre sapere di quale «io» si parla per comprende-
più se stesso, ma, piuttosto, morte silenziosa, incapace di re il valore dell’autoreferenzialità. L’io è l’io della pazien-
altra trasformazione, perdita di soggettività, rifusione nel za, di una poesia di Valery citata da Paci. La pazienza è il
flusso della vita, smarrimento anche del nome. saper essere luogo di ascolto, e di percezione del flusso
dei sensi che si intrecciano nel mondo attraverso lo spa-
3. lo e soggetto filosofico: la trama del testo zio vivente dal nostro corpo e dalla nostra esperienza: lo
sguardo, ma anche il tatto, ma anche il ricordo, che stabi-
Per chi, come me, si è messo sulla strada, un poco lisce una linea tra interiore ed esteriore tra senso riposto
avventurosa, di cercare una marca profonda del lavoro e senso ritrovato, tra evocazione e archeologia (del resto
filosofico di Paci, questi segni non valgono solo come Paci citava Proust). Vi è dunque una norma filosofica che
contenuti dell’enunciato che mi sta aspettando come costruisce l’autoreferenzialità dell’io nel testo, il pudore
interprete, ma già come interpretazione dello stesso emotivo e la regola intellettuale del suo potersi enuncia-
enunciante. Se mi è concesso di fare questo ricorso a re: la norma filosofica e l’educazione all’io nella verità e
una dialettica tra opera e autore. L’io narrativo e l’io quindi come processo naturale, emergenza, permanenza,
filosofico in Paci hanno un continuo scambio di parti: campo percettivo, formatività, temporalità.
chi parla vuole costruire nel colloquio con le filosofie La costellazione delle parole filosofiche come pedago-
una forma del senso e della verità, e quindi una norma gia vivente costruisce la possibilità dell’io di modo che il
intersoggettiva e, nel fondamento di verità, un insegna- dirsi avvenga secondo una direzione di verità. In questo
mento, che tuttavia appartiene anche alla sua propria caso scrivere «io», poiché corrisponde a una scrittura filo-
mancanza d’essere. II filosofo è intimo al proprio testo, sofica, è già realizzarsi in un insieme di sensi o se si pre-
tant’é che é persino possibile ritrovarlo come insorgen- ferisce, con un’antica parola, è già una formazione. Nel
za empirica. Come parola che non è periferica rispetto testo che ho preso in considerazione c’é, filosoficamente,
al proprio oggetto, ma ne costituisce parte costitutiva e un sovrappiù di informazione rispetto a quella che viene
quindi argomento pertinente. usata per provocare la coincidenza dell’io che narra con
14 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

l’io filosofico, sovrappiù che mi che, se non vi è armonia tra


pare da utilizzare per procedere il mondo naturale delle
nel mio sentiero. emergenze dove la raziona-
lità vitale consente di orga-
4. La solidarietà tra senso e nizzare la permanenza e la
artificio struttura del mondano,
cioè se la tecnica diviene
È molto forte in Paci il tema del strumento di servitù sociale
consumo della vita, dell’irreversi- e di esiti mondani catastro-
bilità temporale come entropia fici, allora questa tragedia
degli organismi (solo nel sistema — poiché ogni dis-armonia
dei sistemi la quantità d’energia e segnata dal tragico —
non muta): tema che si coniuga deriva dal fatto che «al
con il problema del lavoro, «Se la lavoro - dice Paci - è stato
percezione dice Paci — prende la tolto ogni valore». La razio-
strada della autocoscienza, cioè nalità della percezione, il
diviene oggetto a sé, ciò che si nucleo originario di senso
toglie e la dimensione del lavoro». s’incontra con un mondo
Cioè si crea una autosufficienza che è socialmente rovescia-
del concettuale: il mondo non è to. Questa è un’immagine
più una relazione di esperienza che conduce a un antichis-
ma un sapere oggettivo da enciclo- simo topos della disarmonia
pedia. La critica assomiglia abba- tra legge del mondo e stato
stanza alla critica che il giovane del mondo ma, nel caso
Marx avanza in un manoscritto specifico, deriva da una
parigino alla Fenomenologia di Antonio Banfi (1886-1957) generalizzazione propria di
Hegel: ma la ragione di questa una filosofia dialettica della
parentela credo sia facile a dirsi. Paci, probabilmente, storia latente che attende già il nostro autore come futu-
aveva in mente la valorizzazione del lavoro che compie ra analitica del mondano.
Kojève nel suo commento alla Fenomenologia di Hegel.
Intellettualizzazione, significa inaugurare il mondo fitti- 5. L’esistenza, la metafisica, il trascenden-
zio della figura senza corpo, delle verità che si debbono tale
dire con una parola che non appartiene al nostro vissuto,
ma al tempo della professione o al tempo del rito, luogo La forma di questa filosofia, la cui prova di verità
del precipitare della nostra vita in passioni estenuanti, consiste nel poter costituire il fondamento, il linguaggio
opache e senza verità proprio perché prigioniere di meta- e lo stile dell’idealizzazione (io filosofico) del soggetto
fisiche rappresentate nella loro sufficienza intellettuale, che scrive (io narrativo), è la regola di una fenomenolo-
puri, arcigni oggetti di una mente astratta. La percezione gia autobiografica che viene da «molto lontano». Detto
e il mondo della vita, per lo meno nel 1957, indicano l’o- questo, è detto molto poco, poiché occorrerebbe vedere
rizzonte di una intelligenza che è vitale o operativa al analiticamente come si può costruire filosoficamente
tempo medesimo (assieme a Whitehead e, nella sua una autobiografia, cioè esaminare gli strumenti di lin-
forma di ragione come «arte della vita» vi è certamente guaggio che consentono di fondare la messa in scena di
anche il ricordo di Dewey). La sua prosecuzione sponta- questa forma della verità e quali siano le relazioni con
nea nel mondo è costituita dall’artificio della tecnica. altre forme della autobiografia. Spero che qualche par-
L’originaria razionalità, che fu già compresa nella forma- ziale risposta si potrà trovare per via di discorso. La
tività della percezione (vita e ragione di Banfi — dirà Paci regola fondamentale di tutte le figure della fenomenolo-
— che qui quasi trovano la loro sintesi sensibile a porta- gia autobiografica è la ricerca del valore intersoggettivo
ta della mano), si prolunga nel mondo, e diviene la for- della comunicazione attraverso lo strumento classico
malità implicita nell’artificio tecnico. II telos che appartie- della tradizione filosofica: la problematica del fonda-
ne all’organismo e che ha nel senso la sua direzione mento. Non è una scena episodica o spettacolare, una
essenziale, cioè essenza - visione nell’al di là del momen- complicità effimera e futile con l’ascoltatore, una sedu-
to, e quindi trascendenza, continua la sua opera di forma- zione di superficie che è sempre, come sapeva Paci, l’in-
zione nella relazione operativa. La tecnica è la razionali- definita ripetizione dello specchio, ma è una costruzio-
tà che segna l’introduzione nel mondo di una finalizza- ne figurativa del linguaggio che si realizza attraverso la
zione lavorativa: è un organismo orientato. È difficile durezza di una regola esterna alla lingua: il fondamen-
trovare nella filosofia contemporanea una solidarietà così to filosofico, che, solo, costituisce la struttura dell’Altro,
diretta tra il mondo della percezione, del senso e dell’in- la sua necessità e non revocabilità: unico modo perché
tenzionalità e l’intelligenza artificiosa e tecnica. Tanto «l’eros autobiografico raggiunga il compimento di Sé
FULVIO PAPI 15

come verità nella trascendenza. Ora vediamo il «molto meno concettuale tra i possibili concetti) a consentire di
lontano» che ho nominato qualche momento fa. organizzare filosoficamente quello spazio aperto che si
Focalizzerò un tempo della vita e un episodio della manifestava come luogo personale della domanda filoso-
riflessione filosofica. Il tempo vuole descrivere il ritro- fica. L’esistenza che, poi sempre si rappresentò nel pen-
vamento della forma filosofica, il processo di struttura- siero di Paci nell’immagine, nel mito, nella ragione o nel-
zione del senso della filosofica. L’episodio si riferisce, l’idea secondo una relazione fondamentale ma nello stes-
invece, alla relazione che Paci stabilirà con l’opera filo- so tempo instabile e caduca; com’è proprio di un tempo
sofica di Banfi alla fine degli anni Trenta. e di un amore che sono costretti alla ricerca di un’anima
Molto recentemente, un giovane studioso, pieno di o di una forma per sfuggire alla consumazione insensata
meriti, in un suo bel lavoro ha dato notizia di appunti di di un vivere quotidiano, nel proprio discorrere vano,
Paci, incentrati sulla figura di Gobetti, che risalgono all’i- privo di simbolo e di memoria. Così che l’esistenza agi-
nizio degli anni Trenta, e mostrano una precocità intellet- sce da fondamento necessario e profondo che si manife-
tuale e anche una qualità di informazione filosofica e di sta nei ritmi del tempo e la filosofia dell’esistenza divie-
giudizio, piuttosto straordinari. Credo che lo studio ana- ne una autobiografia filosofica che deve continuare a
litico di questo testo sia molto importante. In questi fram- costruirsi in un discorso che diviene altro da sé e che, tut-
menti si possono distinguere tre livelli comunicativi: tavia, non può mai avere il potere di normalizzarla defi-
anche se la distinzione, come sempre in questi casi, indi- nitivamente. L’educazione all’idea — secondo la lettura
ca prevalenze di senso, e non assolute esclusioni. platonica di Paci ispirata allo Stenzel — è resa possibile
II primo livello è quello dove prevale la rappresenta- dal correlato del nulla e, proprio per questo, è una tensio-
zione del Sé, l’affetto alla propria immagine: «Siamo noi ne che non si esaurisce mai. L’esistenza diviene la catego-
stessi a proclamare l’irrealtà storica della nostra vita e l’i- ria della irriducibilità dell’esperienza al contenuto di
nutilità della nostra azione poiché professiamo la fede ragione, e, nello stesso momento, la possibilità di una
nella azione disinteressata». II secondo livello è quello filosofia non definita in un tempo categoriale lontano
del contenuto ideologico del messaggio: «L’eresia di dalla radice vitale. Paci cerca di fondare questa trasfigu-
Gobetti diventa metafora di un complesso atteggiamento razione dell’autobiografico, in cui il racconto degli even-
di critica della politica e insieme di ricupero, magari con- ti è già tutto unificato dalla domanda intorno al loro
tro la storia, di una più autentica e radicata storicità esi- senso, mostrando l’irriducibilità dei due limiti di esisten-
stenziale». La seconda parte della citazione introduce za e di ragione, di modo che l’isolamento dal razionale o
bene al terzo tema, quello della rappresentazione della dall’irrazionale come totalità, crei una situazione di
forma del pensiero filosofico come ricerca del senso, impensabilità per lo stesso concetto. Che cosa è l’irrazio-
dove la costruzione ideale della propria autobiografia va nale senza l’esistenza dei processi di razionalizzazione, e
in parallelo con la polemica contro (e contemporanea- che cosa sono questi processi d’ordine della ragione filo-
mente) la filosofia della storia e la storiografia. II che sofica, che struttura un mondo abitabile da figure di pen-
significava: contro l’entificazione del Sé in una qualsiasi siero senza la sconfinata area dell’oscuro, dell’indetermi-
rappresentazione concettualizzata, e contro la riduzione nato e del nulla? È su questo tema che Paci dialoga per
del Sé in una metodica che, nella sostanza, circoscrive oltre un decennio, dalla fine degli anni Trenta, con la filo-
un’etica professionale. C’é un «io» che cerca di trovare la sofia contemporanea e con la tradizione classica.
propria identità al di fuori di qualsiasi codificazione Vediamo brevemente il medesimo problema dalla
acquisita. L’io si presenta come un «aperto». Questa con- parte della relazione teoretica con Banfi. Credo debba
dizione consente al Paci ventenne di trovare uno spazio essere chiaro che Paci arrivò da Banfi con una propria
filosofico fuori dall’opposizione crociana di filosofia radice filosofica: non apprende da Banfi il lessico della
della storia e storiografia che per un lungo periodo ha filosofia, e nemmeno riproduce passivamente le selezio-
invece rappresentato la opposizione tra metafisica e criti- ni culturali di Banfi. Se mai se ne appropria per un inte-
ca. In ogni caso in questi frammenti si ritrova un’asse resse sempre più articolato al proprio problema. Che
oppositiva che tiene insieme, da una parte, io, azione, cosa gli interessa soprattutto della filosofia del maestro
durata e, dall’altra, oggettività, politica, professione, universitario? Direi il rapporto che vi è tra il fenomeno-
periodizzazione. Questo è lo spazio entro il quale può logico e il trascendentale, e che riguarda proprio lo statu-
accadere un lavoro filosofico che costruisca un discorso to della filosofia e la tradizione della metafisica. Nei
connotato secondo strutture di oggettività discorsiva, ma Principi di Banfi questo rapporto tra criticità della ragio-
nel quale sia continuamente rappresentabile il momento ne filosofica e realismo del pensiero metafisico è regolato
autobiografico e la domanda di senso che costituisce l’a- dal sistema delle antinomie che in Banfi fonda l’impossi-
pertura del discorso; di modo che nel prodursi del bilità di oggettivare una qualsiasi totalità nell’unità di un
discorso, e cioè nella simbolizzazione filosofica, possa concetto: la realtà, l’essere, l’evidenza, la coscienza ecc.
avvenire la scelta di sé come direzione ideale. In uno Questo vale per la forma della metafisica, la cui fenome-
scritto giovanile Giulio Preti aveva detto la «persona». nologia non è altro che la riproduzione oggettivata delle
Paci, una volta, scrisse di essere stato esistenzialista varie possibilità antinomiche: l’uno — il molteplice: l’es-
prima di conoscere gli autori e i problemi di questa filo- sere — O divenire; la materia — lo spirito, così come vale
sofia. Si sa del resto che è stato il concetto di esistenza (il per tutta la filosofia della cultura, dove la vita dell’espe-
16 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

cultura. L’idea stessa di pratica filosofica, come esercizio


critico in.Banfi conduce a considerare l’azione come pro-
pria dell’orizzonte della fede: qui vi è un «io» che rischia
la propria identità in quanto agisce e assume per se stes-
so il peso reale della sua azione. Non esiste in Banfi la
figura dell’io filosofico anche se vi è sempre stato un forte
io esistenziale che ha interagito, spesso in silenzio con le
norme della filosofia. Tra la contemplazione della filoso-
fia della cultura dove fu il grande silenzio della vita come
orizzonte informe, e l’azione, la decisione che avviene
nella solitudine e quasi nell’orfanezza filosofica, Paci
guarda al momento precedente: quel rapporto tra la vita
e la ragione che in Banfi è decisivo per non cadere in una
banale idealizzazione dell’esperienza, ma che non costi-
tuisce una vera pratica filosofica.
È in questo «non fatto» ma anche «non fattibile» di
Banfi che Paci sceglie la sua forma di filosofia come filo-
sofia fondata ed espressiva. E qui si apre una situazione
che può apparire paradossale. Proprio questa continua
fondazione della finitizzazione della filosofia, questa
attenzione a che il discorso non sopprima il tempo, e la
scena della vita non si trasformi in un teatro delle grandi
figure filosofiche, provoca un effetto straordinario: quel-
lo di assolutizzare filosoficamente l’io, non il concetto, la
figura, che questa sarebbe una osservazione ridicola
rivolta a Paci, ma il linguaggio che affonda nell’orizzon-
te dell’io la sua possibilità di senso.
«La religione — ha scritto Paci — non è qualcosa che
l’uomo può avere o non avere, è il fondamento della sua
vita». Questa religione senza istituzioni, questa religio-
Edmund Husserl, padre della fenomenologia ne della coscienza che non vuole essere compresa ed
emancipata da una filosofia che la obiettivi, quest’eco
rienza, qualsiasi esperienza, non è indicabile nell’esausti- profonda della teologia protestante sino a Kierkegaard,
vità di un concetto ma solo nella vuota formalità di una assomiglia molto, se non è la stessa cosa, alla radice di
antinomia. Non à questo apparato criticistico che, a mio una filosofia espressiva dell’esistenza o anche come pre-
modo di vedere, porta la filosofia al limite immanente ludio a una forma d’arte. Religione, arte, filosofia dun-
della lingua, a interessare Paci. In Banfi esso conduce in que come triade dell’espressione dell’esistenza, figure
concreto a una filosofia della cultura come fenomenolo- della sua verità. La filosofia è contigua a questa religio-
gia delle forme culturali e quindi come vicenda contem- ne, e certamente non ne muta il contenuto problematico
poraneamente dionisiaca — nel tempo — e apollinea che rimane l’esistenza, si complica certamente il suo
nella comprensione dello spirito. A Paci interessa che il tesoro metaforico, per cui le parole che esprimono il
trascendentale, l’idea — come limite dell’esperienza —, finito come lontananza di Dio si aggregano molto bene
non si realizzi mai nell’esistenza — ogni momento dell’e- con il lessico fondante che offre il linguaggio alla centra-
sistenza è possibilità di valore, e nessun momento è defi- lità caduca del soggetto. La filosofia è altresì un lessico
nitivamente valorizzato — , e anzi interessa che il tra- di traduzione di quella esperienza d’arte che ha il suo
scendentale eserciti la sua efficacia negativa nella impos- momento di costituzione di senso nell’indefinita e ricca
sibilità che una qualsiasi «espressione della tensione del- fenomenologia dell’immagine.
l’esistenza» (le parole sono di Paci) possa chiudere l’oriz-
zonte, e identificare in un deforme costrutto la ricchezza 6. La decostruzione filosofica del mondano
del tempo conquistato nella rappresentazione come epi-
logo della dinamica tra infinito e finito. A questo punto direi che sono tre i temi che devono
In Banfi vi è una pratica filosofica, la fenomenologia essere intrecciati in questo percorso: l’orizzonte del mon-
della cultura che deriva dalla forma teoreticamente cor- dano, la salvezza o il senso ravvicinato, la dialettica o il
retta della comprensione delle forme spirituali che nasco- senso partecipato. In una lettera a Luigi Rognoni del gen-
no dall’humus inesausto della vita. A Paci non interessa naio del 1958 Paci scrive «Da quando tu non ci sei non
la pratica filosofica del filosofo che costruisce i suoi occhi parlo più con nessuno in modo immediato e spontaneo,
per guardare il grande spettacolo dello spirito: il suo e sono sempre più convinto che gli intellettuali vanno
punto di arrivo non sono le grandi fenomenologie della sottoposti a una severa epochizzazione».
FULVIO PAPI 17

Gli intellettuali appaiono come i razionalizzatori del costruite in quella particolare intellezione della natura
mondano: essi perdono la loro possibilità di soggettività che Husserl identifica in Cartesio e in Galilei: falsi ulissi-
nelle trame della serietà pesante dell’essere. Parlano di di senza moto e senza memoria.
storia, di politica, di scienza, di iniziative da prendere o C’é nell’aria di quegli anni una crisi della figura spon-
da appoggiare, di casi morali, di curiosità indiscrete, di tanea della soggettività, non ancora manifestata a livello
decisioni difficili, hanno problemi personali che trasferi- filosofico con tutte le complesse derivazioni che cono-
scono in conflittualità oggettive naturalmente rappresen- sciamo, mancano le dissolvenze filosofiche: non c’é epi-
tate, prestigi personali da radicare e diffondere, esercizio steme, struttura, logocentrismo, archeologia, genealogia,
di poteri: in questo labirinto non si può prendere la paro- ma piuttosto la sensazione che il senso declini, perché il
la se non si predispone il discorso in una strategia. Ma mondo degli oggetti parla una lingua che ha un codice
entrare nella strategia non è una finzione, è però già con- potente che detta l’apprendimento e il comportamento: è
sumare la parola nello spazio del mondano, e ciò appar- in atto una mutazione materiale che rischia di sottrarci il
tiene alla propria mondanizzazione immediata, e quindi privilegio della confidenza con il future, perché ogni
la relazione di senso, che per Paci è sempre la radice filo- variazione è già stata preordinata.
sofica, si spegne come un fuoco senza alimento. II potere dell’oggetto ha la forza della scoperta e della
II mondano o l’inautentico è tema che in Paci ritorna, sorpresa, e la nostra storia che è stata per un lungo perio-
e che costituisce per alcuni anni il suo punto cruciale: il do il libro della nostra vita, del quale sempre era racco-
rischio che la profonda ricerca del senso è che l’educazio- mandabile la lettura, come appartenente alla costellazio-
ne al senso possa essere oscurata dalle forme prevalenti ne stessa della nostra identità, diventa quello
dell’intreccio sociale: in questa avventura è in gioco la Wahrengeschichte di cui parla Horkheimer. Ovviamente
forma stessa della filosofia. Ma se è in gioco la filosofia, non so misurare esattamente la pertinenza di questa evo-
allora è in gioco la qualità di qualsiasi forma di esperien- cazione, per comprendere il lavoro di Paci in direzione di
za. II dogmatismo politico è anche una forma di pensie- quello che ho chiamato un «avvicinamento del senso».
ro regressivo. Riprendere la strada del senso per Paci Per quanto riguarda lo scenario diretto della filosofia
significa stabilire un esercizio e uno stile della riflessione di Paci verso la metà degli anni Cinquanta calano le
che contrasta con il rischio che la filosofia perda il suo prime ombre sulla focalizzazione teorica precedente, il
ruolo gerarchico di scienza prima in quanto produttrice relazionismo, per cui noi veniamo da un sistema di rela-
del senso della vita. Sensi mondanizzati o metafore zioni naturali, dove la nostra emergenza e permanenza
morte (per parlare il linguaggio di Ricoeur) razionalizza- sono condizionate dai consumi entropici, e dove, pur tut-
no la vita quotidiana: prevale la ritualizzazione sociale. tavia, la storia naturale che ci ha costruiti, ci ha anche affi-
Se andiamo a vedere il lessico che Paci adopera per dato una struttura percipiente e temporalizzante capace
parlare del mondano, troviamo una curiosa koiné lingui- di costruire nuove relazioni fondanti in un mondo che,
stica di Heidegger (si nasce nel mondano dove si é getta- del resto, non le attendeva.
ti), di Marx (sovrastrutture mondane, mondo che si feti- Questa vicenda precedente dove la filosofia della
cizza), di Sartre (mondano è l’interesse immediato): natu- natura di Whitehead neutralizza qualsiasi opposizione
ralmente è un lessico che è dominato e significato dalla rigida tra in sé e per sé, come avviene per esempio in
prospettiva husserliana della naturalizzazione: anche Sartre, non é scomparsa, ma appartiene a ciò che nel pre-
questa detta da una particolare contaminazione interpre- sente immediato e invisibile, a ciò che si é, ma di cui è
tativa: «Siamo perduti nel mondo, così come è, e il signi- nascosta in uno strato inerte dell’esperienza la consape-
ficato della nostra vita è il significato della verità di fatto». volezza e il sapere. Tra l’organismo naturale e l’organi-
La scienza della natura che lavora e produce cono- smo sociale — che aveva nella struttura percettiva il suo
scenza tramite le sue oggettivazioni positive, e che esclu- momento di continuità — si è invece creata nel «nostro
de dalle operazioni che compie la rimemorizzazione del tempo» una rottura. II senso possibile rischia di svanire.
fondamento vitale originario, che sa e non pensa, appar- Direi che ora il problema fondamentale di Paci è di foca-
tiene al medesimo universo, dove la mia vita viene letta lizzare nuovamente e con strumenti filosofici potenti la
nelle generalizzazioni della sociologia, della psicologia, polarità soggettiva e la sua potenzialità di senso nel
della antropologia, della storia costruita con le soluzioni mondo. Questa mi pare la circostanza filosofica attraver-
pubbliche della memoria. so la quale egli si trova a ripercorrere l’esperienza dell’ul-
Per comprendere non tanto l’atmosfera filosofica in timo Husserl. L’autobiografia, per così dire, trova ora
senso specifico che ora vedremo, quanto per avere quasi una eccezionale macchina filosofica che costruisce un io
una precomprensione affettiva di questa insistenza di filosofico capace di riaprire in tutte le direzioni della cul-
Paci sul mondano, ricorderei l’espressione che, in quel tura attuale il problema del senso, e quindi di mettere in
medesimo periodo, anno più, anno meno, fu propria di crisi le strutture di oggettività delle varie istituzioni del
un grande scrittore che ci ha lasciato: «Il mare dell’ogget- sapere. C’è una radicale eversività del senso.
tività». Nel mare tutti gli orizzonti sono eguali, le rotte Nei testi di Paci che parlano della fenomenologia si
equivalenti: non esiste alcuna centralità che disegni un legge spesso che il mondo della vita contiene potenzial-
ordine, ogni indifferenza e già decisa in un solido sistema mente tutte le categorie logiche e le stesse categorie scien-
di certezze. Per quanto riguarda Paci, viviamo come cose tifiche, che tutto ciò che è categoriale ha già una sua strut-
18 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

tura concreta e profonda nel mondo della vita, che ciò per comprendere con chiarezza l’orizzonte filosofico che
che è fondato sono i giudizi che si trovano nell’immedia- vi è implicato. Nella tradizione filosofica vi sono parole
tezza fungente, nei quali si rivelano le cose stesse e che che appartengono alla medesima famiglia di significato
essi solo costituiscono la condizione primaria di fonda- del fare: ascesi, purificazione, spaccio, emendazione,
tezza del giudizio scientifico. Non esiste un processo di dubbio, ma quella che mi pare si avvicini di più a quello
autofondazione storica e se si crede a questa certezza che vuol dire Paci è «decisione».
oggettiva, si scambia la pigrizia del pensiero per l’ordine Non poterne più, dunque, è prendere la decisione di
delle cose. Occorre trovare il fondamento, ma da queste ricominciare in uno scenario filosofico che mostra l’io
affermazioni non deriva, diversamente da quanto accade lontano dal suo possibile. La riduzione fenomenologica
in Husserl, per esempio nella Logica formale e trascenden- spezza l’incanto maligno del mondano e consente che si
tale, alcun lavoro di fondazione trascendentale di una realizzi una rivelazione: «Io rinasco nel presente in un
ragione scientifica o della forma apofantica del discorso. senso nuovo, nel senso teleologico dell’awenire». È come
Non è su questo terreno, ultima Thule di una immagine se qualcuno pensasse: «sono tutta la filosofia possibile
della filosofia prima, fondatrice dell’universo complessi- nell’ora attuale»: l’io esorbita di possibilità di senso nella
vo della conoscenza, un’impresa grandiosa quanto irrea- dimensione temporale che gli è data. II suo senso non è,
lizzabile, che si esercita la riflessione di Paci. si capisce quello di un’essenza, un angelo per esempio,
esso è sempre in relazione alla particolare stratificazione
7. «Avvicinare il senso»: l’intenzionalità mondana della temporalità. Non si diviene la prassi, ma
una prassi e si ritrova l’intenzionalità in un orizzonte
II suo punto centrale è, invece, «avvicinare il senso», e delimitato. La riduzione rida la vita come compito che
avvicinare il senso vuol dire riuscire a trovarlo come appare in «prima persona» e come una «presenza viven-
struttura dell’intenzionalità nella soggettività o, con equi- te». Non un dover essere che trae fuori da sé il compito
valenti semantici, che sono interscambiabili nella rifles- morale a fronte del sensibile inerte è quasi in timore della
sione husserliana di Paci: io, Ego, cogito, corpo, monade, grandezza lontana degli ideali, ma in questo ritrovamen-
coscienza reale e anche coscienza fisica o «ciò che si to e la realizzazione del proprio essere, inscritto nel pro-
nasconde nel più profondo divenire genetico». II riuscire prio corpo, una finalità nascosta, ma già vivente, che fa
a trovare il senso non è una operazione spontanea, il emergere nell’ora del presente la relazione felice tra pas-
senso non è lì, deve essere trovato da una askesis filosofi- sato e futuro. «Ora del presente» vuol dire che «questo è
ca, per la semplice ragione che il senso di Paci è senso il momento», con una forte riminescenza della linea
buono, senso autentico, radice della stessa filosofia, Kierkegaard-Tillich: dove il momento non appartiene a
luogo delle possibilità del linguaggio che parla secondo una linea evolutiva, a un punto della linea, ma a una
verità, certezza dell’io filosofico, definitivamente uscito chiamata della propria evidente autenticità. Vi e dunque
dalla generalità di una narrazione qualsiasi. Ma, doman- una forte teatralizzazione emotiva e rappresentativa nel-
diamoci, chi vive in realtà senza una forma di senso? II l’uso della riduzione fenomenologica: la riscoperta del-
senso di Paci, presentato come il senso del corpo, della l’origine, nell’estasi temporale, assegna al senso stesso il
monade, il senso che regola la corrente della vita, una compito della sua realizzazione.
volta spezzata la prigionia del mondano, è in realtà, Non c’é un senso che possa essere contemplato, non si
come chiunque immagina, una costruzione culturale del offre mai come alternativa immaginaria all’esistenza;
senso autentico e quindi contiene il progetto di un rifaci- quando esso è rivelato, è già nella decisione poiché la
mento del mondo reificato. struttura fondamentale che la epoché disocculta e l’inten-
II dover rifare l’io filosofico in ogni tempo, e quindi zionalità. Un enigma — dice Huslserl: un enigma il per-
ricomiciare, il far coincidere il desiderio e la possibilità, ché la coscienza si diriga all’oggetto e si stabilisca una
mi pare già un eccesso filosofico sulla strada di una radi- relazione tra strutture noetiche e noematiche; ciò che si
cale renovatio. II senso dell’io è una relazione particolare può fare è descrivere le corrispondenze di questo proces-
con il mondo: la sola che sia propria dell’orizzonte del so. Ma anche qui il vero interesse di Paci è nel contenuto
soggetto. Lo strumento di questa operazione di ritrova- teleologico dell’intenzionalità: la coscienza si dirige verso
mento è, come tutti sanno, la riduzione fenomenologica essenze che il soggetto ha in sè e che costituiscono, come
o epoché. Essa, scrive Paci abbandonando il calco del les- finalità, direzioni di senso.
sico husserliano, è «simile al gesto di quando non se ne L’intenzionalità e senso strutturante, rimemorazione
può più»: le somiglianze stabiliscono appartenenze e il del passato e apertura verso il futuro. La vita evita lo sfal-
circoscrivere un campo di omologie è una intellezione. damento, il senso cementa, in una composizione, i tempi.
Invitare a sapere per somiglianza e invitare a circoscrive- Decisione, tuttavia, sempre da rifare quella della riduzio-
re, e a non immaginare oltre. E infatti la parola «gesto» ne fenomenologica, quindi un conflitto permanente per il
non solo non va perduta, ma viene ribadita in una equi- senso. Ma quando il rumore del mondano tace, allora
valenza semantica poiché Paci ripete che la riduzione posso ascoltare la voce del mondo della vita che è ritro-
non è una teoria, ma è piuttosto un fare. «Fare» è una vamento, salvezza, rinascita, possibilità di riconoscermi
parola il cui spettro di significato è estremamente vasto: come futuro. II mio interesse al mondo muta, un interes-
occorre trovare i suoi omologi nel linguaggio filosofico se intenzionale mi sottrae alle forme mondane della
FULVIO PAPI 19

costituzione dell’io dal calcolo, dall’utile, dalla razionali- logica. Paci considera un errore di Sartre non fondare l’a-
tà astratta, dalla competizione aggressiva — e mi colloca nalitica della ragione dialettica sulla riduzione, che, per la
nell’io dell’intersoggettività, corporeo e collettivo regno verità, fin dal 1936 a Sartre pareva lo strumento filosofi-
dei fini o «idea teleologica dell’umanità», come dice la co meno interessante di Husserl, una specie di artificio
grande retorica dell’universale, propria dell’ultimo verbale che non può, di per se stesso che «fingere» un
Husserl, umanista europeo. E, come si sa, la «rinascita effetto, non provocarlo. La riduzione appartiene a un les-
della ragione», in forma teleologica, rispetto all’immagi- sico che racconta filosofia non che costruisce l’esistenza.
ne dominante della razionalità moderna della misura, Invece in Paci è proprio la riduzione fenomenologica che
della previsione, dello scambio, del calcolo, della quanti- esclude tutte le sequenze del mondano, e impedisce il
ficazione, della democrazia politica. funzionamento di schemi già esistenti, e neutralizza le
parole che, in quanto partecipano a discorsi già codifica-
8. II «fondo» rivelato e l’analitica marxista ti, a disegni e azioni già esplorati sono parole morte, e
conduce alla soggettività come coscienza, corpo, irrever-
L’inizio del percorso sul senso partecipato, che condu- sibilità, organismo.
ce Sulla soglia di una situazione in cui l’esserci nel senso, Sono queste strutture che costituiscono — dice Paci —
è un’esperienza che può essere costituita, è ancora una «il fondo» del marxismo. Senza questa radice la descri-
volta un «sentirsi». II sentirsi non è un sentimento bana- zione storica del marxismo è un sapere come altri, la sua
le proprio perché non e l’introspezione che conduce a azione politica una abilita tecnica mondana. È da trova-
una nozione, ma una certezza coinvolgente, uno stato re il modo d’essere verità del marxismo. La parola
d’essere nella certezza. Paci aveva detto «occorre sentire «fondo» è di Paci, e non mi pare futile la scelta della radi-
la verità». II sentirsi non è banale perché nella percezione ce piuttosto che del derivato «fondamento» o «fondazio-
di sa non vi e l’occasionalità di una immagine ma è la ne», poiché indica il privilegiamento di una ragione o
presenza della quasi di una azione del corpo sulla struttura categoriale.
storia nel sog- II fondo è come dire una «fondazione fungente» una pro-
getto, come fondità che investe della sua vita, e quindi della sua veri-
carne, sangue, tà, ogni possibilità di discorso. II fondo rivelato dalla
dolore, e il sen- riduzione si svela poi in una ermeneutica fenomenologi-
tirsi è l’aprire ca che, attraverso la mediazione della costituzione stori-
una dimensione ca, costituisce per opposizione le figure dell’intersogget-
del soggetto che tività mondana come l’interesse o l’alienazione.
è in grado di II marxismo diviene così il repertorio delle categorie
elaborare spon- — l’alienazione, la merce, il feticismo — che rendono
taneamente un pensabile il soggetto mondanizzato nel suo processo di
intreccio di liberazione e di finalizzazione. Comprendere la merce
senso e non come lavoro umano è restituire intenzionalità a un sog-
senso. II sentirsi getto, disoccultare e, contemporaneamente, connettere il
Enzo Paci mostra sotto progetto alla totalizzazione. È qui che la problematica
una forma con- del senso diviene intersoggettività fungente, partecipa-
creta, ma ancora indecisa, il doppio legame del soggetto zione collettiva e, tramite il rapporto della verità con l’a-
con la teleologia della propria radice corporea e con le zione politica, si intravede la figura difficile (si capisce
forme della vita mondana, con le realizzazioni del prati- per il significato che le parole hanno in Paci) dell’«essere
co inerte. È il sentirsi che può condurre a un «non poter- nel senso». Ci sono due temporalità che mi pare entrino
ne più», a non poter sopportare un mondano che è avver- in collisione: la temporalità del tempo proprio della sog-
tito come distruttivo. gettività disoccultante, e la temporalità inevitabilmente
Non c’é in questa descrizione di Paci una particolare mondanizzata della azione politica, senza la quale, tutto
strada, un itinerario o una educazione al «prendere il precedente discorso è solo appartenente a un quadro
coscienza». Proprio come avviene in Sartre, dove il rico- prepolitico. Ancora una volta mi pare un’illusione quella
noscimento del soggetto come liberta è l’unica soluzione di trovare una buona filosofia come garanzia di una
possibile che, in un certo momento, si offre di fronte alla buona politica. Qui lascio ad altri di esaminare questa
necessità, a quel pratico inerte che non riesce più a cattu- esperienza «marxista» nella filosofia italiana, e anche nel
rare il consenso dal soggetto nella dimensione dell’inte- quadro internazionale che vedeva, soprattutto all’Est, la
resse. L’occasione conduce alla soglia di una rottura dei rinascita del problema del soggetto e anche della perso-
tempi: l’ora del presente ritrovata, in tutta la sua forza, la na del marxismo.
vitalità di un nuovo inizio, segna il passaggio del tempo Quanto al marxismo, come analitica della mondaniz-
dell’oggettività mondana al tempo fungente proprio del- zazione del soggetto, credo perda i suoi oggetti teorici
l’apertura dell’orizzonte di verità. fondamentali e quindi la sua capacità di intelleggibilità
II fare da capo o, come ho già detto, la decisione che analitica dei macrofenomeni storici di lunga durata:
realizza questa trasformazione, è la riduzione fenomeno- com’è, per esempio, nella morfologia del «modo di pro-
20 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

duzione». La fondazione precategoriale conduce il mar- spazio linguistico che e sostanzialmente quello di una
xismo — in Paci come in Sartre — quasi alla sua infanzia ermeneutica del senso che ora precede in una dimensio-
antropologica, alle sue categorie settecentesche e hegelia- ne enciclopedica avendo trasfigurato, infine il suo desi-
ne anche se contestualizzate in un lessico pieno di sedu- derio in una tecnica filosofica della fondazione.
zione. Questa esperienza forse oggi aiuta a comprendere Fondazione e temporalità d’altro canto sono un intrec-
come questa infanzia abbia avuto innumerevoli ripetizio- cio difficile. Ne deriva una filosofia che amando profon-
ni. Ma qui il marxismo, per la verità, non appartiene damente il proprio senso, non può che costituirlo diri-
quasi più a se stesso, ma allo scenario di una particolare gendosi verso l’Altro, cioè verso la scrittura di un ogget-
forma filosofica. to filosofico. Ma, d’altra parte, questa alterità non deve
So bene che Paci muterà il discorso ancora una volta mai essere assoluta alterità, disegno obiettivo, perché nel
perché quella collisione delle temporalità che indicavo, in quadro obbiettivato e impossibile rappresentare il desi-
realtà, gli cadrà proprio sotto gli occhi quando nella fret- derio della verità se mai il pregiudizio del suo possesso,
ta panpolitica di quegli anni — inizio anni Settanta — la quindi la sua pietrificazione: le parole perdono l’anima
sua interpretazione del marxismo gli veniva restituita del desiderio e si allontanano in una oggettività senza
oggettivata come un sicuro sapere di cose in forma sche- soggetto, mito punitivo di una verità senza senso perché
matica ed elementare, una deformazione ideologica che elusiva del tempo. Ma quale può essere il segno stabile,
faceva completamente perdere quella che a Paci appari- quello proprio di una temporalità comunicativa, di una
va come la fondazione di verità dell’analitica marxista verità così radicale e così incerta?
dell’esistenza sociale. Di fronte a questi nuovi «feticismi», Filosofia autobiografica dicevo: tuttavia occorre
il filosofo ricordava la relazione tra riduzione e tempora- prestare attenzione a non cadere in un errore che
lità e quindi la necessità di una continua decisione che farebbe perdere di vista il valore specificatamente filo-
rendesse impossibile ogni processo di oggettivazione, sofico di questa esperienza. Non ci troviamo mai di
poiché solo a questo modo il problema del senso mante- fronte a un «io» che abbia a che vedere con una delle
neva aperta la sua forza di verità. Credo che in questa forme tradizionali della autobiografia. Nella autobio-
aporia, solo a parole governabile con uno strumento filo- grafia di Paci non c’é il passato perché essa è tutta
sofico, in realtà fosse visibile la più radicale aporia esi- costruita sul problema del senso che, comunque ritro-
stente tra filosofia e politica e, nel caso specifico, tra feno- vato, apre solo l’illimitata dimensione del futuro, il
menologia e marxismo. tempo come misura ideale. Anche nel Diario fenomeno-
Credo di avere già parlato di «filosofia espressiva». logico l’io è sempre messo nella forma di correlato dei
Una filosofia espressiva considera la sua relazione diret- fatti da un continuo e definitive suggerimento filosofi-
ta con il linguaggio come una messa in scena della verità co che, in quel genere letterario, provoca talora una
e tuttavia ritiene che la comprensione, quasi una forma di sensazione di aridità, l’io è sempre il derivato di una
educazione da parte del destinatario, sia d’obbligo solo costruzione filosofica. È l’altro che lo mette in forma
se la sua espressività passa per una fondazione e quindi di filosofia. L’io dell’enunciato e dipendente da un io
costituisce l’unicita del codice espressivo. Vi è un conti- filosofico che ne detta il senso è anche la possibilità di
nuo ambiguo e inevitabile scambio di ruoli tra fondante enunciazione. La soggettività autobiografica è sempre
e fondato. In questo caso il filosofo diviene la forma un’altra, ed è quella che parla dell’Altro in cui rappre-
vivente, in altro luogo, della sua stessa filosofia. II dise- senta il problema del proprio senso: quindi una sog-
gno filosofico, nel quale l’eros e il suo oggetto si appros- gettività di relazione, dove il perdersi nell’Altro, cioè il
simano quanto più si può, diviene un’autobiografia che discorso filosofico, agisce sempre come paideia di un io
tende a coincidere non con il suo senso, ma con l’apertu- che continua ad affermarsi e a perdersi.
ra in generale al senso. Si tratta, sempre, di una relazione incompleta, e quin-
II linguaggio filosofico di Paci non è affatto univoco, di di una filosofia necessariamente incompiuta, poiché
esso è costituito da un insieme di imprestiti semantici che divenire filosoficamente e consumare la fondazione è tra-
ristrutturano il loro significato di volta in volta nelle sformare l’alterità nella trasformazione del senso di Sé.
nuove contestualizzazioni. Tutto questo richiederebbe La filosofia e una «ascesi» (esercizio) di valorizzazione
uno studio paziente, ma già ora si può dire che, come lin- che, non di meno continua a essere un processo entropi-
guaggio capace di molte trascrizioni, esso ottiene l’effet- co, soggetto alla irreversibilità. Noi sappiamo che esisto-
to implicito di affermare con forza un primato dal filoso- no sensi che non potranno mai essere presenti in quanto
fico come espressione delle espressioni, senso dei sensi. È valorizzazione, o, addirittura, che il desiderio di un senso
una filosofia che costruisce la sua capacita di verità pro- autentico è stato un vizio epocale, forse ultima luce epi-
prio tramite la massima apertura all’apprendimento gonale di un incrocio tra tradizione cristiana e illumini-
semantico che, a sua volta, come appartenente al luogo sta. E vediamo che la rincorsa e l’avvicinamento al senso,
della verità è ricchissimo di possibilità di traduzione e di la coincidenza tra l’io narrativo e l’io filosofico, come
metaforizzazione. Attraverso la trascrizione metaforica talora mi pare avvenga nel Diario fenomenologico, indebo-
la riflessione filosofica parla così della conoscenza, della lisce la forza della verità, poiché avvicinandola, in realtà
religione, della politica della musica, dell’arte, dell’archi- la allontana. La domanda di senso genera incompletezza,
tettura: tutti i linguaggi vengono proiettati sul medesimo la continua frattura del limite.
FULVIO PAPI 21

La domanda di senso invece ètanto più viva quanto metaforiche, e quindi necessariamente un poco enigma-
più è in grado di trasportare la sua domanda su una plu- tico come deve essere una comunicazione che, nella
ralità di oggetti. Di modo che è nel destino più autentico forma stessa della sua fondazione - il sentirsi, l’evidenza
della filosofia di Paci di presentarsi come enciclopedia, o, — , vuole provocare una mimesi nel destinatario, sedot-
forse meglio, poiché il significato della parole è sempre to alla ripetizione. Certamente, assegnandosi questo
difficile da disancorare dalle modellazioni della tradizio- scopo la filosofia è un oggetto d’amore e se, come dice
ne, come una particolare filosofia della cultura non hege- Paci, riprendendo Freud, «il destino dell’eros è di supe-
liana è non neo-kantiana, dove il filtro della intellezione rarsi», allora l’amore filosofico si fa sempre trasceso in
è la stessa ermeneutica del senso. Ogni filosofia della cul- quella particolare relazione d’amore che è la rappresen-
tura nella sua categoria di comprensione — lo spirito, la tazione del Sé nell’Altro, costruito come fondazione, veri-
legge trascendentale, quivi il senso — provoca le sue illu- tà e comunicazione. Tuttavia una filosofia espressiva non
minazioni e le sue deformazioni. L’enciclopedia di Paci è ripetibile nel suo tema centrale ed è per questo che è
ovviamente non ne è priva, ma solo un esame analitico una forma insolita di autobiografia.
potrebbe mostrare gli effetti di «formazione» e «deforma- Credo che questa filosofia, contrariamente a quello
zione» dei vari oggetti simbolici. che si afferma nei più volonterosi e banali rituali di valo-
La filosofia di Paci, per concludere, è espressiva e vita- rizzazione, non lasci alcun problema aperto. Ne più ne
le: il destino che si è assegnato è di essere «espressione e meno come nel caso di un quadro dove a nessuno viene
significato della vita». Sintagma, questo, pieno di parole in mente di terminarlo, anche se non sa come giustificare
il fatto che sia finito. Si tratta invece di un fortissimo
modello di esperienza filosofica. Proprio dei vivi è l’enor-
me privilegio, da usare con discrezione, di aggiungere
parole alle parole, e di poter stabilire il termine, almeno
provvisorio, del discorso.
Una volta, guardando alle vicende attuali della filoso-
fia italiana, ho scritto che la filosofia poteva dividere i
suoi attori tra restauratori o «professionali» e autori. La
differenza non va affatto considerata come dipendente
da una valutazione sugli ingegni degli uomini, ma piut-
tosto deriva da due figure caratteristiche della comunica-
zione sociale. L’una ha la sua radice nella tradizione e
nelle istituzioni e ne assume le caratteristiche di stile.
L’autore, invece, è una figura molto attenta alla recezio-
ne sociale anche nei suoi aspetti, alla fine, conformistici e
ripetitivi. La filosofia di Paci non appartiene ne al primo
stile e nemmeno al secondo. È un discorso filosofico che
ha alla sua origine il tema della verità come possibilità di
senso e la filosofia come tradizione e strumentazione di
questo percorso. Una filosofia così fatta e sempre incom-
piuta, eppure sarebbe vano non riconoscere che oggi essa
offre la resistenza aspra delle cose finite.
Paci quando ha scritto su se stesso, almeno da un
certo momento in poi, ha sempre adottato una prospet-
tiva «contenutistica», ha parlato di autori, libri, idee,
programmi. Dal canto mio ho cercato di raccontare la
storia di questo filosofo che più facilmente andrebbe
Le torri di Pavia, viste dall’Università. smarrita.

FULVIO PAPI (Trieste 1930) è Professore Emerito di Filosofia Teoretica presso l’Università di Pavia. Originale inter-
prete della “scuola di Milano”, ha frequentato i grandi classici della filosofia (Bruno, Kant, Hegel, Marx) e ha per-
corso le linee fondamentali del pensiero contemporaneo. Nell’ultimo decennio, in contrasto con ogni nichilismo filo-
sofico votato all’estinzione o alla distruzione del discorso, ha elaborato una teoria del fare filosofico come scrittura
configurativa di spazi del mondo e di forme del senso. Si è formato a Milano, dove ha studiato con Antonio Banfi,
Enzo Paci e Giulio Preti. Dal 1956 ha insegnato all’Università di Pavia la filosofia teoretica, l’estetica, l’epistemolo-
gia. È autore di molti saggi di filosofia (tra cui ricordiamo Vita e filosofia. La scuola di Milano: Banfi, Cantoni, Paci,
Preti, Guerini e Associati, Milano, 1990, Capire la filosofia, Ibis, 1993; Philosophia imago mundi, Edizioni Alice, 1993;
Figure del tempo, Mimesis, 2002) e anche di opere di narrativa (Teoremi di stelle truccate, Ibis, 1993).
22 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

IL GIOVANE ENZO PACI:


DAL CONFRONTO CON BENEDETTO CROCE
ALL’ESISTENZIALISMO POSITIVO

Intervista ad Amedeo Vigorelli

a cura di Massimiliano Cappuccio e Alessandro Sardi

[Chora] Prof. Vigorelli, è a Lei che dobbiamo i prin- smo è “fenomenologico” e ad un tempo “storicistico”
cipali studi storiografici di tipo sistematico sulla vita e (e dunque, nella sua fase finale, “dialettico” e persino
sull’opera di Enzo Paci. Per questo motivo abbiamo “negativo”). Anche per questo, nei due saggi che gli ho
deciso di rivolgerLe l’invito a fornirci una sintetica dedicato (la monografia pubblicata da Franco Angeli
introduzione al pensiero del filosofo di Monterado, nel 1987 e l’articolo apparso nel “magazzino di filoso-
così come una guida essenziale alle principali tappe fia” nel 2001: ma in realtà concepito, in prima stesura,
che la sua vita personale e professionale ha attraversa- negli anni Ottanta), ho preferito la categoria storiogra-
to. Riassumere un percorso così complesso richiede fica di “esistenzialismo positivo”, già utilizzata con una
certamente di operare una selezione e delle forti sinte- certa fortuna per gli altri due autori che hanno meglio
si, ma il risultato sarà comunque utilissimo per con- caratterizzato la generazione italiana degli anni Trenta:
sentire agli studenti di oggi (ma non solo a loro) di Nicola Abbagnano e Luigi Pareyson; individuando poi
comprendere complessivamente il progetto filosofico una svolta, che è più di carattere storico-culturale che
inaugurato da Paci e la caratura della sua figura non strettamente teoretico, sul finire degli anni
umana. Potrebbe esporci la suddivisione in fasi del Quaranta, in cui fermentano tutte le esperienze dei
percorso filosofico di Paci, che ha già tracciato nella decenni successivi. Quanto ai “quattro auttori” di Paci
sua biografia? Potrebbe aiutarci ad orientarci in questa (per riprendere la definizione del prediletto
periodizzazione indicando per ognuno dei periodi Giambattista Vico) non è difficile indicarli: Nietzsche,
quali sono state le letture, gli incontri e le problemati- Bergson, Jaspers, Husserl.
che filosofiche che più lo hanno caratterizzato?
Vorremmo chiederle di approfondire in particola-
[Vigorelli] È sempre rischioso distinguere in “fasi” il re alcuni aspetti della formazione di Enzo Paci,
pensiero dei filosofi: si rischia di fraintendere il senso durante il periodo degli studi liceali, degli anni della
unitario della esperienza umana e di reificare il nisus formazione universitaria e della prima attività di
finalistico (Paci amava dire il telos) del suo essere aper- ricerca. Pare che in quel periodo il suo modo di svi-
ta al mondo. Questo pericolo è ancor più consistente, se luppare i temi della filosofia della storia e della vita
si affrontano quegli autori che, nella scia di Bergson, fosse fortemente influenzato da un confronto con lo
hanno voluto affidarsi più alla intuizione che al pensie- storicismo assoluto di Benedetto Croce e con l’ideali-
ro logico, scegliendo per se stessi la divisa del smo romantico.
Lebensphilosoph anziché quella del filosofo professiona-
le. Così, in Enzo Paci, abbondano le pagine in cui il La filosofia (ma ancor più la personalità) di
pensatore, nel tentativo rinnovato di costruire la pro- Benedetto Croce ha avuto un peso difficilmente sotto-
pria autobiografia interiore, accenna a “svolte”, “ritor- valutabile sulla maturazione della vocazione intellet-
ni”, “sviluppi” (a volte persino a una consapevolezza tuale di Paci. Va sottolineato che l’influenza di Croce è
morale di “peccato” e di “pentimento”), che lasciano in un certo senso anteriore a quella del suo maestro
supporre una volontà tormentata e sofferta di rispec- riconosciuto: Antonio Banfi. In Croce e nel suo antifa-
chiamento nel pensiero della propria singolare durée scismo liberale Paci ha precocemente trovato un anco-
réelle. Dunque, schematizzando: esistenzialismo (1938- ramento della propria inquietudine morale (la stessa
1950), relazionismo (1951-1956), fenomomenologia che lo spingeva, giovanissimo, incontro al “mito gobet-
(1957-1963), marxismo (1964-1976). Ma ognuna di que- tiano”). Anche se poi l’incontro con l’ambiente milane-
ste stagioni è intimamente fusa con le altre, come lo se della scuola banfiana lo indirizzerà verso scelte esi-
stesso Paci sottolinea nelle sue dichiarazioni program- stenziali ispirate a un più smagato “realismo” (da cui
matiche: il suo esistenzialismo è “storicistico”; il suo l’equivoco del suo “fascismo di sinistra”), una segreta
relazionismo è “concreto” e non logico-astratto: dun- fedeltà alla lezione etico-politica di Croce rimarrà in lui
que “esistenzialistico”. Il ritorno a Husserl è poi tutto costante, motivando la sua ripresa del dialogo con lo
giocato sull’ipotesi di una ricomposizione tra “fenome- storicismo crociano nel secondo dopoguerra. Da Croce
nologia” e “esistenzialismo”, così come il suo marxi- Paci attingerà il costante tono “mondano” della propria
AMEDEO VIGORELLI 23

filosofia, aliena da più espliciti accenti metafisici. Alla maestro di Paci: Antonio Banfi). E se poi di tale filosofia si
distinzione crociana tra un romanticismo teorico (sano) dà una lettura superficiale, che ne scontorna i rocciosi pro-
e un romanticismo pratico (malato) è ispirata anche la fili onto-fenomenologici, per evidenziarne prevalente-
indubbia presenza di una Stimmung romantica nell’au- mente quelli etico-antropologici, ci si condanna a una
tore di Esistenza e immagine (forse il libro più rappresen- “commedia degli equivoci”, da cui non fu indenne lo stes-
tativo del Paci-prima maniera). Ma la maggiore apertu- so Enzo Paci nel corso di più decenni (e che lo costrinse, in
ra del filosofo di Monterado alla letteratura contempo- una estrema volontà di sincero ripensamento filosofico, ai
ranea (rispetto al gusto ancora “carducciano” di un contorsionismi verbali del suo “ritorno a Husserl”: autore
Croce), gli suggerirà un più variegato percorso esteto- riletto in una prospettiva non più escludente, ma inclusi-
logico e poetico (che comprenderà tra gli altri Rilke e va, rispetto al proprio esistenzialismo). Rimane comunque
Proust, così come Eliot e Mann). Per quanto riguarda confermata la appartenenza (anche biografica) di Paci e la
più direttamente la tradizione filosofica, il lascito più sua condivisione del clima spirituale caratteristico dell’e-
evidente del romanticismo storico si lascia cogliere nel poca entre deux guerres: che della tragedia dei totalitarismi
costante e non superficiale interesse di Paci per la novecenteschi e della autodistruzione dello spirito euro-
Naturphilosophie, sia nella versione schelinghiana che in peo fece materia (sia pur mediata e indiretta) del proprio
quella goetheana. Anche se poi il “professionismo” rinnovamento filosofico. Di quelle esperienze Paci non fu
filosofico (non certo assente in Paci) gli suggerirà una semplice testimone, ma lucido interprete, particolarmente
prudente presa di distanza dalla versione più segnata- avvertito della “ambiguità” inseparabile dalla volontà di
mente metafisica della scienza naturale moderna e un presenza e fedeltà al proprio tempo. Basterebbero a testi-
avvicinamento alla raffinata cosmologia di autori come moniarlo le dense pagine del suo diario, che riportano il
Whitehead o lo stesso Husserl. drammatico confronto del 1945 di Paci con il maestro della
sua giovinezza, inaspettatamente approdato al comuni-
In che cosa consisteva quella particolare proposta smo staliniano, pagine che sono state proposte con fine
filosofica che Paci ha battezzato “Esistenzialismo rilettura da Guido Davide Neri, che ha saputo inquadrar-
positivo”, e che ha caratterizzato il suo pensiero degli le nella loro giusta luce storica (Un confronto teologico-politi-
anni ’30 – ‘40? In che modo essa può essere distinta da co tra Paci e Banfi, “aut aut” 214-215, 1986, pp. 57-77: fasci-
analoghe proposte di filosofi esistenzialisti di quegli colo speciale, nel decennale della scomparsa di Enzo Paci).
anni (o della tradizione ottocentesca) e sotto quali
aspetti invece essa ne prosegue il discorso? È
possibile affermare che una tensione e una sensi-
bilità esistenzialistica abbia attraversato tutta la
riflessione di Paci, fino alla sua fine, e in che
misura, invece, e per quali motivi, essa col tempo
è stata almeno parzialmente superata? È possibi-
le mettere in relazione l’esistenzialismo di Paci
con gli eventi del tempo in cui viveva, con le
esperienza del regime fascista, della guerra e dei
campi di concentramento?

Se con esistenzialismo si intende (come corret-


to) una esplicita volontà di rottura con la tradizio-
ne dell’“intellettualismo” della filosofia occidenta-
le (si pensi alla invettiva anti-socratica di
Nietzsche o a quella anti-hegeliana di
Kierkegaard), non vi è dubbio che si possa annove-
rare Paci tra gli autori esistenzialisti. Se con “posi-
tivo” si intende (come programmaticamente affer-
mato da tutti i maggiori protagonisti di quella sta- Benedetto Croce (1866-1952) con le sue figlie
gione) la scelta di un orientamento “umanistico”
della filosofia, contro le sue possibili derive scettiche o Cosa resta oggi di Enzo Paci nel panorama della
nichilistiche, è ugualmente pacifica l’adesione di Paci a filosofia italiana, e in particolare cosa resta ai suoi
una simile versione di esistenzialismo. Ma se, per un allievi della sua eredità intellettuale? Esiste una
fraintendimento assai diffuso nella cultura filosofica caratteristica del suo modo di percepire il lavoro
italiana (e non solo italiana) di quegli anni, per esisten- filosofico, una connotazione della sua sensibilità
zialismo si intende la prospettiva teorica aperta da Sein che possa essere riconosciuta come la cifra fonda-
und Zeit di Heidegger, in contrapposizione al “raziona- mentale del suo insegnamento, in grado di avvici-
lismo” della fenomenologia di Husserl (una interpreta- nare idealmente tutti coloro che hanno proseguito
zione particolarmente avvalorata, nel nostro paese, dal la sua ricerca?
24 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

Che cosa resta oggi di Enzo Paci? È banale dirlo, modulo “saggistico” della sua meditazione. Dopo i
ma restano i suoi libri, a cui di frequente gli studenti primi giovanili tentativi (condannati a un inevitabile
di filosofia di quella che fu la sua università ricorro- fallimento) di misurarsi con la sapiente esegesi e il
no, per un approccio meno aridamente scolastico, solido metodo filologico del suo maestro pavese
dialetticamente più vivo, con la materia filosofica. La (Adolfo Levi) o con la forma sistematica di quello
sua Filosofia contemporanea ha rappresentato per molti milanese (Antonio Banfi), ne Il significato del
un avviamento allo studio della problematica con- Parmenide nella filosofia di Platone e nei Principii di una
temporanea, migliore di qualsiasi manuale. Della sua filosofia dell’essere, Paci troverà nel saggio la forma più
eredità filosofica si può adatta e a lui più congeniale di
dire ciò che con ironia scrittura filosofica. In questa scel-
Simmel profetizzava ta si esprimeva forse una incon-
della propria fortuna scia attrazione per l’umano,
postuma: che sarebbe quale “forma” intrascendibile
stata spesa come “dena- della problematicità teoretica
ro contante”, anziché (come recita uno dei titoli più
venire accumulata in fortunati: Il nulla e il problema del-
forma patrimoniale. l’uomo). Ma è soprattutto nella
Paci non ha in effetti misurata forma stilistica del sag-
fondato una scuola (a gio che l’autore riesce a dare
differenza del suo mae- fondo alla propria vocazione
stro Banfi), ma ha fecon- congiunta: per la filosofia e per la
dato per mille rivoli la musica. È all’esattezza della
discussione filosofica forma musicale (exercitium mathe-
contemporanea. Si può matices occultum: come diceva
dire che ognuno dei Leibniz) che Paci sceglie di ispi-
suoi allievi ne abbia rare il proprio “rigore” filosofico,
tratto qualcosa, mesco- così diverso (pur nella affinità di
landolo con altri fer- fondo) da quello di Banfi e del
menti, che hanno finito suo “razionalismo critico”, ma
per rendere irriconosci- altrettanto lontano dal pathos
bile il debito in origine irrazionalistico di tanti, che gli
contratto. Questa sono stati forse inconsapevoli
“fedeltà infedele” non epigoni. Se c’è poi un tratto per-
gli sarebbe in fondo sonale che resta indimenticabile,
spiaciuta, legandosi a per chi ha avuto la ventura di
una idea alta del fare accostarlo di persona (e non era
filosofico, mai del tutto persona facile da avvicinare), è
riducibile a sapere pro- forse quello della disponibilità
fessionale. L’omaggio assoluta a misurarsi personal-
più esplicito è stato, in mente con quella che, con parola
tal senso, quello che ha desueta, si ostinava a chiamare la
voluto rivolgergli Mario dal Pra, che non si è limitato “verità”, senza timore di essere scambiato per un
ad ospitare nelle collane da lui dirette o ispirate la attardato metafisico, o forse con la civetteria di condi-
prima bibliografia e la prima biografia sul filosofo da videre un po’ del candore dell’uomo comune, della
poco scomparso, ma che ha inteso anche segnalarne sua naiveté filosofica. Un tratto davvero singolare in
la posizione distinta e del tutto rilevante - accanto a una personalità, che sulla più raffinata mediazione
quella del filosofo, a lui umanamente e teoreticamen- letteraria e sulla più intensa frequentazione dei clas-
te più di Paci vicino: Giulio Preti -, nell’ambito di sici aveva saputo costruire il proprio “monumento
quella che si andava in quel periodo sempre più di vivente” e anche la propria posizione di potere (fosse
frequente definendo come la “scuola di Milano” (in pure quel potere, sempre un po’ ambiguo e sfuggen-
effetti, la scuola di Antonio Banfi). Se vi è una cifra te, che si allora diceva “potere accademico”, e che egli
riconoscibile del suo insegnamento, essa sta forse nel sembrò voler gettare alle ortiche, nel fatidico 1968…).

AMEDEO VIGORELLI è professore di Filosofia Morale all’Università degli Studi di Milano. Studioso di filosofia italia-
na contemporanea e di filosofia classica tedesca, ha pubblicato, tra l’altro: L’esistenzialismo positivo di Enzo Paci. Una
biografia intellettuale (1929-1950), 1987, Franco Angeli, Milano; Piero Martinetti. La metafisica civile di un filosofo dimen-
ticato, 1998, Bruno Mondadori, Milano; Il riso e il pianto. Introduzione a Schopenhauer, 1998, Guerini, Milano.
MATTEO BIANCHETTI 25

PLATONE NELLA RIFLESSIONE


DEL GIOVANE PACI:
Il significato del Parmenide nella filosofia di Platone*

di Matteo Bianchetti

O pera prima e nota di Enzo Paci, nata dalla


rielaborazione della sua tesi di laurea
discussa a Milano con Antonio Banfi e Luigi
Castiglioni come relatori. Il titolo della tesi, smarrita,
era Saggio sul significato filosofico del Parmenide nella
da, vorrebbe la filosofia dell’esistenza e, in particola-
re, Jaspers), le sue opposizioni creano la vita e il
respiro dialettico del pensiero, “l’eterna legge razio-
nale che supera la morte ad essa opponendo senza
tregua la potenza creatrice dello spirito”2. Il principio
filosofia di Platone e fu presentata insieme a due tesine, dell’antinomia dell’essere, a partire da Platone per
una ancora in filosofia dedicata a Blondel (relatore: proseguire oltre, rende possibile costituire un vero
Baratono) e la seconda in pedagogia sul risentimento idealismo che non si appaghi di un definitivo e dog-
in Max Scheler (relatore: Morselli)1. matico ottimismo, ma colga e valorizzi la vita e le sue
L’argomento è assai arduo e che un giovane, per antinomie e, di conseguenza, proprio approfondendo
quanto brillante e, come mostrerò, già nutrito da i motivi dell’esistenzialismo e della meditatio mortis,
vaste letture, lo abbia affrontato proponendo, per fondi la più pura e libera meditatio vitae.
altro, un titolo largamente ambizioso e, soprattutto, In queste prime pagine, che recano, in calce, la
uscendone in maniera più che dignitosa, è cosa dav- data del 12 maggio 1938, come ho già detto, si con-
vero notevole. densano gli studi e le riflessioni che tennero occupa-
Opera prima, si è detto, ma non improvvisata ché to il giovane Paci negli anni della sua formazione.
Paci, fin dal liceo, aveva intrapreso una riflessione per- Il riferimento più immediato per il tema della crisi
sonale e sentita che lo aveva portato a studiare con (della cultura e della civiltà) è Antonio Banfi, suo
impegno diversi autori e momenti della storia del pen- maestro all’università di Milano, che, a sua volta rifa-
siero. Di tutto questo vi è più di un’eco nel libro, e lo si cendosi ad ulteriori modelli (Simmel, Tillich, l’esi-
nota, in maniera inequivocabile, fin dalla prefazione. stenzialismo in generale), si era sforzato di affrontare
All’inizio, proprio nel primo capoverso, si trova il le oscurità del negativo e le asperità dell’irrazionale
richiamo alla crisi della civiltà europea e al suo con- del tempo presente per trasfigurarle razionalmente
seguente bisogno di comprendersi che la spinge a secondo una nozione di cultura ripresa dalla tradizio-
rivolgersi indietro, verso la sua sorgente classica. In ne umanistica, ma avvertita delle critiche ai valori
tal modo sarà, poi, possibile, si argomenta, vivere operate da Marx, Nietzsche e Kierkegaard, del reali-
questa crisi in modo da superarla e renderla creatri- smo storico di Hegel e dell’eudemonismo di Spinoza.
ce, ma solo dopo aver appreso a non rigettare nessu- Questi temi non si aggiunsero, però, estrinsecamente
na delle opposizioni che costituiscono l’esperienza alla maturazione teoretica di Paci, il quale, invece,
nella sua concretezza e presenza effettiva. Ecco, allo- aveva già intrapreso per suo conto a polemizzare
ra, perchè la sua attenzione si è rivolta al Parmenide: contro la morta gora (per così dire, ma l’espressione
in questo dialogo ritiene di poter mostrare come non si trova nei suoi scritti) della sintesi idealistica,
Platone accetti di seguire tutti i sensi dell’essere e, sia crociana sia gentiliana.
quindi, lungi dal rappresentare il crollo del suo siste- Ancora liceale, a Cuneo, si appassionò per Spencer
ma e il venir meno della logica (come, invece, ci ricor- e considerò la filosofia il mezzo per fornire una sinte-

* Enzo Paci, Il significato del Parmenide nella filosofia di Platone, Principato, Messina-Milano, 1938 (rist. nelle Opere di Enzo Paci, intr. di C.
Sini, Bompiani, Milano 1988).
1. A. Vigorelli, L’esistenzialismo positivo di Enzo Paci. Una biografia intellettuale (1929-1950), Collana di Filosofia, Franco Angeli, 1987, p. 124,
nota 102. Il libro di Vigorelli è molto documentato e vi farò ricorso più volte.
2. E. Paci, , Il significato del Parmenide nella filosofia di Platone, intr. di C. Sini, Bompiani, Milano 1988, p 2.
26 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

si delle diverse discipline oggetto del suo studio, ma Gobetti5, di cui commenta in particolar modo il
si mostrò subito insoddisfatto del divario tra sintesi significato dell’eresia come creazione della storia
teorica ed esigenze concrete della vita. Si rivolse, allo- nella fedeltà intransigente alla propria autobiografia
ra, al pragmatismo e ai suoi rappresentanti locali, opponendosi, di conseguenza, all’annullamento del-
Papini e Prezzolini, e, poi, a Croce e Gobetti. l’individuo nello Stato e smascherando i falsi miti
Anche nel suo confronto con Croce, ancora, come è giustificazionisti e deterministi della presunta ragio-
ovvio, solo incipiente, tenta di far valere le ragioni ne superiore.
del carattere mondano della vita e della storia contro Ritornando ora ai maestri più prossimi a Paci negli
l’impalcatura teologica della filosofia dello spirito anni immediatamente precedenti la stesura della tesi e
(“bisognava spezzare il panlogismo e ciò era possibi- la pubblicazione del nostro libro, occorre ricordare
le nello stesso Croce se la forma utilitaria era concepi- Adolfo Levi, studioso di Platone e sostenitore di una
ta, sulla scorta di Marx, come realtà economica e que- filosofia scettica basata sul solipsismo in ambito gno-
sta come natura” scriverà Paci ricordando quelle seologico e dogmatica in campo morale, di cui il nostro
riflessioni giovanili3). Nel ’29-’30, in un saggio, non filosofo ascoltò i corsi di storia della filosofia all’uni-
pubblicato, intitolato Lineamenti di un’interpretazione versità di Pavia (dove aveva iniziato i suoi studi, lette-
crociana della realtà economica4, tornerà sulla questio- rari, non filosofici, prima di trasferirsi a Milano).
ne, proponendo un confronto con Gentile, definito Nella sua speculazione e nella sua ricerca storio-
“protoesistenzialista” per il suo tentativo di distin- grafica, intimamente unite, Levi evidenziava l’apore-
guere lo spirito (che, propriamente, non è mai ma ticità dell’esperienza e del darsi, in essa, dell’errore e
sempre si cerca) dal non spirituale, la natura (che del male di contro alla visione unilaterale dell’attua-
semplicemente esiste di fatto): occorrerebbe correg- lismo (si ricordi la presenza della stessa esigenza
gere Croce con Gentile là dove il primo non pensa nelle intuizioni giovanili di Paci) e indicava in
davvero le forme dello spirito nella loro attualità, ma Platone l’autore che più degli altri aveva affrontato
si limita a presentarle come già realizzate dinanzi allo coraggiosamente la sfida della giustificazione razio-
spirito. Ma anche Gentile, a sua volta, sbaglia nel non nale dell’esperienza di contro allo scetticismo sofisti-
accettare la forma economica, o utilitaria, dello spiri- co6. I problemi del giudizio e del tempo (che unifica-
to teorizzata da Croce. Entrambe le proposte potreb- no il molteplice contravvenendo alla tesi eleatica e
bero, poi, emendare i reciproci limiti sul terreno della condizionano la possibilità di trasporre i nessi ideali
filosofia della natura, concependo questa, la natura, al piano reale), però, fanno naufragare il tentativo
come reale fisicità, cioè non solo attività, ma anche platonico. Il divieto eleatico di confondere uno e mol-
passività e, quindi, concretezza (coerentemente con teplice condanna l’esperienza all’irrazionalità: espe-
queste assunzioni, Paci intraprese contemporanea- rienza e ragione sono separate (quasi come idee e
mente lo studio della Naturphilosophie hegeliana). In cose nell’ultima, e maggiore, difficoltà della cosiddet-
uno scritto del ’31, infine, alla povertà della sintesi ta teoria delle idee opposta a Socrate da Parmenide
idealistica che assorbe la natura nello spirito, con- nel nostro dialogo) e nulla possono i tentativi ideali-
trappone la fiducia che Kant, pur criticamente, ripo- stici e neokantiani di trovarvi un collegamento7.
neva nel valore conoscitivo della scienza, prima que- Ricordando quello che abbiamo detto delle rifles-
sto che si attenuasse con il Romanticismo (ma, nota, sioni giovanili del nostro autore, non è difficile capi-
non con Hegel). re come questi argomenti potessero interessarlo e si
Verso la concretezza e realtà dell’esistenza si vedrà come riaffioreranno nella sua interpretazione
orientano anche le riflessioni intorno a Piero di Platone e del Parmenide.
3. Enzo Paci, Itinerarium philosophicum, cit. in A. Vigorelli, op. cit., p. 58. Si tratta di un breve inedito databile al 1955, incompiuto, in cui
l’autore delinea, in modo sommario, la propria biografia intellettuale.
4. Cfr. A. Vigorelli, op. cit., pp. 58-74.
5 Cfr. A. Vigorelli, op. cit., pp. 74-89.
6 Di Levi occorre ricordare Il concetto di tempo nei suoi rapporti coi problemi del divenire e dell’essere nella filosofia di Platone, Paravia, Torino
1920 e Sulle interpretazioni immanentistiche della filosofia di Platone, Paravia, Torino 1920, e Sceptica, Paravia, Torino 1921.
7. “All’attualismo di Gentile che concepisce ‘l’intima natura del reale come divenire logico e non temporale’, si può obiettare: ‘se tutto
è intimamente razionale e lo sviluppo è fuori del tempo, che si riduce a una visione soggettiva della mente individuale la quale non
coglie sotto questo aspetto la vera natura del reale, come e perchè, in un mondo completamente razionale, è possibile tale visione uni-
laterale e quindi errata? Come si possono giustificare l’errore e il male?. D’altro canto, al metodologismo marburghiano (a cui si può
accostare [...] la stessa posizione di Banfi) che ‘condannando ogni metafisica, rivolge la propria attenzione alla ricerca della determina-
zione dei fondamenti razionali della conoscenza, da cui si sforza di derivare la logicizzazione progressiva della esperienza’, giova
ricordare che ‘se tali fondamenti non sono nel tempo, se valgono all’infuori di ogni successione come è possibile ridurre ad essi quel-
l’esperienza che necessariamente assume l’aspetto del divenire temporale?’” (A. Vigorelli, op. cit., pp. 105-6).
MATTEO BIANCHETTI 27

indebite fissazioni unilaterali della vita della ragione.


In Idealismo e realismo9, del 1931, si sottolinea con
forza l’opposizione di Hegel al coscienzialismo empi-
ristico, da un lato, e al soggettivismo idealistico, dal-
l’altro: “Il razionale è [...] il movimento stesso della
realtà in quanto si svolge alla coscienza della propria
ideale natura”10.
La legge di infinita risoluzione della problematici-
tà dell’esperienza, che prima era considerata solo for-
male rispetto alla reale antinomicità del livello dell’e-
sperienza, diviene, ora, una dimensione razional-
mente oggettiva perchè dialetticamente operante
nello sviluppo storico e culturale concreto.
Riflessione teoretica e riflessione pragmatica vengo-
no, allora, ad avvicinarsi e non si insiste più tanto
sulla necessaria purificazione dell’esperienza per
passare al piano ideale, quanto, piuttosto, alla neces-
sità di un’incarnazione dell’idea nella dimensione
della finitezza e determinatezza.
Terminata l’esposizione, breve per le cose da dire,
ma lunga nell’economia di questo articolo, del conte-
sto in cui il giovane Paci iniziò la sua esperienza di
pensiero, può finalmente incominciare la parte più
strettamente dedicata al nostro libro.
Occorre, innanzi tutto, porre attenzione al titolo e
notare come non si tratti, stricto sensu, di un saggio
sul Parmenide, ma, più propriamente, sull’intera spe-
culazione di Platone, riguardata dal punto di vista
Parmenide dei problemi trattati in quel dialogo. A tal scopo,
sono utilizzati 23 dialoghi così ordinati: Ippia minore e
Prima di affrontare direttamente il contenuto del- Alcibiade primo, Ippia maggiore, Ione, Carmide e Lachete,
l’opera paciana, occorre tornare a soffermarci, breve- Liside, Eutifrone, Protagora e Eutidemo, Gorgia, Menone,
mente, sulla figura e l’opera di Antonio Banfi, il suo Cratilo, Fedone, Simposio, Fedro, Repubblica, Parmenide,
relatore e maestro negli anni universitari milanesi. La Teeteto, Sofista, Politico, Filebo, Timeo.
sua opera più impegnativa è Principi di una teoria della Le uniche opere di rilievo escluse sono l’Apologia,
ragione, pubblicata nel 19268 e rimeditata da Paci pro- la VII lettera e le Leggi (ed è comprensibile, almeno
prio poco prima di far uscire il suo libro sul per la prima e l’ultima, per i loro interessi non meta-
Parmenide. Il conoscere, dice Banfi, è problematicismo e fisici). Il libro termina, poi, dopo l’analisi del Timeo,
può essere giustificato solo a livello trascendentale, con un paragrafo dedicato alle idee-numeri.
distinguendo, cioè, l’idea del conoscere (che coincide Paci rifiuta di suddividere la filosofia di Platone
con la legge trascendentale della correlazione ideale secondo il suo presunto sviluppo (come, al contrario,
soggetto-oggetto che, a sua volta, guida la conoscen- proponeva Stenzel) e ritiene che essa costituisca un
za attuale in un processo infinito) e la conoscenza tutto unitario, privo di veri salti evolutivi11.
nella sua reale attualità in cui i due poli, soggetto e Fulcro dell’opera è, ovviamente, l’interpretazione del
oggetto, sono, invece, in antitesi. Scetticismo e solip- Parmenide e, soprattutto, della seconda parte, in cui l’e-
sismo, idealismo e realismo sono solo figure della leate espone nove tesi (tante ne individua Paci, conside-
fenomenologia della ragione, parziali se divengono rando la celebre sezione sull’istante come parte a sé12).

8. A. Banfi, Principi di una teoria della ragione (1926), Parenti, Novara 1960.
9. A. Banfi, Idealismo e realismo, Archivio di filosofia, a. I, 1931.
10. Ivi, p. 206, cit. in A. Vigorelli, op.cit., p. 113.
11. E. Paci, op. cit., p. 37.
12. Gli studiosi, oggi, tendono, per lo più, a considerare il passo 155e3-157b4 come un’appendice alla seconda serie di deduzioni, ma non
così fecero i neoplatonici che lo considerarono, appunto, la terza tesi su nove totali nelle quali, poi, credettero di ritrovare l'intera strut-
tura metafisica del reale.
28 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

Le nove serie di deduzioni per sé, si attua e si produce”14


espongono, secondo necessità, incessantemente. Questo
lo sviluppo del primo principio dinamismo trascendentale
trascendentale della prima tesi determina il senso delle
nel mondo eidetico e, poi, nel diverse ipotesi che stiamo
mondo empirico attraversando esaminando: non dati dogma-
tutte quelle che potremmo chia- tici, ma necessarie posizioni
mare ontologie regionali fino a del pensiero, la razionalità
giungere al non essere assoluto del mondo in quanto deter-
dell’ultima tesi che, coincidendo minazione della legge tra-
con l’essere assoluto dell’inizio, scendentale.
riapre eternamente il ciclo. Solo così, poi, sarà possibi-
La prima ipotesi afferma l’u- le chiarire il significato filo-
nità assoluta che, in quanto tale, sofico dello stesso metodo
non può né essere né porsi come socratico che, benché fre-
oggetto del pensiero. È l’idea quentemente utilizzato nei
come legge delle idee moltepli- dialoghi precedenti il
ci, il pensiero come legislatore Parmenide, sarà esplicitato
di se medesimo o, che è lo stes- solo nel posteriore Teeteto: il
so, esigenza ordinatrice assolu- pensiero deve continuamente
ta, io trascendentale in senso superare quei particolari
kantiano. sensi dell’essere in cui, di
La seconda tesi rappresenta Platone volta in volta, si muove
il secondo grado dialettico, mostrando l’impossibilità di
quello in cui si giustifica l’esistenza e la molteplicità fissarsi, indebitamente ,in uno solo di essi mentre
delle idee: ora l’unità non si pone più come sogget- tutte le strade, in vario modo, si incontrano in questa
to, ma come oggetto. Il mondo delle idee è ciò che terza tesi che, a sua volta, le trascende tutte. Nei dia-
nasce quando si pensa l’unità ed è reso esistente dal- loghi successivi, Platone tornerà a parlare della cen-
l’uno superesistente. Di tutto ciò che è positivo tralità della mediazione degli opposti (il genere
dev’esserci un’idea, ci saranno, quindi, idee di tutte misto del Filebo e la chora del Timeo): solo in questo
le cose perchè ogni cosa è positiva e le idee saranno modo può verificarsi la creazione (e si può, ora, com-
conoscibili non solo attraverso il metodo ascendente prendere in tutto il suo valore anche la teoria dell’a-
e quello discendente, ovvero secondo la scienza, ma more esposta nel Simposio: un essere fecondo crea,
anche, si badi, per il tramite della doxa e della sensa- conducendo il non essere all’essere, quando si trova
zione perchè anch’esse possono essere vere se unifi- in vicinanza del bello). Le stesse difficoltà contro la
cate dall’idea. Platone, come sempre, parla del teoria delle idee sollevate da Parmenide, nella prima
mondo ideale trattando dei problemi della cono- parte del dialogo, trovano una spiegazione in quan-
scenza, ma solo qui lo espone in tutta la sua com- to ciò che là si puntava a far cadere era solo la sua
plessa organicità ontologica. interpretazione dogmatica (e, in modo analogo, si
La terza serie deduttiva è quella, particolarmente possono comprendere anche apparenti ritorni di
problematica, dell’istante (exaiphnes) e riveste un Platone a posizioni che sembravano superate, come
ruolo centrale nel tentativo ermeneutico paciano. In la teoria della mimesis riproposta nel Timeo in cui,
essa si attua il continuo passaggio dalla prima alla peraltro, il mito serve a sottolineare la non dogmati-
seconda ipotesi e dalla seconda alla prima. “Le due cità dell’esposizione).
grandi correnti dell’ideale e del reale, del pensiero e La quarta ipotesi si collega alla seconda: come
dell’esistente, della sostanza pensante e della sostan- quella conteneva la descrizione del farsi della molte-
za estesa, dell’eternità del tempo e del divenire empi- plicità ideale, così questa presenta la determinazione
rico, non si pongono in un’immobile e statica opposi- della realtà del mondo da parte del metodo diaireti-
zione, ma si trascendono nel loro continuo correlati- co. L’unità e la molteplicità, pur rimanendo estranee
vizzarsi l’una all’altra”13. Paci richiama la conclusio- l’una all’altra, incontrandosi, porranno una nuova
ne dell’Enciclopedia di Hegel e la sua citazione dell’a- molteplicità racchiusa dall’unità: l’unità dell’idea è
ristotelico pensiero di pensiero: “l’idea, eterna in sé e pensata tutte le volte che si conosce la realtà. È que-

13. E. Paci, op. cit., p. 104.


14. Ivi, p. 104-5.
MATTEO BIANCHETTI 29

sta la fondazione del campo ontologico in cui vale il ricominciare, di conseguenza, il ciclo delle ipotesi tor-
metodo diairetico. La logica formale, propria della nando nuovamente a creare nella perfezione.
diairesis, deve essere, allora, distinta dalla dialettica “Parmenide alla fine del dialogo riassume la ricer-
filosofica e ad essa subordinata altrimenti non si ca: “Tanto se l’uno è, quanto se non è, esso stesso e
capirebbe cosa ci guiderebbe nello stabilire un meto- gli altri nei rapporti che hanno con sé e nei rapporti
do logico. reciproci, sono assolutamente tutto e non sono, sem-
La quinta catena deduttiva mostra il mondo della brano essere tutto e non sembrano”. Questo schema-
doxa quando l’uno è tornato ad occupare la sua posi- tico riassunto è anche un’avvertenza: il lettore non
zione superessenziale della prima ipotesi: privo rimanga all’ultima ipotesi, ma le abbia sempre pre-
della perfezione dell’unità assoluta, il mondo sarà, senti tutte insieme, perchè se prese tutte insieme le
insieme, organizzabile e non organizzabile, mai vera ipotesi sono i termini in cui si muove la legge tra-
molteplicità. scendentale e, in questo senso, il Parmenide ci offre,
Mentre le prime cinque serie di argomentazioni come abbiamo tante volte affermato, la visione tota-
riguardano l’essere (se l’uno è), le ultime quattro trat- le della razionalità del reale. Totale e quindi anche il
tano del problema del non essere (se l’uno non è). non essere troverà, come abbiamo visto, la sua fun-
La sesta ipotesi si oppone alla seconda: in essa zione e la sua necessità”16.
risiede un non essere che rende possibile l’errore in Tutte le altre opere di Platone sono esaminate nel
quanto si scambia ciò che è con ciò che non è. Si è già tentativo di rilevare la coerenza e l’importanza del
mostrato che il metodo diairetico può funzionare tema della relazione uno-molti, sia in ambito meta-
solo se tra le idee sussistono certe relazioni che esso fisico sia gnoseologico, che sottende tutte le ipotesi
si sforza di conoscere, ma se tra esse si danno anche del Parmenide interpretate, come abbiamo visto, alla
relazioni false, ponendosi come altri non uniti, bensì luce della correlazione trascendentale essere-non
opposti all’uno, allora sorge la possibilità dell’erro- essere.
re e del male. I dialoghi di Platone sono suddivisi, solo metodo-
La settima ipotesi, a sua volta, svolge in negativo il logicamente, in vista dell’obiettivo della trattazione,
ruolo prima riservato alla terza. Mentre quella si tro- secondo l’ordine riportato sopra, tra quelli che prece-
vava tra il mondo ideale positivo e il mondo reale, dono il Parmenide, culminanti nella Repubblica, e quel-
anch’esso positivo, permettendo la creazione nel li che lo seguono, distinguendo, però, in modo parti-
mediarsi della prima e della seconda ipotesi, questa, colare, il Teeteto (che mostra la possibilità di interpre-
ora, posta tra il mondo ideale negativo e quello reale tare l’arte maieutica di Socrate come una fenomeno-
negativo, mostra l’impossibilità della stessa creazio- logia del conoscere guidata dalla legge della correla-
ne: nel mondo empirico negativo nascere e morire zione essere-non essere) da Sofista, Politico, Filebo,
avvengono nella disorganizzazione di un molteplice Timeo e la problematica (solo accennata) delle idee-
che non rimane unito alla sua essenza. numeri.
Cosa sarà, allora, il mondo privo della creazione? Dalla Repubblica ricava le seguenti tesi:
Nell’otta-va tesi, il rovescio negativo della quinta, 1. esiste un’unità, l’idea del bene;
non solo la doxa è errore, ma lo è il mondo stesso che 2. esiste una molteplicità come oggetto della fantasia;
si presenta sì come l’oggetto della diaresis, ma in 3. esiste una molteplicità reale;
quanto illimitato e assurdo. Poiché esiste solo ciò che 4. esiste una molteplicità reale come intelligibile;
ha un’idea, questo mondo non sarà propriamente 5. esiste una molteplicità delle idee.
reale e la sua molteplicità assurda potrà apparire La prima posizione sarà poi esposta nella prima
unitaria solo a filodoxi tratti in inganno come da ipotesi del Parmenide e si richiama, a sua volta, a pre-
sogni. “Solo a chi lo guarderà da lontano esso potrà cedenti argomenti del Menone e del Fedone. Dopo aver
sembrare vero, ma quando “lo si esamini da vicino e guadagnato questa tesi con la dialettica ascendente,
con occhio acuto, ciascuna unità non può non sem- occorre ridiscendere alla molteplicità e lo si potrà fare
brare multipla all’infinito, perché essa è priva dell’u- solo negando l’unità: questa sarà la seconda ipotesi
no” (165d)”15. del Parmenide e coincide, nella Repubblica, con l’affer-
Nella nona ipotesi si è, ormai, compiuto il processo mazione della molteplicità delle idee (quinta tesi
di allontanamento dall’uno assoluto e si è così giunti al dello schema) e, come si dice nella terza ipotesi, quel-
puro nulla. Non vi sono più neppure l’errore e il male, la unendosi con la prima ipotesi rende possibile la
ma solo da questa assoluta opposizione alla prima ipo- creazione, analogamente a quanto si era detto nel
tesi è possibile ritornare eternamente al principio e passo del Simposio precedentemente richiamato. È

15. Ivi, p. 121.


16. Ibidem.
30 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

allora possibile passare al mondo degli oggetti reali dea e ciò che, invece, è disorganizzato e al di là del
(terza tesi della Repubblica e quarta ipotesi del giudizio.
Parmenide) e, da qui, al mondo delle ombre (seconda Nel Sofista, si prosegue questa discussione ripor-
affermazione della Repubblica e quinta ipotesi del tandola specificamente sul terreno ontologico e
Parmenide). Poiché, però, il molteplice può essere Amici della terra e Amici delle idee sono criticati pro-
falso e la repubblica ideale può distruggersi, anche prio per il loro dogmatico pretendere che il senso del-
nel mondo delle idee dovrà darsi il non-essere che l’essere coincida solo con una delle ipotesi del
permette il male e tutto quello che si è detto a propo- Parmenide. A questo punto Paci si richiama a Husserl,
sito dell’essere dovrà ora rideclinarsi in riferimento al già citato nella prefazione, e alla sua elaborazione
non-essere dando così vita alle ipotesi negative del della fenomenologia, in Ideen, come “scienza delle
Parmenide. strutture razionali della realtà”17 evidenziando che
Il proposito di questo dialogo sarà proprio quello se, in un primo momento, sembrava tendere “a sepa-
di eseguire il compito affacciatosi nella Repubblica: rare le essenze dalla realtà empirica, ad un certo
applicare, dopo l’ascesi filosofica, il metodo discen- momento sembra negare le essenze stesse, per basar-
dente a tutta la realtà. si sull’unico fatto indubitabile da cui le stese essenze
Nella sezione che segue la discussione sul finiscono per dipendere, vale a dire la coscienza
Parmenide, poi, l’attenzione si concentra soprattutto, intenzionale risolta in io puro inteso come residuo
sul Teeteto, in cui Platone intende dimostrare, come fenomenologico o meglio, possiamo dire, come io tra-
già anticipato, che il metodo di indagine socratico è scendentale: la fenomenologia descrittiva si trasfor-
un’applicazione, relativa al sapere e al non sapere, ma così in fenomenologia trascendentale. (…) La
della correlazione trascendentale essere-non essere. caratteristica fondamentale della fenomenologia sem-
La conclusione aporetica del dialogo, analoga a quel- bra dunque consistere nel porre il concetto di trascen-
la delle opere giovanili, non concede nulla allo scetti- dentale da un punto di vista tale per cui il fondare
cismo, ma invita il lettore a comprendere tutte le con- quel concetto significa nello stesso tempo determina-
clusioni negative dei dialoghi platonici precedenti in re i vari sensi dell’essere a cui il trascendentale deve
rapporto alla maieutica di Socrate, che incarna, adeguarsi. (…) I vari momenti del conoscere non
appunto, la legge trascendentale. Il problema del sono solo forme fenomenologiche negative del sape-
Parmenide si ritrova, qui, riferito alla sfera del giudi- re assoluto e sono quindi gradi di sviluppo puramen-
zio e in tal senso va letta la discussione sul problema te teoretici che la ragione deve percorrere per conqui-
dell’errore: come può l’illimitato della sensazione tro- stare se stessa, ma diventano anche i vari piani essen-
vare un limite nell’azione giudicante del pensiero? Il ziali, vari sensi di quell’essere che non sono più dati
giudizio della diairesis unifica le rappresentazioni che dogmaticamente, come prima dell’epochizzazione,
interessano l’oggetto della ricerca limitandole nella ma risolti nella struttura trascendentale del conosce-
loro illimitatezza proprio come il mondo delle idee, re”18. La consonanza con la lettura di Platone e la
moltiplicandosi, raggiunge e giustifica il molteplice conseguente proposta teoretica è chiara.
sensibile. L’errore è possibile perché, come sul piano Non è, infine, possibile, seguire ulteriormente l’e-
ontologico si pone l’esistere negativo, a livello del segesi paciana dei rimanenti dialoghi platonici a cui,
giudizio si costituisce l’illimitato della sensibilità. in ogni modo, si è fatto accenno sopra e, inoltre,
Il problema del giudizio e dell’errore non è, allo- descrivendo l’interpretazione degli altri dialoghi, è
ra, risolvibile psicologicamente: solo la possibilità di possibile ritrovarne le coordinate fondamentali.
passare da ipotesi a ipotesi delineata nel Parmenide La sua ricerca, benché non ancora del tutto matura,
giustifica l’elevarsi dalla sensazione al giudizio. mostra, comunque, la direzione lungo la quale si muo-
L’errore nasce dall’indebito fissarsi in un particolare verà successivamente cercando di creare le condizioni
momento fenomenologico della verità. Teeteto non per un incontro di diversi orizzonti culturali che, in
riesce, alla fine, a soddisfare le richieste di Socrate questo caso, sono, principalmente, idealismo, esisten-
perché, fisso su concezioni dogmatiche di “opinio- zialismo e filosofia dei valori. Nessuno si impone sopra
ne” e “ragione”, non riesce a comprendere che la gli altri, ma tutti sono posti in comunicazione recipro-
razionalità deve esercitarsi attraversando tutti i ca per raggiungere quella che lui stesso chiama una filo-
diversi sensi dell’essere scoperti nel Parmenide che sofia dell’essere (e Principi di una filosofia dell’essere, con
determinano, per tutto il nostro sapere, ciò che è evidente richiamo al titolo della principale opera ban-
vero e ciò che è falso, ciò che può ricollegarsi ad un’i- fiana, sarà il titolo del suo successivo lavoro del 1939).

17. Ibidem, p. 175.


18. Ibidem, pp. 175-6.
STEFANO ZECCHI 31

PRESENZA DI ENZO PACI


NELLA CRISI DELLA CULTURA CONTEMPORANEA*

di Stefano Zecchi

T ra le esigenze più sentite di Enzo Paci c’era


quella di evitare di costruire o di inserirsi in
qualsiasi tipo di struttura organizzata che in
un modo o nell’altro lo imprigionasse in scelte definiti-
ve. Questo non gli impediva la passione polemica per
come problema per la comprensione della complessi-
tà del mondo della esperienza e della continuità sto-
rica della ragione, sottolinea la prima matrice neo-
kantiana e banfiana di Paci, una traccia che si ritrove-
rà fondamentalmente accresciuta, nella sua interpre-
difendere le proprie tesi, ma sempre però rivelando, tazione della fenomenologia di Husserl.
soprattutto a chi gli stava vicino, una profonda ansia e Gli anni della guerra pongono Paci di fronte al
insicurezza. L’ansia del dubbio era forse alla base del problema dell’impegno, del ruolo dell’intellettuale
suo modo di conoscere, di comunicare, anche di scrive- nella società che egli affronterà all’interno del suo
re; era attento al significato delle cose, diffidente delle lavoro, iniziando ad allargare per sé e per gli altri l’o-
definizioni e dei giudizi assertori. L’ assoluta mancan- rizzonte della cultura italiana. Procedeva per larghe
za di sistematicità delle sue opere e una grande apertu- mediazioni, sintetizzando ciò che riteneva più valido
ra e disponibilità di fronte ai fatti del mondo segnano nelle correnti del pensiero contemporaneo. La facilità
la storia dell’uomo e della sua filosofia. dell’eccletismo che ha caratterizzato soprattutto il
Il 24 ottobre 1962 Paci tiene all’ Accademia decennio precedente al “ritorno” a Husserl (1956-
Filosofica di Praga una conferenza su “il significato ’57), si spega da un lato in quest’esigenza di dissoda-
dell’uomo in Marx e in Husserl”. L’ arco del suo pen- mento culturale, dall’altro nel suo grande e mai esau-
siero con la lettura di Marx raggiunge un punto rito interesse per forme di vita e pensiero diverse:
nodale che sarà oggetto di continui arricchimenti e quello che leggeva o esponeva di altri diventava un
chiarificazioni. Il senso di questo itinerario filosofico mondo che riviveva nel suo dibattito, nella sua ade-
è più comprensibile ritornando al lavoro di Antonio sione, nella sua polemica. Spesso non si scorgeva più
Banfi, alla sua forza di penetrazione nella chiusura il confine tra Paci e il suo autore. Così l’ avventura di
dogmatica della cultura italiana durante il fascismo, Paci nell’ esistenzialismo riflette questa continua
al suo impegno di militante comunista nella lotta mediazione che egli operava nella cultura contempo-
contro il soffocamento della democrazia. Nella scuo- ranea. La filosofia di Heidegger e di Kierkegaard
la di Banfi era rimasto aperto senza nessuna enfasi perde, nella sua lettura, i contorni, si sfuma delle
retorica il dibattito culturale di un’ Europa in crisi, tinte nichiliste con l’ introduzione del pensiero di
attraversata dallo scontro tra il nazifascismo, le Dewey e di Whitehead, con l’ interesse per Thomas
democrazie occidentali, il socialismo sovietico. Paci si Mann e Marcel Proust. Tempo e relazione e
forma a questa scuola, la sua tesi di laurea (poi pub- Dall’esistenzialismo al relazionismo (1957) sono i
blicata: Il significato del “Parmenide” nella filosofia libri che raccolgono l’ esperienza filosofica di Paci nel
di Platone, 1938) è sulla dialettica di Platone interpre- primo decennio del dopoguerra. Preferirà ricordare
tata secondo una prospettiva neokantiana (in sintonia questo periodo come quello del “relazionismo”: un
con la filosofia di Banfi) che rimarrà un filo sotterra- suo modo autonomo di interpretare i problemi dell’
neo del suo pensiero. In questo lavoro sono messi in esistenzialismo sul piano dell’ impegno culturale e
luce significati affini nella relazione, anzichè nella della responsabilità soggettiva di fronte all’ evento
separazione, tra divenire ed essere, tra il mondo del- storico. Ma continuare a risolvere in una direzione
l’esistenza e quello dell’essenza. Questa ricerca di “positiva” la filosofia di Heidegger gli sembrerà dif-
possibilità ideali della ragione operanti nell’esistenza ficile: questi gli apparirà sempre più legato teorica-

* Il testo viene qui riprodotto per gentile concessione dell’Autore. Esso compariva originariamente in Il Verri, rivista di letteratura
diretta da Luciano Anceschi (1977, numero 7).
32 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

questo modo critico-culturale di com-


prendere la ricerca fenomenologica: “
che Banfi abbia scritto queste cose nel
1926 ha qualcosa di miracoloso.
Soltanto in Idee II° (pubblicato nel
1952) la fenomenologia appare così
come la descrive Banfi nei Principi di
una teoria della ragione”. Anche se
decisamente attratto dagli scritti del-
l’ultimo Husserl, questa direzione cri-
tica che propone una valutazione com-
plessiva dell’opera husserliana come
metodo di fondazione unitaria dei
diversi campi culturali, non verrà mai
abbandonata da Paci. A partire dal
1956-57 il suo lavoro cerca continua-
mente di connettere l’interpretazione
di Husserl con le prospettive ancora
Scorcio di Monterado, luogo di nascita di Enzo Paci aperte della fenomenologia, trasfor-
mando spesso, con rapide sequenze, la
mente al processo di crisi della ragione, alla distru- propria lettura di Husserl in una più ampia prospetti-
zione della conoscenza soggettiva e collettiva operata va filosofica. Le Meditazioni cartesiane di Husserl rap-
dal nazifascismo. Paci parlava più volentieri con un presentano il primo passo, il primo studio sistematico
interlocutore a cui aderiva, sia pure nelle sue tesi esi- dei problemi della fenomenologia (Tempo e verità nella
stenziali. La tendenza all’irrazionalismo della filosofia fenomenologia di Husserl, 1961). E proprio su questo
heideggeriana lo allontana dal filosofo tedesco: non è testo il ricordo di Paci va a Banfi: “Quando, dopo aver
cuale che il saggio più bello e teoreticamente più letto senza sufficiente comprensione le Meditazioni car-
importante, presente nei libri ora ricordati, è su Kant. tesiane, nel 1933, ho chiesto a Banfi di aiutarmi, non mi
Nello schematismo trascendentale kantiano Paci rin- parlò del contenuto di quel libro. Questo fatto è signifi-
traccia la risposta ai problemi tra filosofia e scienza, alla cativo. I libri per la fenomenologia sono mezzi per la
relazione tra il piano logico e quello empirico. viva comunicazione orale. Le parole scritte hanno il
Insieme prende spessore il problema della soggetti- loro lato negativo se non riproducono un discorso
vità: lo schematismo trascendentale è l’ angolatura in nuovo, se non vengono ridestate e rese presenti”. Banfi
cui sintetizzare le modalità dell’intuizione sensibile e il diceva qualcosa di molto semplice. Invitava all’esame
piano delle raffigurazioni categoriali, e quindi rideter- diretto delle cose, alla descrizione fenomenologica
minare il rapporto tra l’operare soggettivo e il mondo come problema che coinvolge il significato di chi la
esistente: “la filosofia e le scienze sono vere, il discorso compie nel contesto in cui è inserito.
logico è vero, se vedono possibilità che vanno oltre la La descrizione, la soggettività, l’intersoggettività, la
realtà data”: la trascendentalità diventa superamento riduzione fenomenologica, il tempo sono temi che nelle
del dato già realizzato, dell’oggettività conclusa, è analisi di Paci si relazionano, delineando un’interpreta-
apertura verso nuovi orizzonti di significato presenti zione del pensiero husserliano non insterilita nelle que-
come possibilità reali. La ricerca del fondamento esteti- stioni dell’idealismo e dell’ontologismo, ma protesa
co-sensibile all’analitica esistenziale riporterà Paci nella dimensione del soggetto concreto, nel suo incon-
verso la fenomenologia di Husserl e, in un certo senso, tro con l’ “altro” nella dinamica degli istinti e dei biso-
di nuovo verso Banfi. gni. Sono gli anni in cui si pubblicano le opere inedite di
Banfi aveva continuato a considerare con non celata Husserl e in cui si matura la riflessione di Paci sul filo-
diffidenza la filosofia esistenziale, sostenendo invece sofo tedesco. La fenomenologia incomincia a rappre-
che “la fenomenologia appare come la scienza della sentare per lui un grande disegno di critica culturale
generale costituzione dell’oggettività nella coscienza con il quale è possibile riprendere e sviluppare temati-
trascendentale o, in altre parole, nella struttura sinteti- che filosofiche presenti nell’estetica, nella psicologia,
co-trascendentale della realtà. Essa si riferisce ad ogni nella psichiatria, nell’antropologia, nelle “altre” scienze
tipo di oggetti di ordine superiore, teoretici, valutativi insomma. La vitalità delle sue lezioni è suggestiva.
e pratici, alle oggettività culturali, stato, diritto, chiesa, Mette in discussione se stesso attraverso il significato
ecc. Si svelano così i piani di costituzione del reale”. È delle sue parole, attraverso mediazioni culturali che
interessante notare come Paci abbia messo l’accento su lasciano spesso sorpresi. In queste “mediazioni” Paci
STEFANO ZECCHI 33

scompagina il testo che ha davanti coinvolgendo chi lo una vita si raccoglie qui, contro le forze apparente-
ascolta in un gioco di domande piene di paradossi. E mente soverchianti di corruzione e di dissoluzione, in
mentre parla si accorge di cancellare “il lato negativo un impegno di coscienza e di responsabilità storica e
delle parole scritte” e che intanto il suo pensiero prende in un compito di rinnovamento. È l’eroismo socratico
corpo. Allora amava continuare a discutere, le lezioni della ragione che ancora e sempre sveglia gli uomini
non finivano nell’aula. Lo aspettavamo, si continuava a dal torpore dell’abitudine quotidiana, purifica e uni-
parlare fuori, nei giardini dell’Università. Sentiva di versalizza ogni volontà di rivoluzione costruttiva, e
avere un “discorso” da verificare, da sostenere, da pro- l’inserisce operante come volontà collettiva degli
teggere. Il suo libro Funzione delle scienze e significato del- uomini all’interno della realtà”. La ricomposizione di
l’uomo (1963), i saggi su “Aut Aut” (la sua rivista) che ne una linea di continuità della coscienza critica della
continuano le questioni lasciate aperte sono lo specchio ragione di fronte all’insorgere del dogmatismo e del-
del modo di pensare di Paci in quegli anni. l’irrazionalismo, la storia del sapere come concreto
Funzione delle scienze doveva originariamente essere autoriconoscersi della ragione che Banfi esalta come
un commento alla Crisi delle scienze europee di Husserl: testamento spirituale di Husserl, costituiscono già
l’interpretazione husserliana della crisi non è metafisi- l’orientamento di fondo del pensiero di Paci. In que-
ca ma storica, nel senso che Husserl ne ricerca le origi- sto senso per Paci il modo di sviluppare i temi della
ni e le manifestazioni oggettive; essa è un’analisi dei Crisi non andrà mai in una direzione irrazionalista o
processi attraverso i quali la soggettività viene ridotta a antiscientifica. Piuttosto si tratta di affrontare la que-
semplice cosa; è la richiesta di modificare i rapporti tra stione della fondazione del valore razionale e umano
le forme di sviluppo tecnico-scientifico e l’esistenza delle scienze: è un compito pedagogico e scientifico
umana. La Crisi era stata scritta da Husserl negli ultimi che coinvolge la funzione stessa del filosofo davanti
alla storia. Paci allora fa capire come la
fenomenologia sia una continua messa
in questione di ciò che è raggiunto, di
tutto ciò che si presume concluso ed
esaustivo, come essa non possa diventa-
re sistema definito, ma ricerca che l’uo-
mo compie riflettendo sulla propria sto-
ria e sui modi stessi di attuare questa
riflessione: e questo voleva dire per
Paci lasciar sempre disponibile il filoso-
fo alla problematica infinita della ricer-
ca della verità e del significato.
“Restituire all’uomo la propria sogget-
tività”; “Riportare l’uomo a se stesso,
cioè alla sua autodefinizione liberata da
ogni feticizzazione, da ogni maschera
che cela il vero volto dell’uomo”; “La
“crisi’ non coinvolge le scienze in quanto
Veduta dall’alto di Monterado tali, ma la loro scientificità intesa come
orizzonte della vita, come senso e scopo
della vita”; “Il fondamento delle scienze
anni di vita (muore nel 1938) e l’opera rimane incom- è nelle operazioni che i soggetti compiono nel tempo,
piuta), ormai da tempo allontanato dall’insegnamento in quella dimensione dell’esperienza diretta, non anco-
dalle leggi naziste. In queste pagine Paci ritrova il ra definita e strutturata che è “il mondo della vita”. In
senso e il fondamento teorico più convincente di quel- Funzione delle scienze questi sono alcuni dei temi che
l’impegno culturale, di quella definizione del ruolo del- sottendono e guidano l’interpretazione della fenome-
l’intellettuale nella lotta contro le tendenze involutive e nologia husserliana e che hanno per Paci la loro essen-
reazionarie della società che aveva vissuto negli anni ziale espressione e più coerente determinazione storica
giovanili attraverso la figura di Antonio Banfi, che nel marxismo. La lettura di Marx diventa per Paci il
aveva sofferto durante la guerra e il campo di concen- piano della verifica storica della sua fenomenologia nel
tramento e che aveva cercato nell’impazienza filosofica senso di una dottrina, non porta Marx a scuola di
del primo decennio del dopoguerra. Husserl - o viceversa. Non va dimenticato (si pensi
Scrivendo nel ‘57 sulla Crisi di Husserl, Banfi all’argomento della conferenza tenuta a Praga) che è il
osservava: “L’infaticato lavoro speculativo di tutta significato dell’uomo che fa convergere l’interesse di
34 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

Paci su Marx e Husserl, e neppure va


dimenticato che nel modo di deter-
minare questo significato (imman-
cabilmente al centro della sua tema-
tica) Paci ha sempre messo in gioco
il proprio rapporto con la cultura
contemporanea e il proprio ruolo di
intellettuale nella società.
Certamente il suo stile così ricet-
tivo all’attualità dei problemi e
attento a cogliere il significato delle
inquietudini culturali e delle tra-
sformazioni sociali, e d’altra parte il
suo carattere poco incline e disinte-
ressato a gestire le reali dinamiche
di potere che inevitabilmente ope-
rano insieme a questi processi,
lasciavano problematicamente aper- Il viale dedicato ad Enzo Paci, a Monterado
to il rapporto tra cultura e potere
politico. Il marxismo di Paci non Il suo lavoro continua ad approfondire il problema
entra nel merito dei temi specifici del’economia poli- del sapere nella complessità della vita che si trascen-
tica o, per esempio, della dottrina dello stato. Sono de sempre verso i nuovi fini, “perché ciò a cui l’uomo
questioni che la sua formazione filosofica e il modo in tende, anche nel segreto del suo io o ancora incon-
cui è cresciuto il suo spessore teoretico lascia comu- sciamente, è la soddisfazione dei bisogni che solo può
nue in secondo piano. Nonostante il modo di scrive- renderlo felice”. Il disegno di un’interna unità dialet-
re spesso complesso e difficile, le pagine di Paci su tica tra lo sviluppo storico dell’uomo e le sue produ-
Marx e Husserl sono tra le più chiare: il significato zioni scientifico-culturali si rintraccia nell’ultimo
dell’uomo si determina nella prasi soggettiva, nella libro pubblicato da Paci, Idee per una enciclopedia feno-
sfera dei bisogni che fonda la dinamica dei rapporti menologica (1973). La razionalità critica deve saper
sociali in un modo dove scienza e tecnica non sono cogliere il significato della fondazione delle scienze
forme di sopraffazione dei bisogni dell’uomo ma il come sintesi dinamiche in sviluppo delle attività
risultato di consapevoli operazioni compiute in fun- umane, delle operazioni che le fondano nel loro com-
zione della società civile. I movimenti studenteschi e misurarsi alle necessità sociali. In questa prospettiva
operai del 1968-69 rappresentano per Paci l’esplosio- c’ è il senso della diffidenza che Paci recentemente
ne nel sociale dei bisogni, dei desideri, delle speran- manifestava sul modo in cui è ripreso da qualche
ze di cambiamento dell’uomo. Aderisce con entusia- anno in Francia il pensiero di Nietzsche per interpre-
smo a questo periodo di tensioni innovatrici che, con tare la crisi della ragione e della storia. E ancora in
matrici diverse, percorrono il mondo, sollecitato questa prospettiva c’è il motivo del suo più recente
come sempre dalla ricerca del significato dell’“uomo interesse a ricercare anche attraverso il problema reli-
nuovo” e della “scienza nuova”. I tempi successivi di gioso il significato dell’intersoggettività della
ricomposizione politica, di ridefinimento della strate- coscienza che, contro le tentazioni nichiliste della
gia delle forze in movimento, lo renderanno per lo ragione e contro le tendenze affossatrici della libertà,
meno un po’ più distaccato dalla diversa fase dell’ini- trova la forza razionale di un significato della vita
ziativa politica. sempre rinnovabile.

STEFANO ZECCHI (Venezia 1945), ordinario di Estetica presso l’Università degli Studi di Milano. Laureatosi su
Husserl con Enzo Paci, dopo un periodo di specializzazione presso l’Archivio Husserl di Lovanio si è occupato
di fenomenologia, ha approfondito i concetti di mito, simbolo e bellezza nella tradizione goethiana e romanti-
ca, e ha sviluppato la sua riflessione sul rapporto arte-scienza fra ‘700 e ‘800 e sul rapporto estetica-teologia
Balthasar. Fra le sue pubblicazioni citiamo: Fenomenologia dell’esperienza. Saggio su Husserl (1972), La fenomenolo-
gia dopo Husserl nella cultura contemporanea (1978), La magia dei saggi (1983), La bellezza (1990), Verso dove (1991),
L’artista armato. Contro i crimini della modernità (1998), Capire l’arte (1999), L’uomo è ciò che vede (2005). Ha curato
l’edizione di opere di Goethe e Bloch e l’antologia Storia dell’estetica (1995).
STEFANO ZECCHI 35

UN RICORDO DEL MAESTRO.


ENZO PACI E L’ARTE.

Intervista a Stefano Zecchi*

a cura di Matteo Bianchetti

[Chora] La riflessione sull’uomo e il tentativo di e sul suo rapporto con il mondo della vita, richia-
mediare tra diversi livelli culturali ha impegnato pro- mando esplicitamente, nella conferenza di Praga,
fondamente Enzo Paci. Fin dagli anni della sua for- l’esigenza, non retorica, di un nuovo umanesimo.
mazione giovanile, è evidente il tentativo di parlarne Come sviluppò queste tematiche? In che modo
filosoficamente senza tradire, per eccessiva astrazio- riuscì ad evitare di scadere in una visione antiscien-
ne, il piano della realtà e dell’effettività. In che modo tifica ed irrazionalistica? Anche qui, come nella
gli interessi di Paci riguardanti l’arte e, in particolar questione precedente, è possibile pensare questo
modo, quella contemporanea, di cui era seriamente problema insieme alla riflessione sull’arte, sul suo
informato, poterono suggerirgli nuove direzioni e messaggio e sul suo nuovo ruolo?
ulteriori sensi in cui sviluppare il suo pensiero?
Per quanto mi riguarda, infatti, è stata proprio
[Zecchi] La prima risposta è autobiografica. Io mi l’arte a farmi riflettere sulla natura della ricerca
sono laureato con un tesi di filosofia teoretica su Idee scientifica. Il mondo dell’arte apre al simbolico e
III di Husserl e anche i miei concorsi furono di filoso- alla dimensione utopica dell’uomo; la scienza, al
fia teoretica. Mi accostai all’estetica casualmente, contrario, costruisce paradigmi e obiettività che,
quando a Lovanio, presso gli archivi Husserl, trovai alla fine, si distaccano dal mondo dell’uomo e, per
un manoscritto dedicato, appunto, all’estetica e deci- questo, non è possibile avvicinarle: nelle rispettive
si di tradurlo e commentarlo. Poi mi trasferii a forme, sono ontologicamente differenti. Il libro di
Padova come assistente di Dino Formaggio e fu lui, in Paci, Funzione delle scienze e significato dell’uomo,
modo specifico, a portarmi all’estetica; ma già Paci non si occupa di arte. Commenta la Crisi e la con-
aveva saputo affascinarmi con la sua grande cultura ferenza di Praga e propone l’idea che ogni ricerca
e soprattutto furono proprio i suoi interessi estetici e scientifica abbia la sua legittimità solo se si inter-
letterari che mi rivelarono la riflessione sull’arte roga anche sulla sua funzione per l’uomo e, al con-
come uno strumento estremamente importante per trario, perde il proprio significato se si pone con-
conoscere l’attività umana e la sua capacità di crea- tro una certa idea di umanità. Il significato delle
zione e comunicazione. scienze coincide con la loro funzione nell’idea di
umanità e questa idea è, in Paci, la medesima di
Parimenti profondo fu, poi, il suo interesse per le Husserl, ossia la difesa di un nuovo umanesimo
scienze (al plurale!). Husserl, nella Krisis, un testo contro le tendenze heideggeriane di abdicazione al
attentamente studiato da Paci, si interroga sul signi- destino. Paci è il Settembrini, per così dire, della
ficato dell’affermarsi dell’obiettivismo fisicalistico Montagna incantata.

* Si ringraziano i dottori Giancarlo Lacchin e Markus Ophälders per la cortese collaborazione. Testo non rivisto
dall’Autore.
36 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

Quali furono i rapporti personali che Paci intrat- A molti piaceva, e a molti altri, invece, non piace-
tenne con gli artisti che conobbe (tra cui potremmo va per nulla, ma è giusto che sia così: un professore
citare alcuni grandissimi nomi)? deve dividere, senza ingannare, le coscienze. Paci,
poi, era una figura unica nel nostro ambito. Gli altri
A questa domanda non posso rispondere esaurien- grandi professori, pur ottimi come preparazione, ten-
temente ora. Conobbe Thomas Mann, di cui ci parla- devano a rimanere solo all’interno del loro ambito
va spesso e ne pubblicò, proprio sul primo numero di specifico. Erano più istituzionali.
Aut-aut, un lettera. Ci fu anche Sartre, se voglia-
mo considerarlo un artista, ma credo che a Paci
interessasse più per le sue ricerche filosofiche
(erano gli anni in cui Sartre stava scrivendo la
Critica della ragion dialettica). Occorre ricordare,
poi, Rogers, l’architetto. Paci ebbe modo di scri-
vere più volte su Casabella e Rogers su Aut-aut.
Posso ancora dire, infine, che non amava gli
sperimentalismi e questa avversione l’ha passa-
ta anche a me.

Come ritiene di poter valutare il contributo


di Paci, in generale e relativamente all’ambito
di cui Lei si occupa, e come ricorda la sua figu-
ra? Potremmo dire, senza voler essere superfi-
ciali, che seppe unire impegno teoretico e sug-
gestione personale in un unico atteggiamento
filosofico?

Sì. Paci aveva una visone, direi, estetica


della filosofia (pensiamo a un testo come
Relazione e significato). Era un filosofo umani-
sta perché accettava il rischio di rompere con
gli specialismi e la filosofia, in fondo, è inter-
pretazione del mondo e suggestione. Nel mio
libro, L’uomo è ciò che vede, ho ricordato pro-
prio Paci, che fu molto criticato perché scrive-
va su Oggi, una rivista popolare, pensando
che la cultura dovesse rivolgersi alla gente, e
lui ci riusciva bene perché aveva grandi capa-
cità di comunicazione. Ricordo ancora, dopo
quarant’anni, una lezione sul Sogno di una
notte di mezza estate di Shakespeare: era affa-
scinante come riuscisse a inserire nel suo
lavoro speculativo le citazioni che traeva
dalla sua grande cultura.
GIUSEPPE MOSCATI 37

L’ESISTENZA CHE DIVENTA FILOSOFIA


Per una rilettura dell’opera di Enzo Paci

di Giuseppe Moscati

D ialogare oggi con Enzo Paci porta con sé un


frutto estremamente prezioso a patto che se ne
sappia cogliere appieno ed in un senso auten-
tico la bontà.
Se ci rifacciamo in particolare agli scritti della prima
1. Tra Heidegger e Jaspers: la lettura di
Nietzsche e la cifra kierkegaardiana
Proviamo ad indagare alcuni passaggi fondamentali
del noto saggio dal titolo L’esistenzialismo3, pubblicato
metà degli anni Quaranta, infatti, l’opera di Paci ci appa- per la prima volta nel giugno del ’42, nel quale l’autore
re in tutta la sua attualità e vivacità intellettuale e non è esamina in chiave critica il pensiero hegeliano. Ma pro-
un caso, invece, che le sue riflessioni del decennio succes- viamo a farlo tenendo presenti anche altri fattori decisivi
sivo – quello caratterizzato da una sorta di allontanamen- della formazione del filosofo marchigiano: l’interesse per
to dalle posizioni strettamente esistenzialiste – rimanga- il già citato relazionismo; l’interpretazione in chiave ori-
no in buona parte meno pregnanti. Ciò vale, naturalmen- ginale della filosofia fenomenologica di matrice husser-
te, in riferimento al panorama di pensiero attuale o, liana; lo stesso desiderio di riformulare una sorta di teo-
meglio, ad una discussione sul ruolo della filosofia e sulla ria politica socialista, l’“intersocialismo” del Sui rapporti
figura del filosofo oggi. Se possiamo individuare, a gran- tra fenomenologia e marxismo scritto nel ’71.
di linee, una prima fase esplicitamente e pienamente esi- Della filosofia dell’esistenza cui guarda l’Autore biso-
stenzialista, in un secondo momento incontriamo il Paci gna evidenziare la cosiddetta funzione storica, che sarebbe
del relazionismo, ma anche quello dell’approccio feno- quella di aver contestato efficacemente il dogmatismo di
menologico e dell’accostamento ad una forma di neo- Hegel riabilitando la questione della personalità e con
marxismo. essa quella dell’individualità; quella del nulla e quelle
L’oggetto delle pagine che Paci dedicava, per esem- della storia, del tempo, del destino e del futuro dell’uomo
pio, nel 1950 alla formulazione e definizione dell’esi- su cui torneremo più avanti. Questi, che pure sono tutti
stenzialismo positivo (parallelamente ad Abbagnano temi hegeliani, trovano solo nell’esistenzialismo la loro
e altri della scuola torinese), oppure nel ’56 al lavoro giusta dignità speculativa, riconquistano degli spazi e
di corretta collocazione della filosofia dell’esistenza in delle voci che il panlogismo della visione di Hegel aveva
generale all’interno dell’orizzonte filosofico a lui con- via via cancellato del tutto o annichilito.
temporaneo, in ultima analisi, resta legato ad una Ne L’esistenzialismo, la filosofia dell’esistenza per come
sorta di ‘nicchia speculativa’ che può stimolarci solo la intende Paci ci riporta al vero Hegel, vale a dire allo
pensando ad un lavoro di ricognizione di storia della Hegel che può dare molto anche al pensiero filosofico
filosofia1. contemporaneo, rigettando invece tutti quegli elementi
Volendo, però, tentare una riflessione a partire dall’i- dogmatici del pensatore tedesco che all’uomo farebbero
stanza etica degli scritti di Paci, non possiamo che rivolge- perdere di vista il suo compito fondamentale: fare dell’e-
re la nostra attenzione soprattutto a quella produzione sistenza una filosofia, come vedremo meglio in seguito.
che interessa il triennio 1840-43 e che è in qualche modo La filosofia dell’esistenza, da parte sua, si impegna a
inaugurata da Pensiero, esistenza e valore2, guardando in riproporre il piano dell’irrazionale stimolandoci ed anzi
modo privilegiato alle tematiche della trascendenza, del obbligandoci «alla ricerca di un metodo di comprensione
rapporto tra esistenza e pensiero, della dialettica e del dell’irrazionale che sia tale da non trasformare l’irrazio-
tempo (queste ultime due tematiche, peraltro, tutt’altro nale in razionale»4, come appunto vorrebbe Hegel. Il
che meramente teoretiche). confronto critico con quest’ultimo è ricco di mille spunti

1. Imprescindibile, da questo punto di vista, lo studio di A. Vigorelli, L’esistenzialismo positivo di Enzo Paci. Una biografia intellettuale
(1929-1950), Franco Angeli, Milano 1987.
2. Cfr. E. Paci, Persona, esistenza e valore, Principato, Milano 1940.
3. Cfr. Id., L’esistenzialismo, prima La Garangola, Padova 1942, poi Cedam, sempre Padova, ma 1943 (da cui citeremo).
4. Ivi, cit., p. 58.
38 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

e, se intanto offre l’occasione di ragionare sul rapporto Ma torniamo alla lettura che Paci dà di Nietzsche, let-
esistenza-ragione (autonomia dell’una e dell’altra o sepa- tura che, nonostante le possibili critiche cui essa inevita-
razione?), ci suggerisce anche in cosa Paci è e rimane in bilmente si espone, ha tuttavia dei pregi evidentissimi. Si
fondo hegeliano. pensi innanzitutto all’importanza della sottolineatura del
La ricerca di cui si diceva, che abbiamo visto essere carattere anti-intellettualistico della filosofia nietzschia-
anche ricerca di un metodo gnoseologico-esistenziale – na; non si dimentichi l’elemento dell’accettazione, o
l’irrazionale comprende anche le nostre paure ed i nostri meglio proprio del riconoscimento dei limiti costitutivi
sogni – fa sì che la ragione dell’uomo fuoriesca dai cano- dell’uomo – al di là di facili fraintendimenti del significa-
ni ortodossi in cui il pensiero della tradizione l’ha relega- to della dottrina superomistica –; ma non si trascuri nem-
ta. Paci torna comunque ad indagare lo “svolgimento meno quell’altro elemento apparentemente contradditto-
storico del pensiero umano”, eppure lo fa attribuendo a rio rispetto al precedente, quello della volontà di trascen-
quella ricerca da cui parte una coloritura fenomenologi- dere ciò che Paci chiama “umanità”.
ca nuova. Non fermandosi certo ad una semplice identi- «Nietzsche non voleva restare all’uomo – afferma Paci
ficazione di essere e logos, Paci affronta ed in un certo nel ’43 – ed indicava alla nostra umanità qualcosa che era
senso ‘risolve’ in chiave dialettica la relazione logos-natu- al di là di essa. (…) è solo tramontando che l’uomo realiz-
ra-spirito. L’esistenza non è un dato dogmatico, ma è za se stesso. (…) L’equivoco romantico ha interpretato il
sempre raggiunta per mezzo della ragione anche se, per mito del superuomo in senso realistico: ma mai l’uomo
essere raggiunta, deve obbligare la ragione alla contrad- realmente esistente potrà diventare il superuomo»7.
dizione logica (non all’illogicità) (…). Compito del pen- Questo, peraltro, porta il nostro autore a ribadire che
siero contemporaneo – ribadisce Paci ‘attraverso e oltre alcunché «di ciò che esiste può pretendere un valore asso-
Hegel’ anche grazie a Kierkegaard – è di ripensare criti- luto: ogni illusione di realizzare la superumanità è tragica
camente la posizione hegeliana, spezzata e rinnovata dal- e, nello stesso tempo, grottesca»8. Ecco allora perché il
l’esistenzialismo, sostituendo al dogmatico concetto di filosofo insiste sul trascendimento, momento della fuoriu-
natura la libertà e la personalità dell’esistenza»5. scita dalla propria egoità, dalle proprie certezze conosciti-
È bene rimarcare il fatto che ad interessarci da vicino, vo-esperienziali e quindi dalle proprie abitudini e tenden-
proprio da un punto di vista filosofico-morale, è la stesso ze a ripiegarsi su se stessi. «Dobbiamo darci a noi stessi»9
modo di percepire, da parte di Paci, la funzione storica è la bella e forte espressione che usa il Paci del ’43: siamo
della filosofia dell’esistenza. L’esistenzialismo, anche se portati a “farci”, realizzandoci appieno nel mentre
preso come determinato momento del pensiero filosofico neghiamo e contemporaneamente riaffermiamo la nostra
e della cultura dell’uomo in generale, ha un portato tale umanità, ovvero nello stesso “movimento” per il quale
che fuoriesce dalla sua stessa dimensione storicamente mettiamo in crisi la nostra vita per poi riconquistarla a noi.
data. E, d’altra parte, una simile riflessione è alla base Un movimento, questo, che l’Autore definisce signifi-
anche di tutta quella elaborazione filosofica successiva di cativamente “di andata e ritorno” e che egli fa coincidere,
Paci che riguarda Il nulla e il problema dell’uomo (’50)6. Non in tal senso, con la struttura che è a fondamento della per-
solo: richiamandosi a Platone, Paci fa sua l’interpretazio- sonalità di cui si diceva. Con il coinvolgimento della tema-
ne del pensiero filosofico come un qualcosa di estrema- tica della libertà, pertanto, Paci sembra chiamare in causa
mente libero che non si fa imprigionare in una formula e proprio Kierkegaard quando afferma che l’uomo è libero
che quasi ci tormenta finché non ne cogliamo la carica di costituirsi in quel fondamento, arrivando a fondare egli
vivificatrice. stesso la propria realtà esistenziale; ma – non possiamo
L’idea di esistenza, in Paci, richiama comunque un non sottolinearlo con forza – tale conquista avviene solo
binomio concettuale decisivo quale è quello personalità- ed esclusivamente grazie all’apertura che il trascendimen-
trascendenza, categorie viste dall’Autore come coinciden- to porta con sé, cioè all’andare oltre il proprio io per tor-
ti con i due veri e propri poli della filosofia esistenziale. narci poi sensibilmente arricchiti e rinnovati.
La personalità si definisce, in realtà, attraverso la trascen- L’uomo, insomma, «si nega come immediatezza,
denza, attraverso il percorso di trascendimento che l’uo- come dato, come fatto e, trascendendosi, fonda se stesso
mo vive su se stesso a partire dal riconoscimento e dalla come personalità»10. La sua, però, è una negazione riferi-
coraggiosa assunzione dei propri limiti. È andando al di ta alla solitudine del proprio essere (da cui, aggiungerei,
là di sé, infatti, che egli può riappropriarsi della dimen- le ansie, le fobie, la disistima ed il senso di inadeguatez-
sione più genuina del proprio essere, della sua più intima za che troppo spesso colgono l’uomo contemporaneo) in
ed autentica esistenza. favore della condivisione e, ancora una volta, dell’aper-

5. Ivi, p. 63.
6. Cfr. Id., Il nulla e il problema dell’uomo, Taylor, Torino 1950.
7. Id., L’esistenzialismo in Italia, “Primato”, IV, n. 1 (1 gennaio) 1943, in Antologia di “Primato”, a cura di V. Vettori, De Luca, Roma 1968,
poi in B. Maiorca (a cura di), L’esistenzialismo in Italia, Paravia, Torino 1993, p. 98.
8. Ivi, p. 98.
9. Ibidem.
10. Ibid.
GIUSEPPE MOSCATI 39

tura; la preoccupazione di Paci, del


resto, non può che essere quella di tute-
lare e promuovere il confronto, il dialo-
go, la versione migliore della ragione
dialettica, mettendo in guardia rispetto
alle derive di un vivere secondo la logi-
ca parcellizzante della peggiore autore-
ferenzialità.
Se quello kierkegaardiano è sicura-
mente un riferimento imprescindibile
per la lettura della produzione di Paci,
non a caso altrettanto decisiva è la pre-
senza, nella sua opera, di alcune catego-
rie basilari della filosofia jaspersiana,
tutte imperniate attorno al nesso tra
ragione, libertà ed esistenza. È ne
L’esistenzialismo che Paci scrive di quello
filosofico come di un pensiero che «ha
reclamato il diritto di liberare la concre-
ta esistenza dell’uomo da ogni schema-
tica astrazione della ragione filosofica
[la quale] cerca in se stessa l’irrazionale e
l’arazionale, pur accorgendosi tuttavia Enzo Paci, tra il pubblico, ad una conferenza.
della loro assoluta inafferrabilità poiché,
ogni volta che la ragione riesce ad afferrarli, essi si dissol- Eppure Paci va a collocarsi anche tra Jaspers e
vono nel mito e nel dogma»11. E poco dopo, infatti, Paci Heidegger nel suo riconoscere che ogni esistenza si svela
tenta di sintetizzare il problema principale della ricerca finita, precaria e costretta ad abbandonare illusioni di
di Jaspers con la formulazione di un unico, cruciale inter- onnipotenza o di assolutizzazione di sé come mere tenta-
rogativo: «in che senso l’irrazionale e l’arazionale sono zioni solipsistiche. In questo contesto si inserisce la dife-
possibili di fronte al razionale?»12. sa della filosofia dell’esistenza che egli elabora rispetto
Tutto lo spirito della filosofia dell’esistenza, nota così alle accuse di nihilismo: accuse che risultano con eviden-
Paci, è racchiuso nel profondo significato di questo inter- za superficiali, secondo Paci, in quanto la visione del
rogativo che ci spinge alla ricerca di una alogicità in qual- mondo promossa dall’esistenzialismo ruota attorno all’i-
che modo coerente o di una logicità propria di ciò che dea fondamentale di un processo interiore che fa sì che
consideriamo irrazionale. Un problema filosofico, que- l’essere degli uomini si vada a costituire “nella sua vera
sto, ma al tempo stesso un problema genuinamente esi- unità e sostanzialità”15.
stenziale, avverte il Nostro, il quale parla del vero e pro-
prio “problema della vita moderna” per cui «si tratta di
fare sì che tutte le esperienze negative che abbiamo sof- 2. Paci e Feuerbach: vicinanza e distanza
ferto acquistino un valore positivo e rivelino il senso del-
l’esistenza»13. Confrontando queste riflessioni con lo Credo meriti senza dubbio di essere ricordata l’imma-
scritto apparso su “Primato”, d’altra parte, possiamo gine evocata dall’Autore a proposito della natura “antini-
cogliere un nesso fondamentale. E non si faticherà ad hilista” della filosofia dell’esistenza: «Soltanto quando il
individuare proprio il timbro jaspersiano del passo in cui grano di frumento morirà potrà rinascere e moltiplicare
Paci torna sul fatto che l’uomo è “la sua umanità” e rico- se stesso. Così la morte non è che il limite accettato sul
nosce il senso più proprio del suo esistere “nel silenzio quale si costituisce la mia vita. È una conquista, e ognu-
della propria intimità” e “di fronte al nulla”. Un nulla no, come deve conquistarsi la propria esistenza, così
che, in definitiva, corrisponde alla scoperta della “libertà deve conquistarsi la propria morte»16. In realtà una simi-
infinita del mondo dello spirito”14, dove Kierkegaard e le citazione richiama alla mente, a mio avviso, se non
Jaspers tornano insieme, ma rivissuti dalla sensibilità di altro lo spirito di alcuni luoghi fondamentali della filoso-
un Paci filosofo dell’intimo e dell’interiorizzazione della fia della morte del giovane Feuerbach, in particolare del
vicenda esistenziale. saggio dedicato ai Pensieri sulla morte e sull’immortalità del-
11. E. Paci, L’esistenzialismo, cit., p. 7 (corsivo mio)
12. Ibid.
13. Ibid.
14. Cfr. E. Paci, L’esistenzialismo in Italia, cit., p. 98.
15. Cfr. ibid.
16. Ibid.
40 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

l’anima del 1830; ma la questione richiederebbe una ben permette di pensare all’essenza di feuerbachiana memo-
più ampia trattazione nonché un ulteriore approfondi- ria, la Wesen; non solo: nell’espressione di Paci in cui egli
mento a partire dalla rilettura di un autore, quale è definisce il “movimento dell’esistenza” che va a negarsi
Feuerbach, troppo spesso etichettato proprio come nichi- come dato per “porsi nel suo farsi”, lì ravviserei la pre-
lista! Ci possiamo soltanto limitare, in questa sede, ad senza di alcuni elementi vagamente dialettici, che potreb-
indicare brevemente alcuni punti di vicinanza e di bero chiamare in causa la stessa formazione hegeliana
distanza tra il pensatore tedesco ed Enzo Paci. del giovane Feuerbach.
In primo luogo credo dobbiamo notare come sia sor- Ma subito notiamo la distanza di Paci da Feuerbach
prendente la vicinanza tra le posizioni dei due filosofi quando lo stesso saggio su L’esistenzialismo in Italia affer-
proprio riguardo alla tematica della relazione vita-morte. ma che l’uomo «non sarà Dio, ma per Dio costruirà la pro-
Dopo aver letto, attraverso l’immagine del grano, quanto pria vita e la propria storia; è questo il senso della auten-
scriva Paci in proposito, proviamo a riflettere sulle parole tica storicità che in ogni personalità ed in ogni epoca è
di Feuerbach: quantunque la morte ci appaia come un sempre rinnovata conquista della verità»20. Feuerbach, in
qualcosa che non deve essere (Nichtseinsollenders), siamo realtà, tematizza piuttosto la divinità del rapporto io-tu,
tutti chiamati a riconoscerne la vera essenza, che non può specie quando insiste sul carattere divino della volontà
che essere – paradossalmente – vitale, anch’essa facente dell’individuo di ‘essere e fare con l’altro’; egli, inoltre,
parte del percorso di vita che ci è proprio e solo così, definisce la verità (ancor più decisamente nel biennio
«dopo che sia riconosciuta, [la morte] illumina nel più 1842-43) come verità dialogica tra me e l’‘altro da me’, ma
profondo di ogni esistenza e di ogni conoscenza»17. Ecco quest’ultimo non coincide mai con Dio, se non nel senso
perché il compito dell’uomo, in ultima istanza, coincide di una relazione tra l’uomo e la sfera dei suoi desideri e
con «l’essere con volontà e coscienza, con libertà, quello delle sue attese dalla componente misteriosa della pro-
che alla fine sarà costretto ad essere»18. A chi conosce da pria esistenza.
vicino l’autentica prospettiva filosofico-morale del Lo stesso Paci, però, lo riscopriamo nuovamente
Feuerbach, del resto, apparirà chiaro come abbia un ruolo feuerbachiano quando ammette che siamo quello che
fondamentale questo riferimento alla volontà, alla siamo, cioè esseri finiti e determinati, in maniera indisso-
coscienza e soprattutto alla libertà: l’uomo feuerbachiano lubile legati alla prima delle proprie limitazioni, quella
non accetta passivamente una sorta di condanna imposta- che ci è data loro dall’essere nati ed insieme dal dover
gli dalla natura, bensì si sente responsabilmente coinvol- morire. Il che, poi, si accompagna al fatto di essere nati
to in un’assunzione consapevole dei propri limiti proprio “in un modo o in un altro”, con determinate caratteristi-
in vista di un continuo tentativo di superamento
di essi; l’Ich stesso di cui parla Feuerbach tra-
scende ogni volta se stesso, la propria identità, il
proprio Sé tendenzialmente divinizzabile, per
aprirsi alla diversità del Du.
Ma torniamo a Paci: anche secondo il filosofo
italiano l’uomo deve superare se stesso, ma nel
senso di oltrepassarsi senza fermarsi alla pro-
pria mera datità, che potremmo anche dire
‘banale’. In Feuerbach un simile oltrepassamen-
to non è possibile; in lui c’è la tensione ad un
superamento dei vincoli che incatenano il sog-
getto alla propria egoità, ma non può esserci un
abbandono dei limiti costitutivi, anche biologici,
dell’esistenza umana. Paci scrive che «l’esisten-
za può scoprirsi nel movimento per cui essa si
nega come dato nel porsi nel suo farsi, nel suo
continuo morire per rinascere a se medesima;
nel suo realizzarsi come struttura dell’essere,
come sostanza dell’essere»19. E questa “struttura
dell’essere”, questa “sostanza dell’essere” chi
qui appare strettamente legata alla libertà, ci Ancora Enzo Paci tra il pubblico6-1957)

17. L. Feuerbach, Gedanken über Tod and Unsterblichkeit, aus den Papieren eines Denkers, nebst einem Anhang theologisch-satyrischer Xenien,
hrsg. [herausgegeben] von einem seiner Freunde, bei Johann Adam Stein, Nürnberg 1830; trad. it. di F. Bazzani, Pensieri sulla morte e sull’im-
mortalità, a cura dello stesso Bazzani, Editori Riuniti, Roma 1997, p. 33.
18. Ivi, p. 32.
19. E. Paci, L’esistenzialismo in Italia, cit., p. 98 (corsivi miei).
20. Ibid.
GIUSEPPE MOSCATI 41

quanto tale esso corrisponde ad un


movimento che torna al passato dopo
essersi spinto fino alla dimensione del-
l’avvenire. Il futuro dell’uomo, così, è
«l’orizzonte aperto che apre tutti gli
orizzonti»23: per questo l’uomo deve
riappropriarsi del tempo come luogo di
libertà, in un processo che, direi, risulta
squisitamente emancipativo.
La libertà torna qui con tutta la sua
valenza o, se si preferisce, plurivalenza
esistenzialista, anche perché Paci – il
quale vede la filosofia dell’esistenza
come una forma di decadentismo
romantico ed allo stesso tempo di deci-
so antiromanticismo – tematizza la
libertà ‘per la morte’ cui facevamo rife-
rimento sopra in termini di coerente let-
tura psicologica. Parlando di destino e
di pensabilità del nulla, di angoscia e di
Enzo Paci (a destra), insieme ad alcuni studenti.
senso/non-senso della mortalità e della
che morfologiche e fisiologiche e con determinate “pos- finitezza dell’esistenza, egli ci presenta ed illustra così
sibilità di azione e di produzione”21. un mirabile paradosso. L’esistenzialismo, scrive infatti
Volendo un po’ sintetizzare, senza peraltro cadere in con malcelato entusiasmo il Paci dei primi anni
facili banalizzazioni, credo si possa dire che in Paci l’uo- Quaranta, «ha trasformato quello che era un atteggia-
mo deve superarsi come essere (semplicemente) fattuale, mento in un problema filosofico. L’esistenza (…) ha ora
negandosi come immediatezza in virtù della costruzione trovato l’espressione tecnica per rivelarsi come proble-
della propria piena personalità, mentre in Feuerbach ma filosofico»24, concludendo con estrema efficacia che
l’uomo può tutt’al più aprire la propria essenza a quella «l’esistenza è diventata filosofia»25.
dell’altro in un movimento che, semmai, è di trascenden- Volendo individuare un limite della filosofia di Paci,
za orizzontale, ma che mai può tradursi in un oltrepassa- potremmo dire che l’allievo di Banfi, proprio nel mentre
mento dei confini naturali, al di là di ciò che l’uomo stes- va definendo quella sua teoria relazionistica secondo la
so è, e che assolutamente non può e non deve dimentica- quale mi conosco e ri-conosco soltanto nel mio rapportar-
re la propria sensibilità e corporeità. mi agli altri (alle altrui esistenze ed esperienze di vita
oltreché alle altrui conoscenze), fa discendere un po’ for-
zatamente – ma poi neanche troppo, per la verità – lo
3. La concezione del tempo e il futuro dell’uo- stesso esistenzialismo, quale negazione dell’Essere par-
mo menideo, dal pensiero nietzschiano26.
Ma che significato assume la legge morale di cui ci
Particolarmente interessante risulta pure, in chiave parla Paci? Si tratta di un’istanza da intendere, sostan-
di ricognizione di ciò che del pensiero di Paci è attuale, zialmente, come sottolineatura dell’urgenza di denuncia-
l’idea del tempo e della temporalità. Incontriamo, in re il reale (Aldo Capitini parlava di “insufficienza dell’e-
una prospettiva all’interno della quale permangono sistente”) ed oltrepassarne le brutture – distruzione, vio-
tracce heideggeriane, da una parte una stretta connes- lenza, indifferenza e, potremmo dire, non-cura in senso
sione tra la concezione del tempo interiore e quella che lato – senza negarle tout court o ignorarle come invece
per Paci è la legge morale costitutiva dell’esistenza, e arriva a fare l’accezione peggiore del liberalismo più sfre-
dall’altra un legame altrettanto significativo tra tale nato. Se è vero questo, però, e se trasportiamo le argo-
legge morale e l’elemento dell’arte, visto quale “ritorno mentazioni di Paci nello scenario dell’era contemporanea
alla vera natura dell’uomo”22. in cui sembrano accavallarsi senza sosta gli echi di guer-
La versione paciana dell’esistenzialismo, allora, re e guerriglie più o meno seguite dai mass-media, allora
coniuga il tempo come una “forma costitutiva” non siamo tutti chiamati a tendere l’orecchio per ascoltare la
solo dell’essere, ma anche della persona stessa; ed in voce profetica dell’esistenzialista italiano.

21. Cfr. ivi, p. 99.


22. Cfr. ivi, p. 100.
23. Ibid.
24. Id., L’esistenzialismo, cit., p. 5.
25. Ibid.
26. Cfr. B. Maiorca, Percorsi dell’esistenzialismo in Italia e filosofia dell’esistenza, in , cit., p. 13.
42 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

ENZO PACI E LA POLIS:


DALLA NASCITA DI AUT AUT
ALLA FINE DEL COMUNISMO

Intervista a Salvatore Veca*

a cura di Massimiliano Cappuccio

[Chora] Professor Veca, vorremmo chiederLe di diversi campi di attività intellettuale, con il filo rosso
parlarci di Enzo Paci raccontandoci degli esordi della della ricerca filosofica che andava esplicitando il senso
sua esperienza editoriale più significativa: la creazio- di quelle diverse ontologie regionali – diremmo con les-
ne della rivista Aut Aut, che fu guidata da Paci fino ai sico husserliano – di cui si compone il nostro landscape
primi anni Settanta e che è stata da Lei co-diretta per culturale. Questa era l’idea di fondo di Paci, l’idea che ha
un certo periodo. Quali istanze filosofiche e quali perseguito in maniera perfettamente riconoscibile tra la
motivazioni spinsero Paci a metà degli anni Cinquanta e la
creare la rivista, nel ‘51, e quale fine degli anni Sessanta. Si può
progetto culturale perseguiva trovare lì il DNA allo stato
sulle sue pagine? puro di Aut Aut.

[Veca] Ho seguito Aut Aut fin


da giovane studente, come per Si sente dire a volte che
altro Pier Aldo Rovatti, e come Aut Aut è stata una rivista
lui ho cominciato a scrivere sulla “studentesca”, nel senso che
rivista da quando non ero anco- molti giovani studiosi erano
ra laureato. Sono convinto che invitati a scrivere sulle sue
Paci avesse in mente un proget- pagine e a prendere parte alla
to editoriale incentrato sulla sua sua realizzazione, coordinati
ricerca filosofica, che nel ‘51 non dall’autorevole guida di Enzo
era ancora entrata nella fase Paci. In quanto ex-direttore di
fenomenologica, ma era in una Aut Aut, e in base alla sua
fase che io ho sempre considera- esperienza professionale nel-
to la più feconda, cioè quella di l’ambito dell’editoria, che
tipo relazionistico, situata tra consigli si sentirebbe di dare
esistenzialismo e fenomenolo- oggi alla redazione di una
gia. L’idea era che la ricerca filo- rivista specializzata in filoso-
sofica potesse far interagire tra fia che, come la nostra, e stata
loro e dare senso alle diverse originariamente creata dagli
“versioni del mondo”, come mi studenti e vive seguendo
piace dire: quelle musicali, quel- anche le loro proposte? II pro-
le poetiche… Aut Aut è sempre Salvatore Veca blema più complicato sembra
stata una rivista appunto di filo- essere sempre quello di
sofia e cultura, non era una rivista filosofica nel senso riuscire a equilibrare la freschezza e l’originalità delle
standard ma non era neanche un semplice periodico cul- proposte più creative con la serietà del lavoro accade-
turale. Espressa dallo stile di Paci vi era questa vocazio- mico e con il rigore di un registro scientifico; per altro
ne all’esplorazione e alla costruzione all’interno dei verso il dilemma di chi dirige una rivista di filosofia é

1. L’intervista, che - a causa di sopravvenuti problemi tecnici – è stata realizzata in due occasioni diverse con pazienza e disponibilità
da parte del Prof. Veca, viene pubblicata senza essere stata da lui riveduta.
SALVATORE VECA 43

quello di riuscire a coniugare la riflessione sui temi Una rivista come la vostra dovrebbe mantenere un
eterni del pensiero filosofico con le contingenze del curioso e difficile equilibrio – certamente instabile – tra
tempo presente e le necessità dell’attualità. Vorremmo quanto è già stato classificato come problema nella tra-
chiederLe di darci qualche suggerimento, esponendo dizione e quanto invece viene percepito indipendente-
a noi e a nostri lettori le Sue riflessioni in merito. mente dall’irregimentazione tipica dell’impostazione
professionale. Fare una rivista indipendentemente dalla
Vorrei anzitutto sottolineare l’atteggiamento liberale tradizione sembrerebbe bizzarro, però anche fare una
e propositivo che Paci ha sempre tenuto nei confronti rivista unicamente interna alle regole della produzione
dei giovani, non solo nei confronti di quelli che faceva- e della scrittura filosofica mi sembrerebbe altrettanto
no ricerca con lui ma anche dei nuovi studenti. Paci ha poco interessante; è un equilibrio difficile ma probabil-
sempre avuto una straordinaria attenzione nei confron- mente è proprio ciò che rende conto della motivazione
ti della capacità delle giovani generazioni di mettere “in e della passione per questa navigazione incerta.
agenda” e di mettere a fuoco temi, questioni e modi di
sentire i problemi, spesso in modo non ortodosso rispet-
to alle tradizioni disciplinari. Le tradizioni disciplinari II dibattito politico italiano è stato per lungo tempo
hanno la caratteristica di irregimentare in qualche monopolizzato dalla contrapposizione tra idealisti e
modo ciò che può costituire un problema, e in qualche marxisti. Il lavoro di filosofi come Lei ha consentito
modo lavorano nel cono di luce di ciò che è già definito negli anni ‘70 di iniziare a prendere in considerazione
come problema, così che il loro intorno è opaco e resta anche prospettive filosofiche diverse, su tutte quella
nella penombra: Paci, che amava il gergo husserliano, di John Rawls. Che tipo di effetto ha avuto sulla scena
avrebbe detto che esse stanno nel nucleo, nel Kern, deli- filosofica l’ingresso della filosofia politica normativa
mitate dalle Abschattungen. Ora ci sono virtù e vizi nel di matrice analitica? E che effetti ha sortito sulla sini-
fare una rivista filosofica di tipo professionale e accade- stra italiana, di derivazione marxista, il liberalismo di
mico: la virtù è che vi saranno filtri selettivi nei confron- sinistra?
ti della qualità dei contenuti, dipendenti dalle regole
disciplinari, le quali possono anche cambiare nel tempo; Ho lavorato su Marx (nell’ambito di uno dei vari
il vizio può scaturire dal fatto che spesso si scrivono marxismi, perché ce n’erano tanti) durante il corso dei
articoli non perché un problema sia percepito realmen- primi anni Settanta: se n’era discusso con Paci già da
te come una questione che fa tremare i polsi, ma per il anni, in quanto il marxismo era la koiné nella quale si
fatto che altri hanno scritto su quel tema e che bisogna riconosceva una sinistra che per altri aspetti era molto
quindi rispondere ai loro articoli, e questo è tipico delle frammentata. Nel ‘77 pubblicai un libro che si chiama
pubblicazioni specialistiche della comunità scientifica. Saggio sul programma scientifico di Marx (Milano, il
Saggiatore), un saggio che riconosceva un’enorme
importanza del pensatore tedesco per il pensiero
moderno e al tempo stesso indicava anche i suoi limiti;
Marx era uno dei giganti di cui eravamo eredi, in
mezzo a Spinoza ed Hegel, ma restava un terminus a
quo e non ci dava alcun terminus ad quem. Questo era il
senso del mio libro che suscitò molta discussione.
Alcuni di noi in quel periodo decisero che Marx era
morto e che quindi tutto era permesso; altri invece,
come me, furono convinti del fatto che l’esperienza del-
l’attraversamento del pensiero di Marx, che pure è
molto complicato e complesso, richiedesse di non mol-
lare, cioè di ritrovare un criterio di giudizio della poli-
tica, delle scelte politiche, delle prospettive di riforma
della società e delle istituzioni, che avesse sullo sfondo
ciò da cui veniva ma che intanto si attrezzasse con stru-
menti che fossero capaci di orientare nella valutazione
politica delle scelte collettive.
E fu qui che io incontrai quel capolavoro della filoso-
John Rawls fia politica della seconda metà del ventesimo secolo che
è Per una teoria della giustizia di John Rawls, il quale era
44 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

completamente assente da noi, provenendo da una tra- intersoggettiva, pubblica, sociale e politica della veri-
dizione assolutamente minoritaria nell’Europa conti- tà. Questa visione, per la quale i vari rami del sapere
nentale e, a fortiori, in Italia. Feci molta fatica all’inizio filosofico devono costantemente ed immediatamente
perché dovetti misurarmi con una tradizione di studi e tenersi insieme come un tutto organico, non sembra
con un modo di vedere le cose di tipo molto diverso, era appartenere ai pensatori della tradizione analitica.
come imparare una lingua nuova: fu un lavoro di lungo Crede che questa sia un’immagine corretta della filo-
periodo, pubblicai La verità giusta nel ‘82 e seguì oltre un sofia analitica? E, in particolare, quale pensa che
decennio di lavori nell’ambito della teoria normativa debba essere il ruolo della filosofia politica analitica
della politica. In quel periodo ero impegnato anche in all’interno della discussione pubblica e/o all’interno
una militanza politica, allora nel Partito Comunista degli altri rami della ricerca filosofica?
Italiano, dove per una decina d’anni fui anche committed
nel tentativo, per dir così, “di rinominare le cose”: con Il problema che viene posto con questa domanda è lo
Michele Salvati nel 1989 proponevo al Partito stesso che viene affrontato nel mio prossimo libro, che
Comunista di cambiare nome e di chiamarsi Partito uscirà presto (metà Giugno 2005, NdR), e in particolare
Democratico della Sinistra; il PDS è nato in seguito in un capitolo intitolato “L’offerta filosofica e i soggetti
anche sulla base di proposte come la nostra, le quali, della politica”: si tratta di un tentativo che io faccio di
insomma, ebbero una discussione molto ampia. Era il ricostruire e render conto dei notevoli rapporti tra il fare
periodo in cui collassava l’impero sovietico e comincia- politica e il fare teoria politica – impegnata quest’ultima
va il grande disordine mondiale di cui siamo ancora nell’offerta filosofica di credenze. Ho trovato un po’ biz-
oggi eredi e pienamente pasticciati. Quale effetto abbia zarro che molti di noi – intendo quelli che sono stati fino
prodotto il mio lavoro non spetta a me dirlo, ma certa- ad ora a sinistra – abbiano avuto problemi teorici come
mente di fatto si può fare una constatazione molto sem- ad esempio quello celebre del rapporto tra teoria e pras-
plice: se oggi uno discute con un socialdemocratico si, ma poi come tanti reduci nessuno si sia posto il pro-
tedesco o con un new labour britannico o un liberal ame- blema di fare i conti con il suo passato... Ma per cercare
ricano o con i socialisti francesi o spagnoli, tutti quanti di capire quale sono le circostanze che generano e che
utilizzano il nostro lessico, quel lessico che io e altri definiscono la natura di un certo tipo di discorso filoso-
come me, abbiamo introdotto circa vent’anni fa. fico rivolto al pubblico, bisogna prender atto che vi sono
Naturalmente limitarsi a cambiare il lessico a volte può due grandi modelli di impegno, che rispettivamente
essere nient’altro che una manovra opportunistica, se si possiamo riferire grosso modo ad una tradizione conti-
cambia solo il modo di riferirsi alle cose ma se rimango- nentale e ad una analitica, quest’ultima proveniente per
no i tic ereditati da una vecchia tradizione politica e da lo più dall’ambito accademico tra Oxford a Cambridge.
una consolidata produzione ideologica; ma di fatto Come per la maggior parte delle faccende della filosofia
cambiare il lessico ha fatto in modo che si potesse del ventesimo secolo, se vogliamo risalire all’origine
aggiornare il catalogo degli strumenti concettuali della della nostra modernità, troviamo questa distinzione.
sinistra, inclusa quella radicale, così che oggi tutto lo Come ha mostrato Michael Dummett è una distinzione
spettro dell’opposizione fa capo grosso modo ad una da prendere con tutto il beneficio del dubbio, soprattut-
certa prospettiva e ad una precisa idea di giustizia – sia to se uno pensa che la filosofia analitica, che si vuole
essa distributiva o commutativa. Nel prodursi del puzz- essere di matrice anglosassone, nasce da pensatori di
le complicato di questo cambiamento io ho messo una lingua tedesca come Frege e Wittgenstein. Accettiamo
piccola tessera. però la distinzione. In buona sostanza questa distinzio-
ne coincide con quella tra pensatori che hanno rapporti
con il potere politico e pensatori che hanno rapporti con
Nella concezione relazionistica di Enzo Paci, come il potere religioso: gli intellettuali continentali sono
in quella di altri maitre a penser continentali, i grandi quelli che fanno “i preti” in certo modo, nel senso che si
temi dell’impegno e del pensiero politico non avreb- assumono la “missione del dotto” di Fichte, guidato
bero potuto essere in alcun modo separati dalla consi- dall’idea della formazione dell’élite politica, (lo stesso
derazione dei problemi filosofici di natura più specu- problema era avvertito da Hegel nei confronti della for-
lativa, dalla riflessione sulla condizione di crisi delle mazione dei leader dello stato prussiano, e poi ancora
scienze europee, dalla meditazione sull’esistenza da Croce, da Gentile…)
umana, né da qualsiasi altro aspetto della cultura inte- Sartre è forse la figura più rappresentativa dell’intel-
sa come vita di una verita in cammino; per converso lettuale continentale. Lui e gli altri come lui hanno in
anche gli interessi più specialistici del filosofo devo- mente che il loro lavoro filosofico determini e fissi il fine
no svilupparsi nella considerazione della dimensione dell’azione politica. Prendiamo il discorso filosofico di
SALVATORE VECA 45

Sartre, o di Paci appunto, o di Merleau Ponty,


Horkheimer, Adorno o Marcuse: essi hanno sempre a
che fare con il fine e si propongono di determinare i fini
dell’azione collettiva parlando di un’ideale di società
che si emancipa dalla schiavitù di varie cose, una socie-
tà al di là della scarsità, al di là del principio di presta-
zione, al di là dello sviluppo libidico unilaterale... Si
propongono cioè di legare strettamente una visione
della politica, della istituzioni, e dei modi della convi-
venza ad una visione coerente di tipo speculativo.
Facendo questo cercano di costituire comunità di condi-
visione, uditori non già dati ma alternativi rispetto a
quelli già costituiti. I filosofi continentali hanno in
mente di essere i maneggiatori dei fini (del partito, della
classe sociale, della nazione… o della razza, nei casi più
infelici); sono coloro che secernono i discorsi di identifi-
cazione collettiva degli altri, ovvero dispensano beni
d’identità (come Marcuse, che ai giovani figli dei fiori
del periodo dell’ondata contestativa offre modi per
riconoscersi come generazione): essi offrono la ragione
dello stare insieme in quanto specificano le modalità del
riconoscimento.
Diverso è il caso in cui trovo che il mio lavoro filoso-
fico dispone di fini già dati, e quello che devo fare è
quindi saggiare la loro coerenza reciproca, la loro giu-
stificabilità, la loro compossibilità con altri fini; quindi
non miro a generare comunità di condivisione, né beni
di identità, perché questi sono già dati indipendente-
mente dal mio discorso filosofico. Il filosofo analitico,
per questo motivo, molto spesso è uno che assume che Jean-Paul Sartre
certi fini siano dati e quindi si interroga sulla loro giu-
stificazione, oppure sulle tecnologie che consentono di
perseguirli al meglio. Ci sono due grandi eroi della filo- sono molti casi border-line tra i due estremi; oggi poi le
sofia, le cui figure sono emblematiche di questo modo cose sono molto più opache e più mobili di quanto
di sganciare il lavoro teorico rispetto all’impegno civico: siamo portati a riconoscere guardando attraverso gli
Bertrand Russell e Noam Chomsky, due figure che io occhiali ereditati dal passato, e le nuove generazioni
ammiro moltissimo. Quando Russell va in tribunale, hanno la possibilità di vedere le cose in maniera diffe-
quando si batte contro la bomba atomica, quel che affer- rente, anche solo perché hanno vissuto meno anni, e
ma è del tutto indipendente dalla sua filosofia, così avvertono meno la pressione dell’eredità del passato.
come quando Chomsky emette i suoi atti di accusa con-
tro la politiche imperiali dell’amministrazione statuni-
tense non lo fa in quanto studioso di linguistica trasfor- Vorremmo domandarLe del volume Il filosofo e la
mazionale o di grammatica generativa, ma lo fa in città, da Lei curato, che raccoglie vari scritti di Paci
quanto cittadino insieme ad altri cittadini a favore di dedicati ai temi della comunità politica, intesa in
una prospettiva egualitarista. Quando invece Sartre va senso ampio, e che attraversa la riflessione di pensato-
davanti ai cancelli della Renault di Billancourt lui va ri come Platone, Whitehead, Husserl, Marx.
come funzionario dell’umanità, come funzionario del- Nell’introduzione Lei ha elaborato una critica abba-
l’universale. stanza severa allo stile del discorso paciano, il quale,
Queste due figure, Sartre (o Paci) da una parte e dal- nello stabilire paralleli relazionistici, non si muove-
l’altra Chomsky (o Russell), effettivamente rappresenta- rebbe al di là del semplice livello dell’analogia e della
no le polarità estreme di due modi di intendere il rap- similitudine, con la conseguenza che la da lui auspica-
porto tra il lavoro filosofico e l’attività politica. Si tratta ta sintesi tra fenomenologia e marxismo risulta essere
di una distinzione netta e facile, e naturalmente poi ci un’idea superficiale e poco prudente. Rimane valida,
46 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

nonostante questa critica, una qualche utilità nello critica di Marx dell’economia politica. Questo tentati-
stabilire una continuità tra Marx e Husserl? Nei con- vo di commistione è tutto sommato molto canonico
fronti del relazionismo paciano, creativo e talvolta nella tradizione intellettuale italiana, essendo una
imprevedibile, deve essere emessa una condanna situazione tipica del rapporto che sussiste da noi tra
netta, o pensa che al suo interno permangano elemen- ceti intellettuali e soggetti della politica (cioè i partiti).
ti interessanti e tuttora utilizzabili? Questa fase è contrassegnata dalla conferenza di
Praga e dalla pubblicazione di Funzione delle scienze e
Riscriverei quello che scrissi allora, nel ‘78, nell’intro- significato dell’uomo; questo discorso viene però poi
duzione a quell’antologia, senza cambiare nulla – salvo abbandonato da Paci, ed ecco che la fase conclusiva
forse che lo stile, che ora mi sembra un po’ ampolloso, della sua ricerca vede, con l’ultimo suo libro, il ritor-
ma era per via della pas- no ad un progetto enciclopedico
sione che nutrivo nei con- aperto: tornano quindi i temi
fronti di Paci, una perso- che avevano generato il DNA di
na alla quale devo molto. Aut Aut. Sosterrei esattamente
Paci mi ha insegnato la tesi che difesi allora: mentre
soprattutto a innamorar- l’esercizio di una prospettiva
mi della filosofia, e non è relazionistica ha un notevole
poco: non mi ha insegna- valore “suggestivo”, in senso
to il metodo, né il rigore, letterale, perché è in grado di
ma invece ha consentito suggerire e stimolare idee
che io apprendessi in che nuove, la logica meramente
modo una persona può ecceterativa (“c’è anche questo,
veramente dedicarsi con e questo e questo”), applicata
devozione alla ricerca. Di nel tentativo di tenere insieme
questo gli sono molto Marx e Husserl, era destinata a
grato, anche se poi la mia rimanere sterile, perché avrebbe
ricerca si è sviluppata potuto generare solo il tedio
autonomamente. verso una certezza che non si sa
Il programma di Paci come spendere. Sono convinto
è stato progressivo fino che il punto di forza e di mag-
alla sua fase relazionisti- gior interesse del relazionismo
ca, ed è in seguito diven- paciano sta proprio nella sua
tato regressivo: non imprevedibilità e nella sua
tanto con il suo tentativo Noam Chomsky capacità di cogliere legami ina-
generale di importazione spettati: esso è il promemoria
e di re-interpretazione della fenomenologia husserlia- della possibilità euristica di avanzamento della ricer-
na, quanto con il suo tentativo di applicare lo Husserl ca. Penso che questa sia una delle migliori eredità che
della Crisi delle scienze europee in maniera analoga alla Paci ci ha lasciato.

SALVATORE VECA (Roma, 1943) ha studiato Filosofia all’Università degli Studi di Milano, dove si è laureato nel 1966
in filosofia teoretica con Enzo Paci e Ludovico Geymonat. Dal 1990 è professore ordinario di Filosofia politica alla
Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Pavia, della quale dal 1999 è Preside. Dal 2000 è Rettore del Collegio
Giasone Del Maino, sede dell’Istituto Universitario di Studi superiori di Pavia. Dal 2001 è direttore del Centro inter-
dipartimentale di Studi e Ricerche in Filosofia sociale dell’Università di Pavia e Prorettore per la didattica
dell’Università di Pavia. Dal 1984 al 2001 è stato presidente della Fondazione Feltrinelli, promuovendo lo sviluppo
del suo Centro di Scienza politica. Ha svolto un’intensa attività di consulenza e direzione editoriale per case editri-
ci come Feltrinelli, Mondadori, Il Saggiatore. E’ stato condirettore di “Aut Aut” con E. Paci e P.A. Rovatti dal 1971
al 1973. Ricordiamo alcune delle sue pubblicazioni: Introduzione a E. Paci, Il filosofo e la città, a cura di S. Veca, Milano,
1979, Il Saggiatore; Saggio sul programma scientifico di Marx, Milano, 1977, Il Saggiatore; Dell’incertezza. Tre meditazio-
ni filosofiche, Milano, 1997, Feltrinelli, per il quale gli è stato conferito il premio Castiglioncello nonché la medaglia
d’oro della Presidenza della Repubblica per i Benemeriti della Scienza e della Cultura; Il giardino delle idee. Quattro
passi nel mondo della filosofia, Milano, 2004, Frassinelli; La società giusta e altri saggi, Milano, 1988, Il Saggiatore; La socie-
tà giusta. Argomenti per il contrattualismo, Milano, 1982, Il Saggiatore.
OSSERVATORIO SULLE RIVISTE 47

OSSERVATORIO SULLE RIVISTE: AUT AUT

a cura di Massimiliano Cappuccio

Aut aut n. 324, Percezione e fenomenologia, Novembre/Dicembre 2004, Il Saggiatore,


Milano. Rivista bimestrale fondata da Enzo Paci e diretta da Pier Aldo Rovatti
Aut Aut è la rivista che Enzo Paci fondò nel
1951, con l’intenzione di creare uno scenario inter-
disciplinare dove la filosofia potesse interagire
nella maniera più proficua con le diverse e vitali
espressioni culturali della nostra epoca. Non è
passato molto tempo da quando la rivista ha
festeggiato il suo cinquantesimo compleanno, e in
quell’occasione la redazione ha voluto ricordare le
origini e l’evoluzione di Aut Aut attraverso due
iniziative: in primo luogo la pubblicazione di un
numero monografico speciale (305-306 –
Settembre/Dicembre 2001) all’interno del quale,
oltre all’indice completo degli articoli, viene offer-
ta anche la ristampa anastatica dello storico
numero uno; e in secondo luogo con una confe-
renza tenutasi il 29 Novembre 2001 presso la Sala
di Rappresentanza del Rettorato dell’Università
degli Studi di Milano. Tra i periodici italiani di
argomento filosofico Aut Aut si segnala tuttora tra
i più longevi, prestigiosi e vitali, anche grazie alla
conduzione editoriale di Pier Aldo Rovatti, che ha
saputo traghettare nel nuovo millennio la sfida
originariamente intrapresa da Paci, interpretan-
done il senso alla luce degli inevitabili mutamenti
verso cui la filosofia è andata incontro con il pas-
sare degli anni.
L’ultimo numero fornisce indizi che lo spirito
di Paci non ha smesso di vivere nelle pagine della
rivista da lui creata, la quale continua a manife-
stare una indissolubile consonanza con gli inte-
ressi del suo fondatore. Anzitutto l’attenzione per
le domande fondamentali della ricerca fenomeno-
logica: la sezione tematica curata da Luca Vanzago riunisce quattro autorevoli saggi “accomunati a un tempo
dall’origine husserliana e dalla sua trasgressione” e offre un approfondimento critico e aggiornato del dibat-
tito sulla percezione, e in particolare sul rapporto che sussiste tra pulsione e passività nell’atto percettivo. Il
saggio introduttivo di Vanzago aiuta a cogliere la portata ontologica ed etica del problema della percezione,
esaminata in relazione alle dinamiche di auto-costituzione della soggettività e dell’individualità del vivente;
la percezione, sostiene il fenomenologo di Pavia, principalmente attraverso un confronto con la lettura data
da Visker della proposta levinasiana, “non è un atto cognitivo neutrale ma sempre una posizione del sogget-
to nel sistema di relazioni intersoggettive incarnate, e in quanto tale è ciò che pone al soggetto le questioni più
scomode: la percezione è desiderio di riconoscimento, e in particolare desiderio di riconoscimento di sé attra-
verso il ruolo dell’alterità”. Renaud Barbaras approfondisce il ruolo del sostrato pulsionale dal quale l’atto
48 AUT AUT

percettivo scaturisce nella forma di un’intenzionalità che si configura anzitutto come desiderio incarnato nel
movimento e nel comportamento dell’animale, essendo quest’ultimo convocato, in termini heideggeriani, di
fronte ad un’apertura di senso solo parziale, povera di mondo, che non consente di percepire l’ente in quanto
ente. Il saggio di Rudolf Bernet si appoggia alla psicoanalisi lacaniana per moderare l’istanza merleau-pontia-
na di una perfetta simmetria della reversibilità e per sviluppare in maniera diversa il tema dello sguardo, da
intendersi finalmente come “forma di relazione” (nei confronti dell’altro e della carnalità che costituisce l’ori-
gine della coscienza) “che precede e fonda la soggettività”: il soggetto è “guardato” e “fa macchia” essendo
assoggettato allo sguardo dell’altro anche senza guardare e quindi molto prima di guardarsi guardare. Il sag-
gio di Herman Parret si distingue come l’originale tentativo di affrontare il problema dello statuto della qualità
percettiva entro il quadro di una “semio-estetica”, che ha come oggetto la “sensorialità globale del corpo” e che,
in questo caso, si articola come una paziente disamina e una dettagliata tassonomia delle relazioni sinestiche
sussistenti nelle esperienze gustative e uditive legate alla fruizione del vino e della voce, che l’autore sceglie di
accostare analogicamente, rispettivamente, ai concetti di carne e corpo di Merleau-Ponty, assegnando loro ruoli
diversi nell’ontologia della percezione sulla base del loro diverso tentativo di rimandare all’origine dell’espe-
rienza. Paolo Spinicci chiude il dossier monografico affrontando il tema della percezione nella prospettiva delle
modalità espressive e semiotiche della raffigurazione, e in particolare mettendo in discussione il primato delle
dinamiche denotative (che normalmente vengono spiegate in base al principio di somiglianza) attraverso un
raffronto tra la semantica del testo scritto, dell’immagine pittorica e delle raffigurazioni cartografiche, imposta-
te – queste ultime - da una grammatica proiettiva e formale: in ciascuno di questi casi l’immaginazione svolge
una funzione ermeneutica diversa, e determina
modalità specifiche di operare il riconoscimento di
ciò che è familiare.
Aut Aut continua inoltre ad avvertire l’istanza
paciana di un confronto attento con l’attualità degli
eventi recenti, sia quelli che accadono nel mondo
della filosofia che quelli riguardanti la realtà geo-
politica. Per quanto riguarda i primi, Aut Aut ha
voluto ricordare la recente scomparsa di Jacques
Derrida con l’estremo saluto dedicatogli dall’amico
Jean-Luc Nancy, ma soprattutto pubblicando l’ulti-
ma, lucidissima, intervista che lo stesso Derrida ha
concesso prima di morire e che contiene un’estre-
ma ricapitolazione dei temi della decostruzione,
della lingua, della scrittura e dell’identità europea,
messa in gioco di fronte ai dilemmi di una indeci-
frabile situazione politica globale. Su tale situazio-
ne riflette anche l’articolo di Dal Lago, dedicato al
legame silenzioso ma tenace che unisce fin dalle
sue origini il pensiero filosofico alle politiche del
militarismo. Arricchiscono il fascicolo anche una
sezione intitolata “Il bene della vita”, curata da
Mario Ricciardi, nella quale si trovano i contributi
di tre filosofe di Oxford (Anscombe, Foot e
Murdoch) al dibattito sull’etica della vita; si segna-
lano anche l’articolo di Zizek su Kant, quello di
Vegetti su tradizione e progettualità nella ricerca e
nella pedagogia, nonché l’introduzione di Rovatti
ad un significativo saggio di Michel De Certeau
(del quale viene riprodotto un estratto) che propo-
ne una lettura in chiave simbolica dell’esperienza
politica del ’68 e della rivoluzione culturale e di
costume che essa ha innescato.
OSSERVATORIO SULLE RIVISTE 49

AUT AUT IN BREVE

“Aut Aut” nasce in proprio in via Soperga 54,


a Milano, a casa di Enzo Paci; nel 1952 ha un suo
editore, Taylor di Torino, nel 1957 passa alle edi-
zioni Mantovani, nel 1958 alla Kairos. Dal 1961 e
per un decennio l’editore sarà direttamente
Arrigo Lampugnani Nigri di Milano. Nel 1963
cambia la veste grafica (la copertina viene dise-
gnata da Bob Noorda) e la distribuzione viene
assunta dalla Mondadori.
Nel 1965 inizia il rapporto con La Nuova
Italia di Firenze che fino al 1972 si limita a distri-
buire “aut aut”, ma che dopo questa data ne
diviene l’editore (con il frammezzo di qualche
fascicolo azzurrino pubblicato dalla Praxis di
Milano). Dal 1974 fino al 2004 la rivista mantiene
così inalterato il suo assetto editoriale e la veste
grafica (copertina rossa ecc.); a partire dal 2004
la rivista viene pubblicata dall’editore Il
Saggiatore, e non più dalla Nuova Italia.
La direzione e la redazione restano comunque
sempre a Milano, nella prima fase seguendo Paci
da via Soperga a via Burlamacchi. Fin dall’inizio
Paci chiama accanto a sé, come redattore capo,
Gillo Dorfles; poi si forma (1957) un comitato di
redazione con L. Actis Parinetti, G. Cambon, G.
Dorfles, L. Rognoni e G. Semerari; dal 1959 al
1967 Giovanni Raboni opera come segretario di
redazione. A partire dal 1968 questo ruolo è
tenuto da Pier Aldo Rovatti e Salvatore Veca,
entrambi allievi di Paci.
Nel 1972 si avrà una direzione a tre e poi nel
1974 a due (Paci-Rovatti). Sono gli anni trava-
gliati della malattia di Enzo Paci, che muore nel
1976. Da questa data la proprietà della rivista
rimane a sua figlia Francesca Romana.
La direzione si sposta in via Curti (poi passerà in via Catalani) e prende corpo un nuovo assetto reda-
zionale. In realtà il vecchio comitato già da molti anni aveva cessato di funzionare come tale e la rivista
ruotava intorno alla persona di Paci; dopo la sua morte un gruppo aperto di collaboratori prende a
riunirsi con periodicità quindicinale svolgendo insieme il ruolo di direzione e di redazione: alle riunio-
ni partecipano una ventina (talvolta anche più) di collaboratori, più o meno giovani, più o meno cono-
sciuti. Da questa conduzione quasi assembleare comincia ad assumere forma l’attuale redazione costi-
tuita da una decina di persone. Siamo nel gennaio 1983: con qualche sostituzione e qualche immissione
si tratta del medesimo gruppo che compare oggi in seconda di copertina. Va ricordato che tale gruppo
si è mantenuto completamente autonomo da qualunque vincolo istituzionale, universitario e non, il che
costituisce una non marginale peculiarità di “aut aut” con tutti i vantaggi potenziali ma non senza gli
svantaggi materiali del caso.
Le riunioni vengono ospitate prima nella sede del mensile “alfabeta”, poi per breve tempo presso la
Casa della Cultura, e infine da un paio d’anni presso L’ISU di via Pantano. Ultimamente il gruppo reda-
zionale si è fatto anche promotore di seminari interni e di una serie di incontri pubblici a partire dal
lavoro della rivista: si tratta dei “Lunedì di aut aut”, serate di approfondimento e dibattito che si tengo-
no presso il Teatro Verdi, in via Pastrengo 16, a Milano (zona Stazione Garibaldi).
50 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

PACI E MERLEAU-PONTY
Una testimonianza e qualche riflessione*

di Guido Davide Neri

N egli anni l955-l957 ho seguito i corsi di Enzo


Paci all’Università di Pavia e ho potuto assiste-
re da vicino all’inizio di quel suo profondo
coinvolgimento nel movimento fenomenologico che
avrebbe in seguito lasciato delle tracce importanti nella vita
della Crisi delle scienze europee. Il senso dell’intera fenome-
nologia husserliana gli appariva trasformato.
Lo stimolo decisivo verso questa nuova interpretazio-
ne, per Paci sempre più appassionante, del pensiero di
Husserl, veniva da Merleau-Ponty. Aggiornando, nel
culturale italiana. Venivo dall’Università di Milano, dove l956, un suo scritto divulgativo sull’esistenzialismo, Paci
intorno a Banfi e Dal Pra si stava coagulando un gruppo di scriveva che questa filosofia aveva ormai acquistato “un
allievi (l’ultima delle generazioni banfiane) che sarebbero carattere decisamente fenomenologico con Merleau-
poi stati tra i primi allievi milanesi dello stesso Paci. Ponty, il quale da un lato ci riconduce a una più positiva
Paci viveva uno dei momenti più intensi e fertili della valutazione dell’eredità filosofica di Husserl e dall’altro
sua attività filosofica1. Le lezioni che ascoltavamo si depo- caratterizza l’esistenzialismo come una filosofia della
sitavano, proprio in quegli anni, in una serie di testi di relazione”3. Relazionismo era il nome e la sostanza della
grande spessore: la filosofia presocratica, lo schematismo filosofia maturata da Paci in quegli anni, in stretto rap-
kantiano, la visione panoramica del pensiero contempo- porto con l’organicismo di Whitehead, cioè con “una filo-
raneo. In un contesto di interessi così ampio e articolato si sofia del processo organico, fondato sulla realtà inelimi-
inseriva la ripresa della fenomenologia husserliana. nabile del tempo e sulla interdipendenza degli eventi”4.
Si trattava, appunto, di una ripresa. Di Husserl, che il Citando la Fenomenologia della percezione (“je devrais dire
suo (e anche mio) maestro Antonio Banfi aveva fatto qu’on perçoit en moi et non pas que je perçois”) Paci scri-
conoscere per primo in Italia, Paci si era già occupato fin veva: “Il mondo si percepisce in me perchè il suo livello
dagli anni Trenta. Con spirito simpatetico, ma anche con si differenzia, si trascende, in me si apre, perchè il proces-
distacco. L’intransigenza razionalistica di Husserl, la sua so del mondo in me emerge.” Così Paci integrava la per-
concezione della filosofia come “scienza rigorosa”, legit- cezione di Merleau-Ponty e la Lebenswelt di Husserl in
timava agli occhi di Paci la “fatale reazione” heideggeria- una vasta concezione naturalistica, per la quale percepi-
na, generando l’esistenzialismo dal seno stesso della re significava “sentire il consumo del processo cosmico”,
fenomenologia2. Un’analoga motivazione era alla base “la realtà cosmica che preme nella percezione come biso-
della sua presa di distanza, in quegli anni, dal razionali- gno ed esigenza di soddisfazione e di lavoro”5. E anche
smo trascendentale di Banfi. Ma ora, verso la metà degli nell’Introduzione alla edizione italiana dell’Elogio della filo-
anni Cinquanta, la rilettura di Husserl avveniva in una sofia ribadiva l’affinità tra l’”organicismo” di Merleau-
nuova chiave. Al centro non era più il “disperato razio- Ponty e quello di Whitehead6. Per questa via Paci trova-
nalismo” del fondatore della fenomenologia: il fuoco va in Merleau-Ponty motivi di grande affinità col proprio
della rilettura era diventato il “mondo della vita” e la cri- pensiero, anche se non di totale identificazione.
tica dell’obiettivismo moderno condotta nelle pagine Rileggeva intensamente la Fenomenologia della percezione,
* Articolo riprodotto per gentile concessione della rivista Chiasmi international, sul cui n. 2 (2000) era originariamente comparso.
1. Cfr. A. Vigorelli, L’esistenzialismo positivo di Enzo Paci. Una biografia intellettuale (l929-l950), Milano, F.Angeli, l987. Le pagine introduttive
danno una visione d’insieme dell’opera di Paci nel contesto della filosofia italiana.
2. Cfr. E. Paci, Pensiero esistenza e valore, Milano-Messina, Principato, l940, pp. 30 sgg.
3. E. Paci, Ancora sull’esistenzialismo, Torino, Edizioni Radio Italiana, l956, pp. 5-6. Cfr. anche la Prefazione a Dall’esistenzialismo al relazionismo,
Messina-Firenze, G. D’Anna, l957, pp. 5-6, dove Paci afferma che la sua precedente concezione filosofica doveva correggersi “non solo per
quanto riguarda il concetto dell’essere, ma anche secondo un’interpretazione di Husserl aderente agli ultimi scritti del grande filosofo e per
molti aspetti assai vicina a quella di Merleau-Ponty di cui l’opera filosofica credo che abbia una notevole importanza nel pensiero contem-
poraneo”. (Si vedano nello stesso volume i saggi Prospettive relazionistiche, Senso esistenza e natura, Tempo e natura e altri. L’accendersi del
nuovo interesse di Paci per la fenomenologia si può verificare anche dai contenuti delle tesi di laurea discusse in quel periodo: una sola tesi
su Merleau-Ponty nel l956 a Pavia; una serie consistente di tesi su Husserl, Merleau-Ponty ecc. a Milano dal l959/60 (cfr. A. Civita, Bibliografia
degli scritti di E. Paci, Firenze, La Nuova Italia, l983).
4. E. Paci, Dall’esistenzialismo al relazionismo, cit., p. l5.
5. Le citazioni sono tratte da Dall’esistenzialismo al relazionismo, cit., rispettivamente alle pp. 358, 385 e 387. Il relazionismo di Paci implicava
“un certo naturalismo, una certa valutazione positiva del ‘naturale’ contro il ‘non naturale’”, e “la tendenza del processo all’armonia” (cfr.
Dall’esistenzialismo al relazionismo, cit., pp. 35-36), aspetti che Paci cercava di leggere sia in Whitehead che in Merleau-Ponty.
6. E. Paci, Introduzione a: M. Merleau-Ponty, Elogio della filosofia (a c. di E. Paci), Torino, Paravia, l958, pp. XVII-XVIII. In questo contesto Paci
constata la vicinanza tra i due pensatori nonostante che Merleau-Ponty non si riferisca mai a Whitehead. E’ interessante notare come in real-
tà Merleau-Ponty abbia manifestato notevole interesse per Whitehead nei corsi tenuti al Collège de France tra il l956 e il l960 e pubblicati in
Francia solo nel l995 (cfr. Merleau-Ponty, La natura, ed. it. a c. di M. Carbone, Milano, Cortina, l996, pp. l67-182)
GUIDO DAVIDE NERI 51

che nelle lezioni di Pavia ritornava con insistenza, maga-


ri nel contesto dell’interpretazione della critica kantiana.
Come è noto, i testi destinati a diventare canonici per la
nuova lettura di Husserl - in primo luogo la III parte della
Crisi, ma anche Idee II e altri - erano rimasti a lungo inedi-
ti. Fin dagli anni di guerra, tuttavia, pochi appassionati
avevano potuto consultarli presso gli archivi di Lovanio.
Tra questi Merleau-Ponty, che partendo dalla centralità
del discorso sul Leib era stato motivato a mettere Husserl
in contrasto con il suo idealismo, fino a sviluppare quella
versione esistenzialista della fenomenologia in cui anche
Paci “riconobbe ciò che attendeva” (per usare un’espres-
sione dell’Elogio della filosofia). Anzi, Paci radicalizzava il
punto di vista di Merleau-Ponty, arrivando ormai a con-
siderare Husserl “più esistenzialista di Heidegger”7.
Agli occhi di chi, come me, veniva dalla lettura di Idee
I e dalla notevole ma ormai stagionata interpretazione
banfiana, ne usciva un’immagine della fenomenologia
completamente trasfigurata, a tutta prima quasi irricono-
scibile, sia nel senso che alla coscienza pura husserliana
subentrava la nuova soggettività incarnata, gravata di
tutta la passività e l’opacità della percezione corporea, sia
per le suggestioni cui la versatilità culturale di Paci apri-
va in direzione della psicoanalisi, della letteratura e delle
varie forme dell’arte contemporanea. La fenomenologia
diventava veramente anche per Paci - e secondo uno stile
del tutto originale - quel movimento che “è in cammino Il periodo che si apre con la fine della seconda guerra
da molto tempo”, che i suoi discepoli “ritrovano ovun- mondiale è stato caratterizzato in filosofia, soprattutto in
que, certamente in Hegel e in Kierkegaard, ma anche in Italia e in Francia - oltre naturalmente ai paesi “oltre cor-
Marx, Nietzsche e Freud” e che “si confonde con lo sfor- tina” - da una presenza condizionante del marxismo
zo del pensiero moderno”8. nelle sue diverse correnti. Fin dagli anni di guerra Banfi
Attraverso Merleau-Ponty Paci si ricollegava indiret- aveva innestato la propria decisione per il comunismo
tamente a quella profonda svolta cui la fenomenologia sull’impianto razionalistico del suo pensiero degli anni
era andata incontro nel periodo di Friburgo, con il pas- Trenta. A Milano si era formato così un ambiente filoso-
saggio delle consegne tra Husserl e Heidegger. Benché fico-politico nettamente dominato dalla figura di Banfi e
Paci abbia sempre manifestato indisponibilità per gli svi- dal suo orientamento politico-culturale. Ma la scelta par-
luppi di quello che chiamava l’”ontologismo” heidegge- titica aveva convinto solo limitatamente i suoi più anzia-
riano, non c’è dubbio che la matrice della nuova interpre- ni allievi, che infatti ne presero prima o poi le distanze.
tazione husserliana risalisse a quell’ascendente. Paci era stato il primo e più deciso contestatore della scel-
Nonostante l’autonomia sempre maggiore che le posizio- ta comunista di Banfi, che considerava come un salto
ni di Heidegger avevano preso dal pensiero di Husserl, irrazionale e come il frutto di un ottimismo storico scar-
la continuità del movimento era stata garantita da alcuni samente credibile10. Penso che Merleau-Ponty, con la sua
allievi di entrambi, come Eugen Fink. Nel corso degli travagliata esperienza del “marxismo d’attesa” e poi con
anni Trenta Fink aveva mantenuto viva la mediazione tra la definitiva presa di distanza dal movimento negli anni
le due filosofie, verso la fine del decennio consegnando Cinquanta, dovesse riuscirgli convincente anche per
una versione del pensiero di Husserl che andava dichia- quanto si riferiva alla dialettica storica del presente. A
ratamente al di là delle sue intenzioni originarie, anche se Pavia, quando se ne parlava indugiando sotto gli antichi
sulla strada da lui tracciata. Lo stesso Merleau-Ponty portici dell’università, Paci era ancora nettamente pole-
aveva tratto il massimo frutto da questa mediazione, mico verso Banfi e il suo “salto” nel comunismo.
durante gli anni della guerra e le sue visite a Lovanio9. Contemporaneamente, tuttavia, stava maturando pro-
Il rapporto tra Paci e Merleau-Ponty mi fa pensare anche prio allora quel processo che sarebbe continuato fino allo
a un altro tema, quello della storia e di quel presente stori- sbocco sessantottesco, con un ricambio generazionale.
co che era rappresentato in tutti quegli anni dalla guerra Con il XX congresso del Partito comunista sovietico, la
fredda e dal confronto-scontro tra i due “massimi sistemi”. condanna dello stalinismo, il sorgere nei paesi socialisti di

7. E. Paci, Introduzione citata a: M. Merleau-Ponty, Elogio della filosofia , p. XI.


8. M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, Milano, Il Saggiatore, l965, p. 16, cit. da Paci nell’Introduz. cit. all’Elogio della filosofia.
9. Cfr. i testi raccolti in E. Fink, Studien zur Phaenomenologie (l930-l939).
10. Si vedano le pagine di diario di E. Paci, Colloqui con Banfi , in “Aut aut”, n. 214-215, l986, pp. 72-77 e sullo stesso numero G. D. Neri, Un
confronto teologico-politico tra Paci e Banfi.
52 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

voci di marxisti dissidenti (che Paci fu sempre pronto ad in Marx e in Husserl, alla presenza di Karel Kosik e di Jan
ascoltare), infine con Questions de méthode - testo in cui Patocka, che assolse splendidamente l’incarico di tradut-
Sartre dipingeva il marxismo come la filosofia della nostra tore dal francese al ceco per il pubblico presente).
epoca - anche in Italia si delineava una nuova atmosfera Nel Diario fenomenologico, alla data 22 luglio l957, c’è
di marxismo critico, aperto alle correnti filosofiche con- un’annotazione che si riferisce alla morte di Banfi.
temporanee. Ciò implicava anche un rinnovato coinvolgi- “Tutta la sua opera, da ora, cambia significato e sento
mento nel movimento delle classi sociali e una nuova ana- che esige una nuova valutazione.” Ora Paci se ne senti-
lisi socio-politica, spesso in contrasto con la linea cultura- va di nuovo erede, sia pure nella nuova versione cui
le tenuta fino allora dal PCI. Con il suo arrivo all’univer- marxismo e fenomenologia stavano andando incontro.
sità di Milano nel l957-58, Paci incontrava un’atmosfera Con la nuova interpretazione - nel corso degli anni
giovanile molto più dilatata e movimentata di quella che Sessanta e in parte dei Settanta - Paci riprendeva di fatto
aveva conosciuto a Pavia. Essendogli rimasto vicino per il tentativo già sperimentato da Merleau-Ponty di ripen-
qualche anno come “assistente volontario”, credo di aver sare la prassi marxista alla luce della nozione di esisten-
fatto un po’ da tramite - insieme a un altro allievo del za. Si sottraeva invece alle conclusioni critiche verso il
periodo pavese: Renato Rozzi - tra movimento comunista internazio-
Paci e alcuni ex allievi di Banfi nale e la sua filosofia della storia
(scomparso nel l957) ai quali se ne cui lo stesso Merleau-Ponty era
unirono molti nuovi. Per evitare arrivato successivamente; conclu-
elenchi che sarebbero necessaria- sioni che - bisogna aggiungere - in
mente incompleti, ne nomino uno quegli anni apparivano alla mag-
solo, che non è più tra noi e che Paci gior parte di noi troppo pessimi-
aveva subito individuato per quel- stiche. Sul terreno della politica
l’essere straordinario che era: Enrico culturale era piuttosto Sartre a
Filippini11. A lui affidò la traduzione fungere da punto di riferimento,
di un vasto corpus husserliano. anche per i rapporti che si stavano
Diversi altri allievi ben noti hanno stabilendo con un PCI che apriva
continuato, ciascuno secondo un suo spiragli di rinnovamento.
stile personale, l’impegno di Paci con Qui chiudo le mie testimonian-
la fenomenologia, completando la ze e le mie riflessioni. Voglio solo
cura delle opere husserliane e di aggiungere che negli ultimi anni
quelle di Merleau-Ponty12. In quegli Paci, messo di fronte alle rinnova-
anni si è formata intorno a Paci (e - te prove di chiusura e irriformabi-
mi viene da aggiungere - intorno a lità del movimento comunista
Husserl e Merleau-Ponty) una internazionale e alla stessa dege-
comunità di giovani fenomenologi (i nerazione del movimento sessan-
“giovani amici”milanesi ricordati nel tottesco in Italia, a cui aveva preso
Diario fenomenologico) che trovavano i parte con grande entusiasmo e
loro interlocutori ideali anche in non senza una certa ingenuità
Marx, nel giovane Lukács e in Sartre. “filosofica”, si sarà forse doman-
Per parte propria Paci, sempre dato se la sottovalutazione (alme-
estremamente ricettivo all’atmosfera no in linea di fatto) del Merleau-
Maurice Merleau-Ponty (1908-1961)
dei tempi, ricuperava il suo Marx, Ponty delle Avventure della dialet-
filosofo e teologo alla rovescia, quello del feticismo delle tica, della sua diagnosi impietosa del movimento comu-
merci, cercando le linee di contatto con Storia e coscienza nista e della sua concezione della storia non fosse stato
di classe e - come dirò subito - con i tentativi (poi ridimen- un passo troppo affrettato. Come Merleau-Ponty aveva
sionati) di Merleau-Ponty all’epoca di Senso e non senso. anticipato nella Prefazione a Segni, l’epoca storica era sul
(Tra le mie testimonanze che riguardano questo nuovo punto di cambiare e di fatto il cambiamento si sarebbe
coinvolgimento di Paci, ricordo di avere assistito a Praga, fatto sentire già con la primavera di Praga e il suo affos-
nell’Istituto di filosofia presso il quale avevo soggiornato samento, con la “Solidarnosz” polacca e con tutto quel-
per un anno, alla sua conferenza su Il significato dell’uomo lo che ne è seguito.
11. Filippini, tra i primi a “ricordarsi” di Merleau-Ponty in Italia in un suo articolo pubblicato su “Repubblica” il 20.5.l981, ha lasciato anche
un gustoso Ricordo di Enzo Paci, in “Nuovi Argomenti”, luglio-settembre l986, pp. 114-124.
12. Nel presente contesto non posso non nominare almeno Andrea Bonomi, per i suoi scritti su Merleau-Ponty e la cura delle sue opere.

GUIDO DAVIDE NERI (1936-2001), fenomenologo, estetologo e filosofo della storia, è stato allievo di Antonio Banfi ed Enzo
Paci. Ha insegnato presso le università di Milano e Verona: i suoi studi su Merleau-Ponty (del quale ha tradotto La struttu-
ra del comportamento), su Panofsky, Bloch e Patocka si collocano tra i più significativi della produzione italiana. Menzioniamo:
Prassi e conoscenza (Feltrinelli, Milano 1966), Aporie della realizzazione. Filosofia e ideologia nel socialismo reale (Feltrinelli, Milano
1980), Crisi e costruzione della storia. Sviluppi del pensiero di A. Banfi (Libreria Editrice Universitaria, Verona 1984).
ALFREDO MARINI 53

ENZO PACI, LA FENOMENOLOGIA


E IL PENSIERO POLITICO

Intervista ad Alfredo Marini

a cura di Massimiliano Cappuccio, Alessandro Sardi, Erasmo Silvio Storace

[Chora] Vorremmo chiederLe di parlare degli inte- a Croce o a Gentile, Banfi offriva una filosofia dello spiri-
ressi di Paci verso la fenomenologia, anche in relazione to da un lato più “critica” ma dall’altro anche più “irra-
all’esperienza umana del Suo incontro con il filosofo di zionalistica”. Paci e la scuola di Banfi produssero filosofi
Monterado. Quali motivi spinsero Enzo Paci ad avvici- assai brillanti, aperti all’esperienza e alla sua fenomeno-
narsi al metodo fenomenologico e al progetto husser- logia (e non amanti di un’astratta “sistematicità”, ma
liano di fondazione di una scienza trascendentale dei neppure di un mistico “concretismo”) del tutto parago-
vissuti di coscienza? Quali istanze filosofiche e quale nabili a filosofi come potevano essere, nella scuole ideali-
missione intellettuale spinsero Paci a prefiggersi di stiche meridionali, gli Ugo Spirito o i Raffaello Franchini.
importare la fenomenologia in Italia, mettendola a con- Paci fu sempre molto interessato al fenomeno della deca-
fronto con correnti come il neo-idealismo e lo storici- dentismo europeo, ma non fu mai incline a celebrare la
smo, che all’epoca erano nettamente più influenti? decadenza della ragione. Era guidato da un sicuro istin-
to razionale (era uno spiritualista moderato) e mentre
[Marini] Risponderò liberamente seguendo un filo demoliva la presunzione calcificata di un razionalismo
autobiografico della memoria, sperando di riuscire a dogmatico, indicando un diritto originario delle passioni,
rispondere direttamente o indirettamente alle vostre bel- del sentimento e della vitalità, tendeva a definire uno
lissime domande, che meriterebbero di esser sviluppate spazio e un tenore concettuale della “razionalità” più cri-
in modo sistematico. tico ma anche più concreto, più rigoroso ma anche più
Lei si chiede quali motivi abbiano spinto Paci ad ampio della razionalità neokantiana. Anche in sede ideo-
approfondire lo studio della fenomenologia husserliana. logica e politica Paci, contrariamente alla scelta di Banfi a
Un motivo di fondo, credo, che coincideva con la sua fine guerra, non avrebbe mai abbracciato un’idea di pras-
stessa vita di filosofo. Paci era profondamente impegna- si (e di rovesciamento della prassi) come “presente asso-
to a comprendere la filosofia contemporanea e aveva una luto”, eroico e rivoluzionario perno del mondo, e meno
percezione vivissima della presenza e attualità della che mai avrebbe affidato questa mistica vocazione alla
matrice greca (particolarmente di quella platonica) del burocrazia dello stalinismo (una burocrazia nella quale
pensiero occidentale. La sua conoscenza della filosofia Lukacs – acquistato il suo “biglietto d’ingresso” al ban-
tedesca, e della fenomenologia in particolare, fu mediata chetto della nomenklatura sovietica <così si esprime con
da maestri importanti, come l’amato Antonio Banfi e la estetizzante cinismo nella prefazione alla tarda ristampa
rispettata Sofia Vanni Rovighi. Del resto, al seguito della di Storia e coscienza di classe> – aveva identificato “quella
filosofia tedesca postkantiana, era impossibile sfuggire ragione”, la cui “distruzione” aveva poi lamentato nel
alla suggestione di esplorare le radici stesse della nostra libro della guerra fredda La distruzione della ragione).
cultura. Naturalmente il Banfi che Paci sempre amò non Paci, che conosceva Dilthey e Weber, ritenne utile indi-
è stato quello che nell’età d’oro di Achille Starace distrae- care nella filosofia dello spirito di Croce una difficoltà teo-
va i giovani inquieti della “borghesia milanese anni ‘30” rica centrale che non demoliva Croce ma lo arricchiva.
dal fascismo giovanilista, diportivo e dopolavoristico per Non trovò – viceversa! – che valesse la pena di imporre
coltivare la maliconia e la solitudine di una romantica alla “cosmicità” della categorie gentiliane una maggiore
disperazione individuale, ma il Banfi dei Principi di una definizione e lasciò questa “via di ricerca”, per così dire,
teoria della ragione: una sintesi in grande stile di quella che al suo destino, preferendo estrarre elementi di razionalità
era stata la filosofia postkantiana di fine-secolo, la cui da scrittori e artisti (come Marcel Proust, Thomas Mann o
impronta “razionalista” liberava intorno a sé l’interesse e Piet Mondrian) che introdurne di nuovi nei filosofi.
il pathos per una moralità, una pedagogia, un’estetica e Perché scoprì Husserl? Ma perché era negli anni ’50
una religiosità problematicamente “autonome”. Rispetto un trend vistosissimo della filosofia europea, collegato
54 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

alla edizione delle sue opere che partiva dalla sia pure tita più tardi dai cosiddetti “franchi tiratori” che votava-
discussa filologia di Lovanio. Banfi aveva letto Husserl no in segreto contro la propria parte politica). Anche se i
col paraocchi marburghese e, – come Geymonat negli comunisti nel movimento erano pochi, eravamo tutti
anni Trenta aveva fatto per ragioni opposte (logiciste e “simpatizzanti” del Partito Comunista Italiano di osser-
non trascendentaliste) –, aveva frainteso come “intuizio- vanza sovietica, l’unico che, non avendo per la ferrea
nistico” il metodo e il concetto della visione d’essenza. legge di Yalta alcuna possibilità di andare legalmente al
Banfi aveva letto Husserl come ancora Sartre continuerà governo in Italia e per altro verso, coltivando un’inter-
a intenderlo vent’anni dopo, negli ultimi capitoli di pretazione non formale ma materiale della democrazia,
L’Essere e il nulla. Paci lo comprende meglio di Banfi e di sapeva di non avere interesse al consolidamento “demo-
Sartre, perché meglio di entrambi si distacca dal formali- cratico-borghese” di questa classica istituzione anglo-
smo kantiano e capisce a fondo il senso materialista e l’e- europea. Vi partecipavano una grande varietà di perso-
stensione trascendentalista della visione d’essenza naggi specialmente ex-azionisti, profughi di svariate
(Wesensschau). Ma neppure Paci riesce a cogliere il senso micro-scissioni, più o meno pilotate, del Partito Socialista
della riduzione fenomenologica, che concepiva all’incirca Italiano e distribuiti in tutta Italia (si vedevano spesso il
alla maniera (al secolo, la meno peggiore) di Merleau- suo presidente, Ferruccio Parri, e uomini come Leopoldo
Ponty, come un presa di distanza critica, mentre era in Piccardi o Luciano Codignola e altre personalità di gran-
Husserl un residuo drammaticamente ineliminabile del de notorietà e prestigio nella Milano del dopoguerra, sia
metodologismo scientifico moderno e neokantiano. Io per le loro posizioni che per la loro opera professionale,
penso, benché possa sembrare paradossale date le sue come Paci, Camera, Giacomo Noventa, Riccardo Bauer
prese di posizione esplicite contro Husserl (che conside- (che operava nell’antica Istituzione socialista milanese
ra uno psicologo), che l’unico ad aver meditato a fondo della “Società Umanitaria”), Leo Valiani, Piero Caleffi
questo punto husserliano sia stato proprio Heidegger. (l’autore di Si fa presto a dire fame).
Che non a caso Paci considerava invece un antropologo Io avevo sedici anni e frequentavo il Liceo “Parini”, gli
della necessità, del destino e della morte. Ma ahimé, di altri erano tutti più più anziani, come Merzagora e
Heidegger, Paci aveva conosciuto a malapena Essere e Morganti, che era un ghislieriano studente di ingegneria.
tempo, come una falsificazione della fenomenologia Coi miei coetanei Diego Lanza e Mario Vegetti (liceali del
(come del resto anche Husserl lo aveva giudicato) e riten- “Berchet”), e spesso coi consigli del più esperto Franco
go che non avesse percepito in modo adeguato neppure Morganti portavamo avanti in qualche modo il “gruppo
il senso della differenza ontologica. Husserl faceva piaz- giovanile” di UP. Vi fu anche, nell’estate del 1954, un
za pulita con semplice gesto geniale (che si espresse però corso residenziale di informazione e discussione politica
in un lavoro da certosino durato lunghi decenni!) di tutte con una trentina di partecipanti da tutta Italia (da
le antinomie “costitutive” della filosofia postkantiana, da Genova, Costantini; da Padova, Pincin, da Palermo
quelle dialettiche, a quelle analitiche, a quelle metodolo- Modica) che si tenne a Brunate l’estate dell’anno del
giche in senso stretto. Husserl era un profeta ebraico e la grande Congresso Internazionale di Ginevra (ricordo il
sua parola apriva un’epoca nuova: ma quello che non si titolo che spuntava dalla tasca della giacca di Parri, quan-
capiva, come non si capisce ancor’oggi, è la dimensione do sbucò fuori dalla Funicolare e lo accompagnammo
possibile di questa nuova epoca (anche i primi discepoli alla sede del corso, curiosi di cosa pensasse della situa-
del Cristo si aspettavano o che “tornasse” in giornata, o zione internazionale e della pace.
che gli si ritirasse la licenza di padreterno!). Ho frequentato quel “circolo”, credo fino alla sua
Ho incontrato Paci in sede politica. In via della Cerva chiusura. Per qualche anno della mia vita, e durante il
25 (un’antica via che, sopravvissuta agli sventramenti ginnasio e il liceo, io ero quasi ogni sera qui, in centro, e
fascisti, congiunge via Mascagni e Largo Augusto) c’era giravo dall’una all’altra di queste sedi di pubblico dibat-
un vasto e luminoso seminterrato in cui aveva la propria tito: dalla sede dei mazziniani del prof. Tramarollo, che
sede “Unità Popolare” e Paci ne faceva parte. Questo organizzava anche dei concorsi con un tema da svolgere
movimento d’opinione era nato nel 1953, per appoggiare tra i giovani delle scuole milanesi; a quella dei francesca-
l’opposizione parlamentare di sinistra, socialista e comu- ni (la Rotonda dei Pellegrini dove ascoltai un interessan-
nista (o, come per poco tempo ancora si dirà, “socialco- te ciclo sulla teologia dopo Kierkegaard); al Circolo
munista”) all’ultimo governo De Gasperi, nella sua cam- Filologico (di via Filodrammatici); alla Casa della Cultura
pagna contro la proposta di istituire un premio di mag- di via Mascagni (dove parlava tutta la cultura politica
gioranza capace di garantire ai futuri governi italiani una “antifascista” e dove ascoltai alcuni interventi memorabi-
maggioranza sufficiente a governare per una legislatura li di Antonio Banfi sulla filosofia tedesca del primo
(evitando frequenti elezioni anticipate o il consolidarsi di Novecento; di Norberto Bobbio sul “rapporto tra libera-
prassi parlamentari di sottogoverno, come quella garan- lismo, democrazia, socialismo e comunismo”; di Enzo
ALFREDO MARINI 55

Paci e Cesare Cases sul nuovo libro


di György Lukàcs, La distruzione
della ragione che Paci giudicò “un
brutto libro” (ancor più memorabile
la sua conferenza magistrale su
Thomas Mann in contradditorio con
un professore dell’Italia centrale di
cui non ricordo il nome); a sedi più
laiche e più politiciennes dove però
si discuteva di teoria, di storia e di
attualità politica e culturale (ricordo
ancora un intervento del giovane
Paolo Calzini (oggi esperto di politi-
ca russa) allora, credo, repubblicano
in difesa della democrazia: egli defi-
nì appassionatamente comunque pre-
feribile “questa difficile democrazia”
(l’accento sulla parola “difficile” mi
colpì molto, e confesso che mi senti-
vo assai fiero di essere d’accordo su
una cosa così… difficile!).
Paci lo ricordo qualche anno più
tardi con le persone che l’hanno cono-
sciuto, come Fulvio Papi, il quale ha
sviluppato in questi ultimi vent’anni,
anche con Sini, una moderna conce-
zione filosofica della “prassi”. Già Dal
Pra aveva individuato molto bene
queste tematiche (nel suo stradimen-
ticato “trascendentalismo della pras-
si” che, da quell’uomo di spirito che
era, non esibì mai e lasciò ignorare
alla pedestre amministrazione acca-
demica alla quale, peraltro, si era
dedicato): neppure lui si riferiva certo
a Heidegger ma, se mai, al giovane 1867 – Marx ed Engels a Londra
Marx. Nessuno aveva la minima idea di quella rivoluzio- mocratico” (frasi queste – intendiamoci – che hanno
naria lettura fenomenologica heideggeriana di Aristotele, nome e cognome!). Tale era, presumibilmente, lo stato
che aveva colpito il mondo universitario tedesco degli anni d’animo della media di coloro che andavano ad ascolta-
‘20/‘30, né si capiva nulla della sua descrizione della “mon- re Paci alla Casa della Cultura. Io ero allora molto “leni-
dità”, come suonava la Weltlichkeit nella traduzione appe- nista” e Paci mi guardava sgomento quando parlavo di
na apparsa di Sein und Zeit ad opera di Pietro Chiodi. E politica con sentimenti socialisti e argomenti leninisti, e
ancora lontani erano i tempi della tedesca forse capiva che mi aspettavo da lui un nuovo linguag-
“Rehabilitierung” della filosofia pratica. gio. Lì Paci parlava a un pubblico che era orientato non
A dirla franca, se Remo Cantoni dovette stare attento solo in senso anti-fascista e magari marxista, ma soprat-
a come parlava (dopo la sua presa di posizione su tutto in senso comunista. E con questo termine intendo
Vittorini, il distacco da Banfi e la cessazione della rivista riferirmi all’“egemonismo” gramsciano che allora diven-
“Studi Filosofici”), così, e con una punta di maggiore tava (con la pubblicazione, sia pure purgata, dei Quaderni
astio, si era creato una sorta di disprezzo nei riguardi di del carcere) linguaggio corrente. Il senso autentico di
Paci, che era considerato “giallo”, perché comunista non “antifascismo”, “libertà”, “democrazia”, “socialdemocra-
era mai stato e quel termine era tradizionalmente riserva- zia”, “socialismo”, “verità”, “giustizia” e “moralità” era
to ai “rifomisti” e ai “socialisti (specialmente in riferimen- autentico solo se si dimostrava o almeno si suggeriva che
to alle posizioni sindacali) o anche uno “sporco socialde- esso si “inverasse” (termine idealistico d’uso già più che
56 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

secolare) come “propriamente” comunista. Il giudizio na” attendevano l’“ora X” e magari, qui da noi, gli “anni
politico-ideologico (in senso tanto più volgare, data la di piombo” (una “radicalità” quest’ultima che richiama
semplificazione artificosa delle alternative italiane), gra- come parente stretta quella del camerata Richard di
vava dunque in quegli anni sull’attività dell’insegnamen- Giarabub: “camerata, non voglio pane / voglio il piombo
to in maniera molto netta. del mio moschetto…”). Altrimenti non si spiegherebbe
Se penso a Paci e alla sua parabola, essa finisce con e perché solo e proprio il crollo del muro di Berlino, abbia
dentro la “contestazione” studentesca degli anni ‘60, subi- reso vergognosa anche la memoria e il nome di quel pas-
to sepolta dagli anni di piombo. Nei suoi ultimi anni Paci sato e di quelle “passioni”. Questa difficoltà storica, e
tentava, con La funzione delle scienze e il significato dell’uomo, incarnata nel senso comune, ad ammettere i fatti e a rico-
di costruire un “marxismo occidentale”, allora si diceva noscere la verità è certo legata, in Italia, a una mitologia
così perché era ovvio che il marxismo o era “diamat” o dell’impossibile che non ha eguali nella storia e che ha
non era. Per questo lato, egli si affiancava, anche se in tolto agli Italiani il gusto della fede spontanea e del buon
modo più positivo e costruttivo, alle esperienze ormai senso: dalla paradossalità del credo cattolico (con l’esteti-
classiche, ma anche classicamente fallimentari, della smo della religione bella), al rovesciamento autoritario e
Scuola di Parigi col suo esistenzialismo borghese e marxi- deduttivo del giure romano (con la barbarie aggiuntiva
smo antiborghese che si esprimeva anche come collatera- delle leggi ad hoc), alla cancellazione radicale del riscontro
lismo (o “sputnikismo”!) insieme anti- e filo-sovietizzante. ebraico dovuta alla secolare e capillare assimilazione
E qui Paci aveva trovato il suo corrispondente più affine romana (sconosciuta in Germania, in Polonia, in Russia).
nella posizione di Merleau-Ponty, di cui condivideva 1) la
critica dell’“ultrabolscevismo” sartiano (più nevrotica- Enzo Paci Le propose di realizzare una traduzione in
mente antiborghese che sinceramente socialista) e, come italiano de La fenomenologia della coscienza interna del
ho accennato, anche 2) l’interpretazione dell’importo non tempo. Nel volume che ospita questa traduzione (pub-
radicale ma moderato dell’epoché-riduzione di Husserl! blicato da Franco Angeli) sono compendiati anche molti
Queste “filosofie” erano il “grido” di non poter essere e altri testi husserliani sul tema della temporalità, che
di non poter pensare ed erano appena scusabili nel Paesi coprono complessivamente un arco molto lungo della
dell’Est (nella Varsavia di Adam Schaff e Leszek ricerca del padre della fenomenologia. Quale rilevanza
Kolakowski, nella Praga di Kosik, nella Zagabria della particolare assunse questo tema per Paci, e come venne
rivista “Praxis”), dove costituivano da lui sviluppato? Intendiamo
un esercizio sicuramente audace. riferirci principalmente alla
Come disse con esattezza Sartre, e caratterizzazione di irreversibili-
anche Banfi, nonostante il suo Uomo tà data da Paci alla temporalità, e
copernicano, lo sapeva benissimo, che forse consentiva a quest’ulti-
queste “filosofie” erano operazioni ma di essere tematizzata in chia-
“ideologiche”, meri rompicapo ve esistenzialistica.
intellettuali, all’interno di un ampio,
epocale pregiudizio “marxista”. Paci trovò nella fenomenolo-
Quello che non si voleva ammette- gia, nell’esistenzialismo e nello
re allora, e in Europa neppure ora, era storicismo marxista tre principa-
ed è che l’altra metà del mondo occi- li varianti di un sentimento pro-
dentale, quella anglosassone, quella fondo della sua personalità, che
che aveva inventato il capitalismo, potremmo chiamare una nostal-
era tranquillamente immune da tale gia schilleriana di incarnazione
“epocale” pregiudizio teologico che della filosofia e di illuminazione
dall’Uno plotiniano, all’Idea hegelia- della carne, secondo lo schema
na era approdato alla Merce marxia- classico e hölderliniano dell’eros
na e che, quindi, tutto questo lavorìo e della dialettica platonica, ma
attendeva soltanto di essere spazzato col presente segnato dalla disso-
via non da un approfondimento di nanza diltheyana, o dalla sigla
pensiero, e comunque non da un’e- kierkegaardiana dell’aut aut. Il
sperienza di libertà (perché credeva- suo tema permanente dell’irre-
mo di essere in cima al mondo!) ma versibilità del tempo ha il dop-
da una variante “tecnica”: i carri pio volto dell’entropia e dell’in-
armati di Breshev che da “oltre corti- tenzionalità, che insieme descri-
ALFREDO MARINI 57

chiusura civile e morale, in un eroismo mediati-


co e posticcio, tenne alcuni corsi di lezioni (come
quello sullo spinozismo romantico) che lasciaro-
no il segno. E bisogna rileggere sul suo insegna-
mento degli anni ’30, il saggio di Guido Davide
Neri, suo ultimo assistente a Milano, oltre
all’ampio studio di Filvio Papi, che è proprio
una storia di quel gruppo (Paci, Cantoni, Preti,
Formaggio, Anceschi, Faggin e molti altri). Fu
una irradiazione culturale notevole. Banfi aveva
una formazione kantiana ma anche di filosofia
della religione. Portò in Italia un’impostazione
totalmente diversa rispetto a quella dell’ideali-
smo di Croce e Gentile. Quindi era una voce
abbastanza atipica. Fu collega di Martinetti, che
fondò qui quest’istituto ed era un neokantiamo
anche lui, una persona di grande rilievo morale,
teneva lezioni serali per chi usciva dal lavoro ed
era molto seguito da operai e impiegati che pas-
savano e lo preferivano alla radio del regime.
Paci cominciò con una tesi sul Parmenide di
Platone che fu una ricostruzione dell’ontologia
platonica e del suo “necessario parricidio” nei
confronti del vecchio maestro di Magna Grecia:
partiva con problemi e discussioni critiche che
erano all’ordine del giorno negli anni ‘20 e ’30 (il
In alto, da sinistra: E. Renzi, G. D. Neri, A. Marini
testo di riferimento sui dialoghi platonici tardi è
In basso, da sinistra: G. Piana, A. Vigorelli
(Foto scattata nell’Archivio Paci)
quello di J. Stenzel), ma il tema è quello della
mobilitazione delle idee, della diairesis e
vono il senso positivo della finitudine umana. Quella symplokè eidòn, e della dialettica dei misti (una tesi giu-
finitudine che ci rende amica e teoreticamente traspa- dicata molto male da Adolfo Levi). Paci era un grande
rente sia la democrazia formale di Eschilo che ammette professore anche perché era in grado di mostrare collega-
Atena nell’assemblea, sia la carità cristiana di Paolo che menti inaspettati tra cose tra loro anche molto diverse:
si magnifica nell’attesa della parousia. un’inclinazione a collegamenti culturali di ampio respiro
Dal punto di vista teorico della filosofia politica Paci si appresa alla scuola di Banfi, al quale lo accomunò una
affiancava anche, e veniva facilmente accomunato, alla concezione della vita della cultura come qualcosa di
posizione di Sartre: anche lui aveva il problema di emen- armonico, organico, poliedrico e libero. Una concezione
dare lo schema organicista o di riformare la psicoanalisi della filosofia della cultura capace di dominare e coordi-
“stalinista” di Freud (confinante con l’uso dell’elettros- nare campi fenomenologici diversi e insperati, una sorta
hock e simili) in direzione di un tipo di psicoanalisi più di vocazione regia di dominio e di aperta totalizzazione.
umana, più spiritualistica (per es. quella di C. G. Jung) e Rilevante in questo senso l’idea di enciclopedia che con-
quindi moderata; e così anche di riformare il marxismo e cepì sotto forma fenomenologica, ma per questo bisogna
in particolare il materialismo dialettico tecnico e dittato- aspettare il suo periodo husserliano: compie allora una
riale di derivazione leninista (diamat) in direzione di un serie di interessanti riflessioni teoriche che nei primi anni
marxismo di tipo occidentale “dal volto umano”. Dal del dopoguerra si depositano in alcuni libri che furono
punto di vista teoretico in senso stretto, invece, Paci viene fondamentali per la mia generazione come ad esempio
fuori dalla grande lezione di Antonio Banfi versione anni Esistenzialismo e storicismo, o il saggio su Vico Ingens sylva
‘20/ ’30 e dalla meditazione dell’esistenzialismo e della che mise in un rapporto essenziale posizioni esistenziali-
storicismo europeo; e se “meditazione” significa accetta- stiche, marxiste e idealistiche, che erano quelle che anda-
zione e libero approfondimento, non distruzione polemi- vano per la maggiore.
ca da posizioni preconcette, Paci fu uno, certo il più gran- Lui lo fece rifacendosi all’orizzonte italiano e alla tra-
de, di quell’ampio gruppo di allievi che si formò allora dizione crociana, che riprende, la critica e la sfronda di
sotto il magistero milanese di Banfi che in quell’epoca di una serie di aspetti, con riferimento a Vico, da una serie
58 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

di aspetti che lui preferisce chiamare dogmatici, che sono chiudeva la dialettica degli opposti dentro ciascuno dei
l’eredità della critica a Croce compiuta da Banfi, dal distinti, i quali avevano poi tra loro anche una relazione
primo Banfi, quello dei Principî di una teoria della ragione, dialettica, che non era quella violenta degli opposti, già
che risaliva a molto prima della guerra. Dopo la guerra intimamente domati, ma di una dialetticità “diversa” e
Banfi diventa marxista in senso proprio e anche senatore superiore, quella appunto debole e fungibile dei distinti:
del Pci e non è più seguito nel suo marxismo rigido, vici- una sorta di cooriginarietà che li avvicinava ai trascen-
no a quello stalinista luckaciano da nessuno degli allievi. dentali scolastici. Circa la circolarità delle categorie dello
Ad esempio, Giulio Preti che pure fu comunista e neopo- spirito, quella di Croce non era quella di Gentile, che
sitivista (ma chiunque legga i suoi studi sull’etica empiri- restava hegeliano e che Banfi considerava teoreticamente
stica vi sentirà il segno fortissimo di una formazione più rigoroso di Croce. Su questo punto sia Banfi che Paci
umanistica di prima qualità) seguì una strada completa- criticarono Croce: ma la critica di Paci era, almeno vir-
mente diversa. tualmente, di segno opposto rispetto a quella banfiana.
In Esistenzialismo e storicismo Paci riscopriva che nelle Non si trattava di difendere il numero tre o il numero
quattro categorie dello spirito crociano, la quarta, quella quattro, ma di capire il valore delle distinzioni crociane,
dell’economico o del vitale (di cui Croce andava fiero che non era puramente convenzionale, mentre la distin-
perché ogni sedia ha quattro gambe!) non era una catego- zione tra dialettica degli opposti e dialettica dei distinti
ria come le altre ma, come insegna la struttura delle era la base stessa di una concezione liberale (e aggiunge-
forme di produzione, in Marx o l’esistenza negli esisten- rei volentieri: democratica) della storia. Personalmente,
zialisti, era qualcosa di “più” drammatico, quasi una considero i concetti di ordine, che non sono concetti teo-
indebita ipostasi della presenza della dialettica dei con- retici, un fatto metodologico la cui dignità non dev’esse-
trari in ogni forma distinta dello spirito. Anche nella filo- re considerata una défaillance teoretica.
sofia dello spirito di Croce c’era questa drammaticità, Fu da Paci che ricevetti l’incarico di tradurre la
riscontrabile nella dialettica degli opposti, ma Croce Fenomenologia della coscienza interna del tempo. Che verrà
pubblicata dieci anni dopo da Mario Dal Pra nella grande
collana de La Nuova Italia, che la RCS ha poi mandato al
macero. Fece allora il giro del mondo una battuta di
Umberto Eco, persona spiritosa che si chiedeva, in sostan-
za, chi glie lo fa fare? (“Perché Paci si dà tanto da fare per
difendere la causa di Husserl?”). Ma in effetti fu Paci a
scoprire Husserl in Italia. Tempo e verità è del ‘61, Tempo e
relazione del ‘54. “Relazionismo” è stata l’ultima parola
prima che Paci, riempito di spirito fenomenologico, deci-
desse più impegnativi sviluppi in partibus infidelium
(voleva dimostrare ai cosiddetti marxisti quanto la feno-
menologia potesse “giovare” anche a loro...). Finalità non
propriamente filosofica, gli esiti (Funzione delle scienze e
significato dell’uomo) non furono molto brillanti. Dico i
“cosiddetti” marxisti per ragioni ovvie: da decenni in
Italia nessuno sembrò ricordarsi che, se come sognatore
aveva sognato il fantasma del comunismo, come pensato-
re e teorico Marx aveva indagato la realtà del capitalismo
e del liberalismo. In Engels avevano coabitato un pensie-
ro dialettico burocratico-speculativo e uno spirito social-
utopistico: due cose estranee a Marx. Non parliamo di
Lenin e della Terza internazionale: tutti i socialisti hanno
sempre saputo che se Carlo Marx, vissuto per metà della
sua vita al British Museum, fosse stato vivo nella Russia
sovietica, il suo posto sarebbe stato in Siberia.

Enzo Paci intrattenne un dialogo diretto, lungo e


intenso con i grandi pensatori della tradizione fenome-
nologica francese, e in particolare con Maurice
Edmund Husserl Merleau-Ponty e con Jean-Paul Sartre. In particolare è a
ALFREDO MARINI 59

quest’ultimo che talvolta viene paragonata la sua figu-


ra di filosofo della cultura, soprattutto per il suo impe-
gno operato nella direzione di un avvicinamento della
fenomenologia e dell’esistenzialismo ai temi dell’im-
pegno politico e alle dottrine marxiste. Vorremmo chie-
derle di approfondire per noi il legame che univa Paci
a questa tradizione sartriana, ma anche la distanza che
lo separava da essa, eventualmente raccontandoci quel-
lo che sa sul rapporto personale che esisteva tra il filo-
sofo teoretico di Milano e il maitre à penser Parigino. E
inoltre come possiamo collocare rispetto ad una analo-
ga ricerca sartriana, la trattazione rivolta da Paci ai temi
del nulla, del rapporto essere-esistere, dell’esserci come
condizione antropologica fondamentale?

L’esistenzialismo, schematizzando, è una visione del


mondo fondata sulla constatazione di qualcosa di irriduci-
bile, che è l’esistenza rispetto alle relazioni: qualcosa di
chiuso e compatto e irrazionale, irriducibile come l’irrever-
sibilità del tempo, che non si può recuperare. Ne deriva
una situazione di degradazione dell’energia che Paci chia-
mava entropica e riconduceva al secondo principio della
termodinamica. Paci utilizzava questi aspetti ideali o di
ideazione globale contenuti in teoremi scientifici positivi
precisi, trasformandoli in una sorta di segnaletica che ser-
viva sulla strada di una meditazione da percorrere. Martin Heidegger
Ora, la dissoluzione di questo nucleo esistenziale in un
insieme di relazioni, come dice il titolo del libro prima In Paci vi era una sorta di scissione tra il momento esi-
citato, fu un momento di passaggio. Husserl, l’avevano stenziale, che poteva essere marxisticamente sociale ed
studiato soltanto Banfi e Sofia Vanni Rovighi, una profes- esistenzialisticamente individuale. Questa situazione
soressa molto brava della Cattolica, una filosofa originale, dicotomica non era possibile in Husserl, che raccoglieva
all’avanguardia culturalmente e di grande lucidità. Paci tutto il suo dualismo sulla soglia dell’inaugurazione
scoprì Husserl perché Husserl non era ancora stato sco- metodologica. Questo salto, non c’è in Paci che, come
perto, perché la maniera in cui era stato letto da Banfi era Merleau Ponty, Fink, Landgrebe, Gadamer, Jonas,
una interpretazione neokantiana e quella della Vanni Patocka e altri fenomenologi della terza gnerazione euro-
Rovighi era un rendiconto circa l’origine scolastica di pea (dopo quella di Lask, Scheler e Banfi e quella di
alcuni concetti fenomenologici. Banfi non comprese l’a- Heidegger, Levinas e Ricoeur), scopre la fenomenologia
spetto più originale della fenomenologia husserliana. Per a prescindere dall’epoché fenomenologica considerata
Banfi, nella sua visione teorica, la questione era la forma- come una semplice raccomandazione circa la moralità
lità kantiana, un residuo di formalismo kantiano, rispetto della scienza. C’è invece un relazionismo che, senza
al quale restava una sorta di abisso nei confronti della diventare realista, esprimeva il bisogno di uscire dall’esi-
dimensione emotiva, dell’esperienza sensibile, dell’inte- stenzialismo, ma, senza diventare mai un idealismo.
riorità esistenziale; morale o religiosa che fosse. Anche per Paci non poteva fermarsi ad una posizione così indefi-
questo, Banfi fu più esistenzialista e marxista che ideali- nita. c’era questa tendenza di Paci a rifarsi a quello che
sta: per lui la dimensione della ragione, ridotta a una aspi- aveva scritto prima, come a voler segnare una strada che
razione infinita, rimaneva sempre qualcosa di piuttosto portasse alla scoperta di qualche cosa... e questo fu proprio
astratto. Ma fu anche un teorico della religione capace di la riscoperta di Husserl! E “scoperta” vuol dire che lo lesse,
coniugare aspetti pedagogici e religiosi molto interessan- davvero, per la prima volta in relazione ad altri pensatori
ti che provenivano dalla tedesca “filosofia della vita”, da e commentatori di Husserl: dalla Fenomenologia della perce-
Simmel e da Eucken. A mio avviso, le sue “conversioni”, zione di Merleau-Ponty, all’Essere e il nulla di Sartre, anche
non solo nella religione ma anche nella politica, non furo- se quest’ultimo, ripeto, ebbe come altri una comprensione
no cedimenti ideologici ma oscillazioni che la sua tarda e non filologica ma intuitiva e criticamente irresponsabile di
decaduta razionalità neokantiana non sapeva governare. Husserl, che considerava un idealista. Queste sono le stes-
60 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

za, la novità, sul piano teorico, della fenomenologia, ma


se posizioni dell’esistenzialismo francese del dopoguerra.
via via che progrediva nella comprensione, credette di
Anche loro considerano Husserl un idealista, che va letto
essersi sempre più allontanato da Husserl e di aver trova-
sul problema della comunicazione, della solitudine, del
to se stesso. Per ragioni generazionali, Paci non può cono-
silenzio, tutti problemi legati all’esistenza che, però, non
scere Husserl, morto quando lui si laureava a Milano con
verrebbero mai risolti dall’idealismo di Husserl. Banfi non
Banfi. Paci dovette accontentarsi del contatto con gli ine-
fu all’altezza di individuare la specificità di Husserl perché
diti, ma gli bastò: e, naturalmente, assaggiato il frutto
considerò kantianamente l’intuitività di Husserl come un
della fenomenologia (che forse era davvero il segreto di
difetto teorico, una carenza teorica. Questo era una tipico
pregiudizio neokantiano che permaneva. tutta la filosofia moderna) per lui è una rivoluzione.
Questo è un po’ lo stato di intempestività in cui si trova
Quando invece Paci scopre Husserl, scopre che si trat-
Paci in quella fase di approccio. Van Breda, invitato da
tava di tutt’altra cosa, ossia: scopre l’importanza di
Paci, fece una serie di conferenze a Pavia credo nel 1958 e
Husserl, la sua lettura lo aiuta a mandare in soffitta tutta
lo conobbi anch’io allora. La cosa sorprendente è che que-
la filosofia neokantiana, esistenzialista, marxista e ideali-
sta novità ha cambiato il modo di pensare di quasi tutti i
sta. La scoperta di Husserl diede a Paci un nuovo modo
filosofi europei dalla prima metà del 900, i quali anche a
per rileggere anche Platone e la propria tesi sul Parmenide
distanza di trent’anni, scoprono effettivamente cosa
di Platone, e i classici. Insomma una “malattia” (ed Eco
volesse dire la fenomenologia husserliana: una filosofia
non aveva intuito male la verità psicologica del collega
descrittiva della cosa stessa dove le prove le trovi dentro
milanese): la stessa che aveva preso anche Heidegger, il
di te. Se hai la fortuna di avere un fenomenologo, che ha
quale non capì Husserl pur leggendolo finché non lo
già fatto quest’esperienza, capisci alla svelta, Paci invece
conobbe di persona, e solo allora iniziò a capire la ricchez-
non l’aveva, la scoprì da solo e
Alfredo Marini accanto a Friedrich-Wilhelm Von Hermann la comunicò in giro. Gli equi-
(Gargnano del Garda, Ottobre 2002) voci e le deformazioni ideolo-
giche dell’opinione comune si
rivolgono allora contro chi le
aveva diffuse, in buona o mala
fede che fosse.
Ebbi subito la sensazione
che questa scoperta e l’entu-
siasmo che gli stava intorno
fosse una vera novità. Io mi
sono laureato su Merleau-
Ponty, ma la mia era una criti-
ca distruttiva di Merleau-
Ponty dal punto di vista dal
metodo fenomenologico e
questa critica investiva indi-
rettamente anche Paci.
L’approccio paciano, come
quello di Merleau-Ponty non
era nella corretta impostazio-
ne della fenomenologia hus-
serliana: entrambi trasforma-
vano la fenomenologia hus-
serliana in una antropologia
filosofica e rifiutavano quella
che dopo la Crisis si chiamò la
seconda epoché fenomenolo-
gica (dopo quella diretta alla
Lebenswelt e sulla quale si
imposta l’intiera fenomenolo-
gia che in Essere e tempo pro-
duce l’ontologia fondamenta-
ALFREDO MARINI 61

le dell’esserci) quella diretta all’io trascendentale ultimo sato in cui qualcuno aveva potuto pensare di sorreggere
e veramente fungente. la prassi con qualche analisi teorica. Sartre scompare, era
Merleau-Ponty (morto improvvisamente, ancora gio- un suo riferimento: anche se non erano d’accordo dal
vane, nel 1960, anno della mia tesi di laurea) metteva in punto di vista tecnico filosofico era comunque un riferi-
riga una serie notevole di fisiologi, neuroscienziati organi- mento politico e un modello per quegli anni, fino al ‘70,
cisti di formazione tedesca come Gelb e Goldstein, oppu- quando comincia a imporsi in Francia un tipo di pensiero
re psicologi associazionisti inglesi, filosofi dogmatici car- completamente opposto: lo strutturalismo, cresciuto nel
tesiani razionalisti o idealisti campioni di una pensée de lavorio intenso della ricerca storica, etnologica e morale.
survol e falsi materialisti ed empiristi vittime del tipico Ciò che più influenzò Paci, nella sua interpretazione di
controsenso induttivistico per spostare la descrizione Essere e tempo, fu la traduzione italiana di P. Chiodi, che
fenomenologica tutta fuori della critica di quest’ontologia ne fu a sua volta influenzato sul piano filosofico-ideolo-
sia organicistica che atomistico-associazionistica. Grazie a gico. Non fu una sindrome fortunata né per l’uno né per
Husserl sembra possibile creare un piano e un livello di l’altro. Paci non capì niente di Heidegger. Chiodi pensa-
discorso completamente nuovo. Questo è lo stato d’ani- va che Heidegger potesse essere interpretato alla manie-
mo di tutti coloro che ad un certo punto cominciano a ra di Pietro Rossi, cioè partendo da Max Weber, che inve-
capire qualcosa di questo Husserl, “frainteso e diffama- ce non c’entra per nulla. Chiodi scrive una serie impres-
to”, e diventano “creativi”. Tutti nel ‘900 fanno quest’e- sionante di saggi caratterizzati dalla vacuità e dal caratte-
sperienza e anche Paci. La sua prima esperienza e il suo re ipotetico congetturale in base ad estrapolazioni da una
primo tentativo di cambiare il mondo valendosi di questo lettura totalmente insufficiente. Il concetto dominante è:
nuovo linguaggio, si vede in La funzione delle scienze e il “Chissà cosa vorrà dire Heidegger…!” Entrambi fuorvia-
significato dell’uomo, in cui dopo aver approfondito questo ti dal pregiudizio esistenzialista e dall’etichetta nazista, a
concetto di fenomenologia autentica che aveva finalmen- Chiodi mancava il vocabolario, oltre alle conoscenze filo-
te “scoperto”, si propone di immettere Gramsci in una sofiche per capire il testo di Heidegger, e Paci, che ne
prospettiva fenomenologica. Il libro dell’accertamento e aveva abbastanza, non fa in tempo a raccogliere gli ele-
della scoperta è Tempo e verità, del ‘61, contenente dei menti essenziali per leggere Heidegger (che sono
saggi che aveva già pubblicato in diverse riviste. Il tempo Dilthey, Kant, Husserl e Aristotele). Risultato: non riesce
del divenire e la verità sono l’essere del pensiero. Paci ha a capirne di più e si basa su Chiodi. Pensa anche lui che
imparato la fenomenologia abbastanza bene per utilizzar- le tesi di Essere e tempo fossero tesi antropologiche. Non
ne i concetti, che si trasformano in schegge fenomenologi- ha colto come il problema si presentasse da un’altra
che che consentono di aprire problematiche all’epoca angolazione, intorno al senso dell’essere e della verità,
nuove. La formula è il “sempre di nuovo” (immer wie- un’angolazione capace di dare una valenza diversa alle
der). Subito dopo questo tentativo, esplode a Milano la precedenti analisi. Sarà così anche per tutta la posterità di
contestazione studentesca, seguita da vent’anni di “gam- Levinas, Derrida compreso. Ma questi non hanno le atte-
bizzazioni”: gli anni di piombo. Dopo varie peregrinazio- nuanti di Paci. Così Tempo e verità è il grande libro in cui
ni tornai in Italia nel 1964-65. Paci si ammala nel “68” e, Paci compie il primo autentico e indispensabile passo per
probabilmente mal curato, muore in pochi anni di effime- la comprensione di Husserl e quindi anche per la com-
ri trionfi di massa e di profonde delusioni personali. In prensione di Essere e tempo. Il libro successivo, quello
effetti non rimane quasi niente di quel tentativo “politico- “gramsciano”, fu una deviazione dal compito essenziale.
culturale”: il quadro politico crolla e precipita in un pas- Un ricupero fu impedito dalla morte prematura.

ALFREDO MARINI è nato a Milano, si è laureato presso il Collegio Universitario Ghislieri di Pavia, dove ha condotto la su
attività di ricerca a contatto con Enzo Paci, Remo Cantoni e Fulvio Papi. Dal 1998 è titolare dell’Insegnamento di “Storia
della Filosofia Contemporanea” presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Milano. Si è finora dedicato principalmen-
te alla fenomenologia, all’ontologia, all’ermeneutica contemporanea e al problema delle scienze umane (Husserl,
Nietzsche, Simmel, Heidegger, Dilthey, Merleau-Ponty, Schopenhauer, Fichte, Fr. Schlegel). Tra le sue traduzioni e cura-
tele ricordiamo: Edmund Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo 1893-1917, Franco Angeli, 1981;
Martin Heidegger, Interpretazione fenomenologica della ‘Critica della ragion pura’ di Kant, Mursia, 2000. Ha di recente termi-
nato la nuova traduzione italiana di E. Husserl - E. Fink, VI Cartesianische Meditation (con Riccardo Lazzari & Massimo
Mezzanzanica), nonché di M. Heidegger, Sein und Zeit (in corso di pubblicazione, con glossario storico-sistematico).
Ricordiamo alcuni dei suoi altri lavori: M. Heidegger, Il senso dell’essere e la ‘svolta’. Antologia storico-sistematica del ‘primo’
Heidegger, La Nuova Italia, 1982; Amicizia stellare. (Studi su Nietzsche di Beerling, Biser, Beaufret, Pütz, Boehm, Granier,
Stambaugh, Pautrat, Vattimo, Nohl), Unicopli, 1982; Alle origini della filosofia contemporanea: W. Dilthey. Antinomie dell’espe-
rienza, fondazione temporale del mondo umano, epistemologia della connessione, La Nuova Italia, 1984.
62 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

ENZO PACI:
LA FENOMENOLOGIA DEI PROCESSI IN RELAZIONE

di Alessandro Sardi
Le torri. Il passato. Sentire il loro senso, la loro ragione.
La loro storia nel mondo nel quale hanno vissuto e vivono,
nelle relazioni che le costituiscono e mi costituiscono.
Lasciare che diventino documenti,
che il loro silenzio maturi in un nome.
Risvegliarle, risvegliarsi.
(E. Paci, Diario fenomenologico, 2 aprile 1956)

Se infatti tutto è in tutto e tutto da tutto si stacca,


anche da quel che appare minimo si staccherà qualcosa più piccolo di esso
e quel che appare massimo si è staccato da qualcosa più grande di esso.”
(Anassagora, Sulla natura)

R aramente il calendario dei fatti coincide con


quello dei sentimenti: “lo sanno i protagonisti
delle avventure del cuore.” Paci ha avuto la
‘fortuna’ di annotare le proprie giornate salienti negli anni
decisivi del suo itinerario di pensatore. Il risultato è stato
ti husserliani che Paci continuerà la propria ricerca
all’Archivio Husserl di Lovanio, grazie all’amicizia e alla
collaborazione del curatore del corpus husserliano, padre
Van Breda. Scrive Paci nel Diario in data 10 giugno 1961:
“Padre Van Breda è arrivato il 29 maggio ed è rimasto
il Diario fenomenologico, opera che più di ogni altra mette in Italia fino ad oggi. Ha notato che in Italia la fenomeno-
in risalto le qualità letterarie dell’autore e il suo talento logia, dal febbraio del 1958, dall’ultima volta che è stato
teoretico, in una complessa vicenda di vita e pensiero. qui, ha percorso ormai molto cammino. Van Breda, nella
“Il calendario dei fatti, nel suo intreccio con quello dei conferenza di Milano, e in un modo del tutto speciale in
pensieri, è all’incirca il seguente. 1956: l’approfondimen- quella di Torino, è stato molto felice nel sottolineare l’im-
to di alcuni punti cruciali della filosofia contemporanea portanza della fenomenologia genetica.”2
indirizza il Paci verso una revisione e autocritica delle La fenomenologia genetica sarà l’ultima frontiera
proprie posizioni. Egli si avvede che i temi fondamentali della teoresi di Paci prima della svolta ‘marxista’: nel
della filosofia d’oggi ripresentano i problemi di Husserl e testo ‘chiave’ Tempo e verità nella fenomenologia di
della fenomenologia. Le idee che già si delineavano in Husserl emergeranno i temi decisivi dell’esistenziali-
Tempo e relazione (1954) maturano negli scritti raccolti smo ‘positivo’, umanistico e storicistico, impliciti nella
sotto il titolo Dall’esistenzialismo al relazionismo (1957): la fenomenologia stessa. Tale umanismo fu anche il ‘limi-
necessità di un ritorno a Husserl vi è energicamente pro- te’, come disse Veca, della fenomenologia paciana e
filata, insieme con la riduzione dell’esistenzialismo a un della sua ricezione di Husserl3.
episodio minore e superato nell’interno della grande cor- Possiamo dire che la fase relazionistica di Paci si pone
rente fenomenologica”1. in sostanziale continuità con il successivo ritorno a
In quegli anni stavano uscendo diversi testi inediti di Husserl: la ripresa dei temi fenomenologici non costitui-
Husserl: Ideen II, Ideen III e Krisis, quest’ultimo tradotto e sce uno ‘slittamento’ dei problemi che si ripresentano
pubblicato da Il Saggiatore, nella collana “La Cultura”. È irrisolti, come ebbe a dire Veca, bensì come una ‘radica-
proprio a partire dallo studio di questi testi e di altri scrit- lizzazione’ dei temi dell’esistenzialismo positivo, “intor-

1. E. Paci, Diario fenomenologico, (14 marzo 1956 – 30 giugno 1961), Il Saggiatore, Milano 1961, pag. 8 (da qui in avanti indicheremo il testo con
la sigla DF). La Nota introduttiva costituisce un importante documento del ritorno a Husserl: “pochi dei documenti di questo genere dichia-
rano le ragioni per cui si sono persuasi a diventare pubblici. Eppure il diario parrebbe proprio il testimone più adatto a ricevere anche que-
sta confidenza: come il monologo arrivi a sentirsi colloquio. Tanto adatto che anche il tenerglielo sottinteso fa già diario. Il sottinteso di Enzo
Paci è probabilmente che queste sue pagine risulteranno, come difatti risultano, anche una introduzione alla fenomenologia” (pag. 9).
2. DF, pag. 117.
3. Salvatore Veca aveva polemicamente preso congedo dal maestro, come spiega Santucci nel saggio Esistenzialismo positivo ed empirismo nella
filosofia italiana del dopoguerra (in AA.VV., Fenomenologia ed esistenzialismo in Italia, Adriatica Editrice Salentina, Lecce 1981, pp. 11-27), consi-
derando “la svolta impressa da Enzo Paci, sul finire degli anni Cinquanta, al proprio relazionismo con la ripresa delle tematiche del tardo
Husserl (in particolare di Krisis)”, come “un sostanziale passo falso, un semplice ‘slittamento’ di problemi che, attraverso un mero travesti-
mento retorico, si ripresenterebbero irrisolti, anzi irretiti in una più rigida veste metafisica che ne precluderebbe l’ulteriore sviluppo, essen-
dovi contraddizione tra il carattere aperto del programma relazionistico e il carattere chiuso dell’esigenza husserliana di fondazione delle
scienze. (...) Rispetto a Veca, che distingueva tra l’universo ‘retorico’ e quello ‘logico’ della teoresi di Paci, la valutazione di Santucci suona
ancora più impietosa, sollevando la domanda “se tra il relazionismo e la ripresa di Husserl” ci sia un effettivo ‘slittamento’ o se il primo non
contenga già “il secondo con le sue potenzialità metafisiche” (...) A Santucci rispondeva indirettamente Carlo Sini, che ribadiva con nettezza
l’attualità della prospettiva fenomenologica di Paci” (cfr. A. Vigorelli, La fenomenologia husserliana nell’opera di Enzo Paci, in “Magazzino di filo-
sofia”, n. 5, a. II, 2001/B2, pp. 169-170).
ALESSANDRO SARDI 63

no a cui si raccoglie la riflessione unitaria del filosofo di pagine del Diario) sulla necessità di ‘ritornare’ ad Husserl,
Monterado”4. per inverare (e non per correggere o svoltare) la prospetti-
“Ogni realtà è qualcosa di più dell’astratta univer- va relazionistica e gli esisti ‘positivi’ del suo esistenziali-
salità e qualcosa di meno della realtà assoluta singola- smo (mai abbandonati nel ‘rinnego’)7. Fin dagli anni
re o totale. Il fatto primo sono io, il soggetto. Non il Trenta, il periodo influenzato dalla riflessione sul
soggetto dell’idealismo, non l’assoluto, ma l’incontro Parmenide platonico che Paci presenta come il “problema
concreto del finito e dell’infinito, della luce e dell’om- della filosofia contemporanea”, si ‘reclamava’ la reciproca
bra. Io, come uomo, come l’uomo che ha in sé il complementarietà di due modelli: il trascendentalismo e
mondo, anche il mondo che ignora. l’ontologismo. Entrambi aveva-
(...) Non da solo – ma con tutti gli no la ‘funzione’ di mostrare, dal
altri, vivi e morti: in relazione con punto di vista metodologico, la
tutti, con tutti i soggetti. Può sceglie- nuova ‘via’ aperta dall’inter-
re per la ragione che è vita, può sce- pretazione dello Stenzel per
gliere per la morte, per l’autodistru- una corretta comprensione del
zione atomica. Ma è dignum omni platonismo secondo una pro-
admiratione perché porta con sé la spettiva ‘relazionistica’. Paci
verità, perché ha in sé l’evidenza esplicitava tale posizione rinve-
della verità, perché per parlare del nendo l’essenza del platonismo
male deve avere in sé il bene, la vita nella correlatività tra l’uno e il
del bene, una vita che non può nega- molteplice (o tra l’essere e il non
re perché è la sua vita intenzionale essere) e applicando in seguito
in prima persona, il suo essere sog- la medesima ‘lente’ teoretica
getto, il suo emergere come sogget- alla filosofia presocratica.
to. Ma questo è Husserl”. Nel rileggere quei testi si
Nella stessa pagina del Diario. Paci possono facilmente rintracciare
si domanda: “il mio relazionismo sarà i segnali della necessità di collo-
possibile senza la ripresa della feno- care la “questione della verità”
menologia?”5. E poco oltre, con tono in un orizzonte più ampio e
husserliano afferma: “bisogna ancora complesso, relazionato e ricom-
una volta, con tenacia e con pazienza, Padre Hermann Leo Van Breda (1911-1974) posto nelle sue scissioni, come
ricominciare, riprendere la ricerca, cor- indispensabile punto di parten-
reggersi, bruciare la coscienza impura per ritrovare in se za per la riunificazione dei ‘saperi’ in una nuova forma di
stessi il senso della verità, il telos del mondo. Appena si ‘ricomposizione’ enciclopedica. In fondo, la coerenza del
riflette sul proprio cammino si è gettati brutalmente nella pensiero paciano è espressa in queste righe, che possono
strettezza della propria incapacità: si sente che l’errore, essere assunte come sintesi della prospettiva relazionistica,
l’oscurità, la vanità, la superficialità, sono in noi, li portia- nata come un fiume carsico ed emersa nelle vaste acque di
mo in noi stessi. Ma in noi stessi c’è la verità e la vita. Il un progetto ‘infinito’ (almeno per l’ambizioso titolo che
mondo greco”6. esprime tutte le possibilità sempre aperte della ‘ricerca’,
È in questa primavera del 1956 che a nostro avviso Paci secondo i fondamenti della filosofia della relazione): Idee per
inizia a riflettere consapevolmente (testimoni sono le una enciclopedia fenomenologica; leggiamo infatti:

4. Ibidem. “Nella sua relazione Sini individua con acutezza la genealogia della filosofia di Paci in quella che, con una metafora ardita, potrem-
mo definire la “corrente calda” del platonismo moderno, materialistico e storicistico: la linea Vico-Croce-Husserl-Marx. La strutturale incapa-
cità di questa tradizione nel rispondere al problema del nichilismo, posto con estrema radicalità da pensatori come Nietzsche e Heidegger, è
un’obiezione che non tocca evidentemente solo il programma fenomenologico paciano, ma investe l’intera metafisica dell’occidente. Di fron-
te alla gravità della crisi che minaccerebbe l’intero pensiero scientifico-metafisico su basi umanistico-storicistiche, i “neorazionalisti o neo-
weberiani dei nostri giorni” non sanno opporre altro che la triviale visione del “disincanto” del mondo, ossia la visione secondo cui “tutto
l’universo è caso e insignificanza (assenza di valore); resta però all’uomo la facoltà di decidere se vivere un po’ meglio o un po’ peggio”. Se
questo “programma minimo” fosse ormai l’unico cui la filosofia può oggi aspirare, la posizione di Paci conserverebbe paradossalmente una
sua vitalità. Se l’idea di Paci, di una rinascita della fenomenologia dopo l’esistenzialismo, era un’illusione, non si può invece escludere l’idea di
una rinascita del pensiero di Paci dopo l’esistenzialismo positivo, che si muova nella direzione, paradossale e estrema, di quella “fenomenolo-
gia del negativo”, parzialmente adombrata nei tardi esiti della sua riflessione” (pag. 171).
5. DF, pag. 12.
6. Ibidem.
7. “Una delle principali caratteristiche dello stile filosofico di Paci è lo scrupolo autobiografico con cui egli tende a una continua autostori-
cizzazione del proprio pensiero”: le pagine diaristiche e i margini dei suoi libri sono fitti di annotazioni che consentono di seguire gli svi-
luppi della sua riflessione. In una nota scritta (a posteriori) in margine al saggio su Husserl di Pensiero, esistenza e valore si legge: “Data del
mio ritorno a Husserl dopo il relazionismo: 14 marzo 1956 (risulta dal mio Diario): dalle pagine del Diario in questa data nascono i miei due
articoli di ritorno alla fenomenologia, che sono: 1) Sul senso e sull’essenza, in “Aut Aut”, n. 33, maggio 1956; 2) La natura e il culto dell’Io, in
“Aut Aut”, n. 34, luglio 1956 (cfr. A. Vigorelli, La fenomenologia husserliana nell’opera di Enzo Paci, cit., pag.184).
64 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

“Se l’unificazione è possibile è perché nessuna forma è nenti, delle figure, delle ‘essenze’. Senza la visione delle
isolata e perché nessuna forma viene assolutizzata e figure essenziali il discorso logico, o scientifico, sarebbe
oggettivata. Nessuna operazione e nessun soggetto sono vuoto e privo di significato”11. Non è dunque possibile
l’operazione totale o il soggetto che ha compiuto tutte le affrontare un discorso logico senza l’intuizione che dà
operazioni e che coincide con la verità finale. Se è vero che significato all’espressione. La vita, commenta Paci, si
il soggetto non può negare in sé un centro, sia pure infini- ‘esprime’ e in tale espressione “intuisce, vede, coglie
tesimale, di vita della verità, è anche vero che nessun sog- degli oggetti ‘visti’, delle figure ideali”12. Paci sottolinea
getto e nessuna comunità di soggetti possono mai preten- l’evoluzione del concetto di ‘intenzionalità’, approfon-
dere di possedere e tanto meno di essere la verità”8. dendo i rapporti tra esperienza vissuta e “verità logica
Attraverso il relazionismo Paci ha delineato un filoso- che pone inconsapevolmente Husserl sul piano proble-
fia sensibile ai problemi dell’esistenza, aperta ai moltepli- matico dello ‘schematismo’ kantiano, uno dei nodi deci-
ci significati dell’esperienza, sempre incompiuta e in sivi del pensiero contemporaneo”13.
‘corso’, capace di accogliere le problematiche della scien- La ‘coscienza’ intenziona, ovvero, nel linguaggio feno-
za, consapevole dei propri limiti teoretici ma diffidente menologico, vede, delle essenze permanenti. Possiamo
dalla ‘verità’ assoluta. Permangono in questa filosofia le riassumere così: l’intenzionalità è la visione di oggetti
tematiche legate all’esistenzialismo, anche se l’orizzonte intuiti ideali. Ma cosa significa vedere oggetti ‘ideali’? “Gli
si è notevolmente ampliato: “lavorando oltre le stanchez- oggetti, appunto in quanto sono figure, sono irreali, o,
ze e i pregiudizi che gli sembravano caratteristici di una come si potrebbe anche dire, immaginari. Concepita
civiltà al tramonto, (...) s’avvia a riscoprire l’esistenziali- come attività che vede le essenze la coscienza è ciò che,
smo nella Lebenswelt dell’ultimo Husserl”9. vedendo, dà un significato al discorso logico”14.
È ora opportuno riassumere alcuni sviluppi della In questo senso si può intendere il significato di
“fenomenologia relazionistica” di Paci, al fine di mostra- ‘coscienza’ come “esperienza vitale”, la cui ‘funzione’ è
re i punti di contatto tra esistenzialismo “positivo”, rela- di dare un significato (Erlebnis des Bedeuten), ossia inverare
zionismo e fenomenologia, in quell’itinerario di pensiero l’esperienza nel significato. Il soggetto o “Io trascendentale”
che, dagli anni Cinquanta ai primi anni Sessanta, attinge è dunque il ‘portatore’ di senso nel ‘mondo’, già presente,
le sue risorse dalla lezione fenomenologica europea. prima di ogni ‘giudizio’ e di ogni ‘significato’, nel
La fenomenologia era per Husserl il ritorno alle “cose ‘mondo’. È come se qualcosa dapprima fosse sentito senza
stesse” – spiega Paci in un fondamentale articolo di “Aut comprensione (e tale espressione non può non rimandare
Aut” del 1957 – ma non è facile comprendere cosa inten- alla Scienza nuova di Vico) e in seguito, le ‘figure’, le
desse Husserl per la “cosa stessa”. La ‘cosa’ non conse- ‘immagini’ di mondo che si stagliano sempre di nuovo in
gue al giudizio: è anteriore al giudizio sul mondo, alla “assemblaggi significativi”, operano da ‘medio’ nel pro-
separazione ‘giudicativa’ tra soggetto e oggetto10. Nella cesso della conoscenza (‘medio’ che si esprime nelle rela-
prima delle sue Ricerche logiche, Husserl studia l’espressio- zioni costitutive tra Io e mondo, nell’incanto che costituisce
ne: il significato di una espressione, ossia di una proposi- la relazione simbolica). “Ogni cosa è quello che è – scrive
zione del linguaggio, sta nella permanenza di ciò che è Paci – ma è anche l’indice delle altre. (...) La correlazione
significato ed espresso. Ma ciò che è espresso è anche intui- – che spiega perché il ‘relazionismo’ di chi scrive queste
to. Significa che la ‘forma’ di un’espressione deve essere righe ha dovuto rifarsi alla fenomenologia che proprio
‘riempita’ da una intuizione, da un “atto intuitivo” che nei testi inediti di Husserl si è dichiarata relazionistica
sia in grado di cogliere qualcosa di permanente. “Ciò che anche se tale era fin dall’inizio – significa in altre parole:
preme ad Husserl è di far vedere che l’espressione non se ritorno all’io nell’io trovo tutto il resto e lo trovo fon-
ha significato se non vengono intuiti degli oggetti perma- dato sull’esperienza mia ed altrui”15.
8. E. Paci, Idee per una enciclopedia fenomenologica, Bompiani, Milano 1973, pag. 479.
9. A. Santucci, Esistenzialismo e filosofia in Italia, Il Mulino, Bologna 1959, pag. 76.
10. E. Paci, Fenomenologia dei processi in relazione, in “Aut Aut”, n. 38, 1957, pag. 105. “Su queste indicazioni Merleau-Ponty ha potuto svilup-
pare il suo concetto di ‘ambiguità’: la concretezza antepredicativa, l’esperienza non falsata da nessuna formula precostituita, da nessuna
teoria della realtà come fatto o come pensiero, è anteriore sia alle costruzioni del realismo che a quelle dell’idealismo, è qualcosa che è, nello
stesso tempo, soggettivo e oggettivo, e, in tal senso, ambiguo” (ibidem).
11. E. Paci, La fenomenologia e il mondo della vita, in E. Paci, La filosofia contemporanea, Garzanti, Milano 1974, pp. 162-163.
12. Ibidem. Per Croce, ricorda Paci, non c’è logica se prima non c’è ‘intuizione’; ma l’intuizione di Croce non riesce a cogliere le figure essen-
ziali, bensì si limita ad essere conoscenza del particolare. “Per Husserl invece, l’intuizione è diretta verso essenze permanenti, verso figure
che danno contenuto e senso al discorso logico” (pag. 163).
13. C. Sini, La fenomenologia, Garzanti, Milano 1965, pag. 35.
14. Ivi, pag. 163.
15. E. Paci, Il senso delle parole, (1963-1974), a cura di P.A. Rovatti, Bompiani, Milano 1987, pag. 33. Nelle pagine di “Aut Aut” intitolate Il
senso delle parole, scritte tra il 1963 e il 1974 e in seguito raccolte in un libro a cura di Pier Aldo Rovatti (Bompiani 1987), Paci chiarisce i ter-
mini usati nei suoi saggi fenomenologici, fornendo al tempo stesso la propria ‘introduzione’ a Husserl. Ci serviremo di questi preziosi com-
menti per approfondire o chiarire alcuni punti del discorso paciano che sui testi restano solo accennati. Il senso delle parole, a nostro avviso,
costituisce l’altra parte del Diario fenomenologico, in quanto si presta, grazie alle indicazioni cronologiche e alle frequenti riflessioni in prima
persona dell’Autore, a ricostruire l’approccio di Paci alla complessa valenza semantica della terminologia husserliana, alla sua spiegazione
e alla “messa in scena” dell’umanismo paciano.
ALESSANDRO SARDI 65

della coscienza, visioni permanenti nel flusso della vita


stessa e, come tali, chiare e vere”16.
La coscienza è, in quanto proiettante, intenzionale:
vede e si raffigura ‘cose’ che non esistono ma che attraver-
so le “figure possibili” (possibilità sempre aperta e in rela-
zione ad altre possibilità) dà un significato al discorso,
alla scienza e alla vita. Risulta evidente che senza l’inten-
zionalità della coscienza, la vita degli uomini risulterebbe
priva di significato, che, nell’universo del discorso pacia-
no, significa, anzitutto, senza un valore.
La filosofia, secondo questa rinnovata prospettiva,
sarà allora una “fenomenologia delle essenze”, spiega
Paci, “distaccate dalla struttura psicologica e naturale,
proiettate nel possibile visto, immaginato, raffigurato,
dunque oltre l’esistenza data. Intenzionare significa anda-
re oltre, vedere qualcosa, vedere qualcosa oltre la realtà
vissuta, vedere una possibilità, intuire nelle figure l’es-
senza e il senso del mondo”17.
L’essenza è ciò che dà obbiettività alla conoscenza e
quest’ultima non può che trovare il proprio fondamento
su essenze obbiettivamente valide. La filosofia acquista
valore, afferma Paci, nel momento in cui diviene “scien-
za delle essenze”: alla fenomenologia interessa della
coscienza solo ciò che la coscienza intenziona in quanto
obbiettivo. Quindi, “cogliere nell’attività della coscienza
gli oggetti obbiettati, le essenze, è compiere un’analisi
fenomenologica”18. La ‘verità’ della logica (ma ogni veri-
tà filosofica) è condizionata alle visioni, ossia alle idee: la
cecità rispetto alle idee, afferma Husserl in Ideen I, è una
Edmund Husserl sorta di ‘cecità’ dell’anima che, a causa di pregiudizi,
rende incapaci di trasferire sul piano giudicativo quello
che si possiede nella sfera della visione. In verità, tutti
Le ‘figure’, intese come contenuto delle visioni, sono vedono, per così dire ininterrottamente idee o essenze,
distinte dalla vita psicologica della coscienza e in quanto operano con esse nel pensare e compiono dei giudizi
‘distaccate’, le visioni hanno una loro autonomia: per essenziali. Il punto è proprio questo: senza visioni, senza
questo la loro ‘natura’ non è psicologica. La coscienza, in schemi visivi e senza ‘figure’ (senza le ‘immagini’, come si
quanto le vede e le ‘distacca’ da sé “in uno schermo che diceva commentando Ingens sylva ) non c’è fenomenolo-
non è la coscienza stessa”, compie l’azione di porre qual- gia e, di conseguenza, non è possibile fondare in senso
cosa che “non è se medesima, che non è la sua realtà psi- rigoroso alcuna ‘filosofia’.
cofisica, il suo essere psicologico e naturale.” La coscien- La filosofia è allora “descrizione delle essenze inten-
za dunque opera ‘proiezioni’, spiega Paci commentando zionate” dalla ‘coscienza’ e della sua vita, dell’esperienza
le Ricerche logiche, e ciò che proietta (immaginando) sono vissuta, dell’Erlebnis, che essendo attività intenzionale
“le visioni, senza le quali nessun discorso scientifico ha libera, “nel suo proiettare, da ogni oscurità psicologica, è
significato e senza le quali non ha significato la stessa trascendentale”. Per questo, spiga Paci, Husserl può dire
filosofia. La filosofia sarà allora lo studio delle visioni che la fenomenologia vuole essere una scienza descritti-
proiettate dalla coscienza, dalla vita fluente, concreta, va degli Erlebnisse trascendentalmente puri e cioè “delle
16. Ivi, pag. 164.
17. Ibidem. Questo passaggio rimanda ad un altro importante scritto di Paci del 1957 dal titolo Sul significato del platonismo in Husserl, in
“ACME”, nn. 1-3, pp. 135-151, che riprende sostanzialmente la validità dell’intuizione eidetica che permette una lettura platonica della feno-
menologia relazionistica, dove però il platonismo non è da intendersi nel senso tradizionale, bensì come esplicitazione di una essenziale capa-
cità, o meglio, disponibilità alla visione di ciò che costituisce l’essenza delle “cose stesse”, al fine di ri-comprendere il ‘reale’ secondo una pro-
spettiva teleologica, a partire dall’esistenza dell’uomo che di ogni significato è ‘portatore’: gli eidos assumono la valenza di ideali eterni (sepol-
ti nella Lebenswelt occultata) cui tendere attraverso un’etica del soggetto da riscoprire attraverso la ricerca fenomenologica, che sia in grado di
rifondare la ‘vita’ e quindi ogni ‘scienza’ (che dalla vita nasce). Scrive Paci: “La mia filosofia è ancora oggi condizionata da quella tesi di lau-
rea. Come nel 1934 il problema, il Rätsel, per usare un termine caro a Husserl, è il problema della relazione, il problema del tempo e della
verità, il problema della terza ipotesi del Parmenide. (...) Ideen I sarebbe la conferma in senso ‘eidetico’ del primo Husserl, l’Husserl platoni-
co. Il secondo Husserl, di cui il pensiero si esprime nella forma più matura in Die Krisis der europäischen Wissenschaften, sarebbe l’Husserl filo-
sofo dell’esperienza, della Lebenswelt, della storia. Il dualismo che domina l’opera husserliana sarebbe, in fondo, una nuova e moderna edi-
zione del dualismo platonico” (pag. 135).
18. E. Paci, La filosofia contemporanea, cit., pag. 165.
66 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

essenze pure presenti nella vita intenzionale in quanto si po, piuttosto che i mutamenti. La fenomenologia pacia-
proietta in figure chiare e rigorose”19. na è dunque il frutto di una “appassionata lettura del
In questa direzione, Paci può interpretare la coscienza testo di Husserl”, poco attenta alle periodizzazioni, ma
trascendentale non semplicemente come “atto teoretico o estremamente sensibile all’attualizzazione e alla proble-
una formula conoscitiva”, bensì come un atto totale, ‘orga- matizzazione del pensiero del filosofo tedesco. In questa
nico’20. L’atto è una ‘tensione’ che tende a realizzare qual- prospettiva la fenomenologia di Paci appartiene soltanto
cosa e tutti gli atti sono relazionati: nessuno di essi è ‘iso- a Paci e sarebbe uno sbaglio valutarla mettendola in rela-
labile’ in un essere chiuso: “il processo dell’esperienza è zione ad una ‘corretta’ lettura dell’opera di Husserl.
formato da una corrente di Erlebnisse intenzionali. È una La fenomenologia è dunque per Paci un metodo di
relazione di momenti intenzionali e mai una somma di analisi impegnata nei processi storico-temporali, secondo
sostanze o di esseri. Ciò che si conclude in un essere chiu- quella ‘personale’ prospettiva che chiamiamo ‘relazioni-
so e sostanzializzato è ‘morto’. Al contrario l’esperienza smo’. In questo senso, si può dire che Paci attua la pro-
in quanto Lebenswelt è, appunto, viva: non è mai qualco- pria fenomenologia come una “filosofia della relazione”
sa di cui si possa dire, in modo definitivo, “è questo” o “è (intesa come metodo dell’analisi teoretica): tale filosofia è
quello” come, parafrasando i Vangeli (sempre cari a Paci) una fenomenologia dei processi in relazione, in quanto
non si potrebbe dire del Regno dei Cieli che è qui o è là. contiene in sé la “prospettiva esistenzialistica” che è
La caratteristica della Lebenswelt è proprio di non essere essenzialmente “analisi dell’esistenza” come processo, svi-
mai quella che è, di proiettarsi sempre al di là di se stes- luppo nell’irreversibilità e nel bisogno, ricerca e possibilità,
sa, di trascendersi. Noi pretendiamo di arrestare l’espe- intenzionalità e quindi telos (assai distante dall’imposta-
rienza nel giudizio; l’esperienza, invece, sorpassa sempre zione ontico-ontologica di Heidegger, in quanto in Paci è
il giudizio nel quale vogliamo arrestarla”21. sempre preminente l’urgenze di intendere l’idea come
Questa considerazione di Paci conferma quanto più valore). Tali ‘categorie’ si trasformano sempre nel pensie-
volte si è detto circa la necessità di mantenere aperta la ro paciano in ‘qualità’ e ‘attributi’ della vita, capaci di
ricerca. Ogni esperienza (o vissuto esperienziale, ‘denotare’ (ma senza definire nell’assolutezza) il signifi-
Erlebnis), che è sempre in relazione con le altre, è in real- cato di verità dell’esistenza. La ricerca viene così integra-
tà un ‘processo’ che tende (la tensione dell’atto) a trascen- ta secondo un’organica visione, e secondo il senso di tale
dersi e a ri-interpretarsi, perché non ha mai in sé ciò che le visione, ricondotta alla sua fonte: l’esperienza precatego-
è sufficiente: ossia, ciò che le è necessario per esistere. riale, ossia la Lebenswelt. “La filosofia non è qui deduzio-
Fenomenologia trascendentale, relazionismo ed esisten- ne da principi prestabiliti ma sentimento”, pre-sentimen-
zialismo si implicano a vicenda e si inverano l’una nell’al- to e azione per un ‘fine’ che si pone alla prova nel ‘rischio’
tro, apportando un contributo alla analisi esistenziale della e nel ‘compito’. “Una filosofia relazionistica non è soltan-
‘vita’ (come ricerca continua). In questo senso, la sua ricer- to un modo di pensare ma un modo di vedere (proprio
ca non si conclude mai in una ‘formula’ riassuntiva e nel senso husserliano, nel senso “eidetico”) e di sentire”
definitiva. La Lebenswelt è il concetto che tutte le questioni (il feeling di Whitehead o l’empatia nella “situazione emo-
abbraccia, nel ri-trovato ‘inizio’ alla meditatio vitae: tiva” esistenziale). “Ed una filosofia così concepita, nel
“Non qualcosa ‘dietro’, ma qualcosa che si è occultata momento stesso nel quale si pone come fenomenologia,
o che si è sedimentata e che bisogna disoccultare, nel pre- si pone anche come pedagogia e come paideia”23.
sente per l’avvenire. Tutta la nostra vita, come presenza La fenomenologia dei processi in relazione vuole anzi-
evidente, è il risvegliarsi e il chiarirsi del passato: è temps tutto essere l’inserzione di fatto della filosofia nella realtà
retrouvé. La verità che dormiva si trasforma, diventa veri- dei processi storici, del lavoro e della cultura. La filosofia
tà tipica, figura essenziale. Ma continua, risvegliandosi, a del tempo e della relazione deve agire nel tempo (nella
cercarsi, a correggersi nelle reciproche relazioni che la prospettiva genetica delle husserliane Lezioni sulla coscien-
costituiscono, a cercare un compimento, un telos”22. za interna del tempo), per attuare ‘nuove’ relazioni possibi-
Per Paci, Husserl ha avuto dal destino la missione di li, orientata verso un telos, che possiamo dire essere quel-
difendere, in un mondo che stava sperimentando il crol- lo dell’ideale organico della vita, che ai ‘problemi’ della
lo di tutte le mitologie razionalistiche, il valore supremo vita possa concedere una soddisfazione e un significato.
e i diritti eterni della chiarezza della ragione. In questo Potremmo anche dire: una nuova consapevolezza genea-
senso, la fenomenologia di Paci si inserisce nell’arco com- logica che svela i caratteri dell’esistere senza scioglierli da
plessivo del pensiero husserliano, cercando di mettere in quella fitta trama di eventi in relazione (l’espressione è di
luce la ‘continuità’ piuttosto che le differenze, e lo svilup- Paci) che ne costituisce il fondo (inesauribile) di senso.
19. Nel Paragrafo 49 della parte prima delle Idee, Husserl dice che la coscienza, in quanto si trascende ma rimane immanente, è ‘trascenden-
tale’: “il mondo della res trascendente è assolutamente relativo alla coscienza, non come logicamente immaginata, ma come attuale.”
20. La coscienza ‘attuale’, potremmo dire, che si ‘sorpassa’ nelle figure proiettate come trascendenti, è la vita stessa nella sua concreta e sem-
pre presente realtà: “la vita che vive sorpassandosi nella direzione di possibilità intuite, raffigurate, logicamente immaginate. La coscienza,
in quanto vita trascendentale, non è dunque un principio astratto, un’attività meramente psicologica, ma è l’atto della vita nella sua concre-
ta pienezza: è, direbbe Whitehead, una realtà ‘ultima’” (E. Paci, La filosofia contemporanea, cit., pag. 167).
21. E. Paci, Fenomenologia dei processi in relazione, in “Aut Aut”, cit., pag. 106.
22. DF, pag. 13.
23. Cfr. E. Paci, Fenomenologia dei processi in relazione, in “Aut Aut”, cit., pag. 113.
EMILIO RENZI 67

L’EDITORIA, I PERIODICI E LE CONFERENZE:


ENZO PACI FUORI DALL’UNIVERSITÀ

Intervista a Emilio Renzi

a cura di Massimiliano Cappuccio

[Chora] Il lavoro di Paci come filosofo teoretico è “La cultura”) e dove ebbe modo di operare al fianco
ben noto perché tuttora studiato e perché facilmen- di personaggi influenti, come Remo Cantoni,
te documentabile dall’ampia mole dei suoi saggi, Giacomo Debenedetti, Alberto Mondadori e molti
delle sue curatele e delle sue traduzioni. Ma Paci fu altri. Vorremmo chiederLe di approfondire, a partire
protagonista anche di un altro tipo di impegno dalla Sua esperienza diretta di collaborazione, questi
intellettuale, oltre a quello propriamente accademi- aspetti della progettualità paciana e della sua aspira-
co: ci riferiamo alla sua intensa attività di editore ed zione più autentica, eventualmente permettendoci di
organizzatore culturale, che si espresse non solo comprendere meglio anche la sua vocazione all’im-
attraverso la conduzione della rivista “aut aut”, ma pegno e il suo profilo personale dal punto di vista
anche nel corso degli anni della collaborazione con professionale.
la casa editrice Il Saggiatore, per la quale pianificò
la pubblicazione di alcune importanti collane (come [Renzi] “Ecco il mio professore”, esclamavo quando
Enzo Paci lo vedevo
arrivare puntuale alle
riunioni del Saggiatore,
in via Bianca di Savoia
e più tardi in corso
Europa, la borsa piena
di schede di lettura,
bozze e “sedicesimi”,
testi per le “quarte di
copertina”. E quanto
ad “aut aut”, che fondò
nel 1951 e diresse sino
alla morte nel ’76, lo
“faceva” lui, anche se
in redazione per alcuni
anni vi fu una persona-
lità del calibro di
Giovanni Raboni. Scri-
veva lettere, faceva
telefonate di sollecito –
naturalmente, svilup-
pava la linea culturale
che aveva presieduto
alla sua nascita e armo-
nizzava un nu-cleo di
collaboratori di vaglia –
Gillo Dorfles, Glauco
Cambon, Roberto
Enzo Paci (a destra) con Alberto Mondadori (a sinistra)
Sanesi, Marco Forti,
Aldo Tagliaferro. In
68 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

seguito e man mano, i giovani allievi: Guido Davide e continuiamo a vedere la Crisi delle scienze europee di
Neri, Enrico Filippini, Andrea Bonomi, Giovanni Husserl, la Critica della ragione dialettica di Sartre, e i
Piana, sino a Salvatore Veca e a Pieraldo Rovatti con Merleau-Ponty… insomma gli imprescindibili titoli
cui si ebbe una breve direzione “a tre” (ora com’è della filosofia moderna che più tardi sarebbe stata
noto la dirige Rovatti). detta “continentale”, l’associazione al nome di Paci è
Da questi primi cenni si capirà che l’editoria non automatica. Ma credo che questo – che pure è tanto! –
era per Paci un “di più” rispetto al suo lavoro di non sia che una parte del discorso.
docente né alla sua personale ricerca in filosofia. Era Se prendiamo tra le mani il catalogo n. 3 (autunno-
l’altro lato dello stesso impegno, quello “pubblico”. inverno 1959-‘60) del Saggiatore troviamo uno scritto
Una tensione verso un pubblico più ampio di quello di Paci intitolato Nulla di nuovo tutto di nuovo. È la
delle aule universitarie milanesi e dei “colleghi” della presentazione della collana “La Cultura” – non solo i
sua e delle altre Facoltà. Un pubblico di persone titoli di filosofia che graficamente si distinguevano
colte, in tutta Italia, e di persone, specie giovani, in dagli altri per un filetto di colore arancio. “Per la col-
cerca di cultura. Quale cultura? lana de Il Saggiatore – scrive Paci – la parola cultura
Beh, in quegli anni a partire dal 1959 proprio indica, nello stesso tempo, la relazione dei vari campi
quella che la collana “La Cultura” del Saggiatore e la specializzazione. Non si perde nella scienza per
avrebbe costruito nelle intenzioni del suo fondatore, dimenticare l’arte, o nella storia per dimenticare la
Alberto Mondadori, figlio grande e inquieto del letteratura… Nulla di nuovo per l’uomo, e d’altra
grande Arnoldo Mondadori. Una cultura europea parte e nello stesso tempo, tutto di nuovo, se davve-
(Sartre, Mann, Lévi-Strauss, Merleau-Ponty, Karl ro la cultura è ripresa della vita del passato e rinno-
Jaspers), una cultura che rileggeva la storia profon- vamento del presente per il futuro.” Come non senti-
da d’Italia (Ernesto de Martino) , la classicità greca re l’eco dell’husserliano immer wieder, “sempre di
(Ranuccio Bianchi Bandinelli) – e indivisibilmente nuovo”? In quelle cinque pagine Paci scriveva di libri
l’arte (Giulio Carlo Argan), l’architettura, l’antropo- che riguardavano l’etnoantropologia e la cibernetica,
logia (Remo Cantoni), la storia (Bruno Maffi), la cri- le origini del monoteismo cristiano e la grande lette-
tica letteraria (Giacomino Debenedetti), l’estetica ratura tedesca, la Crisi di Husserl e i Diari di Paul
(Guido Morpurgo Tagliabue). Saggistica insomma a Klee. Nel Catalogo generale 1958-1965 apparve una
tutto spettro. Una lettera di Alberto a Sartre: “nasce- Inchiesta su strutturalismo e critica, a cura di Cesare
rà una nuova Casa editrice, una casa cui ho dato il Segre, che era in realtà un vero e proprio libro di una
mio nome, e che avrà come suo principale impegno settantina di pagine: Paci vi aveva contribuito con
quello di diffondere libri di grande importanza nella una Nota su de Saussure.
storia della cultura, delle arti, delle dottrine e del Quello che voglio dire è che Paci nell’editoria non
costume”. fu uomo di settore ma di cultura vasta, curiosa e
Tenacemente Alberto intendeva anche riavviare “interdisciplinare” (come allora non si diceva ma si
una collana della Mondadori che si chiamava “Il pen- faceva – o quanto meno gli allievi di Banfi faceva-
siero critico” e che in apparenza non aveva un diret- no…). Larghezza di letture classiche e spirito di ricer-
tore proprio ma che sappiamo pensata e voluta da ca nelle sopravvenienti, senza obbligati entusiasmi
Alberto. Una ventina di titoli di saggistica alta, per verso il nuovo in quanto tale, il “novismo”. Erano del
certi versi distante dal modello generale delle collane resto tratti fondamentali della sua personalità ed era
Mondadori e di conseguenza poco considerata e poco la nuova cultura della “scuola milanese”, per usare la
valutata dai vertici aziendali. È in quella collana che felice espressione di Fulvio Papi. Non dimentichiamo
Paci aveva pubblicato Ingens Sylva, il suo saggio su che Paci non perse i contatti con la collana di filosofia
Vico, e raccolti gli scritti degli anni ‘50 su storicismo che Antonio Banfi aveva fondato presso Bompiani,
ed esistenzialismo. In quella stessa collana erano “Idee Nuove”: ne sono prova le traduzioni di Mondo
apparsi La coscienza inquieta di Remo Cantoni, il io e tempo nei manoscritti inediti di Husserl di Gerd
Baudelaire di Sartre, I problemi di tutti di John Dewey – Brand, altre traduzioni da Husserl.
un libro importante oggi dimenticato – e ancora
Eupalinos di Paul Valéry, prefazione di Paci.
E per quanto riguarda le altre attività culturali di
Paci al di fuori dell’università?
In che modo l’esperienza e lo stile di Paci accom-
pagnarono concretamente la crescita del Saggiatore, “Rivista di filosofia e di cultura”, era la dizione che
influenzandone lo sviluppo, e quali contributi spe- campeggiava sulla copertina di “aut aut”, dalla fon-
cifici possiamo ascrivere al suo intervento nell’am- dazione sino alla svolta intorno al 1968 (e al
bito editoriale? Sessantotto). La parola “cultura” va sottolineata. Si
può dire che, “ a vista”, ogni numero era fatto a
Certo, quando nei cataloghi del Saggiatore di allo- metà: una metà delle pagine dedicata alla filosofia,
ra e di oggi, e negli scaffali di tante librerie, vediamo l’altra alla letteratura, all’arte, alla critica letteraria,
EMILIO RENZI 69

alla psicologia, alla psicanalisi,


alla critica d’arte, a quelle che poi
saranno chiamate le scienze
umane. Meno, alla filosofia della
scienza. Questo è un dato di fatto
che mi sembra oggi obliato.
Quelli erano anni (anche) di rivi-
ste. In particolare “aut aut” veni-
va comprata e letta da pittori, da
poeti, da medici umanisti, dalle
persone di cultura che sapevano
anche di filosofia oppure che di
filosofia non sapevano niente ma
che coglievano il respiro, gli
intrecci e gli slarghi di una rivista
che al tempo stesso snidava e for-
mava i propri lettori. Qualcosa di
quella fortuna “aut aut” se la
porta dietro ancora oggi, a
distanza di tanti anni!, è venduta
in libreria, non è “per pochi inti-
mi”… ristretti nel cerchio accade-
mico. Si pensi per contro che sfo-
gliando le annate si trovano un
numero speciale dedicato a Mann
di fianco a quello dedicato a
Husserl e poi uno monografico su La pubblicità della collana “La cultura” del Saggiatore, da un’immagine pubblicata
Carlo Cattaneo… il passo di su di un periodico.
debutto della rivista fu uno scam-
bio epistolare tra Mann e Paci.
Un’altra rilevante attività “mondana” di Paci, nel Non mi riferisco alle riviste specialistiche di filoso-
senso di un discorso pubblico extra moenia, era parla- fia o tra letteratura e filosofia come “Questo e altro”
re come conferenziere. Fu il curatore di un ciclo di nella seconda età dei Sessanta. Parlo invece in
trasmissioni radiofoniche per quello che allora era il maniera precisa a una rubrica che tenne nei primi
Terzo Programma, oggi RadioRai Tre: nel corso del- Settanta per un settimanale illustrato oggi dimenti-
l’anno 1960 tenne un ciclo di letture intitolato proprio cato, “Tempo”. Era un settimanale vivace in batta-
La fenomenologia nella cultura contemporanea. Se ne glie su una linea, come dire, “radicale di sinistra”,
ripercorriamo i contenuti notiamo che naturalmente che cercava di aprirsi la strada tra i settimanali allo-
Husserl si prendeva metà delle trasmissioni, ma non ra fortissimi, come “l’Espresso”, “Panorama”,
c’era solo Husserl, perché si parlava anche di Scheler, (all’epoca sodi in cultura e battaglie politiche),
Sartre, Merleau-Ponty, Heidegger, e poi di fenome- l’”Europeo”. Per dire il tono: l’ultima pagina del
nologia nell’arte e nella letteratura. Questo era l’a- “Tempo” ospitava gli scritti di Pier Paolo Pasolini
spetto più evidente di Paci fenomenologo, che era che sarebbero poi confluiti nella raccolta Scritti cor-
filosofo dell’enciclopedia del sapere fino al punto di sari.
esser capace di ribaltare il baricentro del suo stesso Ecco i titoli di alcuni articoli che Enzo Paci pub-
discorso per far comprendere quale poteva essere la blicò in quel contesto: Sartre: amore e morte, Freud e
chiave di lettura più proficua e quali vantaggi avreb- la rivoluzione dell’uomo, L’enigma Ludwig Visconti e
be dato la fenomenologia negli altri campi di sapere. Thomas Mann, Ateismo nel cristianesimo e cristianesi-
Quando tenne conferenze su Les mots, Le parole di mo nell’ateismo, Husserl e Marx a Praga, La situazione
Sartre appena uscito in italiano (per il Saggiatore, ça limite di Bataille. È il Paci che ha portato alle estreme
va sans dire…) Paci scandiva il suo lavoro con una for- conseguenze la scelta del Sessantotto, guidata dal
mula di questo genere: lunedì a Torino, martedì a trinomio Husserl-Marx-Gramsci, orientata in un
Milano, mercoledì a Firenze, giovedì a Roma e così senso antioggettivistico e anticapitalistico. Una
via. Qui a Milano la conferenza ebbe luogo al Piccolo visione che potremmo definire radicale, se usiamo la
Teatro, in via Rovello allora sede unica, e c’era tanta parola sulla spinta del suo significato originale –
gente. Paci parlava calmo e chiaro. Marx si autodefiniva un radicale e la parola in
Un altro aspetto ancora del Paci extra moenia è America vuol dire libertario di sinistra. Quello
quello della sua collaborazione a giornali e riviste. degli ultimi anni dunque è un Paci che a tratti torna
70 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

su se stesso e a tratti ascolta le voci dell’oltremon- Come possiamo valutare complessivamente il


dano, un Paci homme qui cerche. Questo fa sì che a contributo fornito da Enzo Paci alla crescita della
un certo punto, parlando del telos dell’umanità, cultura italiana nei due decenni che seguirono la
arrivi a sostenere che in questo telos c’è il cristia- fine della guerra?
nesimo apocalittico del Vangelo di Giovanni.
Evidentemente si tratta del cristianesimo di Che il contributo fornito da Paci sia stato essenzia-
Cristo spogliato di ogni sua possibile valenza ter- le alla riproposizione della filosofia classica europea
rena, storico-ecclesiastica. Mi pare di dover con- del primo Novecento, allo sviluppo autonomo dell’e-
cludere che in questa sua attività pubblicistica sistenzialismo di marca tedesca e francese e così via,
alquanto dimenticata Paci fosse tornato ad appli- è giudizio assolutamente fuori discussione – ma io
care a se stesso lo stimolo del “sempre di nuovo”, vorrei far notare piuttosto che di tutti gli allievi di
sia pure con movenze non distese. Cominciava Banfi, Paci è stato l’unico a dialogare con Benedetto
del resto ad avere problemi di salute, era stanco e Croce ossia con la filosofia classica italiana (a sua
febbrile insieme, la malattia della moglie lo aveva volta connessa alla filosofia classica tedesca del
gravemente ferito. primo Ottocento…). Croce come si sa accettò di buon
Se li si rileggono oggi, quegli interventi – grado lo scambio culturale con uno studioso di due
peraltro brevi – sul “Tempo”, attraverso e dopo la generazioni più giovane di lui. Paci aveva quindi una
radicalizzazione del Sessantotto e della prima sua idea e una sua “politica” dello sviluppo culturale
metà dei Settanta, forse non sono tra le sue cose italiano. La sua posizione, a differenza di quella di un
migliori, le ripetizioni si alternano alle illumina- Giulio Preti, non era accanitamente anti-idealistica.
zioni, ma ne vien fuori anche un’idea del filosofo Era la posizione di un filosofo della cultura per il
che non è nella torre d’avorio e non è solo un quale tutto è dialogabile e verificabile.
didatta, ma elabora strumenti teorici capaci di
misurarsi sia con i grandi problemi del pensiero – Le proponiamo anche di esprimere un’opinione
ovvero con l’ontologia, la filosofia prima – sia con sullo stato attuale dell’editoria italiana e delle sue
i problemi che il tempo non ti manda a dire ma politiche culturali, attraverso una fantasia contro-
che ti fanno resistenza attiva e per i quali occorre fattuale, che ci aiuta a misurare la differenza tra la
intervenire. È la figura quindi di un filosofo nostra realtà e il clima di quegli anni: che ruolo
poliedrico, se vogliamo anche un uomo di errori – potrebbe essere assolto oggi da una figura come
che d’altronde sempre si rischia di commettere quella di Enzo Paci nel contesto della nostra cultu-
quando si decide di non stare al caldo della serra. ra, e come giudicherebbe egli la situazione odier-
na?

È una domanda molto dif-


ficile. Si potrebbe notare che
un tempo c’erano collane di
filosofia molto chiare, molto
scandite. Prima della Grande
Guerra e negli anni ’20-’30,
c’era Bocca, ci fu soprattutto
la Laterza di Croce e Gentile,
poi solo Croce mentre Gentile
acquisiva e rilanciava la
Sansoni. Verso la fine degli
anni ‘30 inizia Idee nuove di
Banfi, con Valentino
Bompiani. Vedono quindi la
luce nel dopoguerra la collana
“gialla” Einaudi (Biblioteca di
cultura filosofica) e la “verde”
della Nuova Italia: inizia dun-
que la storia delle collane di
filosofia come strumenti,
Dalla pubblicità della collana diretta da Enzo Paci. Lo slogan: “Nella nuova serie de ‘La come contenuti… Storie note,
Cultura’ i libri più significativi del nostro tempo alla portata di tutti. Tutti possono avvici- e abbiamo visto che “La cultu-
nare il sapere contemporaneo”. ra” del Saggiatore non era una
collana solo filosofica per
EMILIO RENZI 71

dal punto di vista distributi-


vo. Dal punto di vista tecnico
basta essere in due: una per-
sona e un computer, più una
terza che finanzia. Una volta
non era così, ci voleva un’in-
dustria, impianti enormi.
Viceversa la distribuzione
impone strozzature rilevanti
poiché è quasi completamen-
te monopolizzata, con un 30%
a Feltrinelli che seleziona con
criteri economici rigorosi. Ma
arrivo al punto che credo inte-
ressi di più voi e i lettori.
Bene, io credo che Paci, nel
mondo di oggi, continuereb-
be ad essere disperatamente,
pertinacemente ottimista, pur
portandosi dietro tutte le
angosce, il male dell’esisten-
za e i fantasmi della guerra
che lui visse in prima perso-
na, nei ranghi di quella
“Armata del no” che furono i
700mila militari internati
negli stalag germanici (dove
non perse battuta: ai commi-
litoni, anzi “Agli amici delle
Da sinistra a destra: Giovanni Piana, Enzo Paci (di spalle) ed Emilio Renzi.
‘sere’ di Beniaminowo”, come
suona la pudica dedica dei
quanto articolata al proprio interno. Coeva è la colla- saggi raccolti in Esistenza e immagine, parlava di
na “gialla” di Geymonat per la Feltrinelli, specifica Mann, Eliot, Rilke, Valéry, Proust…)
per logica e filosofia delle scienze. Oggi non ci sono Credo questo perché Paci diceva e direbbe che il
più queste colonne “verticali”, dai “colori” così telos dell’umanità è un orizzonte che si sposta sem-
distinti; collana di filosofia per antonomasia, oggi, è pre. Abbandonata l’illusione della rivoluzione “lune-
quella diretta da Giovanni Reale, “Il pensiero occi- dì mattina”, cioè a brevissimo, il senso di marcia è
dentale”, dove sono pubblicati classici che arrivano quello di un’intenzionalità di cui deve farsi carico
fino alla modernità, con Gadamer. La UTET prosegue l’enciclopedia del sapere, orientata sempre verso la
imperterrita i suoi “Classici”, cartonatissimi… Una progettualità dotata di senso. Forse la migliore rispo-
collana che riprende certi spunti del Saggiatore è quel- sta viene data proprio dal programma di “aut aut”,
la di Giulio Giorello presso Cortina, che si articola in che si richiamava ad una scelta radicale, a un bivio:
maniera vivace – libera e libertina… un famoso movimento politico in Francia aveva
La situazione dell’editoria italiana oggi è una coniato l’espressione secondo cui l’umanità era al
situazione di meticciato: c’è tutto e il contrario di bivio tra la barbarie e il socialismo. Definire il sociali-
tutto, e questo qualche volta consente che nuove ini- smo – oggi – è difficile, ma è un concetto che viene da
ziative sorgano, mentre altre volte lo impedisce. Oggi socius. Vuol dire ricostruire una comunità di soci, in
pubblicare un libro è meno complicato di una volta cui si vive e si lavora e si configge e si coopera nel
dal punto di vista tecnico, anche se lo è molto di più dialogo da vicino e tra vicini.

EMILIO RENZI ha studiato filosofia con Giuseppe Faggin al Liceo “Pigafetta” di Vicenza, e alla Statale di Milano con
Enzo Paci. Tesi su Paul Ricoeur, di cui ha tradotto Della interpretazione. Saggio su Freud. Ha lavorato al Saggiatore di
Alberto Mondadori editore e alla Ing. C. Olivetti & C. Attualmente docente di Semiotica alla Facoltà del Design del
Politecnico di Milano, polo Bovisa. Saggi su Ernesto de Martino e su Adriano Olivetti nella rivista “L’Acropoli”. Nel
n. 11 di “Materiali di Estetica”: I migliori anni della nostra vita (1958-1967). In memoria di Guido Davide Neri.
72 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

ENZO PACI E L’AMERICA

di Massimiliano Luce

N egli anni successivi alla seconda guerra


mondiale, furono numerosi gli intellettuali
italiani che si confrontarono con la cultura
americana. Tra questi vi fu anche Enzo Paci. Sul secon-
do numero di Aut Aut, il filosofo italiano pubblicò nel
in seguito la certezza, che qualcosa è finito, che un peri-
odo si è concluso; si cerca di ricostruire la propria vita
per denunciarne gli errori, si ripensa ai nostri atti di
scelta di fronte agli avvenimenti che ci hanno costretti
ad una decisione, si conquista infine la fede che si può
1951 l’articolo Moby Dick e la filosofia americana. L’anno e deve ricominciare. Potrebbe essere un ritorno alla sto-
successivo, nel 1952, sul decimo numero fu la volta di ria come azione dopo la riflessione, il pensiero, la
un articolo intitolato Sull’estetica di Dewey1. Entrambi ricostruzione storica del passato nel presente”4.
questi interventi risultano fondamentali per compren- Paci riafferma così un’esigenza etica e personale del-
dere sia gli sviluppi e gli esiti della fondazione di un l’impegno, una serie di scelte esistenziali che si identif-
nuovo individualismo dopo l’esperienza del Lager icano con la responsabilità dell’individuo di fronte agli
tedesco sia alcuni termini dello slittamento concettuale avvenimenti, “perché la responsabilità è sempre del
della filosofia paciana dall’esistenzialismo positivo singolo ed è in questa esperienza che si scopre, e si
degli anni ’30 e ’40 al relazionismo degli anni ’50. I due deve scoprire, l’unica vera ed autentica solitudine”5.
argomenti rappresentano due momenti della medesi- Solo attraverso questa esperienza radicale è possibile
ma riflessione. In Paci, difatti, l’analisi teoretica non si ritrovare se stessi, “e i singoli che hanno ritrovato se
separa mai dal desiderio di dire
qualcosa di concreto sul mondo.

1. Moby Dick, ovvero la pos-


sibilità del bene
L’interesse per la letteratura e la
filosofia americana ha, per Paci,
prima di tutto motivi autobiografici:
“È nei campi di concentramento
tedeschi che per me, e per alcuni
amici e lettori di questa rivista, la
letteratura, e poi la filosofia ameri-
cana, diventarono una nuova scop-
erta”2.
La lettura della Lettera scarlatta di
Hawthorne e di Moby Dick di
Melville suscitarono, nel Paci pri-
gioniero del Lager, un senso di “riv-
elazione” e di “stupore mitologico”.
La prova del fronte fu decisiva per
“sciogliere definitivamente certi
ambigui nodi col passato fascista”3: Moby Dick
“Si ha la sensazione, da principio, e
1. Entrambi questi articoli sono raccolti nell’opuscolo Moby Dick e la filosofia americana, a cura di Agostino Lombardo e pubblicato dagli
Editori Riuniti.
2. Ivi, pag. 20
3. A. Vigorelli, L’esistenzialismo positivo di Enzo Paci, Franco Angeli, pag. 191.
4. Moby Dick e la filosofia americana, pag. 20-21.
5. Ivi, pag. 20.
MASSIMILIANO LUCE 73

stessi si riaprono alla comunicazione e ricostruiscono


dall’interno un nuovo rapporto con gli altri”6 Ecco, al
centro della filosofia di Paci si pone il tentativo di com-
prendere i rapporti tra i singoli, un’analisi che sul
piano metafisico si pone come indagine sulle relazioni
tra l’uno e il molteplice, sull’identico e la diversità, sul
bene e il male. Di qui l’interesse di Paci per la letteratu-
ra e la filosofia americana: “Come ha notato Paul
Valery l’enigmantico di Poe era il punto metafisico nel
quale si fondono la diversità e l’identico, l’unità e la
molteplicità: egli lo risolve annullando i due termini.
Era un nuovo modo di identificare il bene e il male. Per
Hawthorne e Melville si trattava piuttosto del rapporto
tra individui e società in quanto fondato sulla scelta
etica. Che questi fossero i problemi più vivi per
l’America è più che naturale data la natura composita
della popolazione, il complesso rapporto con gli indi-
ani e coi negri, il continuo rischio della secessione. [...]
Ciò che viene posto in discussione è l’individuo, è la
molteplicità degli individui e, insieme, la loro unità. La
filosofia americana doveva ben presto chiedersi: che
cosa è l’io? [...] E plurimis unum, il motto nazionale,
diventa l’enunciazione di un problema filosofico”7.
Ciò che Paci condivide con gli scrittori e i filosofi
americani è, dunque, un bisogno di società che si fondi
sulle scelte etiche dei singoli. La letteratura e la filosofia
statunitense hanno il merito di richiedere un atteggia-
mento pragmatico anziché contemplativo. Ma per il
Paci che ha attraversato la prova del Lager tedesco: “La Herman Melville (1819-1891)
situazione del presente, se vogliamo esprimerci con il
linguaggio di Arnold S. Toynbee, può essere una sfida che è stata rivissuta, e quindi espressa narrata e com-
che provoca una risposta. Il male, in noi e intorno a noi, presa. [...] La totale comprensione del passato equivar-
ma per la coscienza morale solo in noi, ha trionfato”8. rebbe alla totale confessione e purificazione: l’uomo
Alla prospettiva di Toynbee rinviano proprio due rinascerebbe nuovo e la storia ricomincerebbe dal
importanti filosofi americani: James e Dewey, il nulla. Tuttavia la possibilità di questo inizio assoluto è
primo con il concetto dell’”azione riflessa”, il secon- chimerica, come sarebbe chimerico richiedere alla
do con il concetto di ricerca suscitata da una situazione filosofia la garanzia di una verità perfetta e alla scien-
problematica. “La ricerca è dovuta all’attività del pen- za non una previsione probabile, ma una certezza
siero, alla logica, alla “coscienza”, costituita proprio completa”10.
dall’affiorare di una situazione negativa che esige un La filosofia di Paci si conferma aperta e problemati-
mutamento, da una crisi che esige una soluzione e la ca. Del passato resta sempre un residuo che non può
scelta di un nuovo cammino”9. essere convertito in pensiero o, in termini deweyani,
La lettura di Dewey pare in linea con il paradigma una situazione problematica che suscita una ricerca.
esistenzialista che interpreta in modo negativo l’e- “C’è sempre un passato ed è soltanto l’astrazione
sistenza, che ne rivendica il momento oscuro, di crisi, dell’intelletto che ci fa credere ad un prima del passato,
contro ogni pretesa del panlogismo idealistico che ad un inizio non temporale del tempo: la struttura della
cerca di risolverla nella pura razionalità del pensiero. nostra esistenza è infatti costituita da un passato che
Dunque: “Dal passato che preme nel presente per nel presente si fa futuro: al principio, all’origine, non si
un’azione futura nasce il mito e nasce il pensiero, può tornare, il vero principio ci viene indicato dall’irre-
nasce cioè la nuova filosofia che consegue alla storia versabilità del tempo e si proietta nel futuro, nel dovere
6. Ivi, pag. 20.
7. Ivi, pag. 30-31.
8. Ivi, pag. 21.
9. Ivi, pag. 21-22.
10. Ivi, pag. 22.
74 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

da compiere, nell’azione che del passato correggerà gli imporre agli altri, come presto si disse, la loro libertà”17.
errori e trasformerà le conseguenze”11. Questo avvenne, per i Padri Pellegrini, perché una volta
Se le conseguenze del passato non possono essere in America si imposero ben presto, affianco alle esigen-
negate, possono però essere trasformate. È proprio in ze spirituali, quelle materiali: il lavoro, la lotta, le inizia-
questa possibilità che risiede la libertà dell’uomo e per tive economiche, il commercio, quella serie di attività
questo Paci definisce la libertà trasformazione. La lib- traducibili nell’irrazionalità esistenzialistica. Se il desti-
ertà è sempre possibile perché del passato resta sem- no del teologo puritano Jonathan Edwards, straziato dal
pre un quid irriducibile alla comprensione dell’uomo, dogma della libertà, fu quello di abbandonare i suoi
un quid negativo su cui si innesta l’azione. A differen- fedeli per convertire gli indiani, Hawthorne e Melville
za di Sartre, perciò, la libertà non è mai totale e, si salvarono - “per virtù del mito e dell’arte” - da quel
dunque, impossibile e vana. Se compresa, la struttura furore perché il loro bisogno di società andava nella
irreversibile dell’esistenza “convince l’uomo della sua direzione di un rapporto scelto, conquistato, non
finitezza e dei suoi limiti”12. La filosofia di Paci è una imposto, con l’essere sociale e gli altri uomini.
filosofia della prassi, ciò che la muove è un’esigenza “Hawthorne ha capito che una società è possibile
etica di trasformazione del negativo (il passato che nel solo se fondata sul riconoscimento del peccato, sulla
presente si fa futuro) in positivo e non il pensiero possibilità di una scelta etica dei singoli, ed ha capito
astratto che presuppone un inizio razionale prima del che questa scelta non solo giustifica, ma contiene
tempo. L’esigenza etica reagisce alle astrazioni del implicitamente in sé il lavoro e l’attività economica.
pensiero e parla “”a proposito di quell’inizio che sem- L’uomo non dovrà trovare nell’altro il male ma
bra porsi prima di noi, di un inizio negativo, di un riconoscerlo in sé. In Melville poi la lotta furiosa contro
male da redimere, di un peccato originale di cui l’indi- Moby Dick è l’autodistruzione del dogmatismo che, in
viduo deve riconoscersi responsabile, anche se era nome della libertà, diventa negazione della libertà e di
prima di lui, anche se lo ha ereditato. Questo riconosci- ogni rapporto umano, trasformandosi, quindi, in vio-
mento trasformerà tutta la vita in una redenzione”13. lenza verso chi si crede che rappresenti il male, il pec-
Tuttavia, è necessario essere consapevoli che il passato cato. Il male, però, è solo nel singolo e dentro il singo-
non può essere completamente redento, altrimenti non lo, non è mai fuori, negli altri uomini, negli altri popoli,
ci sarebbe più nulla da trasformare e la vita non nella natura, nelle cose, nei fatti”18.
sarebbe più possibile. La chiave del romanzo di Melville è, allora, secondo
“Bisogna dunque riconoscere questo passato, Paci, il discorso di Padre Mapple nel capitolo nono,
quest’eredità ineliminabile del negativo, e bisogna dove si ricorda la figura di Giona il quale “fece
riconoscerla perché la libertà sia possibilità e trasfor- orazione dalle interiora del pesce” e riconobbe che il
mazione. Soltanto se c’è il riconoscimento di un limite male era in lui. Solo a partire da questo riconoscimen-
la libertà è possibile”14. to, la balena bianca non rappresenta più la fatalità del
Se le cose stanno così, “la struttura dell’esistenza male - come per Achab che identificando il male con
umana si presenta come scandalo, paradosso ed enig- Moby Dick dava al male una realtà esteriore -, “ma la
ma; proprio il riconoscimento della predestinazione possibilità del bene, la possibilità di trasformare il neg-
[dell’eredità ineliminabile del negativo come peccato ativo in positivo”19. La balena, allora, “è lo strumento
originale] diventa libertà e proprio la libertà esige il di Dio, Dio stesso”20, o ancora è Dio e insieme il
riconoscimento della predestinazione”15. Senza questo Diavolo. È questa la convinzione etica di Melville, che
riconoscimento del male in sé anziché nell’altro si giun- si basa su una “evidenza estetica che sorpassa la falsa
gerebbe al dogma della libertà, “sempre pronto, in dialettica dell’intelletto”21, che ponendo il dogma intel-
quanto dogma, a diventare il dogma dell’autorità e del- lettuale della libertà pone al tempo stesso la dis-
l’assolutismo. È questa la tragedia del calvinismo”16 e truzione di ogni libertà.
dei Padri Pellegrini che lasciarono “l’Inghilterra per L’insegnamento della letteratura e della filosofia
adorare Dio in libertà di coscienza, ma anche per americana, che esige un atteggiamento sostanzial-
11. Ivi, pag. 23.
12. Ivi, pag. 23.
13. Ivi, pag. 23.
14. Ivi, pag. 24.
15. Ivi, pag. 24.
16. Ivi, pag. 24.
17. Ivi, pag. 25
18. Ivi, pag. 26.
19. Ivi, pag. 26.
20. Ivi, pag. 26-27.
21. Ivi, pag. 27.
MASSIMILIANO LUCE 75

mente caratterizzato dal pragmatismo, allora è, come dividuo nelle sue possibilità d’azione, in un dato ambi-
ha affermato Dewey, che “di fronte alla scienza e alla ente, con mezzi determinabili”25.
tecnica che sono forze cosmiche impersonali, l’individ- La filosofia americana, dunque, è la filosofia del-
uo deve assumersi la responsabilità delle conseguenze l’azione e della società, in una parola del pragmatismo:
che derivano dalle sue invenzioni e dagli usi che ne “ciò che conta è l’umana possibilità che, mentre sceglie,
fa”22: “Come Hawthorne e Melville avevano intuito, il mentre vive lavora e organizza, distingue il bene dal
singolo, come soggetto di respon- male”26. Il reale non è
sabilità, si pone al fondamento razionale, altrimenti non vi
dell’organizzazione tecnica: è il sarebbe nulla di negativo e
singolo e non la società per azioni di finito, non vi sarebbero
che deve decidere”23. scelte da fare. Per questo,
Alla logica del profitto privato la filosofia americana nega
e individuale che disgrega la soci- le pretese conclusive della
età e distrugge le individualità metafisica. Perciò, come ha
che la compongono, il singolo insegnato James, anche la
deve preferire “la possibilità di coscienza teoretica si dis-
imparare dal passato”. Soltanto solve come unità
così il singolo, in quanto soggetto sostanziale perché è “costi-
etico e possibilità di scelta, può tuita di operazioni tecnico-
riconoscere l’errore e mutare la pratiche”27 e il soggetto
propria vita. Egli può decidere e “non è dunque né sostanza
deve decidere da solo, le scelte né pura forma teoretica: è
degli altri non esistono. Le con- piuttosto un principio di
dizioni di scelta sono difficili, azione, un centro di oper-
devono esserlo, non si hanno azioni pratiche”28.
garanzie, il rischio che corre il sin- Non solo pragmatismo,
golo è di essere una vana protesta. però. Per James conta
Egli sa di avere questa possibilità, anche “il problema della
perché essa è proprio la struttura temporalità, della struttura
della sua esistenza, ma può agire dell’esperienza aperta al
per negarla. “Solo così i singoli nuovo e al possibile, strut-
costituiscono una società. Dal sin- tura che risolve i paradossi
golo, dai singoli, dai pochi, nasce di Zenone e le antinomie di
il nucleo che sarà una civiltà, una Kant”29. In fin dei conti,
risposta”24. come ha spiegato A. W.
Moore, “il vero fondamen-
2. La scoperta dell’America, to del pragmatismo è la
ovvero rotta verso il rivendicazione della realtà
relazionismo del tempo”30. Il singolo,
quindi, è possibilità, un
John Dewey (1859-1952)
Come detto in precedenza, la soggetto di libertà che
domanda principale posta dalla filosofia americana è opera, sceglie, in un universo concepito pluralistica-
stata: che cosa è l’io? Intorno a questo tema, c’è una mente, dove ci sarà sempre qualcosa di non compiuto
lezione che il pensiero americano non dimenticherà e, perciò, la possibilità di un’altra azione. Avendo scop-
mai, dice Paci, ed è la lezione di Beniamino Franklin. Di erto la temporalità, James “sa che la temporalità
fronte al miracoloso progredire della scienza e della esclude l’assolutizzazione del finito; sa che il senso
tecnica, Franklin definiva l’io un rapporto, l’io “è l’in- della vita è la conversione del passato nel futuro e del
22. Ivi, pag. 47.
23. Ivi, pag. 47.
24. Ivi, pag. 48.
25. Ivi, pag. 32.
26. Ivi, pag. 34.
27. Ivi, pag. 35.
28. Ivi, pag. 37.
29. Ivi, pag. 35.
30. Ivi, pag. 38-39.
76 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

male nel bene; sa che il progresso non è il misconosci- di soggetto e oggetto. Lo “spirito”, ora, può essere
mento del male, ma la trasposizione nell’irreversibil- concepito solo come relazione e in quanto tale esso “è
ità della continua vittoria sul negativo”31. storia ed esperienza, è vitalità e natura, così come è
Non solo. Secondo l’insegnamento di Dewey, la arte, pensiero, valore morale”38. Ma una relazione di
storia è l’esperienza in quanto temporalità32. La eventi, per essere tale, “non può che essere temporale
storicità è possibile perché la temporalità contiene la e come tale irreversibile, altrimenti non sarebbe una
ricerca che ha origine in relazione a un problema. È relazione”39. Se il processo è irreversibile, allora la
questa la possibilità relazionale, che esclude come mera ripetizione è impossibile: questo significa che
punto di partenza della ricerca un’astrazione logica alla relazione non può mai sostituirsi il nunc stans
atemporale. dell’identico, ossia la sostanza.
“L’inizio, nella struttura relazionale, e cioè nel pos- Riteniamo di poter individuare in queste rifles-
sibile, è uno stimolo spazio-temporale determinato, sioni intorno alla filosofia di Dewey il passaggio di
un bisogno reale, un problema posto al presente per- Paci dagli esiti criticisti e circolari del precedente
chè il presente possa operare per una soluzione”33. esistenzialismo al paradigma del relazionismo. La
La struttura relazionale-temporale della ricerca filosofia americana, infatti, consente a Paci di super-
conferma uno spirito antidogmatico. La filosofia di are il dualismo antinomico di uno e molteplice, la
Dewey è “una filosofia della vita, dell’esperienza, separazione di pensiero ed esistenza, di storia e natu-
della storia. È una filosofia del ritmo, dell’interdipen- ra. Queste antinomie potevano essere risolte, per il
denza, della relazione. In ogni caso non è una Paci degli anni ‘40, solo assumendo l’idea di umanità
filosofia della sostanza, una filosofia che deduce il come “idea regolativa e principio ermeneutico di una
mondo da un principio unico, sia esso materia o spir- antropologia storica e di un esistenzialismo critico e
ito”34. Il grande insegnamento di Dewey è il concetto trascendentale: “”La vera realtà è al di là dell’uomo
di “interdipendenza”, di “relazione”, di “esperien- ma deve valere nei limiti dell’umanità, è qualcosa di
za”. Anziché di “esperienza come storia”, avverte eterno che deve essere vivo nella storia: è perciò
Paci, potremmo anche parlare di “spirito”, ricordan- trascendentale””. Da questo andamento circolare della
do però che non dobbiamo concepirlo come “sostan- riflessione teorica di Paci si può ricavare un senso di
za” o “unico”, “ma come una interazione di eventi, insoddisfazione: le categorie sembrano muoversi in
come una relazionalità universale di funzioni”35. circolo, senza vero sviluppo, ma attuando piuttosto
Al centro del relazionismo, dunque, si pongono gli una visione infinitamente concentrica dei proble-
eventi, i quali avvengono sempre in forme, “sono mi”40. Il relazionismo di Dewey consente di risolvere
sempre un’unità formale di molteplici, nuove unità l’antinomia di uno e molteplice in un paradigma sci-
formali di forme, e così via: “ogni essere vivente [qui entifico e interazionistico. Esso afferma che il proces-
Paci riprende anche Goethe] non è una cosa singola, so è temporale e irreversibile, fatto di equilibri perdu-
ma una pluralità, e anche presentandosi come indi- ti e riconquistati, non solo diversi dai precedenti ma
viduo, esso è un complesso di esseri viventi”. “E lo anche più armonici; si potrebbe dire, afferma Paci,
studio della forma è lo studio del processo, della fun- che ogni nuovo equilibrio ha più valore dei preceden-
zionalità, della relazionalità naturale e storica, che ti. Ogni equilibrio perduto, infatti, nascendo da un
sono la stessa cosa. Forma è metamorfosi poiché ciò bisogno, da un problema, è la richiesta di un passo
che è stato formato subisce subito una nuova meta- avanti nel processo, che non è mai determinabile a
morfosi”36. priori. Tuttavia, nella serie di equilibri perduti e
In Dewey, è presente l’immortale lezione di riconquistati rimane il senso di un’armonia profonda.
Beniamino Franklin: anche per lui “la vita è relazione Questo significa che il processo, e quindi la natura, e
e quindi è ambiente e l’ambiente è una serie di quindi la storia, non sarebbero possibili “se la discon-
relazioni. [...] Vita e ambiente sono interazione e tinuità non fosse stata anche continuità, se ciò che
sviluppo di eventi”37. Oltre al tramonto del concetto muore non fosse conservato in una nuova vita per
di sostanza, assistiamo al canto del cigno dei concetti procedere verso l’avvenire”41. Di qui, in una prospet-
31. Ivi, pag. 38.
32. J. Dewey, Experience and nature, Chicago, 1925, p. 275.
33. Moby Dick e la filosofia americana, pag. 43.
34. Ivi, pag. 51.
35. Ivi, pag. 54.
36. Ivi, pag. 64.
37. Ivi, pag. 57.
38. Ivi, pag. 53.
39. Ivi, pag. 57.40. A. Vigorelli, pag. 250.
41. Moby Dick e la filosofia americana, pag. 67.
MASSIMILIANO LUCE 77

tiva relazionistica, l’importanza dell’arte, l’importan- creto della storia, in una qualsiasi teologia idealistica
za di qualcuno che sopravviva per dire “Chiamatemi o materialistica, la filosofia della prassi di Paci, imm-
Ismaele. Alcuni anni fa, non importa quanti esatta- ersa nella tradizione speculativa occidentale, non può
mente...”: “Ciò che permane e si rinnova, ciò che essere altrimenti che impegnata a fondare un nuovo
muore e rivive, che si spezza per ricongiungersi, che individualismo, dove il soggetto etico finito sia libero
è passato perché conservandosi nel presente procede e personalmente responsabile delle proprie azioni.
nell’avvenire, è l’armonia dell’arte. L’arte non ha mai
dimenticato, nella sua inconscia profondità, il mito 3. Conclusione
della morte e della rinascita, la riconquista del pas-
sato, nel presente, per il futuro”42. La filosofia americana, abbiamo visto, è centrale
Il relazionismo, tuttavia, oltre a dirci che il proces- per comprendere il passaggio dall’esistenzialismo
so avviene nel tempo, ci dice anche che la coscienza è positivo al relazionismo. Il confronto, in questi arti-
costitutiva del processo stesso. Anziché ridursi alla coli, soprattutto con autori come James, Moore e
contemplazione di un oggetto o alla autocoscenza Dewey ha consentito a Paci di dissolvere l’unità
statica, essa “è un momento che esige trasformazione, sostanziale dell’io, del soggetto e dell’oggetto e,
che costringe ad una nuova disciplina e a un nuovo soprattutto, della coscienza nel più vasto tema dell’ir-
metodo di lavoro”43. La fiamma della coscienza reversibilità temporale e dell’esperienza intesa come
deweyana arde finché il mondo presenta i caratteri processo, e quindi come storia e natura. Ogni aspi-
dell’instabilità e dell’incertezza, ciò che la costituisce razione idealistica della metafisica occidentale, qui
è il dubbio. Il fine della ricerca scientifica è la trasfor- definitivamente tramonta. Ciò che resta è, in una
mazione sociale, in un eterno processo di superamen- prospettiva affatto antropocentrica, un incessante
to di situazioni indeterminate che di volta in volta processo dialettico costituito da equilibri perduti in
pongono nuove sfide alla civiltà. Per perpetuare la virtù di un problema e riconquistati in seguito a una
democrazia, insegna Dewey, nell’era in cui la scienza ricerca, da armonie continuamente sostituite da altre
e la tecnica che la fondano sono divenute “forze cos- armonie dotate tuttavia di più valore, dove non per-
miche impersonali”, è necessario togliere i mezzi di mane alcun nucleo identico, dove la mera ripetizione
distribuzione e produzione a coloro che li utilizzano del passato è impossibile e il futuro è sempre aperto
a vantaggio di ristretti interessi individuali. All’etica e problematico, in una parola è possibile. In una tale
del pioniere e del conquistatore mossi dal dogma filosofia della vita, mai riducibile a una filosofia della
della libertà, che si traduce sul piano economico nel storia, l’individuo stesso si definisce come esigenza
dogma dell’utile privato che distrugge la società e le etica e possibilità di scelta, sempre posto di fronte a
individualità che la compongono, e alla sfida lanciata un aut aut. Il limite di tale impostazione pare la non
dalla tecnica, non è necessario rispondere, dice Paci, problematicizzazione del concetto di invididuo, che
“con la volontà apocalittica del rinnovamento, della pare ancora una volta il soggetto cristiano-borghese
rivoluzione, della redenzione tecnicizzata e coman- ispirato dall’etica kantiana del dovere e tuttavia inca-
data”44. In questo caso, la civiltà verrebbe stretta pace - in linea con la tradizione metafisica occidentale
nella dialettica calvinista della libertà assoluta e della - di conciliare l’esistenza con il significato, l’evento
predestinazione assoluta. I due opposti conducono con il senso. L’individuo del Paci relazionista, così, è
allo stesso risultato. Qual è, allora, la soluzione? La ancora l’individuo scisso della metafisica e della
risposta di Paci è che: “la soluzione non è mai data, è morale occidentale, che può dare senso (senza mai
in noi, nella nostra scelta. Alla fine tutte le contrad- riuscirci pienamente) a un’esistenza priva di signifi-
dizioni restano. Debbono restare. Perché non pos- cato solo sulla scorta di un imperativo personale del
sono e non debbono sostituirsi alla grazia della lib- dovere orientato dal valore di un bene comune fon-
ertà [del singolo soggetto etico]”45. damentalmente irrealizzabile. Il dualismo metafisico
Come non esiste un inizio prima del tempo, una essere-non essere, da cui discendono le altre scissioni
civiltà positiva in cui è entrato un elemento negativo, (essenza/apparenza, significato/esistenza, senso/
non esiste neppure un futuro palingenetico in cui le evento, uno/molteplice, essere/divenire, bene/
contraddizioni saranno definitivamente risolte. Nel male), non solo si conferma insuperato e non prob-
rifiuto di dogmatizzare la storia in una qualsivoglia lematizzato nelle sue ragioni, ma una volta assunto
teoria metafisica della ragione o del pensiero, nel rifi- dalla tradizione si conferma anche in Paci l’unico
uto di vedere realizzata la filosofia nell’attuarsi con- motore della storia.

42. Ivi, pag. 68.


43. Ivi, pag. 44.
44. Ivi, pag. 48.
45. Ivi, pag. 116.
78 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

ENZO PACI: LA “SCIENZA UNIFICATA”


NELL’UMANISMO DI JOHN DEWEY

di Alessandro Sardi

I ntorno agli anni Cinquanta, la filosofia si


inseriva nel circuito del pensiero mondiale e
Paci entrava in diretto contatto con la realtà
scientifica contemporanea, preparando i materiali per
un pensiero che, pur nella sua autonomia, non fosse in
nominalisti e realisti. La ‘relazione’, potremmo dire, tra
pensiero greco e pensiero moderno, si costituisce a
partire dalle prime speculazioni intorno agli elementi,
consolidandosi e acquisendo un propria ‘grammatica’
logica con l’episteme aristotelico. È nella logica moder-
contrasto con la scienza1. na che appare continuo il rapporto con la ‘logica’ ari-
“I problemi nei quali si muove e si sviluppa il pen- stotelica: “la valutazione del suo significato sembra
siero scientifico contemporaneo sono di portata così indispensabile. Dewey fonda la sua riforma della logi-
vasta e di importanza così decisiva da porre in giuoco ca su una particolare valutazione del formalismo ari-
non solo i fondamenti di tutte le scienze, le loro rela- stotelico. Le linee generali della storia del pensiero
zioni e la loro unità, ma i fondamenti stessi della filo- scientifico sono tuttavia oscillanti e tutt’altro che defi-
sofia e della storia della filosofia”2. nite”4.
Non solo i problemi scientifici si trasformano in pro- In secondo luogo, la ‘relazione’ tra filosofia e scien-
blemi filosofici, ma, molti dei quali che si erano da sem- za è alla base di quel metodo che ha portato “alla fon-
pre posti e compresi entro il quadro ‘metafisico’, sem- dazione di una geometria, di una statica e di un’arit-
brano risolversi, a partire dalla metà del secolo scorso, metica. Filosoficamente ci ha dato le grandi sintesi
in problemi tecnico-scientifici e in problemi di tecnica e platoniche e aristoteliche che alimenteranno tutto il
filosofia del linguaggio. Dunque, l’unità della scienza, pensiero medievale”5.
o come dice Paci, “la scienza unificata”, sembra richie- È infatti nel seno stesso del pensiero medievale che
dere l’esame critico dell’unità della filosofia, la quale avvengono i “grandi mutamenti” che inaugurano il
comporta necessariamente una “rielaborazione critica” pensiero moderno, a partire dallo sperimentalismo di
della storia della filosofia e della scienza. Ruggero Bacone fino alle anticipazioni matematiche
“Il pensiero scientifico contemporaneo mentre di Duns Scoto e al nominalismo di Guglielmo da
cerca di ordinarsi, di semplificarsi, di unificarsi – la Occam, dalla cui scuola occamiana di Parigi, come ha
più viva espressione di tale tendenza ci è data dalla osservato il Duhem, nascono i germi della meccanica
Enciclopedia della scienza unificata pubblicata a Chicago e della fisica moderna. La scoperta di forme dinamiche
– cerca, nello stesso tempo, di riprendere in esame la ad opera di Nicola di Oresme (1328-1382), autore del
propria tradizione storica ricostruendola fin dal pen- Tractatus de uniformitate et difformitate intensionum,
siero greco e spingendosi perfino allo studio del signi- imprime una svolta al tentativo perseguito per tutto il
ficato del pensiero primitivo magico e mitologico”3. Medio Evo, di “fondare una spiegazione del mondo
Per comprendere appieno la portata ‘epocale’ del attraverso le forme statiche ed eleatiche.” Alla conce-
passaggio della filosofia italiana dal neoidealismo e zione oresmiana riesce per la prima volta di rendere
dall’esistenzialismo “positivo” al relazionismo (svolta realmente affermabile e di concretizzare il “pensiero
che vede in Enzo Paci il precursore), si devono tener della forma fluente”, passando così dalle forme eleati-
presenti almeno due punti. Anzitutto, la comprensio- che alle forme mutevoli, per giungere al fondamentale
ne della scienza contemporanea è legata a doppio filo concetto di funzione, destinato ad essere dominato,
con l’intero sviluppo del pensiero filosofico-scientifi- nell’arco di tre secoli, dal calcolo matematico. “Sono
co, dalle antinomie presocratiche, alle antitesi tra pla- così posti i concetti fondamentali per arrivare alle
tonismo e aristotelismo, fino ai dibattiti medievali tra leggi di natura che prenderanno il posto delle forme

1. Cfr. G Semerari, L’opera e il pensiero di Enzo Paci, in “Rivista critica di storia della filosofia”, a. XXXII 1977, pag. 86.
2. E. Paci, Il pensiero scientifico contemporaneo, in “Biblioteca Enciclopedica Sansoniana”, vol. XIII, G.C. Sansoni, Firenze 1950, pag. 7.
3. Ibidem.
4. Ivi, pp. 7-8.
5. Ibidem.
ALESSANDRO SARDI 79

aristoteliche (...) Cusano riprenderà la


nuova visione funzionalistica del diveni-
re: anch’egli supera la rigidità delle
forme aristoteliche, mentre il
Rinascimento riprenderà con nuovi
intenti i fondamenti del pensiero antico,
platonici (Marsilio Ficino, Pico della
Mirandola) e aristotelici (Pietro
Pomponazzi, Andrea Cesalpino, Jacopo
Zabarella)”6.
Nel Rinascimento, la filosofia della natu-
ra di Fracastoro, Cardano, Telesio, Bruno,
Campanella, Paracelso e Van Helmont
insiste sul concetto di “animazione del
mondo”, dove le ‘cause’ vengono espres-
se dalla concezione magica della natura
animata, che culmina con la visione di
Paracelso sulla “nascita dell’universo”
dalla matrice originaria e materna della
materia fecondata e dal Padre.
La grande strada maestra, come dice
Paci commentando Dingler, che conduce Enzo Paci, nel cortile dell’Università Statale di Milano (dall’Espresso del 10
a Galileo e a Newton, fu presentita da Gennaio 1965, p. 11)
Telesio e Leonardo da Vinci, mentre
Francesco Bacone, radicato nell’aspetto meno positivo quale non per nulla si richiama continuamente alle
del pensiero medievale, “volge le spalle all’elemento esigenze organiche ed enciclopediche di Francesco
noetico, ordinante, teoretico, che costituisce fin dai Bacone”8. Esigenze che caratterizzeranno tutto il pen-
tempi dei greci la vera scienza e che forma la base siero e il lavoro di Paci a partire dagli anni Cinquanta.
appropriata dello stesso esperimento esatto”7. Pico Cartesio inaugura il problema del metodo, ravvisan-
della Mirandola è stato il primo banditore della filoso- do nell’esame metodologico la premessa a qualsiasi
fia e del sapere unificati, al punto di non ‘spezzare’ ricerca scientifica. Si pone in tal senso, il problema del
l’unità tra il pensiero del Rinascimento e la tradizione rapporto tra l’operazione scientifica e colui che compie
medievale. Gli aristotelici vedono invece il valore for- l’operazione, ossia l’operatore, il ‘soggetto’. La prospet-
male e semantico della logica aristotelica e difendono la tiva metodica conduce Cartesio alla geometria, a conce-
‘vitalità’ delle scienze sperimentali. pire e a spiegare tutto l’universo secondo forme e model-
Ma ciò che Paci considera di straordinaria impor- li geometrici: “l’essenza dei corpi è l’estensione e l’e-
tanza, consiste nella rinascita dell’ideale pichiano nel stensione è lo spazio” sintetizza Paci, e alla geometria
pensiero contemporaneo: rinascita che, “in forma si lega la meccanica (la “cinematica universale”) carte-
nuova e scientifica” (come anche per il vitalismo sinte- siana, dando vita all’ideale meccanicistico e dinamico.
tico culminante in Paracelso), ritorna come critica del- Anche in Leibniz sono già “in potenza alcuni dei pro-
l’astrattezza e dei metodi analitici, come concezione blemi del pensiero scientifico contemporaneo, come l’i-
organica dell’universo, che Paci vedrà nuovamente dea di una logica-linguaggio universale e quella di una
espressa nella “grande sintesi di A. N. Whitehead, il concezione organica dell’universo”9.
6. Ivi, pag. 9.
7. L’autore e il testo a cui fa costante riferimento Paci nell’Introduzione è: H. Dingler, Storia della filosofia della scienza, Longanesi, Milano
1949 (la citazione si trova alla pag. 112).
8. E. Paci, Il pensiero scientifico contemporaneo, cit., pag. 10.
9. Ivi, pag.11. Il progetto di “lingua universale” è un punto centrale nel progresso logico della scienza. I teorici della lingua perfetta
(da Lullo a Wilkins, Ward e Dalgarno fino a Leibniz) muovono dalla contrapposizione tra lingue naturali e lingue artificiali, e aspi-
rano a costruire un linguaggio del tutto artificiale, un “linguaggio modello” che sia indipendente dalla lingua naturale parlata. Essi
si basano sul fatto che, se le parole che gli uomini usano sono diverse e nate dalle convenzioni, comuni a tutti sono invece “le imma-
gini mentali a cui le parole si riferiscono: compito dei progettisti di lingue artificiali sarà dunque quello di approntare delle espres-
sioni comuni e universali che corrispondano a queste nozioni.” Già Bacone, contro le ambiguità del linguaggio comune e gli idola fori,
aveva posto come obiettivo scientifico la costruzione di un linguaggio adeguato, utile al commercio e alla comunicazione tra le genti.
Un linguaggio dunque capace di instaurare sicure ‘relazioni’ di base ai rapporti umani, sia nell’ordine sociale e comunicativo sia in
quello orientato al metodo sperimentale e operativo della “nuova scienza”. In questa direzione, lo scopo della “lingua artificiale” sarà
anche quello di adempiere ad una funzione irenica e pacificatrice tra i popoli di tutto il mondo. I segni privilegiati saranno i caratteri
80 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

formidabile di analisi dell’esperienza, dall’altro,


Newton “spezza il sogno cartesiano secondo il quale
il metodo matematico avrebbe dovuto valere, in ulti-
ma analisi, sia per lo ‘spirito’ che per la ‘natura’, la
quale è per Newton non trasformabile in connessioni
ideali-geometriche dello spazio”, bensì risulta costi-
tuita di elementi semplici e irriducibili, non più analiz-
zabili, e si potrebbe dire, in tal senso, atomici.10.
Paci aggiunge inoltre che l’elemento atomico, semplice
e irriducibile è strettamente congiunto al concetto della
“irriducibilità” degli elementi semplici, concetto che si
accorderà con l’empirismo e si svilupperà nel pensiero
contemporaneo sia in Russell che in Wittgenstein, nell’a-
tomismo empirico della Scuola di Vienna, per essere infi-
ne ‘criticato’ nella Logica di Dewey.
Dewey considera “la cultura” e tutto ciò che essa
comporta come distinta dalla “natura” e come condi-
zione e prodotto del linguaggio. Il linguaggio è il solo
mezzo che consenta di trasferire (e quindi mettere in
relazione) alle generazioni future le ‘conoscenze’ e gli
‘abiti’ acquisiti. Il linguaggio diviene dunque, con
Dewey, la ‘condizione’ per scorgere la ‘significanza’
degli ‘eventi’ e come essi differiscono nei diversi
‘gruppi’ culturali. In questo senso, l’esistenza di ‘sim-
boli’ rende anche possibile il ricordo intenzionale e l’a-
John Dewey
spettazione, capaci di produrre nuove combinazioni
d’esperienze intellettuali. L’uso dei simboli di signifi-
È solo con l’illuminismo che si arriva alla costruzio- cazione, oltre ad ‘agire’ sul comportamento degli indi-
ne razionalistica di un nuova sintesi enciclopedica: la vidui e delle loro relazioni socio-culturali, stabilisce
prima grande sintesi filosofico-scientifica dopo quella ‘finalità’ e mete intenzionali, compiendosi in forme di
di Aristotele, scrive Paci, ci è data da Isacco Newton, ragionamento volto alla soluzione di ‘problemi’.
attraverso l’opera I philosophiae naturalis principia mathe- “L’abito del ragionamento una volta affermatosi è
matica (1686), che costituiscono una completa esposi- capace di sviluppo indefinito per proprio conto (...).
zione della concezione meccanicistica dell’universo, Quando ciò si verifica, le condizioni logiche implicite
pur mantenendosi in una posizione anticartesiana: sono rese esplicite ed allora nasce una qualche teoria
Newton non parte da principi o ipotesi generali per arri- logica. (...) Ma il primo passo, il solo che importa e che
vare ai fatti, bensì comincia dai fatti irriducibili, dove, conta, viene fatto quando qualcuno comincia a riflet-
rifiutando le ipotesi (hypotheses non fingo), arriva alle tere sul linguaggio, sul logos nella sua struttura sintat-
leggi e ad una teoria unitaria della gravitazione univer- tica e nella sua ricchezza di contenuti di significazio-
sale, applicando alla teoria il metodo matematico. ne. L’ipostatizzazione del logos ne fu il primo risulta-
Il pensiero contemporaneo, osserva Paci, pur arri- to, ed impacciò per secoli lo sviluppo di quella specie
vando a conclusioni che scalzano le basi della mecca- d’indagine che è competente a trattare i problemi del
nica classica di Newton e pur criticando l’unilaterali- mondo reale. Ma l’ipostatizzazione costituiva, nondi-
tà di ogni concezione meccanicistica, è pur sempre meno, un tributo al potere del linguaggio di generare
compreso all’interno della grande ‘sintesi’ newtoniana il ragionamento e, mediante l’applicazione delle
e dei suoi principi di metodo. Se da un lato, con significazioni in esso contenute, di conferire alla real-
Newton, le matematiche diventano uno strumento tà un pieno e ordinato complesso di significanze”11.
reali, ossia ‘ideografici’, atti a significare direttamente cose o nozioni (e non suoni o parole), comprensibili e facilmente apprendibili
da tutti. In questo senso, il progetto di una lingua universale implica quello di ‘enciclopedia’, cioè la “enumerazione completa e ordi-
nata, la classificazione rigorosa di tutte quelle cose e nozioni alle quali si vuole che nella lingua perfetta corrisponda un segno, cioè
una preliminare classificazione di tutto ciò che esiste nell’universo” (cfr. R. Fabbrichesi Leo, Caratteristica universale e calcolo combina-
torio. La semiotica di Leibniz, CUEM, Milano 1999, parte I).
10. Cfr. E. Paci, Il pensiero scientifico contemporaneo, cit., pag. 12.
11. J. Dewey, Logica, teoria dell’indagine, a c. di A. Visalberghi, Einaudi, Torino 1949, pp. 98-100 passim. Il passaggio citato è riportato da
Paci nella Enciclopedia nel capitolo dedicato a Dewey. E’ importante notare la ricchezza di temi legati a concetti quali mete intenzionali,
‘aspettative’, segno e significanza, ‘abito’ e “potere del linguaggio” che costituiranno la premessa e il passaggio alla fenomenologia, allo
sviluppo ulteriore della filosofia della relazione e all’apertura ai diversi aspetti della cultura e del pensiero filosofico contemporaneo.
ALESSANDRO SARDI 81

La presenza di Dewey nel percorso paciano degli dar luogo ad una mediazione, è bloccare l’indagine,
anni Cinquanta è testimoniata soprattutto dagli articoli impedire il cammino dell’uomo, della civiltà, della
di “Aut Aut” e dai costanti riferimenti nelle opere lega- libertà umana, della storia dell’umanità. È questa
te al relazionismo, come Tempo e relazione e infatti la posizione caratteristica dello scetticismo
Dall’esistenzialismo al relazionismo. Le tematiche della distruttore che, non vedendo mai realizzata in nessu-
Logica strettamente legate all’esistenza, al comportamen- na tappa della ricerca e della storia la ragione assolu-
to e all’interazione con l’ambiente, sono una preziosa ta, pretende di negare e svalutare il valore delle con-
indicazione per ricostruire il “laboratorio teoretico” quiste umane e la dignità stessa della natura
attraverso il quale si è avvertito il bisogno di ripensare umana”13.
l’esperienza e le scienze in connessione alla tradizione Paci sembra essere in profonda affinità con il pen-
filosofica. L’intentio speculativa è rivolta alla rinascita di siero di Dewey, in quanto entrambi polemizzano con-
una scienza non feticizzata, bensì ripensata nella sua tro ogni astratto dogmatismo. Dewey, in particolare,
intenzionalità originaria, nelle sua radice etica: anche si richiama al maestro del pragmatismo americano
Dewey attendeva dalla ‘pratica’ tecnico-scientifica un C.S. Peirce e al suo fallibilismo, ossia al riconoscimen-
“supplemento d’anima” capace di saldarsi al “mondo to “che i mezzi umani non possono mai condurre ad
dell’uomo”, al fondamento storico-culturale della realtà un risultato definitivo e assoluto, che determinereb-
umana. La ‘ricerca’ per Dewey, come per Paci, è insepa- be, del resto, la fine della storia dell’umanità”14.
rabile dalla sua “matrice biologica”, come è inseparabile
Intorno a questa posizione, a metà strada tra lo ‘stori-
dalla sua “matrice culturale” e storica. In questo senso,
cismo’ esistenzialista e il pragmatismo, Paci ribadisce
l’umanismo di Dewey può dirsi un “naturalismo umani-
la sua convinzione, già maturata al tempo del
stico” che permette il progresso continuo della ricerca
Parmenide, secondo la quale l’uomo e la società, per
indirizzata alla “creazione di situazioni di civiltà sempre
più unificate, sempre più stabili ed armoniche, sempre affrontare e superare la ‘crisi’ – per instaurare la medi-
più socialmente progredite”12. La ricerca, spiega Paci è tatio vitae – esigono “tolleranza e cooperazione, e
sempre continua perché è nella storia dell’umanità: in nulla è più grave che criticare i risultati effettivamen-
questo senso, ogni aspetto della cultura è un aspetto te raggiunti in nome di un autocoscienza assoluta, di
della storia umana, è un evento in figura della ‘presenza’ un soggetto puro, tanto astratto quanto irraggiungi-
del segno umano nel ‘mondo’: come direbbe Paci, dell’uo- bile”15. Come diceva Vico le origini per natura sono
mo e del suo progredire verso il valore o del suo ricade- rozze, e anche per Paci ogni inizio, ogni approdo ad
re nella barbarie. Ma questo pensiero, che Paci ravvisa in una nuova “avventura” del pensiero, per usare un’e-
Dewey, in sostanza, delinea le coordinate teoretiche del- spressione di Whitehead, deve accettare la propria
l’umanismo “positivo” del filosofo di Monterado, indiriz- iniziale incompiutezza e ingenuità, ossia deve ricono-
zandolo verso un ‘umanismo’ nuovo che anche Husserl scersi al ‘principio’ di un cammino, ragionando e
intraprese nella Crisi delle scienze europee. impostando ciò che sempre di nuovo dovrà guidare la
Ma la ricerca è anche ‘mediazione’, perché non esi- ricerca: il metodo
ste da un lato la spontaneità assoluta, la immediatez- Ciò che Paci va cercando in questi anni è il metodo
za sensibile, la vita, e dall’altro, il pensiero come auto- rigoroso che gli permetta non solo di superare ogni
coscienza, il soggetto pensante hegeliano. Si può dire, “astratto dogmatismo”, ma anche di non ricadere in
invece, che esiste la mediazione come progressiva quell’esistenzialismo ‘decadente’ (il ‘sartrismo’, come
indagine e continua ricerca e creazione di nuove fun- lo chiama Paci) che annulla la ricerca nella nichilistica
zioni atte a risolvere vecchi problemi e a porre, su un affermazione dell’assurdo, nella “paura della libertà” e
piano più alto, problemi nuovi. nella rassegnazione alla finitudine della conoscenza
“Il porre da un lato la vita e dall’altro la coscienza umana, alle sue esperienze, ai suoi faticosi inizi e rica-
assoluta, come termini inconciliabili che non possono dute16. Paci sembra avvertire e far propria invece l’e-
12. E. Paci, Il pensiero scientifico contemporaneo, cit., pag. 198.
13. Ivi, pag. 199.
14. Ibidem.
15. Ibidem.
16. “Il mio incontro con Sartre non è libresco. Il suo problema era presente in me fin dalla mia adolescenza (...) E’ il problema del
negativo (...) Il mio essere era minacciato” (E. Paci, La negazione in Sartre, in “Aut Aut”, nn. 136-137, 1973, pag. 3). Davanti a questa
minaccia, la risposta di Sartre è stata il suo esistenzialismo ‘negativo’, mentre quella di Paci è stato il relazionismo, sviluppato come
esistenzialismo “positivo”. L’esito filosofico più rilevante consiste nell’aver determinato in Paci un’interrogazione, durata tutta la
vita e che ha coinvolto anche sfere esterne alla filosofia: la psicanalisi, ad esempio, recentemente documentata da Rozzi (Il fenome-
nologo e i territori della psiche, in “Aut Aut”, nn. 214-215, 1986) e dalla Pogatschnig (La trascendenza dell’eros nel pensiero di Enzo Paci,
in “Aut Aut”, nn. 214-215, 1986), e dalla stima e dall’amicizia che legavano Paci a Musatti e a Fornari (cfr. L. Calvi, Paci e la
Daseinsanalyse, in Vita e verità, op. cit., pp.127-137).
82 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

mozionante incompiutezza di ogni ‘nuovo’ inizio, in disponibilità alla visione dell’idea che sembra condurre
quanto “l’uomo è l’unico essere fondante che nel la ricerca?
richiedere il significato di sé fa sì che attraverso di lui “Le operazioni del pensiero (le idee, i modelli, le
il mondo acquisti un senso”17. ipotesi, il ragionamento) sono operazioni che rispetto
Il problematicismo di Dewey è naturalistico, storici- alla situazione iniziale e a quella finale, hanno per
stico e umanistico, commenta Paci, ma non è in alcun carattere di essere simboliche. La ricerca è resa possibi-
modo il problematicismo scettico di una ricerca bloccata le dalle idee, dalle ipotesi e dai ragionamenti, ma que-
fin dagli inizi. Se così fosse la ricerca non sarebbe nem- sti sono possibili perché sono possibili i simboli (...) I
meno posta, in quanto non verrebbe posto adeguata- simboli sono mediazione tra il bisogno e l’appagamen-
mente il problema della ricerca stessa, poiché porre il to, tra il problema e la soluzione, e indicano, pur essen-
problema significa “preparare i mezzi per la soluzione, do essi stessi operazioni, le operazioni che si devono
mezzi, cioè, per passare da una situazione problemati- fare per risolvere il problema. Se da un lato poniamo
ca ad una situazione risolta, per raggiungere un’asser- l’esigenza e dall’altro la soluzione, se da un lato ponia-
zione, fondata e giustificata dalla ricerca stessa, che apre la mo l’immediatezza della vita, e dall’altro l’organizza-
via a nuovi problemi”18. zione della vita in un’unità razionale, solo il simbolo
Si sta dicendo che la determinazione di un ‘pro- permette la mediazione e cioè l’indagine. In realtà quei
blema’ è già l’inizio della soluzione; Wittgenstein due punti di partenza e di arrivo non esistono isolati,
sarebbe d’accordo ad inquadrare così il problema ma sono nella concretezza della storia che è continua
paciano della domanda: ossia sosterrebbe che se non si ricerca di nuove mediazioni e di un nuovo equilibrio.
può dare alcuna risposta è solo perché la domanda è In tal modo l’indagine è concreta. Come è un operare
impossibile da porre, e non perché è mal posta o dif- fisiologico e biologico, che ristabilisce un equilibrio e lo
ficilmente formulabile: il problema, in quel caso, perfeziona, così è un’operare comune ad ogni attività
non ha senso. Invece, insiste Paci sulla scorta di umana, al lavoro e alla produzione, all’organizzazione
Dewey, un problema si chiarisce con l’osservazione tecnica e a quella sociale”19.
dei ‘fatti’ che caratterizzano una (in)determinata Crediamo che in questo passaggio sia espresso
situazione. Ciò che si presenta in seguito è un insie- l’essenziale del relazionismo paciano. Ossia, è possi-
me di soluzioni possibili al problema, o meglio delle bile rintracciare tutto ciò che della lezione di Dewey
idee o visioni delle possibili soluzioni. Significa, pos- Paci ha trovato affine al proprio pensiero, maturato
siamo aggiungere, rendersi disponibili alla visione con l’esistenzialismo e convertito nella filosofia
del ‘problema’ e della ‘soluzione’: il soggetto che si della relazione: il bisogno, “l’organizzazione (e quin-
pone un ‘problema’ scientifico è un soggetto “scienti- di la comunicazione) tecnica e sociale”, il lavoro, l’e-
ficamente atteggiato”. Ma cosa permette questa quilibrio da ripristinare in un “nuovo equilibrio”20

17 E. Paci, Fenomenologia e Antropologia, La Goliardica, Milano 1962, pag. 190. Il nucleo di tutta la ricerca filosofica di Paci si può
rintracciare in una tensione essenziale molto semplice: “la tensione tra la filosofia come catena di risposte inevitabili alle domande
ineludibili e ai nostri umani dilemmi in quanto abbiamo una vita finita da vivere e la particolare intrattabilità e irresolubilità filo-
sofica dei problemi che riconosciamo come tali, dato il tipo di esseri che siamo, esseri con vite finite da vivere. In altri termini: la
filosofia è tanto inevitabile quanto impossibile. (...) Se la filosofia tende a formulare argomenti per rispondere e risolvere i problemi
che abbiamo, il senso dei problemi svanisce. Come ha scritto Paul Valéry (caro a Paci): “in genere un problema filosofico non può
precisarsi senza decadere”. La ‘perfezione’ non è posta nel ‘tutto’, ossia in un’irraggiungibile unità ‘perfetta’ ed ‘assoluta’, bensì è
propria della ‘parte’, ossia dell’esperienza ‘vera’, luogo della verità e di tutte le verità possibili che accadono nel finito dell’esistenza
che ci tocca comprendere. In questo senso, l’esistenzialismo relazionistico e positivo di Paci ha indicato la giusta ‘via’ per una riflessio-
ne nuova (una fenomenologia dell’esistenza intesa come ‘relazionismo’), capace di comprendere il tradizionale umanismo metafisi-
co e, al tempo stesso, prenderne problematicamente le distanze; (mettendone in luce le problematiche teoriche, ma senza l’illusione
di averle ‘superate’: Paci fu essenzialmente un maestro del domandare, del porre incessantemente ‘problemi’).
18 E. Paci, Il pensiero scientifico contemporaneo, cit., pag. 199.
19 Ivi, pp. 200-201.
20 La vita, commenta Paci in una nota alla Logica di Dewey, è possibile “in quanto riacquista quello che consuma. Bergson lo vede-
va addirittura come ricostruzione di forza vitale in relazione al principio di Carnot. Vivere significa consumare e degradare l’ener-
gia, significa quindi accumulare entropia. Ciò crea bisogni che devono essere soddisfatti e vengono infatti soddisfatti con il cibo.
“Ogni processo della natura è un aumento di entropia: un organismo vivente aumenta la sua entropia e così tende ad avvicinarsi
allo stato pericoloso di entropia massima che è la morte”. Per ristabilire l’equilibrio, e un equilibrio sempre nuovo, bisogna “che
l’organismo riesca a liberarsi dell’entropia che non può fare a meno di produrre” (cfr. E. Schrödinger, Che cosa è la vita ?, trad.
Ageno, Sansoni, Firenze 1947, pp. 101-102). Schrödinger tenta di spiegare dal punto di vista della fisica quantistica i fenomeni della
vita e cerca quindi di avvicinare i risultati della fisica e quelli della biologia. Per Dewey la ricerca è anche lotta contro l’invecchia-
ALESSANDRO SARDI 83

(che rimanda ai concetti chiave della temporalità Tempo e relazione, Paci afferma che “una parola è
irreversibile e del ‘consumo’). Niente si dà come iso- un mezzo. Nella società contemporanea diventa
lato. Ogni fatto, ogni cosa, ogni essere concepibile un fine. Una cosa è sempre un mezzo per un’altra
nella mediazione simbolica, ossia nell’immagine signi- cosa. Nella società contemporanea la cosa che
ficativa che con-figura un senso all’espressione, al diventa fine è il possesso, l’oro. La parola e la
discorso, alla ‘visione’ del mondo (e in questo cosa sono feticizzate. Ogni tentativo di porre in
ritroviamo la matrice filosofica vichiana), si costi- un atto, in una parola, la soluzione di tutto (...) è
tuisce ed è possibile solo in virtù della ‘relazione’. idolatria” 22 .
L’indagine stessa, qualsiasi argomento affronti, è Il senso dell’eterno nell’uomo, osserva Paci in
mediazione, dove mediare significa anzitutto rela- un’altra opera, è l’armonia della comunicazione,
re, mettere d’accordo relazionando qualcosa, al ossia “la perfettibilità della relazione”. Il demonia-
fine di risolvere un dualismo che a Paci urge co è invece l’estrema posizione negativa della
affrontare come il lascito critico e per questo irrisol- mancanza di comunicazione e della solitudine, del-
to della ‘metafisica’. l’autoerotismo, dell’unità che si chiude e si ango-
Le operazioni simboliche altro non sono che il scia a causa della comunicazione negata all’alterità
linguaggio, ogni tipo di linguaggio. Secondo che rifiuta, rifiutando così anche la libertà: “l’estre-
Dewey, l’uomo è una realtà ‘naturale’ e ‘biologica’ mo rifugio del demoniaco è il silenzio” 23 .
e come tale egli perde un equilibrio e tende a In questo senso, il filosofo deve passare da una
riconquistarlo: la vita è una continua ‘tensione’ tra posizione più teoreticistica ad una più storicistica
squilibrio, bisogno e ristabilimento di equilibrio. ed antropologica, orientandosi verso un filosofia
Da tale esigenza, o bisogno, dipende il fine della “indiscreta”, distruttrice di dogmi ed illusioni,
ricerca: il ‘materiale’ per ristabilire le condizioni di capace di condurre l’umanità sulla strada della
equilibrio. L’uomo però, è già inserito in un ricerca, verso “un mondo nuovo, che abbia
ambiente sociale, nel quale i segni (già presenti) si senso”, che sia cioè orientato verso un telos, sul
trasformano in linguaggio organizzato e simboli- cammino infinito della conquista dell’autentica
co: il bisogno biologico, esistenziale, prepara il umanità. Paci riconosce a Dewey il merito di aver
“comportamento segnico e il linguaggio”, dove ricondotto i problemi del linguaggio e della logi-
l’ambiente sociale e culturale “determina il pas- ca (e quindi tutti i problemi impostati dalla scien-
saggio dal biologico al logico. Il linguaggio è tutto za che hanno nel linguaggio ‘comune’ e nella
ciò che è segno ed espressione: sono compresi in logica la loro ‘condizione’), ai loro fondamenti
esso non solo la mimica, ma anche i riti, le cerimo- biologici e sociali.
nie, i monumenti, i prodotti artigiani e le opere “La scienza e l’unità sono riferite alla loro fun-
d’arte. La funzione e il carattere che Dewey attri- zione umana. Il compito scientifico di cooperazio-
buisce al linguaggio, in senso moderno e scientifi- ne unitaria è assolto dalla Enciclopedia della scienza
co, sono quelle che già aveva scoperte e indicate il unificata di cui si è parlato, per la quale il Dewey
genio di G.B. Vico” 21 . ha scritto il saggio: La scienza unificata come proble-
Ma Paci è anche consapevole dei rischi che la ma sociale. La scienza diventa un mezzo di indagi-
comunicazione comporta, anche se afferma che ne, di cultura, di civilizzazione, di fondazione di
qualsiasi rischio sarà sempre meno negativo di una nuova libera organizzazione sociale. Da ciò il
una mancanza di dialogo che confina la filosofia, neoilluminismo umanistico della scuola di Chicago
la scienza, e l’arte nel loro splendido isolamento ispirato dalla vitalità, dall’ampiezza, dalla ricchez-
senza rapporti con la ‘concreta’ vita storica e socia- za intellettuale, dall’aperta e generosa opera di
le. Uno dei rischi ai quali Paci allude è l’idolatria. Dewey, maestro di cultura, di scienza e di vita a
In un’opera fondamentale degli anni Cinquanta, tutto il mondo” 24 .

mento, l’entropia e la morte. Il processo logico della ricerca è un fatto analogo al processo della vita biologica e in sostanza è la ricer-
ca di nuove forme di equilibrio e di vita” (E. Paci, Il pensiero scientifico contemporaneo, cit., pp. 206-207). E’ evidente l’analogia tra vita
e ricerca, ossia la vita come costante ricerca che non può terminare, appagarsi, ma sconta fino alla fine la ‘lotta’ per il senso. Solo in
questa direzione l’umanità trova, secondo Paci, il suo scopo e la sua dignità.
21 Ibidem.
22 E. Paci, Tempo e relazione, Il Saggiatore, Milano 1965, pag. 103.
23 Cfr. E. Paci, Kierkegaard e Thomas Mann, introduzione di S. Zecchi, Bompiani, Milano 1991, pag. 187.
24 E. Paci, , cit., pag. 203.
84 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

IL FILOSOFO E IL DRAMMATURGO:
ENZO PACI E THOMAS MANN,
STORIA DI UNA CORRISPONDENZA

R iproduciamo alcune lettere tra quelle che il


celebre romanziere e drammaturgo tedesco
scrisse a Paci nel 1950. La seconda, del 12
Agosto, in particolare, è la più nota perché fu pubbli-
cata in apertura al primo numero di Aut Aut
un po’ vergognare, perché il mio zelo e la mia caute-
la nell’affrontarle sono molto minori, specialmente
quando si tratta di testi in lingua straniera, il che però
non si oppone al nesso interiore che forse sussiste fra
la mia opera e tutto questo mondo che Lei domina in
(Gennaio 1951, ristampato nel numero 305-306 di modo cosl compiuto. Joyce, per esempio, mi è inac-
Settembre-Dicembre 2001). I testi vengono riprodotti cessibile direttamente, ma su di lui ho letto molto in
da Thomas Mann, Lettere a italiani, introduzione e inglese, traendone l’impressione di avere con lui una
commento di Lavinia Mazzucchetti, Il Saggiatore, certa affinità di destino artistico. Le Storie di Giuseppe
Milano, 1962 (pp.80-86); le brevi introduzioni in cor- non sono tanto lontane dall’Ulisse come si potrebbe
sivo sono trascrizioni delle testimonianze fornite da credere osservando il modo più conservatore dei
Paci alla curatrice. mezzi espressivi, il loro più forte legame con la tradi-
zione e la conseguente maggiore leggibilità.
Superfluo dire che Le sono sinceramente grato per
«Nel luglio del 1950 scrissi a Thomas Mann annun- il profondo e sottile esame in ambedue i Suoi saggi
ziando l’inizio della pubblicazione della rivista “Aut Aut”. dei miei rapporti con la musica e la filosofia.
Gli inviai intanto il mio libro Esistenza ed immagine che Leggendo io provavo un’alta gioia al pensiero che in
conteneva due saggi su di lui. Nella mia lettera gli ponevo Italia vengono diffuse idee così acute e penetranti
alcune domande di tono soprattutto filosofico a proposito sulla mia esistenza spirituale. Senza dubbio Lei
della genesi e del significato del Doktor Faustus. Mi avrebbe saputo dire cose non meno buone e precise
rispose con una lettera cominciata a St. Moritz e finita a intorno al Faustus se già fosse esistito - meglio di
Zurigo. In realtà le domande avevano un carattere troppo quanto io non sappia rispondere alle domande da Lei
accentuatamente teorico. Gli ultimi miei saggi si riferiva- proposte. Non posso impegnarmi nella replica punto
no da un lato all’interpretazione da me tentata in uno per punto, specie perché non capisco in modo perfet-
scritto del 1935 (cfr. L’ultimo Th. M., “La nuova Italia”, to il senso di alcune di queste domande. Bisogna
agosto-ottobre 1935) delle prime due parti del Giuseppe, prima di tutto tener presente che trattando di questo
ma dall’altro sviluppavano tale interpretazione per i rap- libro, col quale si chiude un circolo iniziato con i
porti dell’opera manniana con la filosofia e con la musica.» Buddenbrook, si discute un’opera di poesia, difficile da
scomporre concettualmente per trarne un discorso
puramente filosofico.
Saint Moritz, Suvretta, 8 agosto 1950

Egregio signor Paci, Zurigo, 12 agosto 1950


ho ricevuto la Sua gentile lettera e il Suo libro
Esistenza ed immagine. La notizia che Lei sta iniziando Fui interrotto da un mutamento di luogo e poiché il
la pubblicazione di una rivista mi ha molto interessa- mio viaggio proseguirà presto dovrò essere conciso.
to. Certo, data la situazione attuale, è un rischio, ma La prima idea del Faustus fu quella di un’arte
rischio meritorio, al quale si deve di cuore augurare il che, minacciata di frigidità e sterilità, cerca di libe-
successo. rarsi dalle inibizioni. L’ebbrezza potenziale necessa-
Quanto al Suo libro, non potrà ammirare abbastan- ria a tal fine (il concetto di potenziamento risale alla
za la vasta conoscenza delle correnti letterarie moder- Montagna incantata) mi si presentò subito come
ne e delle personalità europee che esso rivela. Mi fa patto con il diavolo. La inibizione era, ben inteso, di
PACI - MANN 85

natura intellettuale. Si trattava di un tipo di artista sofferenza dell’epoca. Certo anche Nietzsche è un
che, a rigore, è troppo intellettuale per l’arte, come momento del destino tedesco e il romanzo è in gran
risulta chiaro dalla lettera che Adrian scrive da parte un romanzo su Nietzsche. I particolari desun-
Halle al suo maestro Kretzschmar a Lipsia, in cui la ti, inscenati, citati, sono evidenti. Tutta l’idea di
sua attitudine al riso si presenta non solo quale sfondare con l’aiuto del diavolo, e cioè con l’aiuto
acuta intuizione del come si fa, ma anche nella con- dell’infezione, della malattia che rende geniali,
fessata tendenza a sentire proviene dalla leggen-
ogni arte soltanto come paro- da nietzscheiana.
dia di se stessa. Che però nemmeno
Qui l’inibizione intellet- la definizione di
tuale acquista un significato romanzo nietzscheia-
ultrapersonale: l’individuale no esaurisca l’essenza
diventa una caratteristica del libro, sta nel suo
dell’epoca. Si tratta del logo- ca-rattere di opera
ramento, dell’esaurimento autobiografica, nell’es-
dei mezzi artistici, e del vico- sere una confessione
lo cieco in cui oggi una religiosa così profon-
mente acuta vede l’arte e in damente conturbante
primo luogo la musica; della da costarmi quasi la
crisi in cui si trova non sol- vita - l’autobiografi-
tanto la musica ma la civiltà smo poi, molto meta-
intera; della grande incertez- foricamente, viene
za di un mondo nel quale complicato dalla misti-
«tutto è diventato troppo dif- ficazione per cui l’au-
ficile » ed è quindi ovvia la tore si scinde nel pro-
tentazione di stringere un tagonista e nel narra-
patto con il diavolo per arri- tore: due diverse per-
vare a sfondare. sone che sono tuttavia
Il periodo di formazione una sola. Lei ha ben
del romanzo portò con sé ragione di dire che l’u-
l’ampliarsi della sua idea manesimo di Zeitblom
fondamentale alla politica. non è interamente il
L’ebbrezza necessaria per mio. Una certa parte di
liberarsi dalle inibizioni esso è pura comicità -
appare come intossicazione l’umorista che è in me
fascista dei popoli; il destino ha del resto inventato
di Adrian diventa sino ad un il trucco di personifi-
certo punto il destino della care il demoniaco
Germania - del resto, fin dal- mediante una figura
l’inizio, e molto caricato il tutt’altro che demonia-
germanesimo del romanzo Lo scrittore Thomas Mann (1875-1955) ca, facendone interpre-
(quasi come nei Maestri can- te un professore scon-
tori) e il libro tiene sempre, volto e commosso.
per cosl dire, un piede nel ‘500 tedesco. In molti Io sono infatti umorista anche in questo tenebro-
particolari (l’ingegno svelto di Adrian, la Oratio ad sissimo libro, il cui pessimismo è imposto dai tempi
studiosos, ecc.), deriva dal libro popolare tedesco e in cui l’antiumanesimo è dolore per lo sviamento e
del Doktor Faust e ad esso allude. Nel suo aspetto la rovina dell’Homo Dei. Oppure, potrei dire come
linguistico l’episodio dell’epifania e della morte più volte si dice nel Sogno di Strindberg: « E’ un pec-
del piccolo Echo risale, per approfondire la pro- cato proprio per l’uomo! »
spettiva, al di là del tedesco di Lutero, sino al Basta. Voglio dire: troppo e troppo poco. Perdoni il
medio-alto-tedesco. troppo e si accontenti del troppo poco! La ringrazio
In complesso non mi piace che si prenda generi- della Sua partecipazione spirituale e Le faccio i più
camente Adrian Leverkuhn come un’allegoria della cordiali auguri per la prosperità di «Aut Aut».
Germania. Perché possa esserlo è troppo indivi-
duo, sia pure rappresentativo, è troppo « eroe del Suo
nostro tempo », un uomo che regge sulle spalle la Thomas Mann
86 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

Pacific Palisades, 15 novembre


1950

Egregio signor Paci,


La ringrazio di cuore per la lunga
lettera tanto ricca di idee che Lei mi
ha scritto. Volesse Iddio che avessi
tempo ed energie in eccedenza,
bastanti a replicare in modo degno a
tutte le lettere buone e notevoli che
ricevo da ogni parte! (il mondo è
diventato piccolo e nella mia corri-
spondenza figurano ormai anche
l’India e il Giappone). Ho appena ter-
minato un romanzo breve, leggenda-
rio, che si svolge nel Medioevo, e non
sono soddisfatto dell’ultima scena che
dovrei rifare. Ma non lo posso perché
prima debbo preparare una conferen-
za su Bernard Shaw, che dovrò legge-
re nel Terzo Programma della British
Broadcasting Corporation. E’ una
situazione davvero penosa e senza
volerlo casco a parlarne a Lei invece
di riferirmi alla Sua lettera, le cui con-
siderazioni mi toccano così da vicino.
Credo però che Lei anticipi qualcosa
che vorrà sviluppare ulteriormente
nel progettato saggio sul Faustus:
posso dirLe soltanto che attendo con
gioia questo Suo lavoro. Molto proba-
bilmente sarà scritto in italiano, ma
non importa. In verità non parlo più
la Sua lingua (a vent’anni la parlavo
altrettanto bene, o altrettanto male, di
come oggi parlo l’inglese): ma non mi
riesce difficile leggere l’italiano - spe-
cialmente quando si tratta di cose che
mi riguardano.
Thomas Mann Mi sono annotato molti punti della
Sua lettera, specie dove Lei parla del
giovane amico che le regalò la Melancolia di Durer e
«Ai primi di novembre del 1950 scrissi di nuovo a che si sottrasse alla vita. Divido il Suo dolore per lui.
Thomas Mann su vari argomenti. Nella lettera accen- Non sono passati ancora due anni da quando perdet-
navo alle letture mie e dei miei compagni ai tempi del- ti il mio figlio maggiore Klaus, uno scrittore molto
l’università, e ricordavo l’amico Gian Antonio Manzi, dotato che si e dato volontariamente la morte. Non
suicidatosi il 17 maggio 1935, mentre preparava il suo poteva vivere in un mondo come quello di cui Lei
lavoro di laurea dedicato a Mann. Tra gli altri argo- parla nella Sua lettera dicendo cose molto vere.
menti toccava il problema della difficoltà della ricerca Ho anche notato ciò che Lei dice di una vita senza
filosofica e della facilità con la quale essa si trasforma l’illuminazione del pensiero, del riscatto della libertà
in posizioni contingenti e dogmatiche. II racconto che e della costrizione di un sistema filosofico definitivo,
Thomas Mann dice di avere appena terminato è in breve del dogmatismo, che è adatto per tutti colo-
l’Eletto. Parlavo anche di un saggio sul Faustus che, ro che temono lo sforzo della liberta . . .
nella forma promessa a Thomas Mann, non ho ancora Suo
portato a termine.» Thomas Mann
CARLO SINI 87

ENZO PACI E LA VITA DELLA VERITÀ

di Carlo Sini

P iù volte la questione della verità è posta al


centro della riflessione nell’opera di Paci.
Per lo più Paci sottolinea il carattere
“intenzionale” della verità, cioè il suo incarnarsi
“fenomenologico” in un telos per sua natura sempre
del sapere e un’indicazione di un limite nella ricerca
particolare” (p. 77). Paradossale è dunque quella veri-
tà che pretenda di incarnarsi in una forma definitiva,
oppure di limitarsi ai settori “ontici” della specializza-
zione, senza porre il problema “ontologico” del fon-
rinnovato e rinnovabile. La verità è immer wieder un damento veritativo dei saperi. Il genuino sapere filo-
compito, e proprio per ciò un compito infinito. Negli sofico non propone un superamento del paradosso in
ultimi anni però Paci insisteva prevalentemente sulla un preteso sapere superiore o sapere “metafisico”; il
espressione “vita della verità”: un’insistenza a suo sapere filosofico persegue l’ideale dell’unità del sape-
modo innovativa, e nondimeno iscritta in un ritorno re in quanto ne tiene aperto il varco, ne custodisce il
a temi molto più antichi della sua meditazione. transito, traducendosi sostanzialmente in una “pras-
Cerco di documentarlo qui con un riferimento a due si” (in una “paideia”, dice qui Paci). Questo momento
scritti molto lontani tra loro: il primo del 1951; il pedagogico della filosofia è appunto il suo nesso con
secondo, vent’anni dopo, del 1971. una verità storicamente incarnata, ma anche mai sto-
Nei Fondamenti di una sintesi filosofica (“Aut Aut”, ricamente esaurita.
Milano 1951) Paci pone, sin dalla introduzione che Veniamo ora al 1971. Nel terzo fascicolo di “Aut
apre le 84 pagine del libretto, la questione della sto- Aut” di quell’anno, nella rubrica “Il senso delle
ria intesa come “permanenza ed emergenza” (p.7). E parole”, da tempo divenuta celebre, Paci affrontava
spiega: “essere nella storia vuol dire essere nella direttamente il tema “Storia e verità”, con un esplici-
forma-metamorfosi, nel permanere e rinnovarsi della to ritorno al tema della prassi e con un superamento
forma secondo una legge che perfeziona sempre se del neokantismo in direzione di un ripensamento di
stessa: è trasformare la direzione irreversibile in Hegel (e di Marx): “La legge, nel neokantismo, è
valore”. La forma in un certo senso permane e allude forma. Il finale hegeliano Šdella Fenomenologia dello
a una verità sovrastorica; ma questa allusione, si spirito vuole invece far vedere come l’idea è vita in
potrebbe dire, è solo una metà del vero; l’altra metà quanto ricongiunge la storia e la sua comprensione”
è la continua metamorfosi, la necessità per la forma (cfr. E Paci, Il senso delle parole. 1963-1974, a cura di
di incarnarsi nella temporalità diveniente dell’esi- P.A. Rovatti, Bompiani, Milano 1987, p.249).
stenza. Ne deriva che anche il concetto di verità deve La nozione di “vita della verità” trova, in tale con-
intendersi come affetto da questa duplice valenza, testo, una sua precisa definizione. Scrive Paci: “La
del permanere e del mutare, del formalismo astratto visione in noi guida la praxis che non è mai tale da
e della metamorfosi concreta. giungere all’assoluto, così come noi non possiamo
Proprio questa consapevolezza caratterizza il con- mai dire di possedere la verità. L’approfondimento
tributo della filosofia al sapere e alla enciclopedia della fenomenologia, in rapporto a Hegel e a Marx, ci
delle scienze. Scrive Paci: “Ogni ricerca in un campo fa capire che l’idea-visione, l’idea-telos, agendo e
particolare e secondo un dato orizzonte tende, al limi- fungendo in noi, può farlo proprio perché non è mai
te, al paradosso. In genere il paradosso indica il punto conquistata e perché rimane sempre uno scarto tra
estremo nel quale viene formalmente esaurita la strut- l’idea che vive in noi - cioè tra il vivere della verità -
tura di un orizzonte e si impone quindi la necessità e il suo possesso. Non è possibile trasformare l’idea
della ricerca di un altro orizzonte. Fenomenologicamente il in proprietà. Eppure, per molti aspetti, l’esperienza
problema si può presentare, ed è stato presentato, economica pretende proprio di possedere l’idea, sia
come problema delle ‘ontologie regionali’. Al di fuori pure in un simbolo o in una rappresentazione. La
dello schema fenomenologico è un richiamo alla unità maggioranza degli uomini suggerisce che il simbolo
88 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

della vita è il denaro e che possedere il denaro è pos- rimette, a mio parere, in questione la nozione tradi-
sedere qualcosa che ha in sé la verità. In realtà qui il zionale di storia e di storiografia, nonché la figura
possesso è idolatria e il denaro è proprio, se ontolo- moderna della enciclopedia del sapere, totalmente
gizzato, il simbolo dell’idolatria. La feticizzazione arresa alla superstizione idolatrica del “realismo
delle merci corrisponde all’idolatria, come Marx fa naturalistico”. Dice Paci: “Se la verità è il telos del
intendere osservando che la feticizzazione stessa è processo fenomenologico, essa non è mai, tuttavia,
legata a sottili problemi teologici” (ivi, pp.248-9). identificazione tra realtà e verità. La differenza è pro-
I riferimenti all’economia mostrano l’attualità per- priamente la storia, e la vita della storia, proprio per-
durante delle questioni che Paci sollevava. Nel con- ché è attuazione della verità, o allontanamento da lei,
tempo la sua insistenza sulla verità come vita e praxis non è mai vera in assoluto” (ivi, corsivo mio).

Enzo Paci

CARLO SINI è ordinario di “Filosofia Teoretica” presso l’Università degli Studi di Milano ed è membro
dell’Accademia dei Lincei e dell’Institut International de Philosophie. La sua ricerca, si è concentrata su problema-
tiche di semiotica, grammatologia per culminare in una originale proposta etica che ruota intorno ai temi della scrit-
tura e delle pratiche. Tra i numerosi titoli che ha pubblicato ricordiamo: Idoli della conoscenza (2000), Etica della scrit-
tura (2000) e l’Enciclopedia Transito Verità (2004-2005). Dirige inoltre la collana di filosofia “Lo spoglio dell’occiden-
te” presso l’editore Jaca Book e la collana “Come pensare” presso Spirali.
CARLO SINI 89

ENZO PACI E LA SCUOLA DI MILANO


I maestri, i colleghi, gli allievi
in un’intervista a Carlo Sini*

a cura di Federico Leoni

[Federico Leoni] Ho così come egli le vive e le pratica, tre cose almeno mi
incontrato Carlo Sini sembrano importanti e meritevoli di un commento. La
chiedendogli una testi- prima, la più diretta ed evidente, è la questione bio-
monianza e una rifles- grafica e, attraverso la questione biografica, quella
sione sull’avventura storica: il clima della cosiddetta “scuola di Milano”, la
della fenomenologia figura del suo fondatore Banfi, il suo bagaglio intel-
italiana, sul suo percor- lettuale in gran parte tedesco; le sue frequentazioni di
so storico, sulle sue inizio secolo, i rapporti con Georg Simmel e la filoso-
poste in gioco, passate e fia della vita, la vicinanza a Husserl; e poi una serie di
attuali. Sini è stato allie- altre vicende che non saranno prive di conseguenze
vo e poi assistente di sulla fenomenologia di Paci e sul panorama culturale
Enzo Paci, che fu tra i italiano dei decenni successivi: la diffidenza riguardo
maggiori esponenti del- a Heidegger, l’incontro con il marxismo…
Carlo Sini l’esistenzialismo italia-
no e, più tardi, fu prota- [Carlo Sini] Antonio Banfi ha avuto il merito, che
gonista della “rinascita”, italiana e non solo italia- tutti gli riconoscono, di portare in Italia in modo pro-
na, della fenomenologia. Proprio dal maestro del fondo, non come semplice fatto di trasmissione cultu-
suo maestro, il milanese Antonio Banfi (Vimercate rale ma come rielaborazione anche originale, alcune
1886 – Milano 1957), prendo le mosse discutendo correnti della filosofia tedesca, muovendo da una
con Sini. Ho con me lo splendido Diario fenomeno- posizione sua personale che si potrebbe definire neo-
logico di Paci, scelta di vere e proprie pagine di dia- kantiana. Banfi era allievo di Piero Martinetti, come
rio, specchio fedele di una molteplicità di scoperte e pure Emanuele Barié, che insegnava a sua volta a
interessi filosofici e culturali, di incontri, letture, Milano. Barié conobbe una sua evoluzione in senso
spunti di pensiero. Esemplare per più motivi è, tra neoidealistico, assumendo una posizione molto auto-
questi incontri, quello avvenuto nei primi anni noma e interessante, anche se rimasta un po’ in
Trenta tra il giovanissimo Paci e il già affermato ombra nel panorama successivo della filosofia, men-
Banfi, che queste pagine rievocano vividamente tre Banfi proseguì l’ispirazione di Martinetti in dire-
trent’anni più tardi. Paci aveva chiesto a Banfi, si zione di una filosofia della cultura. Tra i suoi interes-
legge nel Diario, che cosa fosse la fenomenologia, e si – il neokantismo, Simmel… – ebbe modo di incon-
per tutta risposta Banfi aveva chiesto a Paci di trarsi anche personalmente con Husserl, negli anni in
descrivere il vaso di fiori che stava lì, davanti ai loro cui la fenomenologia viveva un momento di grande
occhi. Ecco allora che Paci abbozzava una prima successo. Quella incontrata da Banfi è quindi la feno-
descrizione del vaso, Banfi dubitava che davvero menologia del primo Husserl, quello delle Ideen, ed è
nulla di essenziale fosse stato dimenticato, che questa fenomenologia che anzitutto trasmise in Italia,
nulla di troppo fosse invece stato inavvertitamente pur senza aderire mai personalmente ad essa in
aggiunto, Paci quindi ritentava... Insomma, un vero maniera tematica, pur senza mai sviluppare una pro-
e proprio “esercizio fenomenologico” in atto. spettiva propriamente fenomenologica. Non fu lonta-
Ora, in questo passo, in questo “inizio” che Paci no, però, da posizioni in qualche modo poi raggiunte
tanti anni più tardi assegna a sé come filosofo, come da Paci, che coniugò anni più tardi marxismo e feno-
fenomenologo, e alla filosofia e alla fenomenologia menologia. Banfi si avviò sempre più chiaramente

* L’intervista compare originariamente in “Le Cercle herméneutique”, n. 1, Paris 2003, e viene qui riprodotta in forma ridotta per gen-
tile concessione dell’autore, del curatore e del direttore della rivista, Georges Charbonneau, che la redazione di Chora ringrazia sentita-
mente. Il titolo dell’intervista qui proposto non corrisponde all’originale.
90 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

verso il marxismo, fu un senatore del Partito comuni- zione gioca in Paci, e probabilmente anche in Banfi,
sta, e in questo Paci e Banfi furono abbastanza vicini. almeno per certi aspetti, quel ruolo che Husserl stes-
Ora, quello che Banfi ha inteso della fenomenologia so aveva indicato quando sosteneva che “i veri posi-
di Husserl è complicato a dirsi e forse, quanto alla tivisti siamo noi”. Che significa infatti questa rivendi-
fenomenologia, non decisivo. Più interessante e deci- cazione di positivismo? Che noi, noi fenomenologi,
sivo è quello che ne ha tratto Paci. Il quale veniva dice Husserl, non costruiamo una teoria dell’espe-
però, questo va detto, sostanzialmente da una forma- rienza, ma, diciamo così, andiamo direttamente all’e-
zione basata su studi platonici. A Platone era dedica- sperienza, andiamo direttamente all’impatto con la
ta la sua tesi di laurea, incentrata in particolare sul cosa stessa, ci esponiamo all’incontro con essa.
Parmenide, e a partire da Platone, direi, avviene il Naturalmente, come Heidegger faceva notare in
suo incontro con la fenomenologia. C’è, in Paci, sin Essere e tempo, non si tratta, qui, di una descrizione
dalla giovinezza, l’idea di una filosofia altamente empirica. Non si tratta di descrivere al modo di una
problematica, incentrata sulla domanda più che sulla scienza empirica come la biologia o la zoologia. La
risposta. Una filosofia socratica, aporetica. È il descrizione dell’impatto del fenomeno e col fenome-
Platone socratico che interessa a Paci. Una filosofia no deve mirare alla forma, all’essenza, a quello che è
che da un lato si faccia carico dell’intera complessità costitutivo del fenomeno.
dei problemi della società, della politica, dell’arte,
della vita… In questo, Paci era buon discepolo di
Banfi. Mira a una filosofia fortemente asistematica, E qui, in questo ritorno ai fenomeni, cominciano,
fortemente antiintellettualistica, che rampolli, dicia- mi pare, tutti i problemi...
mo così, dall’esperienza della vita, e che faccia della
verità, per usare una formula che Paci usò dal tempo Incominciano tutti i problemi, certo, perché questo
della sua giovinezza sino alla conclusione del suo iti- tornare all’ingenuità dei fatti è un tornare tutt’altro
nerario speculativo, una vita della verità. Direi quin- che ingenuo. È anzi gravato di teoria, gravato sostan-
di che l’insegnamento di Adolfo Levi, che Paci seguì zialmente di una serie di paradossi che peraltro
a Pavia, è il fondamento nascosto della sua compren- accompagnano Husserl per tutta la vita – come è
sione della fenomenologia, in quanto ritorno alle stato detto, tutte le sue opere sono delle “introduzio-
radici della filosofia: alle radici socratico-platoniche ni” alla fenomenologia, a cui quindi non si arriva pro-
della domanda filosofica, a monte della sua caduta priamente mai... Husserl riformula continuamente il
nel sistema, nella dialettica del sistema. Paci era un suo metodo, proprio perché il metodo, che è quello
platonico e non un aristotelico, se si può dire così. Era della descrizione, pone una quantità di problemi ster-
un husserliano e non un hegeliano, anche se dedicò minata. È celeberrima la dichiarazione di Husserl
studi molto interessanti ad alcuni aspetti di Hegel. morente, che, parlando della sua ultima opera desti-
nata a rimanere incompiuta, la Krisis, dice di avere
finalmente trovato “un piccolo inizio”, di essersi
La seconda questione che mi sembra interessan- finalmente rifatto “interamente a se stesso”. Ora, Paci
te, in questo passo del Diario, e che ne fa appunto ha insistito continuamente su questo aspetto della
qualcosa di emblematico della fenomenologia, e fenomenologia, e questo è uno dei suoi apporti più
della fenomenologia di Paci in particolare, è quella fecondi alla scuola fenomenologica, anche perché
della descrizione. Forse proprio questo carattere di non ha mai ritenuto che la descrizione fosse un meto-
problematicità della domanda filosofica, questo do da assumere in forme canoniche, e la stessa espo-
platonismo anziché aristotelismo, come lei diceva sizione che Paci ne faceva, nelle lezioni come nei suoi
poco fa, hanno a che vedere con tutto questo. Nel scritti, non era affatto canonica, era molto libera,
momento in cui Paci racconta questo “inizio” della molto inventiva, non si sarebbe mai potuta ridurre a
sua fenomenologia, lo situa in quella dimensione, delle regole fondamentali.
in quell’esercizio che è l’esercizio o la dimensione
descrittiva. Di che si tratta? Certo di qualcosa che
non è così comune, così ovvio, così scontato in filo- Vengo alla terza questione che, mi pare, si radica
sofia. La filosofia fa molte cose: teorizza, deduce, nel passo del Diario di Paci che prima ricordavo. È
analizza, dimostra, argomenta, confuta… Perché, la questione, provo a dire così, con un termine cui
invece, descrivere? lei ricorre spesso, della fenomenologia come eserci-
zio, come pratica. C’è, in queste pagine, il gesto
La questione della descrizione, direi anzitutto, la “esemplare” di Banfi, esemplare in ogni senso:
questione che è molto felicemente esposta nell’episo- Banfi non si mette a fare un discorso su che cos’è la
dio che citavi dal Diario, rappresenta in qualche fenomenologia, ma mette in atto e mostra in atto,
modo il ritorno all’impatto dell’esperienza. La descri- invita Paci a fare altrettanto: a compiere un certo
CARLO SINI 91

gesto, un certo esercizio, una certa pra-


tica teorica, come Husserl ripeteva, che
è, e che deve sempre essere, consape-
volmente, la fenomenologia.

Sì, Paci era convinto che la descrizio-


ne dovesse essere un esercizio, una
pratica. Insisteva molto sulla questione
della descrizione come esercizio feno-
menologico, come anche Husserl riba-
disce nel modo più eloquente nella
Krisis. La descrizione è da rifare sempre
da capo, immer wieder, come Paci ripe-
teva sempre. Si tratta di riprendere
sempre da capo la descrizione perché
quello che conta, della descrizione
fenomenologica, non è raggiungere
un’ontologia fondamentale, secondo il
progetto che sarà di Heidegger in
Essere e tempo, o anche dello stesso
Husserl nei tre libri della Ideen, che ten-
tano appunto di delineare la fenomeno-
logia come scienza rigorosa, come
strenge Wissenschaft. In Paci di strenge
c’è solo questo perenne ricominciare da
capo come esercizio autoformativo del
soggetto, è questo ciò che conta per lui.
Alle obiezioni heideggeriane, che
ovviamente Paci conosceva molto bene,
contro il coscienzialismo di Husserl, e L’Università statale di Milano
alle obiezioni che sorsero in Italia da intellettuali del tempo, agli altri interpreti e prose-
più parti, circa un certo soggettivismo o idealismo cutori della fenomenologia?
della fenomenologia, Paci rispondeva sempre alla
stessa maniera. Ripetendo, cioè, che non si tratta di Paci non era il solo che si fosse rivolto alla fenome-
una fondazione soggettiva alla Fichte, non si tratta di nologia in Italia. Ai primordi della diffusione della
tornare al soggetto-sostanza, non si tratta di pensare fenomenologia ci furono apporti molto diversi.
a qualcosa come una coscienza, un luogo metafisica- Quello di Sofia Vanni Rovighi, dell’Università
mente salvaguardato dall’errore, dall’empiria, dal Cattolica di Milano, ad esempio, che leggeva la feno-
naturalismo. Non si tratta di questo, ma della costi- menologia husserliana degli anni Venti in termini,
tuzione dello stesso soggetto operante, del soggetto appunto, cristiano-cattolici, come un’ala della scuola
che diventa filosofico in quanto frequenta la descri- husserliana fece a Göttingen, cioè come ritorno alla
zione come esercizio sempre di nuovo ritornante sul filosofia prima aristotelica, come possibilità moderna
problema mai risolto. Era una convinzione fonda- di ricostituire una ontologia, o un insieme di ontolo-
mentale di Paci, che la verità fosse una intenzionali- gie regionali, un sistema di essenze, che avvalorasse
tà di verità, un’idea guida. Non un risultato ma una il progetto di una fondazione metafisica dell’espe-
teleologia, una vita della verità appunto. Questo Paci rienza e della verità. Paci era molto lontano, natural-
lo ha ripetuto moltissime volte, nelle sue lezioni, nei mente, da questo orizzonte, anche se aveva molta
suoi interventi su “aut aut”, in particolare in quegli stima personale per Sofia Vanni Rovighi e anche se ci
interventi che faceva in ogni fascicolo analizzando fu, tra loro, una sincera amicizia filosofica. Un’altra
“Il senso delle parole”, come quella rubrica poi via fu quella battuta da Norberto Bobbio, che più
diventata famosa si chiamava. tardi abbandonò questo genere di studi, ma che fu
uno dei primi testimoni della fecondità del metodo
fenomenologico, soprattutto nella sua applicazione
Ha parlato di obiezioni mosse a Paci. Quali erano alle scienze giuridiche. Un’altra via ancora fu quella
i suoi contatti, i suoi interlocutori più vicini, quali i di Filiasi Carcano a Roma: anche Filiasi Carcano fu
suoi dissensi rispetto agli altri filosofi, agli altri tra i primi, in Italia, a interessarsi a Husserl, benché
92 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

avviandosi poi ad una complessa vicenda che lo ce Heidegger conosceva benissimo pur avendole, da
allontanò via via dalla fenomenologia, portandolo ad un certo momento della sua vita in avanti, gradual-
interessarsi di psicoanalisi. Furono esperienze diver- mente messe in ombra.
se, ciascuna delle quali rispecchiava una possibile let-
tura di Husserl, una differente opzione interna a
Husserl stesso. Nessuna di esse ebbe però, teoretica- Come si pone Paci di fronte a tutto questo?
mente, grande rilievo, e nessuna ha, oggi, interesse se
non in senso storiografico, anche perché vennero Alla fine degli anni Cinquanta, di fronte alla crisi
tutte sormontate, in qualche modo anche cancellate, dell’esistenzialismo italiano ed europeo, di fronte
dall’onda dell’esistenzialismo, dall’imporsi della ver- all’incalzare della questione marxista, della questione
sione esistenzialistica della fenomenologia. Cioè, in sociale o politico sociale, e di fronte, per altro verso,
sostanza, da Heidegger, o dall’interpretazione di al diffondersi del neopositivismo, che giudicava for-
Heidegger che per un certo periodo fu corrente. Lo temente dogmatico, e quindi totalmente estraneo allo
stesso Paci, dopo questo primo spunto fenomenologi- spirito dell’autentica filosofia, Paci ebbe l’idea di un
co vissuto alla scuola di Banfi e in relazione alla visio- ritorno alla fenomenologia. Fu l’avventura di pensie-
ne platonico-socratica della filosofia, si interessò ad ro più grande della sua vita. Ricordò, per dire così,
altro, divenendo anzi uno dei tre grandi esponenti qualcosa che d’altra parte non aveva mai dimentica-
dell’esistenzialismo italiano, con Luigi Pareyson e to, il giovanile interesse verso Husserl che Banfi gli
Nicola Abbagnano. La differenza tra Paci e queste aveva trasmesso, e operò una sorta di meditazione
due altre figure è che sin dall’inizio Paci aveva avuto sul destino della fenomenologia vedendo nell’esi-
un confronto importante con la fenomenologia, che stenzialismo che lui stesso aveva frequentato non
fin dall’inizio la fenomenologia si era intrecciata alla tanto un superamento della fenomenologia o un cam-
sua riflessione. Cosa che non si può assolutamente mino alternativo alla fenomenologia, ma un episodio
dire né di Pareyson né di Abbagnano. Abbagnano del tutto interno e del tutto insufficiente della feno-
veniva da studi di filosofia della scienza, e in quel- menologia stessa. Qualcosa, cioè, che veniva dalla
l’ambito si mosse per tutta la vita, tendendo ad fenomenologia, ma che per molti aspetti ne tradiva
abbracciare una prospettiva anche sociologica, e l’intenzionalità profonda; qualcosa che, soprattutto,
allontanandosi via via dall’esistenzialismo, che cercò ignorava troppo di quello che si suole definire lo
di declinare in una versione positiva, come la definì, Husserl inedito. Fu decisivo, per Paci, l’impatto con i
oggi difficile da accogliere perché derivata da un manoscritti di Husserl, attraverso i contatti con Padre
sostanziale fraintendimento dell’esistenzialismo di van Breda degli archivi di Lovanio, con cui stabilì
Heidegger. Pareyson, invece, molto più solido teore- una collaborazione e un’amicizia molto importanti.
ticamente, veniva a sua volta da un’esperienza filoso- Lo invitò a Milano, ricordo, per una conferenza rima-
fica delimitata in modo molto preciso, fondamental- sta famosa, in cui van Breda ci raccontò, in sostanza,
mente segnata dalla sua fede cristiana e dai suoi studi cosa c’era in quella sterminata raccolta di manoscrit-
idealistici. Pareyson ha sempre pensato l’esistenziali- ti, che Paci iniziò a studiare e a fare studiare invian-
smo di Heidegger piuttosto in rapporto a do a Lovanio alcuni suoi allievi: uno di questi era
Kierkegaard, piuttosto in rapporto a Schelling. Non Giovanni Piana, un altro Alfredo Marini… Iniziò un
ha mai colto l’esistenzialismo nel suo nesso con la ampio lavoro di ripensamento, di rielaborazione. Vi
fenomenologia in senso husserliano, non ha mai com- fu il grande episodio della riflessione sulla Krisis,
preso davvero che Heidegger era, ed è rimasto, per l’ampio lavoro di traduzione in italiano di quest’ulti-
tutta la vita, un allievo di Husserl. Con ciò direi che mo testo incompiuto di Husserl, l’edizione del libro
Pareyson si è reso responsabile – con molti altri, natu- di Brand su Mondo, io e tempo nei manoscritti inediti di
ralmente – di una lettura heideggeriana tutta sposta- Husserl, a cui Paci scrisse una prefazione diventata
ta sul côté religioso, diciamo così, mistico-religioso: famosa… L’idea era quindi quella di vedere nella
lettura che trova ovviamente più di uno spunto, in fenomenologia la filosofia del nostro tempo, fraintesa
Heidegger, ma che non aiuta, a mio avviso, a com- da Heidegger con alcuni risultati molto importanti,
prendere il problema profondo di Heidegger, a com- naturalmente, ma anche con alcuni esiti infelici, e di
prenderlo nella sua matrice originaria. Matrice che è fare della fenomenologia la risposta alle filosofie bor-
fenomenologica, e che tutta la scuola di Torino – ghesi “alienate”, come allora si sarebbe detto: l’empi-
Pareyson e i suoi allievi, Gianni Vattimo ad esempio rismo, il neopositivismo… La fenomenologia diven-
– sostanzialmente ignorano. Avviene il medesimo in tava così, allo stesso tempo, il possibile raccordo con
Gadamer, d’altra parte. Gadamer ha scritto cose inat- il marxismo, che a sua volta rinasceva, in Italia, dopo
tendibili, sulla fenomenologia, a testimonianza di la sua prima fioritura dell’inizio Novecento. Intorno
una completa non familiarità con i testi, ma soprat- a Paci emersero molti giovani, e molti altri, giovani e
tutto con le domande della fenomenologia, che inve- non giovani, entrarono in contatto con lui. Ad esem-
CARLO SINI 93

ricordo, rivolsero delle critiche di metafisi-


cismo, come a chiunque avesse l’aria del
filosofo in un panorama in cui da più parti
si ripeteva che le opzioni disponibili erano
invece soltanto quelle della scienza da una
parte e della storiografia dall’altra. Per altro
verso, è chiaro che Paci non poteva trovare
grande ascolto in area cattolica: non condi-
videva le interpretazioni cattoliche dell’esi-
stenzialismo, meno che meno condivideva
quelle cattoliche di Husserl. Fu una situa-
zione di sostanziale isolamento, accompa-
gnato però da un innegabile successo. Negli
anni Sessanta in Italia non si parlava d’altro
che di fenomenologia, dappertutto la que-
stione tornava su Husserl, dappertutto la
polemica si riferiva a questo progetto di
Paci. Il quale quindi non poté vantare vitto-
ria sul campo, ma poté vantare di avere
Ingresso dell’università statale occupata, nel 1968. costretto tutti a parlare di fenomenologia…

pio l’altra linea nata dalla scuola di Banfi, il gruppo L’ultima stagione del pensiero di Paci è segnata
bolognese, legato a studi di estetica: vi fu una colla- da un libro che si intitola Idee per un’enciclopedia
borazione feconda con tutta la neoavanguardia italia- fenomenologica. Vi sono raccolti scritti di Paci di
na degli anni Sessanta, che aveva appunto a Bologna diversa provenienza, e soprattutto di diverso argo-
il suo centro più importante e la sua rivista, “il mento, nati da un confronto in qualche modo onni-
Verri”. Vi furono anche dissensi molto netti, natural- voro con il dibattito suo contemporaneo: pagine su
mente. Spesso i condiscepoli non vanno d’accordo tra Galileo, su Keynes, su Lévi-Strauss, su Freud…
loro, e Paci, ad esempio, non andava affatto d’accor- Proprio questo aspetto enciclopedico, che il proget-
do con l’altro discepolo di Banfi, Remo Cantoni. Né to fenomenologico di Paci assume esplicitamente
Cantoni andava d’accordo con lui, del resto. C’erano nella sua ultima fase, mi pare meriti qualche rifles-
divisioni profondissime, anzi. E ancor più profonde sione. Mi verrebbe da notare che la sua radice più
diffidenze rispetto ad un altro banfiano come Giulio ovvia sta nei tre libri delle Ideen di Husserl, nel
Preti, anche lui studioso di Husserl, anche lui orien- terzo soprattutto, dove Husserl tenta una sistema-
tato al marxismo, ma influenzato dal pragmatismo zione di quelle che chiama ontologie regionali, e
americano, da Dewey ad esempio… Vi furono anche una sistematizzazione dei nessi tra le “essenze” che
alleanze e affinità inattese, a Bari con Giuseppe ciascuna regione ontologica incarna. Ma è altrettan-
Semerari, ad esempio. Semerari non era un allievo di to chiaro che lo Husserl delle Ideen, con tutto che è
Paci, anche solo per ragioni di età, ma aveva avvici- lo Husserl del corpo proprio, nel secondo libro, lo
nato la fenomenologia autonomamente, venendo da Husserl che in qualche modo prelude ai temi della
studi schellinghiani, ad esempio, e ad un certo punto Lebenswelt, non è, però, lo Husserl di Paci, lo
si era autodichiarato, diciamo così, discepolo di Paci. Husserl della Krisis, lo Husserl della Lebenswelt,
Era entrato nella sua orbita, e aveva collaborato a appunto, compiutamente situata al centro della
lungo con lui, con qualche momento di dissenso ma, ricerca fenomenologica. Dunque, che cosa significa
sostanzialmente, svolgendo un lavoro parallelo, poi in ultimo questa intenzione enciclopedica?
proseguito lungo la stessa linea anche quando Paci
propose, in modo abbastanza clamoroso, grosso Questa vocazione enciclopedica in Paci è stata
modo dal 1963 in avanti, l’equazione fenomenologia- costante, dalla giovinezza alla maturità – anche se è
marxismo. L’atmosfera fu, nonostante tutto, però, di emersa più nettamente, appunto, nell’ultimo periodo
forte opposizione generale alla rinascita della feno- – perché lui stesso era un uomo enciclopedico. Paci
menologia. Tutti quei rapporti furono difficili: Banfi, accompagnava molte altre passioni all’interesse fon-
Abbagnano, Geymonat, Preti, Cantoni, Paci… Tutti damentale per la filosofia, alla sua immensa cultura
assunsero posizioni indipendenti e autonome, ma filosofica – una cultura filosofica molto superiore a
alla fin fine Paci si trovò sostanzialmente solo a difen- quella di Sartre, per esempio: poteva citare tranquil-
dere un’idea di filosofia intesa in senso teoretico lamente Giordano Bruno come Platone, la sua era una
puro, in senso metafisico tra virgolette. Anche a me, visione a tutto campo. A tutto questo Paci accompa-
94 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

gnò sin dall’inizio una passione per la letteratura o un’enciclopedia del dialogo continuo tra vita e forma.
per la musica, ad esempio. Conosceva anche molto È poi questo il problema profondo di Paci, anche in
bene l’architettura. Aveva insomma una molteplicità questo buon erede del simmeliano Banfi: il rapporto
di interessi, che si ritrova espressa anzitutto in “aut tra vita e forme, tra vita e verità. La sua enciclopedia
aut”, e che, alla fine, si coagula appunto in questo non è tanto una sistematizzazione del sapere, quanto
tentativo, in questa raccolta di “idee” per una feno- un dialogo continuo che il filosofo deve istituire con
menologia enciclopedicamente articolata. È vero che, la prassi umana, con prassi di ogni genere, con pras-
volendo cercare una radice di questo progetto, la si si artistiche, economiche… Non a caso Paci era un
può trovare nel disegno husserliano delle ontologie buon lettore di Croce. Io saprei, diceva spesso, come
regionali. Curiosamente, le cose vanno però, credo, tradurre Croce in una maniera più attuale, mostran-
intese diversamente. Paci considerava effettivamente do che Croce è un grande pensatore, che si è in qual-
le Ideen come la parte “superata” di Husserl, supera- che modo arenato sulla questione delle forme dello
ta da Husserl stesso. Il grande problema Paci lo indi- spirito, ma che, proseguito in quella direzione, avreb-
viduava, e questo è un suo contributo importante, be potuto forse ricongiungersi con Husserl e con i
nella svolta trascendentale. Quella che da molte parti nostri problemi più attuali.
veniva rimproverata a Husserl come una ricaduta
nella metafisica, nell’idealismo, era invece per Paci la
risoluzione di un problema che al livello delle Ideen Mi chiedo se non sia stato il comune retroterra
non si sarebbe mai potuto risolvere. Ideen I in partico- marxiano a rendere possibile un incontro, o un’affi-
lare era ancora un progetto sostanzialmente metafisi- nità, come questa… Anche Croce veniva ovviamen-
co, o psicologistico se lo si vuol leggere in quest’altro te da Marx, oltre che da Hegel. E sia lo Husserl della
modo. La svolta trascendentale per Paci valeva inve- Lebenswelt, che Paci poteva vedere convergere con
ce come tentativo di dare rilievo alla descrittiva delle Croce, sia appunto il Croce teorico dell’“economi-
essenze. Che cosa sono, però, le essenze? Che cosa co” tematizzavano in fondo una stessa cosa, anche
sono questi fantasmi metafisici che compaiono a un se ciascuno a suo modo…
certo punto nel discorso di Husserl, necessari per
tante ragioni, ad esempio per affrancarsi dallo psico- Sì, l’economico di Croce è il precategoriale di
logismo di Brentano, ma in ultimo infondati, almeno Husserl, nella prospettiva paciana. Ci fu anche uno
in questa loro formulazione? Il fatto è che non si trat- scambio molto interessante tra i due: Paci era allora
ta di una semplice descrittiva delle essenze, ma di sui trent’anni, e tentò questa interpretazione del vita-
una descrittiva che pone inoltre delle questioni, degli le di Croce in alcuni saggi, poi studiati da Santucci, a
interrogativi sulla natura e sul senso di queste stesse Bologna, e da Antonino Bruno, che sulla questione ha
essenze. Si tratta di quell’altro aspetto della fenome- scritto un libro. Croce era, naturalmente, ormai vec-
nologia, che Paci ha sempre privilegiato, che è la chio, era il grande e ammirato filosofo. Paci era molto
fenomenologia genetica. Si tratta cioè di una ricostru- giovane, dicevo, ma tentò ugualmente questa propo-
zione delle operazioni precategoriali fondanti, che a sta. Croce non stima l’esistenzialismo, ma se lasciamo
un certo punto si coagulano in forme, certo, ma in da parte l’esistenzialismo in generale, se pensiamo
forme che non sono mai immobili, ma sono temporal- all’esistenzialismo come lo intendeva io, Paci, allora
mente in movimento. Uno dei temi costanti, in Paci, è l’esistenzialismo poteva fare comodo a Croce. In
quello della temporalità. Temporalità che coglie dap- sostanza, l’esistenzialismo avvalora la categoria del-
prima in Husserl, poi in Heidegger, che sviluppa più l’economico. Con questa differenza: primo, che la
tardi in senso esistenzialistico, e che affronta, infine, categoria dell’economico non è una categoria dello
riprendendo lo Husserl dei primi del Novecento. Una spirito, perché è la categoria della vita che precede lo
delle obiezioni di Paci a Heidegger è di non avere spirito; secondo, che l’economico è il fondamento di
tenuto conto, proprio lui che ne era stato il curatore tutte le altre categorie dello spirito. Se Croce accettas-
(o, se si vuole, di avere fatto un saccheggio, senza tut- se questo, concludeva Paci, Croce sarebbe un esisten-
tavia trarne tutto il possibile), dei manoscritti husser- zialista, e lui stesso, Paci, sarebbe un crociano… E,
liani sul tempo, le Lezioni sulla coscienza interna del appunto, tutti e due marxisti, dicevi tu. Marxisti
tempo. Per Paci è fondamentale questa acquisizione, come Croce infatti, in un certo modo, era stato da gio-
che l’essenza non è una forma statica, non è un’idea vane, studiando Marx tra i primi da storico, in Italia,
nel senso del Platone sistematico, ma, caso mai, è insieme all’amico, allora, Gentile. Croce, naturalmen-
un’idea nel senso del Platone aporetico: la temporali- te, non addivenne a questa idea. La criticò anche, da
tà della forma dell’esperienza si trova costituita entro par suo, obiettando che quando si dice “il precatego-
una genesi che è peraltro da ricostituire sempre di riale”, “l’economico”, queste sono già categorie… Era
nuovo, sempre in cammino. La sua enciclopedia non ovvio che facesse un discorso di questo genere, ma
è allora un’enciclopedia delle categorie separate, ma allo stesso tempo fu talmente impressionato da que-
CARLO SINI 95

sta prospettiva che


fino alle ultime schede
della “Critica” ci tornò
sopra. Ne fu colpito.
La cosa lo disturbava
parecchio, e anche lo
stuzzicava parecchio…
Sostanzialmente, quin-
di, per Paci l’idea del-
l’enciclopedia doveva
restituire alla filosofia
la funzione di philoso-
phia prima, non nel
senso, tuttavia, di un
fondamento, diciamo
così, metafisico, bensì
nel senso di un tentati-
vo continuamente rin-
novato di riportare nel
flusso della vita, e
della descrittiva origi-
naria della vita, le cate-
gorie dell’operare
umano. Categorie che
quindi sono da assu- Giovanni Piana (a sinistra) ed Enzo Paci (a destra).
mersi come realizza-
zioni parziali e provvisorie, come cammini della veri- Paci e, soprattutto, dagli allievi di Paci: Enrico
tà ai quali il filosofo garantisce, diciamo così, la non Filippini, Giovanni Piana, Alfredo Marini, Guido
chiusura. Si tratta di riaprire sempre di nuovo la veri- Davide Neri... Non Costa, che veniva da tutt’altro
tà alla vita della verità. In questo senso allora c’è un ambiente. Si confrontò anche con Paci, naturalmente,
precategoriale dell’economia, c’è un precategoriale ma tra loro ci fu sempre un po’ di ruggine, nel senso
della biologia, c’è un precategoriale dell’arte… Anche che in queste traduzioni, peraltro impeccabili, ricor-
il marxismo, che appunto ricordavi, rientra esatta- reva però una terminologia che non era quella dei
mente in questo modo di vedere. Il marxismo inteso “milanesi”, diciamo così. E questo creava in Paci
in questo senso, pensava Paci, pensava anche Sartre, qualche imbarazzo. Dalla scuola di Milano venne
non è “una” filosofia, è “la” filosofia del nostro quest’opera di traduzione e di trasmissione, e poi un
tempo: il marxismo, o un certo marxismo, parla della prezioso lavoro di approfondimento, svolto attraver-
vita umana degli uomini, tiene politicamente aperta so tutta una serie di studi specifici, che saggiavano le
la strada alle continue realizzazioni di una verità potenzialità dell’approccio fenomenologico in varie
teleologica, che non potrà mai irrigidirsi in forme direzioni. Quanto alla logica, ad esempio, ci furono
definitive, e che quindi in questo senso è vita storica studi interessanti di Bosio, che poi si spostò prevalen-
profonda. È, questa, anche una risposta a Heidegger: temente sul côté di Hartmann, dei fenomenologi non
la vita storica profonda non è quella dell’essere che si ortodossi, diciamo così, di Max Scheler… Quindi,
nasconde e si manifesta, non è il poetico, non è nien- apporti volti soprattutto a commentare e fare com-
te di tutto questo. La vita storica profonda è la vita prendere la riflessione di Husserl, contributi usciti
quotidiana, sempre di nuovo da portare all’espressio- sulla rivista “aut aut” e nella collana di Lampugnani
ne, alla forma, alla categoria, per poi disattenderla, e Nigri, che pubblicava molti di questi lavori della
per poi oltrepassarla. scuola di Paci. Che ci sia stato poi uno sviluppo teo-
retico autonomo di questo grande lavoro, questo è
forse più difficile da testimoniare. È indubbio che
Che cosa resta oggi di questo progetto? Cosa resta, Guido Neri, scomparso da poco, tentò a sua volta, ad
in particolare, non solo di Paci, ma del suo progetto esempio, approfondimenti interessanti sulla linea
fenomenologico e della sua scuola filosofica? fenomenologia-marxismo, insieme a Gambazzi. E
molto importante è l’elaborazione da parte di Piana
Restano certamente alcune traduzioni di Husserl e di alcuni temi fenomenologici, quello dell’immagine,
della sua scuola, per cominciare. Traduzioni fatte da per esempio, o della musica…
96 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

DAL COMPUTAZIONALISMO ALLA FENOMENOLOGIA


Enzo Paci, Alan Turing
e l’impossibile gioco dell’imitazione

di Massimiliano Cappuccio

“L’irreversibilità sgretola l’edificio del meccanicismo newtoniano, l’universo pensato come


una macchina classica idealizzata. Questa macchina, sia concepita come modello fisico che
come modello logico, non esiste. E dicendo che non esiste, diciamo, appunto, che è
semplicemente un ideale, un ideale di perfezione.”

“Se [...] le filosofie dell’identità e le filosofie della sostanza sono in genere filosofie dell’atem-
porale e dell’astorico, le filosofie che si ispirano non più a un modello di macchina perfetta,
ma se mai, alle macchine effettivamente esistenti, sanno che ogni macchina è imperfetta.
Se proprio si vuol costruire una visione dell’universo su un modello e se questo model-
lo deve essere una macchina, bisognerà basarsi sulle macchine reali e non su quelle
mai costruite e non costruibili, come, appunto, la macchina ideale.”

Enzo Paci, Tempo e relazione (1954, pp. 4-5).

0. Informatica e cibernetica nell’Enciclopedia dato definire unici in tutta la letteratura dedicata a questi
fenomenologica di Paci temi. Per questo motivo ad essa le seguenti riflessioni.

L’enorme mole degli scritti lasciati da Enzo Paci e la 1. L’Imitation Game, ovvero il “Test di
notevole eterogeneità dei loro argomenti testimonia Turing”
come la sua ricerca abbia attraversato un novero sorpren-
dentemente ampio di tematiche e di ambiti disciplinari. La questione filosofica dell’intelligenza “artificiale”, o
Tra questi si segnalano alcune pagine della sua enciclope- “meccanica”, investiga la possibilità che la mente umana
dia fenomenologica1 dedicate all’informatica (“teoria del- funzioni in base a un meccanismo ricorsivo e che sia di
l’informazione”) e più in particolare all’idea di “intelli- principio realizzabile un automatismo in grado di ripro-
genza artificiale” e alle correlate implicazioni filosofiche. durre sotto il profilo funzionale la sua complessità. Per
La riflessione di Paci sull’intelligenza artificiale e sulla affrontare questo tema Paci si rivolge ad Alan Turing, il
cibernetica assume un valore particolare all’interno del geniale costruttore dei primissimi elaboratori digitali,
suo progetto se si considera che questi temi si collocano nonché padre e patrono della computer science. In partico-
in un punto nodale fondamentale per la coscienza della lare Paci prende in considerazione il suo scritto del 1950,
nostra epoca, situato all’incrocio tra i grandi temi della Computing machinery and intelligence2, il primo e il più
tecnica (ultima espressione nichilistica delle scienze euro- importante manifesto dell’intelligenza artificiale. In un
pee e della loro crisi) e della meditazione esistenzialistica altro celebre articolo, del 19363, che costituisce l’atto fon-
e relazionistica sulla condizione dell’umanità occidentale dativo più importante della teoria della computabilità,
(rispetto alla quale l’idea di macchina si impone come Turing aveva già sostenuto la tesi secondo cui ogni ope-
metafora fondamentale dei rapporti di produzione capi- razione computazionale (cioè ogni procedura di calcolo)
talistici e come paradigma emblematico della contempo- condotta da un uomo in carne ed ossa con metodi finita-
raneità positivistica); problematiche che, per Paci, devono ri è in linea di principio eseguibile da una “macchina a
necessariamente essere ricondotte alla considerazione del stati discreti”, ovvero una macchina di Turing, debitamen-
mondo-della-vita husserliano e alle strutture intenzionali te programmata. Il presupposto inespresso di questa tesi
situate al fondo di ogni possibile operazione intersogget- risiede nel principio secondo cui ogni attività inferenzia-
tiva di validazione scientifica e sperimentale. La discus- le umana condotta con mezzi logico-simbolici sarebbe
sione del gioco dell’imitazione di Turing, in particolare, nella sua più intima natura meccanica, cioè deterministi-
contiene degli elementi di forte interesse tanto per gli epi- ca e interamente formalizzabile.
stemologi quanto per gli ermeneuti di formazione feno- Con l’articolo del 1950 Turing sostiene una tesi che
menologica, e utilizza alcuni argomenti che non è azzar- per certi versi rappresenta il completamento e il coro-
1. (Paci, 1973, pp. 522-540). Tutte le citazioni di Paci riportate nel presente articolo provengono da queste poche pagine, salvo indicato
diversamente.
2. Turing (1950); molti dei temi di questo lavoro sono anticipati in Turing (1948). Per una loro discussione: Longo (2002b).
3. Turing (1936).
MASSIMILIANO CAPPUCCIO 97

Tuttavia, proprio come non è per nulla


facile programmare un’intelligenza artificia-
le capace di emulare l’intelletto umano, non
è semplice neanche immaginare un criterio
per valutare se un programma è effettiva-
mente riuscito a raggiungere un tale meravi-
glioso obbiettivo. Come deve intendersi,
infatti, il concetto di intelligenza, e quali stru-
menti di verifica possiamo elaborare per
misurare in sede sperimentale il suo grado di
sviluppo? Si comprende bene che tali inter-
rogativi costituiscono una sfida difficilissima
tanto per la psicologia quanto per la filosofia.
Nel suo celebre scritto del ’50 Turing propo-
se di sottrarre la definizione dell’intelligenza
sia all’una che all’altra disciplina, e di sosti-
tuirla ex abrupto con un criterio di verifica
empirico immediatamente applicabile, che
non richiedesse alcun assunto teorico e nes-
suna conoscenza preliminare: una macchina
può legittimamente esser definita “intelli-
gente” se il suo comportamento risulta
sostanzialmente indiscernibile da quello di
un essere umano; o, in altri termini, un’ela-
borazione logico-simbolica esprimente infor-
mazioni (ad esempio un insieme di lettere
scritte) può essere riconosciuta come la testi-
Il test di Turing, schematicamente. monianza di un comportamento “intelligen-
te” se non ci sono dubbi plausibili sul fatto
namento necessario della prima, ma che è ancora più che essa possa provenire da un essere umano, e se quindi
scandalosa di questa e, sotto molti aspetti, perfino più essa non manifesta l’aspetto di un prodotto di un automa-
controversa: si tratta della tesi secondo cui, in linea di tismo naturale o artificiale.
principio, deve essere possibile costruire una macchina Con un sorprendente esperimento mentale Turing
tanto raffinata e complessa da riuscire a simulare qual- immagina una situazione nella quale un tale criterio di
siasi funzione mentale umana. Un super-computer, in verifica sia facile da mettere in pratica. La situazione pro-
altre parole, capace di comportamenti intelligenti para- posta è quella di una conversazione che avviene attraver-
gonabili a quelli umani: dimostrare teoremi, giocare a so lo scambio di brevi messaggi scritti tra due individui
scacchi, scrivere poesie, sostenere conversazioni sugli che si trovano in comunicazione per mezzo di un disposi-
argomenti più disparati, imparare relazionandosi agli tivo che consenta loro di mantenere il reciproco anonima-
uomini e al mondo circostante ecc. Anche questa secon- to: un essere umano, diremmo oggi, sta chattando con un
da tesi, secondo alcuni4, nasconde un presupposto ine- individuo sconosciuto. Il nostro uomo, infatti, si trova
spresso: se una macchina è in grado di funzionare seduto al terminale di una telescrivente, può leggere il
come un cervello, ciò dipende, in fondo, dal fatto che lo testo che gli viene inviato dall’altro capo della telescriven-
stesso cervello umano agisce attraverso la ricorsione di te e può rispondere digitando con la sua tastiera qualsia-
operazioni logico-simboliche di tipo meccanico. In altre si messaggio. Entrambi possono fare domande e rispon-
parole, se questo assunto si scoprisse essere corretto, dere a piacimento, anche se sono vietate le domande
allora tanto le operazioni fondamentali eseguite dalla dirette sull’identità dell’interlocutore. L’altro capo del col-
macchina, quanto i processi elementari che avvengono legamento, però, è nascosto - perché si trova in un’altra
all’interno della mente umana, avrebbero la medesima stanza - così che il nostro uomo non può sapere se sta dia-
natura computazionale e consisterebbero in nient’altro logando con un altro essere umano o con una macchina
che azioni ricorsive di spostamento e sostituzione di incredibilmente sviluppata e intelligente. L’esperimento
elementi simbolici atomici5. prende la forma del gioco, perché l’uomo ha appunto il
4. In realtà Turing non ritenne mai opportuno sostenere una tesi così imprudente, almeno non in sede pubblica o nei suoi scritti. E’ ragione-
vole supporre, però, che la sua riflessione si muovesse all’interno di una cornice teorica meccanicistica e che, almeno in qualche misura, egli
desse per scontato che l’attività cognitiva umana, al livello delle sue operazioni logico-simboliche fondamentali, funzionasse in maniera para-
gonabile (anche se non riducibile) a quella di un dispositivo computazionale.
5. Ciò che per Turing rappresentava un’ipotesi solo in parte esplicitata e non necessariamente da assumersi come vera, è divenuta in segui-
to la tesi fondamentale della psicologia cognitiva di marca computazionalista e di una certa corrente funzionalista della filosofia della mente
che a Turing e al suo lavoro, appunto, si richiamano (per una sintesi si veda Fodor, 2001).
98 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

compito di riuscire a indovinare se all’altro capo della gioco stesso. Il senso dell’argomento di Paci è dunque
telescrivente si trova un umano o una macchina. E, inol- questo: quand’anche si disponesse del computer più
tre, si tratta di un gioco di imitazione, perché - posto che potente e meglio programmato possibile, il test di Turing
all’altro capo della telescrivente ci sia una macchina - que- non solo non sortirebbe alcun effetto utile ma, a ben
st’ultima ha il compito di recitare così bene la sua parte di vedere, non potrebbe neanche avere luogo. Ciò che Paci
“umano” da riuscire a non farsi scoprire. Quindi, per intende mostrare non è che “non si possano costruire
Turing, è lecito affermare che una macchina ha raggiunto macchine pensanti, contro la tesi di Turing” (un tale com-
un comportamento intelligente se l’uomo dell’esperimen- pito, infatti, probabilmente spetta all’epistemologo o
to sarà perfettamente ingannato dalle capacità recitative all’informatico, più che al filosofo teoretico), “ma che dal
della macchina, e commetterà statisticamente la stessa punto di vista di Turing [...] il giuoco che egli propone
quantità di errori nel cercare di indovinare la natura del non è logicamente possibile e non è di fatto, anche ideal-
suo interlocutore, sia quando quest’ultimo è effettivamen- mente, eseguibile”. Perché?
te un uomo, sia quando, invece, è una macchina. Paci considera la situazione descritta dal test di Turing
(uomo in una stanza + macchina in un’altra stanza nasco-
2. La critica di Paci sta + telescrivente che li mette in comunicazione) sotto il
profilo del sistema complessivo di scambio delle informa-
Per molto tempo un simile metodo di verifica ha rap- zioni che tale situazione realizza: tanto l’uomo quanto la
presentato il paradigma metodologico-concettuale irri- macchina iniziano il gioco provvisti di certe informazioni,
nunciabile per la valutazione dell’efficienza delle intelli- una base di dati di partenza che costituisce la cornice
genze artificiali (più teoricamente che concretamente, in entro la quale saranno elaborate tutte le informazioni di
realtà, anche perché non esistono ancora macchine in cui entreranno in possesso successivamente. I vari pas-
grado di ingannare un uomo, attraverso la conversazio- saggi del gioco, le battute che i due interlocutori si scam-
ne, per più di pochi minuti6). Sebbene esso non abbia mai biano, vengono dedotti ognuno dal precedente, sulla base
smesso di esercitare la sua autorevole influenza, molte di una dialettica tra il saputo e il non saputo, tra l’informa-
critiche sono state tuttavia mosse a questo approccio e zione e la non-informazione, così che l’elaborazione di
alla proposta di Turing di escludere qualsiasi considera- ogni informazione deriva non solo da ciò che già si sa ma
zione concreta e contenutistica del concetto di intelligen- anche “dal dubbio o dall’ignoranza”, cioè da un’assenza
za, riducendo quest’ultima, in effetti, a un mero fenome- di informazione imputabile alla condizione di “isolamen-
no estrinseco e statistico. Anche le considerazioni di Enzo to” in cui entrambi i giocatori si trovano inscritti.
Paci si rivolgono a questi aspetti del test di Turing, ma la Ciascuno dei due protagonisti del gioco, per svolgere al
sua critica si distingue nettamente da quelle rivolte dagli meglio il suo compito, dovrà “procurasi delle informazio-
epistemologi e dai teorici dell’intelligenza artificiale: il ni”, scegliendo le domande più appropriate e interpretan-
punto di osservazione da lui proposto è del tutto alterna- do le risposte che otterrà. Tanto la macchina quanto l’uo-
tivo rispetto sia a quello degli apologeti che a quello dei mo, però, sono “isolati”, appunto, e per questo ognuno
detrattori dell’IA. Per questi ultimi la previsione di rappresenta un centro di elaborazione degli input che agi-
Turing secondo la quale entro cinquant’anni gli informa- sce a partire da una base di dati specifica e che opera ana-
tici sarebbero stati in grado di imitare qualsiasi capacità logamente a quello che, nelle scienze cognitive, viene
intellettuale umana per mezzo di potenti algoritmi si è definito un “modulo cognitivo incapsulato informazio-
rivelata in buona parte fallimentare, soprattutto perché le nalmente”7, cioè sostanzialmente isolato e in grado di
competenze manifestate dalle macchine sono limitate ad interagire con l’esterno solo attraverso la ricezione/pro-
alcuni ambiti molto circoscritti (ad esempio ad attività duzione di informazioni espresse come input/output.
prettamente formali, come il gioco degli scacchi) e non Il sistema così definito da Paci sulla base della pro-
raggiungono ambiti che richiedano il ricorso di facoltà posta di Turing sembra isolato e autonomo, privo di
come l’abduzione e l’improvvisazione (come nella con- interrelazioni, ma Paci osserva che questo non può
versazione libera, che è appunto l’attività presa in consi- essere interamente vero. Esiste almeno una caratteristi-
derazione dal test di Turing, e che sembra refrattaria ai ca del gioco dell’imitazione che richiede ai partecipan-
tentativi di formalizzazione). ti di osservare quest’ultimo dal suo esterno, per dir
La critica di Paci è totalmente differente perché non si così, e di superare la situazione di chiusura in cui essi
riferisce alle modalità di realizzazione attuali o potenzia- si trovano inscritti. Tale caratteristica avviene al termi-
li dell’imitation game, né al presumibile grado di perfetti- ne del gioco e decide del suo esito, determinando se è
bilità dell’intelligenza artificiale, ma costituisce invece stato l’uomo o piuttosto la macchina a eseguire in
un’asserzione dell’impossibilità di principio di giocare il maniera vincente il proprio compito. Si tenga in consi-
6. Anche se, bisogna ammettere, in alcuni casi le macchine sono in grado di stupirci per le loro apparenti capacità di sostenere una conver-
sazione. Il test di Turing ha stimolato iniziative davvero folklorisitche: ogni anno un importante premio viene consegnato al programmato-
re che è stato capace di elaborare il programma più versato nell’arte della “conversazione” e maggiormente abile nel trarre in inganno un
interlocutore umano. Navigando su Internet è possibile incontrare alcune di queste pseudo-intelligenze artificiali e dialogare con loro:
http://cogsci.ucsd.edu/~asaygin/tt/ttest.html#onlineref. Oltre che divertire, questi prototipi consentono di misurare lo stato dell’arte nello
sviluppo delle capacità linguistiche dei software più recenti (capacità invero molto in ritardo rispetto alle ottimistiche previsioni di Turing).
7. Per una guida schematica a questi concetti si faccia riferimento a Fodor (2001).
MASSIMILIANO CAPPUCCIO 99

derazione, infatti, che in ogni fase prio solo quando finisce, esatta-
del gioco (per come esso è stato mente allo stesso modo in cui
descritto in precedenza, cioè l’uomo ha una vita unicamente
come un sistema di elaborazione- perché si trova fin da sempre
dati tra due moduli incapsulati) la consegnato, dal linguaggio, alla
produzione di un output deriva consapevolezza che egli non è
dalla ricezione e dall’elaborazio- vita e che per questo lo attende
ne dell’input appena ricevuto. un ineluttabile destino di
Ciò è vero fino al penultimo pas- morte. Al contrario della mac-
saggio del gioco, ma non può china, la quale - non potendo
essere vero per l’ultimissimo pas- morire - non può dirsi neanche
saggio, che deve necessariamente viva, l’uomo vive per il fatto
protendersi verso un’uscita dal stesso di contemplare il confine
gioco stesso e verso la sua defini- ultimo della propria esistenza e
tiva chiusura. Cosa succede dun- si confronta con esso. Si deve
que in quest’ultima fase? E’ molto osservare, anche per questo
semplice (ma quanti, a parte Enzo motivo, che la situazione in cui
Paci, ci avevano pensato?): l’uomo si trova la macchina, nel gioco,
si alza dalla sua sedia, lascia la posta- è fin dall’inizio strutturalmente
zione della sua telescrivente e si diri- diversa da quella dell’uomo, e
ge nell’altra stanza, per verificare se non riconducibile a quest’ulti-
fino a quel momento ha conversato Alan Turing (1912-1954) ma. L’unica cosa che la macchi-
con un altro essere umano o con una na può fare è giocare il gioco
macchina. dall’interno, domandando e
Il gioco ha termine quando l’uomo si accorge che la rispondendo, mentre l’uomo può (e anzi deve) anche
sua previsione si è dimostrata corretta o errata. E que- eseguire l’ultima mossa del gioco, che consiste nel per-
sto non può accadere attraverso una prova a priori, correre il suo perimetro estremo e valicarlo, ponendo fine
prodotta all’interno del gioco, ma soltanto al momento al gioco stesso. Con questa operazione l’informazione
di una constatazione empirica che avvenga al di fuori finale proietta la sua influenza all’indietro su tutte le
di esso. Solo in quel momento egli potrà stabilire se la informazioni precedenti, decidendone il senso oltre che il
macchina con cui ha avuto a che fare fino a quel valore di verità. Solo l’uomo, il vivente già da sempre
momento era davvero intelligente. Il termine del gioco, assegnato alla morte, può compiere questo passaggio,
la sua risoluzione, si ottiene soltanto quando una rego- assumendo distanza dalla propria vita nella raffigurazio-
la del gioco viene infranta, cioè quando l’uomo si deci- ne anticipatrice del morire8.
de a uscire dal contesto artificiale in cui era immerso Mentre l’universo della macchina è interamente cir-
per tornare nella concretezza della realtà vivente che coscritto dal sistema di regole formali che definiscono
costitutivamente si trova ad abitare. il gioco, l’universo dell’uomo – sebbene sia anch’esso
La chiusura del gioco avviene solo quando si realiz- interamente formalizzato all’interno della rappresenta-
za un’apertura che dischiude e orienta il gioco oltre la zione ludica - comprende però anche quella regola che
fissità delle sue regole, verso la dimensione precatego- prescrive di contraddire tutte le regole e di lacerare la
riale dell’esperienza incarnata: “l’informazione finale, scorza del formalismo. E’ proprio il seme di questa
l’‘uscita’ dal processo iniziato con l’informazione ini- paradossale contraddizione che consente al gioco di
ziale, potrà averla solo oltrepassando una regola del possedere senso e coerenza. Mentre la macchina elabo-
giuoco, e cioè la condizione di isolamento che gli per- ra le sue domande all’interno della sua cornice presta-
mette di interrogare in base ad una informazione ed in bilita, l’uomo può aprire il suo domandare su di una
base ad una non informazione, ad ignoranza, ad un domanda più radicale che interroga appunto del senso
dubbio”. Questa considerazione, per quanto così mani- di quella cornice che dà senso a ogni interrogazione
festamente evidente, consente alcune osservazioni formulata all’interno del gioco. E’ lo svolgimento stes-
molto interessanti e per nulla scontate. so del gioco che suggerisce e richiede la presenza di un
soggetto fenomenologico per il quale il gioco assuma
3. La posizione ontologico-esistenziale della senso, un io-concreto che può contemplare la cornice
macchina e il Frame Problem complessiva entro cui il gioco prende vita, e che per
questo può disporre il suo sguardo all’“esterno” di
Benché non sia insensato, mentre viene giocato, il esso, pur continuando a farne parte. Enzo Paci, seguen-
gioco dell’imitazione può avere un significato vero e pro- do una proposta fortunata tra alcuni logici e filosofi
8. Il problema di una caratterizzazione esistenziale della macchina intelligente rimane però aperto e, almeno nella sua fisionomia più astrat-
ta, continua a manifestare una forte complessità: se è vero che ciò che caratterizza l’esistenza umana è la capacità di istituire la morte nel
nome, e se è vero, come si deve qui ipotizzare, che le macchine potranno un giorno sviluppare capacità linguistiche analoghe a quelle umane,
allora quale caratteristica dell’ontologia del macchinico consentirà di distinguere la vita della macchina da quella umana?
100 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

da essa elaborate, l’attività dell’uomo deve comprendere


anche la considerazione dell’evento di questo significato,
l’hic et nunc in cui esso si trova ad accadere. Ossia l’intor-
no-di-mondo che lambisce i margini estremi di quello
spazio formalizzato nel quale il gioco viene giocato e
dove ha luogo la raffigurazione di un mondo formalizza-
to, le cui fattezze sono intessute di comunicazioni tele-
grafiche e di scambi di informazioni logico-simboliche.
Posta in questi termini, la questione della circoscrizione
dei limiti entro cui avviene l’elaborazione delle informa-
zioni potrebbe svolgersi nella direzione di una indagine
di analitica esistenziale attinente alle modalità specifiche
dell’essere, nel suo esserci, della condizione umana, piut-
tosto che verso un’epistemologia analitica attinente al
campo dell’intelligenza artificiale.
Eppure i due ambiti, quello ontologico-esistenziale e
quello epistemologico-formale, non sono così distanti
come in superficie appare, e anzi proprio la riflessione
svolta nell’ambito delle scienze informatiche disvela la
centralità di questa problematica nel campo della pro-
grammazione dei software intelligenti11, dove essa pren-
de il nome di frame problem (problema della cornice).
Quest’ultimo sembra indicare il limite costitutivo di
qualsiasi sistema automatizzato che agisca sulla base di
una rappresentazione formalizzata del mondo. Un com-
puter - o, diciamo, un robot - agisce sempre sulla base di
Renato Cartesio (1596-1650) un’attività computazionale condotta sulle informazioni
che riceve dall’esterno. La ragione per cui tutti i robot
della matematica, riteneva che fosse appunto questo il eseguono in maniera rigida, ripetitiva e quindi, molto
significato complessivo del secondo teorema di incom- spesso, inaffidabile, quei compiti che sono invece consi-
pletezza di Goedel9, un importante risultato della logi- derati intuitivi e banali dagli esseri umani, non risiede
ca matematica che ha influenzato profondamente l’in- tanto nel fatto che le macchine non abbiano a disposizio-
tera concezione novecentesca del sapere e che, in parti- ne, potenzialmente, tutte le informazioni di cui hanno
colare, ha giocato un ruolo cruciale nell’elaborazione bisogno, ma semmai proprio dal fatto che sono troppe le
della teoria della computabilità e delle varie tesi sulla informazioni che ricevono dal mondo circostante, visto
possibilità dell’intelligenza artificiale. “Il teorema di che le I.A. non dispongono di una cornice interpretativa
Goedel”, scrive Paci nelle prime pagine della sua enci- che consenta sempre di selezionare quali sono le infor-
clopedia10, “rimanda a qualcosa che non si lascia chiu- mazioni più utili o rilevanti, con il risultato manifesto che
dere ed esprimere in un sistema completo di assiomi. un’intelligenza artificiale può agire solo per mezzo di
Questo qualcosa ci fa sospettare che il fondamento del- approssimazioni e interventi stupidamente ripetitivi.
l’assiomatica sia fuori dell’assiomatica stessa, per Per poter attuare una selezione dei dati paragonabile
esempio nella soggettività costitutiva e nell’esperienza a quella degli esseri umani, la macchina dovrebbe
o, in altri termini, nelle operazioni precategoriali che disporre di un criterio interpretativo per decidere della
costituiscono ogni categoria [...]”. loro importanza in base al significato; ma per far questo
Ma tralasciamo per ora il cruciale risultato di Goedel, dovrebbe disporre di un criterio interpretativo per eleg-
che in seguito tornerà utile richiamare per proporre una gere il criterio interpretativo giusto tra i molti possibili, e
sintesi complessiva, e torniamo all’imitation game di così via. Ma ciò implica un regresso infinito e, nel compu-
Turing. Mentre l’attività della macchina si riduce a consi- tazionalismo classico, i processi di ermeneutica formaliz-
derare il significato delle informazioni logico-simboliche zata devono sempre disporre di una condizione iniziale
9. Il teorema è contenuto in Goedel (1931). Per un’introduzione sintetica e accessibile si veda Odifreddi (2000). Alcune considerazioni di Paci
su Goedel - considerazioni panoramiche e certamente propositive in senso speculativo - si trovano in Paci (1964b), dove il risultato di incom-
pletezza viene messo in relazione con la condizione esistentiva peculiare dell’essere umano relativa alle specifiche posture conoscitive attua-
te dallo sguardo scientifico occidentale: “il significato più profondo della prova di Goedel è infatti proprio la riscoperta del soggetto, del sog-
getto-uomo, dell’uomo matematico, dell’uomo che compie le operazioni matematiche” (p. 31). Le considerazioni del filosofo di Monterado
si appoggiano al lavoro di Nagel e Newman (1961), e ne forniscono un’interpretazione originale.
10. Paci (1973, p. 11).
11. Un approfondimento degli aspetti ermeneutici ed esistenziali della pragmatica dei processi informazionali computerizzati è sviluppato
nei fondamentali lavori di Winograd e Flores (1987, pp. 27-37, 70-83) e di Andy Clark (1997, pp.143-150), che per certi aspetti il contributo
di Paci sembra anticipare in maniera stupefacente.
MASSIMILIANO CAPPUCCIO 101

esplicitabile in maniera positiva e definitiva12, perché la differenti13. Nella seconda delle Meditazioni metafisiche14,
cornice interpretativa in cui le informazioni della macchi- Cartesio ipotizza che le figure ammantate che egli, dalla
na vengono elaborate è sempre fornita a quest’ultima dal sua finestra, osserva muoversi lungo la strada, potrebbe-
suo programmatore al momento della costruzione ro essere niente di più che automi, dispositivi meccanici
(ammesso che il costruttore sia in grado di esplicitare effi- simili a orologi estremamente complicati e camuffati in
cacemente in termini formali quale debba essere la corni- modo tale da offrire a uno sguardo distratto la percezio-
ce di riferimento più adeguata per il compito che la mac- ne delle fattezze e del portamento umano. Se ciò fosse
china deve eseguire). Insomma si potrebbe dire che il vero, se il demone ingannatore fosse diventato un abile
limite costitutivo dell’I.A. consiste proprio in quella costruttore di automi antropomorfi e avesse sviluppato il
situazione di precomprensione ermeneutica che l’uomo desiderio di giocare un perverso gioco dell’imitazione,
si trova costitutivamente ad abitare, essendo costretto allora come sarebbe possibile distinguere (e si intende
quest’ultimo nell’impossibilità di esperire il momento distinguere anche solo concettualmente, attraverso giudizi a
zero, l’incipit della sua attività di interpretazione. E men- priori) il genere degli uomini da quello delle macchine,
tre l’uomo, stando nell’apertura chiaroscurale del lin- visto che le azioni svolte dagli uni sono esattamente iden-
guaggio, può almeno porsi (anche se probabilmente tiche a quelle eseguite dalle altre?
invano) il problema di fuoriuscire dal circolo ermeneuti- Tutti conoscono quale soluzione Cartesio elabori a
co in cui si trova già da sempre precompreso, il problema partire dall’indubitabile constatazione della presenza
fondamentale della programmazione delle macchine inalienabile ed autoevidente del cogito: quest’ultimo
consiste al contrario nell’incapacità di queste ultime di accompagna necessariamente l’attività degli uomini
riuscire a entrarvi, essendovi già da sempre escluse. come una sostanza pensante aggiunta al corpo, un sup-
Seguendo un importante indirizzo del cognitivismo plemento di coscienza che è responsabile della facoltà
contemporaneo, quello “enattivo” e incarnato proposto del libero arbitrio, della capacità di espressione lingui-
da Francisco Varela e dalla sua neurofenomenologia, stica e concettuale; una res cogitans che si aggiunge alla
potremmo dire oggi che una tale differenza costitutiva compagine estesa, e meccanica, del corpo umano e che
deriva essenzialmente dal fatto che soltanto l’uomo, a comunica con quest’ultimo attraverso la ghiandola
differenza della macchina, è consegnato all’esperienza pineale. Meccanico l’uomo e meccanica la macchina,
in prima persona di un corpo vivente, che abita fre- dunque, ma il primo possiede qualcosa in più della
quentando il suo spazio cognitivo come una soglia seconda, mentre la seconda agisce unicamente perché
sulla quale si disegnano, corrispondendosi nelle artico- mossa da un principio deterministico di causalità effi-
lazioni delle cinestesi, concostituendosi nel gioco delle ciente, per il quale gli eventi fisici si concatenano mec-
ritenzioni e delle protensioni, gli schemi complementa- canicamente gli uni con gli altri. In questo modo, in
ri dell’interno e dell’esterno. E’ questo forse il presup- estrema sintesi, Cartesio intende salvare la distinzione
posto più importante su cui si basa quella distinzione sostanziale tra uomo e macchina, pur riconoscendo la
fondamentale tra l’uomo e la macchina che Paci inten- possibilità di una loro indiscernibilità sotto il profilo
de mettere in luce con il suo argomento. Essa consenti- funzionale. Turing non tematizza invece alcuna res
rà di sviluppare alcune osservazioni molto importanti cogitans sostanzialmente indipendente dal suo suppor-
circa la valenza teoretica e la possibilità concettuale to materiale; è anche per questo motivo che l’indiscer-
medesima del test di Turing. nibilità funzionale tra uomo e macchina viene di neces-
sità a coincidere con un’equivalenza più profonda,
4. Gli automi di Cartesio strutturale, tra l’intelligenza umana e quella meccanica,
e conduce direttamente all’affermazione della loro con-
In primo luogo bisogna osservare che Turing ha eleva- sustanzialità, continuità e totale interscambiabilità. La
to l’indiscernibilità a condizione di equivalenza tra l’uomo condizione necessaria e sufficiente dell’equivalenza
e la macchina. Una tale scelta richiama alla memoria dei uomo-macchina, della loro equiparabilità e analogia
filosofi quella, forse più celebre, di Renato Cartesio, seb- strutturale, è infatti, per Turing, la loro mera indiscer-
bene quest’ultima abbia raggiunto esiti almeno in parte nibilità sotto il profilo funzionale. In poche parole: l’in-

12. Per “condizione iniziale” si intende qui l’insieme di operazioni logico-simboliche previste dalla “tavola comportamentale” di una mac-
china di Turing (si veda Turing, 1936).
13. E’ lo stesso Paci (1973) a suggerire che la proposta di Turing sia solo apparentemente alternativa rispetto a quella di Cartesio: “[...] si
potrebbe concludere che è in qualche modo superato il dualismo cartesiano tra cogito e macchina, così come Turing, nel ‘giuoco dell’imita-
zione’, pensa di eliminare l’equivocità del termine ‘pensare’. Ma è importante notare che anche la macchina di Turing si trova di fronte allo
spazio e al tempo”, e quindi, si potrebbe aggiungere, alla dinamica irreversibile dell’esperienza e al suo carattere incarnato e corporeo; un
aspetto, questo, che essendo sottovalutato tanto dalla prospettiva cartesiana quanto da quella turingiana, le accomuna, e suggerisce l’esisten-
za di una profonda radice metafisica dalla quale fioriscono le loro rispettive aporie.
14. “Che cosa vedo”, si chiede Cartesio (1998, p. 177), “se non dei cappelli e degli abiti, sotto i quali potrebbero essere nascosti degli automi?”
L’attribuzione di una soggettività cosciente al corpo dell’altro si inserisce per Cartesio in una riflessione generale sull’interazione delle facol-
tà del senso e dell’intelletto, e sulla loro reciproca capacità di completarsi per realizzare un progressivo riempimento materiale-esperienzia-
le delle forme della conoscenza concettuale (si tratta delle stesse pagine in cui il filosofo francese si interroga sull’ipotetica conoscibilità a prio-
ri di un materiale semplice e privo di forma come la cera).
102 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

discernibilità a posteriori (fenomenica e funzionale) all’interno del gioco stesso. Tutto ciò che l’uomo e la macchi-
coincide, per Turing, con un’indiscernibilità a priori na potrebbero sapere del gioco è che non se ne sa nulla e,
(concettuale o ontologica). anzi, probabilmente essi non potrebbero neanche compren-
Eppure, lo si è appena visto, proprio perché una tale dere di trovarsi all’interno di un gioco. La realtà simulata
equivalenza possa essere formulata, essa deve essere resa all’interno della conversazione diventerebbe l’unica realtà
impossibile. Perché l’imitation game possa aver luogo un conosciuta dai giocatori, con il risultato che non avrebbe
uomo deve essere capace della funzione che gli consente di neanche senso per loro la domanda su come uscirne per
uscire dal gioco e di osservarlo dall’esterno. La macchina è osservarla dall’esterno. Siccome non potrebbe esser interrot-
costitutivamente impossibilitata a uscire dal suo gioco e to, il gioco smetterebbe di esser tale, e diverrebbe una mec-
questo rappresenta un primo motivo di non equiparabilità canica concatenazione di scambi di stringhe di informazio-
funzionale con l’uomo. Ma c’è di più. Uomo e macchina ne, un dispositivo fintamente dialogico, che in realtà attua
potrebbero anche essere indiscernibili, ma il fatto stesso che deterministicamente una serie lineare infinita di passaggi
una loro presunta indiscernibilità possa essere formulata logici necessari e coatti: il gioco non finirebbe mai e, non
(da un uomo) contraddice, e quindi distrugge, la validità potendo finire, non si potrebbe neanche dire che esso sia ini-
della formulazione stessa. Il gioco dell’imitazione, in altri ziato, perché - come si è detto - è solo la fuoriuscita dal gioco
termini, può aver luogo soltanto quando la possibilità stes- che fornisce a quest’ultimo un senso in quanto tale e, in sin-
sa del gioco dell’imitazione è stata annientata. Presi un tesi, nessuno sarebbe legittimato ad affermare che un gioco
uomo e una macchina qualsiasi, siano essi reali o immagi- dell’imitazione abbia mai avuto luogo.
nari, essi non saranno mai in grado di giocare in maniera “Turing parla della sua macchina ideale come la coinci-
pura il gioco dell’imitazione. “Il giuoco dell’imitazione denza della macchina e dell’uomo” afferma Paci, una coin-
sarebbe completo” dice Paci (e si osservi il riferimento cidenza che comporta però “l’equivalenza tra l’informazio-
implicito alla completezza, oggetto del teorema di Goedel) ne e la non informazione”. L’indiscernibilità totale conduce
“solo se A B C”, (cioè le variabili che rappresentano gli ele- alla totale inconsistenza e assurdità del tentativo di stabilire
menti protagonisti del gioco), “fossero X Y e Z” (cioè delle criteri di equivalenza, funzionali o sostanziali, tra l’uomo e
totali incognite, prive di qualsiasi caratterizzazione), “e nes- la macchina, essendo divenuti entrambi il medesimo e
suno sapesse se è un uomo o se è una macchina”. unico evento di una comunicazione formalizzata entro cui
Effettivamente, in questo modo, se si negasse ai giocatori non trova spazio la pratica del domandare e del rispondere,
l’accesso alla consapevolezza della propria identità e quin- essendo stato annullato il senso di qualsiasi interrogativo. A
di se si sradicasse tanto l’uomo quanto la macchina dalla questo punto si capisce che, come dice Paci, “dal punto di
cognizione dei propri paraggi corporei, della propria circo- vista di Turing sono soppressi sia il termine uomo che il ter-
stanzialità temporale, e della propria situazione ambienta- mine macchina”15. Come d’altra parte era immaginabile fin
le spaziale, allora il gioco dell’imitazione sarebbe effettua- dall’inizio, l’acquisizione di una perfetta, cioè assoluta,
bile in maniera perfetta e rigorosa. Peccato, osserva Paci, capacità imitativa, dovrà tradursi in una assoluta indistin-
che “in questo caso il giuoco non sarebbe possibile o, se si zione, con-fusione, che renda di principio impossibile com-
vuole, l’ignoranza totale coinciderebbe con l’informazione prendere di cosa si stia parlando, se di un uomo che imita
totale: ho l’impressione che solo in questo caso la macchina una macchina o viceversa di una macchina che imita l’uo-
di Turing sarebbe una macchina universale o l’uomo di
mo, essendo entrambi nient’altro che i due frammenti com-
Turing sarebbe un uomo universale”. Cosa intende Paci
bacianti di quell’unico - e perciò vuoto - evento di significa-
con queste ultime osservazioni sulla coincidenza tra igno-
to da cui essi provengono; due volti di una medesima para-
ranza totale e informazione totale?
dossale facoltà mimetica: un gioco di specchi che può raffi-
5. Il gioco impossibile gurare ogni figura tranne quella dei due specchi reali e con-
creti entro cui il gioco infinito dei rispecchiamenti ha preso
Come si è già osservato in precedenza ogni fase del vita. Cosa accadrebbe a questo punto, si chiede Paci?
gioco dell’imitazione muove da un’interrogazione che sca- “Ne deriverebbe proprio l’impossibilità della macchina
turisce dal confronto dialettico tra un’informazione (la base di Turing e resterebbe di fatto che la macchina è davvero
di dati di cui ogni giocatore dispone in partenza) e una l’uomo nel senso in cui l’uomo Turing stesso è macchina in
non-informazione circa l’interlocutore. Sottraendo ad ogni quanto scienziato.” L’obbiettivo del gioco - valutare il
interlocutore la conoscenza della propria collocazione nei grado di intelligenza della macchina - deve quindi fallire
confronti della propria base di dati (cioè negando all’uomo perché lo scienziato che esegue l’esperimento, decidendo
e alla macchina la consapevolezza di esser tali) viene nega- di eseguirlo, ha già deciso anche di annullare la differenza
ta anche l’informazione relativa alla propria posizione esistenziale che lo distingueva dalla macchina ideale16. Lo
15. Paci aveva già toccato la questione della confusione tra uomo e macchina in Aut Aut (Paci, 1964, p. 135), dove esprime la sua tesi attra-
verso le autorevoli parole di Norbert Wiener, padre della cibernetica: “Allorché le persone umane sono organizzate in un sistema che le
impiega non secondo le loro piene facoltà di esseri umani e responsabili, ma come altrettanti ingranaggi, leve e connessioni, non ha molta
importanza il fatto che la loro materia sia costituita da carne e sangue” (Wiener, 1952, p. 33).
16. Giuseppe Longo (2002a, 2002b), commentando l’articolo del 1950, ha osservato che Turing era perfettamente al corrente di questo ordine di
problemi, e che proprio per tale motivo egli stesso aveva escluso la possibilità di una totale identificazione strutturale della mente umana con
una macchina a stati discreti laplaciana. L’utilizzo del test di Turing assume in questa prospettiva la valenza di un’approssimazione descrittiva
euristica non priva di una certa utilità: nel test di Turing si manifestano i sintomi correlati ai processi di costituzione di quella “oggettività costrui-
ta” che la matematica e le scienze informatiche tendono costantemente a presupporre come naturalmente e perfettamente acquisita.
MASSIMILIANO CAPPUCCIO 103

scienziato nega se stesso trovando negato ogni possibile dal gioco, con la conseguenza che non si tratterebbe pro-
accesso ad una nozione concreta di macchina, a una mac- priamente di un gioco, né l’uomo sarebbe veramente un
china unicamente reale perché consegnata al movimento uomo); una situazione di questo genere produrrebbe sem-
irreversibile del decorso temporale. Chiaramente eseguire pre un risultato indecidibile (non si potrebbe più verificare
il gioco avrebbe ancora un significato, seppur completa- se l’interlocutore è un uomo o una macchina). L’alternativa
mente astratto, quand’anche al gioco venisse sottratto il è che il gioco sia completo, ma anche incoerente (perché
carattere dell’accadimento temporale: quando cioè, per l’uomo contravverrebbe alle sue regole, fuoriuscendo da
pura ipotesi, da esso venisse interamente esclusa la consi- esso); ma in tal caso non si tratterebbe di un gioco ben gio-
derazione dell’evento significante del gioco stesso, cioè del cato, e non si potrebbe dire che il test di Turing abbia mai
fatto che esso è accaduto, manifestandosi, in un certo luogo avuto luogo. E inoltre, anche in questo caso, ci si potrebbe
e un certo tempo. E però, spiega Paci, “ovviamente, così trovare comunque di fronte a situazioni indecidibili (per-
inteso, il giuoco non sarebbe tale: mancherebbe il tempo del ché sarebbe raggiunta la totale indiscernibilità dei giocato-
domandare e il legame temporale tra le domande, così ri) e in questo caso il gioco non perverrebbe mai davvero a
come mancherebbe lo spazio e cioè il luogo dei dialoganti un esito definitivo (non sarebbe più formulabile alcuna
che non dovrebbero trovarsi nello stesso luogo.” L’attività domanda, né asserzione, sull’uomo o sulla macchina).
dell’uomo sarebbe allora disincarnata rispetto al Leib che Ecco l’evento impossibile di una fantasia che si scopre
fornisce il supporto della sua capacità comunicativa incar- assurda proprio nel momento in cui si riesce a farla diven-
nata, espressiva (nel senso trascendentale husserliano); esso tare reale.
sarebbe sradicato dalla dimensione irreversibile della tem-
poralità che abita, consegnato ad una dimensione senza 6. Computazione, determinismo, temporalità
luogo e senza tempo, ipotizzabile in astratto, appunto, sol-
tanto come orizzonte dell’esperienza di una macchina Ma qual è la valenza autentica del test di Turing,
ideale. allora, e quale utilità resta di esso? “La macchina idea-
Per escludere definitivamente ogni legame tra il significato le di Turing è dunque una congettura e suggerisce una
del gioco (cioè il suo risultato, l’informazione finale che esso linea di ricerca: potremmo quasi dire che è un’idea kan-
produce) e l’evento di tale significato (cioè l’occasione in cui tiana. Un’idea del giuoco perfetto, così perfetto che non
accade la sua elaborazione) occorrerebbe isolare un significato è più giuocato”. Si comprende adesso l’identità segreta
privo di carattere evenemenziale. Ma, solo per esser stato for- della macchina di Turing, che coincide con la natura
mulato, questo requisito produce una curiosa conseguenza: se
all’imitation game accadesse di significare, l’evento di tale acca-
dimento smentirebbe il significato del gioco stesso, annientan-
dolo; quindi, per esser veramente tale, il significato del test di
Turing, il valore finale cui esso mette capo, non dovrebbe mai
accadere e perciò, di fatto, il gioco dell’imitazione non potreb-
be esistere mai.
Alla luce di queste ultime considerazioni è possibile
ricapitolare il cammino fin qui seguito ispirandosi ad una
suggestione speculativa il cui senso è conforme a quello dei
più celebri paradossi della logica matematica: considerato
che tanto l’uomo quanto la macchina, nella prospettiva
turingiana ricostruita da Enzo Paci, non sono null’altro che
operatori logico-meccanici che producono determinati out-
put a partire da determinati input e sulla base di determi-
nate regole sintattiche di manipolazioni simbolica, allora la
conversazione che si svolge tra i due giocatori per mezzo
della telescrivente è paragonabile ad un sistema formale
dell’aritmetica che produce meccanicamente i suoi teoremi
(i messaggi che vengono scambiati dall’uomo e dalla mac-
china) a partire da un insieme iniziale di assiomi (la base di
dati incarnata dai giocatori). Se si accetta questo, allora lo
svolgimento del gioco dell’imitazione, come Paci aveva Il marchese Pierre-Simon Laplace (1749-1827)
forse intuito, produce esiti paragonabili, per analogia, al
celebre teorema di incompletezza di Goedel. Si osservi formalistica e ideale del suo funzionamento algoritmi-
infatti quanto segue. Il gioco dell’imitazione può dirsi co razionale e ricorsivo. La macchina di Turing nasce
riuscito solo se è completo (cioè se viene giocato fino al suo infatti come esplicitazione rigorosa e formale del con-
ultimo passaggio, la verifica finale) e se, inoltre, è coerente cetto intuitivo di algoritmo, e la sua essenza non è nul-
(cioè se le regole vengono rispettate sempre). Il gioco dell’i- l’altro che la struttura sintattica e razionale che cerca di
mitazione potrebbe essere davvero coerente, però, solo se catturare l’essenza concreta delle operazioni di calcolo
il gioco non fosse completo (cioè se l’uomo non uscisse mai umane cosiddette “effettive”. L’essenza della macchina
104 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

funzione, e pur riuscendo ad approssimar-


visi; e anzi proprio quando riesce a imitar-
la meglio ne tradisce l’ideale, realizzandolo
- cioè sconfessandolo mentre lo riduce a
fatto di esperienza17. Ci si accorge ora che
il gioco dell’imitazione, cioè la formulazio-
ne della possibilità di un’equivalenza fun-
zionale, non si rivolge mai propriamente ai
due termini rappresentati dall’uomo e
dalla macchina, che a posteriori vorremmo
isolare come oggetti sussistenti in quanto
tali e meramente presenti; dobbiamo rico-
noscere piuttosto che il luogo specifico in
cui essa avviene – replicandosi indefinita-
mente, nel tentativo di raggiungere lo sta-
tuto di completa mimesi – è nella dialettica
tra un originale-eidos (la macchina di
Turing intesa come ideale normativo delle
macchine universali e dell’uomo inteso
come sistema cognitivo) e una copia-eidolon
(la realizzazione storica di una macchina
computazionale alla mano, correlata ad una
rete di usi nel contesto dell’esperienza
Un buco nero, rappresentazione simulata al computer incarnata).
Questo assume un’enorme importanza,
è sempre al di là delle sue realizzazioni contingenti; e la secondo Paci, per valutare il senso dell’immagine della
macchina ideale si identifica con la funzione astratta macchina pensata come modello generale di spiegazione
della macchina stessa, l’algoritmo. La genesi della mac- della natura e della sua prevedibilità matematica: “La
china di Turing può solo essere intesa, quindi, come realizzazione della macchina di Turing negherebbe la
istituzione di un ideale tipico, e ogni sua realizzazio- macchina di Turing come idea e alla fine anche l’ideale
ne/riproduzione diventa di conseguenza un tentativo possibile di una spiegazione meccanicistica totale nel
di approssimazione all’essenza della funzione pura. senso di Laplace, una spiegazione che annullerebbe la
Ma anche la struttura di una macchina reale – proprio predizione, nella totalità della predizione nel senso,
come un corpo umano che si ricopre di rughe e di secondo le parole di Turing, ‘che dallo stato completo
acciacchi, invecchiando - è consegnata al decorso irre- dell’universo in un momento dato, descritto mediante la
versibile del tempo che la impolvera, e ne fulmina i cir- posizione e la velocità di ogni particella, sia possibile pre-
cuiti; e al ritmo del battito dei suoi movimenti automa- dire tutti gli stati futuri’. Potremmo esprimere l’opinione
tici, che determina i tempi di esecuzione delle sue ope- che, in una informazione o in una predizione così com-
razioni. Anche il calcolo possiede una sua temporalità, pleta, non avrebbe forse più senso il parlare dell’univer-
e viene consumato dallo scorrere degli istanti: nessuna so in un momento dato e di stati futuri”.
macchina reale produrrà mai le sequenze infinite di 0 e Se fosse confermata l’ipotesi di una perfetta equiva-
di 1 prodotte dalla macchina ideale e, con il volgere dei lenza tra conosciuto e conoscibile, tra imitante (i modelli
millenni, mentre le stelle si spengono una ad una, per- scientifici meccanicistici) e imitato (le leggi naturali del
fino il congegno più resistente e affidabile dovrà esau- cosmo), allora i momenti passati e futuri, considerati
rire le sue energie, e arrestare il proprio funzionamen- come possibilità logica pura (nella forma del concetto di
to (per questo, dal punto di vista dell’esperienza con- “condizione oggettiva dell’universo nell’istante t”) non
creta, il teorema di Turing, la cui dimostrazione è basa- sarebbero più discernibili dallo stato attuale dell’univer-
ta sul problema della fermata, sottintende una tesi erra- so così come viene esperito in presa diretta da un uomo
ta, perché sappiamo con esattezza infallibile che ogni incarnato qui ed ora. La sua prospettiva conoscitiva non
macchina di Turing reale dovrà arrestarsi prima o poi). sarebbe più uno sguardo aperto sul particolare, ma si
Ogni macchina reale deve tradire l’ideale della macchi- estenderebbe in modo atemporale su di una totale (e per-
na di Turing, pur cercando di replicarne fedelmente la ciò irrelata) simultaneità di ogni possibile prospettiva
17. Le dinamiche caotiche studiate dalla fisica matematica (sensibilità alle condizioni al contorno e fluttuazioni al di sotto del livello di osser-
vabilità) esibiscono l’inadeguatezza di una cornice rigidamente deterministica in senso laplaciano se applicata al mondo naturale, e permet-
tono per converso di intravedere la specificità dei processi computazionali di una macchina a stati discreti: solo una macchina di Turing idea-
le, in quanto pensiero formale astratto sottratto alla concretezza dello spazio-tempo, può realizzare un determinismo laplaciano rigoroso; e
per converso solo l’ipotesi intellettuale di un determinismo laplaciano rigoroso avrebbe potuto fondare l’idea astratta e pura di un meccani-
smo ideale come quello inventato da Turing. Giuseppe Longo (2002a), esplicitando questi punti, ha di nuovo sottolineato come lo stesso
Turing non fosse affatto sprovveduto rispetto a quest’ordine di problemi (si considerino il tema dell’exponential drift e il problema del conti-
nuo nella modellistica morfogenetica).
MASSIMILIANO CAPPUCCIO 105

della realtà; non si tratterebbe neanche più, quindi, di scienza solo allargando fino ai suoi margini estremi la
una prospettiva di osservazione. La promessa positivista nozione di umano, in maniera tale che il senso del suo
di una prevedibilità interamente deterministica annulle- esserci includa anche l’essenza della macchina come pro-
rebbe l’osservatore come protagonista di tale conoscenza pria estensione corporea in senso post-umano, e – paral-
e quindi, di fatto, annienterebbe la conoscenza stessa. Il lelamente – solo riconsiderando la macchina come
tempo presente non sarebbe più un punto luminoso che espressione storico-epocale dell’irrinunciabile propen-
pulsa seguendo il ritmo degli adombramenti dei sione (auto)poietica che caratterizza la naturale artificia-
momenti passati e futuri, ma si accenderebbe di un’uni- lità dell’umano e la tensione ec-statica, erotica, che inten-
ca luce accecante nella quale scomparirebbero, brucian- ziona di volta in volta le forme del suo spirito. A quel
do, il ricordo e l’aspettazione, la capacità di ricostruzione punto la visione futuribile di un’identità-interscambiabi-
rimemorante o di previsione anticipante. Attuale e lità uomo/macchina non assumerebbe più il senso di un
potenziale collasserebbero come un buco nero, schiaccia- ideale positivo di perfettibilità formalistica e oggettivisti-
ti nella singolarità indistinta del determinismo laplaciano ca, ma potrebbe essere inteso come quel concreto
più rigoroso. “[...] Tali congetture identificherebbero la momento della vita intermonadica in cui avviene la
logica con l’esperienza, ma a sua volta tale identificazio- attuale compenetrazione e la reciproca presupposizione
ne si presenterebbe come un’esperienza ideale o un’esi- dei due termini in gioco.
stenza ideale: in Kant la dialettica può essere interpretata Si può provare, da ultimo, ad affrontare la domanda
come generata da una simile idea nella quale, al limite, la più emblematica tra quelle che lo stesso Enzo Paci avreb-
logica più altamente formalizzata coincida con i suoi be potuto porci: quali operazioni concrete rendono pos-
valori e i valori con la logica.” (si consideri come, alla luce sibile l’istituzione del gioco dell’imitazione? E quale pro-
di queste considerazioni, le citazioni riportate in esergo duzione di soggettività esse comportano? La possibilità
acquistino un nuovo significato). dell’identità o equivalenza uomo-macchina non è soltan-
to misurata dal gioco dall’imitazione, perché proprio nel
7. L’uomo, la macchina e la soglia della momento in cui essa è soppesata e scoperta per mezzo
scrittura del gioco essa viene anche intenzionata e costituita, cioè
resa accessibile e fruibile come oggetto naturale autono-
Concludiamo queste riflessioni ritornando alla rela- mamente sussistente e pertanto già da sempre antece-
zione uomo-macchina studiata nella prospettiva del dente lo sguardo scientifico che lo scopre e che lo mette
gioco dell’imitazione. L’ideale di una misurazione ogget- in gioco. Eppure uomo e macchina non potrebbero esser
tiva dell’intelligenza di una macchina, e il corrisponden- ritrovati come oggetti autonomi, e quindi obbiettivamen-
te miraggio di un congegno indiscernibile dal suo creato- te equiparabili, all’esterno (o prima dello svolgimento) di
re, rappresentano una situazione impossibile che però, in quel gioco che ne aveva descritto l’equiparabilità delle
quanto tale, può proporsi – per Paci - come guida regola- intelligenze proprio nel momento in cui inscriveva queste
tiva della ricerca umana e come suo orizzonte teleologi- ultime in un’unica e medesima procedura sperimentale;
co. Ma è irrinunciabile che sia pienamente maturata la è infatti solo stando inscritti nel gioco dell’imitazione che
consapevolezza dell’evanescenza di ogni fondazione essi possono essere equiparati e identificati come sogget-
metafisica o positiva di questo progetto, per scongiurare ti in relazione, reciprocamente imitantisi e pertanto intelli-
l’epilogo tecnicistico dell’evoluzione delle scienze infor- genti. E’ proprio il battesimo della scrittura che consente
matiche e della loro crisi; crisi che era già cominciata all’uomo e alla macchina di scambiarsi i ruoli – e i nomi
negli anni in cui Paci e Turing scrivevano, essendo già - esplorandosi reciprocamente nel medium della telescri-
stata innescata la perdita del fondamento esperienziale vente, comunicando anonimamente in quanto estranei, e
di quell’“operare concreto” che attiene al “soggetto scoprendosi perciò costitutivamente appartenenti alla
umano intero”18, insieme all’oblio del radicamento inten- nominabilità di una comunicazione linguistica gramma-
zionale di queste operazioni. Per tale motivo è da risco- ticamente e sintatticamente organizzata, terreno sul
prire la situazione esistenziale specifica, la provenienza quale si rende effettiva la loro mimesi.
contestuale-relazionale concreta e, infine, l’autentica E, infatti, esaminando di nuovo lo svolgimento del
destinazione intenzionale e teleologica (comunitaria, gioco dell’imitazione, si può scorgere come esso possa
politica) di ogni progetto di intelligenza artificiale. aver luogo solo attraverso il supporto della comunicazio-
Intendeva probabilmente questo, Enzo Paci, quando nel ne scritta: cioè una comunicazione anonima, spersonaliz-
1964 scriveva su Aut Aut, in relazione alle vicende futu- zata, convenzionalistica, formale, seriale, infinitamente
ribili della cibernetica19: “[…] in questa società unificata riproducibile e per sua stessa natura meccanizzabile e
l’uomo non sarà ridotto a macchina soltanto se le macchi- linearmente deterministica, perché operante attraverso
ne serviranno per eliminare l’oggettivazione e quindi lo oggetti massimamente impalpabili e perfettamente itera-
sfruttamento dell’uomo sull’uomo”. Proseguendo in bili, le informazioni; oggetti che costituiscono la trasfigura-
questa direzione, ipotizziamo oggi che si potrebbe forse zione più recente delle antiche lettere inventate dal popo-
integrare efficacemente l’ideale della “macchina intelli- lo greco, e che da queste ultime sono state dedotte, nell’e-
gente” nell’esperienza dell’uomo e nella logica della sua sercizio millenario dell’astrazione logica e dal consolidar-
18. Paci (1964, p. 30).
19. Ibidem.
106 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura

si di sofisticati abiti teorici evolutisi insieme alla appunto questa procedura, erede di un’antichissi-
civiltà della parola scritta. Si comprende che sol- ma pratica cominciata in Grecia circa ventisette
tanto accettando di essere ridotti a messaggio scrit- secoli fa, che parifica l’uomo alla macchina e che
to, a struttura formale, a pacchetti di informazioni rende indifferenti alle loro differenze esistenziali,
inviati in sequenza, l’uomo e la macchina avrebbe- uniformandole nella superiore isonomia della logi-
ro raggiunto nella figure di un simbolismo insigni- ca alfabetica. Alle soglie dell’epoca di Turing e
ficante la propria consustanzialità, potendosi final- delle prime macchine computazionali, saranno
mente identificare in moduli isolati all’interno di proprio gli antichi abiti concettuali alfanumerici,
un processo di elaborazione di stringhe logico-sim- espressi nelle procedure di codifica formalistica
boliche 20. La codifica operata dalla scrittura riduce dell’aritmetizzazione di Goedel, a definire quella
il pensiero dell’uomo all’attività della macchina, e griglia di traducibilità sulla quale le figure dell’uo-
l’attività della macchina ad una combinatoria di mo e della macchina potranno stagliarsi come reci-
elementi atomici insignificanti e convenzionali; è procamente (del)imitantisi.
20. Per un approfondimento si rimanda a Cappuccio (2004).

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logia come esistenzialismo positivo in Enzo Paci, di Carlo
III. Bibliografia secondaria su Enzo Paci Sini; IX- Sulla filosofia come vocazione, di Salvatore
Veca; X- L’interpretazione storica di Paci di “La crisi delle
Borghesi, A., “Profondo è il pozzo del passato. Enzo Paci e scienze europee”, di Stefano Zecchi; XI- Paci o dell’inten-
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terature straniere nell’Italia dell’entre-deux-guerres, Atti A.; XII- Enzo Paci e la problematica religiosa, di Roberto
del Convegno di Milano (26, 27 febbraio e 1 marzo), a cura Osculati; XIII- Paci inedito, di Amedeo Vigorelli; XIV-
di Edoardo Esposito, Lecce, Pensa, 2005, pp. 131-150. Il tema monadologico nella fenomenologia, di Renato
Cristin; XV- Teleologia e “Platonismo” nella fenomenolo-
Borghesi, A., “Il pesce e il delfino. I destini incrociati di gia di Enzo Paci, di Franco Toscani; XVI- Il dibattito tra
Enzo Paci e Giacomo Debenedetti”, in Ermeneutica lette- Benedetto Croce ed Enzo Paci e le ultime meditazioni cro-
raria, autunno 2005 (di prossima pubblicazione). ciane sulla vitalità, di Giovanni Orecchioni).
SCHEDE 109

UN PERCORSO TRA LE OPERE DI ENZO PACI


a cura di Massimiliano Cappuccio

Proponiamo una serie di schede di sintesi di alcuni tra i lavori più significativi di Enzo Paci; per le indicazioni edi-
toriali delle pubblicazioni si può far riferimento alla precedente Nota bibliografica. Gli autori delle schede sono Matteo
Bianchetti, Massimiliano Cappuccio, Chiara Colombo, Andrea Giananti, Ilenia Beatrice Protopapa, Alessandro Sardi e
Nicola Spinelli.

Significato del Parmenide nella filosofia di Platone (1938)


a cura di Matteo Bianchetti
Opera prima e nota di Enzo Paci, nata dalla rielaborazione della sua tesi di laurea: un serrato confronto con presso-
ché tutta la produzione platonica alla luce del principio dell’antinomia dell’essere, guidato dall’esigenza, maturata
sulla base dei suoi intensi studi giovanili, di non tralasciare le concrete antinomie della vita per l’astrazione concettua-
le. Centro dell’opera è, come indica il titolo, l’interpretazione del Parmenide: le nove serie di deduzioni espongono,
secondo necessità, dice Paci, lo sviluppo del primo principio trascendentale della prima tesi nel mondo eidetico e, poi,
nel mondo empirico attraversando tutte quelle che potremmo chiamare ontologie regionali fino a giungere al non esse-
re assoluto dell’ultima tesi che, coincidendo con l’essere assoluto dell’inizio, riapre eternamente il ciclo. La sua ricerca,
benché non ancora del tutto matura, mostra, comunque, la direzione lungo la quale si muoverà successivamente cer-
cando di creare le condizioni per un incontro di diversi orizzonti culturali che, in questo caso, sono, principalmente,
idealismo, esistenzialismo e filosofia dei valori. Si rimanda all’articolo che compare in questo stesso numero di Chora
per una disamina e un commento più approfonditi.

Ingens sylva. Saggio sulla filosofia di G.B. Vico (1949)


a cura di Alessandro Sardi
“Lasso, vi prego, acerbi miei martìri / a unirvi insiem ne la
memoria oscura, / se cortesi mai sète in dar tormento; / poiché
son tanti, che lo mio cor dura, / di mille vostre offese i varî giri, /
ch’i’ non ben vi conosco e pur vi sento: / talché di rimembrar
meco pavento / le mie sciagure.”
L’inizio della canzone di G.B. Vico, Affetti di un disperato e la
degnità LIII – “Gli uomini prima sentono senz’avvertire, dappoi
avvertiscono con animo perturbato e commosso, finalmente
riflettono con mente pura” – costituisce per Paci il punto di
avvio ad una nuova interpretazione del filosofo napoletano, nel
quale scorgere la non conciliazione di ogni dualismo, tra natu-
ra e storia, soggetto e oggetto; ossia, lo sforzo di tornare a pro-
porre quel motivo teoretico che si era levato fin dalla tesi di lau-
rea sul Parmenide: l’antinomia irriducibile, l’esistenza in que-
stione, il negativo, il farsi della verità e il ritorno della “crisi” e
della barbarie.
Pochi pensatori come Vico hanno influenzato tanto l’opera
di Enzo Paci e Ingens Sylva costituisce sicuramente uno dei suoi
testi fondamentali, il più bello per alcuni. I capitoli che costitui-
scono l’opera tracciano un percorso che muove dall’esistenzia-
lismo – erano gli anni della polemica con Croce sull’utile o sul
vitale e di conseguenza su quella lettura tipicamente idealista
che Croce e Nicolini (sulla scorta di Croce) restituivano di Vico
– alla fenomenologia, o almeno ad una espressione di urgenza
fenomenologica, necessaria a far progredire la ricerca. I temi
dell’immagine, del simbolo e del mito sono le coordinate utili a
110 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura
rintracciare i connotati del Paci fenomenologo, quello di Tempo e Verità o dei numerosi saggi di “Aut Aut” (che
avrebbe visto la luce di lì a due anni).
Relazionismo dunque, legato all’immagine e ai numerosi motivi kantiani e variazioni sul tema dello schematismo
trascendentale, legato e strutturato al concetto paciano di esistenza, torva, oscura e primordiale, perché: “Prima dell’im-
magine, prima della parola, il mondo non ha realtà”. E sarà proprio la ingens sylva della barbarie a suggerire a Paci
un’efficace analogia con la Lebenswelt husserliana: ritornare sempre di nuovo ad un’origine che non c’è ma che è sem-
pre da compiere, attraverso l’esercizio, la ricerca, l’etica. Il significato etico della natura “può essere a sua volta inteso a
partire dalla mediazione della ‘fantasia’ e del mito: nel mito religioso di una natura perfetta, anteriore al peccato e alla
nascita storica dell’uomo attraverso la barbarie, vive il significato morale profondo del “dualismo” vichiano e la possi-
bilità del suo superamento.” Così, nell’uomo, nel soggetto concreto che opera nella storia, Paci individua il termine
medio “in cui si attua la sintesi degli opposti, di barbarie e civiltà, natura e spirito.” [Cfr. A. Vigorelli, L’esistenzialismo
positivo di Enzo Paci – una biografia intellettuale (1929 – 1950), F. Angeli, Milano 1987, pag. 227]
Scrive Paci in un capitolo decisivo di Ingens sylva intitolato Mito e arte:
“Fantasia e mito appaiono, si è detto, nel pensiero vichiano, come mediazioni del dualismo: il pensiero puro nella
sua forma astratta, si fa sempre, nella concretezza della sintesi, visione, idea, nel suo senso di modello e di emblema. E’
questo il plastico platonismo del pensiero vichiano. Il senso, d’altra parte, non appena si avverte, diventa creazione fan-
tastica, espressione mitica dell’oscura memoria, fissarsi del sentire in uno schema che si ricorda e si ripete e acquista in
qualche modo una forma. Senza l’immagine, che è la grande mediatrice, il pensiero non agisce nel mondo, la verità
resta irraggiungibile e inesprimibile, si rifugia nell’assoluta trascendenza, della quale, in fondo, nulla è possibile dire,
perché altrimenti diventa espressione, simbolo, parola, mito. Il senso, nel suo puro sentire senza avvertire è d’altronde
mera naturalità e bestialità ed è, anch’esso, inesprimibile e ineffabile. Tutto ciò che è storico, umano, concreto, non è
perciò puro senso né puro pensiero, ma sintesi della materia sensibile – che si avverte e, nell’avvertirsi, si distingue,
negandosi come pura bestialità, e diventando perciò immagine – e della forma razionale che diventa idea e si esprime,
ed esprimendosi si esprime necessariamente nel senso” [E. Paci, Ingens sylva. Saggio sulla filosofia di G.B. Vico, Bompiani,
Milano 1994, pag. 105].

Il nulla e il problema dell’uomo (1950)


a cura di Nicola Spinelli
Insieme a Esistenzialismo e storicismo, Il nulla e il problema dell’uomo è l’opera con cui, nel 1950, si chiude ufficialmen-
te la fase propriamente esistenzialista del pensiero di Paci. E tuttavia, sarà lo stesso autore a riproporlo, dopo le sue
“svolte”, alla stampa, corredandolo addirittura, a partire dalla II edizione (del 1959, dove la “fase relazionista” si chiu-
de circa nel ’55, in corrispondenza con l’inizio di quella fenomenologica), di un VII capitolo, Tempo esistenza e relazione,
nel quale esporrà la cifra del progetto organico di una fenomenologia come Esistenzialismo Positivo: non a caso, il focus
dell’attenzione fenomenologia di Paci, il tempo, è anche la tematica fondamentale, nel suo incontro/scontro dialettico
con l’eterno, del periodo esistenzialista.
Nei primi due capitoli, Paci introduce il lettore alla filosofia dell’esistenza nelle sue linee, forme ed espressioni più
generali: dialogando, di volta in volta, con Kierkegaard, Nietzsche, Heidegger, Jaspers, Abbagnano e Sartre, vengono
portati alla luce i due «poli dell’Esistenzialismo: Personalità e Trascendenza». Il nucleo teoretico forte, tuttavia, si apre
con il cap. III: Neokantismo ed esistenzialismo. L’uomo è il solo essere capace di chiedere conto della propria esistenza; l’uo-
mo è quell’essere che si trascende: «Soltanto l’uomo vuol sapere, soltanto l’uomo esce da se stesso ed ha bisogno, quindi,
di ritrovare se stesso». L’uomo è strutturalmente domanda. Tale sua struttura lo inscrive in un dualismo, per certo verso
insolvibile, tra personalità (o esistenza economica, psicologica, fisiologica – naturale, insomma) e realtà, intesa appunto
quest’ultima come «ciò che è universale e necessario»: «da questo punto di vista, l’uomo esiste ma non ha realtà».
L’esistenza sensibile-esperienziale, naturale, chiede realtà alla ragione: si trascende. Ma può la ragione, intesa come meta-
fisica razionale (razionalista), dare all’uomo quel che cerca? Sì; nella misura in cui, però, toglie ad esso quel che già aveva:
l’esistenza. «L’uomo del razionalismo sarà sempre una categoria o un complesso di categorie, sarà universale e necessa-
rio, ma non sarà mai individuale e concreto. [..] La trascendenza si nega qui per l’immanenza». Ma allora l’uomo, in cui
convivono necessariamente trascendenza e immanenza, è paradosso, come voleva Kierkegaard? Sì, per il logos del razio-
nalismo metafisico; no, per l’Esistenzialismo Positivo. La soluzione del paradosso umano è eminentemente pratica
(umana, appunto): personalità (immanenza) e realtà (trascendenza) si co-appartengono strutturalmente nell’uomo:
«l’una dimostra per assurdo la necessità dell’altra. In quanto i due momenti sono considerati nella loro implicazione,
l’uomo sarà la sintesi, immanente e trascendente, esistente e reale: nell’uomo così considerato si realizza in trascenden-
tale come limite reciproco dell’immanenza e della trascendenza». L’uomo è dunque un movimento dialettico di imma-
nenza e trascendenza, che si configura anzitutto come esistenza, temporalità e storicità – ossia come domanda, appunto,
diretta dal tempo all’eterno sulla propria condizione ineludibilmente temporale, che perciò (essendo cioè fondata sul
tempo) è strutturalmente destinata a rimanere senza risposta; e secondariamente come domanda simbolica e mitica.
È in questo paradigma generalissimo ad essere proposto un ritorno a Kant (come a colui che per primo ha capito che
«ciò che regge il mondo» non sta all’origine di esso, ma è proiettato, come costruzione pratica e morale, in avanti, verso
la sua fine). Qui si colloca, ancora, il dialogo con Cassirer (e, indirettamente e con qualche accenno, con Banfi), proprio
incentrato sul tema del simbolo, che andrà poi integrandosi, nel capitoli successivi (IV, V, VI) a quello con Vico e
Abbagnano, sì da tracciare nitidamente i contorni del disegno esistenzialista paciano. In tal senso, il progetto filosofico
di Paci può essere bene inteso come una Critica della Ragione Necessaria in favore di una più esistenzialmente adegua-
ta Ragione Problematica.
SCHEDE 111

Nel cap. VII, infine, si è detto, tutto quanto precede viene inglobato all’interno di una prospettiva fenomenologica
di stampo tardo-husserliano. Per compiere un tale lavoro teoretico, Paci usa la leva del tempo: muovendo da una criti-
ca all’ontologismo della verità e del senso dell’Heidegger della Lettera sull’umanismo, egli chiama in causa il problema
della relazione tra giudizio e cosa – che sola può fondare la domanda sul senso, la quale è appunto, in definitiva, doman-
da di verità (Paci considera qui la verità come adaequatio). L’ontologia è dunque abbastanza perspicua, in questo senso?
No. Senza aver la pretesa di esaurire qui i contenuti di quest’ultimo, fondamentale capitolo, mi limito a indicare come
la costituzione della “cosa” come processo temporale tendente ad una visione eidetica delle essenze, le quali vengono
appunto ad essere concepite, «al di là di ogni platonismo», come «determinabili x in senso noematico» (Husserl) e per-
ciò (per tale indeterminatezza, che è appunto strutturalmente temporale) implicanti una domanda di senso; venga ad
essere il fruttuoso punto d’incontro di Esistenzialismo Positivo-Trascendentale (uomo come domanda strutturale) e
fenomenologia husserliana (domanda come originantesi dalla struttura temporale pre-categoriale, temporalmente
incompleta e perciò implicante la “domanda umana” di cui sopra, dell’esperienza).

Il nulla e il problema dell’uomo (1950)


a cura di Ilenia Beatrice Protopapa

«Il termine esistenzialismo – scrive Enzo Paci – allude all’accettazione virile e coraggiosa dell’esistenza umana» (p.
10). La filosofia dell’esistenza a cui filosofi come Kierkegaard, Nietzsche, Dostoevskij, si sono dedicati, è a-sistematica;
oggi a questi nomi potremmo aggiungere quello di un Cioran, filosofo a-sistematico per eccellenza. Per molto tempo
l’esistenzialismo è stato sinonimo di “sartrismo”in quanto, appunto, si collegava tale filosofia al suo “fondatore” Sartre.
Paci rileva che l’esistenzialismo non è sinonimo di “sartrismo” e che pochi sanno davvero cosa sia l’esistenzialismo; o
meglio che esso non è solo il “sartrismo”. Per noi, scrive ancora Paci, essa è una nuova corrente di pensiero che va dal
negativo verso un nuovo volto e una nuova forma della realtà.
Tornando al concetto di sistema, per Kierkegaard un sistema filosofico è come un bel palazzo dove, però, l’uomo non
può abitare; in effetti l’esistenzialismo si pone proprio come movimento di pensiero contrario al sistema e portatore di
una “nuova atmosfera” che supera le rigide e schematiche costruzioni. Essendo la filosofia dell’uomo la realtà, l’uomo
stesso fa filosofia quando accetta e riconosce di essere un essere finito e caduco, la cui condizione esistenziale è insta-
bile e pericolosa. «Accetta la tua vita, non fuggire da essa», scrive ancora Paci, è il motto dell’esistenzialismo. Accettare,
allora, la morte come termine coerente di una vita che ha saputo realizzarsi: è questa la vera libertà di fronte alla morte
stessa. E’ la banalità del quotidiano che l’uomo deve superare, pascalianamente egli deve rendersi conto della propria
miseria, e al tempo stesso della propria grandezza. A questo punto si pone, allora, il problema della scelta o meglio deci-
sione di cosa “fare della nostra vita” e proprio della nostra vita bisogna fare una passione. Passione per il proprio desti-
no, per la concreta realizzazione di esso, e non astrattezza idealistica e generica, perché: «esistono la mia personalità e
la tua personalità, la solitudine della esistenze, il loro incontro nell’amore o il loro scontrarsi nell’odio e nell’incompren-
sione, quando un’esistenza vuole imporre se stessa e misconoscere le altre» (p. 10).
In realtà si potrebbe dire che l’esistenzialismo c’è sempre stato da quando l’uomo filosofa. Filosofare non è che deci-
dersi per la vita. L’esistenzialismo, quindi, non è solo l’eccitante per l’assurdo o per il negativo. L’angoscia di fronte al
nulla, sentimento che accompagna l’esistenzialista, in realtà non esiste, essa non è la paura di questa o di quella cosa,
essa è coscienza (perciò non angoscia) del senso profondo ed originario del proprio essere. Essa è scoperta della serietà
della vita, della jonasiana responsabilità di essere al mondo.
Passando per le forme ed i problemi dell’esistenzialismo di Kierkegaard, Nietzsche, Dostoevskij ed Heidegger,
Paci affronta, poi, il problema del nulla ed il problema morale. «Se si vuol essere sicuri di mettere nell’imbarazzo il
filosofo o lo studioso di filosofia – scrive Paci – basta rivolgergli una domanda che sembra molto innocente e che
sembra legittimo rivolgere a colui, appunto, che si occupa di filosofia: che cos’è la filosofia?» (p. 129). Ad una
domanda tale è molto difficile dare una risposta, e questo il filosofo lo sa bene, egli sa che la filosofia è nata dallo
stupore, dalla curiosità di conoscere, dalla meraviglia provata di fronte alle cose, a fenomeni strani e straordinari.
Non c’è, allora, una risposta fissa ed assoluta a tale domanda, come forse a nessuna domanda in genere, la rispo-
sta è sempre un relativo e non un assoluto.
Il fatto che io cerchi di dare delle risposte a delle domande è già un rischio che io corro poiché sono consapevole che
le risposte non saranno mai assolute e certe né sicure e garantite. «Che cosa devo fare perché l’essere sia? – continua
Paci –. Io sono responsabile dell’essere in quanto il fondamento dell’essere è possibilità e libertà» (p. 138).
Riguardo al problema morale Paci afferma, poi, ricollegandosi al pre-kantismo, che «il principio primo non è l’essere,
ma la possibilità dell’essere» (p. 148); è assurdo affermare che il mondo abbia un principio ed un fondamento, il mondo
può o non può avere il fondamento. Il fondamento è la stessa possibilità, quello che conta è la mia decisione, cosa io voglio
o meno fare della mia esistenza. Il mondo e la storia non mi sono dati prima, ma dipendono estremamente dalla mia decisio-
ne e scelta. Se il fondamento non è dato, esso è valore; tale valore – continua Paci – «è il fondamento dell’unità delle perso-
ne e la persona è unica solo per il suo impegno, il suo compito, la realizzazione della possibilità della propria possibilità»
(p. 150). Noi parleremo, alla luce della filosofia pratica, di responsabilità. Responsabilità e scelta, allora, sono fortemente col-
legate, unite strettamente tra di loro dal concetto di irreversibilità temporale e cioè di finitezza umana, poiché nessuno di noi
pensa di “poter tornare indietro”. Il nostro autore alla fine della sua opera riprende tale concetto da T. S. Eliot, e cita:
«Because do not hope to turn again… Because I know that time is always time» (Perch’io non spero di tornar giammai…
Perch’io so che questo tempo è sempre tempo); alla luce del concetto del principio di responsabilità di Jonas, possiamo affer-
mare che, essendo noi uomini del presente che diventeranno del passato, dobbiamo rivolgerci a coloro che verranno dopo
di noi (le jonasiane generazioni future) con la ‘preghiera’ di agire con consapevolezza etica e responsabilità.
112 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura
Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl (1961)
a cura di Chiara Colombo
Questo testo viene pubblicato per la prima volta nel 1961 come sintesi di un insieme di lezioni e di saggi for-
mulati da Paci tra il 1957 ed il 1960 come il risultato dell’intenso ed appassionato studio da lui compiuto sui mano-
scritti inediti husserliani. Invitare alla lettura di quest’opera ricordando brevemente le circostanze della sua gene-
si è in questo caso quanto mai significativo: Tempo e verità segna infatti il volgersi di Paci alla fenomenologia come
l’approdo teorico più naturale per il suo pensiero, la “filosofia relazionalistica”, che proprio nella fenomenologia
trova le risposte alle proprie domande e, di conseguenza, il terreno più adatto per il proprio successivo approfon-
dimento. In effetti le nozioni di “tempo” e di “relazione”, che Paci impiega come chiavi di lettura dell’intera rifles-
sione husserliana, costituivano già i nodi essenziali del suo relazionalismo; tuttavia essi non appaiono qui come
interpretazioni estrinseche al pensiero fenomenologico, quanto come dei veri e propri fuochi prospettici ad esso
affini, da cui osservare e comprendere l’intera riflessione husserliana in un quadro coerente e perspicuo. Proprio
grazie a queste nozioni, strettamente legate ed imparentate tra loro, Paci riesce a ripercorrere i temi principali
della fenomenologia husserliana e a presentarla come un corpus organico ed unitario - al di qua di ipotetiche “svol-
te” - in cui vengono sem-
pre di nuovo osservate le
medesime questioni fon-
damentali, tematizzate di
volta in volta secondo i
loro diversi aspetti.
In particolare Paci sug-
gerisce di rileggere tutta
la produzione husserliana
a partire dalle questioni
messe in evidenza nella
Crisi delle scienze europee, e
dunque dalla presenza
vivente della Lebenswelt,
dall’intenzionalità fun-
gente antepredicativa su
cui si costuituisce ogni
esperienza possibile. Essa
infatti è quel già dato,
preesistente e sempre pre-
sente ed agente, da cui si
proviene, in cui si sta, e di
cui si coglie il senso con
consapevolezza solo dopo
la messa in atto della
riduzione trascendentale
dell’epoché. In questo’o-
rizzonte Paci descrive l’e-
sperienza come ciò che si
forma nella relazione: non
solo nella relazione tra il
momento presente e le
sue ritenzioni e protensio-
ni, ma anche, e insieme a
ciò, come relazione essen-
ziale e co- costituenete tra
l’io e l’altro, intesi di volta
in volta come il polo ego-
logico e quello oggettuale,
o come l’evidenza e il lato
celato dei fenomeni, o
ancora come il Kern, il
nocciolo essenziale inva-
riante delle cose, e l’oriz-
zonte articolato delle sue
Abschattungen, degli aspet-
ti solo alternativamente
chiari con cui esso si dà.
SCHEDE 113

Insomma, l’Ur è una Paarung, una coppia di elementi polari ma essenzialmente legati tra loro. Ciò significa di
conseguenza che le “relazioni” con cui si svolge e si costituisce l’esperienza sono un processo genetico da ope-
rarsi nel tempo. Il tempo, infatti, in quanto dimensione più propria della coscienza, nonché dell’intenzionali-
tà fungente, è l’unica via possibile per illuminare i vari aspetti delle “cose” e svelare gli strati delle ontologie
regionali. Non solo: una successiva stratificazione di livelli che richiede tempo per essere percepita, riguarda
anche il costituirsi del soggetto, che per successive riduzioni e interrelazioni con l’”altro” può riappropriarsi
dell’io come punto focale della riduzione trascendentale, ma anche può riconoscersi come corpo proprio, o
come monade dotata di un intero ed organico orizzonte di senso. Paci sottolinea ripetutamente infatti che la
fenomenologia statica, volta alla descrizione delle essenze, non è pensabile, né attuabile se non la sia intreccia
alla fenomenologia dinamica, che scopre, o meglio che insegue le essenze stabili ed invarianti nel loro varia-
bile darsi per facce limitate e parziali. Di conseguenza la conoscenza, il raggiungimento della verità non si
configura come un adeguamento definitivo, ma come un’attività da compiersi sempre di nuovo, nel tempo.
La verità, il senso dell’esperienza sono nozioni intrise di temporalità e da considerarsi teleologicamente, in
maniera asintotica, poiché le “cose stesse” non possono né potranno mai essere afferrate una volta per tutte,
in una loro presunta, predefinita rotondità, ma chiedono di essere continuamente ri-osservate, ri-esperite. Di
conseguenza, se la verità non è un possesso stabile, se il senso deve essere sempre di nuovo ri-generato, Paci
mostra come la fenomenologia non può essere intesa come un edificio dottrinario monolitico ed irrigidito,
quanto come un appello ed una sfida concreta a riconoscere che ogni sicurezza non può darsi che nell’incer-
tezza e nell’inquietudine del domandare, dell’andare tempo e del farsi della relazioni con l’altro, con l’igno-
to. Insomma Paci ricorda al lettore attuale come la fenomenologia insegni a sospettare delle verità che vengo-
no dichiarate come precostituite, unilaterali e insindacabili e come essa celebri la capacità di mettere continua-
mente in questione le cose e se stessi, per sfuggire sia al dogmatismo, sia al relativismo. In ciò sta, dunque, la
ricchezza ed anche la “pericolosità” della fenomenologia, che Paci vive e descrive all’opera come un’esigenza
intellettuale, ma anche come una sfida a cercare la verità, a rischiararla e rischiarla sempre di nuovo non come
un possesso stabile ma come problema, sguardo e ricerca mai paghi e mai conclusi. Per ciò, questo testo, oltre
ad offrire un quadro esplicativo chiaro e completo del pensiero husserliano, è una via per riscoprire la sua
vitalità e la sua stringente attualità, che forse oggi, più di ieri, merita di essere riletto come tematizzazione e
possibile risposta alla crisi già diagnosticata da Husserl e da cui l’Europa non sembra sapersi riscattare.

La Crisi delle scienze europee di E. Husserl. Appunti dalle lezioni del Prof. E. Paci, a cura
di F. Mucciarelli (1973)
a cura di Andrea Giananti
Il testo è diviso in due parti: la prima ripercorre lo sviluppo del pensiero di Husserl a partire dalle Ricerche
logiche, fino alla questione della soggettività trascendentale, alla costituzione degli oggetti mondani e scienti-
fici; la seconda è interamente dedicata alla lettura della Crisi. Parlare di fenomenologia e soprattutto praticarla
ha per Enzo Paci un importante significato etico, in gioco vi è, come vedremo, il riconoscimento del soggetto
umano come tale oppure il suo misconoscimento in quanto cosa, res, oggetto fra gli altri. Per sostenere questa
tesi Paci si avvale dei concetti fenomenologici di epochè, soggettività trascendentale, e presentificazione.
L’epochè è quell’atto volontario tramite cui il filosofo decide di sospendere il giudizio riguardo a tutto ciò che
non esperisce in prima persona con assoluta evidenza, a tutti i saperi precostituiti, a tutti i risultati scientifici,
ai dati che trascendono la sfera di coscienza, alla stessa esistenza del mondo che lungi dall’essere la condizio-
ne di possibilità di ogni operare diviene un fenomeno tra gli altri, un problema di validità. L’esigenza dell’e-
pochè nasce dal bisogno di risalire a quelle operazioni del soggetto che hanno dato vita ai concetti scientifici,
senza accettarli passivamente, cercandone la genesi in modo che essi esibiscano il proprio fondamento,
mostrandosi come un prodotto costituitosi a partire dal mondo-della-vita, e non come un universo in sé con-
chiuso e distante dalla vita esperiente del soggetto. Nella lettura Paciana questo soggetto esperiente della feno-
menologia viene messo in comunicazione con la concezione marxista del soggetto come totalità di bisogni. Il
bisogno è un concetto che ben esemplifica l’istanza del dover risalire all’esperienza soggettiva,”in carne e ossa”,
infatti il bisogno deve essere soddisfatto da colui che lo prova, mentre se viene soddisfatto da un altro il biso-
gnoso permane nella sua condizione (cominciamo a intravedere l’orizzonte etico di cui parlavamo). L’epochè è
anche alla radice della possibilità di una corretta comprensione dell’altro, che non pongo più ingenuamente
come esistente, ma che voglio ritrovare all’interno della mia stessa soggettività a partire da una posizione solip-
sistica. Tutto ciò che prima ritenevo valido in un atteggiamento prefilosofico non cessa di esistere, ma si offre
alla mia coscienza come puro fenomeno, come parte della corrente dei miei vissuti, tra i quali non rientra solo
la coscienza di oggetti, ma anche di atteggiamenti conoscitivi, tra i quali c’è la “presentificazione”. La presen-
tificazione è l’atto con il quale rendiamo presente per noi ciò che non lo è. Questo qualcosa può essere un sen-
timento di un altro soggetto, per esempio un sentimento di bisogno, che con un atto di presentificazione entro-
patica possiamo avvertire come nostro. Paci nella sua lettura della Crisi dedica molto spazio alla seconda parte
dell’opera, che ripercorre in chiave scopertamente teleologica la storia della filosofia moderna da Galileo a
Kant. L’idea di ripresentificare qualcosa può essere applicata infatti anche alla storia del pensiero, come tenta-
114 ENZO PACI: il filosofo, la vita, la cultura
tivo di individuare quelle operazioni del soggetto che hanno messo in opera determinati concetti e validità
obiettive. Nella fattispecie Husserl cerca di rivivere il momento sorgivo della scienza moderna, ovvero di ricol-
locarsi su quel terreno che ha reso possibile la matematizzazione della natura, individuandone i momenti costitutivi
nella metessi platonica, nella pratica della misurazione e nell’uso di una matematica formale. Il punto è fonda-
mentale perché illustra il contrasto tra l’obiettivismo e il trascendentalismo. Mentre l’obiettivismo si muove fra
oggetti già dati, assumendo il mondo in un atteggiamento prefilosofico, il trascendentalismo chiede conto delle
condizioni di possibilità per l’apparire degli oggetti, e questo significa che per la fenomenologia gli oggetti e il
senso d’essere del mondo sono il risultato di un processo, di una formazione soggettiva del soggetto che esperi-
sce nel mondo-della-vita, e che persegue la verità scientifica come una stratificazione costruita sulle operazio-
ni della vita prescientifica, e non come un presunto essere in sé senza legami col soggetto. Come dice Enzo Paci,
dobbiamo lasciare che “La verità diventi in noi vita della verità, e significato della verità, e la vittoria sarà di
tutti gli uomini del mondo”.

Idee per un’enciclopedia fenomenologica (1973)


a cura di Massimiliano Cappuccio
Stimolato da uno spirito speculativo ambizioso e sorretto da una cultura personale che non è inappropriato
definire sconfinata, il progetto filosofico di Enzo Paci muoveva verso una ricomposizione enciclopedica di ogni
ramo del sapere umano, dalla narrativa alla fisica quantistica, dalla logica formale alla poesia, fino alla musica e
all’architettura. Gli interessi di Paci, per quanto vasti ed multiformi, non furono mai eclettici, come ha osserva-
to Amedeo Vigorelli; ciò è vero soprattutto perché tali interessi furono sempre informati da una motivazione for-
temente coerente e da un progetto organico, sebbene quest’ultimo non si sia mai tradotto in una scolastica, né
abbia assunto una struttura rigida e definitiva. Si trattava infatti di una “enciclopedia in fieri”, costitutivamente
aperta, sempre pronta ad arrischiarsi a frequentare il margine della filosofia, protesa verso un temerario confron-
to con l’alterità, e forte dell’asserzione relazionistica secondo la quale comprendere un significato non vuol dire
isolarlo in un asettico settore di ricerca, ma dominarne lo sviluppo nella trama di rimandi che lo costituisce. Si
trattava di un’enciclopedia fenomenologica, che potesse ricondurre ogni forma di sapere scientifico o umanistico
ad una comune, primitiva, dimensione del vissuto; una Lebenswelt dalla quale, auspicava Paci seguendo l’ideale
husserliano di una fenomenologia come scienza rigorosa, sarebbe stato possibile desumere una direzione di svi-
luppo teleologico e un senso umano concreto per ogni elaborazione scientifica, in maniera tale da poter “fonda-
re” queste ultime (cioè ricondurle al loro “fondo” esperienziale trascendentale e spontaneamente offerentisi),
esplicitando la tessitura intenzionale e le circostanze pragmatiche (sempre intersoggettive, e quindi anche socia-
li, politiche ed etiche) sottostanti alle condizioni di insorgenza di ogni oggetto o teoria scientifica.
L’ultimo lavoro di Paci si sviluppa in primo luogo come una ricognizione e come una esperta disamina (che
è anche un’esposizione chiarissima, essenziale e accessibile) dei grandi temi del progetto husserliano, un appro-
fondimento non immemore del debito contratto verso l’insegnamento del suo maestro, Antonio Banfi. Il libro,
che rappresenta in buona parte una rielaborazione di scritti redatti in precedenti occasioni, è diviso in quattro
parti e, anche solo scorrendone l’indice, è possibile constatare il vertiginoso spirito di interdisciplinarità rela-
zionistica che lo percorre e lo guida. La prima parte ripercorre il cammino che ha condotto il pensiero filosofi-
co moderno a sviluppare l’idea e il bisogno di un’enciclopedia dei saperi, attraversando alcune tappe fonda-
mentali: Galileo e la nascita della scienza, Vico e la sua scienza storica delle forme culturali, Kant e la fondazio-
ne trascendentale della conoscenza, Hegel e la fenomenologia come genesi dialettica della coscienza. La secon-
da sezione fornisce gli strumenti critici e metodologici per costruire l’enciclopedia, attraverso un approfondi-
mento dei luoghi più importanti della produzione husserliana, della quale Paci non nasconde, ma anzi appro-
fondisce, i nodi e le questioni più delicate: il problema del riempimento intenzionale delle Ricerche, la fondazio-
ne nell’intuizione delle Idee, il problema dell’apriori materiale e il ruolo della componente iletica nelle sintesi
passive e, soprattutto, la questione della costituzione dell’uomo come io-concreto e l’intersoggettività trascen-
dentale, nelle Meditazioni e nella Crisi. La terza sezione applica lo schema delineatosi con l’enciclopedismo hus-
serliano per proporre una sistemazione fenomenologica ai modelli della psicoanalisi freudiana, dell’antropolo-
gia culturale di Lévy-Strauss, delle scienze umane e dello strutturalismo linguistico, così come alle teorie eco-
nomiche e sociali keynesiane e a quelle di stampo marxista (con particolare riferimento a Lukàcs).
La quarta sezione affronta infine la questione dell'unificazione delle scienze (logica, matematica, genetica,
cibernetica, fisica quantistica, seguendo una segnaletica tracciata dai percorsi di Goedel, Turing, Wiener, Von
Neumann, Eisenberg, Whitehead; e poi ancora la biologia in Cassirer, la sociologia delle istituzioni e del lavo-
ro di Althusser e di Bloch...) e della loro riconduzione all’orizzonte concreto dell'esperienza. Tanto eterogenei
sono i temi e le situazioni teoretiche quanto chiaro e coerente è lo stile di indagine di Paci, che non smette mai
di operare un serrato confronto con il neo-positivismo (Carnap, Ayer, Strawson) e di insistere sui temi portan-
ti del suo discorso: la temporalità irreversibile e il consumo dell'esistenza, il relazionismo delle prassi e la gene-
si del senso a partire dalle operazioni “fondanti”, l’interrogazione inesauribile sull’essenza della verità intesa
come vita ed esperienza.
SCHEDE E RECENSIONI 115

IN LIBRERIA...

Carlo Sini, Figure dell’enciclopedia filosofica «Transito Verità», volumi 1-6, Jaca
Book, Milano 2004-05

Volume 1: L’analogia della parola. Filosofia e metafisica


Volume 2: La mente e il corpo. Filosofia e psicologia
Volume 3: L’origine del significato. Filosofia ed etologia
Volume 4: La virtù politica. Filosofia e antropologia
Volume 5: Raccontare il mondo. Filosofia e cosmologia
Volume 6: Le arti dinamiche. Filosofia e pedagogia.

a cura di Massimiliano Cappuccio


Ogni enciclopedia si propone di fornire una sistemazione ordinata e coerente alla tota-
lità dei saperi; l’enciclopedia Transito verità è forse l’unica enciclopedia che domanda
quale sapere possa ordinare in maniera sistematica tutti gli altri, e dove quello debba col-
locarsi rispetto a questi, se tra di essi o al loro esterno. L’ultima opera di Carlo Sini, che
fino ad ora si è articolata in sei volumi, i quali compendiano i rapporti della filosofia con
altrettante discipline e ambiti tematici, è dunque un’opera per sua natura chiamata a ren-
der conto del proprio evento, e ad esplorarne le possibilità di significato a partire dall’in-
dagine sulla sua origine. Proprio la problematicità coinvolta in questa sfida richiede all’o-
pera di Sini di possedere una forte coerenza interna e anzi, per almeno due ordini di moti-
vi diversi, è possibile affermare che si tratta del progetto più sistematico e organicamen-
te comprensivo fino ad ora perseguito dal filosofo teoretico, nonché certamente uno tra
quelli di più ampio respiro.
Il primo motivo è che l’intero progetto si giova di una conduzione unitaria e compat-
ta, costantemente ispirata dall’inesauribile esercizio di una vigorosa ma sottile pratica di
ricerca genealogica. Quest’ultima è complessivamente
intesa come navigazione in viaggio verso le origini dei
saperi, come archeologia del senso: uno scavo che consen-
te di seguire a ritroso il processo di stratificazione del pen-
siero, fino a far affiorare la valenza più primitiva e magmatica di quella nozione di veri-
tà che ci troveremmo altrimenti consegnata come cristallizzata e scontata. La genealo-
gia si articola qui principalmente attraverso la cooperazione di tre differenti strategie: la
prima, critica e decostruttiva, consiste nell’auscultare con il martello di Nietzsche la soli-
dità dell’edificio dei saperi contemporanei, in modo da radiografarne le cavità, e scopri-
re le aporie, i paradossi e le superstiziose assunzioni sulle quali irriflessivamente le
scienze e il senso comune erigono le propria fondamenta; la seconda, ermeneutica e
semiotica, incalza un confronto con i luoghi archetipici del
mito pre-filosofico, o della tradizione filosofica, o della let-
teratura scientifica, per lasciar emergere il canovaccio delle
rispettive invenzioni narrative, insieme con la rete di moti-
vazioni interne che determinano i loro impianti giustifica-
tivi; la terza, di orientamento pragmatistico e fenomenolo-
gico, è quella che riconduce gli oggetti filosofico-scientifici
all’universo delle pratiche e all’abisso della ragione desiderante che lo anima: si tratta cioè
dell’orizzonte cogente, ma sempre immanente, di un sostrato di abitualità intersoggettive
e di usi pubblicamente condivisi che può direzionare l’orientamento teleologico della
civiltà umana, conducendo quest’ultima a transitare attraverso quelle grandi soglie stori-
co-epocali che segnano l’inizio e la fine di altrettante fasi fondamentali del suo sviluppo.
Il succedersi irreversibile di queste soglie, però, non va considerato unicamente come
una linea orizzontale su cui si dispongono sequenzialmente le fasi storiche o le rispettive
soglie socio-politiche e culturali. Sini ci ricorda che il significato di ciascuna soglia o fase
possibile può individuarsi soltanto traboccando da una differenza, da una radicale inter-
ruzione, cioè dall’evento che viene inscritto dalla soglia nella storia: con la verticalità inat-
116 IN LIBRERIA...
tesa del suo accadere, ogni soglia storica o filosofica incide il segno della discontinuità
più assoluta; è così che essa diviene produttrice delle proprie condizioni di insorgenza,
retroflettendo il suo significato sulle soglie che l’hanno preceduta, rideterminandole
tutte, e istituendo quindi, come pura distanza, il luogo senza luogo di una loro nuova ori-
gine. E’ per questo motivo che la genealogia, la ricerca dell’origine, non può dirsi vera-
mente riuscita, e anzi non è propriamente mai iniziata, se non quando raggiunge il sog-
getto che opera la genealogia stessa, consumandolo nel movimento della sua stessa
interrogazione: sollecitata da questa consapevolezza, l’opera di Sini non si esaurisce con
l’esibizione dei limiti e della specificità culturale dell’edificio delle scienze europee, ma
sottolinea anche come la stessa interrogazione sulle differenze costitutive fra tradizioni e
saperi lontanissimi sia tutta quanta interna alla medesima circolazione dei saperi della
tradizione filosofico-scientifica; tanto che circoscrivere l’ambito e i poteri della verità occi-
dentale non implica il potersi collocare all’esterno di essa, sottraendosi al suo discorso,
ma anzi frequentare più intensamente, dal suo interno, la domanda sulla sua stessa ori-
gine e sulle sue condizioni.
Il secondo motivo di sistematicità è che la fisionomia multiforme degli argomenti, dei
temi e dei settori disciplinari investigati è intramata da una complessa geometria di figu-
re speculative, di relazioni concettuali e di rimandi retorici, che si rincorrono con regola-
rità ritmica nel susseguirsi dei libri e all’interno di ciascuno di essi, formando una topografia armoniosa di segrete sim-
metrie, formazioni teoretiche e motivi lessicali ricorrenti, che possono essere considerati come deducibili linearmente
ognuno dal precedente, oppure liberamente dislocabili in un estuario complessivamente aperto e passibile di ulteriori
ramificazioni. La vocazione architettonica (o meglio: sinfonica) del progetto ritiene in sé, implicitamente, la memoria di
altre celebri enciclopedie filosofiche: e principalmente, forse, di quella hegeliana, con la quale condivide il movimento
diacronico di una narrazione nella quale si esplica il dipanarsi delle avventure del pensiero, seguito nel suo trascolora-
re in quelle figure e in quegli sfondi presso cui esso, di volta in volta, si incarna o dai quali, dialetticamente, si distacca.
A differenza di quel che succede con l’impianto hegeliano dell’Assoluto, però, il percor-
so di Sini non si chiude mai in un definitivo acquietarsi dello Spirito che ritorna piena-
mente in se stesso e, piuttosto, si espone alla domanda sulle proprie condizioni di pos-
sibilità, abitando l’impegno di un’interrogazione costitutivamente errante, inconclusa,
da intendersi come occasione di sempre rinnovato approfondimento problematico e di
radicale discussione dei fondamenti del sapere contemporaneo. Per altro verso Transito
verità eredita alcuni importanti motivi del progetto husserliano di un’enciclopedia feno-
menologica dei saperi, di cui condivide l’attenzione per la polarità materiale dell’espe-
rienza vivente, che va attinta nel fondo delle operazioni concrete, nella pragmatica di
quegli atteggiamenti di fronte ai quali si rende disponibile la costituzione degli oggetti
di conoscenza scientifica. Richiamandosi al progetto husserliano, e complementandolo
con le istanze teoretiche del marxismo e del relazioniamo, lo stesso Enzo Paci, maestro
di Sini, perseguì un simile progetto, cui diede una forma soprattutto nella sua ultima
grande opera, del 1973, Idee per un’enciclopedia fenomenologica; leggendo il lavoro paciano
subito dopo quello di Sini è impossibile non notare l’aria di famiglia che accomuna i due
stili di ricerca, così come, al tempo stesso, non ci si può non accorgere di come il discor-
so di Sini si sia sviluppato seguendo una traiettoria in buona parte autonoma e alterna-
tiva. Abbiamo interrogato lo stesso Carlo Sini su questo punto.

Professor Sini, potrebbe esplicitare i caratteri di continuità e di differenza che avvicinano, o che contrappongo-
no, il suo lavoro a quello precedentemente avviato da Paci?

Il progetto di Paci era un progetto che si riconduceva all’idea di fondazione fenomenologica e quindi di ricostituzio-
ne delle strutture dei saperi a partire dal mondo del precategoriagale, a partire dal mondo dell’esperienza vissuta, della
Lebenswelt: per Paci si trattava insomma di rinvenire nell’esperienza della Lebenswelt le radici dei vari saperi nelle loro
articolazioni storiche. Si tratta naturalmente di un progetto molto importante, un progetto che io stesso ho perseguito
seguendo il magistero di Paci, dal quale ho imparato molto. La mia obiezione, o la mia
differenza, consiste nel non essere convinto che si possa regredire ad un terreno di fon-
dazione in qualche misura precategoriale e stabile, ma che di volta in volta noi decidia-
mo cos’è il precategoriale e cosa il categoriale; per questo motivo l’idea di enciclopedia
che io invece seguo è quello di un esercizio circolare, cioè un labirinto dei saperi che si
ricostituiscono in una scrittura che costantemente rimette in gioco se stessa.

La ricerca di Paci assumeva talvolta il carattere del diario, cioè di una forma di scrit-
tura autobiografica che ha in primo luogo il carattere della contingenza storica e tem-
porale, e poi anche un carattere personale-individuale. Non vi è anche nel Suo modo
di condurre l’enciclopedia un richiamo al motivo di una scrittura narrante che testi-
monia della vita del proprio soggetto scrivente?

Indubbiamente per Paci la questione del diario è importante, e anche sottile e molto
profonda, perché si ricollega secondo me al tema dell’essere presenti, in carne ed ossa e
in prima persona, a quel che si fa qui e ora: si tratta di un tentativo di ricostruzione del
soggetto come soggetto concreto, prendendo quindi distanza da ogni soggetto mitico
idealizzato, come si dice nella Crisi delle scienze europee: il soggetto Fichte, il soggetto
SCHEDE E RECENSIONI 117

Kant… Non questo soggetto evidentemente, ma io stesso che sono qui impegnato nella temporalità del mio consumo,
che è un altro tema importante di Paci: la concretezza del soggetto si ha nel consumo temporale che caratterizza la mia
esistenza, ed ecco dunque la declinazione fenomenologica ed esistenzialistica del cammino di Paci. Si capisce, per que-
sto, come il tema del diario non sia affatto uno psicologismo o un soggettivismo accidentale, ma anzi la rivendicazio-
ne della concretezza delle operazioni. Quindi quelle che si fanno in prima persona, quelle che compio proprio io.
Tutto ciò è assai importante, ma rispetto a questo io insisto invece su ciò che ritengo ancora più importante: si trat-
ta della questione genetica e genealogica, di matrice - diciamo - grosso modo nicciana. Quello che per me assume rile-
vanza maggiore non è tanto il fatto che io in carne ed ossa faccio queste operazioni, ma piuttosto la domanda è: da dove
vengono queste operazioni? E da quali operazioni deriva il mio stesso io che domanda di esse? Quindi il diario diven-
ta piuttosto, nella mia accezione, una “auto-bio-grafia”, cioè una riscrittura della propria vita a partire dalla domanda
genealogica.

Non è forse vero, però, che ogni enciclopedia è per sua stessa natura un’impresa collettiva, intersoggettiva e,
almeno formalmente, impersonale? E d’altra parte sembra essere sempre una persona, un soggetto filosofico, l’au-
tore che scrive l’enciclopedia.

Sì e no. E’ sempre una persona per l’anagrafe, e sono sempre una moltitudine di persone per la genealogia. Si trat-
ta proprio del tema al quale ho dedicato il mio ultimo lavoro su Spinoza, e che dovrebbe uscire in volume [Carlo Sini,
Archivio Spinoza. La verità e la vita, Edizioni Ghibli, Milano – NdC]. Il tema di questa ricerca su Spinoza è: chi parla? Parla
Spinoza, parlo io, e parla un’infinità di voci. Quindi c’è una verità pubblica per il soggetto, e poi c’è un evento della
verità pubblica in cui sta il soggetto, un evento che è invece una molteplicità di voci, ma che non si può mai ridurre al
significato pubblico, perché di fatto - pur dandosi a vedere nel pubblico - non si può distinguere, in quanto originaria-
mente molteplice, all’interno del suo significato.

Licia Semeraro, L’etica come radice. La filosofia di Enzo Paci, Capone editore, Lecce 1993, pp. 150

a cura di Michele Ginammi

Una delle accuse più frequentemente rivolte a Paci è quella di essere un pensatore eclettico, perso in una rete di rin-
vii tematici e personali priva di un solido nucleo di pensiero originale. Il saggio della Semeraro intende anzitutto
rispondere a simili accuse, mostrando come, al di là delle diverse fasi del pensiero paciano, esista un’unità d’indagine
portata avanti con costanza e coerenza. L’utilizzo del termine “fasi” non deve trarre in inganno: pur rispecchiando la
tradizionale scansione in quattro periodi del filosofare paciano (esistenzialismo, relazionismo, fenomenologia e con-
fronto col marxismo), l’autrice si sforza però continuamente di dinamicizzare questa quadripartizione, non assumen-
dola nella sua staticità ma cercando di mostrare ad ogni occasione quella fitta trama di rimandi interni che la anima.
Passando dall’esistenzialismo degli anni ’40, al relazionismo degli anni ’50, alla fenomenologia e al marxismo degli
anni ’60 – ‘70, «l’intento di Paci è soprattutto quello di mirare ad una filosofia costruita per l’uomo, utile all’uomo, per
realizzare una società migliore». L’apparente eterogeneità di pensiero viene pertanto riletta sullo sfondo di una proble-
matica continua, costantemente riaffiorante nei confronti con le diverse filosofie che segnano l’orizzonte culturale euro-
peo del Novecento.
Se è vero pertanto che la propensione al confronto costituisce una delle cifre più evidenti del filosofare paciano, è
altrettanto vero che tutti questi confronti sono mossi da uno stesso interesse: la ricerca di un fondamento in grado di
offrire all’uomo la misura del proprio agire, in grado di estirpare alla radice il relativismo etico che ha paralizzato l’uo-
mo moderno, in grado di liberare la positività implicita nell’esistenza umana sconfiggendo il nichilismo.
È in quest’orizzonte che Paci si rivolge dapprima all’esistenzialismo, di cui si sforza di proporre una versione
positiva (l’esistenzialismo positivo, appunto, cui in quegli stessi anni stava lavorando anche Abbagnano) che supe-
ri la negatività della versione Sartriana e Jasperiana. Comincia poi a lavorare ad una filosofia della relazione, riflet-
tendo sull’importanza (etico-sociale) delle nozioni di comunicazione e di realtà, intendendo quest’ultima come «un
rapporto tra più elementi, di cui nessuno è identico a se stesso e di cui nessuno è tale da far dipendere in modo
assoluto gli altri da sé». Si avvicina in seguito alla fenomenologia husserliana, che interpreta a partire dalla Krisis,
riscoprendo in essa gli stessi problemi presenti nell’esistenzialismo nonché la possibilità di superarli. Infine, sem-
pre sullo sfondo di quest’orizzonte, si accosta al Marxismo, secondo una prospettiva d’integrazione tra Husserl e
Marx, che Paci vede accomunati dallo stesso interesse per l’uomo e per il problema dell’intersoggettività.
Dopo aver trattato in senso diacronico lo sviluppo di pensiero del filosofo marchigiano, la Semeraro riserva un ultimo
capitolo alla trattazione di quella lunga serie di saggi dedicati alla musica, al teatro, alla letteratura, all’architettura, dai
quali emerge l’importanza fondamentale che, per il filosofo, l’arte riveste tanto per il pensiero quanto per la vita etica. Uno
stretto rapporto lega infatti la filosofia all’arte, nella convinzione – vichiana – di una solida connessione tra il pensare e
l’intuire, in modo tale che il primo non sia possibile senza il secondo. Funzione specifica dell’arte è di indicare il possibi-
le come valore, di conoscerlo in una visione fantastica, e non razionale, di renderlo attuale come visione. «La verità del-
l’arte ci cambia e ci permette di seguire una strada che ci porterà a raggiungere livelli più umani e perciò più degni di
essere vissuti». «Gli sviluppi e le svolte che l’inquieto ricercare del filosofo ha impresso alla propria riflessione, […] non-
ostante il frequente mutare degli interlocutori e l’apparente eterogeneità dei suoi interessi, non hanno mai tradito l’impe-
gno e la fedeltà al compito che si era proposto. Egli voleva che l’uomo si rendesse conto della propria disperata miseria.
Ma anche della propria grandezza e del proprio valore. […]. Infatti, solo un uomo cosciente dei propri limiti e delle pro-
prie forze avrebbe potuto operare per ribaltare quella situazione di crisi che diventava sempre più opprimente».
118 IN LIBRERIA...
Aa.Vv., Le parole dell’etica. Ricognizione su comunità, democrazia, giustizia, libertà, respon-
sabilità, umanità, a cura di S. Borutti, Mimesis, Milano 2000, pp. 115

a cura di Giuseppe Moscati


Nato da una giornata di studio dedicata alla figura e all’opera di Franz Brunetti (ordinario di Filosofia morale a
Pavia dal 1973 al ’97), il volume propone lavori che, coordinati da Silvana Borutti, affrontano tanto le questioni ine-
renti alla ‘terra di confine’ tra etica e politica (Salvatore Veca, Ian Carter, Roberto Esposito), quanto quelle dell’univer-
so che dall’etica propriamente detta approda all’antropologia (Vittoria Franco, Francesco Remotti). La Borutti, anzi,
introduce la discussione partendo dall’idea fondamentale che l’etica si dice “in molti modi” proprio in quanto mate-
ria costituzionalmente sprovvista di verità oggettivabili. È l’uomo stesso ad essere di per sé ‘in divenire’; l’etica ci
appare comunque come un grande crocevia, “luogo di incontro di più prospettive e di più problematiche” (ontolo-
gia, antropologia, scienza politica, sociologia, economia…) (cfr. pp. 7-9). La riflessione in campo etico risulta quindi
«impossibile senza strabismi, senza attraversamenti disciplinari, senza il guardare a lato» (p. 10). Attraverso tre fon-
damentali dimensioni del mondo etico – conflitto, paradosso e dilemma – la Borutti rintraccia l’obiettivo primario di una
filosofia morale e richiama la necessità di «pensare l’etico come spazio autonomo di passione progettuale, come uto-
pia della liberazione dagli “assoggettamenti tremendamente rassicuranti” della cultura e del potere (…)» (p. 22).
Il saggio ‘antropologico’ di Remotti, Etica e antro-poietica, è diretto a cogliere, da un punto di vista ontologico e
insieme teoretico, la “costruzione culturale dell’umano”. Per antro-poiesi egli intende una prospettiva di ricerca
intorno agli elementi-processi socio-rituali che sono alla base delle diverse culture che rendono ricco l’universo
umano; da qui l’idea fondamentale dell’uomo che “si fa” (e quindi si spiega) attraverso processi socio-culturali oltre
che meramente biologici. Qui Remotti trova la chiave di lettura della ricerca etica, che dovrebbe tentare una defi-
nizione dei suoi oggetti – in generale i costumi, i comportamenti – a partire dalla consapevolezza che essi (ce lo
ricorda Montaigne) sono quanto di più diverso si possa incontrare al mondo.
Il contributo della Franco, Figure della responsabilità, da una lunga ricerca sul concetto di responsabilità getta una
luce originale sulla figura dell’uomo moderno, dove responsabilità e modernità sono elementi intrinsecamente
legati. Quello moderno è spesso “individuo casuale” in quanto il suo destino dell’uomo non è più «determinato
dalle condizioni di nascita, di appartenenza, come accade nelle società religiose o culturalmente e socialmente chiu-
se (…)» (p. 42). Da qui lo stato di sostanziale contingenza dell’individuo in questione, condizione molto bene richia-
mata dall’immagine proposta dalla Heller dell’“essere avvolti in una busta senza indirizzo” per cui ci si deve “auto-
destinare” (cfr. A. Heller, L’etica della personalità, l’altro e la questione della responsabilità, “La società degli individui”,
2, 1998). Se alle questioni di ordine morale non si addicono “soluzioni univoche”, la Franco nota allora che è la stes-
sa responsabilità a vivere al suo interno una sostanziale ambivalenza concettuale: il porci come enti moralmente
responsabili ci obbliga a ricercare “punti di equilibrio” fra autonomia e relazione, rapporto, interdipendenza. In
chiave positiva responsabilità è essenzialmente promessa in quanto espressione di chi ha consapevolezza di poten-
za e libertà insieme e che quindi è in grado di promettere: è nella relazione tra individui sovrani che la Franco intra-
vede la grande possibilità che gli uomini hanno di riconoscersi, appunto, responsabili (cfr. pp. 62-63).
Con Veca approdiamo ai rapporti che si trovano ad intessere tra di loro la morale e la politica: Le metamorfosi dello
spazio pubblico e le teorie della giustizia distingue, kantianamente, tra un uso privato della ragione, proprio di chi «si rife-
risce ai criteri di razionalità definiti dal suo ruolo sociale e dalle cerchie di riconoscimento socialmente fissate e defi-
nite» (p. 71) (che è poi il caso del prete, del militare e del contribuente), ed un uso pubblico della ragione, riconduci-
bile a chi impiega questa «in modo indipendente dai criteri dati dalle sue cerchie di riconoscimento» (ibidem) ed anzi
in vista di una dimensione ideale, quella del cittadino cosmopolitico. Veca finisce per riprendere, in parte integrando-
lo, il Popper della società aperta: quest’ultima è veramente tale solo se «promette maggiori probabilità di costituzio-
ne e ricostituzione di cerchie di riconoscimento e identità collettive nel tempo» (p. 74). E la razionalità (o la ragionevo-
lezza) è soprattutto quella preziosa risorsa che ci garantisce la convergenza, fatta salva la realtà delle differenze.
È possibile rendere una società più libera? è invece ciò che si chiede Ian Carter, il quale mette in tavola una possibi-
le discussione sulla massimizzazione della libertà, avvertendo del rischio costitutivo della perdita di vista della pro-
spettiva del singolo a favore della considerazione della società nel suo intero. Chiamando in causa autori quali Mill
e Hayek, ma anche Berlin e Russell, egli discute il valore strumentale della libertà e afferma che il bene del progres-
so lo possiamo conoscere solo ex post (…): possiamo dire “più libertà c’è, più è probabile il progresso”, ma non pos-
siamo dire “per realizzare il progresso, ci vuole la libertà di fare x e la libertà di fare y» (p. 80). Giocando allora tra
i due poli della massimizzazione della libertà (che, ad un certo grado, “sazierebbe”) e del valore strumentale non-
specifico della stessa, argomenta prima la teoria della libertà come “somma fissa” e la teoria “fiscalista” di libertà
(Bentham e Hiller Steiner), poi l’opposta tesi critica di G.A. Cohen.
Anche Esposito, con Comunità e democrazia, offre un’altra intensa analisi dei rapporti tra etica e politica nel
mondo contemporaneo. Egli cerca di intendere la democrazia soprattutto in chiave socio-antropologica, oltre che
politologica; tiene così presenti i concetti di communitas, e quindi di “rottura delle barriere protettive dell’identità”,
e di immunitas, e quindi di ripristino di quelle in forma difensiva-offensiva contro le aggressioni dall’esterno dell’i-
dentità stessa (cfr. p. 100). La denuncia che avanza è quella per la quale il sistema immunitario non conosce alcuna
autentica comunicazione: ecco i rischi che risiedono nelle figure-metafore del deserto e della fortezza (cfr. pp. 106-
107). Oggi come mai è urgente una “riattivazione” del pensiero della comunità perché questa non si limiti ad esse-
re pura esteriorità o finisca per autodefinirsi quale comunità chiusa: un pericolo dal quale ci aveva messo in guar-
dia già la critica civico-politica di un Aldo Capitini. Contro la triste realtà sempre riproducentesi degli affamati, dei
deportati, dei rifugiati – ancora con Capitini, in una parola direi degli stanchi – e contro il rischio sempre incomben-
te della dimenticanza, della deformazione, della rimozione e del tradimento, Esposito rilancia (in uno dei passi più
propositivi del volume) l’idea dell’“essere-con” e ci gira uno degli interrogativi più profondi di questo insieme di
saggi: non è «la comunità – la relazione, il nostro cum – “noi” come cum – che richiama ogni nascita e ogni incon-
tro, anche il più anonimo, il più quotidiano, il più apparentemente banale?» (p. 106).
SCHEDE E RECENSIONI 119

Stefano Raimondi (prefazione di Umberto Fiori), La città dell’orto, 2002, Casagrande edito-
re, Bellinzona.

a cura di Massimiliano Cappuccio

La poesia di Raimondi ha oramai valicato i confini della ricezione nazionale e ha di recente richiamato l’attenzione della
critica europea (si veda Das Gewicht eines gewendeten Blattes, Zürich, Limmat Verlag, 2004); proiettata quindi verso una dimen-
sione di ascolto internazionale, la sua scrittura continua però ad essere ispirata da un’interrogazione inquieta sul senso delle
proprie radici milanesi; dalla ricerca della provenienza della propria ascendenza, motivata dal bisogno del riconoscimento
di un’identità – personale e collettiva al tempo stesso - che è messa a repentaglio proprio dalla scontata familiarità e dalla
quotidiana prosaica frequentazione dei luoghi del capoluogo lombardo. Raimondi evoca questi ultimi sia nelle tracce di
un’esperienza biografica di dolorosa maturazione, sia esprimendoli in un tessuto simbolico nel quale si disegnano i luoghi
popolari di Milano, le atmosfere comuni ma ancora incomprese, gli spazi urbani che si scoprono significativi nella loro appa-
rente insignificanza, nei quali scorre il sangue della storia meneghina: il quartiere Garibaldi, il Giardino della Guastalla, il
ponte alto del Corvetto, ma anche le piccole vie anonime, i tetti assolati, i “draghi verdi” delle fontane pubbliche. “Uno sguar-
do vasto, architettonico”, come ha scritto Milo De Angelis, riscopre la città di Milano, dischiudendone il senso più tipico e
nascosto nella familiarità con i navigli, le vie, le piazze famose; la poesia di Raimondi esplora un itinerario segreto che si
snoda attraverso gli interni dei palazzi nascosti dai portoni austeri, tra i cortili custoditi dagli sguardi vuoti dalle guardiole,
sostando per pochi attimi a spiare l’intimità della vita domestica celata nella luce fioca degli appartamenti.
E’ una riscoperta mediata dalla dialettica con il passato dei progenitori, attraverso una anamnesi del padre, del suo corpo
esposto e sofferente, della sua malattia, che l’Autore affronta con senso di pietas laica, richiamato dalle numerose e sottili evo-
cazioni testamentarie, dal simbolismo dell’acqua (battesimo e riconoscimento della vita nel nome) e del sale (ricchezza e casti-
go); il senso di cura, precarietà trova qui un’espressione compiuta nell’insistenza sulla fragilità del padre, il cui corpo infer-
mo è anche uno spiritus loci, incarnato nel groviglio delle strade indaffarate, negli scorci di quelle memorie silenziose e nostal-
giche che affollano il tessuto vivente della città; memorie collettive dell’anonimo pedone, e quindi di tutti e di nessuno, che
alludono ad un’identità più comprensiva e originaria, ma anche distante, lontana, perduta nella collettività della folla. La
poetica assorta e malinconica di Raimondi è una peregrinazione taciturna ma febbrile, un estremo tentativo di recuperare
un volto che ci si porta dentro, sepolto nella quotidianità, senza possedere più; un incontro con la paradossalità dell’Altro
che, nello spirito della meditazione filosofica di Levinas, ci appartiene proprio come vuoto e assenza assolutamente inappro-
priabile. Lo stile di Raimondi si richiama alla scrittura quieta ma densa e pungente del poeta lombardo Vittorio Sereni, al suo
sguardo cauto, discreto, ma anche sensibile e penetrante, che non si estranea dall’impegno del confronto con la storia ma,
osservando quest’ultima dai margini della penombra, osserva con distacco il trapassare delle sue ideologie; è il commoven-
te, attento, paziente sforzo del poeta che vuole stringere l’esistenza vivente e la storia umana di un’intera metropoli in una
manciata di versi: “Anche qui crescono le magnolie / ma strette nei cortili / cagliate dalle ombre e dalle grazie”; “… è que-
sta la città dell’orto, / dove le cose crescono serrate…”.

Antonio Tursi, Internet e il Barocco. L’opera d’arte nell’epoca della sua


digitalizzazione, Cooper, Roma, 2004, 267 pp.

a cura di Massimiliano Cappuccio


Antonio Tursi è allievo di Alberto Abruzzese e Derrick De Kerckhove, e svolge atti-
vità di ricerca nell’ambito delle scienze della comunicazione a Roma e a Macerata; il suo
nuovo libro costituisce un’occasione di discussione del rapporto tra la filosofia della tec-
nica, l’estetica e la massmediologia attraverso la chiave di lettura di un confronto con la
sensibilità artistica e culturale del barocco e dei suoi stilemi. Si tratta di un tentativo di
definire la specificità della produzione artistica contemporanea attraverso un’indagine
interdisciplinare che prende in considerazione tre nodi speculativi fondamentali, che
scaturiscono dal confronto con altrettanti classici della filosofia: 1. (Heidegger) la que-
stione della tecnica e della sua imposizione come specifica modalità storico-epocale del-
l’illuminarsi del senso della cultura occidentale; 2. (Benjamin) la questione dell’ineffa-
bilità dell’opera quando essa è realizzata su di un supporto liquido, come quello digi-
tale – si tratta quindi di un’opera non più solo infinitamente riproducibile e reiterabile, ma anche divenuta irrime-
diabilmente virtuale, potenziale, perché sottratta all’attualità del supporto solido; 3. (Leibniz) la questione del pro-
spettivismo seicentesco, e quindi della verità come orizzonte della monade, come punto di osservazione rispetto al
quale si ordinano gerarchicamente i vari livelli dell’esperienza del mondo. Il percorso che Tursi attraversa è arti-
colato principalmente in un confronto con quattro grandi forme dell’ingegno umano, che sono l’architettura e l’ur-
banistica (tecnologie che ridefiniscono le modalità dell’abitare il mondo e disegnano di volta in volta nuovi “fondi”
dai quali è possibile attingere l’esperienza della spazialità e della corporeità incarnata), le arti figurative (come
costitutive di un nuovo prospettivismo razionalizzato), il cinema (cioè quella forma d’arte che non solo è infinita-
mente reiterabile, ma che assume come proprio fondamento esattamente il principio della reiterazione dell’azione
e dell’immagine in movimento) e infine appunto Internet, come medium in cui si riepiloga la struttura rizomatica
dell’enciclopedia dei saperi postmoderni.
120 IN LIBRERIA...
La proposta più interessante del libro consiste nel porre in relazione i due concetti che compaiono fin dal titolo, e cioè
appunto Internet e il barocco. Che cosa ha a che fare lo stile artistico seicentesco con l’universo dell’informazione di Internet,
cioè l’universo relazionistico dei saperi delocalizzati e globali? Il barocco non va considerato solo come l’espressione più
emblematica dello stile e del pensiero moderno, ma anche come quell’espressione in cui si annuncia il superamento della
modernità stessa: in qualche modo il barocco è ciò che spinge il moderno ad abbandonare il proprio impianto giustificati-
vo e a diventare post-moderno. Da questo punto di vista il barocco rappresenta una forma di passaggio, un motivo di con-
tinuità nella differenza, in grado di mettere in relazione la modernità con la contemporaneità post-moderna. Tursi sugge-
risce molte analogie, o somiglianze di famiglia, tra la frequentazione barocca dell’esperienza artistica e il modo specifico del
terzo millennio. L’analogia è anzitutto cosmologica, perché l’immagine dell’universo barocco è in realtà un multiverso, una
raffigurazione non più rinchiusa nell’ordine circolare del cosmo ordinato rinascimentale, perché dotata ora di un orizzon-
te aperto, sfondato - nel senso che promuove un’abolizione del fondo, e che perciò allude alla ricchezza inesauribile dei
mondi possibili, alla moltiplicazione infinita, non fondata e non fondabile, delle prospettive conoscitive delle monadi; attra-
verso Internet la tecnologia costruisce una cosmologia molto simile, perché informata da una cultura non più solo monado-
logica, ma anche nomadologica (come suggerisce Deleuze), cioè appartenente ad una collettività “nomade”, apolide, struttu-
rata senza confini e senza patria, che può essere indefinitamente allargata in ogni direzione. Non va dimenticata però, la
profonda differenza che distingue lo stile barocco dalla forma di vita culturale contemporanea: lo spazio della rappresen-
tazione barocca è ancora uno spazio dotato di un centro e di una periferia, di un ordine gerarchico, di una sintassi e di diver-
si assi di simmetria; l’impianto dei saperi di Internet, al contrario, non si sviluppa geometricamente come un’architettura
razionale, ma piuttosto caoticamente come un organismo dotato di vita propria, che si accresce seguendo pulsioni cieche e
imprevedibili perché del tutto contingenti e non guidate da un disegno complessivo.

Pier Aldo Rovatti-Davide Zoletto, La scuola dei giochi, Bompiani, Milano 2005
a cura di Sonia Ghidoni
“Giocare è un modo di stare nell’esperienza, nella realtà della mia vita”. Seguendo la lezio-
ne di Wittgenstein è possibile infatti, secondo gli autori, individuare nella pratiche della vita le
stesse modalità che sono esplicite nell’atto del giocare. Nel mondo noi giochiamo dei ruoli, le
cui regole interne costituiscono una sorta di vincolo dinamico e morbido (“funzionano più
come una specie di membrana o di setaccio… che come una rigida barriera”) e sono passibili
di leggeri mutamenti; entriamo in tali ruoli liberamente, come libera è la scelta del gioco, e da
dentro compiamo l’atto creativo di riassettare l’intero sistema di norme. Eppure il gioco, dice
Rovatti, è sempre rischioso per la possibilità di smarrirsi nell’alienazione causata da una cesu-
ra troppo netta con il mondo reale: “Perdersi nel gioco, che è quanto accade poco o tanto, ma
sempre, nel gioco reale, non significa affatto perdersi, ma sfidare almeno un poco la propria
identità esponendosi all’esterno di sé. (…) Il vero azzardo coincide con questo varcare la soglia”.
Il gioco quindi istituisce un confine regolato (secondo Goffman, viene stabilito ciò che è rile-
vante o meno) ma che tuttavia mantiene un legame saldo con ciò che vi rimane all’esterno
(garantito da quelle che Goffman definisce “regole di trasformazione”). Sempre Rovatti afferma che varcare la soglia del
gioco è come mettere la realtà tra virgolette senza lasciarla completamente al di fuori ma consentendo quel “reciproco
debordamento” tra una cornice e l’altra che evita lo smarrimento di sé e la perdita del contatto con il proprio contesto socia-
le. La scuola del gioco è allora una scuola di versatilità che insegna “a giocare parti della nostra realtà, allentando la colla
con cui siamo appiccicati a queste parti”. Ma non si impara a giocare in astratto: ogni imparare è già un giocare e quindi,
come ci insegna ancora una volta Wittgenstein, un obbedire a regole senza porle in questione, pena la perdita stessa dell’i-
dentità del gioco. Fondamentale è inoltre, secondo Zoletto, il contesto sociale di condivisione della situazione di gioco, con-
testo che attua “una forma di controllo sociale sugli individui che non viola la loro libertà individuale”. E’ qui che allora
viene chiamato in causa Dewey con le sue riflessioni sull’aspetto ludico della classe scolastica, in grado di creare un aspet-
to di mediazione tra una normatività interna alla pratica dello “stare a scuola” e un certo grado di libertà individuale che
consiste nello scoprire nuove possibilità di interpretare un ruolo. Ed è proprio lo statuto di ambiguità del gioco che lo rende
così interessante e così simile al nostro vivere il mondo-della-vita: regolato e sregolante, fonda un mondo possibile mai real-
mente separato, perché intrecciato di somiglianze di famiglia con il mondo reale, e insegna la vera libertà di ricrearsi non
in modo anarchico ma nel rispetto delle pratiche sociali (ricordiamocelo: non esiste un linguaggio privato) che costituisco-
no e determinano le nostre forme di vita. “Se, insomma, la vita non è né può mai essere un gioco, noi possiamo però impa-
rare a giocare la vita in tutte le sue situazioni, e perfino nei suoi buchi, imparando a uscire e a entrare in ognuno di essi.”

Matteo Vegetti, Hegel e i confini dell’Occidente. La Fenomenologia nelle interpretazioni di


Heidegger, Marcuse, Löwith, Kojève, Schmitt, intr. di C. Sini, Bibliopolis, Napoli 2005, 357 pp.
a cura di Matteo Bianchetti

Il titolo pone in gioco uno testo dei più noti e controversi della tradizione filosofica, la Fenomenologia dello Spirito di
Hegel, mettendolo in relazione con le interpretazioni decisive che, all’inizio del ‘900, ne fecero Heidegger, Marcuse,
Löwith, Kojève e Schmitt. Non si tratta solo di una ricostruzione storiografica (senza nulla togliere a questo genere di lavo-
ro), ma, attraverso l’analisi del ritorno a Hegel avvenuto intorno agli anni ’30 del secolo scorso, si mira a tracciare un iti-
nerario speculativo che rifletta sul significato e la soglia rappresentati dall’ambiguità di un’opera che mentre pare com-
SCHEDE E RECENSIONI 121

piere la storia della metafisica, determinata dal suo inizio aristotelico, dall’altro propone anche nuove prospettive sulle
categorie di vita, forza, movimento che portano a ridiscutere la questione ontologica della realtà.
Heidegger si ritrova a discutere con Hegel (in relazione con Aristotele) su temi cruciali per il suo pensiero, quali il
tempo, il movimento, il senso dell’essere e il soggetto e a lui dedicherà un seminario negli anni cruciali ’30-’31. Marcuse,
poi, si abiliterà con Heidegger con la tesi L’ontologia di Hegel e la fondazione di una teoria della storicità e, prendendo spunto
dal problema della reificazione e della chiusura aporetica di Essere e tempo, approfondirà il tema della vita e della sua spe-
cifica kinesis in riferimento precipuo con la Fenomenologia della Spirito. Anche Kojève, che proprio alla Fenomenologia ha
dedicato un celebre seminario, riflette proprio sul tema specifico della vita e della storia ponendo in relazione la questio-
ne del tempo, dell’antropologia e dei rapporti sociali ed è qui posto in relazione con la riflessione sul significato della sto-
ria e del pensiero dopo Hegel e con la riflessione politica di Carl Schmitt.
Non è possibile riportare ora le analisi particolareggiate e costantemente sostenute oltre che, come dice Sini nella pre-
fazione, da una notevole erudizione anche da una singolare vis teoretica. Preme, però, sottolineare che la ricchezza di figu-
re e di temi affrontati sono legati tra loro dallo sforzo di cercare nella Fenomenologia un paradigma genealogico che con-
senta di leggere il senso dell’epoca presente ponendo la questione concernente l’avvenire di Hegel e declinandola secon-
do tre accezioni. La prima riguarda la struttura ontologico-modale della mobilità essenzialmente storica dell’essere e, in
particolare, lo statuto del futuro nella filosofia hegeliana. La seconda è l’indagine genealogica dell’evento della specula-
zione di Hegel e, infine, il terzo significato della ricerca riguarda la ricostruzione del senso che essa ha aperto. Tutte le tre
vie di ricerca sono tra loro unite nel tendere alla determinazione dell’Erörterung del compimento della metafisica che si
realizza in Hegel e, contemporaneamente, come si era accorto Heidegger, apre un nuovo fronte di pensiero che pone in
questione i fondamenti della sua stessa ratio.

Vincenzo Vitiello, Dire Dio in segreto, Città Nuova, Roma 2005

a cura di Erasmo Silvio Storace

Le domande che muovono le riflessioni contenute in quest’ultimo testo di


Vincenzo Vitiello sono: “È possibile dire Dio? E in che modo?”. Queste domande,
come del resto ogni domanda, arrivano troppo tardi, e ad esse – scrive Vitiello – è
possibile rispondere solo “in seconda persona, con il tu”. Dire Dio in terza persona
significa infatti cosalizzarlo, e ciò accade anche con l’apofantismo della teologia
negativa che, dicendo cosa Dio non è, comunque lo definisce limitandolo. Nel libro
Il Dio possibile Vitiello aveva mostrato che un modo di parlare di Dio consiste nel
dire che Egli è possibile (“Dio è-possibile possibilità-possibile-impossibile”); nelle
ultime pagine di quel testo la preghiera si era però mostrata come il modo privile-
giato di accostarsi a Dio, e la preghiera, come è ovvio, si dà solo in seconda perso-
na. Dire Dio in segreto prende in esame quattro modi possibili di dire Dio, partendo
da quello filosofico, che pretende di esprimere Dio attraverso il concetto, per appro-
dare al dire mistico, al confine con il silenzio, proprio della poesia e dei testi sacri.
Nel primo capitolo Vitiello espone le due diverse interpretazioni della trinità offer-
te da Hegel e da Schelling. Nel secondo capitolo si discute la sentenza di Nietzsche: “Dio è morto”, prendendo in con-
siderazione anche l’interpretazione data da Heidegger; è molto interessante, a tal proposito, che la morte di Dio venga
letta come la morte del sentimento del sacro e dunque non come qualcosa che porti all’ateismo, bensì proprio alla
ricerca di Dio – Nietzsche stesso definiva infatti il suo Zarathustra come “l’ultimo libro sacro”. Il terzo capitolo parla
invece del dire dei poeti, che tenta di dire Dio in silenzio attraverso frasi ed incisi. Nell’ultimo capitolo, teoreticamen-
te molto denso ed impegnato, Vitiello mostra infine che anche l’apofatismo della teologia negativa (da Plotino a ritro-
so fino al Platone dei Dialoghi dialettici) necessita di essere superato, approdando dunque alla dimensione del mistero
in cui, come diceva lo stesso Gesù Cristo, non si può che pregare Dio in segreto – en tò kryptò. Esempi di preghiera
sono dunque quella del Getzemani, quella del Golgota, ma ancor di più il grido del Cristo morente. In un pathos sem-
pre crescente, Vitiello ci parla, con un linguaggio sempre più rarefatto, di un Dio che non si dimostra, ma che si
mostra, che mostra se stesso, e il pathos sale ancor di più nelle ultime pagine, alcune delle quale sono appunto scritte
in seconda persona, per concludersi con alcuni versi di Rilke, in cui “l’Annuncio è preghiera, proferita come in un sof-
fio – ich bin ein Hauch im Hain: nel bosco sono un mite vento –, perché la casa dell’uomo non crolli”.
Questi e molti altri temi emergono dalle pagine di questo libro di Vitiello, che vuole mostrare la necessità,
non solo teologica ma soprattutto filosofica, di operare un profondo cambiamento nel dire filosofico stesso,
che deve muovere verso una grammatica del “tu”, verso una logica del possibile che vada aldilà – o meglio,
“aldiquà” – della logica aristotelica del principio di non-contraddizione, costruita in terza persona. Tutto
questo viene tentato non solo attraverso uno stile raffinato e in alcune pagine indubbiamente sublime, ma
soprattutto in una modalità che si colloca sulla soglia del dire filosofico e di quello religioso, lasciando ad
intendere che questo stesso dire, attraverso cui il filosofo cerca di accostarsi al Sacro, può a sua volta essere
considerato come una forma di preghiera – la più alta, forse.
122 IN LIBRERIA...

Novità AlboVersorio
LabOnt
Collana del Laboratorio di Ontologia
diretta da Maurizio FERRARIS

Tiziana Andina, Il problema della percezione nella


filosofia di Nietzsche

Prefazione di Maurizio Ferraris

Che cosa rimane della filosofia di Nietzsche dopo la fine del


Postmoderno? Si tratta di una domanda intrigante che per di più
nasce spontaneamente, visto che la filosofia di Nietzsche non
appartiene alla post-modernità, ma costituisce una sintesi elabo-
rata - per quanto non sempre efficace - di alcune teorie filosofi-
co-scientifiche del secondo Ottocento. Ne esce la ricostruzione
di un sistema complesso in cui metafisica, ontologia ed episte-
mologia formano gli assi portanti di una visione del mondo fil-
trata attraverso l’apporto costante delle scienze.
Un Nietzsche che nemmeno troppo paradossalmente la tradi-
zione analitica ha potuto riscoprire come filosofo attraverso le
sue ipotesi sulla sostanza, sul tempo, sulla spazialità e la sua
costruzione di un’idea di mondo esterno intimamente legata alla
fisica helmholtziana e al neo-kantismo.

In libreria da Settembre

Carola Barbero, Madame Bovary. Something like a


melody
What does a fictional entity like Madame Bovary have in com-
mon with a melody? They are both higher order objects, i.e. objects
that are made up of other objects but are not strictly identical with
their sum. Melodies are, as is well known, objects of higher order
par excellence: we can play a familiar melody of eight tones, then
afterwards we can employ eight new tones, and yet still recognize
the melody despite the change. Why is this possible? It is possible
because we have something more than the mere sum of eight
tones, i.e. a ninth something, which is the form-quality, the
Gestaltqualität, of the original eight. This ninth factor is the element
which enables us to recognize the melody despite the fact that it
had been transposed. These considerations are analogously appro-
priate for fictional entities: we have properties, sets of properties,
and we have to understand what kind of relation subsists between
these sets of properties and the fictional object - e.g. Madame
Bovary. The set of properties is not one and the same with its
object-correlate: what then is the difference between Madame
Bovary and its constitutive properties? It is the very same kind of
difference subsisting between the eight tones and the melody. The
form or shape characteristic of the fictional entity can therefore,
exactly as in the case of melody, be transposed to a different story,
even with different constitutive properties, and still remain the
Acquistabile on-line: same entity, as happens, for instance, to Madame Bovary in Allen's
www.alboversorio.it novel, The Kugelmass Episode.
IN LIBRERIA... 123

Novità Bompiani
Carlo Conni, Identità e strutture emergenti
Prefazione di Roberta De Monticelli

In questo saggio l’autore sviluppa su basi fenomenologiche e ontologico-formali


una teoria innovativa dell’identità individuale in grado di tracciare un criterio ontolo-
gico di demarcazione fra esseri viventi e oggetti inanimati. L’individuo in quanto esse-
re vivente appartenente a una specie è pensato come una rete strutturata di dipenden-
ze fra le sue parti, mentre l’identità personale, e più in generale la nozione di persona,
è analizzata come una struttura fenomenica emergente indipendente e non causata
dalle sue basi biologiche e naturali. A questo scopo il testo intraprende uno studio
della formazione delle proprietà emergenti che ci circondano nella realtà quotidiana.
Legato alla tradizione husserliana ma al tempo stesso in continuo dialogo sia con
approcci interdisciplinari olistici al problema della complessità dei sistemi dinamici sia
con le prospettive filosofiche contemporanee sul tema dell’identità specifica, diacroni-
ca, individuale, il testo getta anche nuove luci su temi fondamentali della filosofia
moderna quali la nozione di sostanza cartesiana. Approfondito ma sintetico, sviluppa
le argomentazioni e gli aspetti più tecnici sempre accompagnandoli con esempi illu-
strativi e utilizzando un linguaggio piano e accessibile.

Massimo Donà, Sulla negazione

I saggi contenuti in questo volume si impegnano in un serrato confronto con il con-


cetto di “negazione”, sia alla luce del ruolo decisivo giocato da quest’ultimo nel
“dramma” del pensiero occidentale, sia perché è soltanto a partire da tale confronto
che può delinearsi una prospettiva filosofica davvero fedele alla “questione del fon-
damento”. Si tratta evidentemente di una prospettiva del tutto inedita, se oggi è pro-
prio la bandiera della negazione quella che molti agitano per giustificare la “disillu-
sione del pensiero” cui l’Occidente sarebbe destinato. Agostino, Tommaso, Cartesio,
Freud, Hofmannstahl: questi sono i presunti attori della décadence che, mettendo in
discussione la possibilità di un pensiero libero dal negativo, sarebbero approdati a
un’arrendevole rinuncia a “dire” l’Assoluto. Ben altra “musica” suonano proprio que-
sti autori nelle pagine di questo libro. Senza pretese sistematiche – fedele anzi a uno
sguardo autenticamente inaugurale, già da sempre in pari con la propria carica eversi-
va – esse porgono l’orecchio a quell’altro pensiero della “negazione”, che altrettanto da
sempre pulsa nelle vene della grande filosofia.

Emanuele Lago, La volontà di potenza e il passato


Prefazione di Emanuele Severino

Il senso che la nostra cultura conferisce al tempo è determinato dal senso che essa
attribuisce al divenire. Proprio in relazione alla fedeltà a quest’ultimo, Nietzsche e
Gentile rappresentano due delle massime espressioni della filosofia contemporanea.
Apparentemente molto distanti tra loro, esse rivelano invece, appunto per quella fedel-
tà, la loro essenziale vicinanza. Questo saggio si propone di presentare tale vicinanza
in tutta la sua ampiezza e portata, coinvolgendo tra l’altro nelle sue analisi altri gran-
di pensatori dell’Occidente, come Kant, Hegel, Bergson, Proust, Heidegger. Ciò che
emerge è la coerenza estrema al senso ontologico del divenire, come passaggio dall’es-
sere al nulla (e viceversa), porta paradossalmente Nietzsche e Gentile a progettare due
andamenti opposti del tempo (l’eterno ritorno dell’uguale nell’uno, l’eterna modifica-
zione dello stesso nell’altro), manifestando così l’intrinseca contraddittorietà della stes-
sa nozione di divenire su cui essi si basano e che condividono con l’intero pensiero filo-
sofico occidentale.
124 IN LIBRERIA...

EDIZIONI ALBOVERSORIO
COLLANA STUDI

diretta da Claudio BONALDI ed Erasmo Silvio STORACE

Volumi pubblicati:

1. Costantino Esposito,
Alfredo Marini, Carlo Sini, 2. Karl-Otto Apel, Paolo
Gianni Vattimo, Vincenzo Becchi, Paul Ricoeur
Vitiello, Friedrich-Wilhelm
von Herrmann HANS JONAS. Il filosofo e
la responsabilità
DIALOGO SU ESSERE E
TEMPO a cura di Claudio Bonaldi;
a cura di Claudio Bonaldi ed prefazione di Nynfa Bosco
Erasmo Silvio Storace

Novità in libreria

3. Enrico Berti, Giovanni Casertano, Francesco Fronterotta, Maurizio Migliori,


Carlo Sini, Mario Vegetti, Vincenzo Vitiello

PLATONE E L’ONTOLOGIA: il Parmenide e il Sofista


a cura di Matteo Bianchetti ed Erasmo Silvio Storace

Prossime uscite:

4. Guido Canziani, Mauro Carbone, Giovanni Dozzi, Costantino Esposito,


Maurizio Ferraris, Elio Franzini, Ferruccio Franco Repellini, Alessandro
Linguiti, Alfredo Marini, Massimo Parodi, Marco Rossini, Carlo Sini, Franco
Trabattoni, Paolo Valore

LA STORIA DELL’ONTOLOGIA
a cura di Erasmo Silvio Storace

5. AA.VV.

CARLO MICHELSTAEDTER. Un’introduzione


a cura di Luca Perego ed Erasmo Silvio Storace
IN LIBRERIA... 125

COLLANA NETICA

diretta da Massimiliano Lorenzo CAPPUCCIO

1. Franco Bertossa, Marco Besa, Antonio Caronia, Elena Casetta,


Claudio Consonni, Paolo D’Alessandro, Roberto Ferrari, Maurizio Ferraris,
Carlo Formenti, Giulio C. Giacobbe, Giuseppe O. Longo, Diego Marconi,
Alberto Oliverio, Alfredo Paternoster, Gaspare Polizzi, Carlo Alberto Redi,
Carlo Sini, Antonio Tursi, Achille Varzi, Nicla Vassallo

DENTRO LA MATRICE: Filosofia, scienza e spiritualità in Matrix


a cura di Massimiliano Cappuccio

2. (in libreria da Ottobre 2005)


A.A.V.V.
L’EREDITA’ DI ALAN TURING. 50 anni di intelligenza artificiale
A cura di Massimiliano Cappuccio

_______________________________________________
LABONT - COLLANA DEL LABORATORIO DI ONTOLOGIA

diretta da Maurizio FERRARIS

Center for Theoretical and Applied Ontology


(CTAO: www.ctaorg.org)
1. Tiziana Andina Laboratorio di Ontologia (LabOnt: www.labont.it)

Il Centre for Theoretical and Applied Ontology (CTAO),


IL PROBLEMA DELLA PER-
diretto dal professor Maurizio Ferraris e presieduto dal profes-
CEZIONE NELLA FILOSOFIA
DI NIETZSCHE sor Prof. Rodolfo Sacco, è una federazione di Università e
Centri di ricerca italiani ed europei che si occupa di sviluppa-
prefazione di Maurizio Ferraris re e incentivare le ricerche in ontologia teorica e applicata.
Labont - Fin dalla nascita il nucleo operativo del Centro è
costituito dal LabOnt (www.labont.it), diretto anch’esso dal
professor Maurizio Ferraris, e con sede presso il Dipartimento
di Filosofia dell’Università di Torino. All’interno del Labont
si sviluppano attività di ricerca in ambito filosofico con parti-
colare attenzione alle aree della ontologia, della storia della
filosofia, della filosofia del linguaggio, dell’estetica, della psi-
2. Carola Barbero cologia e delle scienze cognitive.
A fianco dell’attività di ricerca il LabOnt cura anche una
MADAME BOVARY: SOME- intensa attività editoriale con la pubblicazione della Rivista di
THING LIKE A MELODY estetica (http://www.labont.it/estetica/index.asp) e della colla-
na di ontologia presso l’editore AlboVersorio di Milano.
È possibile iscriversi alla mailing-list del LabOnt inviando
una mail vuota a: LabOnt-subscribe@yahoogroups.com

EDIZIONI AlboVersorio
Associazione culturale “Alboversorio”,
via Tolmezzo 12/7, CAP 20132, Milano
E-mail: info@alboversorio.it
Internet: www.alboversorio.it
tel.: 3289284139
Per informazioni e aggiornamenti: Per contattarci:
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126
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iisf - ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI


DIPLOMA D'ONORE DEL PARLAMENTO EUROPEO· PRESIDENTE ONORARIO I. PRIGOGINE
Via Monte di Dio 14 - Palazzo Serra di Cassano - 80132 Napoli
Tel.: 081.7642652 Fax: 081.7642654 - www.iisf.it
SCUOLE ESTIVE DI ALTA FORMAZIONE 2005
SCUOLA DI VICO EQUENSE In collaborazione con la University of Alberta (Edmonton) 13 - 15 giugno 2005
L’ERMENEUTICA ONTOLOGICA DI GIANNI VATTIMO. MASSIMO VERDICCHIO (University of Alberta): -Il pensiero debole. -Oltre l’interpre-
tazione: Heidegger, Gadamer. -Dal pensiero debole alla teologia.

SCUOLA DI NAPOLI 12, 13, 15 luglio 2005


LA FILOSOFIA DELLA VITA IN GERMANIA. ANTONIO GARGANO (Istituto Italiano per gli Studi Filosofici): -Wilhelm Dilthey: esperienza
vissuta e categorie della vita. -Georg Simmel: forme ideali e flusso della vita. -Oswald Spengler: il destino della storia come necessità biologica.
Coordinamento e segreteria: Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Via Monte di Dio 14, 80132 Napoli. Tel. 081/7642652.

SCUOLA DI NAPOLI 18, 20, 22 luglio 2005


LA VITA DELLE MASSE: FILOSOFIA, SOCIOLOGIA, PSICOLOGIA. ANTONIO GARGANO (Istituto Italiano per gli Studi Filosofici): -José
Ortega Y Gasset: La ribellione delle masse. -Sigfried Kracauer: L’ornamento delle masse. -Sigmund Freud: Psicologia di massa e analisi del-
l’io. Wilhelm Reich: Psicologia di massa del fascismo.
Coordinamento e segreteria: Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Via Monte di Dio 14, 80132 Napoli. Tel. 081/7642652.

SCUOLA DI FRANCAVILLA AL MARE In collaborazione con la Società Filosofica Italiana - sezione di Francavilla al Mare, il Comune di
Francavilla al Mare, la Provincia di Chieti e con la Regione Abruzzo 12 - 14 settembre 2005
CINEMA E FILOSOFIA. LUISELLA BATTAGLIA (Univ. di Genova), MARCO BERTOZZI (Univ. di Ferrara), GIANNI CANOVA (IULM, Milano),
UMBERTO CURI (Università di Padova), ENRICO GHEZZI (RAI), SERGIO GIVONE (Università di Firenze), PIETRO MONTANI (Università di
Roma), MARIO PEZZELLA (Università di Firenze), GUIDO OLDRINI (Università di Bologna), LUCA PINZOLO (Università di Milano).
13 settembre CINEMA E DIDATTICA DELLA FILOSOFIA. CRISTINA BORACCHI (Liceo Scientifico Statale di Gallarate), GIOVANNA DE
ANTONI: (Liceo Scientifico “Brocchi” di Bassano del Grappa), FEDERICO LEONI (Liceo Classico “G B. Vico” di Chieti), BARTOLO IOSSA
(Liceo Scientifico “F. Masci” di Chieti), CARLO TATASCIORE . Liceo Scientifico “A. Volta” di Francavilla al Mare).
Coordinamento e segreteria: Prof. Carlo Tatasciore, Liceo Scientifico Statale “Alessandro Volta”, Via Cirillo, 66023 Francavilla al Mare
(Chieti). Tel. 085/817418-817251.

SCUOLA DI BUCCINO In collaborazione con il Comune 19 - 21 settembre 2005


I SENTIERI DEL TEMPO. GIUSEPPE LONGO (Università di Napoli “Federico II”).
Coordinamento e segreteria: Architetto Giovanni Sacco, Assessore alla Cultura, Comune di Buccino, Piazza Municipio 1, 84021 Buccino
(SA). Tel. 0828/751223. Fax 0828/951008.

SCUOLA DI NAPOLI 20 - 22 settembre 2005


SCHILLER FILOSOFO. ANTONIO GARGANO (Istituto Italiano per gli Studi Filosofici): -Il pellegrino in Grecia. -L’anima bella e l’ideale
dell’umanità. -Crisi del presente e filosofia della storia.
Coordinamento e segreteria: Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Via Monte di Dio 14, 80132 Napoli. Tel. 081/7642652.

SCUOLA DI BRACCIANO In collaborazione con il Comune e con il Liceo Scientifico Statale “Ignazio Vian” di Bracciano 22 - 23 settembre 2005
EINSTEIN FILOSOFO ANTIMETAFISICO .GINO TAROZZI (Univ. di Urbino): -Il rigetto della dottrina del sintetico a-priori e dei concetti di spazio
e tempo assoluti nelle teorie relativistiche. -La critica e i tentativi di confutazione dell’interpretazione soggettivistica della meccanica quantistica.
Coordinamento e segreteria: Preside Salvatore D’Agostino, Liceo Scientifico Statale “Ignazio Vian”, Largo Cesare Pavese 1, 00062 Bracciano
(Roma). Tel. 06/99809168; fax 06/99803881; e-mail: <rmps33000x@istruzione.it>

SCUOLA DI ANCONA In collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche 26 - 28 settembre 2005
MENTE-UOMO-PERSONA NEL DIBATTITO FILOSOFICO DEL NOVECENTO. SERGIO MORAVIA (Università di Firenze): -La riscoperta
del mind-body problem nel XX secolo. -Caratteri e problemi del “mentale”. -Dalla Mente alla Persona.
Coordinamento e segreteria: Prof.ssa Laura Cavasassi, Via Paradiso 37, 60035 Jesi (AN). Tel.0731/201233; 347/7615886.

SCUOLA DI CALITRI In collaborazione con il Comune e con l’Istituto di Istruzione Superiore “A.M. Maffucci” 29 - 30 settembre 2005
LEGGE E GIUSTIZIA TRA UTOPIA E RIFORME IN GAETANO FILANGIERI E FRANCESCO MARIO PAGANO .GIUSEPPE FONSECA
(Istituto Italiano per gli Studi Filosofici): -Gaetano Filangieri: è un idolo la legge? -Francesco Mario Pagano: dalle Considerazioni al Progetto.
Coordinamento e segreteria: Preside Giovanni Sasso, Istituto di Istruzione Superiore “A.M. Maffucci”, Via Circumvallazione, 83045 Calitri
(AV). Tel. 0827/38163 - 38394; fax 0827/318856.

SCUOLA DI CATANIA In coll. con l’Associazione Etnea di Studi Storico-Filosofici e con la rivista “Scuolainsieme” 29 - 30 settembre 2005
MARX ECONOMISTA E FILOSOFO .ALBERTO BURGIO (Università di Bologna)
Coordinamento e segreteria: Prof. Salvatore Distefano, Associazione Etnea di Studi Storici e Filosofici, Via Aldebaran 9, 95127 Catania. Tel.
095/387725; 320/0562193.

SCUOLA DI CASORIA In collaborazione con il Comune e con il Istituto Polispecialistico “Gandhi” 3 - 5 ottobre 2005
LA RELATIVITÀ IN FISICA. GIUSEPPE LONGO (Università di Napoli “Federico II”): -Il concetto di relatività prima di Einstein. -Gli orologi
di Einstein: simultaneità e spazio-tempo. -Spazio tempo e massa. Considerazioni sulla relatività generale
Coordinamento e segreteria: Dott.ssa Elena Esposito, Comune di Casoria, 80026 Casoria (NA). Tel. 338/8466162

SCUOLA DI ACQUI TERME In coll. con l’Univ. di Genova, il Lions Club di Acqui Terme e l’Ass. alla Cultura di Acqui Terme 12-14 ottobre 2005
LA COMUNITÀ FRA MODERNITÀ E INTERCULTURA. Mercoledì 12 ottobre DOMENICO VENTURELLI (Università di Genova): -
Introduzione. ROBERTO GATTI (Università di Perugia): -Origini e aporie del concetto moderno di comunità: a partire da Rousseau. GERARDO
CUNICO (Università di Genova): -La sfida della comunità interreligiosa. Giovedì 13 ottobre FRANCESCO GHIA (Università di Genova): -Max
Weber e il concetto di comunità religiosa. ALBERTO PIRNI (Università di Genova): - Dire “comunità”, oggi? Anna Czajka (Università di Parma): -
E’ possibile una comunità interculturale? Venerdì 14 ottobre Francesca Menegoni (Università di Padova): -Soggetto e comunità in Hegel.
Coordinamento e segreteria: Dott. Alberto Pirni, Comune di Acqui Terme, Assessorato alla Cultura, Piazza Levi 12, 15011 Acqui Terme. Tel.
0143/888.248 – 347/11.48.478 – 0144/770.305; e-mail: pirni@nous.unige.it

Partecipazione: La partecipazione ai seminari delle Scuole Estive di Alta Formazione è libera. Informazioni sulla sede e gli orari di svolgi-
mento dei seminari e su eventuali facilitazioni o borse di studio vanno richieste esclusivamente ai coordinatori delle singole Scuole.
128

Nei prossimi numeri...


La preparazione dei prossimi numeri di Chora è già in atto. Vi invitiamo dunque a scrivere sui seguenti argo-
menti, ma anche a proporre scritti su altri temi da voi approfonditi, o in risposta a lavori da noi già pubblicati.

L'eros platonico e le sue variazioni - Questo numero di Chora prenderà spunto dall’ampio tema dell’eros e tenterà
di analizzarlo, a partire dai dialoghi di Platone quali il Liside, il Simposio e il Fedro, all’interno di tutte quelle correnti di
pensiero che hanno trattato tale argomento confrontandosi con l’opus platonicum (dal neoplatonismo al cristianesimo,
dal rinascimento al romanticismo, fino ai giorni nostri). Si cercherà non solo di ricostruire la genesi storica di tale con-
cetto, ma anche di analizzarlo all’interno di quegli ambiti non necessariamente filosofici che hanno comunque offerto
contributi importanti e innovativi in relazione a esso (quali la psicoanalisi, la sociologia, l’arte, il cinema, ecc.).

Alterità, entropatia, intersoggettività - La quinta meditazione cartesiana di Edmund Husserl ha deciso i termini
fondamentali con cui doveva essere impostata una delle questioni più problematiche della filosofia novecentesca di
provenienza fenomenologica: cos’é l’Altro, e dove si colloca rispetto alla sfera del proprio e alla coscienza soggettiva?
Levinas, Lacan, Derrida e Ricoeur hanno proposto soluzioni diverse, cercando di superare le aporie aperte da Husserl.
L’interrogativo rimane aperto e diviene ancora più acuto quando arriva a coinvolgere i paradossi metodologici dell’an-
tropologia culturale, la sociologia delle differenze sessuali e le nuove frontiere delle neuroscienze.

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Il sito permette ai lettori di interagire con la redazione e partecipare attivamente e propo-
sitivamente all’evoluzione del progetto CHORA. Al suo interno:

1. La raccolta completa di tutti i testi pubblicati, liberamente consultabili.

2. Aggiornamenti relativi alle attività dell’Associazione culturale CHORA. Per rimanere


informati è anche possibile iscriversi alla mailing list semplicemente mandando una e-mail
vuota all’indirizzo:
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3. Possibilità di comunicare con la redazione, inviando messaggi, commenti e facendo


conoscere il proprio profilo personale e curricolare, in vista di possibili collaborazioni.

4. Possibilità di far conoscere le proprie opinioni, compilando il questionario di gradimen-


to della nostra rivista, in maniera tale da aiutarci a migliorare la nostra pubblicazione.

Collaborare con Chora


Articoli - La redazione invita i lettori di Chora a collaborare alla realizzazione dei prossimi numeri, inviando i propri contributi scrit-
ti: articoli, recensioni di libri o schede di lettura, tesine o estratti di tesi di livello universitario e di argomento scientifico-filosofico.
Criteri di selezione - Gli articoli hanno una lunghezza approssimativa di 25000-35000 caratteri (spazi inclusi), le recensioni di
8000-10000 caratteri e le schede di lettura di 2500-5000 caratteri. Non saranno pubblicati testi di narrativa o poesie. La selezione dei
testi da pubblicare sarà operata dalla Redazione in base al valore scientifico degli articoli pervenuti, alla pertinenza nei confronti
dell’argomento del dossier monografico, in base alla disponibilità degli spazi e alla data di consegna. Oltre a quello dedicato al dos-
sier monografico, nel prossimo numero Chora potrà riservare dello spazio per articoli indipendenti.
Sito Internet - Gli articoli che non potranno trovare posto sulla rivista cartacea potranno essere pubblicati in forma elettronica
sul sito internet di Chora, ospitato presso il server del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Milano: www.chora.too.it
Collaborazioni - Invitiamo chiunque voglia partecipare attivamente allo sviluppo del nostro progetto editoriale a contattarci per
esprimere commenti e proposte. Presentando un curriculum vitae è possibile proporre la propria partecipazione alla conduzione
editoriale della rivista da parte della Redazione. Chora cerca inoltre giovani artisti e grafici, per i quali mette a disposizione i suoi
spazi per ospitare illustrazioni, disegni o composizioni grafiche in grado di accompagnare i testi che normalmente pubblica.
Contatti - Chi volesse intervenire a proposito dei temi trattati in questo numero o desiderasse mettersi in contatto con la
Redazione o con gli autori degli articoli può farlo scrivendo all’indirizzo di posta elettronica della rivista: chora2001@hotmail.com.

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