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QUOTAZERO.

com
Luglio - Settembre 2010
Anno 3 Numero 11 - Pubblicazione trimestrale a cura di www.quotazero.com

Aguglia di Goloritzè

La Via Ni.Pa.

Ciarforon
Editoriale

Dopo le vacanze …… il raduno

Ciao a tutti,

passate, speriamo nel migliore dei modi le vacanze estive è gia ora di prepararsi a partecipare ad un
altrettanto importante impegno: l’ annuale raduno degli utenti di Quotazero, che ricordiamo a tutti, si
terrà domenica 17 ottobre sul Monte Reale, nel Parco dell’ Antola.

Questo sarà il sesto raduno della nostra comunità e sarà per molti l’ occasione di conoscere nuovi e
vecchi utenti, scambiarsi opinioni, battute ecc. nel solito clima familiare che caratterizza Quotazero e
non ultimo mangiare e bere in compagnia.

Fatta questa doverosa ed importante premessa, veniamo ora al numero che avete appena scaricato.

Troverete su questo numero della rivista, il resoconto di Roberto Schenone “Skeno” sulla
riattrezzatura della via Ni.Pa., con una esauriente relazione contenente i dettagli di questa via di
arrampicata che risale il contrafforte delle Rocche dell’ Erxo, aperta da Nino Parodi negli anni ’80 del
secolo scorso.

Rimanendo in ambito Appennino Ligure proseguono gli approfondimenti sui rifugi e ripari dei nostri
monti con un interessante articolo sull’ ex casa del Dazio posta alle pendici del Bric Pidocchio e
visiteremo la Val d’ Aveto con Wolf.

Raggiungeremo quindi, grazie al racconto di Ramingo, la vetta del Ciarforon e poi con Alec e Scinty il
monte Amaro in Abruzzo, per arrivare infine in Sardegna per salire sulla Aguglia di Goloritzè con
Mikesangui.

Come al solito molti sono gli spunti interessanti e quindi non ci resta che augurare a tutti una buona
lettura.
La Redazione

quotazero.com

Redazione: Bade - De Lorenzi - Emma


Realizzazione grafica: Wolf041

Hanno collaborato a questo numero: Alec, De Lorenzi, Mikesangui, Ramingo, Scinty, Skeno, Wolf
quotazero.com
Anno 3 Numero 11 - Luglio - Settembre 2010
Pubblicazione trimestrale a cura di www.quotazero.com

La presente pubblicazione non ha scopo di lucro. Essa può essere scaricata


gratuitamente dal sito www.quotazero.com e viene inviata automaticamente a
tutti gli iscritti al forum.

Foto di copertina: Il Lago di Pietra Rossa (Foto Paolo De Lorenzi)

In questo numero
9

Appennino Ligure
Val d'Aveto mon amour ...............................4
La saga della risistemazione della Via Ni.Pa. .......9
18 Ripari e rifugi della provincia di Genova ..........12

Altre Montagne
In vetta al Monte Amaro ............................14
Ciarforon .......................................... 18
Aguglia di Goloritzè ...............................21
4

14

La riproduzione anche parziale degli articoli e delle fotografie è permessa solo citando la fonte.Gli itinerari riportati nella presente
rivista sono aggiornati in base alle informazioni disponibili al momento: tali informazioni vanno pertanto verificate e valutate di
volta in volta in loco da persone esperte. Le opinioni espresse negli articoli appartengono ai singoli Autori, dei quali si intende
rispettare la piena libertà di giudizio.
Appennino Ligure

Val d'Aveto mon amour


PICCOLO VIAGGIO DA GENOVA A SANTO STEFANO D'AVETO

L ’alta Val d’Àveto è un piccolo gioiello, uno


smeraldo o una perla, a seconda delle stagioni e
quindi dei colori, incastonato oltre lo spartiacque
Tirreno-Adriatico all’estremità nord orientale della
Provincia di Genova.

Per noi genovesi è una delle zone montane più


vicine - ma solo in linea d’aria, perchè la viabilità è
tortuosa, la velocità bassa, i tempi di accesso lunghi.
Qualunque sia l’itinerario prescelto, ci vorranno un
paio d’ore di curve continue e in continuo
saliscendi. Armati di pazienza, raggiungiamo una
delle due porte della Valle: il valico della Forcella o
il passo della Scoglina. Volendo, un terzo itinerario
raggiunge la Scoglina attraverso il passo della
Scoffèra, Torriglia, Montebruno e Barbagelata.
Curiosamente viene indicato sul sito per viaggiatori
“viamichelin” come il più “rapido”, ma, pur essendo
molto panoramico, difficilmente sarà il preferito.

Raggiungiamo il passo della Scoglina dalla val Amborzasco, veduta primaverile. (Foto Wolf)
Bisagno, tunnel Bargagli-Ferriere, Val
Fontanabuona fino al bivio per Favale di Màlvaro,
Il Passo della Scoglina merita una sosta: la quota è
poi Favale, Castello e infine lungo i tornanti sempre
già alta, 922 m., e l’aria sorprendentemente fresca e
più panoramici di una strada tavianesca1, che
frizzante. La valletta che ci accoglie, dopo le aspre
giunge al passo letteralmente intagliato nella roccia.
propaggini meridionali, è meravigliosamente verde,
Uno splendido belvedere si affaccia verso sud,
boscosa di faggi fitti, dapprima disabitata, poi
mentre le acque dell’Àveto - che qui giungono in
costellata di minuscoli centri abitati: Sbarbari,
pochi minuti dalle sorgenti sparse nei boschi del
Calzagatta, Brugnoni, semplici case in pietra,
soprastante M.te Caucaso - scorrono pochi metri a
raggruppate tra loro come a difendersi dal freddo, ai
nord. Come ha giustamente osservato Maura
bordi dei pascoli sul piccolo fondovalle. Prima di
Boffito2, una frana, o lavori stradali un po’ più
giungere ad incontrare la statale, che sale dal valico
‘incisivi’ al passo, avrebbero potuto deviare
della Forcella, incontrerete Priosa, dove un’antica
facilmente queste acque, destinate al Trebbia poi al
Po e all’Adriatico, distante diverse centinaia di Km, trattoria-osteria ha fama di soddisfare gli appetiti
verso il vicinissimo mar Ligure, che splende a poca più colossali: a voi la prova!
distanza.

1
Riferimento a P. E. Taviani, figura storica della Resistenza e poi della Repubblica, che nella Provincia di Genova poteva
contare su di un elettorato fedele alla Democrazia Cristiana, raccolto in una conversazione in loco.
2
Liguria Territorio e Civiltà, vol 6, Valle dell’Àveto, Genova, Sagep editrice, 1981.

4 www.quotazero.com
Appennino Ligure

Caratteristico “casone” in località Casoni di Sotto, tra Amborzasco e il M. Penna. La foto risale a una
trentina di anni fa, recentemente ristrutturato il casone ha perso un poco del suo fascino.
(Da “Liguria Territorio e Civiltà, vol 6, Valle dell’Aveto, Genova, Sagep editrice, 1981”).

In alternativa possiamo raggiungere il Valico della Entrambi i passi riportano lapidi a ricordo della
Forcella, risalendo la valle Sturla da Chiavari e Resistenza e della Lotta di Liberazione contro il
Borzonasca, con la statale 5863 che qui scavalca lo nazi-fascismo, qui intensamente combattuta.
spartiacque diretta verso Bobbio e Piacenza. È la “Anche qui ‘fischiò il vento’, anche da qui scese a
strada ‘ufficiale’, quella percorsa dai mezzi pubblici valle la libertà nel radioso aprile del 1945” 5. Siamo
che collegano Chiavari a Santo Stefano d’Àveto. poco distanti da Cichero, il luogo dove Bisagno
Non per questo è più veloce: nonostante il rapido riunì i suoi primi partigiani già nel settembre 1943, e
tratto autostradale da Genova a Chiavari, la da Barbagelata, il paese dato alle fiamme dai
carrozzabile risponde all’ingegneria dell’epoca di nazifascisti nella notte tra il 12 e il 13 agosto 1944.
costruzione (iniziata a metà ‘800, raggiunse il valico Questi pensieri ci aiutano a ricordare che non
nel 1906), ed il percorso segue rigorosamente tutte, abbiamo sempre avuto una Costituzione
ma proprio tutte le curve di livello, che Repubblicana a difesa dei nostri diritti: i nostri padri
avvicinandosi alla testata della valle diventano l’hanno conquistata per noi, a noi difenderla.
sempre più fitte, numerose, estenuanti... una tortura,
se non amate la guida o, peggio, se soffrite il mal Al di là della ‘Forcella’ il paesaggio ha qualcosa di
d’auto! selvaggio, aspro, una luce ed un’aria diverse,
valloncelli aridi che sembrano bruciati dal gelo, o
Né la Scoglina né la Forcella sono valichi “storici”: dal secco, o dal fuoco...
sono stati creati appositamente per il passaggio delle
rispettive carrozzabili, forse è per questo che sono Con un certo sollievo scorgiamo i primi pascoli, i
così selvaggi, lontani dai centri abitati sorti sulle primi segni della ‘mano dell’uomo’ che rende così
antiche vie di transito. Di conseguenza i valichi belli, commoventi, certi paesaggi montani:
delle antiche ‘vie del sale’4, dimenticati dalla riconosciamo il paesaggio plasmato dalla fatica,
moderna viabilità, hanno fortunatamente mantenuto l’equilibrio raggiunto dai nostri avi nella gestione
il loro carattere di mulattiera. del territorio...

3
ora strada provinciale 586 della Valle dell’Aveto (SP 586)
4
Passo delle Rocche, Passo di Ventarola, Valico della Crocetta, Passo del Bozale, Passo dell’Incisa...
5
Passo della Scoglina, cippo comemorativo della Resistenza, parole di R. Bonfiglioli, 1985.

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Appennino Ligure

La Val d’Aveto deve a questo equilibrio buona parte Nei prati da fieno, che ormai circondano i villaggi,
del suo fascino: equilibrio tra un clima montano, vi può capitare di raccogliere, già tagliati e destinati
aperto alle correnti da Nord, che a contatto con l’aria ai covoni, fiori come il giglio di S. Giovanni, il
umida del Mediterraneo danno luogo a copiose giglio martagone o il botton d’oro. I covoni stavano
nevicate (e a frequenti precipitazioni estive); grandi sotto i barchi, tettoie di paglia mobili, sorrette da
estensioni boschive e piccole pianure alluvionali di quattro pali verticali forati, sui quali il contadino
fondovalle, clima e spazi che hanno influenzato regolava l’altezza della tettoia per proteggere il
l’insediamento umano: piccoli e numerosi fieno dalla pioggia frequente. Se ne vedono ancora
agglomerati abitati, disposti sulle direttrici di alcuni, spesso la lamiera ondulata ha sostituito la
transito più antiche, lontani gli uni dagli altri e paglia, qualcuno è usato come riparo per
circondati dai campi; pascoli ancora oggi ben l’automobile...
delimitati da recinti in legno, a marcare gelosamente
le piccole proprietà familiari; muri a secco, a volte di
dimensioni possenti, a guadagnare un po’ terreno ai
campi; pietra e legno ancora spesso visibili sulle
facciate degli edifici; sottoporticati6 a difendere
l’ingresso delle stalle e delle abitazioni dalla pioggia
e dalla neve... molti edifici purtroppo cadenti, anche
se ancora ricchi di fascino e testimoni del passato,
altri - pochi, per la verità - malamente ristrutturati
alla maniera cittadina, alcuni ristrutturati con
intelligenza e riportati alla primitiva bellezza.

Fino a pochi decenni orsono - e lo testimonia il ricco


archivio fotografico di Berto Giuffra7 - i villaggi
erano circondati dai campi di grano, alcuni visibili
ancora pochi anni fa. Più in alto i pascoli rubavano
spazio alle foreste di faggi. Il bosco di castagno, più Panorama di Santo stefano d’Àveto.
in basso, era oggetto di una vera e propria (Da “Liguria Territorio e Civiltà, vol 6, Valle
dell’Àveto, Genova, Sagep editrice, 1981”).
‘coltivazione’: da frutto, da legname, da fogliame di
sottobosco per la lettiera delle stalle...
Le strade di entrambi i valici si ricongiungono alla
Oggi non è più così, i campi sono diventati pascoli, i Piana di Cabanne, una volta acquitrino e palude,
pascoli in quota cedono terreno alla foresta, il bosco risanato nel medioevo dai monaci benedettini di
è abbandonato. Eppure il paesaggio conserva ancora Villa Cella che, aprendo un varco al fiume ostruito
il suo fascino particolare, e nei discorsi dei vecchi si da una paleofrana, permisero alle acque stagnanti di
ritrovano le bellezze di un tempo: le feste per la defluire. La vasta piana in primavera è totalmente
trebbiatura, il profumo del pane, prodotto con il ricoperta da una splendida fioritura di crochi, che
proprio grano e cotto in casa... talvolta spuntano coraggiosamente tra ampie
chiazze di neve.

6
i cosiddetti “criptoportici”, sorretti da piccoli archi in pietra. Molti sono ancora in buone condizioni.
7
in parte consultabile su http://dismecspace.unige.it/dspace/handle/123456789/8677

oppure su http://www.comune.santostefanodaveto.ge.it/it/berto.asp

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Si giunge quindi a Rezzoaglio, in dialetto Rusagni,


cioè in latino villaggio dell’agnello, a sottolineare la
vocazione pastorale del luogo. Qui troverete banca,
farmacia, benzinaio, ma soprattutto un alimentari
che merita una visita. Il perchè lo scoprirete da soli,
specie se vi piacciono i dolci casarecci. La statale
scende seguendo il fiume verso Bobbio, toccando il
recente caseificio che ha ridato respiro e
distribuzione ai prodotti caseari della valle: tra tutti
il formaggio tipico, che a Chiavari era chiamato
“San Stè” e a Genova “formaggio de Ciavai”, cioè
di Chiavari. Un gusto inconfondibile, un po’ rude e
aspro, come il terreno ligure in cui nasce. Al di là del
crinale, in provincia di Parma, siamo già in zona di Dalla vetta del Monte Penna, il riflesso del sole
produzione del Parmigiano Reggiano, tutto un altro sul mare in una giornata primaverile. (Foto Wolf)
mondo.
prodotti chimici della sua distillazione. Imponenti
Lasciamo l’Àveto, la 586 e imbocchiamo invece la teleferiche, turbine idrauliche per la produzione di
statale 654 della valle del Nure8. Il paesaggio energia, la “strada dei carrelli”, dove su un binario di
cambia ancora, la testata della valle si fa più ampia, legno i carrelli di legname e materiale erano trainati
le cime più alte appaiono finalmente ai nostri occhi. da coppie di buoi9. Parte del percorso della
decauville è oggi una strada bianca che circonda in
Se è autunno, o inverno, o primavera, facilmente le
quota il Penna, e d’inverno è uno dei percorsi
vedremo innevate. In estate spesso si confondono un
prediletti dagli escursionisti con gli sci. Talvolta, a
po’, nella foschia, con l’azzurro del cielo.
tratti, battuta con un binario per lo sci da fondo.
Riconosciamo i monti che circondano la conca di S.
Amborzasco merita una citazione e, se siete lì, una
Stefano d’Àveto: il M. Groppo Rosso,il M. Bue, il
breve visita. Il nome dialettale è Ambrosasco, cioè
M. Maggiorasca, il M. Tomarlo. Poco dopo appare il
monte degli Àmbros. Era il villaggio più vicino alla
principe dei monti locali: il M. Penna, che deve il
vetta del monte-divinità. Col nome Àmbros alcuni
suo nome alla divinità Pen, una specie di ‘padre
definiscono gli antichi Liguri, la popolazione
degli dei’ degli antichi Liguri. La vetta del Penna,
pre-romana sconfitta dal console M. Claudio
che emerge rocciosa dalle foreste circostanti, spesso
Marcello nel 166 a.C., che proprio nei dintorni del
colpita dal fulmine, era essa stessa la divinità: non
Penna trovarono l’ultimo rifugio e offrirono l’ultima
esistevano templi, luogo di culto era la foresta.
resistenza all’esercito imperiale. Gli storici romani
riferiscono dei Liguri come di un popolo di guerrieri
In seguito la stessa foresta fu luogo di sfruttamento
tenaci, piccoli, bruni, forti e muscolosi. Un breve
industriale: gli abeti, mescolati ai faggi d’alto fusto
soggiorno ad Amborzasco, almeno fino a qualche
nella foresta originaria, sono stati utilizzati fino a
anno fa, vi avrebbe fatto incontrare invece un altro
esaurimento nei sec XVII e XVIII per la produzione
tipo di persone: molto alti, quasi tutti biondi o rossi
di legname per navi (a Chiavari il “vico dei
di capelli, occhi azzurri. L’enclave di un antico
remolari” ricorda le officine per la produzione di
popolo nordico, rimasta isolata e mantenutasi
remi per le galee). La vasta faggeta ha visto nel sec.
riconoscibile per secoli fino agli ultimi decenni, una
XIX lo sfruttamento della legna per le ferriere, per
sorta di ‘relitto glaciale umano’.
la produzione industriale di carbone di legna e dei

8
ora strada provinciale 654 di Val Nure (SP 654)
9
“un’ardita funicolare, sorretta da 12 piloni ...(1880) ... la più grande d’Italia, meta di numerosi visitatori” - “una turbina
Girard da 95 cavalli, della ditta Escher Weiss di Zurigo, forniva l’energia per le macchine della segheria e della funicolare” - R.
Capecchi, “Tra Trebbia, Aveto e Taro” - Ed. Croma - 1993

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Sulla vetta del Penna, monte sacro agli antichi Liguri, nuovi simboli sacri:
la Madonna, eretta nel 1937, abbraccia la provincia di Parma, la cappelletta
è aperta verso la provincia di Genova (Foto Wolf)

Sovrasta Amborzasco il versante N del M. Aiona, Di qui, come da tutti i centri della Valle, tra ‘800 e
vasto complesso di altipiani caratterizzati da rocce ‘900 in molti, moltissimi, partirono per l’America.
come serpentino e hierzolite: durissime, concedono Spesso i più forti e migliori. Se ne trova traccia in
pochissimo terreno alla vegetazione, quassù quasi alcuni monumenti, come quello commovente che
assente, un paesaggio lunare. La hierzolite forma presso la cappelletta di Alpicella rappresenta
anche la “Pietra Borghese”, sul versante S l’emigrante che si volta a guardare per l’ultima volta
dell’Aiona: un ammasso roccioso nei cui pressi il proprio villaggio. Molti fecero fortuna, e lo
l’ago della bussola subisce deviazioni anche di 90°. testimoniarono le scritte sbiadite che ancora
Gli abitanti di Amborzasco raccontano che qui, sul decorano le case restaurate da chi ritornava, ormai
versante esposto a N, dovevano nascere negli anni “americano”: “restored house...” seguito da una
‘50 gli impianti sciistici, venne pure Zeno Colò a data e un nome. Un popolo di emigranti dovrebbe
vedere di persona. Non se ne fece nulla, e gli riflettere, nel terzo millennio, su cosa significa
impianti furono costruiti a Santo Stefano d’Àveto, il essere migranti e non trovare accoglienza.
capoluogo.
Siamo arrivati, le curve sono finite, l’aria è frizzante
A Santo Stefano facciamo capolinea, come la e il sole è già alto. A questo punto è ora di allacciare
corriera dopo un viaggio interminabile che alcuni gli scarponi, zaino in spalla, e via. Una nuova
quotidianamente percorrono per andare a lavorare o giornata in montagna, un nuovo racconto...
alle scuole superiori di Chiavari. Distribuito in
diverse frazioni, sul pendio dolce di una antica Agosto 2010
morena glaciale, Santo Stefano è base di escursioni,
naturalmente, anche ‘gastronomiche’. Paolo Tocco - Wolf

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La saga della risistemazione della Via Ni.Pa.

E ro entrato da non molto nella comunità virtuale di Quotazero e grazie ad essa avevo appena cominciato a
riscoprire angoli della mia terra finora sconosciuti, su tutti il massiccio del Beigua nella sua parte più
orientale. In questa zona, e precisamente alle pendici della Rocca dell’Erxo si trova la via NI.PA., un
percorso che non avevo mai sentito nominare. Negli anni in cui arrampicavo con una certa continuità ho
frequentato quasi esclusivamente Finale, per scoprire in età ormai adulta che mi diverto molto di più sui
gradi che… mi competono, cioè quelli ancora scritti in numeri romani minori di 6… Non è la storia della
volpe e l’uva, la pietra di Finale è splendida e quando qualche anima buona mi accompagna (traduco:
quando qualcuno mi fa da primo) ci vado molto volentieri. Però nella vita bisogna anche sapersi
accontentare e, in poche parole, i posti come la NI.PA. fanno al caso mio.

Ecco perché quando partì l’appello del Conte Ugolino per la risistemazione della via mi misi subito a
disposizione. Ho sempre ammirato il lavoro di chi si fa il mazzo per chiodare e, una volta tanto, volevo dare
il mio contributo. Correva l’anno 2007…

Se il buon giorno si vede dal mattino… il primo giorno di


lavoro fu luvego come non mai, seppur confortato dal
gianchetto e dalla focaccia di Voltri. In questa occasione
comunque portammo a casa le prime 3 lunghezze di corda.
La seconda uscita, in autunno, fu più fruttuosa, partendo
dall’alto altri 4 tiri furono sistemati. Ci fu poi un’uscita
abortita causa vento, ed un’altra a maggio 2008 a cui non ho
partecipato in cui si guadagnarono altri due tiri. Poi una
lunga pausa dovuta a varie cause: meteo caldissimo, meteo
freddissimo, trapano morto, cavallette, inondazioni… fino
all’autunno scorso, quando un blitz portò alla conclusione
del riattrezzamento. Insomma un lavoro tormentato, a volte
trascurato per altri impegni, a volte un po’ funestato dalla Focaccia alla cipolla prima di iniziare le
fatiche.
sfiga. E, a parziale discolpa, l’avvicinamento di quasi
un’ora e mezza che non aiuta…

Ma ora la via è a posto e pronta per un’uscita quotazerina, magari in autunno… di che anno non lo dico per
prudenza!

Un po’ di storia: la via fu aperta da Nino Parodi (da cui il nome della via) sui contrafforti della Rocca
dell’Erxo. Aperta in solitaria e senza protezioni (e ripetuta col bulacchino in mano per segnarla) ed in età già
avanzata. E’ un percorso facile, ma i punti esposti ci sono ed un volo sarebbe comunque fatale. Lo stesso
NI.PA. a detta del Conte, auspicava quindi un parziale attrezzamento della via, per renderla più fruibile.

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L’ autore dell’ articolo e Michele Picco alle Michele Picco alle prese con la “Placca del Duca
prese con la chiodatura della parte bassa della Erne”.
via.

E Ago mi ha fatto sapere che una volta informato del lavoro effettuato Parodi è stato molto felice. Non è
certo una grande via di roccia, anzi qualche bravo arrampicatore penserà che siamo dei pazzi. Ma chi l’ha
pensata ha dimostrato una grande passione ed amore per i luoghi ed a lui va il nostro rispetto. Tornare a
parlare di questa via e fare sì che sia più frequentata (speriamo!), è un modo per rendergli merito.

Si tratta di una serie di risalti rocciosi, mai più alti di 15-20 metri, con numerose vie di fuga. Le difficoltà non
superano mai il IV+ (singoli passaggi) ed il nostro vate Alexander l’ha catalogata come AD- con gradi
III-IV. Il posto è veramente bello. Avvicinamento (1,30 circa) partendo da Curlo, salendo a Scarpeggin e
proseguendo fino all’attacco sul sentiero che a mezza costa taglia il fianco sud della Rocca. Per chi cerca una
via dove impratichirsi con le manovre di corda, qualche protezione veloce da aggiungere e godere
dell’ambiente è una gita più che meritevole. Nell’insieme una gita lunga ed anche abbastanza faticosa:
1,15-1h30’ di avvicinamento, la salita della via che arriva fino alla Rocca dell’Erxo con circa 250 m di
dislivello (non tutti su roccia) per circa 2h 30’ di salita ed il rientro di circa 1h.

Attualmente tutta la via è ben protetta nei suoi passaggi più difficili, mentre sul facile le protezioni sono rare,
integrabili con fettucce su spuntoni e, più raramente, con nut o friends. In loco sono rimasti (e vanno
utilizzati) anche alcuni chiodi “storici”.

Le soste sono doppie. Sono tante (14) perchè sono presenti su tutti i passaggi segnati in origine dal NI.PA
(compresi i primi due e gli ultimi due che sono brevissimi) e sono state messe in modo da consentire una
salita sempre ben assicurata ai secondi di cordata. Esistono inoltre alcune varianti (sulla sinistra) che sono
rimaste sprotette, ed una variante chiodata in maniera falesistica, la cosidetta “Placca del Duca Erne”,
variante del 3° tiro e di grado IV+/V.

Hanno partecipato alle uscite di riattrezzamento: Conte Ugolino, Delorenzi, Skeno, Ago, Bade,
Rikkytikkytavi, Alexander

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Relazione.

I tiro: 9 metri, 2 fix. Risaltino roccioso di III, sosta su fix.

Si prosegue per un tratto erboso fino ad un evidente masso spaccato in due.

II tiro: 8 metri, sosta su fix. Nella fessura si sale una sorta di camino di III+.

Altro tratto erboso, si passa vicino ad un albero, tagliando in salita ed in diagonale

III tiro: 18 metri, 2 chiodi e 3 fix. Diedro di III+, sosta su fix. Possibile attaccare un po’ più in basso sulla sinistra la
variante di IV+/V chiodata a fix ravvicinati, sosta comune al tiro normale. Ancora più a sinistra si trova una variante
non protetta.

IV tiro: 20 metri, 2 chiodi e 3 fix. Si risale facilmente (I) fino ad un masso strapiombante sotto cui si passa a sinistra
(III). Può essere conveniente fare sosta su un massone all’uscita del passaggio, per evitare attriti, oppure
continuare a destra sullo spigoletto esposto (II+) fino ad una sosta su fix.

V tiro: 10 metri, 1 fix. Si sale un massetto (III) fino alla sosta su fix. Volendo si può evitare la sosta precedente
(caso di mancato coordinamento fra i diversi chiodatori!!!) ed unire i 2 tiri.

VI tiro: 30 metri, 2 fix. Si risale lo spigolo (III) fino ad una crestina (II) che porta alla sosta su fix. Alla base del tiro
sulla sinistra parte una variante non protetta.

VII tiro: 15 metri, 2 fix. Bel tiro verticale di IV, è possibile aggiungere qualche protezione. Sosta su fix.

VIII tiro: 30 metri, sosta su fix. Facile salita fra roccette (II).

IX tiro: 15 metri, 3 fix. Uno dei tiri più verticali (IV). Sosta su fix

X tiro: 15 metri, 2 fix. Breve tratto erboso (I) e poi bel passaggio che aggira a destra (IV) uno strapiombetto.

XI tiro: 15 metri, 1 fix. Ancora un po’ d’erba e poi risaltino di III.

Tratto di cammino, circa 50 metri

XII tiro: 20 metri, 4 fix. Un bel muretto (IV) sul roccione di destra con un passaggio di IV+ in uscita. Sosta su fix alla
sommità. Presenti due varianti non protette, la centrale passa (II) attraverso i due roccioni, quella di sinistra è di
difficoltà analoga al passaggio chiodato sulla destra.

La via è praticamente finita, ma si possono fare ancora due passaggi

XIII tiro: 10 metri. Un massetto di II, si può fare sosta su un masso poco sopra.

XIV tiro: 10 metri. Un risaltino roccioso (II+) per il gusto di arrivare proprio alla Madonnina. Sosta finale su fix.

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Ripari e Rifugi della Provincia di Genova


LA CASETTA DELL'EX DAZIO

U n po di storia…….
(notizie storiche tratte dalla pubblicazione “I Ripari
Scrive Adriano Biamonti nell’ opera citata:

dei nostri monti” a cura di Adriano Biamonti - edita “inizialmente, per poter datare la casetta del Dazio,
dalla Comunità Montana Argentea). mi ero affidato al racconto dell’ultimo daziere che,
da Crevari saliva in Località “Pidocchio” per
La casetta dell’ ex dazio si trova alla base delle assolvere al suo compito di daziere appunto.
pendici ovest del “Bric Pigheuggiu”, a quota 780
metri sul livello del mare, in una bella conca prativa Il suo nome era Stefano Calcagno e grazie al suo
protetta verso nord dal Monte Tardia. racconto avevo soddisfatto almeno un po’ la mia
curiosità di sapere qualcosa su quella costruzione
Si tratta di un piccolo edificio che ospitava il che, nel 1988, insieme a un gruppo di scout avevo
“Daziere”, impiegato col compito di controllare le rimesso in ordine… Stefano mi disse che era stato
merci che venivano trasportate per il commercio. lui a voler costruire il dazio nel 1929.

Furono i Romani ad introdurre una tassa di transito Nonostante le parole di Stefano ho voluto fare delle
attraverso i territori occupati, che prese il nome di altre ricerche riguardo all’ex dazio: ho incontrato il
“datium” (il dare); il “dazio” non era una tassazione signor Pietro Canepa, “u Pelle”, classe 1900. Lui
protezionistica, ma un semplice introito per le casse lassù ci andava a caccia fin da giovanissimo e il
statali. dazio l’ha sempre visto, anche il nonno di suo
genero, classe 1867, che a caccia lassù ci andava già
Oggi l’ex dazio è un riparo che può essere utilizzato nel 1880, diceva di aver sempre visto il dazio.
dagli escursionisti come punto di appoggio o in caso
di brutto tempo.

L’ex Casa del Dazio con sullo sfondo il monte Tardia


(Foto De Lorenzi)

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A questo punto, la mia ricerca si è focalizzata Come arrivare


soprattutto sulla topografia e sulle carte: sulla carta
del 1936 dell’Istituto Geografico Militare il Dazio Il riparo è raggiungibile da diversi sentieri, ma
non è segnato, su un’altra, trovata all’Archivio di quello a mio parere più remunerativo è quello che
Stato, nemmeno. Su alcuni documenti riguardanti il inizia da Voltri, passa da Crevari e raggiunge infine
Comune di Voltri si parla di case daziali presenti sul l’ ex casetta del Dazio.
territorio già dal 1800 e prima, e bisogna ricordare
che il nostro dazio era proprio sul territorio di Voltri, Si parte da piazza Lerda dove fa capolinea l’ autobus
prima che fosse annesso al Comune di Genova nel AMT n° 1 e si segue il segnavia X rossa che risale
1926. fino a Crevari. Si attraversa il caratteristico borgo
fino ad arrivare alla frazione di Campenave.
Il sacerdote don G.B. Cabella nel 1908 scrisse
“Pagine Voltresi”: dice che nel 1721, nel Comune di Si continua lungo la strada asfaltata che passa a
Voltri esistevano 6 nuove casette daziali dette anche monte dell’ Agriturismo Pietre Turchine e dopo
“gabelle” e tre che dovevano essere riparate. La mia poche centinaia di metri si svolta a destra, lungo la
curiosità cresce sempre di più… consulto una carta recinzione di una villetta.
del regno delle due Sardegne, datata 1853: su di
essa, nel punto esatto del dazio c’è un segno Il sentiero si inoltra in un bosco misto di castagni ed
convenzionale:indica una Cappelletta. abeti, fino ad arrivare al bric Brigna, dove si
incontrano gli evidenti segni del passaggio del
Ritengo necessario approfondire la scoperta. Su una metanodotto. Si prende la deviazione a sinistra in
carta del 1901 dove ora c’è il dazio c’è il segno che salita, proseguendo lungo una mulattiera che taglia a
indica la presenza di ruderi e a fianco la scritta “Ca’ mezza costa le pendici nord del Monte Pennone; si
del Rettore”. incrocia una carrareccia in corrispondenza di una
linea dell’ alta tensione e si prosegue, sempre in
Posso tirare un po’ le somme: lassù probabilmente salita, tra cespugli e pini radi, incontrando un fonte a
un tempo, sicuramente prima del 1853, c’era una quota 550 sulla sinistra.
cappelletta che poi diventò la casa del rettore
intorno alla fine dell’800. Nel 1901 c’erano dei Il sentiero prosegue lungo le pendici sud del bric
ruderi e, come mi aveva detto Stefano, nel 1929 fu Pighêuggio, per arrivare in breve ad un ampia zona
costruito il dazio, quello che ancora oggi possiamo prativa posta a valico tra le vallate del rio Gava
vedere”. (verso Genova) ed il rio Cantarona (verso
Arenzano), dove troviamo l’ ex Casa Dazio.

Il percorso segnalato dalla F.I.E. con la X rossa,


prosegue in direzione nord/ovest tagliando le
pendici sud del Monte Tardia di Levante, fino a
raggiungere il Passo Tardie, poi taglia in diagonale
le pendici nord del Monte Tardia di Ponente, fino ad
arrivare al passo della Gava, da dove, continuando si
raggiunge il Monte Reixa.

De Lorenzi

L’ex Casa del Dazio (Foto De Lorenzi)

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In vetta al Monte Amaro


UNA LUNGA CAMMINATA SUL TETTO DELLA MAIELLA
CON PERNOTTAMENTO AL BIVACCO PELINO

C ome tutti sanno la vetta più alta dell’Abruzzo (e dell’intero appennino peninsulare) è il Corno Grande
(vetta occidentale, 2912 metri). E’ una montagna famosa e frequentatissima, dall’imponenza quasi
dolomitica. Osservando il panorama dalla sua vetta non si può fare a meno di notare un massiccio montuoso
antistante, dalle caratteristiche completamente diverse: è la selvaggia e misconosciuta Maiella.Mentre per il
Corno Grande basta un click per avere al volo le relazioni delle diverse possibilità di salita, per il Monte
Amaro, vetta principale del massiccio della Maiella e seconda vetta dell’Abruzzo con i suoi 2793 metri, la
faccenda può risultare un pelo più complicata. Poche relazioni circolano su internet e si fatica a credere che
per raggiungere la vetta si impieghino comunque molte ore di cammino qualunque sia l’itinerario scelto.Se
si effettua la salita dal rifugio Pomilio alla Maielletta (1890 metri, raggiungibile in auto da Roccamorice) ci
si può appoggiare al bivacco Fusco a circa metà del percorso o al bivacco Pelino in vetta.Pare però che
entrambi i bivacchi non siano in buone condizioni. Per approfondire la cosa, essendo interessati ad
intraprendere questa salita, la Scinty chiama il C.A.I. di Chieti, ma insoddisfatta della conversazione
contatta un’altra sede C.A.I.; non si capisce come mai tutti sembrIno fare terrorismo sia sulla lunghezza sia
sullo stato dei bivacchi al punto che ci convinciamo che sia una salita per pochi eletti. Finalmente la
telefonata con il C.A.I. di Pescara ci incoraggia, il signor Walter inoltre dice che l’alba dal Pelino merita.
Bene! Non sarà in buone condizioni, ma adesso abbiamo la conferma che dotati di un buon sacco a pelo ci si
può anche passare una notte.

Così, dopo tre stupendi giorni coccolati tra le meraviglie


del favoloso borgo di Santo Stefano di Sessanio, ci
trasferiamo in Maiella e dopo un adeguato rifornimento
presso un alimentari, la visita al solitario eremo di San
Bartolomeo in Legio e un ottimo pranzetto in un
ristorante affacciato sulla vallata, circondato da ginestre
e lavanda, siamo pronti per partire.

Imbocchiamo la carrabile per la Maielletta, affacciata


sulle gole rocciose e sui pascoli, passando da un
paesaggio verde e soleggiato a una strada interrotta da
spessi muri di nebbia, tanto che dobbiamo quasi fermarci
con la macchina.

In questo modo arriviamo al rifugio Pomilio, da dove la


strada non è più percorribile fino al piazzale del
Blockhaus per un divieto del parco. Il Pomilio è
attualmente chiuso e intorno, come sentinelle, si
stagliano vari ripetitori; stiamo qualche minuto in
macchina e concordiamo che da quel nebbione non può Le Tavole dei Briganti. (Foto Scinty)
scoppiare un temporale, ma il sentiero lo troveremo?

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Nel frattempo arrivano due escursionisti provenienti dal Fusco, si mettono a parlare con noi e ci dicono che il
bivacco è molto sporco, loro non si sono nemmeno fermati a mangiare all’interno. Il signor Gino,
avvisandoci che il sentiero dal Monte Focalone è di difficile individuazione, ci lascia il suo numero di
cellulare nel caso avessimo bisogno di una dritta, che gentile.

Finalmente si parte: sono le 16:15 circa. Dopo pochi passi inizia a gocciolare e siamo sempre dentro un
nebbione con visibilità 5 metri.

Arrivati su asfaltata al piazzale del Blockhaus imbocchiamo il sentiero cercando di seguire dei bolli, ci
perdiamo subito ma ritroviamo la retta via. Iniziamo bene! Siamo pensierosi, siamo nella nebbia e abbiamo 5
ore di luce o poco più per arrivare al Pelino. Gli informatori hanno detto 5 ore di buon passo..Camminiamo
tra i pini mughi, ci mancavano proprio i pini mughi per fortuna qui non ci dobbiamo arrampicare; dopo aver
superato il bivio per il bivacco Fusco sparisce ogni tipo
di vegetazione, a parte qualche sporadico fiorellino e
tanti muschi.L’unica vera salita, la più continua, è quella
che porta al monte Focalone. Noi continuiamo a non
vedere niente. C’è un cartello di ferro tra i pini, con
scritte incomprensibili consumatesi nel tempo,
Proseguiamo e arriviamo nei pressi di un mucchio di
pietre: il Focalone?.

E chi lo sa, qui non si capisce se siamo su una vetta,


proseguiamo in piano e la traccia riprende a salire ed
arriviamo sul vero monte Focalone sempre in compagnia
della nebbia che affettuosa non ci lascia; ci guardiamo in
giro ma un cartello indica tutto tranne il monte Amaro.
Dobbiamo andare per esclusione guardando la cartina. Ci
era stato detto di seguire i paletti di legno con su scritto
“sentiero del parco”, i paletti ci sono anche se la targhetta Apriti cielo! L’ultimo portone prima della
“sentiero del parco” deve essersi persa nelle intemperie o vetta.(Foto Scinty)
nelle tasche di qualche escursionista, chi lo sa.

Abbiamo capito che la cosa più importante adesso è non perdere mai i paletti. Gino aveva ragione, dal
Focalone è quanto mai facile perdersi. Andiamo avanti in quello che sembra un vasto pianoro di sassi e
muschio, fino ad individuare un bollo, più in là un paletto - abbiamo paura di sbagliare – ma finalmente
troviamo una traccia che scende: ci porterà al primo portone.

Bisogna infatti varcare tre portoni, tre colli che si toccano con saliscendi non eccessivi, prima di guadagnare
la vetta dell’Amaro.

Quando ricominciamo a salire contiamo meno uno!

Arrivati in prossimità della cresta ci sorprende un forte vento, riprendiamo a scendere e percorriamo il
secondo portone, molto lungo. Piano piano inizia di nuovo la salita, passiamo sotto a una parete, a tratti si
trovano ancora chiazze di neve sotto al sentiero, qui più visibile. I gracchi se la ridono alle nostre spalle,
sento il loro canto e il loro eco all’interno di una caverna: ha un che di tolkeniano questo spettrale scenario.
Alec va avanti e incontriamo una macchia di neve che sbarra il sentiero, risale cercando di evitarla ma a un
tratto si blocca “non sono convinto” e dice di tornare indietro.

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Effettivamente stavamo sbagliando, per raggiungere il terzo portone dovevamo risalire prima, su una traccia
poco visibile, dove ritroviamo i mitici paletti.

Di nuovo cresta e vento forte: riscendiamo. A questo punto ci sentiamo più tranquilli perchè pensiamo che
siamo nei tempi e la prossima salita dovrebbe portarci alla vetta. Ma non si vede niente; ci fermiamo un
attimo per scrutare nella nebbia. Il cielo sopra di noi sembra più chiaro, c’è una luce strana: vuoi vedere che
si apre?.

Sempre più luce fino a che Alec non esclama “guarda !”: alziamo la testa e intravediamo tra la nebbia la
vetta col bivacco.

Un urlo di gioia, oramai ci siamo, e sappiamo dove dirigerci, in questa distesa di pietre avevamo avuto un
attimo di esitazione e il tempo ormai stringeva. C’è una luce davvero particolare, un’atmosfera apocalittica.

L’ultima salita sembra non finire mai, come da copione, ma con grande emozione tocchiamo la croce di vetta
poco dopo le 21!. Siamo stati bravi, ma conoscendo la nostra andatura, credo che i locals abbiano un pochino
esagerato, Alec è stato bravo a trovare sempre il sentiero.

Il Bivacco Pelino. (Foto Scinty)

C’è un vento che ti porta via, siamo bagnati come pulcini, diamo una rapida occhiata in giro e ci fiondiamo
nel bivacco.Non sarà un cinque stelle ma a parte la porta scardinata ci offrirà un buon riparo da questo vento
incessante. Due piani di tavolacci messi a ferro di cavallo saranno il nostro letto, ci sono macchie di bagnato
sulle tavole, scegliamo il punto che ci sembra il meno sporco e sistemiamo la porta che continuerà a sbattere
al vento anche chiusa, nemmeno fossimo a 4000 metri.

Ci cambiamo i vestiti bagnati e freddi e una volta più a nostro agio ci tuffiamo nel sacco a pelo, pronti per la
nostra lauta cena.Manca solo un po’ di vino, ma lo zaino era già abbastanza pesante, mentre il vento fuori
continua a soffiare (in realtà crediamo che su questa montagna non smetta mai) finiamo la cena e ci
raggomitoliamo nel sacco a pelo. Dal soffitto colano delle gocce dovute all’umidità interna che condensa; ci
sistemiamo tra una colata e l’altra sperando di non essere innaffiati durante la notte e chiudiamo gli
occhi.Arrivano le 5 del mattino, vogliamo vedere l’alba ma chi ha il coraggio di alzarsi e andare a slegare la
porta?.

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Ci decidiamo ed usciamo, il vento spadroneggia ma non


è un’aria così gelida, scattiamo due foto e rientriamo di
corsa.Ci rimettiamo nel sacco a pelo, la luce diventa
sempre più rosa, più accesa, più intensa. usciamo di
nuovo, davanti a noi un mare di nuvole e sopra il cielo
limpido. Il sole è alto, inutile aspettare, ci aspetta
piuttosto un’altra bella camminata per vedere tutto
quello che non abbiamo potuto osservare la sera prima.

Da un lato è stato meglio, camminare senza il sole sulla


testa e ora potersi godere il paesaggio come una sorpresa,
con calma.Alle 6:30 passate siamo in marcia, salutiamo
il nostro rifugio sgangherato e ci beiamo della splendida
luce mattutina, possiamo scorgere fra un po’ di nuvole
basse e foschia il Gran Sasso, il mare, la pianura e le
colline, è stupendo!
Scendendo dalla vetta, con l’Abruzzo ai nostri
piedi. (Foto Scinty) Cosa dev’essere in una tersa giornata
d’autunno.Sappiamo che il ritorno è lungo quasi quanto
l’andata, sappiamo che dal Focalone vedremo lontanissimo il Blockhaus e i ripetitori del Pomilio, ma la
giornata è lunga e non abbiamo fretta, c’è anche tempo per andare a visitare la curiosa Tavola dei Briganti,
dei lastroni di roccia calcarea che si trovano sulla costa sud del monte Cavallo, dove in passato pastori e
briganti incisero i loro nomi. Per lo più erano pastori, ma anche malviventi che dopo aver commesso gravi
reati, per scappare al loro destino si rifugiavano su queste montagne impenetrabili. I Borboni costruirono un
fortino sul monte Blockhaus per proteggere i viandanti dalle scorrerie dei banditi.

Il fortino venne anche usato dopo l’unità d’Italia dai mercenari austriaci per combattere il brigantaggio (ecco
perchè un nome tedesco).La scritta più famosa recita “Nel 1824 nacque Vittorio Emanuele, prima del 1860
era il regno dei fiori, oggi è il regno della miseria”.

Dopo qualche foto riprendiamo il nostro cammino verso il piazzale del Blockhaus, che meraviglia essere
arrivati, un signore ci viene incontro e dice “allora è vero che le donne sono più forti di noi!” vedendo la
Scinty in testa.Mano nella mano, con passo tranquillo e con la Maiella ai nostri piedi scendiamo verso il
Pomilio dove abbiamo lasciato l’auto, il prossimo traguardo sarà una meritata doccia e una super cena
rigenerante.

In definitiva il monte Amaro è una vetta che richiede un buon allenamento e capacità di orientamento,
specialmente se affrontata con scarsa visibilità. Il bivacco di vetta è mal messo e non offre una buona
accoglienza, ma permette di godere di un grande spettacolo, ossia il sorgere del sole con tutta la terra
d’Abruzzo ai propri piedi.

L’ambiente della Maiella è selvaggio e poco antropizzato, a differenza del Gran Sasso che è molto più
“turistico” e affollato. Un appassionato di montagne non può però perdersi né uno né l’altro, due facce
diverse dell’affascinante appennino centrale.

Alec E Scinty

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Ciarforon

I l Ciarforon è una montagna davvero strana.


Abituati a vette dagli spazi esigui e dai movimenti
frazione di Introd, dalla quale abbiamo poi
proseguito in direzione di Pont. Ivi è situato, alla
limitati, punte aguzze e rocciose ove anche il più fine della strada, un ampio e comodo spiazzo ove
temerario potrebbe avvertire un senso di vertigine, lasciare l’auto e da dove parte il sentiero nr.1 bollato
questa presenta invece una calotta ghiacciata così di giallo che conduce al Rifugio Vittorio Emanuele,
vasta che Andreis-Chabod e Santi, autori della GMI tappa di partenza per il Gran Paradiso.
sul Gran Paradiso del ’39, scrissero che sulla sua
cima potrebbe comodamente manovrare una Arrivati al rifugio dopo due ore di salita e
compagnia di alpini. apprezzato la cena servita dalle capaci cucine, a base
di lasagne e maccheroni, stinco di maiale con
verdurine e creme caramel, ci siamo ritirati nelle
La montagna consta di un’antecima denominata “il stanze a riposare.
segnale” (per via di un grosso mucchio di pietre
accatastate) quotata 3640 metri e della cima vera e La sveglia delle 3:50 il giovedì mattina, ci ha
propria, detta “la calotta”, posta a 3642 mt. ; anche proiettato in breve al tavolo per la colazione, seguita
se, pare, tra il segnale e la sommità della calotta vi da preparativi neppure troppo veloci. Alle ore 4:40
sia un dislivello parecchio superiore ai 2 metri della lasciato il rifugio alle spalle, ci incamminiamo sulle
levata del 1931. tracce di sentiero della morena che da esso si diparte
e si innalza in direzione del Ciarforon. Eravamo gli
Di questa bella montagna, dall’ampia cima ma dai unici diretti al Ciarforon, gli altri ospiti del rifugio
fianchi assai ripidi ed impervi, ho salito con Alec la erano tutti diretti verso la normale del Gran
cresta NE, via aperta il 14 Agosto del 1888 da una Paradiso. Dopo aver faticato un poco nel trovare la
cordata di tre alpinisti piuttosto conosciuti nella traccia sulla morena, ci siamo goduti la salita in
storia dell’alpinismo: W.A.B. Coolidge con totale solitudine attraverso il vallone agli albori
Christian Almer e R.Almer. dell’alba che ci darà presto il buongiorno.

Nei nostri progetti, campeggiava ambizioso, quello La neve era portante, tranne alcuni punti subito
di una possibile concatenazione con la Becca di azzeccati da Alec e che gli costarono qualche
Monciair, scendendo per il versante Nord Ovest. sprofondamento seguito da sporadiche
Dal gestore del Rifugio Vittorio Emanuele, imprecazioni (perché la neve non può essere così già
venimmo a sapere che la discesa da quel versante, a quell’ora del mattino) così, per un po’, siamo saliti
pur non presentando particolari difficoltà, era senza ramponi rischiando, su alcune placche poco
certamente priva di tracce a causa della scarsissima più in alto, qualche scivolone per la presenza di un
frequentazione e pertanto la via di discesa sarebbe lieve strato di verglas. Quando le rocce sono
stata completamente da ricercare. scomparse e davanti a noi avevamo ormai solo la
bianca ed immacolata distesa, abbiamo messo i
Ma andiamo con ordine. Raggiunto il casello di ramponi, ci siamo legati e, in conserva, abbiamo
Aosta Ovest – St.Pierre, seguito per un tratto la SS. raggiunto il colle di Moncorvè, aggirando come da
26 Aosta St.Pierre, e seguendo le indicazioni per relazione i primi spuntoni e, alla vista della cresta
Villeneuve - Introd - Rhemes - St.Georges – ancora fortemente innevata, ci siamo subito resi
Valsavaranche, abbiamo raggiunto in breve la conto che lassù era ancora inverno.

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La vetta del Ciarforon.


(Foto Ramingo)

L'Autore dell'articolo in vetta.

Alec in arrampicata nel tratto


finale della via .
(Foto Ramingo)

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Salendo il primo pendio nevoso abbiamo notato con un po’ di attenzione ed il passo delicato,
parte delle corde fisse seppellite dalla neve, abbiamo superato il terzo ed ultimo tiro della cresta.
comprendendo che avremmo trovato lungo, e così
fu. Il resto del tracciato lo abbiamo proseguito in
conserva, giungendo in breve al colletto che separa
Nessuno dei due avrebbe immaginato di incontrare a la cresta dalla calotta. Respiriamo osservando il
giugno condizioni tipiche dei mesi di marzo o aprile. panorama eccezionale sul Gran Paradiso e sulle
vette limitrofe prima di iniziare la salita del pendio
innevato. Apro io battendo traccia con i primi 30-50
Ma ciò non ci ha demotivato, anzi, la via aveva metri che sono una farina e con la stanchezza che
acquisito immediatamente un aspetto decisamente iniziava a farsi sentire ed Alec che parlava poco per
più attraente che ci ha spinto a salirla ancora più risparmiare fiato ed energie. Mentre sprofondo
volentieri. come un elefante nel fango, scorgo, contro la luce
del sole, le sagome di tre alpinisti scendere dalla
Il primo tiro sopra il colle di Moncorvè è stato facile cima e venire nella nostra direzione. (erano tre
e non ha presentato problemi. Sul secondo (sempre francesi che con ogni probabilità devono esser saliti
tirato da Alec) è sorto qualche problema. Uno stretto per la Nord ed ora stavano rientrando, gente esperta,
ed incassato camino si frapponeva tra noi e si vedeva). Ci salutiamo, loro si avviano verso la
l’apparente via logica di prosecuzione della cresta, cresta NE per la discesa, noi proseguiamo motivati
si trattava di superarlo e di vincerlo issandosi oltre le verso la vetta. A passo di ottomila la raggiungiamo
sue lame di roccia, avendo l’accortezza di non alle 11.00 dopo sei ore trascorse dalla partenza dal
lasciarci lo zaino incastrato. rifugio, ma le condizioni della cresta completamente
innevata si sono dimostrate davvero difficoltose,
Ho sentito Alec abbastanza concentrato su quel tiro; una vera invernale!.
Io l’ho trovato davvero bello, non era difficoltoso
ma un po’ psicologico, perché proprio sotto Il nostro allenamento non doveva essere al massimo
l’apertura del camino, davanti alla strettoia che mi della forma. La gioia della vetta ci è sembrata più
ha fatto ringraziare di esser magro, la neve sotto il lunga dei reali 20 minuti durante i quali ci siamo
peso del corpo diminuiva sempre più rapidamente scambiati complimenti e ammirato lo spettacolare
riducendo le possibilità di issarsi comodamente panorama al quale non ci si abitua mai. Stagliata
sopra un sottile bordo di roccia sui fianchi del contro il cielo azzurro si ergeva splendida e “ardua”
camino. Con i ramponi non è stato un movimento la Grivola, innanzi il Gran Paradiso, più lontano ma
semplice issarsi all’interno dello stretto passaggio, ben visibili, il Bianco, le Jorasses, l’inconfondibile
ma con un movimento ginnico praticamente al ed ardita Aiguille Verte ed alle nostre spalle,
limite delle possibilità di piegamento del ginocchio, anch’essa dotata di una propria e per nulla
sono riuscito a vincere la difficoltà ed ho recuperato invidiabile imponenza la Grande Casse. Ammirato
il nut con cui Alec aveva protetto il passo. ancora per qualche minuto lo spettacolare gioco di
nubi attorno ai picchi ed alle cime, signore
Quel camino è stato il passaggio chiave della salita. incontrastate delle valli d’ogni dove, condivisa un
po’ di frutta e due integratori vitaminici per
Il tiro successivo, il terzo, ci ha visti impegnati su reintegrare le energie, alle 11:20 abbiamo lasciato
una lunghezza che ci ha concesso un po’ di respiro, quel meraviglioso balcone sulle alpi, scendendo, ora
prima di trovarci ad effettuare uno scomodo traverso più piacevolmente, sulla neve farinosa verso la
su uno scivolo di neve posto sopra un canaletto cresta NE per il rientro verso il Vittorio Emanuele.
misto di neve e ghiaccio, purtroppo il ghiaccio era
nella parte bassa del canale, nel punto dove Del concatenamento con la Becca di Monciair non si
dovevamo traversare noi la neve era farinosa così è più parlato.
abbiamo dovuto far sicurezza anche in quel tratto e,
Ramingo

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Aguglia di Goloritzè

L a salita alla Aguglia di Goloritzè era un sogno


che covavo dal 2004, quando durante
un’escursione alla splendida caletta, vidi quella
che fino a quel momento avevo potuto solo
immaginare dai racconti di amici o sfogliando le
guide di arrampicata sarde.

Un incredibile missile di roccia di 140 metri che si


erge imponente e solitario in riva al mare. E’ chiaro
che l’attenzione viene subito rapita da questa
meraviglia della natura, fin dal lungo sentiero che
scende dall’altopiano, ma è solo la conclusione
delle innumerevoli meraviglie che si incontrano
durante il cammino in questo luogo selvaggio e
sperduto. Scendendo si incontrano pareti
imponenti, querce secolari, antichi rifugi di pastori
, poi si gira una curva e spunta il monolite.
L'imponente Aguglia. (Foto Martina Scarsi)
E’ la terza volta che mi reco in questo posto e non
credo che potrò mai stancarmi.

La giornata è nuvolosa e non si vede anima viva se non una cordata già impegnata sulla via che dobbiamo
attaccare e che poco educatamente ha lasciato lo zaino appeso alla prima sosta. Purtroppo non sarà l’unico
aneddoto di maleducazione che abbiamo constatato durante questa giornata.

La squadra di climber è formata da Daniele, Gabriele, Jacopo, Matte o me, mentre alle macchine
fotografiche e alla custodia dei materiali a terra restavano Marina, Martina, Martina e Fabes.

Visto il deserto e l’assenza di sole ci concediamo un po’ di relax tra i bianchi ciottoli della caletta per godere
del posto, ma la tensione per la salita si fa sentire e dopo poco siamo sulla scaletta di legno che porta fuori
dalla cala e ci rechiamo ai piedi della temuta e affascinante Aguglia.

La via che decidiamo di fare è Easy Gymnopedie, sicuramente la più semplice dell’aguglia, io e Daniele
l’abbiamo già ripetuta l’anno scorso mentre per gli altri è la prima volta che tentano la salita, scegliamo di
nuovo questa via perché le altre non sarebbero alla portata di tutti e comunque è una gran bella salita.

Il nostro approccio mentale alla via lo si può vedere dal materiale che ci portiamo appresso. Lasciamo a casa
le pretese di etica e stile da falesia, l’obiettivo è arrivare in cima e useremo ogni mezzo per farlo.

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Dai nostri imbraghi pendono friend non necessari, l’immancabile “baro” o “infame, sempre utile per
azzerare chiodature lontane, e un numero abnorme di fettucce da lasciare sui rinvii per dare la possibilità a
chi segue di azzerare i passi duri.

Le cordate saranno: Dani e Gabri ad aprire, Matte, Jacopo e Mike a seguire.

Il primo tiro chiarisce subito che la via non è alla portata di tutti, i primi due spit sono davvero impegnativi
lungo una fessura sfuggente e tacchette lievemente unte che portano a una zona più rotta e arboricola.

Passato il punto del muretto impegnativo l’arrampicata


si fa più semplice ma attenta a causa dei numerosi massi
appoggiati lungo la via. Poco sotto la sosta diventa
essenziale camminare su due blocchi di roccia
appoggiati dall’aspetto poco sicuro che una volta caricati
non danno segno di cedimento; la sosta è appesa e non
proprio comoda, una piccola nicchia sospesa in cui si
trova qualche posto per i piedi, ma che in due con uno
zaino appeso sopra non è il massimo della vivibilità. Ho
vissuto questo tiro con molta apprensione, sia per la
difficoltà del tratto iniziale che non mi sono fatto
problemi ad azzerare, sia per la paura di far cadere
qualche masso addosso alle numerose persone ai piedi
dell’aguglia, sarà stato il mio stato d’animo, ma non l’ho
trovato un gran tiro. Ma sarà l’unica delusione della via,
dalla prima sosta in poi si entra nel paradiso! Una vista
meravigliosa sull’acqua cristallina, l’incredibile
muraglia che si estende davanti a noi, una presenza
umana piuttosto rada e un calcare eccezionale!

Arrivati tutti in sosta alzo lo sguardo e osservo


attentamente la prossima sfida, il temuto secondo tiro.
Un muretto verticale su roccia ottima ma ben poco
lavorata che porta a un piccolo tetto che si supera con un
paio di passaggi di forza. La vera difficoltà l’ho trovata
nel raggiungere un invitante buco sotto il tetto da
Noi sulla sosta del primo tiro, evidenti i due prendere di rovescio a cui si arriva muovendosi sul muro
tiri successivi. (Foto Martina Scarsi) iniziale delicato, tecnico e povero di prese; una volta
preso il bel buco si tratta di dare un po’ di manate di
forza. Il resto del tiro è un bel gioco di equilibrio in cui
non bisogna deconcentrarsi per la chiodatura un po più
lunga. Sono costretto a fermarmi uno spit prima della
sosta a causa di un intasamento.

Alla sosta successiva vedo Gabriele, che sta per partire, ma c’è anche un ragazzo assicurato a questa, e una
ragazza che sta scendendo in doppia. Appena Gabriele parte raggiungo la sosta ma prima di far salire gli altri
ci vorrà un po’ di tempo di attesa per far scendere i due ragazzi francesi che poi scoprimmo essere quelli che
hanno lasciato poco educatamente il loro zaino appeso alla prima sosta.

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Appena Matte sale mi mette al corrente di un altro fatto poco carino. Mentre stava partendo la ragazza
francese si è permessa di staccargli la longe dalla sosta. Lui c’è rimasto molto male, sono cose che nessuno
dovrebbe permettersi neanche con il compagno di cordata, figuriamoci con persone sconosciute,
probabilmente per il solo motivo di velocizzare le cose.

Da questo punto in poi la mia arrampicata risulterà molto più rilassata, i tiri da primo sono finiti, gli altri tre
che mancano sono affidati ai miei compagni di cordata. Per il terzo tiro parte Jacopo, sale lento e
concentrato, arrivato a un bel terrazzo si riposa un po’ e poi riparte. Il terzo tiro è a mio parere il più bello, un
muro tecnico iniziale delicato protetto abbastanza bene (anche se una protezione è un vecchio chiodo da
fessura) che porta a un bel terrazzo sotto una pancia aggettante da superare con un po’ di gesti atletici. Il tiro
è di 6b nel muro iniziale poi il resto del tiro è 6a con chiodatura non proprio ascellare; il passo atletico per
arrivare alla terza sosta ti fa sentire tutto il vuoto degli ormai 90 metri che si hanno sotto. Entusiasmante!

La sosta di questo tiro è relativamente comoda, una barra di roccia e un piccolo grottino, in tre ci stiamo
abbastanza bene. Appena arriva Matteo, che per ora è salito sempre per ultimo, passiamo la conduzione dei
tiri a lui. Gli ultimi due tiri sono sì i più semplici tecnicamente, ma sono decisamente i più impegnativi
mentalmente perché le protezioni si allontanano di molto continuando a viaggiare tra il 6a e il 5c.

Il muretto in partenza sono due manate difficili a causa degli scarsi punti per i piedi, ma ben protetti; la via
continua infilandosi in un enorme svaso, una specie di nicchia che, passando su una zona rotta, si infila in un
tecnico diedro. Qui non solo le protezioni si allontanano ma alcune sono chiodi a fessura e non i rassicuranti
spit. Mentre Matteo scala concentrato sentiamo delle voci da sotto, una cordata certamente non italiana sta
arrivando. Siamo ancora in due appesi alla sosta quando questo signore dall’accento spagnolo arriva sul
terrazzino. Assisto a una scena piuttosto curiosa.

Il signore arriva, non si attacca alla


sosta ma urla qualcosa al compagno,
restando in equilibrio solo sui piedi (e
garantisco non era su un terrazzo, era
un su uno scivolo di roccia appoggiato)
prende la corda a due mani e inizia a
tirarla buttandosela sui piedi. Quando
ha preso qualche metro di corda, mette
la sua attrezzatura di recupero sulla
sosta, ci mette la corda e finito tutto
questo, collega la sua longe.

Nel frattempo Jacopo aveva iniziato il


tiro e si trovava poco sopra di noi, in
pochissimo tempo il compagno dello
spagnolo arriva, io parto e dentro di me
mi dico, aspetteranno un po’ a partire,
ma al contrario mi trovo subito dietro
quello dell’altra cordata. Di fatto sul
tiro in quel momento siamo in tre.
Jacopo più su, io nel mezzo e subito Matteo sul passo chiave di strapiombo sul secondo tiro.
dietro questo spagnolo che, in maniera (Foto Martina Scarsi)
piuttosto fastidiosa cerca di superarmi.

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In una zona più rotta mi supera e supera Jacopo infastidendolo moltissimo nella progressione, quando arriva
in sosta ci passa un rinvio e tira dritto senza neanche dire una parola a Matteo che resta allibito di fronte alla
scena. Trovo che per quanto uno sia forte e bravo e passeggi su certe vie, l’educazione non dovrebbe mai
mancare, se sei veloce arrivi in sosta e chiedi di passare.. non sorpassi nel bel mezzo di un tiro.

Quando il suo compagno, salendo ci raggiunge all’ultima sosta prima della vetta, Matteo che conosce bene
lo spagnolo, gli chiede con ironia se stanno facendo una gara.. e lo spagnolo si scusa poco convinto.

Ci resta da fare l’ultimo tiro, la vetta si vede bene, in cima ci sono Dani e Gabriele che ci aspettano, ma non
solo loro. La vetta è affollata e a fianco a noi sta salendo anche una cordata di 3 da “Sole incantatore”.
Decidiamo così di aspettare in sosta che si “smaltisca il traffico” in vetta, tanto la sosta non è male, il
panorama è incredibile e sotto non salgono altre cordate.

Iniziamo a fare foto alla spiaggia, chiederci quale di quei puntini sono le nostre ragazze e commentiamo
simpaticamente la cordata a fianco alla nostra formata da due ragazzi e una piacevole ragazza. Quando
l’attesa si fa troppo lunga Matteo decide di partire per togliersi l’ultimo tiro. Devo fare i complimenti a
Matteo perché trovo questo tiro il più ingaggioso di tutta la salita. La distanza dalle protezioni è notevole e
spesso non si vede la protezione successiva tanto da non rendere chiara la linea della via.

Matteo, salito il primo spigolo rotto, si trova di fronte a un bombè di roccia e ha molto a sinistra un chiodo da
fessura, molto a destra uno spit. A sinistra si vede una fessura e quindi decide di provare a salire da lì. Fatica
un po’ ma sale. Facendo il passo successivamente mi sono reso conto di quanto fosse difficile, soprattutto
con la protezione sotto i piedi e più di 130 metri di vuoto sotto. Probabilmente la via passa a destra. Dopo

La caletta ai piedi della Aguglia, vista dalla cima. (Foto Martina Scarsi)

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questo passetto cè un piccolo ribaltamento e poi una placca di aderenza che completa degnamente l’ingaggio
del tiro, piuttosto aleatorio e sempre con protezioni lunghe.

Arriviamo al terrazzino sotto la cima. Sì, sotto la cima! Perché sulla punta c’è un terrazzino con una sosta su
un muretto di un paio di metri, e sopra questo muro si sta a cavalcioni e si è sulla vera cima. Cosa curiosa e un
po’ impressionante è la presenza di un grosso masso in vetta, stabile ma evidentemente appoggiato che
speriamo non decida mai di venire giù.

Quando arriviamo Daniele e Gabriele sono stremati dall’attesa, perché ci abbiamo messo molto a salire e noi
siamo molto affaticati dalla salita, facciamo un paio di foto per festeggiare, due battute, ci congratuliamo a
vicenda e Dani è già lì che attrezza la discesa. E’ pomeriggio inoltrato e il mio pensiero va alle doppie…
speriamo non si incastrino le corde da nessuna parte perché al buio mancheranno non più di due ore.

La prima doppia sarà non più di trenta metri e va via veloce. Mente guardo gli altri scendere noto una cosa
che mi preoccupa non poco. Il maillon su cui si stanno calando non è stretto fino in fondo ma gli
mancheranno un paio di giri; non me ne intendo tantissimo ma non mi sembra una bella cosa così prima che
Matte si cali ci diamo una bella stretta.

La seconda discesa impiega quasi tutti i 60 metri di corda ed è veramente entusiasmante per l’ambiente in cui
ci si trova e la vista a 360 gradi. Visto il fatto precedente controlliamo la sosta successiva e facciamo una
scoperta piuttosto inquietante.

Il maillon principale di calata, quello centrale è tagliato quasi a metà, probabilmente a causa dello
sfregamento con la piastrina a cui è attaccato.Prendo il maillon che ho nell’imbrago e lo aggiungo in
parallelo a quello centrale, purtroppo quello vecchio non sono riuscito a toglierlo.

Spero solo che le cordate future decidano di calarsi su quello evidentemente più nuovo perché a mio parere il
vecchio è molto pericoloso, la sua condizione non è visibile se non ispezionando bene la sosta.

Arrivati a terra e recuperate le corde, la nostra avventura è davvero finita.. ma le fatiche no!

Siamo accolti calorosamente dalle ragazze rimaste a terra, ci facciamo un bagno rigeneratore e mangiamo
qualcosa.. ma ci attende ancora la salita alle macchine, che dopo una giornata così è davvero l’ultima cosa
che potremmo desiderare, ma è un prezzo che le nostre gambe pagano volentieri per la stupenda giornata
passata.

Arriviamo alle macchine che è buio, il tempo di brindare con una birra al bar del piccolo campeggio e si
ritorna a casa.

Siamo tutti pieni di gioia e soddisfazione.

Una giornata e una salita che non si possono immortalare in poche parole.

Michelangelo - Mikesangui

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