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Lisabetta di Messina muore per Amore: (sintesi).

Dopo la storia di Elissa, venne chiesto a Filomena di


raccontare la sua storia che, a suo dire, non era meno
commovente della precedente, raccontata dalla sua
compagna e che, proprio l'ambientazione (Messina) di
quest'ultima gliel'aveva rammentata.
Dopo la morte del padre, tre fratelli mercanti
divennero ricchi. Avevano una sorella chiamata
Elisabetta, una ragazza di raffinata bellezza ma, non si
sa per quale ragione, ancora priva di marito. Nel
magazzino, i fratelli, avevano come lavorante un
giovane ragazzo chiamato Lorenzo, che li seguiva
ovunque loro andassero. Costui era bello ed elegante e
dopo avendolo più volte osservato, Elisabetta finì con
l'innamorarsene. Lorenzo mise da parte le relazioni
che aveva fuori, e si dedicò a lei. Non passò molto
tempo che, stando attenti a non farsi scoprire, fecero
l'amore. Una notte però non riuscirono a tener
nascosto il segreto: Elisabetta si recò dove Lorenzo
dormiva e, senza accorgersene, uno dei fratelli, il
maggiore, la notò. Egli non intervenne, non disse
nulla, e stette tutta la notte ad aspettare il giorno
seguente, pensando fra sè e sè ciò che aveva visto. Alla
mattina disse tutto ai fratelli e insieme si accordarono
ad aspettare il momento giusto per poter fare o dire
qualcosa, per togliersi quella vergogna. Così facendo,
presero Lorenzo, ridendo e scherzando come erano
soliti fare, e lo portarono il un luogo solitario.
Lorenzo, ignaro del suo destino, fu ucciso dai tre
mercanti e sepolto poi, attenti a non dare nell'occhio,
nella terra di quel luogo. I fratelli, tornati a Messina,
fecero circolare la voce che Lorenzo era andato a far
commissioni, e ciò venne creduto con facilità.
Elisabetta,vedendo che Lorenzo non tornava, chiese
più volte e con maggiore insistenza ai fratelli dove si
fosse cacciato, fino a quando uno di questi la
rimproverò severamente. Piangeva e pregava che
Lorenzo tornasse, finchè una notte non gli apparve in
sogno: lui, tutto malconcio e sporco, gli disse che non
doveva sperare nel suo ritorno, perchè non ce ne
sarebbe stato. Gli raccontò che i suoi tre fratelli
l'avevano ucciso, mostrando dov'era accaduto
l'assassinio e dove fosse seppellito. Disse per un'ultima
volta di non aspettarlo... e sparì. Il giorno successivo,
chiedendo il permesso e in compagnia di una donna,
andò nel luogo interessato, per scoprire se quello che
gli era stato detto in sogno fosse vero oppure no.
Nell'avanzare tolse varie foglie secche e sentì il terreno
meno duro sotto i suoi piedi e prese a scavare. Non
scavo neanche un pò che trovo il corpo dell'amato,
ancora fresco di morte. Il corpo di costui non era
danneggiato, sporco sì. Concluse che la sua visione era
veritiera. Elisabetta prese un coltello e gli staccò il
capo, prendendolo per i crespi capelli e riponendolo in
un asciugamano; poco dopo ricoprì di nuovo il corpo.
Tornò a casa, e si chiuse nella sua camera stringendo
in grembo il capo di Lorenzo, lavandolo con le sue
lacrime e i suoi baci. Prese un gran vaso, dove
principalmente vi si piantava la maggiorana o il
basilico, e mise il capo lì dentro spargendolo di terra e
piantando molte piantine. Lo annaffiava con acqua
rosata o di aranci o con le sue lacrime. Osservava il
vaso con amore e per molto tempo piangeva. Per
l'attenzione che aveva nel curare le piante molto
presto fu notata dai vicini. I fratelli si meravigliarono
nel veder il suo bel viso ridursi in un volto brutto e con
occhi sporgenti e i vicini gli raccontarono della cura
che aveva per quelle piantine. Un giorno i fratelli,
senza farsene accorgere, fecero portar via il vaso.
Elisabetta non trovando quest'ultimo pianse in modo
disperato fino ad ammalarsi, e nella sua malattia non
chiedeva nient'altro che il vaso, il vaso. I fratelli si
meravigarono di quella ostinazione e la curiosità
vinse, facendo svuotare il vaso. Vi trovarono Lorenzo,
o almeno ciò che di lui era rimasto. I fratelli, temendo
che l'assassinio si venisse a sapere in giro,
dissotterrarono nuovamente la testa, per poi uscire da
Messina e trasferirsi a Napoli. La sorella, non
smettendo di piangere e chiedendo il suo vaso, morì
tra le lacrime. Ben presto ciò che era successo si venne
a sapere e ci fu qualcuno che scrisse una canzone:
"Qual esso fu lo malo cristiano, che mi furò la grasta".

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