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Eoin Macken 

“Nello spazio, nessuno può sentirti gridare…”

Mentre il ciclo narrativo di Game of Thrones si avvia verso la chiusura televisiva, su Netflix sbarca
un altro lavoro basato sulle opere di George R.R. Martin. Oltre alla più famosa saga fantasy degli
ultimi anni, infatti, l’autore del New Jersey ha alle spalle una prolifica carriera come scrittore di
fantascienza, e proprio dall’omonima novella del 1980 prende spunto Nightflyers.

Tuttavia, mentre in Game of Thrones l’adattamento ha semplificato e accorciato molto del materiale
originale, per Nightflyers è stato necessario ampliare la novella di 30.000 parole in modo da coprire
i dieci episodi della serie.

Alla storia originale sono stati quindi aggiunti alcuni archi narrativi che espandono le storie dei
singoli personaggi, ma l’impressione (specie nel finale) è che sia stata messa troppa carne al fuoco e
si perda un po’ la direzione generale della storia.

La trama principale è rimasta pressoché invariata dall’originale: il team scientifico guidato dal dr
D’Brannin viaggia a bordo della Nightflyer cercando di stabilire il primo contatto con la misteriosa
razza aliena nota come Volcryn. La nave stessa contiene a sua volta più di un mistero: lo sfuggente
capitano Roy Eris comunica solo tramite ologrammi e altoparlanti, strane e inquietanti visioni
sembrano affliggere i membri del team scientifico, e la presenza a bordo di Thale, un ragazzo dotato
di forti poteri psionici e scarsa empatia, fomenta il malcontento nella nave.

A differenza della novella, però, la serie televisiva parte subito in media res: in una scena che
richiama alla mente Shining in versione spaziale, il primo episodio informa fin da subito che c’è
davvero qualcosa di pericoloso e malevolo a bordo della nave. Il resto della serie si articola come
un flashback degli eventi che hanno portato a quel punto, riuscendo in un colpo solo a introdurre
l’atmosfera e ad incuriosire lo spettatore quel tanto che basta da far superare lo scoglio iniziale di
una narrativa non proprio originale né particolarmente ispirata.

Sin dal primo momento, infatti, una cosa salta subito all’occhio: sia la parte originale sia le aggiunte
alla storia fanno uso di cliché narrativi per cui, a quarant’anni di distanza dalla pubblicazione
originale, abbiamo ormai diversi esempi di confronto.

Da 2001 Odissea nello Spazio a Event Horizon, passando per Warhammer 40.000 e Alien, il genere
fantascientifico horror non è più nel suo stadio embrionale com’era negli anni ‘80 quando Martin
stese per la prima volta la trama. In quest’ottica, parte del fascino del mistero dietro gli eventi di
Nightflyers si perde dietro alla prevedibilità di alcune situazioni. Anche per chi non ha mai letto la
storia originale, non è difficile prevedere uno dei colpi di scena introdotto verso metà serie, né la
sua risoluzione.

Fortunatamente a questa sensazione di “già visto” viene incontro la regia, che mescola sequenze
claustrofobiche, sequenze viscerali e una ricerca volontaria di rapidi sbalzi d’atmosfera (al limite
della dissonanza narrativa) tra una scena e l’altra. Questa, unita alla notevole mole di di quesiti e
misteri tra la storia originale e le aggiunte televisive, riesce a mantenere alto l’interesse dello
spettatore.
Almeno fino alle battute finali...

Se da una parte i vari misteri della Nightflyer garantiscono un interesse costante fin quasi alla fine, è
proprio nei momenti di chiusura che l’intera struttura collassa su sé stessa come un castello di carte.
Gli eventi degli ultimi due episodi sembrano quasi casuali, incastrati a forza o puramente fini a sé
stessi.

Senza voler fare spoiler (cosa abbastanza difficile, visto che quasi ogni momento della serie è una
rivelazione di qualcosa), la fine della serie è vittima della sua costante ricerca di qualcosa con cui
intrattenere lo spettatore.

Sebbene quasi tutti gli archi narrativi trovino una propria conclusione, si nota chiaramente quali di
questi siano gli originali e quali invece frutto delle aggiunte postume. Le vicende legate alla nave
trovano un proprio epilogo naturale e soddisfacente, mentre ad esempio l’arco legato a D’Brannin e
alle sue vicende familiari resta confuso e privo di una qualsivoglia spiegazione, quasi un deus ex
machina che, salvo un’improbabile rinnovo per una seconda stagione, lascia aperti più quesiti di
quanti ne chiuda.

Tirando le somme, Nightflyers è qualcosa di decisamente diverso rispetto al Martin che abbiamo
imparato a conoscere con la HBO, ma ha più il sapore di esperimento riuscito a metà.

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