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rinchiudersi nella parzialità ‘patologica’ della riduzione del tempo a durata uniforme e indif-
ferenziata, un vuoto da riempire con i prodotti dell’autoderminazione di un soggetto assoluto,
un vuoto per definizione non riempibile e indifferente nei confronti di qualunque contenuto e
perciò disperante, mai abitabile come proprio, come condizione di origine e di approdo in cui
l’uomo sa di essere presso se stesso. Resta peraltro aperta la domanda sulle ragioni dello stra-
ordinario successo di questa ‘patologia’. Perché finisce per essere vincente, dal punto di vista
della civiltà e della società, un modello così ‘disumano’ da espellere l’uomo dal tempo, facendo
di quest’ultimo una categoria che gli è ‘esterna’, rispetto alla quale l’uomo non può che essere
assente? Il pessimismo della diagnosi obbliga a una puntuale genealogia dei processi, perché
solo nell’identificazione delle dinamiche e delle cause e non solo nella buona volontà degli
attori coinvolti si apre la speranza di una correzione storica, mai puramente individuale, dei
fenomeni collettivi. La lettura del libro di Biancu si chiude così nel bisogno e nell’attesa di una
parola ulteriore, che è urgente e virtuoso scrivere.
Teresa Bartolomei

Gaetano Chiurazzi, Dynamis. Ontologia dell’incommensurabile, Guerini e Associati,


Milano 2017. Un volume di pp. 271.
In 6 serrati capitoli e 5 efficaci excursus, questo testo propone e sviluppa almeno quattro tesi
principali, due di natura più prettamente storiografico-filosofica, due di portata più strettamente
teoretico-filosofica: i) Platone delinea, particolarmente negli ultimi dialoghi, un’ontologia
dinamica; ii) questa elaborazione è figlia del continuo confronto di Platone con il dibattito
matematico sul problema delle grandezze incommensurabili; iii) tale ontologia dinamica cerca
di pensare una forma di razionalità analogica, mediativa o differenziale, la cui formulazione
trova un culmine nell’ermeneutica del Novecento; iv) simile razionalità si connota in chiave
genuinamente trasformativa, consentendo di delineare – in ottica critico-sociale – la possibile
matrice di una «microfisica della libertà».
Queste tesi sono tenute insieme da un problema di fondo: il nesso tra potenza/possibilità e
incommensurabilità, o – anche – tra differenza e irrazionalità. L’A. non assume affatto una posi-
zione irrazionalista, ma insiste su ciò che rende razionale la ragione, se non – più in generale –
sulla «ragione delle cose», ossia concepisce il trascendentale quale condizione di effettiva pos-
sibilità della formazione e trasformazione del reale. In questo modo, ne viene fuori l’idea per
cui Platone era tutt’altro che platonico, ossia essenzialista e identitario.
Il problema della diagonale, della radice quadrata, sostiene l’A., pone (oggi come allora)
un’enorme sfida filosofica: com’è possibile che qualcosa di irrazionale si presenti come esito
di una dimostrazione razionale? Com’è possibile che qualcosa appaia come irrazionale (un
non-numero) rispetto a ciò che è considerato razionale (un numero) proprio portando sino in
fondo un procedimento di tipo razionale (numerico)? O anche – ed è qui che la questione si
pone sul piano più squisitamente ontologico – com’è possibile che qualcosa che appaia come
non-essere comunque in qualche modo sia, anzi possa essere?
La risposta è che questo qualcosa è proprio il poter-essere, la dynamis intesa quale possibi-
lità, che «è» senza essere in senso positivo, ossia senza essere qualcosa di sostanziale, statico e
atemporale. Platone avrebbe esattamente articolato un simile orizzonte concettuale, trattando
l’incommensurabile non in termini meramente negativi, bensì come un problema che veicola
delle ineludibili questioni teoriche. Platone avrebbe cioè colto che l’incommensurabile esibiva
una funzione mediale di tipo non commisurativo, la cui comprensione richiedeva una nuova
forma di razionalità, che comportava la problematizzazione di una nozione positiva o digitale
(ossia numerica) di ciò che esiste, o – meglio – del principio stesso di ciò che esiste.
Il cap. 1 evidenzia che non è casuale che nel Teeteto il problema della conoscenza sia
discusso prendendo le mosse dalle aporie dell’incommensurabile (pp. 21-74). Per Platone,
infatti, l’anima rappresenta quell’elemento dinamico-temporale o protensivo che si sottrae alla
puntualità percettiva propria dei sensi (ogni senso percepisce hic et nunc e percepisce solo il
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proprio sensibile), ma che proprio sottraendosi alla loro logica «atomica» o «autistica» è il
principio del loro collegamento e della loro distinzione, ossia della conoscenza, inestricabil-
mente connessa al ricordo, alla continuità della memoria.
L’A. mostra che questo significa che l’anima giudica e non denomina, sintetizza e non
enumera. L’anima è un principio realmente generativo, che mescola e intreccia ossia produce
un’unità di tipo analogico: «eleva» i sensi portandoli su un altro piano, a un altro livello, quello
appunto psichico (di ordine diverso: astratto, intelligibile o comprensibile), che rappresenta
non l’elemento comune partecipato dai vari sensi (il loro principio di commisurazione o inclu-
sione), bensì il loro termine medio, ciò che li congiunge. L’anima è questa tensione che «va
oltre» o «eccede» la monovalenza dei sensi, non è nulla di definito e presente, ma una pura
capacità o disposizione (in termini ermeneutici, si potrebbe dire che l’anima dà senso ai sensi).
Proprio questo spiega il profondo nesso con il tema dell’incommensurabilità. L’anima si
presenta come irrazionale rispetto alla (supposta) razionalità dei sensi, ossia al loro modo
d’essere; eppure ne è principio, anzi è il principio stesso della razionalità. In tal modo, secon-
do l’A., si profila una concezione del logos relazionale e non enumerativa, ossia l’idea che il
logos consista in una mediazione o connessione, non in una riunione in senso insiemistico:
si passa dalla simmetria della commensurabilità aritmetica (il logos definito tramite i numeri
interi, come rapporto tra interi), alla simmetria della proporzionalità (il logos definito ana-
logicamente come equivalenza di rapporti, come puro rapporto). La razionalità si fa dunque
obliqua e trasversale, diagonale: è la continuità del passaggio ad altro e il principio di comu-
nicazione, conversione e trasformazione, non la permanenza di una data identità o l’unione in
un quid sostanziale comune.
Il cap. 2 sostiene che la portata ontologica di questa impostazione sarebbe discussa da Pla-
tone principalmente nel Sofista, confrontandosi non a caso con lo statuto «irrazionale» dell’im-
magine, un non-essere che può essere o simula di essere vero o una falsità che realmente è
(pp. 75-108). La soluzione platonica, raggiunta – come sottolinea l’A. – a fatica e non sen-
za reticenze, comporta l’introduzione nell’essere del diverso e del movimento, a partire dalla
convinzione appunto che in qualche modo anche il non-essere sia. La dynamis è il nome che
Platone assegna a quell’«in qualche modo», aprendo a una dimensione ontologica avverbiale e
modale, che fa dell’essere stesso il principio di ogni flessione e articolazione.
Dal punto di vista linguistico-grammaticale, l’A. riprende la lezione aristotelica e i suoi
sviluppi medioevali, sostenendo che la dynamis si esprime negli elementi consignificanti o sin-
categorematici, che di per sé non indicano nulla ma agiscono connettendo le parti del discorso:
si tratta di verbi (incarnano e animano il discorso) e di connettivi e preposizioni (flettono e
connettono i termini). L’esempio più importante di questi elementi operativi sarebbe dato dalla
copula, la cui funzione (copulativa ossia generativa) è di operare una mediazione costitutiva
ossia l’articolazione del discorso, disponendo le componenti della proposizione e dinamizzando
la staticità del riferimento attraverso l’introduzione del tempo nella frase: la copula svolge al
contempo funzione di sintesi e di diairesi.
Il cap. 3 (pp. 109-142) suggerisce che l’intera logica trascendentale kantiana è una logica
dell’incommensurabile, fondandosi sull’unità appercettiva dell’Io penso e sulla sua funzio-
ne di sintesi e giudizio: l’Ich denke è un elemento di partizione o un operatore di divisione
che come tale non appartiene agli elementi della divisione, essendo così alla base di ogni
esperienza possibile. L’Io penso accompagna ogni possibile rappresentazione rendendola
possibile, senza però essere rappresentabile: esso è il limite interno o punto cieco della cono-
scenza, ma un limite costitutivo, insieme il suo punto di sordità e la sua radice (l’A. allude
sempre al tema della radice quadrata e del numero irrazionale, surd in inglese), ossia la sua
condizione di possibilità.
In ottica ermeneutica, spiega poi l’A., cogliere l’elemento genetico-differenziale signifi-
ca comprendere un senso, inteso in chiave tensionale e vettoriale ossia direzionale: il senso
compreso o precompreso è sì sommario o incompleto, ma è la precondizione per l’appren-
sione di qualsiasi specifico significato (la dynamis è il senso stesso della proposizione: non è
indicato da essa, ma è la precondizione di ogni possibile indicazione dunque preposizione).
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Comprendere significa cogliere un rapporto, mettere in rapporto, cioè essere capaci di andare
al di là del semplicemente presente e positivo (al dato percepito o intuito) per collegarlo ad
altro, per farlo transitare in altro: vuol dire incrementare il significato, anziché meramente
attestarlo (la verità come alétheia e non adaequatio).
L’idea dell’A. è che tutta la tradizione che si collega, anche criticamente, alla rivoluzione
kantiana può considerarsi uno sviluppo delle conseguenze teoriche della configurazione con-
cettuale che assume come fondativo di una nuova razionalità il rapporto incommensurabile
nella forma del rapporto trascendentale.
Questo diventa particolarmente esplicito proprio nell’ermeneutica contemporanea, per la qua-
le, siamo nel cap. 4, l’esistenza va concepita in termini posizionali e ordinali, anziché come quan-
tificazione o elemento cardinale (pp. 143-189). L’esistenza in quanto tale è cioè una disposizione
o una relazione, un come, più che una sostanza o un predicato, un che cosa: è uno zero, un punto
limite, di per sé insieme indeterminato e infinitamente determinabile, un puro possest – è pre-po-
sizione assoluta. Ne segue un concetto di mondo più vicino all’idea di campo che di insieme
(l’A. pensa anche al realismo ontico strutturale di matrice fisica difeso in ambito analitico): il
mondo quale struttura ordinata e non quale combinazione o ricombinazione di oggetti dati.
Il cap. 5 affronta più direttamente il carattere energetico e fisico della dynamis, dialogando
principalmente con Hegel e Dedekind: si profila così il problema della concretezza del divenire
o della natura bimodale del continuo (pp. 191-236). Il carattere ambivalente della dynamis,
mancante perché non attuale ed eccedente perché capace di esserlo, viene a indicare l’artico-
lazione appunto dinamica di discontinuità o separazione e continuità o congiunzione (di con-
cavità e convessità, secondo l’immagine di Escher richiamata dall’A.), in cui propriamente
consistono i processi e gli eventi, ossia il divenire.
Infatti, il divenire è la tras-formazione del reale, ossia insieme la sua modificazione e la sua
strutturazione: il divenire è infinito in atto qualitativo, inteso come continuità dell’eterogenesi,
come attualità della potenza, come variabilità continua. Il divenire è insomma il processo del
passaggio ad altro, il transito su un altro piano, la transizione ad altra misura: l’incommensura-
bile come trascendentale, il vuoto come principio interstiziale e dinamico del reale.
Per l’A. l’incommensurabile consiste in una differenza modale, intensiva e qualitativa e
non cosale, estensiva e quantitativa. Questo implica che esso introduce nuove possibilità ope-
rative, nella misura in cui fa tutt’uno con quell’impasse che mostra i limiti di un sistema e la
domanda di una differenza, di una nuova dimensione ontologica entro cui diventino possibili
operazioni che all’interno di quel sistema si stanno rivelando impossibili. Il capitolo conclusivo
discute il passaggio alla dimensione etico-politica, facendo proprio valere la dimensione genui-
namente creativa o «laterale» chiamata in causa dal problema della diagonale (pp. 237-259).
Ripensando il mito della caverna, si avanza l’idea che l’incommensurabile costituisca un
interstizio della realtà (il Reale lacaniano), cioè il deposito di un dinamismo irriducibile all’or-
dine costituito e perciò un serbatoio di risorse per un’emancipazione sempre possibile: la dyna-
mis non è altro che la possibilità di uscire dal sistema, di alterarlo, la «possibilizzazione» di ciò
che si profila come attuale dato, perciò intrascendibile.
Da ultimo, Dynamis è opera considerevole non solo perché intercetta e può contribuire in
modo originale alla discussione di problemi rilevanti in molti ambiti della ricerca contempo-
ranea (giusto alcuni esempi: il passaggio dalla teoria degli insiemi a quella delle categorie in
matematica; la fisica dei processi e della relazione; un’antropologia filosofica di taglio non
essenzialistico; la diffusione delle ontologie relazionali), ma anche perché permette di sottrar-
re l’orizzonte del pensiero o dell’ontologia «debole» alla retorica della fine o decostruzione
di filosofia, ontologia e metafisica, andando piuttosto in direzione della loro ricostruzione,
della loro trasformazione.
Giacomo Pezzano

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