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13/4/2020 Film comico - Wikipedia

Film comico
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Il film comico è una forma d'arte basata sulle capacità


dell'attore di far ridere con battute linguistiche o gag fisiche tese
a sovvertire l'ordine costituito. Fin dalle origini del teatro greco
l'ambito comico è stato identificato come un vero elemento di
trasgressione, e come tale è stato ricondotto (tanto dalle poetiche
classiche quanto dalle teorie moderne) a comportamenti attinenti
la sfera del grottesco, del surreale e del bizzarro.[1]

Esso si differenzia dal film commedia per il metodo e la natura di


provocare divertimento. La commedia comprende in sé diverse
situazioni (anche drammatiche) che spesso prevedono un happy
Gli attori Stan Laurel e Oliver Hardy,
end riconciliante e consolatorio. Il film comico può, in alcuni
meglio conosciuti in Italia come
casi, risultare meno "ricercato", soprattutto se lo script rimanda a
Stanlio e Ollio
sketch e trovate vicine allo slapstick, e facenti leva su una
comicità più basica e compulsiva, lontana da ogni forma di
riflessione e sentimento. La distinzione comunque non sempre
viene certificata dalla critica che sovente ha preferito coniare la doppia espressione
comico/commedia bilanciando e accorciando le distanze tra i due generi.

Indice
Storia
Le origini
L'evoluzione del cinema comico
L'avvento del sonoro
Il lascito degli anni quaranta, cinquanta e sessanta
Gli anni settanta
I nuovi ambiti del comico
Cinema comico in Italia
Note
Bibliografia
Voci correlate

Storia

Le origini

I primi quadri in movimento a carattere comico hanno avuto, fin dalle origini, una larga fortuna,
nonostante fungessero da mero pretesto per supportare pellicole più ambiziose. Non è un caso che
nei vari esperimenti di Georges Méliès e in alcune riprese di Auguste e Louis Lumière si trovino

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sequenze che si risolvono più volte in un esito comico. Tra i numerosi


fotogrammi dei fratelli Lumière (composti da una sola inquadratura) si
ricordano: Arroseur et arrosé, Charcuterie mécanique, Le cocher
endormi e Le squelette joyeux, databili tra l'ultimo decennio
dell'Ottocento e i primi anni del Novecento.[1]

In linea con la tecnica e lo stile del cinema delle attrazioni, la


produzione dei primi quindici anni del Novecento privilegia gli effetti
puramente visivi, a discapito di quelli narrativi. Infatti, le vicende
descritte ruotano attorno ad esili canovacci che servono da pretesto per
scatenare affollati inseguimenti, rovinose cadute e catastrofi in serie.
Questo tipo di comicità slapstick (termine che indica in inglese una
piccola canna di legno usata dagli artisti per produrre rumore) arruola
personaggi incapaci di adattarsi alla società producendo comportamenti
devianti e inadeguati.[1]
Il comico francese Max
Linder La cinematografia più attiva del periodo diviene quella francese che
annovera fra le star di maggior richiamo i nomi di Boireau (personaggio
interpretato da André Deed), Rigadin (interpretato da Charles Prince),
Robinet (portato al successo da Marcel Fabre), Polidor (ideato da Ferdinand Guillaume) e Fricot
(impersonato prima da Ernesto Vaser e in seguito da Cesare Gravina).[2] Ben presto tale genere
artistico dilaga oltreconfine raggiungendo gli Stati Uniti, la cui esplosione si lega soprattutto al nome
di Mack Sennett, direttore dal 1912 della casa di produzione Keystone e scopritore di moltissimi
talenti. Sotto la sua scuderia riscuotono fortuna i Keystone Cops: un gruppo di maldestri poliziotti
alle prese con inseguimenti di varia natura. Nati da un'idea dell'attore Hank Mann, i personaggi
divengono protagonisti (tra il 1912 e il 1917) di una serie di film improntati su gag frenetiche e
pirotecniche. Tra i vari attori troviamo Roscoe Arbuckle, che inventerà di li a poco il divertente
bozzetto di "Fatty": un ragazzo grosso e corpulento che sfrutta la sua possenza fisica per combattere
gli antagonisti di turno.[3]

Tuttavia la figura più importante degli anni dieci è quella dell'artista francese Max Linder, la cui
comicità, elegante e raffinata ma anche eccessiva e distruttiva, ha lo scopo di dissacrare mode e
convenzioni della civiltà borghese.[1] Tra le varie opere della sua filmografia si riportano: Les débuts
d'un patineur (1907), Max fait du ski (1910), Max victime du quinquina (1911) e Max et le mari
jaloux (1914), quasi tutte dirette e interpretate da se medesimo.

L'evoluzione del cinema comico

Tra la fine degli anni dieci e l'inizio degli anni venti si assiste ad un
progressivo aumento del metraggio che porta ad una attenta definizione
dei personaggi e a un maggior sviluppo della trama. Anche il cinema
comico registra questa evoluzione servendosi di soggetti filmici più
elaborati.[1] All'estro e all'improvvisazione dell'attore si accompagnano
copioni più sofisticati che valorizzano e amplificano la struttura di una
gag. Le innumerevoli potenzialità del racconto vengono subito esaltate
dalle produzioni statunitensi che iniziano a creare un'autentica industria
della risata. Gli anni venti segnano in generale il momento di massima
maturazione estetica e narrativa del film comico. Nello stesso tempo, i
suoi protagonisti cominciano ad assumere atteggiamenti e inclinazioni
prettamente infantili. L'inettitudine del personaggio è per lo più il frutto Charlie Chaplin nei panni
di un'innocenza originaria, di una condizione adamitica, dove il comico, del celebre vagabondo,
nudo e puro di fronte al mondo, ne subisce le regole adottando conosciuto in molti paesi
comportamenti inversamente proporzionali a quelli del consorzio con il nome di Charlot

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[1]
sociale. I corpi, i volti e il trucco di attori quali Charlie Chaplin, Buster Keaton, Harry Langdon, Stan
Laurel e Oliver Hardy sono del tutto funzionali ad una stretta correlazione fra l'universo comico e il
procedimento mentale dell'infanzia.[1]

A partire dal 1914 la scena del cortometraggio viene dominata dal


cineasta e interprete britannico Charlie Chaplin con l'invenzione della
maschera universale del vagabondo (The Tramp nei paesi anglosassoni e
Charlot in quelli latini) che in breve tempo assurge a icona globale della
settima arte. Dal 1921, con l'uscita del lungometraggio Il monello, il
buffo omino in bombetta comincia ad assumere connotati più
malinconici allargando il proprio sguardo, sempre con l'uso del comico,
sulla triste condizione delle classi subalterne, vittime di una società
alienante e mistificatrice.[4] Ciò diverrà evidente nei successivi
capolavori La febbre dell'oro (1925), Il circo (1928), Luci della città
(1931) e Tempi moderni (1936); fino a sfociare nella commedia satirica a
sfondo drammatico Il grande dittatore (1940), nel cui finale Chaplin
utilizza per la prima volta il linguaggio parlato.
Sopra l'attore e regista Alla fama planetaria di Chaplin tenne testa l'attore e regista statunitense
Buster Keaton
Buster Keaton, ideatore di una maschera facciale impassibile e dimessa,
e dotato di una mimica corporea inedita e stravagante. Definito dalla
critica "il comico che non ride mai", per via della sua espressione
impenetrabile, ha fornito al mezzo cinematografico contributi di assoluto rilievo, sia dal punto di vista
attoriale che registico. Il successo e la carriera di Keaton si protraggono per tutto il decennio
concludendosi con l'arrivo del sonoro, la cui invenzione mal si adattava al suo stile lunare e
metafisico. Tra i film più significativi vanno ricordati: Senti, amore mio (1923), La legge
dell'ospitalità (1923), La palla nº 13 (1924), Come vinsi la guerra (1927) e Il cameraman (1928),
considerato tra le vette più alte della sua produzione.[5]

Altro protagonista dell'epoca del muto è senza dubbio Harry Langdon. All'apice della sua carriera,
intorno alla metà degli anni venti, ha vestito i panni paradigmatici dell'eterno fanciullo, costruiti su
una timidezza ingenua e disarmante, in questo aiutato da un volto candido e rotondo che sembrava
disegnato per un apposito fumetto. Da ricordare è la filmografia di Larry Semon (conosciuto in Italia
con il nome di Ridolini); inventore di un personaggio dal viso infarinato e clownesco, costantemente
alle prese con innumerevoli inseguimenti e acrobazie.

In ultima istanza si registra l'attività del comico statunitense Harold Lloyd, divenuto popolare grazie
alla caratterizzazione del giovanotto ambizioso e arrivista, sempre teso alla conquista del successo e
pregno di vitale ottimismo. Famoso per le sue perfomance di funambolo ed equilibrista ha saputo,
negli anni, rivaleggiare con le massime star dell'epoca. Celebre, ancora oggi, il fotogramma che lo
ritrae appeso alla lancetta dell'orologio di un grattacielo, appartenente al lungometraggio Preferisco
l'ascensore, del 1923.[6]

L'avvento del sonoro

Gli anni Trenta costituiscono un periodo di assestamento e di ridefinizione delle forme del comico. Se
la purezza visiva dell'epoca del muto tende a venire meno, la disponibilità della parola sviluppa
elementi farseschi carichi di intemperanze verbali, che sfiorano volutamente il nonsense. L'avvento
del sonoro viene a produrre, così, una comicità più mediata, organizzata in forma di commedia, sulla
quale influiscono i modelli di stilizzazione teatrale della sophisticated comedy hollywoodiana.[1]
Fruitori di questo cambiamento divengono i fratelli Marx: autori di una comicità travolgente ed
esplosiva, irrispettosa delle convenienze di etichetta come delle convenzioni linguistiche, dispiegando
un ventaglio di trovate sempre diverse e complementari. Tra i fratelli si distinguono Harpo, la cui
creatività consta nel saper usare oggetti del quotidiano come sostituti del parlato e Groucho: mente

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logica del gruppo, dedito a svolgere spericolati ragionamenti


producendo fulminanti boutades e improbabili argomentazioni. Da
ultimo troviamo Chico, il musicista, che funge da spalla e da mediatore
tra i due artisti.[1]

Dei tre ad emergere maggiormente sotto i riflettori sarà proprio


Groucho Marx, anche grazie al suo peculiare umorismo e alla creazione
di un'eccentrica maschera fatta di vistosi baffi dipinti, occhiali tondi,
sguardo ammiccante e sigaro perennemente tra i denti. Tra le opere
cinematografiche più rinomate del gruppo si ricordano: Animal
Crackers (1930), La guerra lampo dei fratelli Marx (1933), Una notte
all'opera (1935) e Un giorno alle corse (1937).
Sopra il comico e umorista
Negli anni trenta, oltre ai fratelli Marx, conoscono successo Groucho Marx
internazionale la coppia di comici formata da Stan Laurel e Oliver
Hardy, attivi nel mondo della celluloide fin dai tempi del muto. La vis
comica dei due interpreti si basa sulla peculiare capacità di combinare assieme i reciproci
comportamenti. Laurel è sempre maldestro e inconcludente, anche nell'affrontare compiti
elementari, di fronte ai quali manifesta la sua difficoltà grattandosi il capo. Hardy si dimostra sempre
sicuro di sé e nel constatare i fallimenti di Lauren cerca la complicità dello spettatore volgendo lo
sguardo in camera. Nel medesimo istante dà sfogo alla sua impazienza gonfiando le guance o
arrotolandosi la cravatta. Anch'egli però, proprio come il compagno, riesce a far diventare
insormontabili le situazioni più banali.[7] La fama e la stima raggiunta dai due artisti a cavallo di tre
generazioni li ha resi, senz'altro, la coppia comica più nota dell'intera storia del cinema.[7] Tra le
produzioni più riuscite troviamo: Il compagno B (1932), Fra Diavolo (1933), I figli del deserto
(1933), Allegri Gemelli (1936), Avventura a Vallechiara (1938), Vent'anni dopo (1938) e I diavoli
volanti (1939). Quest'ultima opera contiene il celebre motivo Guardo gli asini che volano nel ciel,
versione italiana (cantata da Alberto Sordi) del motivo originale Shine On, Harvest Moon.[8] Sempre
negli anni trenta guadagnano popolarità le ingenue caratterizzazioni dell'attore Eddie Cantor, dotato
di occhi mobili e intensi a cui va il merito di essere stato tra i primi comici cinematografici a
sovrapporre i generi del musical e della commedia.

Il lascito degli anni quaranta, cinquanta e sessanta

Nel solco tracciato da Stan Laurel e Oliver Hardy si inseriscono negli


anni quaranta Gianni e Pinotto, traslitterazione italiana del duo
statunitense "Abbott and Costello". La coppia impersona, quasi sempre,
soggetti appartenenti al ceto medio che tentano (con apparente astuzia)
di dare una svolta alla loro esistenza per poi essere travolti da cause di
forza maggiore. Funzionale al racconto è risultata, in più occasioni,
l'idea di contaminare le sceneggiature con elementi tipici dell'horror e
del thriller suscitando sorprese e ilarità. Scritturati dalla Universal
arrivano sul grande schermo con il film One Night in the Tropics (1940).
Il secondo lungometraggio, Gianni e Pinotto reclute (1941), realizza un
incasso da record rendendoli tra le star più richieste di Hollywood.[9] Nel
medesimo periodo ottengono grande affermazione le commedie del duo
In alto l'attore americano
Bing Crosby e Bob Hope, soprattutto nei film della serie avventurosa
Jerry Lewis
Road to..., dal piglio piacevolmente leggero e scacciapensieri.[10] Un caso
peculiare è rappresentato dal musical Hellzapoppin' (1941), ispirato
all'omonima rivista portata con successo su tutti i palcoscenici di
Broadway. Interpretato da Ole Olsen e Chic Johnson, il film è un susseguirsi di situazioni al limite
dell'assurdo, tanto da essere definito, ancora oggi, un classico del cinema comico.[11]

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Nei decenni successivi la forma comica si concretizza in un ventaglio di proposte assai variegato. Il
prodotto in se stesso tende a mantenere un suo carattere trasgressivo e a strutturarsi attorno a
performance attoriali dagli eccessi mimico-espressivi e linguistico-comportamentali. La costruzione
della trama punta a racconti che prendono la piega della farsa, favorita dall'origine teatrale e
cabarettistica della maggior parte dei suoi interpreti.[1] Esempio concreto di questa tendenza è stato
l'attore televisivo, teatrale e cinematografico Jerry Lewis.

Esibitosi fin dal dopoguerra in coppia con l'amico e cantante


Dean Martin e valorizzato da registi quali Frank Tashlin, Lewis
ha saputo creare nelle proprie pellicole un personaggio
fisicamente eccessivo facendo leva su trovate iperreali ed
esuberanti. La sua tendente abilità nell'addentrarsi negli spazi del
bizzarro e del surreale lo hanno reso uno dei protagonisti più
acclamati degli anni cinquanta e sessanta.[12] In merito alla sua
cospicua filmografia (di cui spesso ne è stato regista) si
menzionano: Il nipote picchiatello (1955), Il Cenerentolo (1960) e
Le folli notti del dottor Jerryll (1963), chiara parodia del
romanzo di Robert Louis Stevenson e definito dalla critica come
uno dei suoi capolavori.[13] Tale sottogenere farsesco è stato Jacques Tati durante una
ripreso con fortuna negli anni settanta dal regista e attore Mel trasmissione televisiva
Brooks, in particolar modo nel cult movie Frankenstein Junior
(1974), che ha visto come primi attori Gene Wilder e Marty
Feldman.[14]

Al contempo si fanno strada acclarate commedie che contengono in sé situazioni che virano verso il
comico come dimostrano alcune produzioni interpretate dagli attori Walter Matthau e Jack Lemmon,
e altre dirette dall'autore Blake Edwards tra le quali il film cult Hollywood Party (1968), con
protagonista Peter Sellers. In un tempo coevo a quello di Lewis si impone all'attenzione di pubblico e
critica il comico francese Jacques Tati. Erede della tradizione del muto, ha saputo costruire nei propri
lungometraggi gag visive e sonore molto intelligenti, più vicine allo straniamento di Buster Keaton
che all'esuberanza malinconica di Charlie Chaplin.[15] Il personaggio di "Monsieur Hulot"
(protagonista di quattro film da lui stesso diretti) viene concepito come maschera silente e spettatrice
che mantiene una costante imperturbabilità anche dinanzi alle situazioni più coinvolgenti. Molto
amato dai registi della Nouvelle vague, nell'arco della sua carriera ha realizzato soltanto sei
lungometraggi, con i quali ha saputo rinnovare ugualmente l'universo del comico.[15] Parallelamente
conoscono apprezzamento le commedie interpretate da Louis de Funès, poliedrico artista che per
oltre due decenni sarà il campione di incassi indiscusso in terra d'oltralpe e uno degli attori francesi
più conosciuti all'estero.[16]

Gli anni settanta

Negli anni settanta la tendenza alla divaricazione fra le forme più ordinate della commedia e le forme
più esplosive del comico sembra accentuarsi maggiormente. La crescita dell'influenza della
televisione, unita alla sempre più marcata prevalenza di modalità di comunicazione veloci, dà luogo a
una comicità segnata da una progressiva destrutturazione e da frequenti contaminazioni.[1] Così
facendo, il cinema comico imbocca con veemenza la via della citazione declinando i generi in film che
giocano ad accumulare rimandi in modi complessi e articolati. Un caso specifico è il cinema di Mel
Brooks: autore di autentici classici come il già citato Frankenstein Junior (1974) e la parodia western
Mezzogiorno e mezzo di fuoco (1975), seguite da L'ultima follia di Mel Brooks (1976): movimentato
omaggio ai maestri Chaplin e Keaton.[17] Sulla stessa lunghezza d'onda si inserisce Ridere per ridere
(1977), del cineasta John Landis. L'opera fa leva su una serie continua di sketch che scompone e
mette alla berlina il mondo dei mass media e del piccolo schermo.[18]

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Ciò nonostante la personalità più rilevante degli anni settanta porta il


nome dell'artista newyorkese Woody Allen, salito all'attenzione
internazionale per aver interpretato personaggi nevrotici e verbosi, non
alieni a subire eventi e sfortune di ogni genere.[19] Nel tempo si è rivelato
autore di grande sostanza, allontanandosi dalle forme del comico per
abbracciare commedie raffinate e cerebrali, finanche lungometraggi più
cupi e drammatici.[19] Ideatore di brucianti aforismi sulla scia di
Groucho Marx, nonché autore di testi per il teatro e la televisione, nella
prima metà del decennio gira svariate pellicole non lontane dalle
grammatiche visive dello slapstick.[20] Su tutte sono da citare: Prendi i
soldi e scappa (1969), Il dittatore dello stato libero di Bananas (1970),
Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso* (*ma non avete mai
Woody Allen negli anni osato chiedere) (1972) e Il dormiglione (1973).
sessanta
Contemporaneamente assurge ai
titoli di cronaca il gruppo inglese dei
Monty Python costituito nel 1969 da Graham Chapman, John
Cleese, Terry Gilliam, Eric Idle, Terry Jones e Michael Palin.
Portatori di una frenetica verve, i Monty Python hanno
ridisegnato l'idea stessa di comicità e il modo in cui essa veniva
raffigurata. La loro rottura rispetto allo status quo è fondata su
una personale rilettura del music hall, sull'irrisione della middle
class inglese e sull'annientamento sistematico degli standard
televisivi.[21] Il loro stile è segnato da un anarchico flusso di Il gruppo britannico dei Monty
coscienza frammentato dalle animazioni surreali di Gilliam in cui Python
ogni logica è bandita o portata all'estremo. Il paradossale
apparato comico è stato sempre sostenuto da una notevole
capacità interpretativa in grado di ravvivare tutti i personaggi creati.[21]

Dapprima debuttano nel programma televisivo Monty Python's Flying Circus, e si consacrano al
cinema nel film E ora qualcosa di completamente diverso (1971), a cui seguono Monty Python e il
Sacro Graal (1975), Brian di Nazareth (1979) e Monty Python - Il senso della vita (1983). Un
rimando alle origini del muto è, invece, rappresentato dai numerosi cortometraggi portati in scena
dall'inglese Benny Hill. Versatile attore, in oltre vent'anni di carriera, ha generato intermezzi comici
pregni di estro mimico, con inserite sequenze che omaggiano la tecnica fast motion inaugurata dai
Keystone Cops. Tornando agli Stati Uniti, non va certo trascurata l'importanza dello spettacolo
televisivo Saturday Night Live, che dalla fine degli anni settanta lancerà nello star system
hollywoodiano numerosi artisti di fama come John Belushi, Dan Aykroyd, Steve Martin, Bill Murray e
da ultimo Eddie Murphy.

I nuovi ambiti del comico

All'inizio degli anni ottanta l'aspetto esasperato del comico sfocia più
volte nel filone "demenziale", favorito dal consenso acquisito dal film di
culto Animal House (1978), ideato e diretto da John Landis.[22] Fautori
di questa tendenza divengono il trio di sceneggiatori e registi Zucker-
Abrahams-Zucker, artefici del capostipite L'aereo più pazzo del mondo
(1980) che impone una comicità efficace ed esilarante dando vita per
tutto il decennio a una serie infinita di imitazioni.[23] Segue Una
pallottola spuntata (1988), dal ritmo caotico e incalzante che vede come
primo attore Leslie Nielsen.[24] Altri riusciti esempi, improntati su una
Rowan Atkinson nei panni commistione tra comico e commedia, sono: Una poltrona per due
di Mr Bean (1983), che rivelerà le qualità attoriali di Eddie Murphy, Un pesce di
nome Wanda (1988), che si avvale dell'istrionismo di Kevin Kline e Non
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guardarmi non ti sento (1989), quest'ultimo trainato dagli artisti Gene Wilder e Richard
Pryor.[25][26][27] Ad un umorismo più chiassoso e puerile appartiene la saga di Scuola di polizia,
arrivata nelle sale nel 1984. Il primo capitolo ha dato i natali a una lunga distribuzione di sequel che
si sono protratti con alterne fortune fino all'inizio degli anni novanta. Divenuta celebre la colonna
sonora del musicista Robert Folk che riprende toni e modalità dal sapore wagneriano.[28]

Alcuni elementi propri del demenziale sono in seguito riaffiorati in molte produzioni di sicuro
successo ma di corto respiro, interpretate da un infinito numero di commedianti tra cui Jim Carrey e
in tempi più recenti dall'attore Ben Stiller. Allo stesso tempo, consegue popolarità la figura
immaginaria di Mr. Bean, ideata e impersonata dall'attore britannico Rowan Atkinson. Dopo aver
debuttato in platee e palcoscenici di molti cabaret inglesi, Atkinson diviene protagonista negli anni
novanta di una omonima serie televisiva curata con perizia cinematografica e trasmessa in più di
duecento paesi nel mondo.[29] A partire dal nuovo millennio si impongono le confezioni di facile
consumo, aventi come unico scopo la messa sul mercato di pellicole adolescenziali, tutte giocate su un
umorismo greve e di dubbio gusto. Negli ultimi anni si è assistito a un cambiamento di rotta favorito
da una massiccio incremento di attori funzionali al piccolo schermo. Per tali motivi, l'ambito del
comico ha trovato una propria dimensione nel circuito dello short televisivo risultando, spesso e
volentieri, poco adatto ai tempi dilatati e reiterati del mezzo cinematografico.[1]

Cinema comico in Italia

Ancorato alla tradizione della commedia dell'arte, lo spettacolo italiano


dei primi del novecento non viene distolto dall'invenzione del
cinematografo continuando a privilegiare il teatro come unico habitat
naturale del comico. In virtù di ciò si sviluppano in tutta Italia scuole di
avanspettacolo depositarie di una comicità di linguaggio condita da
espressioni regionali e dialettali. In tale direzione si sono mossi alcuni
dei più grandi artisti del secolo scorso come Ettore Petrolini, Aldo
Fabrizi, Gilberto Govi, Carlo Dapporto, Erminio Macario, Renato Rascel,
Nino Taranto e Antonio De Curtis, in arte Totò.[30].

A quest'ultimo si deve il merito di aver spostato e integrato tale prodotto


artistico dal palcoscenico alla celluloide. Ideatore e interprete di In alto una performance di
un'autentica maschera, Totò ha sviluppato una comicità fisica e surreale Totò
sfoggiando prestazioni mimiche rimaste ineguagliate. Nello stesso
tempo ha coniato un umorismo sferzante e innovativo con battute e
perifrasi entrate di diritto nel vocabolario corrente.[31] Tra gli anni cinquanta e sessanta ha sfornato
un ingente quantità di pellicole raggiungendo risultati ragguardevoli con produzioni quali: Fifa e
arena (1948), I pompieri di Viggiù (1949), Totò cerca casa (1949), L'imperatore di Capri (1949),
Totò le Mokò (1949), Totò a colori (1952), Un turco napoletano (1953), Miseria e nobiltà (1954) e
Signori si nasce (1960). È infine da evidenziare la collaborazione con il grande attore di teatro
Peppino De Filippo con cui ha portato sul grande schermo la rinomata opera Totò, Peppino e la...
malafemmina (1956), per la regia di Camillo Mastrocinque.[32]

A seguire incontra grandi consensi l'attore romano Alberto Sordi.


Negli anni cinquanta, con il film Un americano a Roma (1954),
consacra al grande pubblico la figura di "Nando Mericoni":
giovane sognatore di borgata che vede nei divi hollywoodiani un
costante modello da imitare gettandosi in azioni spericolate e
insensate. In seguito si sposterà nel campo della commedia e del
cinema d'essai divenendo uno degli attori più significativi nella
Paolo Villaggio nei panni del storia del cinema italiano.[33] Di notevole importanza è stato il
ragionier Ugo Fantozzi

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duo comico composto da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia che per tutti gli anni sessanta ha
raggiunto un'elevata notorietà presentando lungometraggi dai toni parodistici e disimpegnati.[34]

Tra la fine degli anni sessanta e l'inizio dei settanta emerge la personalità comica dell'attore e
scrittore Paolo Villaggio, creatore della celebre maschera di Fantozzi, da cui è nata una saga
cinematografica di ampio e duraturo successo.[35] Inventore di una comicità del tutto inedita (aliena
alle tradizioni regionali del cinema italiano), ha generato una satira tagliente ed incisiva unita a gag
slapstick che rimandano alle comiche del muto, nonché ai cartoon di origine anglosassone.[36] La
grande fama conseguita dall'artista ha reso assai noti anche i vari personaggi della saga, impersonati
da spalle di indubbio valore come Milena Vukotic, Anna Mazzamauro, Liù Bosisio, Plinio Fernando,
Giuseppe Anatrelli e Gigi Reder, con cui ha attivato un sodalizio riscontrabile in oltre quattordici
pellicole. Figura unica di attore comico e scrittore umorista, in tutti i suoi libri ha dato origine a un
lessico pungente e originale, fatto di neologismi, alterazioni verbali e termini burocratici entrati nel
linguaggio comune degli italiani.[36]

Negli anni ottanta si assiste alla fioritura di nuovi talenti comici


favorita da un inevitabile declino di alcuni protagonisti della
commedia all'italiana. Si mettono così in evidenza attori e registi
come Roberto Benigni, Massimo Troisi, Carlo Verdone,
Francesco Nuti, Maurizio Nichetti e Alessandro Benvenuti che
dalla fine degli anni settanta hanno presentato in televisione un
nuovo modo di fare comicità ricevendo il plauso di pubblico e
critica.[37] Massimo Troisi e Roberto Benigni in
Non ci resta che piangere (1984)
Carlo Verdone dirige le sue prime realizzazioni seguendo
un'impostazione di carattere comico (Un sacco bello 1980;
Bianco rosso e Verdone 1981) per poi virare successivamente nell'ambito della commedia. In egual
misura fa il suo esordio l'artista napoletano Massimo Troisi (Ricomincio da tre 1981; Scusate il
ritardo, 1983) che in avanti conoscerà un successo internazionale con la pellicola sentimentale Il
postino (1994). Lo stesso avviene per Roberto Benigni: dissacrante monologhista teatrale che dopo
una serie di film comici di rilevanza nazionale (Il piccolo diavolo, 1988; Johnny Stecchino, 1991; Il
mostro, 1994) suscita clamore in tutto il mondo con la commedia dal sapore drammatico La vita è
bella (1997). Nel 1984 arriva nelle sale Non ci resta che piangere, interpretato e diretto da Troisi e
Benigni, le cui gag, citazioni e sequenze paradossali, l'hanno reso, nel tempo, uno dei film più
apprezzati della nuova comicità.[37]

Nel corso degli anni ottanta ottengono richiamo le interpretazioni di attori come Renato Pozzetto ed
Enrico Montesano a cui seguono quelle di Lino Banfi, di Diego Abatantuono e della coppia formata da
Massimo Boldi e Christian De Sica. Questi ultimi, a partire dagli anni novanta, formeranno una
stretta collaborazione recitando in produzioni commerciali invise alla critica raccogliendo comunque
un largo seguito di pubblico.[38][39] Tra gli anni novanta e duemila conoscono consenso le commedie di
Antonio Albanese, del giovane toscano Leonardo Pieraccioni e quelle del trio Aldo Giovanni e
Giacomo. Il caso cinematografico degli ultimi anni è rappresentato dal comico pugliese Checco
Zalone, interprete di film leggeri e scanzonati che hanno avuto, fin da subito, un enorme successo
popolare.[40]

Note
1. Cinema comico - Treccani, su treccani.it. URL consultato l'11 ottobre 2017.
2. ^ AAVV, I comici del muto italiano, in Griffithiana, nº 24-25, 1985.
3. ^ Filmografia di Roscoe "Fatty" Arbuckle, IMDBs. URL consultato il 5 dicembre 2007.
4. ^ Corriere della Sera, 27 dicembre 1977, pag 3, autore Giovanni Grazzini
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Voci correlate
Generi cinematografici
Umorismo
Slapstick
Film commedia
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