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istorie

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©2018, Il Canneto Editore s.r.l.

Camilla Salvago Raggi


via di Canneto il Lungo 37/8, Genova
www.cannetoeditore.it

Progetto grafico Paroledavendere


Art direction Milena Lombardo
DONNA DI PASSIONE

Prima edizione:
Viennepierre, Milano 2007

ISBN 978-88-99567-35-4
Strada Nuova, oggi via Garibaldi, un lontano giorno d’aprile.
Nel cortile di palazzo Lercari il selciato ha un lucci­chio
come di pioggia: quella notte, infatti, ha piovuto.
Anni e anni prima – quando col marito era venuta ad abi­
tare in quel palazzo – Nina si era affacciata dal­la sua finestra e
aveva guardato giù.
«Un bel salto», aveva pensato.
Ma era stato un pensiero spassionato, una conside­razione
– quanti metri? dieci? venti? – tutto somma­to oziosa.
Comunque nessun calcolo nel pensarlo, nessuna premo­
nizione.
Era l’ora, per lei, di ritirarsi.
A letto, soffiato sulla candela, si era raccolta nel buio come
in uno scialle.
Sapeva che nel sonno avrebbe ritrovato Camillo.

***

La notte tra il 23 e il 24 aprile del 1841 Nina quel salto


l’avrebbe compiuto davvero: decisa a farla finita una volta
per sempre.

***

A palazzo Lercari oggi abita un’amica che vado a trovare

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ogni tanto. Entro nel cortile, ai lati un porticato dove la scan­ tile. Per lei, sarebbe stato il terzo tentativo di suicidio. Falliti
sione delle arcate esprime il rigore alessiano e prelude alla no­ i primi due (il veleno sbagliato? la do­se insufficiente?) questo
biltà dello scalone e dei piani superiori. dovette sembrarle il più si­curo. Non pensò “il più indolore”.
Ma per arrivare all’attico prendo l’ascensore. Pensò che tutto, comunque, era preferibile a questa vita.
Tutto, lassù, è chiarità. Muri bianchi, porte bian­che: un cal­ O forse non pensò a niente.
do odore di vernice. Spalancò la finestra e si buttò.
Fra un momento la porta si aprirà, vedrò l’amica farmisi
incontro, sentirò la sua voce festosa. ***
In salotto, altre amiche, un calice di bianco e stuzzi­chini.
Tutto qui dentro mi è familiare, eppure ogni vol­ta mi incanto Cosa si prova, al momento dello schianto?
di fronte al lampasso blu argento del di­vano, agli specchi del Forse un’esplosione di luce, un bagliore... Un fra­stuono
trumeau. Alle foto dei nipotini. assordante: e per un attimo suono e luce de­vono coprire il
Sarà una rimpatriata, e solo dopo aver salutato le amiche dolore.
ed essermi ritrovata dabbasso penserò che lì, in quel cortile, si Ma poi, chissà?... Nessuno che non l’abbia prova­to sulla
era sfracellata Nina, ovvero Anna Giustiniani Schiaffino. propria pelle può dirlo. Né quello, né i pen­sieri – ammesso
Lo penserò, e la vedrò scavalcare il davanzale della fine­ che Nina ne abbia avuti – che si pen­sano tra la vita e la morte.
stra, lanciarsi nel vuoto. Eppure, nella sua agonia, qualcosa Anna deve aver pen­
... Chissà se avrà visto le pietre del cortile, o se in­vece si sato. E detto. Poche, rotte parole. Per esempio, per chiedere
sarà buttata a occhi chiusi – per non voler guardare in faccia un sacerdote.
la morte?... «Appelez le prètre, qu’il me fasse mourir...».
Che d’altronde – malauguratamente – non venne. Non Perché la facesse morire in grazia di Dio?...
subito, almeno. Dunque un soprassalto di coscienza, il bisogno di chiedere
Infatti, soccorsa e trasportata nel suo letto, le sa­rebbe toc­ perdono.
cata una lunga, dolorosissima agonia. Chiese, ed ebbe comunque i sacramenti; e la presen­za, in­
«Que ne puis-je mourir...», fu udita mormorare nei brevi in­ torno al suo letto, degli amici più cari: le due Te­rese (Sauli e
tervalli di lucidità. Doria), il Crocco, il Prasca, Carlo Pareto, Bianca Rebizzo: stra­
namente non il marito di questa, Lazzaro, assente da Genova:
*** proprio lui che, per il pas­sato, già due volte l’aveva salvata da
un tentativo di sui­cidio. Insomma gli amici “carbonari”, o in
Undici metri dalla finestra dell’attico al lastricato del cor­ sospetto di Carboneria, gli irriducibili avversari del Piemonte:

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“re­probi” agli occhi dei genovesi ancien régime che – sia pure ovviamente lezioni di economia do­mestica. Certo sua madre
obtorto collo – avevano finito per accettare l’an­nessione. doveva aver fatto tesoro dei precetti di Fénélon: «La pro-
Amici che avrebbero voluto onorare degnamente le sue preté, l’ordre et le soin sont une des bases de la véritable économie:
spoglie, e che invece si erano trovati di fronte al rifiuto del ne souffrez rien de sale ni de dérangé...». «Avez-vous besoin d’une
marito. Secco, irrevocabile. chose, vous ne perdrez jamais un moment à la chercher – vous mettez
Per lui, Stefano Giustiniani, Anna non era degna di essere d’abord la main dessus, et quand vous vous en êtes servis, vous la re-
accolta nella tomba di famiglia. mettez sur le champ dans la place où vous l’avez prise». Insomma,
ogni cosa al suo posto, e un posto per ogni cosa.
*** Una futura padrona di casa doveva conoscere que­ste re­
gole. Ed era giusto che Anna bambina sapesse quel che l’a­
Nel palazzo di fronte, il palazzo Doria (quando si dice il spettava: una casa da gestire, un marito, dei figli, un adeguato
destino!...), Anna aveva trascorso l’adolescen­za: da quando la numero di servitori. E un salot­to per ricevere gli amici: come
famiglia si era trasferita a Genova a quando era andata sposa al quello, appunto, dei suoi genitori.
marchese Stefano Giusti­niani. A Parigi il salotto di casa Corvetto era frequentato da per­
Prima abitava a Parigi coi genitori Schiaffino e il nonno sone importanti, vi si parlava di politica, di eco­nomia, di libri,
materno, Luigi Corvetto, economista e Consi­gliere di Stato di spettacoli... Anna sedeva in un an­golo, quieta – un topoli­
prima di Napoleone, poi di Luigi XVIII. Il padre, Giuseppe no –, irretita dal fascino della conversazione, e un poco, certo,
Schiaffino, aveva anche lui la cittadinanza francese. Barone dal lato spettacolare dell’evento, le toilette delle signore, le loro
di recente nomina, era stato mandato a Genova con la cari­ acconcia­ture, i domestici in polpe che ne annunciavano via via
ca di Console Generale di Francia. Corvetto aveva due figlie l’ingresso. «Le domestique doit les annoncer tout haut et succéssive-
femmi­ ne, Maddalena, sposata appunto con lo Schiaffino, ment vous ne laisserez jamais entrer un in­vité sans le saluer, et sans lui
Anna, sposata Littardi. Entrambe avevano seguito il padre in témoigner immédiatement que vous l’avez aperçu...».
Francia: e per Anna-Nina, Parigi fu un’esperienza indimen­ Ma era la componente intellettuale ad attirarla di più.
ticabile. Quella casa in Rue des Moulins... Le viuzze tortuo­ Un giorno, pensava, anche lei avrebbe avuto un sa­lotto:
se, il selciato nero di pioggia, le carrozze e il suono delle loro avrebbe sorriso, conversato, parlato di libri e di politica, bril­
ruote sui ciottoli, frago­re, stridore... L’immagine di quei fiacre lato per il suo spirito e per la sua conver­sazione. Una signora
sarebbe ri­masta nel cuore di Anna, ricordo di un’infanzia fe­ coltivata appunto: o – se voglia­mo – una bas-bleu.
lice, figure la popolavano di istitutrici, di istitutori, il gran­de E l’avrebbe avuto, quel salotto: dopo il matrimo­nio, nel
pianoforte nell’angolo del salone, gli esercizi quo­tidiani – le palazzo di piazza San Siro dove la coppia andò ad abitare:
sonatine di Clementi, di Diabelli, forse di Rossini... E poi finché venne il giorno – fatale per Anna – in cui il marchese

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Stefano decise di trasferirsi a palazzo Lercari. Un trasloco di Tra le vecchie foto di famiglia ce n’è una di Cavour – car­
poche centinaia di metri: ma non è questo il punto. È la chiu­ toncino color seppia dagli angoli stondati – con i famosi oc­
sura del cer­chio: la coincidenza. chialini e la barba a collare: e questa po­trebbe essere la prova
Strada Nuova come prima ed ultima tappa di una vita se­ di un rapporto fra loro quanto meno formale.
gnata dalla mala sorte. Ma Gio Batta non era figlio unico, aveva un nugo­lo di
fratelli e sorelle; e tra queste c’era quell’Eugenia, sposata
*** Pallavicino, che, se non conobbe Cavour, co­nobbe – è com­
provato – Anna Giustiniani.
Anni e anni fa scrissi una storia su Campale e i suoi abitan­ Il marito di lei, Ignazio Pallavicino, persona già di spicco
ti, intitolandola Il Noce di Cavour. nella Genova di Carlo Felice (sarebbe diventa­to Senatore nel
Infatti nel giardino di Campale c’era (c’è, a tutt’oggi) un ’48), era ligio alla monarchia, in con­trasto con la moglie, donna
noce d’india detto “il Noce di Cavour”: e mi sembrava un inquieta, capricciosa, in­sofferente di ogni costrizione (anche
bel titolo. coniugale: ma questa è un’altra storia), con simpatie per Maz­
Cosa c’entrasse Cavour con quella pianta non so: anzi, cre­ zini e la Carboneria che non si curava di nascondere.
do che non c’entrasse per niente; a meno che il pro-pro zio Che, anzi, ostentava.
Gio Batta Raggi di cui raccontavo la storia non avesse cono­ Anna ne parla nelle sue lettere; e nella storia della Geno­
sciuto Cavour a Torino, e addirit­tura – perché no? – l’avesse va post-Restaurazione quel gruppo di signore di idee molto
avuto ospite a Campale. avanzate – progressiste si direbbe oggi –, spesso in contrasto
Una partita a boccette, un sigaro, un bicchierino di grappa... con quelle dei loro mariti, è citato anche dagli storici.
Me lo vedo lui, Gio Batta, nelle vesti di gentiluomo di C’era Teresa Doria, c’erano Laura e Fanny Di Ne­gro, c’e­
campagna, far gli onori di casa all’amico, anche lui gentiluo­ ra, appunto, Anna Giustiniani.
mo di campagna – prima a Grinzane poi a Leri, in Lomelli­ Un gruppo che, quelle idee, non si curava di na­sconderle:
na – ranocchie e risaie, e queste ulti­me da percorrere con un mosso sicuramente da amor patrio, ma forse, anche, da un piz­
cappellaccio di paglia in te­sta, lavori da seguire, iniziative da zico di snobismo – come oggi, in quella parte dell’aristocrazia
imporre più che proporre, per fare di Leri una tenuta modello. e dell’alta borghesia con simpatie a sinistra che non a caso vie­
E vedo Felicina, moglie di Gio Batta, felice dell’occasione ne definita radical-chic.
di poter sfoggiare per l’ospite il vasellame e l’argenteria più Fatto è che nei loro salotti si faceva, senza troppo pericolo,
preziosa: di cui in paese si sarebbe sicuramente parlato; dif­ la fronda.
fondendosi non solo sulla splendidezza dell’apparecchiatu­ Ci si schierava contro Carlo Felice, al punto di non farsi
ra ma delle portate. trovare a Genova quando si sapeva del suo arri­vo: si trasgre­

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diva all’ordine di vestirsi a lutto quando il Sovrano morì, e agio. Console di Francia, e con una fedeltà a tutta prova: tant’è
addirittura si andava a teatro ostentando toilette coloratissime: vero che alla caduta di Carlo X, essendosi rifiu­tato di togliere la
l’Eugenia, per questa bravata, si guadagnò un ammonimento bandiera dei Borboni per sostituirla con quella degli Orléans,
dal Governatore. venne destituito dalla carica.
Solo alla fine degli anni Quaranta l’avversione dì queste Il suocero, Luigi Corvetto, fu una gloria per Geno­va: tant’è
signore per la monarchia si stemperò un pochino; mutati i vero che gli fu dedicata una piazza.
tempi e soprattutto mutato, nei confronti di Genova, l’atteg­ Avvocato dei poveri, direttore del Banco di San Giorgio,
giamento del Sovrano. infine mediatore presso Massena durante l’assedio di Geno­
Prova ne sia che in occasione dell’annunciata visita di va: per salvare il salvabile, anche se non fu gran che. In tutte
Carlo Alberto (disdetta poi per motivi di salute) quelle stesse le occasioni diede prova di grande equilibrio: rispettoso del
signore si diedero un gran daffare a preparare bandierine di vecchio ordinamen­to ma disposto ad accettare il nuovo, pur­
carta per festeggiare il Re al suo ingresso a teatro. ché non por­tasse alla città ulteriori rovine o spargimento di
Questa digressione ci ha portato lontano, ma mi è servita san­gue. Mai c’erano state sul suo conto critiche o denun­ce
per chiarirmi il nesso tra la famiglia Raggi – nel­la fattispecie anonime nei cosiddetti “biglietti di calice”.
Eugenia – e Anna Giustiniani: e quindi – sia pure indiretta­ Certo la sua opera di mediazione con i francesi non poteva
mente – con Cavour. non aver suscitato invidie, maldicen­ze. Ne suscitò in partico­
lare in un tale Luigi Serra, ex olivetano, poeta satirico, che ol­
*** tre a definirlo «ligure piagnucoloso coccodrillo» gli dedicò un
poemetto bilioso, che merita di essere, almeno in parte, citato:
Nel palazzo di Strada Nuova, insieme al genero Schiaffi­ «Corvetto ognor mellifluo / è un fiorellin di mag­gio / can­
no, abitava, come ho detto, Luigi Corvetto, padre di Madda­ giante, carezzevole / che agli altri sopra sta... / sempre a pro­
lena Schiaffino, dunque nonno di Anna. metter facile / e a mantener diffi­cile / fa bella con le lagrime /
Un palazzo tanto nobile quanto austero: nella fac­ciata, di­ la sua mobilità...». Poe­metto che non fu apprezzato come spe­
segnata dal Rubens quando fu a Genova, pos­siamo cogliere rava: tant’è, la soddisfazione di avergli dato del voltagabbana
quell’austerità. Ma all’interno saloni af­frescati, stucchi, marmi (per aver seguito Napoleone a Parigi) fu grande. Già: per­ché
rivelavano lo sfarzo che si ad­diceva alla dimora di un Console, quando Napoleone venne a Genova, volendo cir­condarsi di
quale era appunto lo Schiaffino. Le persone avrebbero sostato personaggi eccellenti, sia piemontesi che liguri, la sua scel­
sulla soglia prima di essere intro­dotte: lui, dietro un’elegante ta era caduta appunto sul Corvetto, cittadino integerrimo a
scrivania (palissandro, fregi e dorature) avrebbe avuto un gesto detta di tutti, oltre che stimato economista. E fu una scelta
largo nell’al­zarsi, inteso – ma non sempre – a metterli a loro saggia, perché in breve tempo Corvetto riuscì a risanare le

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disastrate finanze dell’Impero, guadagnandosi il titolo di “li­ A Genova dunque la vita di Anna, o Nina, si svolse tra
quidatore finanziario della Rivoluzione”. In segno di gratitudi­ Strada Nuova e piazza San Siro: e precisamente al primo pia­
ne Napoleone lo insignì di importanti onorificenze e – last but not no di palazzo De Mari, quello con la chiesa di fronte.
least – gli fece dono di una tabacchiera di diamanti che alla Due monumenti uno di faccia all’altro; uno dal pro­spetto
piccola Nina dovette far effetto più che non tutto quel me­ neoclassico (del Barabino), l’altro alessiano.
dagliere. San Siro era la parrocchia di Anna, che però la fre­quentava
La quale Nina comunque aveva l’Imperatore in gran con­ poco. Una chiesa così grande; tre navate, co­lonne binate, vòlte
cetto: e certo non sarà stata la sola ragazzina del suo tempo a affrescate (e pare che gli affreschi fossero di pregio: lei, alzan­
subirne il carisma. do gli occhi, li trovava trop­po scuri) e poi il calore dei ceri e gli
Alla sua caduta Corvetto pensò di ritirarsi a Geno­va, ma effluvi dell’incen­so le davano – diceva – il mal di testa. Sof­
Luigi XVIII lo pregò di restare: nominato Consigliere di Sta­ friva infatti di ricorrenti, atroci emicranie: con una pezzuola
to, e apprezzato dal Sovrano come lo era stato dall’Imperatore, ba­gnata sulla fronte si coricava sul letto, e vi giaceva a oc­chi
Corvetto si lasciò convin­cere e restò a Parigi finché la vecchia­ chiusi, incapace di sfuggire ai colpi coi quali ogni oggetto in­
ia, e la nostalgia, lo indussero a tornare in patria. torno a lei sembrava percuotere la sua testa.
Visse i suoi ultimi anni nel palazzo Doria, in una so­litudine Religiosa dunque: ma poco praticante.
ricca però di pensieri e di letture. Di riletture soprattutto: gli Pure, pregava. La sera, prima di coricarsi: dopo che Ade­
autori dei suoi anni giovanili rivisitati a distanza di anni e ri­ le l’aveva aiutata a svestirsi, aveva acceso il lu­mino sotto la
assaporati con in più l’emozione (la sorpresa?) di ritrovarvi l’a­ veilleuse, tirato le cortine del letto. Allo­ra – Je vous salue Marie,
dolescente che era stato e gli ideali e i valori che l’avevano ac­ pieine de gràce... In francese naturalmente, la lingua della sua
compagnato per tutta la vita. «Invecchiando si torna giovani», infanzia, quella che parlava a Parigi ma anche qui, perché a
era so­lito dire. Genova o si parlava francese, o il dialetto. II dialetto, in ge­
«O somma luce...» furono le sue ultime parole: e la cita­ nere in famiglia. E il francese in società, ma anche nella corri­
zione agì su Nina come uno stimolo a fare della Commedia il spondenza: il carteggio tra lei e Camillo è infatti in francese.
suo livre de chevet. La amò, perché lui l’aveva amata: leggerla Oltretutto, lui l’italiano lo masticava male, si capiva che non
le restituiva la sua figura un po’ curva di vecchio, in pantofole era la sua lingua, anche il suo diario era scritto in francese. (Ve­
e papalina. E il tem­po che, sia a Genova che a Parigi, le aveva dremo poi come alla fine della loro relazione lei gli scrivesse
sempre de­dicato. un’intera lettera in genovese: quasi per riaffermare una forma
di intimità tra loro che richiedeva l’uso del dialetto).
*** Pregava, sì. Un biografo – diciamo meglio, un agiografo –
le attribuisce addirittura “un’ardente fede re­ligiosa”.

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Ardente, passi: l’ardore era una sua caratteristica; quanto a Già allora, ancora adolescente, c’era in lei qualcosa di emo­
fede, ci andrei piano, o meglio, parlerei di una fede sui generis, tivamente fragile, una tendenza a passare da eccessi di de­
che riusciva a conciliare il sacro col profano, come quando, or­ pressione ad altri di euforia. In famiglia dicevano «sarà lo svi­
mai nel pieno della sua relazione con Cavour, l’avrebbe chia­ luppo»: e maman scuoteva il ca­po, perché non era persuasa...
mato il suo «Dio visibile in terra», con la sicurezza di ricon­ Purtroppo il maschio desiderato non era venuto, Anna era
giungersi a lui nell’aldilà: e nello stesso tempo non si sarebbe figlia unica, e logicamente i genitori esigeva­no molto da lei. Si
fatta scrupolo di rendere cocu il marito senza l’ombra di un ri­ sarebbe detto che Maddalena, o Manin, come veniva chiama­
morso, anzi con una disinvoltura che ci lascia — con­siderando ta, non le perdonasse di non essere il maschio desiderato. Che
il tipo di donna – francamente perplessi. gliene volesse di questo. Era una donna dura, Manin, dal viso
ossu­to e la parola che colpiva come una freccia quando voleva
*** ferire qualcuno. Perché?... avrebbe voluto chiederle Nina.
Arrivata all’età in cui ci si aspetta che una ragazza si sposi, i
Ci fu poi per Anna la casa di Polànesi, sopra Recco, dove suoi avevano sperato in un matrimonio ade­guato.
gli Schiaffino andavano in villeggiatura. Situata a mezza costa Avevano messo gli occhi su un Sauli (che avrebbe poi
della collina sopra Recco, vi si arrivava a piedi o a dorso di sposato una cugina), ma Nina era un “bastian con­trario”,
mulo: un luogo arioso, “fasce” di olivi dalle foglie d’argento, e volle fare di testa sua. Non si capisce, alla lu­ce dei fatti,
piante di nespolo e di fico: arioso e libero, con gradoni di pie­ perché la sua scelta sia caduta proprio su Stefano Giusti­
tra tra una “fascia” e l’altra. Nina saliva, scendeva, la gonna niani. Il marchese Stefano era l’ultima persona con la quale
sollevata, i capelli che sfuggivano alla reticella e il leggero an­ Anna avrebbe potuto andar d’accordo, e difatti il matrimo­
sito che viene dalla fretta e dalla salita. Fretta poi di che cosa? nio (malgrado i tre figli) si rivelò subito un disastro. Social­
A casa l’aspettavano, ma nessuno era in ansia. Suo se mai, mente parlando sì, bisogna dire che sposare un uomo come
dopo aver respirato sorsate di libertà, il desi­derio di tornare il Giustinia­ni, marchese di Chio, gentiluomo di Camera di
dai suoi. Da papà, per quell’armonia che c’era tra loro, e così Carlo Felice – un uomo che certamente le avrebbe dato un
presto destinata a spezzarsi. Mon petit chou. Ma soprattutto posto di spicco in società, non inferiore a quello di suo non­
da maman, abbando­narsi su quel seno così compresso dai no Corvetto e certo superiore a quello di suo pa­dre – barone
corsetti-corpet­ti da sembrare un tutto unico sotto la stoffa tesa sì, ma di una nobiltà troppo recente, e per qualcuno a Geno­
del vestito... va forse considerato un parvenu – dovette apparirle un salto
Ah poter restare tutta la vita così, godere di quell’affetto di qualità. Ma non risulta che Anna fosse particolarmente
che l’avvolgeva e la scaldava: ignara di quan­to poco ancora le ambiziosa, o desidero­sa di figurare in società.
sarebbe stato dato di goderne... Vero, le piaceva essere corteggiata. Aveva avuto – e forse

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aveva ancora – una piccola storia con un certo Pareto, cugino braccio mentre le passava accanto. Sfiorarle l’orecchio con un
del più celebre Lorenzo; ma le due co­se, secondo lei, pote­ bacio. E, se riusciva ad appartarsi con lei, stringersela al petto
vano coesistere: e comunque (perché Pareto non era stato il fino a toglierle il respiro. Ma aveva occhi da esaltato: Anna si
solo, c’era stato anche un inglese, un certo Hutchinson, e altri divincolava, ridendo, però un poco ne era spaventata. (Quel
non meglio identificati) la cosa finiva lì. Non avrebbe permes­ suo rametto di follia l’a­vrebbe spinto poi, alla morte di Anna,
so che si spingesse oltre. Ma il senso di potere che le da­va, a girovagare per il mondo per poi, vent’anni più tardi, finire i
esaltante come un’ubriacatura – ah, a quello non avrebbe ri­ suoi giorni a Neully-sur-mer, in una casa di salute: sul petto
nunciato per tutto l’oro del mondo. gli fu trovato un medaglione con una ciocca di capelli biondi,
Con Camillo fu diverso. evidentemente carpito – o ricevuto – da lei.)
Fu lui a incominciare: vero. Finché un giorno, nel salotto di piazza San Siro, era entrato
Ma lei lo incoraggiò, trasformando quella badinerie salot­ Camillo.
tiera in qualcosa destinato a sconvolgere la vita di entrambi. Si era trattato, in apparenza, di una serata come tante – nei
Soprattutto la sua. saloni tutte le luci accese, le lampade d’o­paline, i candelieri:
in più, benché fosse aprile, un fuoco nel caminetto: ad Anna
*** non piaceva il caminet­to senza fuoco e, per combinazione, il
parafuoco di carta dipinta che lo riparava quando era spento si
Nel salotto di Anna si faceva cultura, politica so­prattutto, era strappato e non si era trovato di che sostituirlo.
ma con cautela: far politica comportava una certa qual aura di Nina l’aveva notato subito. Un viso nuovo, non bello, ma
clandestinità – frasi interrotte da un sorriso, cambiamenti di amabile – come l’avrà definito fra sé vedendo­selo davanti?
tono, l’inarcare di un sopracciglio come a dire – prudenza – Charmant? Joli? Propendo per joli, si addice meglio a quel
all’avvicinarsi di qualcuno. che di fanciullesco nei suoi trat­ti, di ridente, di malizioso. Il
Ma quell’aura era congeniale ad Anna. Il pericolo la ecci­ richiamo che emanava da lui era così forte che Anna dovette
tava, era come quando a Polànesi camminava in cresta ad uno portarsi la ma­no sul cuore, tanto le batteva. Era abituata a quei
di quei muretti, un piede dopo l’altro e le braccia allargate per sal­ti, era il disturbo di cui soffriva. Ma questa volta ave­vano un
mantenere l’equilibrio. motivo. Lui, quel ragazzone in divisa, un po’ goffo. Stava sulla
A Parigi aveva imparato molte cose, e non vedeva l’ora di porta guardandosi in giro: con l’e­spressione – curiosa – di chi
metterle in pratica. Ma come? Con chi? si chiede dove sia capita­to. «Tra amici», avrebbe voluto dirgli.
C’era stato appunto quel Pareto – Carlin Pareto, bellissimo «È sempre, il mio salotto, aperto agli amici», avrebbe voluto
giovane, abile spadaccino, conteso dalle signore. Il quale più ag­giungere. Perché qualcosa era passata tra lui e lei – un che
che alla politica sembrava inte­ressato a lei. Poterle stringere il di connivente, di complice. Un “so come la pensi perché è

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quello che penso anch’io”. labbra sulla mano che gli veniva tesa.
Strano: in fondo cosa sapeva di lui? Un piemonte­se: un uf­ Sì, domani sarebbe tornato: anche se lei non gliel’avesse
ficialetto del Genio, acquartierato a Porta dell’Arco. Avrebbe chiesto.
dovuto aborrirne l’uniforme; ma qualcosa le diceva che anche
lui la indossava malvo­lentieri. ***
Tant’è vero che non avrebbe tardato molto a sve­stirla.
Gliel’avevano detto: «È una donna pericolosa, un’esaltata.
*** Stanne alla larga».
Ma Camillo non crede al pericolo, Nina lo guarda, e lui
Era una divisa di panno turchino, spalline rosse, bottoni non riesce a staccare gli occhi dai suoi.
di metallo. È bella Nina, il suo viso ha il nitore di un cammeo; e quella
A Camillo la giubba tirava un po’ sulla pancia – non che prima sera gli venne incontro come si va in­contro a qualcuno
fosse proprio pingue, ma con la tendenza a diventarlo. che si aspettava da tempo.
Quando era invitato arraffava nei vassoi come per togliersi Come a un amico: più tardi gli venne di pensare “a un
una fame arretrata. Vero che in caserma il vitto lasciava a desi­ complice”.
derare. A Genova si era aspettato di mangiare molto pesce, in Perché era così (ma anche questo dovette pensarlo più tar­
realtà il pesce appariva raramente in tavola. di) che lei lo voleva. Complice: non di una con­giura, ma di un
Ma in città le strade erano piene di effluvi, di sapo­ri, sulle pensiero, di un sentire comune: di quel bisogno di libertà (di
cantonate donne vendevano farinata nelle te­glie stagnate, dai riscatto?) che le faceva tra­scurare ogni prudenza.
trippai veniva l’odore delle trippe appese come brandelli di Ma come aveva fatto lei, in quell’incrocio di saluti, di
stracci bagnati. sguardi, ad aver capito che lui poteva esserle com­plice?...
A Camillo splendevano gli occhi, quei cibi poveri ma gu­ Lui, un piemontese – dunque per molti, in quello stesso
stosi lo stuzzicavano più dei biscotti o delle tar­tine nei salotti salotto, un nemico?...
dove veniva invitato per una partita di goffo o di whist. Perché questo era, per tanti genovesi, il Piemonte.
Per lo più salotti di banchieri svizzeri, come i De la Rüe: Il nemico che se li era annessi, e non contento di es­serseli
per lui, più svizzero che italiano, come vecchi parenti. annessi pretendeva di ottenerne gratitudine, consensi, batti­
E tuttavia, dopo che ebbe cominciato a frequenta­re il salot­ mani.
to Giustiniani, i De la Rüe persero molte del­le loro attrattive. Una Genova ostile, dunque.
«Vous reviendrez nous voir demain?», diceva Anna con uno Ma lui, che colpa ne aveva?...
sguardo come una carezza. Camillo allora in­dugiava con le Non era certo venuto a Genova di sua volontà.

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Lui veniva da Torino, era abituato alle sue strade diritte, ferito una partita di whist...
alle sue piazze, ai suoi crocevia. Una città do­ve tutto appariva Anche lui, Camillo, l’avrebbe preferito, ma gli oc­chi di
frutto di un calcolo, di uno studio tracciato a tavolino: poca Anna gli avevano intimato di restar dov’era: docile, Camillo
fantasia ma precisione fin nei minimi dettagli. E noia. Ah, una aveva obbedito.
noia mortale. Avrebbe potuto essere un innocuo divertissement, un’av­
Genova invece – no, Genova non obbediva a nes­suna re­ ventura per rifarsi delle ore morte passate nella caserma di
gola, era storta, imprevedibile, segreta. Le sue non erano stra­ Porta dell’Arco.
de ma budella avvitate su se stesse, camminamenti, fessure. Invece per lui sarebbe diventato molto di più – e di peggio.
Piazza San Siro, dove stava Anna, era uno slargo più che Se solo avesse potuto tirarsene fuori in tempo.
una piazza, ma tant’è – così erano le piazze a Genova, aperture
asimmetriche, casuali tra quegli edifici addossati gli uni agli ***
altri, dei quali solo a fati­ca si percepiva la bellezza.
Sì, forse palazzo De Mari faceva eccezione perché sorge­ Quando voleva essere elegante Anna si avvolgeva in uno
va in uno di quei rari slarghi con la chiesa da­vanti; e senza scialle di cachemire. Sua madre gliene aveva regalato di bel­
bisogno di torcere il collo lo si scorgeva tutto, dal portale allo lissimi, comprati naturalmente a Pari­gi. «Monsieur Ternaux
spiovente del tetto. possède le plus beau magazin de châles. Il n’est pas une femme comme
Maestoso, aveva pensato Camillo la prima volta. Anche lo il faut qui ne connaisse par expérience la beauté de ses cachemires
scalone che si dipartiva dall’atrio era mae­stoso, i suoi gradini français».
bassi, di marmo, un invito a salir­li di corsa. L’esotismo era di moda: nel suo ritratto (l’unico che co­
E così aveva fatto. nosciamo) vediamo Anna sfoggiare un turban­te multicolore
Correndo per il gusto di correre, per la curiosità – una don­ fermato da una broche rotonda: la stof­fa del turbante fluisce
na chiacchierata, una mazziniana. morbida intorno al capo ac­compagnando le due bande di ca­
Chissà perché se l’era immaginata brutta. Una don­na bella pelli neri e confon­dendosi con il drappeggio del peplo (rosso
raramente è anche intelligente, l’intelligenza deve poter sup­ questo: seta bordata d’oro).
plire alla bellezza, o comunque farla passare in secondo piano. È un ritratto che, a una prima occhiata, ci sa di déja vu
E invece... (Madame de Staël, Cristina di Belgioioso, l’Impe­ratrice Eu­
Una lunga galleria coperta conduceva nel salotto. Arazzi, genia... tante sono le dame del primo Otto­cento che ci fa
divani, velluti, porcellane. Del gusto di Anna c’erano, in una venire in mente...).
vetrina, piatti della Compagnia delle Indie. In un salottino at­ La posa è languida, trasognata: siede all’organo, con la
tiguo, tavolini da gioco per chi alla conversazione avesse pre­ mano destra che sembra scorrerne i tasti e l’al­tra, che più

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che sorreggere il mento, lo sfiora; lo sguardo perso non ha A quel periodo turbolento era seguito un periodo di studio
espressione. Tutto vi è come so­speso: il gesto della mano, la finalmente intrapreso con serietà: ottimi i ri­sultati degli esa­
musica, l’ascolto. mi; infine, come premio per la sua buona condotta, il servizio
E tuttavia la piega di sorriso che le stira le labbra non ci come paggio a Corte...
trae in inganno: è il ritratto di una donna che pensa cose tristi, Onore che però Camillo non sembrò apprezzare. Aveva
tristemente perduta in quel pensiero. trovato imbarazzante, persino umiliante, la divisa impostagli,
definita da lui «da lacchè»; e che era comunque una divisa da
*** sottoposto anche se non pro­priamente da lacchè.
Sì, insomma, al giovane Camillo l’idea di farsi vede­re in
Insubordinato, insofferente di ogni forma di disci­plina: pubblico in una carrozza, sia pure reale, sia pure del principe
questo era stato Camillo fin dall’infanzia. di Carignano, ma a fianco del cocchiere, non andava giù.
Uno di quei bambini saccenti: che vogliono essere sempre Era un uomo libero; diciamo pure un ragazzo libe­ro, non
al centro dell’attenzione. Che interrompono chi parla, e quan­ un suddito a servizio di un sovrano.
do son loro a parlare, lo fanno a van­vera. Paroloni, spropositi. In quella livrea rossa, avrebbe detto in seguito, «mi sentivo
E intorno alla bocca gli si formano quelle bollicine che vengo­ come un gambero».
no dalla foga del troppo dire. Non lo raccontò ad Anna però, anche se forse, da altri, la
Grassoccio per di più, un bamboccione – per le zie ado­ storia era già giunta alle sue orecchie.
ranti, un cherubino – con fossette alle guance e carni tenere, Perché gliela tacque?... Anna ne avrebbe riso, e a lui non
burrose. piaceva essere ridicolizzato: men che meno da Anna.
E già si poteva intuire quel che sarebbe stato da adulto,
curioso, godereccio, vorace: in fatto di cibo come di donne. ***
A dieci anni era stato iscritto all’Accademia, e si era com­
portato da allievo tutt’altro che modello. Non aveva voglia di Il palazzo di piazza San Siro non aveva di per sé niente
studiare, era pigro, si attirava rimpro­veri e note di biasimo dai di molto speciale. Saloni salette finestre che guardavano sulla
maestri. piazza. L’arredo, un accessorio, mai un protagonista. C’erano
Un’adolescenza difficile: contrasti in famiglia, la sua con­ mobili vecchi, altri nuovi. Si può viverci in mezzo (Anna ci
dizione di cadetto sofferta malgrado l’affetto che portava al viveva) senza prestar loro attenzione.
fratello Gustavo. Poi, d’un tratto – strano come d’un tratto tutto possa
Il suo difetto più grave, la presunzione – il non vo­ler essere cambiare.
secondo a nessuno. Nel salotto c’è stato Camillo. Ecco allora che i sofà, le pol­

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trone che l’arredavano si erano come impregna­ti della sua
presenza. Su quello sgabello si era seduto un momento – il ***
tessuto ne conservava l’impronta. Lì, contro il marmo del ca­
mino aveva appoggiato il go­mito. Con quel tagliacarte aveva Stefano Giustiniani aveva un viso piatto, inespressi­vo: o
giocato passandose­lo da una mano all’altra... meglio (ho visto il suo ritratto) un’espressione l’aveva, ma
«Sei rossa! Hai la febbre?», le chiede Stefano sor­ fredda, leggermente ironica: sapendo quello che si sa di lui e
prendendola in quel suo vagare di salotto in salotto senza uno del suo modo di comportarsi, direi spietata.
scopo apparente: e, si suppone, con un sor­riso sulle labbra. Ma del “lui” dopo che scoppiò lo scandalo: di quello pri­
Ma Anna è troppo eccitata per raccogliere. ma, posso solo dire che passava per un uo­mo posato, di poche
«... No, ma che febbre!...». parole; compreso della sua cari­ca a Corte, delle sue proprietà,
E ride, avesse avuto accanto un’amica, di quelle fi­date, della considerazione in cui era tenuto a Genova. Non gli si
la Durazzo o la Doria, meglio ancora sua cugina Littardi – le conoscevano avventure con signore della buona società, ben­
avrebbe raccontato tutto, innamorata persa com’è di Camillo sì con donnine di malaffare, verso le quali, per altro, non era
e felice – mai avrebbe credu­to di poterlo essere dopo l’infelice molto generoso.
esperienza del suo matrimonio. Forse non era il tipo di uomo che avrebbe dovuto sposarsi;
Anni che avrebbe definito, scrivendo appunto a una di o per lo meno, non con una donna come Nina. La donna giu­
loro, d’inferno. Mai, mai un momento di sere­nità con Stefano. sta per lui sarebbe stata una signora bennata, senza grilli per
Così diversi erano. Lei passionale, impulsiva. Quel suo ridere il capo, capace di badare alla casa e a figurare, o piuttosto a far
a gola spiegata, quell’irrompere nella stanza, spalancare por­ figurare lui, quando riceveva.
te e finestre. Ste­fano doveva provare un gusto cattivo nello Una come sua madre, eccellente donna, risparmiatrice e
spegnerle quegli entusiasmi, nel sogguardarla mentre gli rac­ con le mani d’oro. I suoi rammendi invisibili erano famosi: e
contava qualcosa traendo boccate beffarde dal suo sigarino. questa era forse l’unica cosa che le due donne avevano in co­
Difficile capire cosa passasse per la testa di Stefano Giu­ mune. Anche Anna era esperta nel ricamo: fin da piccola si era
stiniani: cosa veramente provasse per Anna. Cosa l’avrebbe distinta in quell’arte e ricamare la distraeva e distendeva nello
spinto – più tardi – a far valere i suoi diritti di marito, e cosa stesso tempo. Ma dopo che furono sottoposti al suo esame i
– sempre più tardi – ad accettare Camil­lo includendolo in una tendaggi del salotto verde della villa di Voltri perché indovi­
sorta di ambiguo ménage à trois. nasse il punto dove erano stati rammen­dati – la sfida a farne di
Comunque tra Anna e Camillo ancora non c’è sta­to nien­ simili era evidente – istanta­neamente la voglia di tenere l’ago
te, quello che ci sarà comincerà col principio dell’estate: per in mano le passò.
portarla, nel giro di pochi anni, alla fi­nestra di palazzo Lercari. Il fine utilitario di quei rammendi le sembrava un segno di

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grettezza: se un tendaggio era così malanda­to, perché cavar­ di sentirlo parlare. «Raccontatemi, ditemi di voi».
si gli occhi a rammendarlo quando si poteva comprarne uno La sua espressione era tutta un punto interrogativo, una
nuovo?... Genovese, si dice­va. Una parigina – ricordando la richiesta di sempre nuovi dettagli, di cose che la aiutassero
grandiosità di casa Corvetto – non l’avrebbe mai fatto. a penetrare nella sua natura. In qualche modo, a possederlo.
Alla casa comunque Nina mostrava poca attenzione. Non lo avrebbe ammesso (ancora) ma se ne sentiva sem­
Leggeva; sul suo tavolino si ammucchiavano pile di libri, pre più attratta.
leggeva di tutto, romanzi francesi, romanzi in­glesi: e lo faceva Era spiritoso, brillante. Gli piaceva essere sollecita­to, gli
con una foga che sembrava non do­vesse esser mai soddisfatta. piaceva parlare di sé, far parte a qualcuno dei suoi (piccoli)
La sera, prima di coricarsi, ancora leggeva: quando Stefano trionfi, e delle sue (grandi) delusioni.
entrava da lei la trovava con un libro aperto davanti e la cera Perché lui – lo ammetteva ridendoci su – non era uno
della candela che traboccava lungo il gambo del candeliere: il scritturale. Un ufficiale del Genio – cosa gli toc­cava? Opere,
gesto meccanico con cui Nina scalzava con le unghie quelle appunto, di ingegneria. Misurare, far calcoli, disegnare plani­
stalattiti mollicce irritava Stefano più ancora della vista di lei metrie. Aveva passato mesi a Exilles, una noia. Cos’era Exil­
immersa nella let­tura. Tuttavia superava l’irritazione, entrava les?... Si animava allo­ra raccontandoglielo. Una fortezza rasa
e si chiu­deva la porta alle spalle. Erano incontri brevi, dettati al suolo dai francesi alla fine del Settecento, che ora i Savoia
(in lui) da un bisogno fisiologico, subiti (da lei) come un obbli­ si erano messi in mente di ricostruire. Ma a che sco­po?... Ba­
go. Una moglie non può sottrarsi al debito co­niugale. Ma tutto sta, un ufficiale non fa domande, esegue or­dini, e pazienza
si svolgeva in pochi minuti; e nean­che Stefano doveva trarne se sono ordini assurdi. (Curiosità mia, allora, per questa for­
molta soddisfazione. Nina così passiva, così fredda. Come ac­ tezza ristrutturata. È in val di Susa, domina la vallata dall’alto
costarsi a una statua. di un monte impervio; non ci sono mai stata, ne ho solo visto
Nacquero comunque tre figli, uno morto in fasce, gli altri le foto – ripre­se dall’aereo – e i disegni – minuziosissimi – in
due, Teresa e Giuseppe, dati a balia ovviamente: e in seguito, un vo­lume imprestatomi da un nipote che in fatto di for­tezze
affidati a istitutrici o istitutori. sa tutto. Una struttura enorme, grigi bastioni che si articolano
Si sa di loro che si sposarono, che però non ebbero figli. lungo la cresta di un monte e una rampa d’accesso – la Rampa
Si può solo sperare che avessero avuto una vita più felice Reale – che si ar­rampica con una pendenza mozzafiato; sarà
di quella dei loro genitori. stata an­che ai suoi tempi percorsa da muli e da carriaggi, e da
soldati che sacramentavano per la fatica...)
*** Anche di Lesseillon, le racconta – questa venuta dopo
Exilles. Vicina a Modane, è simile ad Exilles per mole e gri­
Quando era con Camillo, Anna non si sarebbe mai stancata giore. Più tetra se possibile: una suc­cessione di terrazzamenti

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sovrapposti che fanno pen­sare a un monastero tibetano; e a Ecco che lui le afferrava una ciocca di capelli, se l’attorceva
me richiamano in mente la fortezza del Deserto dei Tartari, il al dito. «Me la regali?».
tenente Drogo, anche lui in attesa di un nemico che non si «Oh via, via! Ti pare il momento?...».
sa­rebbe mai visto. Nella stanza ombre e luci mutavano perché fuori anche
Anche per Camillo l’attesa dovette essere lunga e snervan­ il cielo mutava, quel mattino sembrava promet­ter pioggia e
te. Non di un nemico nel suo caso ma di un ordine che lo adesso – un sole addirittura estivo. Mag­gio poteva essere così.
destinasse altrove. Perché la vita di for­tezza dovette rappre­ Anna sospirava. Voleva riprendere il discorso rima­sto a
sentare per lui – cito le sue paro­le – l’anticamera dell’inferno; metà. La Francia, l’atteggiamento della Francia... Quello che
ad Anna addirittura avrebbe confessato di aver avuto pensieri di Camillo le piaceva – anche se sul­le prime l’aveva sconcer­
di suicidio. tata – era il suo rivelarsi così poco piemontese. Così – come
... Pensieri di suicidio – oh via...! dire?... Al di sopra di quella mentalità che nel suo ambiente
Anna avrà sorriso, scosso la testa, neanche per scherzo avrà veniva conside­rata ristretta e di corte vedute. Non che i geno­
voluto sentire quelle parole (non imma­ginando quante volte vesi fossero molto diversi, però intorno a lei c’erano persone –
invece sarebbe toccato a lei pro­nunciarle, assaporarle, e final­ fra i giovani almeno – che guardavano in alto, aveva­no proget­
mente metterle in atto). ti, ideali – solo pronunciare il nome di Maz­zini, ad esempio...
Ma l’autostima, che certo non mancava a Camillo, gliele rischioso ma esaltante; e lei e Ca­millo l’avevano fatto, ed era
avrebbe fatte presto rintuzzare: «ma mort produiserait un ex- scoccata tra loro una scintilla di intesa. Carboneria?... Sì, anche
cellent effet sur bien de gens: l’effet moral serait utile au lieu d’être quella parola circolava, con rischio ancora maggiore: gli occhi
misérable. On se rappellerait de moi quelques fois, pour faire une di Anna lo interrogavano, lui rispondeva con un no, ri­luttante
leçon à mes neveux sur les dangers d’un développement trop précoce ma fermo. Lui era un militare: lui aveva giura­to al Re, non
de l’intelligence, de l’amour excessif de l’indépendance, et de l’excès de poteva impegolarsi con dei cospiratori.
vanité...». Qualcuno entrava, un amico, un domestico, biso­gnava es­
ser pronti a cambiar discorso, tono di voce. Anna era bravissi­
*** ma in questo – non si era mai tradi­ta. Scioglieva le sue dita da
quelle di Camillo trasfor­mando un gesto così intimo in uno
A volte lui le sembrava un ragazzino dispettoso. scherzetto di so­cietà: «Avete vinto!... Sì, ma perché ho voluto
Era riuscita a impostare un discorso serio – perché seri era­ la­sciarvi vincere...». E si alzava, inarcava la schiena come fa chi
no i problemi che la occupavano, e non solo lei ma gli amici è stato seduto troppo a lungo. Il domesti­co posava il vassoio
liberali, e lui – ah sì, Anna si illudeva di trovare in lui un orec­ coi bicchieri, e silenzioso com’era entrato, si eclissava. Anna
chio attento. Macché. allora voleva riprendere il discorso interrotto.

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«Ma tu devi far qualcosa, tu ne hai la capacità, il potere...». Alla notizia Camillo, in casa degli amici De la Rüe (secon­
«Quale potere, Nina...!». do alcuni storici invece, in caserma), sarebbe balzato in strada
«Ah perché non ti rendi conto... Uno come te ha un futuro brandendo il tricolore – «Viva la rivoluzione! Viva la repubbli­
davanti che nemmeno ti immagini...». ca! Abbasso i tiranni!».
Prendeva un tono ispirato, profetico: da quando l’aveva Un grido del cuore, l’incontenibile ebbrezza di chi vede
conosciuto Nina l’aveva rivestito di un’aura particolare, di un realizzato un suo sogno. Viva la repubblica... Perché se la
carisma che in qualche modo, a sua stessa insaputa, agiva sugli Francia si sollevava, anche per il Piemon­te poteva schiudersi
altri. un’era nuova. Abbasso i tiran­ni... (avrebbe osato gridare «ab­
In realtà a quel tempo Camillo oscillava tra il dove­re – la basso il Re»? certo no, anche se l’intenzione era implicita). Ti­
lealtà verso il Sovrano, verso suo padre, verso la famiglia – e rannia per lui era la Corte, era chi l’aveva costretto a indossare
il bisogno di liberarsi da quei doveri, e ribellarsi, cambiar vita. la livrea di paggio, a chiudersi a Exilles, a Lesseillon, infine,
Di più: cambiare il mondo. Tutto così obsoleto, a Torino come a proseguire nella carriera militare. Ma chi?... Suo padre, suo
a Genova. E lui qui, militare per caso, perché – in quanto ca­ fratello? Il passato era per lui un guazzabuglio di soprusi, di
detto – non aveva altra scelta. (Quella del Genio, comunque, occasioni mancate, di missioni compiute controvoglia.
l’unica arma in qualche modo compatibile con le sue inclina­ Era, soprattutto, quest’odiata divisa.
zioni.) Ma un ufficiale con quella divisa addosso che si sbracciava
Non voleva compromettersi aderendo alla Carbo­ neria, come uno scalmanato qualsiasi gridando viva la repubblica –
d’accordo, Anna non poteva dargli torto – però il suo sostegno eh no, non andava bene!...
– indiretto sia pure – poteva essere di incoraggiamento agli La polizia già da un pezzo lo teneva d’occhio. Ave­va sco­
affiliati. perto di lui cose non confacenti alla condotta di un ufficiale
O no?... Trepida, Anna sollecitava con lo sguardo una ri­ dello Stato Sardo, e anzi, lo mettevano tra i sospettati di co­
sposta che la lasciasse sperare. spirazione.
Questo non era vero; vero però che si era esposto senza
*** cautele, «dando» – è lui stesso ad ammetterlo – «libero sfogo
alle mie opinioni che, lo confesso, erano molto estreme».
E la risposta non sarebbe tardata. Tutto ciò venne naturalmente riferito a Torino, e gli valse
A provocarla fu la cosiddetta “rivoluzione di lu­glio”: a Pari­ l’arresto, e la reclusione a Fenestrelle: pena que­sta solo minac­
gi tutti in strada, le barricate, le urla, i gendarmi presi a sassate. ciata per fortuna, perché grazie ai buo­ni uffici del Conte padre
Risultato, la fine dei Borbo­ni e l’ascesa di Luigi Filippo sul (Michele Cavour era anche decurione di Carlo Felice) gli ven­
trono di Francia. ne commutata in analoga pena ma nella fortezza di Bard.

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Ma intanto Camillo andava maturando l’idea di la­sciare no: ma restavano sullo sfondo, erano anzi parte essi stessi del­
l’esercito, e questo era il momento di dirlo chiaro. lo sfondo, appiattiti da uno strano – o forse nemmeno tanto
Non ci furono difficoltà: anzi, sembrava che a Tori­no non strano – disinteresse.
si aspettasse altro. Prima di tutto veniva Camillo, un’ossessione che poco a
La risposta del Ministero della Guerra fu un’ironi­ca con­ poco avrebbe invaso ogni particella del suo cervello, oltre che
cessione dell’«implorata dispensa da ogni militar servizio» del suo cuore.
dopo di che l’ironia lasciava il posto a un «non avendo S.M.
stimato di conservargli la Divisa del Corpo cui apparteneva». ***
Una concessione dolce-amara, dunque; che però aveva il
merito di accontentare tutti. Eppure non c’era nulla, in Camillo, dell’eroe ro­mantico.
Solo la situazione in cui lui ed Anna erano venuti a trovarsi
*** rispondeva all’idea di romanticismo imperante: lo si respirava
nell’aria. E Anna ne era come ubriacata.
Nel suo letto, al buio, Nina fantasticava. Lei sì, eroina romantica; lei sì, destinata fin dalla nascita
Si vedeva con Camillo in qualche posto isolato, un Polà- all’infelicità. E tuttavia con una carica di pas­sionalità repressa
nesi tra gli ulivi, qualcosa di molto rustico, per contrastare gli che d’improvviso, all’incontro con lui, avrebbe rotto gli argini
ori e i velluti di piazza San Siro. Ci sarebbe stato un pergolato e si sarebbe riversata su di lui come un torrente in piena.
e lì avrebbe apparecchiato per loro due su un tavolaccio di Ma intanto era morto Carlo Felice e le dimissioni di Ca­
legno, panche di legno e lo stor­mire delle foglie sopra le loro millo subirono un rinvio. Darle mentre saliva al trono Carlo
teste; e sotto di loro il ma­re. Pace, silenzio – oh quanto ne Alberto, il suo nuovo sovrano, sarebbe stato disdicevole.
aveva bisogno! E Camillo, per indisciplinato che fosse, era pur sempre un
E tuttavia tutto questo lo vedeva solo come una pausa, Ca­ aristocratico, dunque rispettoso di certe forme.
millo avrebbe avuto ben altro a cui pensare, sarebbero venuti Per esempio: gli andava bene la caduta di Carlo X, ma che
amici, di Camillo e suoi, anche quel Cassio di cui lui sembra­ si volessero mettere a morte i suoi ministri... Ah no, a quello il
va così infatuato, mentre a lei non è che piacesse molto. Ma suo orgoglio di casta si ribellava.
tant’è. Anna, dal canto suo aveva subito colto in lui questa dop­
E Stefano, suo marito? Niente, lui non c’era. Non morto – pia natura: un cadetto di famiglia aristocratica però in conflit­
semplicemente mai nato. Mai esistito: can­cellato dalla sua vita. to con le regole e i comportamenti che gliene venivano: una
Perché non poteva ipotizzare un futuro con Camil­lo se ci conflittualità di cui certamente soffriva. Veniva nel suo salotto:
fosse stato lui. Ed eliminarlo era facile. I figli?... Ah no, quelli era Camillo, figlio del conte Benso di Cavour. E conversava

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con gli altri, co­me tutti gli altri: solo un po’ impacciato quando Ma quando lei pretendeva da lui parole impegnati­ve –
gli toccava esprimersi in italiano. Poi, però, se restavano soli o «... per sempre Camillo? Giuralo, per sempre!...» si sentiva
se a loro si univa qualche amico di Anna – qual­cuno che pur come preso al laccio.
frequentando il suo salotto non era pro­prio parte del giro – “Sempre” era una parola tremenda, lo costringeva a gesti e
diventava un altro. Si animava, faceva discorsi che avrebbero situazioni per i quali non era ancora pronto.
scandalizzato i benpen­santi coi quali pure sembrava trovarsi La pronunciava tuttavia, ma con la riserva mentale che in
a suo agio. qualche modo, all’occorrenza, se ne sarebbe li­berato.
Il ciuffo sulla sua fronte aveva allora un leggero fre­mito,
come agitato dalla sua stessa agitazione. In quei momenti ***
Anna lo sentiva affine. Era per lei un nuovo amico, ma – ormai
non aveva dubbi – molto, ah mol­to di più. E concedendomi una digressione, mi va qui di dire come
E lui?... sempre Camillo avesse obbedito al richiamo di una bella don­
Sì, certo, anche lui l’amava. A volte ne era sicuro, ripensa­ na. Ci fu Anna, d’accordo: ma contem­poraneamente a lei ci
va ai loro incontri, al messaggio che gli trasmettevano i suoi fu la Clementina Guasco di Ca­stelletto, conosciuta a Valdieri
occhi e che poteva determinare la riuscita o il fallimento della – una conquista che lo lusingò e al tempo stesso lo costrinse a
serata (più spesso la riuscita). Se per esempio il marito era in destreggiarsi tra lei e Anna. Certo anche quest’ultima gelosa,
qualche lon­tana saletta per una mano di whist, lei e lui pote­ però più comprensiva e tollerante. Anche la Guasco era spo­
vano appartarsi in qualche angolo incuranti delle occhiate e sata; anche lei disposta a cornificare il marito sen­za pensarci
dei commenti al loro passaggio. Ma cosa importa­va?... Anna due volte. E Camillo non riusciva a libe­rarsene. Clementina
aveva un’alzata di spalle. Che parlassero pure! Anzi, solo un era possessiva, passionale, una volta minacciò addirittura di
residuo di decoro la tratteneva dal girarsi e gridar loro «sì, so buttarsi dalla finestra.
quello che pensate e avete tutte le ragioni di pensarlo. Io amo E poi ci fu la Waldor, Mélanie Waldor, una scrittri­ce; che
Camillo e anche lui ama me!». tutto sommato l’annoiò. Infine la Ronzani, Bianca Ronzani,
Perché ormai Nina si era fatta una fama di spregiu­ di cui si innamorò quando era già avanti con gli anni, e con la
dicatezza, di disprezzo delle convenzioni: cose delle quali quale visse more uxorio fi­no alla morte; sopravvenuta dopo un
Camillo invece non si era ancora liberato del tutto (e per ultimo incontro con lei nella villa sulla collina di Torino che
questo un poco la invidiava). Senza il suo esempio, lui non Cavour le avrebbe destinato nel testamento.
si sarebbe esposto a tanto: il lato conformista del suo carat­ Per dire solo delle amanti più note, non si contano le av­
tere glielo vietava. venture di una notte, nobildonne o contadine: in questo cam­
L’amava, certo, l’amava. po Camillo non aveva preclusioni.

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Insomma, malgrado il fisico, c’era in Camillo un in­ bastanza vicino. Non proprio – non ancora, pazza – diciamo
sospettabile tombeur de femmes. diversa; che in una città di conformi­sti come Genova poteva
benissimo passare per pazzia.
*** E comunque la pazzia era in agguato.
L’aveva dentro, da sempre; ma ancora non aveva un nome,
Ormai salire le scale di palazzo De Mari era diventato per né una fisionomia. Si manifestava con quel­le emicranie, poi
lui più che un’abitudine, una necessità. con momenti di depressione in cui niente la interessava o l’at­
Raramente si trovava solo con Anna. Un brusìo di voci traeva. Con Camillo, la de­pressione cessò, subentrò un’irre­
l’accoglieva fin dall’anticamera. Le grandi fine­stre aperte sul­ quietezza, una sma­nia – tutti i suoi ardori libertari sembravano
la piazza – voli di rondini, un cielo az­zurro che cominciava a esplode­re, era davvero la «sansimoniana e protestante» – cer­
tendere al viola. Attraversava il salone in cerca di Anna ma già to trasgressiva e sfrontata soprattutto nelle parole e nei fatti
lei l’aveva visto e gli muoveva incontro, le spalle nude, qual­ perché – e lì la Bice Pareto aveva visto giu­sto – «innamorata
cosa di leggero, di chiaro che gliele ricopriva. di quel tal Cavour...».
«Vi aspettavo». Poi, abbassando la voce, «ti aspettavo».
Lo conduceva verso la finestra, al loro passaggio avvertiva ***
sorrisi, bisbigli.
Ma sì, cosa importava? Sfrontata passava al suo braccio, si Ma i loro incontri non si saranno certo limitati alle serate in
appartava con lui. A Genova la sua infa­tuazione per Camillo piazza San Siro.
era ormai cosa nota a tutti. I ben pensanti già avevano da ridire Dove, allora, potevano essere avvenuti?
su di lei per le sue idee politiche, Bice Pareto, madre di quel Immagino baci rubati nel foyer di un teatro, o nel parco
Pareto con cui Anna aveva avuto una breve storia, scriveva al dell’Acquasola: giacché sembra che passeggia­re all’Acqua­
figlio a Parigi: «Sai la Giustinianina, la tua Giustinianina? Chi sola fosse in uso per molte signore dell’e­poca, naturalmente
la vuole sansimoniana, chi protestante, chi inna­morata di un mai sole, sempre con un’amica o una cameriera al seguito. Le
tal Cavour, piemontese, chi pazza...». «Un tal Cavour...»: fa un quali poi si sarebbero di­scretamente defilate per lasciare gli
certo effetto oggi sentirlo definire così. Ma d’altra parte, chi lo amanti liberi di abbandonarsi alle loro effusioni.
conosceva, a Ge­nova? Un tenente del Genio, un piemontese Qualcuno aggiunge una nota più piccante. Secondo questo
– ap­punto – cioè una sorta di alieno. E quel tono insi­nuante qualcuno si sarebbero incontrati in un albergo vicino al porto:
– «... la tua Giustinianina...» che equivale, da parte di una ma­ l’Hotel Feder. Rispettabilissimo hotel, che in epoca successi­
dre, a un “cosa ti avevo detto?...”. va avrebbe ospitato personaggi come Stendhal, Mommsen,
Quanto poi a Nina pazza – bè, la Pareto ci era andata ab­ Melville... Era in via Ponte Reale, nome che non aveva nes­

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suna attinenza con la regalità, ma gli veniva dal “riale” – rià sgomentava: e ancora non era arrivato al punto di esserne
in dialetto – che dalla collina sfociava in mare. La strada, all’e­ disgustato come lo sarebbe stato qualche anno dopo: «... ma
poca, cor­reva dritta tra due file di case fino a una Porta aperta disposition à l’obésité augmente d’une manière effrayante, et me rend
nelle mura di cinta della città: al di là, il mare. déplaisant à moi et aux autres...», avrebbe scritto nel suo diario.
E il mare (la vista del mare) era una delle attrattive dell’Ho­ Ma non doveva sembrare così a Nina. Non magro certo,
tel Feder – il «gloriosissimo Feder», dicono le guide che ne ma nemmeno grasso: ben messo diciamo. E co­munque cosa
magnificano la posizione. contava l’aspetto. Il suo viso esprimeva contento e giovialità,
Della quale vista, ammesso che Nina e Camillo dav­vero vi comunicava buonumore: i suoi bon mots tenevano allegra la
si fossero dati appuntamento, dovette impor­targli ben poco. compagnia. Ma sapeva an­che esser serio quando le circostan­
Anzi, penso che dovettero essersi preoccupati di ti­rar bene ze lo richiedevano.
le tende: far buio, e al momento di lasciarsi, usare tutte le pre­ Lui e Anna parlavano fitto – Dio quante cose ave­vano da
cauzioni. dirsi, una rimpatriata tra vecchi amici non sa­rebbe stata così
Ma siamo poi sicuri che i due si dessero convegno in ricca di comunanze, di condivisioni. «Ah toi aussi?... Mais oui,
quell’albergo? I biografi – sia di Anna che di Camillo – si dis donc!».
contraddicono spesso e volentieri. E forse neanche tanto per Un po’ si davano del voi un po’ del tu. Lei infervo­rata, lui,
colpa loro. Troppe sono le sfaccettature, le contraddizioni, cui non pareva vero di poter dire quel che pensava sull’idea
le omonimie che costellano la loro storia... Non è strano, ad che andava delineandosi, di un’Ita­lia libera, possibilmente sul
esempio, che a Tori­no, qualche anno dopo, Anna e il marito modello francese, ora che la Francia si era liberata dei carlisti,
alloggiassero all’Hotel Foeder? Foeder, Feder... La differenza dei Polignac, ed era pronta per una monarchia illuminata, per
è minima, sufficiente però a confondere le idee. un fu­turo che si fondasse, sì, sulle premesse della rivoluzio­ne
In realtà entrambi gli alberghi esistevano, il Feder a Geno­ ma – calma, vero?... senza nuovi estremismi: qui però Nina
va in via Ponte Reale, il Foeder a Torino, in via Bogino. non voleva seguirlo, non era pronta (ancora) per la moderazio­
Ma sul Foeder di Torino tornerò più tardi: non vo­glio anti­ ne che Camillo già andava va­gheggiando, e da buona repub­
cipare eventi che cronologicamente vanno si­tuati in un tempo blicana lo incitava a un pensare più estremo: ce ne fosse stato
successivo. bisogno... Erano colloqui infiammati, col tempo vi si unirono
le voci delle amiche di Nina, e sarebbe stato difficile di­re qua­
*** le infiammava le une, quale le altre – le due Te­rese, Fanny di
Negro, forse anche la mia pro-prozia Eugenia Raggi se ancora
Ingrasso, sono grasso. faceva parte del gruppo?... Sia con la luce del giorno sia con
Camillo si guardava allo specchio, la sua pinguedi­ne lo quella notturna delle lampade, il salotto di Nina prendeva al­

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lora per Camil­lo qualcosa di cospiratorio, che invitava a parlare quei romanzetti che parlavano di sentimenti sublimi – come
a bas­sa voce, e mai fare nomi, mai accennare a persone che da appunto quello che provo per te, un amore che è una necessi­
quegli accenni potessero essere compromesse... tà d’assoluto...». Sì, questo era – un incontro d’anime, un rapi­
La città aveva spie ovunque: prima e dopo i fatti di luglio mento dei sensi – che purtroppo, se ne rende­va conto, veniva
Camillo si sapeva tenuto d’occhio. frainteso.
«Clubista», era definito in certi ambienti, «giacobino». «La gente non capisce».
E invece era solo – al momento – un figlio di papà in cerca E comunque non aveva nessuna intenzione di ri­nunziare
di se stesso e del “giusto mezzo” ancora di là da venire. a lui. Anzi, alle esortazioni che le venivano rivolte, anche fisi­
camente il suo viso si alterava, gli oc­chi addirittura si facevano
*** strabici per l’intensità con cui li fissava su chi al momento osa­
va contrastarla.
Una passione, la loro, che era ormai di dominio pubblico. No, nessuno capiva. Le amiche disapprovavano – povera
Anna una donna chiacchierata, e non solo (a questo punto), Nina, dovevano dire alle sue spalle, non pensa alle ripercus­
si è visto, per la sua condotta pre­sente, ma per quella passa­ sioni della sua condotta sulla sua fami­glia, sui figli?...
ta. Si tornava a parlare di quella sua storia col Pareto: e poi Quelle amiche erano felicemente sposate, rispetta­vano i
chissà quante altre ce n’erano state, prima e dopo di quella... loro mariti, anche se non sempre li amavano dell’amour fou
Le brave signore si scambiavano occhiate, inarcavano le so­ che devastava Nina. Stavano bene in­sieme, avevano in comu­
pracciglia. Lei e il marito erano un argomento ghiot­to: tra un ne parentele, amicizie, consuetudini, figliolanza da accudire e
pasticcino e un sorso di sciroppo, tra una mano di “goffo” e una strategia di fi­danzamenti e matrimoni da portare avanti
uno sventolio di ventagli il pome­riggio faceva presto a passa­ senza nep­pure darsi troppa pena di dissimularla. Brave signo­
re. E Anna – niente. Se le amiche le riferivano le chiac­chiere re contente di sfoggiare una toilette a una prima a teatro, di es­
che si facevano sul suo conto, lei, sdegnata, re­spingeva ogni sere corteggiate sia pure in modo del tutto plato­nico da qual­
accusa. «... Ma tu, ti rendi conto fino a che punto ti amo? Lo che habitué dei loro salotti e poi – basta, occuparsi della casa,
vedi, io quest’amore non mi cu­ro di nasconderlo. Ne vado fie­ della servitù, del vasellame e del­l’argenteria in una graduato­
ra anzi, e vorrei gridar­lo a tutto il mondo. Camillo! No, tu non ria ormai collaudata a se­conda dell’importanza degli invitati.
puoi sapere. Quando ero a Parigi, una bambina, mi facevano Anna in quest’ambiente perbenista costituiva l’anomalia,
stu­diare il pianoforte, leggere libri noiosi – pure sentivo che la nota d’inquietudine, se non di sconcerto. Persino le amiche
prima o poi tu saresti venuto. Perché anche in quei libri noio­ di idee più avanzate – le due Tere­se, la Sauli, la Doria – sì,
si, anche in quelle sonatine facili facili, qualcosa c’era che mi persino loro biasimavano la sua condotta. Perché le volevano
faceva sognare. Mi abbandona­vo a quelle note, alle pagine di bene, e soffrivano a vederla perdersi dietro a quel tenentino

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tanto più gio­vane di lei che in fondo, Dio mio, cos’aveva di Belle tutte e quattro, fiere di esporsi nel palco, spalle nude,
così speciale?... Un giacobino... sia pure: ma poteva esser con­ seni prorompenti nelle scollature a barchetta, scintillìo di dia­
siderato veramente “dei loro”?... demi e bracciali...
Insomma, Anna aveva tutti contro: ma era testar­da, e in La bravata – ma credo di averlo già detto – era sta­ta nota­
qualche modo – nemmeno lei sapeva come – era certa che ta, stigmatizzata dal Governatore e dalle Auto­rità; e a Nina
lei e Camillo ne sarebbero usciti vitto­riosi: perché amor om- soprattutto era costata l’esilio a Polànesi impostole dalla
nia vincit, come – per autoconvincersi – si ripeteva. E tuttavia famiglia. Imparerà, dovette essersi detta Manin Schiaffino
moltiplicava gli in­contri con quelle amiche, conciliaboli fitti parlandone col marito: che forse giudicava la pena eccessiva.
di progetti, di iniziative, di prese di contatti. C’era fervore Invece – «impa­rerà», aveva ribadito Manin e si era rizzata
in que­gli incontri, la casata del marchese Stefano costituiva, sul busto con un colpo di reni che era come un dichiarare
paradossalmente, un riparo dalle spiate e dalle misure della chiu­so l’argomento. Era veramente in collera: Nina aveva
polizia. Prudenza comunque. Si è visto che Anna ne aveva fatto parlare anche troppo di sé, prima col Pareto, poi con
poca, era avventata, temeraria, quegli incontri erano per lei quel tenentino – sempre pronta a cadere nelle braccia del
soprattutto una sfida nei con­fronti del marito, sfida, e sfogo: primo che le capitava; poi impegolandosi in questioni poli­
e quale occasione migliore per esprimergli il suo disprezzo, tiche, frequentando gente di dubbia fama; infine quest’ulti­
farlo sentire il piccolo uomo che era, servo di un sovrano che mo exploit di cui tutta la città parlava. Cambiar aria, questo le
ne me­ritava quanto lui?... ci voleva. Anche il marito di lei, il marchese Stefano, lo disse:
«ti farà be­ne cambiar aria», con quel sorrisetto sardonico che
*** Nina conosceva troppo bene.

Però il teatro voluto da Carlo Felice era bello, anche se ***


dispiaceva riconoscerlo a chi lo aveva avversato.
Fu una sorta di vendetta postuma esservisi recate, Anna Polànesi. Eppure Nina aveva amato Polànesi. Ma un con­
con un paio di amiche, indossando abiti colora­tissimi dopo la to era stato andarci coi suoi in villeggiatura, un conto esserci
morte del Sovrano. costretta. La casa, riaperta per l’occa­sione, aveva un leggero
Nel racconto che ne faceva mio nonno, a quel paio di ami­ sentore di muffa. L’Adele brontolò coi “manenti” – almeno
che se ne aggiungeva una terza, quella pro-pro-zia Eugenia si fossero dati la pe­na di arieggiarla. Venirci era un sacrificio
Raggi sposata Pallavicino, la liberale, la ribelle, malmaritata anche per lei, questi eran luoghi dimenticati da Dio, già era
anche lei: se vogliamo fare di quegli atteggiamenti, oltre che dif­ficile arrivarci a dorso di mulo per crose impervie, ohi me
una questione politica, anche una di insofferenza coniugale. mi, gemeva ad ogni tornante: e poi su in cima – sì, sarà stato

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un bel vedere ma lei era nata e cresciuta in uno dei rioni più sere ristrutturato in foggia più moderna: tant’è, del «chàteau de
popolosi della città, e anche il pa­lazzo dei suoi padroni era in mon pére» oggi non resta traccia.
mezzo alle case e c’era­no voci, canti, le grida delle besagnine Come può essere esistito e scomparso, come si suol dire,
e dei barroc­ciai. Qui – niente, il deserto. E la sua padrona – nel nulla?...
una pena vederle quel viso sbattuto, quelle occhiaie. Si al­zava Eppure, stranamente, è proprio grazie alla sua scomparsa
prima dell’alba, un “manente” ovviamente di malumore per che lo vedo. Posso inventarmene la faccia­ta a righe e natural­
accompagnarla – non sia mai che una signora esca da sola e poi mente con le persiane verdi. Accanto, congiunta da un’arca­
per quelle fasce terrazzate, col pericolo di scivolare e rompersi ta, la casa del “manente”: c’è un pergolato di uva luglienga e
il collo. Glielo disse una volta l’Adele e lei – «magari!» con magari Anna bam­bina sarà salita su una sedia per coglierne un
una smorfia che se voleva sembrare un sorriso non ci riusciva grappo­lo (anni, secoli fa...). E la sedia in ferro, coi listelli che
affatto. Andava come se qualcuno la rincorres­se, se inciam­ si incrociavano, un po’ bombati... Chissà dov’è finita. La casa
pava rifiutava l’aiuto del “manente”, faccio da sola! rossa in è isolata, alta su uno di quei terrazzamenti so­pra Recco con
faccia, ansimante ma decisa a arrivare – dove?... Lo troviamo, pergolati, orti, muretti a secco e qua e là tra le pietre i buchi
quel dove, nel suo diario: «... j’allais sans crainte de la fatigue des di scolo per le acque: e olivi, e cespi di rosmarino. E vedo lei
chemins, je voulais toujours atteindre le sommet pour promener mes che va oppure che si siede (il “manente” un po’ in disparte,
regards sur l’horizon et respirer l’air qui me paraissait arriver sans come si con­viene a un sottoposto) e con la mano strappa ciuffi
obstacle aux plaines où était mon bien aimé!!!», e infatti nella sua d’erba, un gesto meccanico di cui forse nemmeno è conscia: e
esaltazione era questo che cercava. Poter scrutare l’orizzonte, pensa a lui, Camillo, ne pronuncia il nome. Perché per lei (ma
scaval­carlo, e in qualche modo unirsi a lui, Camillo, risuc­chiato è così per tutte le donne innamo­rate) pronunciare il nome
in quella Torino che le era estranea e dalla qua­le era esclusa. dell’amato è un po’ come averlo vicino.
L’occhio – e il pensiero – sempre rivol­to a lui, febbrilmente, Diceva: «Camillo», e davvero, per un momento se lo ve­
più che mai persa (presa?) dalla sua ossessione. deva accanto.
Ma cos’era, in realtà, la casa di Polànesi? «Le chateau de mon Un sogno: perché la realtà era questa, le groppe dei mon­
pére» dice in una sua lettera a Camillo. Oggi a Recco nessuno ti, gli ulivi, il mare laggiù in fondo e lei confinata in quest’e­
ne sa niente, un castello Schiaf­fino? Quando mai? Gli inter­ remo: carcere en plein air ma sempre carce­re: perché a questo
pellati scuotono la testa. E viene il dubbio che sia mai esisti­ l’avevano costretta, a pagare per una colpa che era tale solo
to, vuoi sotto forma di castello, vuoi di villa o villino: come è ai loro occhi.
probabile, inve­ce, che fosse. Uno di quei villini con torretta, E con quali occhi l’aveva guardata maman!... Per tutti era
come se ne vedono ancora sulle alture di Genova: e col tempo una reproba, non c’era castigo bastante per lei, quando in
sarà passato agli eredi, e venduto, e magari demolito per es­ realtà – vero, quella bravata a teatro aveva fatto scandalo, ma

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ormai, qualsiasi cosa avesse fatto, avrebbe fatto scandalo. Se­ gnato. Sa di non avere altra scelta.
gnata a dito da tut­ti... Svergognata, e ribelle. E questo, solo Grinzane era feudo dei Clermont-Tonnerre, zii ma­terni di
perché non la pensava come loro, perché – sì, diciamolo pure Camillo – che appunto al Conte Michele l’a­vevano dato in
– perché si permetteva di pensare con la propria testa! gestione.
Nessuno del suo entourage l’avrebbe fatto. Donne morige­ C’era un castello severo, molta terra (che produce­va poco),
rate, avevano studiato dalle monache, messe, devozioni, occhi contadini rispettosi ma abituati a fare i loro comodi perché a
bassi. Guai gettare lo sguardo oltre il muro del collegio, scopri­ dirigerli fino allora erano stati am­ministratori poco onesti, dei
re cos’era il mondo là fuori, e cosa avrebbe potuto essere per quali infatti subito Ca­millo si liberò.
loro. Ma «aprite gli occhi!»... avrebbe voluto gridare. Era scrupoloso Camillo, e se doveva fare una cosa ce la
Peccato. In condizioni diverse avrebbe potuto es­ser felice metteva tutta.
di ritrovarsi a Polànesi, invece – solo insof­ferenza, amarezza. Grinzane infatti sotto la sua guida sarebbe diventa­ta un’a­
La frattura che si era creata tra lei e la famiglia non si sareb­ zienda modello: ma gli inizi furono duri. Ri­cordava le parole
be mai più rinsaldata. di Anna: «tu farai grandi cose» – e ricordarle lo confortava,
«Andavo non curandomi della fatica, volevo sem­pre rag­ confermandolo nell’alto concetto che già aveva di sé. Grandi
giungere la vetta per percorrere con lo sguar­do l’orizzonte sogni, grandi progetti nutriva in cuor suo: e non c’era niente
e respirare un’aria che mi sembrava non dovesse incontrare di più triste che vederli naufragare in questa landa sperdu­
ostacoli fino alla pianura dov’era il mio amato...». ta, dove il massimo che gli veniva richiesto era provvede­re
ai bisogni dell’azienda: e più tardi, eletto sindaco al posto del
Alla fine dell’anno (siamo nel 1830) Camillo lascia Genova. padre, che aveva preferito delegare a lui l’incarico e le rogne –
Dopo Genova l’aspetta il confino alla fortezza di Bard: e dirimere le beghe di una picco­la comunità rissosa e ignorante,
dopo Bard, Torino. e occuparsi di foraggi e di bestiame.
E Camillo non ama Torino. Un ambiente retrivo bigotto e E tuttavia l’esperienza di Grinzane doveva servir­gli. Più
tuttavia licenzioso – ma appunto, una cosa non esclude l’altra, tardi gli sarebbe toccata quella di Leri, nel vercellese, un re­
se mai le due si fondono insieme in un viluppo malsano, ipo­ cente acquisto del Conte Michele, della cui amministrazione
crisia e libertinaggio, avventure nelle quali Camillo si troverà si sarebbe occupato, ma a differenza di Grinzane, con rinnova­
invischiato suo malgrado e che gli faranno dimenticare la sua to entusiasmo e spirito di iniziativa. Risaie, umidità, gracidare
Incognita... (Giacché cosi gli piaceva chiamare Anna – così, di ranocchi. Camillo non era abituato a quel clima. E tuttavia
per molto tempo, fu conosciuta.) l’impresa che gli era stata proposta, e che lui aveva accettato,
Quando infine il padre gli propone di occuparsi della era una sfida. Con se stesso, con le sue capacità imprenditoria­
tenuta di Grinzane, accetta: senza entusiasmo, ma rasse­ li. Un nuovo sbocco, lontano dall’esercito, da Tori­no, da Ge­

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nova, dalla Svizzera, che pure considerava la sua vera patria. rare i suoi impegni.
A Leri come a Grinzane «je travaille certes beaucoup plus qu ‘à Com’era lontana Genova, la voce di Anna!... Fle­bile si era
Santena: si papa m’assure un petit dot, je me consacre à l’adminis- fatta, sopraffatta dalle voci che parlavano di cose estranee a
tration de sa fortune. Oui, je renonce au monde et à ses plaisirs...». lui, ed alle quali pure non poteva non prestare ascolto: fidan­
Si vede­va ormai calato nel ruolo dell’agricoltore, e il suo go­ zamenti, matrimoni, parente­le... Ecco sì, soprattutto parente­
dimento era «percorrere campi e risaie con un im­menso ran­ le. Come nasce il ta­le, come nasce il tal’altro. Anche in casa
dello in mano e un enorme cappello di pa­glia in testa». La sua, le paren­tele erano un argomento sempre attuale: ma c’era
politica era per il momento passata in secondo piano. Se n’era di che. Sua madre era la più giovane delle sorelle de Sellon,
staccato: e siccome era umorale, non riusciva a prevedere che, aveva sposato Michele Benso, ed era una donna tranquilla,
invece, pro­prio alla politica avrebbe votato l’esistenza. su di lei niente da ridire. Non così di sua sorella, la “terribile”
tante Victoire: in prime nozze aveva sposato Luigi Roero de la
*** Turbie ma il matri­monio era durato poco, lui era un violento,
la pic­chiava. Così lei aveva ottenuto il divorzio: ciò che non
Senza Camillo, il salotto di piazza San Siro è diven­tato te­ le aveva impedito di diventare dama di compagnia di Paoli­
tro, tutto lì dentro sembra tetro ad Anna: forse perché tetri na, moglie di Camillo Borghese (Paolina Bonaparte, tanto per
sono i suoi pensieri. intenderci: e se Camillo si chiamava così era perché il Prin­
E non solo per la sua partenza, ma per il modo: quel suo cipe Camillo l’aveva tenuto a battesimo). In seconde nozze
andarsene così, senza una parola, senza un rigo che le dices­ Vittoria aveva sposato il duca Clermont-Tonnerre, ma questa
se «devo andare ma stai tranquilla, appena posso torno». Solo era storia recen­te. Camillo era sempre stato affascinato dal
poche, non confermate notizie (dai De la Rüe?) di un suo con­ suo periodo alla corte di Paolina, quando l’aiutava a scegliere
fino a Bard: no­tizie che la spinsero a scrivergli per esprimergli i gioielli o le toilette... Anche Paolina era bizzarra la sua parte, e
soli­darietà (malgrado tutto, il suo riserbo le vietava di parlargli anche lei finì per divorziare dal Borghese. Un periodo dal di­
apertamente di amore). Ma quelle lettere erano rimaste senza vorzio facile: ma agli occhi del ra­gazzo il fascino di Paolina era
risposta. Scomparso dunque, non solo da Genova, ma dalla dovuto al nome di Bonaparte, alla gloria che ancora, malgrado
sua vita. E perché? Cosa era successo? Waterloo e Sant’Elena, si rifletteva su chi l’aveva conosciuto
Niente: semplicemente a Torino Camillo era stato, suo di persona o anche solo per sentito dire.
malgrado, ripreso nel vortice delle mondanità, degli inviti, de­ Altra generazione: ma le storie si tramandavano; sennon­
gli spettacoli, delle nottate perse al ta­volo da gioco. Sì, perché ché alcune – come questa – meritavano di es­sere tramandate,
Camillo fu sempre un gioca­tore accanito, giocava, perdeva, altre erano solo pettegolezzi salottie­ri. Bastava che uno faces­
non si contano le vol­te che dovette ricorrere al padre per ono­ se un nome perché subito per associazione di idee qualcuno

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ne facesse un altro, perdendosi in un dedalo di parentele, tipo giudiziario in­glese... E poi ancora, alle scuole del Lombardo
– i Seyssel d’Aix – non c’era un’Adele Seyssel sposata a un Vene­to... al pauperismo... Anche quello, sì, uno dei tanti pro­
Del­la Torre?... Ma no, ti confondi con una Soissons: e il pa­ blemi intorno ai quali aveva girato senza però ap­profondirlo
dre Falletti, non era imparentato col D’Azeglio?... Sì, per via più di tanto...
di quella cognata, come si chiamava, aspet­ta – un puntiglio Ora, d’un tratto, sentiva l’urgenza di farlo. Quanta gen­
così sterile, pensava Camillo, questo di voler andare a fondo te in Europa moriva di fame! E non solo in Euro­pa, ma nel
di genealogie illustri quanto si vuole, ma decrepite, alcune mondo... (E io qui che mangio, mi ingoz­zo – e ingrasso! Sen­
addirittura estinte... Se Camillo adolescente ci si era divertito, nonché quel senso di colpa veni­va subito messo a tacere dal
ora non più, anzi giudicava risibili quelle ricerche, il peggio piacere visivo e olfattivo di una tavola imbandita, dall’aroma
dell’ancien régime. di un sugo di fun­ghi o di un brasato al barolo.)
Di qui una scontentezza che oggi definiremmo esi­stenziale. Sì, la gola era un suo peccato: insopprimibile come altri,
«Nessun legame molto forte mi attacca più alla vita. E io ho molte il gioco, le donne, le varie Clementine o Mélanie, per non
ragioni per esserne disgusta­to...». dire di Nina – sennonché il ricordo di lei si era fatto così fie­
E poi, l’eterno, ricorrente desiderio di farla finita: «... Ah se vole ormai – lo si poteva dire l’eco di un ricordo... Grassoccio
non fosse per i dubbi che mi rimangono sulla moralità del suicidio, ma amabile, le attirava come mosche. (A parte che quel corpo
in verità mi libererei presto di questa fastidiosa esistenza...». Tutto grassoccio racchiu­deva, come un bruco prima di diventare far­
quel che aveva dentro era confuso, un mulinare di pensieri, di falla, l’uo­mo Cavour: destinato, col tempo, a cambiare le sorti
pro­getti, un attaccarsi a un’idea per subito staccarsene. dell’Italia.)
Cosa farò?... Cosa diventerò? Lo sconforto su­scitò in lui Sì, perché niente si improvvisa ma tutto è frutto di un la­
nuovamente pensieri di suicidio. voro, sia pure inconscio, sia pure sotterraneo, destinato – nel
Gli pesava dover dipendere dai suoi, essere l’eterno figlio suo caso – a sfociare in un’attività di cui neppure nei suoi mo­
di papà senza prospettive appetibili o comun­que rispondenti menti più ottimistici avrebbe potuto immaginare la portata.
ai suoi desideri. I suoi interessi erano svariati, troppi per una Sono gli anni di Grinzane, di Leri. Verrà poi (tor­nerà) Gine­
mente volubile come la sua. («Que tu es volage!...», sospirava vra, la sua “seconda patria” (non si dimen­tichi che sua madre,
tante Victoire stan­ca, è probabile, di quell’irrequietezza.) Ma­ Adele de Sellon, era svizzera) e poi Parigi: l’Inghilterra. Espe­
gari avesse continuato nella carriera militare... Sì, troppe cose rienze importanti, in­contri importanti con personaggi destina­
l’attraevano: idee gli formicolavano sottopelle, guiz­zanti, velo­ ti a influen­zare tante sue scelte future. Tra queste, le figure di
ci, troppo veloci perché riuscisse a dar loro una forma compiu­ un Brockedon, di un Senior, di un Chadwick – persino di un
ta. Si era messo a studiare storia economica, poi si era volto alla Tocqueville: di cui avrebbe sempre ricordato una sua prolu­
criminalità in Francia, al suo sistema carcerario... Poi a quello sione sui vantaggi della grande pro­prietà rispetto alla piccola.

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Londra l’aveva entusiasmato. Era stato condotto a vedere tanto fisica quanto affettiva... Lei ormai – ah, cos’era lei per
la Camera dei Lord: parlava Peel, e Cavour fu affascinato dalla lui? Niente. Un’avven­tura come tante – tutte bugie il suo
sua loquacità oltre che dalle sue idee riformiste. amore per lei, le sue promesse di fedeltà, i suoi giuramenti.
La visita ad alcune tra le maggiori città minerarie gli avreb­ Provarsi a dimenticarlo? Magari. Distrarsi, pensare ad altro?
be fatto toccare con mano la realtà del pau­perismo – quel fe­ Magari.
nomeno conosciuto finora da lui soltanto sui libri. Ma per Nina quel magari restava un’utopia. Mai mai l’avreb-
Soprattutto gli si sarebbero rivelati gli effetti della rivolu­ be dimenticato.
zione industriale e quella dei mezzi di trasporto – dei quali Lo rivedeva accanto a sé, sentiva la sua voce, la sua risata.
avrebbe tenuto conto quando, diventa­to ministro, si sarebbe Forse sulle labbra conservava l’impronta dei suoi baci... Lan­
trovato ad operare nel campo delle ferrovie. guore, deliquio. Quella bocca... Quante volte, col dito, ne ave­
Ma tutto questo era ancora di là da venire. Al mo­mento – si va seguito i contorni?...
parla degli anni che vanno dal ’30 al ’35 – Camillo è solo un Momenti rubati, resi più preziosi dall’ansia in cui erano
ragazzone senza arte né parte, di­pendente in tutto e per tutto stati vissuti – la paura di essere visti, l’imbaraz­zo, il disagio
dai genitori e dagli zii – specie quella zia Clermont-Tonnerre provato in quella camera d’albergo – ammesso che davvero
– e amara­mente conscio che, se i soldi non sono tutto, sono si fossero incontrati al Feder di via Ponte Reale – albergo di
però buona parte della vita dell’uomo. tutto rispetto, si è detto, però compiacente (connivente?) nei
(Di conseguenza considerandosi un uomo a metà.) confronti di cer­ta clientela altolocata sulla cui presenza con­
veniva chiudere un occhio... Momenti goduti forse più nel
*** ricordo che nella realtà. Perché ora almeno riusciva a ripulirli
di quel tanto di equivoco che li avevano – sì, diciamolo, con­
A Genova intanto al Carlo Felice andavano in sce­ na taminati: il persistere di presenze al­trui, bisbigli, sospiri, forse
Meyerbeer, Paër, Rossini. La gazza ladra: che operina delizio­ quei gemiti soffocati che suo malgrado erano sfuggiti anche a
sa!... Le signore impazzivano commen­tando lo spettacolo, la lei mentre gli si abbandonava... Avrebbe dato l’anima per tor­
mise en scène. Nel foyer un an­dare e venire, fruscii di strascichi nare in quella stanza, sentirlo mormorare all’orecchio quelle
sui marmi bianchi, risatine. parole «je t’aime – ah que je t’aime...» che andava ri­petendosi
«Sono stata a teatro, una stupenda Brambilla», avrebbe vo­ adesso come per riassaporarne il suono... (Sempre in francese
luto scrivere Anna a Camillo. E a proposi­to di Paër – «noioso: parlavano fra loro: l’italiano di Cavour era stentato, frammisto
confesso che quasi quasi mi ci addormentavo». a parole francesi: in fondo si sentiva legato alla Svizzera più
I minuti eventi della sua vita... Ma a che prò? Ca­millo non che all’Italia.)
rispondeva alle sue lettere, era lontano di una lontananza non Però l’Italia – ah quella era sempre nei suoi pensieri.

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E di riflesso, nei pensieri di Nina. L’idea di un’Ita­lia non inutile sofferenza aveva inflitto al povero duca!
più “sventurata” ma “una”: quella che li aveva uniti fin dal Lei però, la principessa di Clèves, aveva un marito degno
primo incontro. E che si adoperava a tener viva adesso – fatti­ di rispetto, Stefano invece... No, nessun rimor­so nei suoi con­
vamente, febbrilmente. Perché era il solo modo di esser vici­ fronti. Se il principe di Clèves aveva sofferto per il tradimento
na a lui e – perché no – di riempire il vuoto in cui era venuta a della moglie, era perché l’a­mava, Stefano no, per lui l’infedel­
trovarsi dopo la sua partenza. tà della moglie era solo una questione di amor proprio. Per la
Certo, c’erano i bambini. facciata: perché uno come lui vive per l’opinione degli altri,
Ma Teresa aveva una faccina puntuta, la storceva ogni per il conto in cui è tenuto, per la deferenza che, all’inter­no
tanto in una smorfia di scontento, e Nina scuo­teva il capo: e al di fuori del suo ambiente, gli viene tributata. E invece si
«toujours ces grimaces!». E poi aveva una leggera malformazio­ rende ridicolo, pensa Anna. Perché lui “sa” e tutti sanno che
ne all’anca e questo la preoccu­pava. Un po’ colpevolmente le lui “sa”. Lui però non se ne rende con­to: non vuole, renderse­
preferiva Giuseppe perché era biondo (o almeno lo era stato ne conto. Ottuso, questo è. Si incontravano ai pasti, o la sera,
da piccino) e non aveva preso niente da suo padre. A volte nel loro salotto e sem­pre in presenza di altri: da tempo dor­
le riu­sciva difficile pensare di aver concepito due figli con mono in camere separate. Vederlo è per Anna un rinnovarsi
lui. Quegli amplessi di routine, subiti unicamente in quanto della sua avversione. Quel viso inespressivo... Voglia, a volte,
parte del dovere di una moglie... Si aiutava pensando ad al­ di accanirsi a graffiarlo, sfregiarlo: chissà se ne sarebbe uscito
tro, astraendosi da quello che, senza alcuna partecipazione da sangue? No, era un uomo a circolazione sem­plice, una serpe
parte sua, si stava compien­do sul suo corpo. capace solo di sputar veleno.
Ah che nostalgia della sua giovinezza, della sua in­fanzia a Ah, non ci fosse stato Camillo... «Tu m’as donné une nouvelle
Parigi... La zia le portava libri da leggere, Madame de Sévi- existence: c’est par toi que je suis quelque chose, ma nullité disparaȋt, tu
gné, Madame de Staël – anche Ma­dame de La Fayette di La me rattache à cette vie que j’aurais quittée avec indifférence, et quelque
princesse de Clèves – sen­nonché maman si era molto inquietata fois, avec joie», scrive a Camillo. Quando? Non importa: le lette­
vedendoglielo in mano, perché non era assolutamente adatto re che gli avrebbe scritto da Torino, da Vinadio, da Voltri, avreb­
per la sua età, un romanzo d’amore, figuriamoci!... E per un bero avuto tutte lo stesso tono – esal­tato, allucinato, carico di
pezzo aveva serbato rancore alla sorella, rea di averglielo im­ una passione che sarebbe andata crescendo con gli anni invece
prestato. Tuttavia Nina aveva fatto in tempo a leggerne alcu­ di affievolirsi – e sappiamo a quali eccessi l’avrebbe portata.
ne pagine, e la passione che ave­va travolto la principessa e il
duca di Nemours sareb­be tornata a ossessionarla in età adulta: ***
quella donna, vittima di un amore proibito e tuttavia così forte
– ah sì, tanto più forte di lei, Nina! – nel resistergli... Ma quale A Genova, Camillo sarebbe tornato nel gennaio del ’32 e

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ne avrebbe preavvisato Nina in una lettera che però il caso quasi quotidiana: soprattutto da parte di lei.
volle le venisse recapitata in presenza di sua madre. Apriti Molte di quelle lettere sono state trovate a Santena, per­
cielo. La baronessa Schiaffino, che si era illusa sull’avvenuta ché conservate da Camillo, altre, non molte, ma si­gnificative
rottura del rapporto tra sua figlia e Cavour, si impadronisce (e in qualche modo la chiave per capire a fondo la loro vicen­
della lettera e impone ad Anna di farsi restituire da lui tutte da) scoperte per puro caso da uno studioso americano, tale
quelle che le ha scritto. Nelson Gay.
Due giorni dopo, a teatro, compare Camillo: Anna è nel Pare che costui, attratto da uno stipo nella vetrina di un
palco assieme alla madre. Imbarazzo generale, freddezza da antiquario, lo comprasse. Uno stipo, si sa, spes­so nasconde
parte di Nina che non può parlare, né spiegare a lui quello che pareti scorrevoli, cassettini segreti, dop­pi fondi artatamente
tuttavia non gli sarà difficile indovinare. occultati: e per il Gay, curioso, e come si è detto, studioso e
Da questo punto in avanti la storia (per noi posteri) si com­ collezionista di antichi manoscritti, una sfida a scoprirli. Cono­
plica. C’è una certa confusione fra le lettere che Cavour le re­ sco bene la febbre che prende quando si capisce che lo scom­
stituisce e quelle che trattiene: quelle che lei scriverà a Camil­ parto scorre, che il tiretto sta per rivelarci un doppio fondo. Lo
lo l’anno successivo e quelle che Cavour scriverà a lei. La loro stipo in questione, guarda caso, apparteneva al­l’avvocato del
rottura questa volta sembra definitiva; forse per convincersi marchese Giustiniani.
che lo sia davvero e dare un taglio al passato, Nina accetta l’in­ Il Gay mai avrebbe immaginato di trovarvi niente­meno
vito della zia Littardi e va a Milano. che il carteggio – per lo meno una parte – fra Anna Giustiniani
Una parentesi che avrebbe dovuto essere serena, se il pen­ e Cavour. E come avrebbe potuto? Perché quelle lettere era­
siero di Camillo invece di darle tregua non aves­se continuato no finite in quello stipo? Chiaro: si trattava delle lettere inter­
a ossessionarla. cettate dal mar­chese Stefano e mai pervenute ai destinatari.
Averle consegnate in mani estranee ma sicure avrebbe costi­
*** tuito per il marchese la prova inoppugnabile della colpevolez­
za della moglie: la morte di lei aveva reso inutile l’espediente,
Certe storie hanno un andamento strano, un proce­dere e le lettere erano rimaste li.
a sbalzi, come certe acque sotterranee che si per­dono e ri­ Proposito odioso, ma perfettamente coerente con l’at­
affiorano poco più in là. Quella di Anna e di Camillo sta teggiamento tenuto dal Giustiniani nei confronti della mo­
tutta, più che nei fatti, nelle loro lettere. Quelle di lui a lei, glie: del marito che sa, ma finge di non sape­re: che tollera,
dopo che fu partito da Genova (e sono quelle che sua ma­ peggio ancora, che se qualcuno si scandalizza del compor­
dre volle che si facesse restituire) e poi quelle di lei dalle tamento di Anna, replica con una scrollata di spalle – «Che
terme di Vinadio, e poi da Voltri. Una corrispondenza fitta, volete? È una passio­ne!».

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La frase sembrerebbe inventata, ma tutti gli storici la ri­ – morire: ah come lo desiderava! Con un crescendo pari al
portano, dunque è senz’altro vera. Di mio ci met­to il tono – crescendo della musica: dopo di che, come se davvero fosse
ironico, scanzonato – con cui dovette averla pronunciata. Cosa morta, riusciva a guardare a se stessa con freddezza e distacco.
voleva dire? Passione nel senso di capriccio? Di qualcosa di «Non è ver che sia la morte / il peggior di tutti i mali...».
bambinesco, di puerile: di cui sorridere o al più, da liquidare Chi l’aveva scritto l’aveva fatto con cognizione di causa,
come lui la liquidò, con una battuta di cattivo gusto?... dopo aver meditato quel gesto che non aveva avuto il coraggio
di compiere. Anche lei, ah quante volte ne era stata tentata...
*** Il flusso della musica accompagnava quei pensieri e tutto le
sembrava d’un tratto possibile e attuabile. Magari poi da Mo­
Adesso Nina è a Milano, ospite della cugina Teresa Littar­ zart il cugino passava a Chopin, un Notturno, poi uno Scherzo...
di. Un periodo che avrebbe potuto essere abba­stanza sereno E ancora una volta il suo umore cambiava, bravo davve­ro quel
se non ci fosse stato il pensiero di Ca­millo (dove sarà? cosa cugino, anche se certi suoi atteggiamenti – quel suo piegarsi
farà?) mai sopito, ossessivo. sulla tastiera come se cercasse di leggerne i tasti – le sembra­
Nei momenti di tregua si godeva la compagnia del­la cugi­ vano un tantino istrionici.
na, del marito di lei, Nicolò Sauli (guarda caso, l’uomo che i Il salotto Littardi Sauli, il salotto Branca... Qui era­no di casa
genitori di Anna avrebbero voluto per lei). Il quale oltretutto musicisti come Bellini, e poeti (e librettisti) come il genovese
era un ottimo pianista. Ascol­tarlo, durante quelle serate musi­ Felice Romani, allora all’apice della carriera. Forse il Roma­
cali, era per Nina un evadere dai suoi pensieri. ni preferiva essere considerato poeta più che librettista: ave­
Sedeva impettita come a teatro, poi via via si rilas­sava, va sposato una Bran­ca, la cui sorella, Emilia, era moglie di un
chiudeva gli occhi – molti dei brani suonati dal cugino li ave­ Cambiasi dal quale (per chi è curioso di genealogie) sarebbe
va suonati anche lei, ma era abbastanza obiettiva da capire poi di­scesa nientemeno che la nostra Liala (pseudonimo di
che lui li eseguiva meglio. Mozart, Schubert, Chopin... C’era Amalia Liana Cambiasi Negretti...). Tra gli amici del Romani
quella sonata di Mozart – la K 5/6 – che amava particolarmen­ c’era Lazzaro Rubizzo, genovese anche lui – e a un certo punto
te con quell’allegretto precipitoso, quel vorticare di note che era ricomparso quel Pareto col quale Anna aveva flirtato prima
dilagavano nella sala e sembrava l’aggredissero da tutti i lati. di conoscere Camillo, e dal quale non le dispiacque ora tornare
Tristezza e gioia si alternavano in lei in quei momenti, rivede­ ad essere corteg­giata. Carlo era un tipo tutto particolare, da lui
va se stessa bambina – perché sono nata? Cosa ci sto a fare in Anna si sentiva capita, erano, si diceva, due anime perse, due
questo mondo?... E il minuto dopo pensava a come fosse bello reietti della società: ma sì, doveva essersi detta, tanto vale... Ma
trovarsi lì, in quella sala ricolma di note e di una strana, strug­ non aveva fatto i conti con la ripugnanza che un contatto fisico
gente – fuggevole – felicità. E ancora, con­traddittoriamente con la pelle di uno che non fosse Camillo le avrebbe procurato.

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Quella di Camillo odorava di buono, una pelle fresca, «povera figlia...» col faz­zoletto agli occhi.
giovane: quella del Pareto aveva un odorino mal­sano, un po’ E il marchese Stefano rincarava la dose. Pazza, sì, pazza.
acido: se n’era ritratta con disgusto. Do­po quella prima volta Non lo credeva, ma anche a lui conveniva cre­derlo: per di­
non aveva più voluto vederlo: si era odiata, anzi, per avergli fendere il suo buon nome. Fatto becco sì, ma da una donna
ceduto: le sembrava di aver tradito Camillo, ed essersi resa irresponsabile: non si poteva nem­meno fargliene una colpa.
indegna di lui. Si sentiva generoso nel dir­lo: con lei era di una gentilezza esa­
E tuttavia quando il medico cui si erano rivolti a Mi­lano gerata, le parlava come si parla a un malato: «vuoi un medi­
consigliò loro di consultare uno specialista di To­rino (il dottor co? Non pensi che dovresti farti vedere da un medico?». Lei
Francesco Rossi, per la precisione) An­na non seppe trattener­ non l’aveva mai odiato tanto. Quel sorriso beffardo, che Anna
si dallo scrivergli chiedendogli un incontro. aveva imparato a temere più delle sue paro­le... «Je supporte-
rais mieux sa colere que sa douceur...» avrebbe scritto una volta
*** a Cavour.
Oltre al consulto col dottor Rossi, Anna aveva in mente di
Fu quella lettera a porre fine a un silenzio di anni. Durante trovare, a Torino, una sistemazione per la fi­glioletta Teresa.
i quali c’era stato Milano, appunto, e un peg­gioramento della Ma il vero, inconfessato scopo del suo viaggio, era la speranza
sua salute di cui nessun medico era riuscito a venire a capo. di rivedere Cavour.
Nervi? Cuore? Non era chiaro: tanto bastava perché tra le sue E infatti, appena arrivata, gli scrisse. Una lettera scombi­
conoscenze prendesse corpo la convinzione di una sua insta­ nata, febbrile. «Dio non so neanch’io perché ti scrivo – addio,
bilità mentale. spero di vederti. Sarò all’Hotel Foeder».
Pazza, si cominciava a sussurrare di lei. Perché que­sto La lettera raggiunse Camillo a Grinzane: perplesso,
avrebbe spiegato tutto. Le sue stranezze: le sue frequenta­ dovette averla letta e riletta prima di coglierne a pie­no la
zioni. Oltre alle amiche di sempre ultima­mente si era legata a portata.
Bianca Milesi-Mojon e al suo entourage, guardato con sospet­ Era il passato che tornava con quella grafia minuta, quel­
to dalle autorità e con antipatia, oltre che con sospetto, dalla le parole, quell’invito che suonava come una ri­chiesta di aiu­
famiglia. La Milesi e suo marito, il farmacista Mojon, avevano to. Nina!... Come aveva potuto dimen­ticarla, vivere senza di
rap­porti con Mazzini, e anche questo doveva essere stato no­ lei tutti quegli anni?... Non esitò un momento. Mi chiama,
tato e commentato a suo sfavore. mi vuole.
Pazza, sì. L’idea prese campo, e la famiglia non la smentì... D’improvviso sentì di volerlo anche lui – di averlo sem­
Le conveniva. Manin, sua madre, alzava gli occhi al cielo. «A pre, senza dirselo, voluto. Fece sellare il cavallo, e senza
noi è toccata» – sottinteso, questa disgrazia. Per soggiungere pensarci due volte, partì per Torino.

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pauvre amie des plus fades et insipides discours...» annota Camillo
*** nel suo diario. Discorsi fatui e insipi­di: che erano poi gli stessi
che anche lui sentiva quan­do frequentava i salotti. Secoli fa,
Quanto al perché di quella lettera, lo leggiamo, tra­scritto di gli sembrava oggi: averla vista qui aveva cancellato quelle vec­
suo pugno, nel diario di Camillo. chie abitu­dini, le aveva rese in qualche modo indegne di lui.
«Je ne croyais pas, en cédant à l’impulsion irrésistible qui me E a maggior ragione di lei, attorniata da quei perdigiorno dai
forçat à t’écrire, n’agir dans mon intérêt, ne faire qu’un acte du plus quali sembrava lontana anni luce. E tuttavia - noblesse oblige, si
pure égoisme: non je ne le croyais pas. Des larmes brûlantes roulaient diceva quando vi si vedeva costretto.
dans mes yeux: mes lèvres étaient agitées par un mouvement convul- Quando si è “qualcuno” – e lui senza dubbio lo era – se si è
sif, je frémissais de me voir asservie à ce point par les passions: enfin invitati si deve bon gré mal gré accettare l’invi­to. Una legge non
d’une main mal assurée, craignant que tu n’eusses contracté d’autres scritta lo impone: un falso dovere, l’avrebbe definito Camil­
engagements que je ne voulais pas rompre, je traçais le peu de lignes lo: forse perché appunto di quel dovere gli bruciava di essere
qui ont décidé de notre sort. Il le fallait, je me serais éternellement vittima. E lei – ah lei con quei grandi occhi pieni di lacrime –
reprochée de n’avoir pas tout fait pour sentir ta main presser la «Dieu quel charme dans ce regard! Que de tendresse et d’amour!...»
mienne, une fois au moins...». costretta a quella sciocca compagnia quan­do entrambi brucia­
Queste le parole riportate da Camillo: che poi le abbia rife­ vano d’impazienza – «nous brûlions d’impatience...».
rite esattamente, non si sa: ma avendole scritte a caldo, la sera «Enfin nous restàmes seuls. Helas! L’abondance de choses que
stessa del loro incontro, c’è da presumere che lo siano state. nous avions à nous dire étouffait la parole dans nos gorges...».
Letta la sua lettera, si è visto, era corso a Torino.
Ma all’albergo Anna non c’era, gli dissero che era andata ***
a teatro.
In platea, percorrendo con l’occhio le file dei pal­chi, final­ Ne avrebbero parlato in seguito di quelle cose, all’albergo
mente l’aveva vista. E anche lei nello stesso momento si era Foeder, dove Nina gli aveva dato appunta­mento per l’indo­
girata: come obbedisse a un richiamo. mani.
Anna, si è visto, amava la musica. Ma da quel mo­mento E lui intanto, dopo averla lasciata, aveva capito che doveva
in avanti non avrebbe saputo dire né cosa fos­se venuta a sen­ starle vicino, soccorrerla, compensarla in qualche modo del
tire, né perché. Un’opera? Ma quale? C’era Camillo vicino a male che sia pure involontariamen­te le aveva fatto.
lei, e solo di questo era con­scia. Gli avrebbe buttato le brac­ «... En approchant du moment où je devais me trouver vis-a-vis
cia al collo ma non erano soli nel palco, doveva controllarsi. de l’Inconnue, de celle que j’avais si cruellement traitée et qui aurait
«Sa loge était pleine, les insupportables ennuyeux assommaient ma eu tant de motifs pour me haïr, je me sentais saisi d’un trouble inex-

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primable, et je redoutais de cette entrevue que je souhaitais quelques zione di quella scelta. Stefano, marito di Anna, aveva bollato
heures auparavant avec tant d’ardeur...». la loro storia con quelle stupefacenti parole – «che volete, è
(Come si vede, ancora nel suo diario Camillo si ri­feriva a una passione!».
Nina come all’Inconnue.) Il marchese Michele non disse così, ma dovette pensarlo:
Deciso dunque a lasciare Grinzane e trasferirsi a Torino augurandosi, padre di larghe vedute qual e­ra, che per lo meno
per esserle più vicino, volle far parte della sua decisione al fosse una passione duratura.
padre, che si trovava a Santena. Cercò una carrozza, non ne
trovò: e allora, impetuoso com’era, e deciso a recarsi a San­ ***
tena ad ogni costo, si risolse a andare a piedi. Una ventina di
chilometri, co­sa saran mai stati?... Era una notte di luna piena, Torino – i giorni di Torino – segnano una svolta nella storia
un paesaggio in bianco e nero e un silenzio, una pace... «Ra- di Anna e Camillo.
vissante promenade» la descrive nel suo diario, «quand retrou- Perché fino a quel momento quella storia sembrava a un
verais-je des émotions aussi elevées que celles que j’ai ressenti cette punto morto.
nuit?...». Dove sembra di sentire un’eco di un passo del Don Lei a Milano, lui a Torino, o a Grinzane: e niente più lette­
Juan di Byron, il suo poeta preferito: «la vergine luna che rive­ re, né da parte di lui né di lei.
ste di un santo prestigio gli alberi e le torri, che dà a tutta la na­ Invece, d’un tratto, eccola rimessa in moto da quel­
tura un carattere di bellezza e di intima soavità, s’insi­nua pure l’incontro. Anna non era uscita mai dall’albergo, sal­vo quella
nel cuore e vi sparge un amabile languore che non è riposo...». sera, per andare a teatro (purtroppo non ci è dato sapere di
Ho visto Anna – la rivedrò domani. E camminava spedito. quale teatro si trattasse – non il Re­gio, perché la stagione fi­
Mai era stato così felice, e per una volta non immeritatamen­ niva con la Quaresima – e se era di giugno – il Carignano for­
te, perché nel palco lei aveva avuto pa­role così dolci per lui da se?...) altrimenti se ne stava in camera e non riceveva nessuno.
farlo sentire assolto da ogni colpa. Tutto come prima dunque, Quando Camillo si recò all’albergo per vederla, nella hall si
anzi meglio di prima. imbatté nel marito, e questi non sembrò sorpreso di trovarselo
Sennonché, sulla spinta di quelle emozioni, dovet­te aver davanti, «Cerca Anna? È di sopra». Quanto a lui, lui stava an­
sopravvalutato le sue forze, perché arrivato a Moncalieri sentì dando in piazza per vedere il ferreau, ovvero il falò della notte
che non ce l’avrebbe più fatta. Pre­se un calesse e si fece por­ di San Gio­vanni. Cortese, sorridente, come se fosse la cosa più
tare a Santena, dove arrivò alle tre del mattino. Suo padre dor­ naturale del mondo vederselo apparire in albergo, e a quell’o­
miva, quando si svegliò gli raccontò tutto; suo padre lo ascoltò ra. Camillo ne fu sconcertato.
in si­lenzio – cosa poteva dirgli? Camillo era un uomo, li­bero Era, l’Hotel Foeder, in via Bogino; e mi sono già chiesta
delle sue scelte. E quel silenzio era forse una ta­cita approva­ se questa quasi omonimia con l’Hotel Feder di Ge­nova fosse

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soltanto un caso, per giungere alla conclu­sione che potevano aveva esitato: Vinadio, assolutamente. St. Gervais era in alta
invece, entrambi, far parte di quel­la che si dice oggi una cate­ Savoia, troppo lontano! A Vinadio invece Camillo avrebbe po­
na alberghiera – lo Star Ho­tel, il Jolly – e allora perché non il tuto raggiungerli con più facilità (oltretutto la madre di Camil­
Foeder?... Gestiti entrambi da una sola famiglia?... Non so, è lo stava proprio facendo la cura di Valdieri). In realtà, neanche
un’idea mia, la butto lì senza pretendere di averci azzeccato. Valdieri era molto vicino a Vinadio, lo sarebbe stato in linea
Via Bogino era una strada austera, palazzi austeri, finestre d’aria ma c’era una montagna di mezzo e nemmeno la strada
e portoni che ne sottolineavano (confermava­no?) l’austerità, – meglio, la mulattiera – che l’aggirava ne facilitava l’accesso.
percorsa quella sera da una brezza quasi estiva. La vigilia della loro partenza, Camillo venne all’al­bergo
In camera Anna era sola, aveva l’aria abbattuta, lui le baciò per salutare Anna con un regalo inaspettato: un ventaglio e
prima le mani, poi poco a poco, incoraggiato dal suo silenzio, una cartina. «Ti sarà utile» aveva det­to «per capire la distanza
prese a baciarle il collo, il viso, la bocca. tra Vinadio e Valdieri».
Quello che vi successe dopo lo ritroviamo nel dia­rio di Ca­ Nella diligenza erano in tre, Stefano, lei e la came­riera
millo: «... Tout est dit: une ère nouvelle com­mence pour nous à partir Adele. Anna continuava a infilarsi e a sfilarsi i guanti, poi sic­
de ce soir. Après quatre années de luttes et de malheurs, ce que le sort come suo marito la guardava smise e stette quieta per un po’.
avait de­stiné s’accompli. L’amour triomphe...». Dietro le palpebre abbassate rivedeva il gesto che Camillo
E tuttavia per Anna dovette essere più importante quello aveva avuto nel porger­glieli. «Per scaldare queste mani così
che si dissero che non quello che fecero, per quanto piacere fredde» aveva detto, e si capiva che avrebbe voluto baciar­
possa averne tratto. La sua era una passionalità tutta di testa, gliele, e che solo la presenza del marito lo tratteneva dal farlo.
un elucubrare, fantasticare, introiettare. Già pronunciare il Fuori dal finestrino intanto il paesaggio scorreva, mono­
nome dell’amato era un godimento e ricordare anticipare rivi­ tono – colline, vigneti, gruppi di case che sem­bravano tutte
vere il massi­mo che potesse sopportare. Con la voglia inesau­ uguali. E poi via via l’aria si faceva più fine, più strette, più
sta che tutto si ripetesse, che continuasse a ripetersi, che non dirupate le montagne. I cavalli avevano cambiato passo, la
avesse a finir mai. strada saliva, saliva, ad ogni tornante le montagne si levavano
più incomben­ti e più scure...
*** Per lei la montagna era un mondo sconosciuto, di cui forse
in un altro momento sarebbe stata curiosa. Ora no, nessuna
Ma Torino per i Giustiniani era solo una tappa del loro curiosità, solo disagio, vuoi per la presenza del marito, vuoi
viaggio: la vera meta era Vinadio, i cui bagni era­no stati con­ per la lontananza da Camil­lo. «Ma perché il dottore non mi
sigliati ad Anna dal medico che l’aveva vi­sitata a Torino. O ha prescritto le ac­que di Valdieri?... Dicono che sono simili a
Vinadio, o St. Gervais: ma di fron­te a quell’opzione Anna non quelle di Vinadio e non avresti avuto problemi per raggiunger­

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mi» avrebbe scritto a Camillo. C’era qualcosa di in­quietante quando tornava dai bagni veniva colta da una spossatez­
in quelle forre, in quei corsi d’acqua, in quelle rocce che af­ za che preoccupava Adele. «Signora, non sta bene?». No,
fioravano scabre, come sputate fuori da uno sconquasso vul­ stava male, anzi malissimo, e la solle­citudine di Adele le
canico... dava solo fastidio. Non voleva uscir di camera anche se la
Dondolava la carrozza, e Anna si abbandonava a quel don­ direttrice l’aveva pregata (tramite Adele) di scendere alla
dolìo, era con Camillo, chérie, diceva lui, e ora ricordava come table d’hôte. Poi dalla stessa Adele aveva saputo che il suo
la sua voce si facesse roca dal de­siderio, una voce che a ripen­ rifiuto rischiava di esser preso per un atto di superbia, e per
sarla le metteva dentro un calore, un rimescolìo... Volse il capo non ini­micarsela (aveva sempre in mente l’eventualità di
perché Stefa­no non avesse ad accorgersi del suo rossore. una visita di Camillo) acconsentì a scendere. Il salone era
Sono un’adultera. Lo sapeva, ne era cosciente, e tuttavia semivuoto, spoglio, con vetrate impolverate, e una vi­sta su
non provava rimorsi – non poteva essere una colpa amare un un piazzale reso più desolato dalla presenza dei pochi stenti
uomo come Camillo, Dio l’aveva mes­so sul suo cammino per abeti che lo circondavano. Dalla sua ca­mera la vista non era
alleviare le sue sofferenze, e amarlo era per lei un diritto e più allegra: qualche casupola se­midiroccata – «quelques hut-
anche un dovere, sì, un dovere che la impegnava cento volte tes chétives» per usare le sue parole – «je crois qu’on y meurt de
di più che non quello verso il marito. faim...» e die­tro, la montagna.
Purtroppo quella lettera, scritta la sera stessa del suo ar­
*** rivo, raggiunse Camillo solo la settimana dopo.
Era una delle tante intercettate dal marchese Stefano,
E finalmente eccoli a Vinadio. Un viaggio di tre giorni che poi però aveva deciso di fargliela recapitare. La secon­
(partiti da Torino il venerdì erano giunti a Vinadio la dome­ da invece non gli arrivò mai; la conosciamo noi perché, sia
nica) aveva ridotto Anna allo stremo delle forze. Oltre tutto, pure col sigillo manomesso, fa parte del mazzetto rinvenu­
che posto squallido! L’alber­go era nuovo, ma già con un che to nello stipo di Nelson Gay: non la conobbe Camillo che
di frusto, di stantio. Sarà stato l’odore dei panni militari?... Un a Torino si inquietava per il si­lenzio di Anna, non sapen­
distacca­mento di soldati infatti vi era alloggiato per la cura del­ do capacitarsi che lei, dopo tante promesse, non si facesse
le acque. Ragazzi giovani – e tutti si erano assiepa­ti all’arrivo viva. Questa, come molte altre; il marchese Stefano infatti,
della diligenza, forse l’unico diversivo nel­la monotonia delle apparente­mente così ben disposto verso Camillo (aveva
loro giornate. Ma presto Anna avrebbe percepito – e patito – insisti­to più di una volta perché venisse a trovarli a Vina­
un altro odore, quello solforoso delle acque che, malgrado la dio!) non si faceva scrupolo di intercettare le sue, an­zi le
distanza dallo stabilimento, ristagnava ovunque. loro lettere, e trattenere quelle che a suo giudizio gli sem­
Per due giorni Anna risentì dello strapazzo del viaggio: bravano più compromettenti.

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ri­sultato: la cugina si era rifiutata di fare da intermedia­ria, e si
*** suppone un certo sdegno nel suo rifiuto. Per­ché infine, crede­
va davvero Anna, che si sarebbe pre­stata a farle da mezzana?...
«Lundi matin: il sait tout: il a eu le temps de lire les adresses, je L’umiliazione acuì in Anna il senso di essere ormai considera­
m’attends à ce que l’orage éclate... Mon Dieu je n’ai pas dormi, je ta una repro­ba dal parentado, a cominciare da sua madre con
pensais à toi, à tes lettres, à mon pére, à ma fille... Si je fermais l’œil la quale aveva praticamente rotto ogni rapporto.
c’était toujours la mime inquiétude: je me réveillais en sursaut...». Sua madre! Mai Anna avrebbe pensato che potes­se essere
Inquieta, insonne, Anna non trovava posa... Que­sti bagni così dura con lei.
non mi fanno niente. E ora Stefano chissà cosa farà, cosa mi Lei, l’unica sua figlia! Come poteva non capire che se si
dirà. Comunque niente potrà dire che mi faccia rinunziare era legata a Camillo non era per capriccio – no, non come le
a Camillo. Mai mai mai, piut­tosto morire. Ah morire... ma­ altre volte col Pareto, con quell’altro inglese – ma perché l’a­
gari lo potessi; mi pesa, questa vita. Troppi pensieri, troppe mava con tutta se stessa, e sareb­be stata pronta a dar la vita per
angosce. E Tere­sa, la mia Teresina starà bene in quell’Isti­ lui... «Je veux vivre et mourir en l’aimant...».
tuto?... Avrò fatto la scelta giusta per lei?... Ma tornerò presto
a Torino, vedrai. Tornerò per vedere te e – Dio mi perdoni, ***
soprattutto per vedere lui, Camillo. Oh amore mio, almeno
ricevessi un tuo scritto. Ma riu­scirò a riceverlo senza che lui Strano periodo per entrambi, quello di Vinadio.
me lo sottragga pri­ma?... Le lettere intercettate, gli sbalzi d’umore del mari­to – sì,
E allora si alzava dal letto, cercava sul comodino i fiam­ Cavour può venire a Vinadio – e poi – no, no, non voglio che ci
miferi, accendeva la bugia. Apriva le finestre – ah respirare venga – e poi di nuovo sì, ma come chi viene in visita – surtout
un po’ d’aria – era aria buona, e poi c’era questo rumore d’ac­ pas de cachotteries – e an­cora il sospetto – ma più che sospetto
que, chissà da che parte veniva, non si era ancora orientata ormai la certez­za – che lui si servisse di Adele per sorvegliarla
bene. «Je m’attends à ce quel’orage éclate» aveva scritto a Camil­ – not­ti insonni, e il peso di una cura dalla quale non le sem­
lo. Strana­mente ancora non era scoppiato. L’indomani con brava di trarre alcun beneficio... A che prò restare qui? Stefano
Ste­fano avevano parlato di tutto e di niente, però era chiaro parlottava con Adele, tema, ovviamente, le lettere di Camillo
che lui la sorvegliava, che si serviva della com­plicità di Ade­ – quelle che incautamente aveva affidato a lei. Un mattino lui
le... Quella notte Anna aveva escogita­to un piano: si sarebbe andò a Milano, al suo ri­torno Anna l’affrontò: «O lasci che io lo
rivolta al cugino Della Torre chiedendogli se poteva usare il veda, o me ne vado».
suo indirizzo per farsi recapitare le lettere di Camillo. Anche a E Stefano si spaventò. Anna era capacissima di far­lo, e
una cugina aveva chiesto la stessa cosa, ma quella volta senza l’abbandono – da parte sua – del tetto coniugale, avrebbe

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costituito agli occhi del marchese uno scan­dalo ben peggiore ora ne aveva la conferma. Era lui, piuttosto, a consi­derarsi in­
che non la sua tresca con Camillo. Macchina indietro dunque, degno di lei: anche se, in un empito di sin­cerità, Nina aveva
e una scenata quasi da vaudeville. voluto dirgli tutto di sé, e accusarsi – e scusarsi – della sua non
«Ti prego ti prego non lasciarmi!», supplicava. Lui, Stefa­ sempre esemplare con­dotta.
no! L’uomo freddo, padrone di sé, il marito che sempre le si Tutto ciò, senza scalfire di un’unghia il rispetto e la stima
era sempre rivolto con disprezzo e che ora di fronte alla pro­ che Camillo nutriva per lei. Salvo poi, una volta che l’ebbe
spettiva di perderla, si prosterna­va davanti a lei piangendo lasciata (da Vinadio si era recato a Valdieri dai suoi genitori),
come un bambino! cedere alle lusinghe di un’altra gentildonna, quella Clemen­
tina Guasco di cui ho det­to poco prima, passionale ed esaltata
*** quasi quanto Nina. Inutile nasconderlo, Camillo era troppo
sensi­bile alle profferte amorose delle tante signore che gli
A Vinadio, dunque, Camillo venne. sciamavano intorno. Nel caso di Anna e della Guasco, come
Anna era stata precisa nel dargli tutte le informa­zioni utili già detto, Camillo avrebbe faticato non poco a districarsi in
per arrivarvi, d’altronde c’era un solo al­bergo – tu entri, giri a questo duplice viluppo: ma per adesso siamo ancora a Vina­
destra, prendi la scala, c’è un corridoio, tre camere, la mia è la dio; luglio, le serate sono fresche, Anna è sempre ravvolta in
prima – ma vai tran­quillo, mio marito sa del tuo arrivo e la tua uno scialle, Camillo pre­muroso con lei, gli ospiti dell’albergo
visita pas­serà per la visita di un amico – nessuna cachotterie, che ovviamente in­curiositi e forse anche un po’ scandalizzati di
è la cosa che lui più teme. questo anomalo ménage à trois: la storia con la Guasco non è
E, va detto, il Giustiniani si comportò bene – («le mari m’a ancora giunta al suo apice, la scelta di Camillo non è ancora
fait un excellent accueil, et tout s’est passé le mieux du monde!» esulta stata fatta.
Camillo nel suo diario). Ac­cenni a quei pochi giorni trascorsi L’idea era che, finita la cura, la coppia dovesse pro­seguire
insieme non ne fa, si dovranno leggere tra le righe. Quel che è per Voltri. E, finalmente, venne il giorno del­la partenza. De­
certo è che i due dovettero godere dell’intimità più completa. monte, Cuneo, Savona. Ad ogni cam­bio di cavalli Anna spe­
Ma dov’era il marito?... Non so se desti più sdegno o ammi­ diva a Camillo una lettera, si serviva, per scrivergli, di una
razione la discrezione che mostrò lasciando loro campo libero. cartellina da viaggio – la sua grafia minuta è intuibile più che
Ma l’ho già detto, tutto in lui era con­traddittorio, generato dal­ leggibile, ma Ca­millo ci ha fatto l’occhio e non fatica troppo
la gelosia e dall’orgoglio, ol­tre che da una sorta di autolesioni­ a deci­frarla.
stica tendenza alla sfida. Certo, momenti d’estasi per lei, di Così da Millesimo:
emozione, di passione persino, per lui: se già a Torino aveva «Deux lignes Camille pour dire que je t’aime...».
avuto modo di rendersi conto di quanto Nina gli fosse cara, E da Savona:

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«Camille je t’adore et ce mot n’en dit pas assez...». Madonna col Bambin Gesù. Sopra la statua – non di grande
E, qualche ora più tardi, ancora da Savona: valore, comunque abbastanza da attirare l’attenzione di qual­
«Camille que je t’aime! Je suis entourée d’objets qui viennent de che malintenzionato che la portò via – sopra la statua, dicevo,
toi. Ce papier même, tu me l’as donné. Ton portefeuille chéri est là, una lampada, che volle sempre accesa affinché – riferisce un
devant moi, j’y ai tracé bien quelques lignes, en voiture, je l’ai porté, biografo – «i marinai la scorgessero e la venerassero». Desi­
pressé sur mes lèvres...». derio che venne rispettato dalla Duchessa, subentrata nella
È quasi monotona in quest’insistenza nel procla­margli il proprietà, anche dopo la sua morte.
suo amore. Monotona, e forse ormai preda di quella follia che Ma è chiaro che a Nina Voltri non piaceva: «qui», dice,
i suoi da tempo ormai davano per scontata. Pazza. Sì, ormai la «non ci sono parchi né boschi. Qui tutto è ari­do, volgare. Sì,
voce circolava, insistente. c’è il mare, il suo muggito: e in questo c’è dignità. Ma intorno
E Anna davvero non faceva niente per smentirla. gli oggetti sono secchi, neri, pesanti...».
A quali oggetti si riferiva?... A quei radi cespugli, alla pietra
*** dei sedili, alle barche tirate in secco sulla ri­va?... O forse la
pesantezza stava nell’assenza di Ca­millo, nella poca soddisfa­
Voltri. zione che traeva dalle sue lettere, nell’altalena di speranze e
Si vorrebbe che Anna si fosse diffusa di più sul suo pri­ incertezze circa una sua progettata visita?
mo soggiorno a Voltri. Fine estate, Voltri è al suo meglio, chi Eppure Voltri era bella, colline brulle d’accordo, però di
– come i Giustiniani – vi avevano una vil­la, l’ideale per ve­ tanti toni di verdi, bruciati, violetti, rossastri, giallini. E l’aria
nirci in villeggiatura. Una villa – me­glio, un palazzo – grande, profumava di pitosfori e di rose sfatte.
maestoso, tre ordini di fi­nestre, davanti, una qualche specie di Ma no, niente di questo la interessava. A lei importava
giardino, più oltre il mare. Sul retro, la collina dove si arram­ solo – nelle sue lettere – ripetergli il suo amore. «... Tu me dis
picava la “villa” come era inteso a Genova, nel senso di orto, que tes lettres sont des répetitions perpétuelles du mot je t’aime. Et
frutteto, capanno per gli attrezzi e altro. E parte con­finava col les miennes sont-elles autre chose?... Le sentiment qui nous anime, ne
parco della Villa Brignole Sale, diventata poi della Duchessa doit-il pas nous suffire et remplir notre existence? Ce mot “je t’aime”
(di Galliera, ovviamente). L’accesso tra palazzo Giustiniani répété pour la millionésime fois n’en frap­pe pas moins doucement
e Villa Brignole Sale non era recintato, per cui Nina e Ca­ mon oreille...». E quante va­rianti sul tema era capace di inven­
millo volentieri vi sconfi­navano nelle loro passeggiate. C’era, tarsi! Nessuna pa­rola era mai uguale all’altra, tutte scaturivano
comunque, tra le due proprietà, un muraglione, o viadotto, da una fantasia capace di passare dalla seriosità alla frivolezza,
in cui An­na, a ricordo di quelle passeggiate, volle fare inse­ dalla badinerie salottiera alla passionalità più sfrenata.
rire una nicchia e nella nicchia collocare una statuina del­la Solo, en passant, qualche accenno alle sue giornate. Le vi­

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site che riceveva – venivano amici dalla città, qualcuno si fer­ platonici: ci saranno state (a Voltri come a Vinadio) notti in
mava due giorni, qualcun altro una set­timana. Alberti, socio di cui con l’orec­chio teso lei aspettava un graffiare alla porta, un
Stefano, era di casa. Si gioca­va a boccette; a goffo. Anna avreb­ colpetto, un segnale qualunque all’udire del quale lei si sarà
be voluto star sola, libera di scrivere a Camillo, o per lo meno precipitata ad aprire... Nelle lettere, di quei rap­porti non c’è
di pensar­lo; ma i suoi doveri di padrona di casa la reclamavano traccia, la modestia le vietava di esplicitarli come si farebbe
in salotto; spesso era pregata di sedere al pianoforte. Verrà Ca­ oggi senza pensarci due volte. E tuttavia sono sottesi in ogni
millo?... Sì, l’ha promesso, è stato Stefano stesso a invitarlo... frase, in ogni parola.
«... Viens Camille, viens vite, mon mari y consent et me plaisante «... C’est là que près de toi j’ai frémi de bonheur. T’en souviens-tu?
– viens mon amour que je t’embrasse, viens me consoler de l’aban- Et ce souvenir n’est pas confus, comme celui d’un rêve, et ce souvenir
don, des misères...». m’appartient, et si l’ave­nir est incertain, le passé ne l’est pas...».
«Ta visite pour demain a eu toute son approbation...» potrà Settembre, dicevo – e ce lo conferma lo stesso Ca­vour che
scrivergli l’indomani. E naturalmente Nina è tutta protesa a nel suo diario scrive di aver assistito a Vol­tri alla processione
quell’incontro. «di non so quale Vergine»... Dunque, quella della Natività di
«Tout sera embelli par toi: Voltri deviendra un Eden...». Maria? Cavour è nuovo a questo genere di eventi, lo descrive
Quando finalmente lui arriva, Voltri per lei diventa dav­ però con una dovizia di particolari che rivela, se non parteci­
vero un paradiso: riaverlo tutto per sé, potergli di­re quelle pazione, interesse. Tutto osserva, tutto annota. La ra­gazza
cose che finora ha affidato solo alle lettere... Anche la casa con la corona in testa, gli arcangeli che la fian­cheggiano – le
le appare sotto un’altra luce. Non avrà avuto intorno «par­ confraternite con le loro cappe arabe­scate. E i Cristi d’argento
chi né boschi», ma le colline alle sue spalle hanno i colori fissati sul “crocco” che i cristanti portavano infilati alla cintura,
netti di certe gouache del Garibbo – tutto come ritagliato da gli occhi fissi sul Cristo come se fissarlo li aiutasse a mante­
minuscole forbici­ne e incollato su un cielo color cobalto. In nerlo in equilibrio... Non a caso Cavour lo definisce «un bel
quelle gouache figurine si muovono in coppia, cappelli a tu­ colpo d’occhio».
bo di stufa, cuffie, parasoli e mantiglie. E allora pos­siamo Comunque non ci fu solo la processione per Camil­lo. Per
immaginare lei e Camillo come una di quelle coppie mentre averlo tutto per sé Anna inventava gite nei din­torni, un giorno
passeggiano per il giardino o si avven­turano nel folto del par­ a Vesima – la breve spiaggia, le barche, i pescatori: a lui pie­
co confinante lontano da oc­chi indiscreti. montese terragno pensava dovesse fare un bell’effetto: ma an­
Dove lei può abbandonarsi al braccio di lui, un po’ per che nell’entroterra, nel pae­sino dell’Acquasanta, nel Santua­
vera debolezza un po’ per il bisogno di ritrovare quel contatto rio reso famoso per le nozze che vi furono celebrate tra Maria
fisico che la rendeva languida e smemo­rata. Sì, l’ho detto, e Cristina di Sa­voia, figlia di Vittorio Emanuele I, e Ferdinando
non lo dico solo io, i loro rap­porti non dovettero essere solo di Borbone, re delle Due Sicilie: matrimonio combinato e ov­

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viamente poco felice: ma la cerimonia, pur celebrata senza notre entretien, que je t’écrive ce que tant de fois je t’ai répété: je
sfarzo, fece ugualmente scalpore in quel paesino fino allora t’aime, le temps que je passe avec toi me semble faire partie d’une
rinomato solo per le sue acque termali. autre existence... je doute quelques fois de la réalité de mon on bon-
Insomma per Camillo Voltri fu anche questo, la scoperta heur, tant il me paraît au dessus de ce que je pouvais imaginer...
di luoghi nuovi, di usanze nuove, ma soprattutto di un’An­ Alors je crois m’être élancée dans une dimension céleste, et entrevoir
na nuova, serena, gioiosa, euforica per­sino: per la quale quei une félicité immense et durable, qui enfin ne me laisse plus aucun
giorni dovettero significare il compenso di tutte le angosce, le vœu à former...».
apprensioni subite. Può scrivergli con tanta foga perché fino a poche ore fa lui
era ancora con lei, sulle labbra ha ancora il segno dei suoi baci,
*** addosso l’odore della sua giacca, delle sue mani. Ma poco a
poco – ah come fan presto le cose a cambiare intorno a lei. Di
Ci fu poi, per i due amanti, un secondo periodo di Voltri. colpo è come se su tutto fosse calata la nebbia.
Ottobre questa volta, qualcosa nell’aria che parlava di fine – Le case, la collina, il mare. Più niente, il buio tota­le. Nina
l’estate, la giovinezza, il corso stesso della vita. Camillo ave­ cammina come i ciechi, non guarda, non ve­de. Anche i suoni
va portato a Nina un suo ritrat­to, il celebre ritratto di lui col si sono spenti. Il mondo intorno a lei si è fatto muto, fermo, sa
ciuffo ritto sulla testa, autori la coppia Ramonini (purtroppo lo di cenere e sabbia. Ieri se­devamo su quella panchina... Ieri?...
stesso ri­tratto che Camillo ebbe il cattivo gusto di regalare a Ma no, secoli fa. Lui non c’è più, e il sole sparisce, c’è solo
Clementina Guasco, con la quale continuava la tresca iniziata questa nebbia – fuori e dentro di lei. Non ce la faccio. Non
a Valdieri...). posso. Lui era la mia vita, e quella vita mi è stata tol­ta. Cosa
«... J’ai été de Grinzane a Voltri passant par Sa­vone... Nina a été mi resta? La casa, le salette, i saloni, le lampade sopra al biliar­
bien contente de me voir, j’ai passé trois jours avec elle, sans presque do, il pianoforte – «Anna, ci suo­ni qualcosa!» – tutto questo
la quitter un instant... Son mari nous avait laissé le champ libre et appartiene a un altro tempo. «Stefano, se puoi scusarmi con
s’en était allé à Milan, ainsi nous en avons profité...». gli ospiti...», evita di guardarlo, ma sa che lui la osserva e il
Ah per Anna, averlo tutto per sé il suo Camillo, giorno e suo sguardo non è ostile, in quel momento forse prova per lei
notte, non pensare al futuro, vivere il pre­sente come se do­ qualcosa di molto simile alla pietà.
vesse essere eterno... Ma perché Camillo non scrive?...
Invece i tre giorni – dal 15 al 18 – son volati, il 18 Anna Vero, è partito, è dovuto andare a Ginevra dalla zia Cler­
prende la penna e gli scrive: mont-Tonnerre: non avrà trovato il tempo. Se lo dice per rassi­
«Camille, il y a peu d’heures que tu m’as quittée, ma pensée te curarsi, e intanto ogni giorno da Voltri – e più tardi, da Genova
suit – il faut que je te parle, que, sans rien t’apprendre, je continue – parte una lettera per lui.

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«Tu t’éloigne, il le faut – quand te reverrais-je? Notre dernier dirais la malheureuse mission qui m’est échoué! Moi, sans le vouloir,
adieu sera-t’ il bien long?...». instrument de colère pour ma famille, souffrant de ses peines et des
miennes, fardeau inutile, pensée désespérante pour ceux qui m’ont
*** donné l’être, pour ce qui m’entoure; enchainée à toi, non exempte de
remords, que deviendrais-je, si l’idée que cette triste existence doit ser-
A Genova l’aspetta una brutta sorpresa. Il marito ha de­ vir à 1’accomplissement des décrets du Ciel, ne me donnait quelques
ciso di cambiar casa: troppo caro l’affitto di Pa­lazzo De Mari. repos? [...] C’est bien alors que cette folie dont on m’accuse s’empare-
Eccoli allora trasferirsi da piazza San Siro a Strada Nuova: in rait de ma tête détraquée»... «Oui folle, folle! Suis-je donc folle parce-
quel palazzo Lercari che fron­teggia la casa dove Anna aveva que je t’adore?...».
abitato coi suoi prima di sposarsi. (L’appartamento era dei De Questo credono, e soprattutto vogliono farlo cre­dere a me.
la Rüe.) Ma è forse pazzia amare Camillo?...
«Je suis installée dans un petit salon qui donne sur la rue Neuve, Anna si rigira nel letto, riuscisse almeno a prender sonno.
il est précédé par une série de grands salons, moins confortables que Un giorno ci riuscirò, e sarà per sempre. Oh Dio perdono, non
vastes. Tout cela est passablement morne...». so quello che mi dico. Ma non sop­porto che si pensi questo
Vasti quei saloni, e freddi, immagino: da attraversare alla di me. Che io sia pazza quando invece la mia testa non ha
svelta e senza soffermarsi sull’arredo o sugli affreschi che or­ mai funzionato co­sì bene. So chi sono, so dove sono, so chi mi
nano soffitti e pareti. Il palazzo è sontuoso ma tetro – morne è sta d’in­torno. Ho il controllo dei miei movimenti – meno, for­
la parola usata da Anna, ed è la parola giusta. se, dei miei pensieri, perché quelli vanno per con­to loro, cioè
Le petit salon è la sua tana, il suo rifugio, vorrebbe non la­ vanno verso Camillo. Sempre lui, sera e mattina. E gli girano
sciarlo mai: invece da quando è a Genova è un via vai di sarte, intorno, impossibile che lui non li senta. Io i suoi, ah, sempre
modiste, parrucchieri, il marito insiste perché esca con lui, si so quando mi pensa e quando ha la testa altrove.
faccia vedere in società, e si fac­cia vedere al meglio: «bella ti ... Adesso infatti tu stai pensando a un’altra, fai be­ne, hai
voglio, la più bella di tutte». A malincuore, Anna lo assecon­ bisogno di una donna meno assillante, meno innamorata. Ca­
da: è il minimo che può fare per farsi perdonare le sue colpe pace però di farti felice, mentre io – io solo crucci ti do, come
passate presenti e – si spera – future. Giacché non ha nessuna in questo momento il pensiero di come liberarti di me. Giura
intenzione di rompere con Camillo malgrado il diktat dei suoi: che non è così!... Ma mi conosceresti male se pensassi che non
o lui o noi, a te la decisione. sarei capace di farmi da parte. Mai vorrei essere un peso per
Ma Anna ci ha pensato, mai accetterà di lasciare Camillo. te: mai Camillo, perché ti amo, e chi ama vuole solo la fe­licità
E allora si appella alla Provvidenza: «Ah Camille, si je ne songeais dell’altro. Dimenticami.
souvent à cette Providence éclairée, bienveillante, que de fois je mau- Dimentica Vinadio, dimentica Voltri, dimentica i nostri

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pochi momenti di felicità. Sappi che non te ne vorrò mai tanto, legge sempre – non è come parlarne con Ca­millo, ah
per questo. ormai solo scrivergliene può! magro conforto – però poter dire
la sua su un libro o su un autore è un modo di sentirsi viva
*** e capace di espri­mere – e sostenere un’opinione. Così vacui
le sembrano al confronto i discorsi di quell’“altro” mon­do!...
Solo per compiacere il marito Anna si sottomette a quelle Libri – niente: spettacoli, giusto se è la moda a imporli, come
che chiama corvées mondane: balli, concerti, ricevimenti. imponeva la foggia di un cappellino, di una mantella. E la mu­
... Da Marinetta Pallavicino l’altra sera ha cantato, suonato sica, quella, intesa come di­vertimento – senza abbandonarsi a
il pianoforte, parlato, riso, fatto ridere i gio­catori interrompen­ quel linguaggio che forse – anche se dicendolo Anna sente di
do la loro partita di whist. «Enfin» scriverà a Camillo, «je ne pecca­re di presunzione – è dato a pochi di comprendere.
me suis pas reconnue...». Ma è successo una volta; in realtà in Tra questi amici ce ne fu più d’uno che s’innamorò di lei.
quel mondo Nina si trova a disagio. Oltretutto sente di es­sere E come avrebbe potuto non esserci? Era bella, era giovane,
oggetto di chiacchiere, di critiche, persino di scherno. (Dap­ era infelice: Giuseppe Gando, poeta al­lora abbastanza quota­
principio sperava – temeva? – di in­contrarvi sua madre. Una to a Genova, l’amò di un amore non corrisposto ma così de­
sera, a teatro, l’ha vista; cer­to anche Manin l’ha vista, ma ha vastante che quando Anna morì si fece prete. Non prima di
fatto finta di non ve­derla. E un’altra volta, in casa Brignole, averle dedicato que­sta poesia: «Penso la fronte ingenua / i fulgidi
si son trovate faccia a faccia; un cenno del capo da parte di capelli / i neri occhi sì belli / quegli occhi che sorridere / e sfa­villar
Manin, e tutto è finito lì. In società sua madre ha certo più cotanto / pur si vedean nel pianto / e il volto d’i­neffabile / dolcezza
credito di lei, ed è per sua madre che i più prendono partito. e il suon celeste / delle parole one­ste... / la passion de’ fervidi / anni
A lei tutti son buoni solo a offrire suggeri­menti, consigli, tutti che ti dié guerra / non mai provata in terra / penso il fatal misterio /
la esortano a troncare con Ca­millo. «Peine perdue» scrive Anna, del­la tua stanca vita / sì presto a noi rapita...». La poesia intera è
«t’aimer est pour moi un besoin, un devoir, je ne pourrais vivre après lunghissima, ne trascrivo l’incipit perché a modo suo fa il paio
t’avoir perdu».) col suo unico, celebre ritratto.
Così poco a poco si crea il vuoto intorno a lei. Di quella cerchia di amici facevano parte, oltre al Gando,
Il bel mondo la evita; in compenso c’è un altro mondo, lo storico G.M. Canale, il Prasca, Antonio Crocco, giurista, e
meno prestigioso ma più affine ai suoi gusti, che le si stringe ancora Carlo Pareto, cioè il giovane che l’aveva corteggiata
intorno e riesce a esserle in qualche modo di conforto. È un prima del matrimonio e ci ave­va riprovato – questa volta con
mondo di persone di cultu­ra, scrittori, poeti, storici. Con loro, maggior successo – du­rante il suo soggiorno a Milano. Infi­
come era già sta­to con Camillo, Anna si sente a suo agio. Può ne la coppia Laz­zaro e Bianca Rebizzo (quella Bianca, che a
parlare di musica, di teatro. Soprattutto di libri. Anna legge Genova ancor oggi è ricordata per la sua opera di educatrice),

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amici dei genitori di Anna più che suoi, tant’è vero che nel errori, Camillo: me li perdoni?».) E a propo­sito del processo
corso della vicenda di Anna e Camillo Lazzaro par­teggiò per che si teneva in quei giorni a Parigi e vedeva tra gli imputati
Manin, invitando anche lui Anna a rompere con l’amante. proprio il Carrel, reagì vivace­mente, anche se col suo solito
Solo in seguito finì per appoggiarla anche lui mostrando per humour, a certe dichia­razioni, o piuttosto boutades, di Camillo,
lei un affetto possessivo e morboso, e vedremo meglio fino a che avrebbe voluto vederli tutti morti – «... ma non sai che la
che punto morboso e malsano. Ma era comunque un amico pena di morte per motivi politici è un’atrocità ben gran­de?...
sulla cui spalla Anna ave­va potuto piangere senza il timore di In questo, mio dolce amico, non sarò mai d’ac­cordo con te,
essere giudicata. perché ho orrore del sangue...».
Questi, dunque, gli amici di Anna: gente impegnata politi­ Però il bisogno di allinearsi a lui aveva sempre la meglio
camente, o comunque di idee avanzate, frequen­tatori del sa­ sulle sue convinzioni. «... J’ai déserté la bannière de nos démago-
lotto di Negro nella villetta omonima, do­ve si dava convegno gues et je m’enrôle aveuglement sous la tienne...».
il fior fiore della cultura non solo italiana ma europea. Perché Aveuglement... A questo l’aveva ridotta la passio­ne per Ca­
la politica fu sempre un interesse primario per Anna. Per let­ millo, a sottomettersi ciecamente al suo pensiero.
tera ma anche a voce discuteva con Camillo, lo contrastava Cosa poteva dire, fare di più?
a volte, un po’ delusa da quello che sembrava a lei un venir Era l’ultimo tentativo per trattenerlo: destinato, purtroppo
meno alle sue idee di un tempo – ah, com’era lontano il te­ per lei, a non essere raccolto.
nentino che a Porta dell’Arco aveva gridato «Viva la Repub­ E allora parlarne con gli amici, fare – sentir fare il suo nome.
blica, Viva la Rivoluzione!»... E tuttavia pron­ta a passare dalla Doveva essere per lei come smuovere con l’attizza­toio le
sua parte, tant’è vero che «... sappi che sono sempre fautrice braci di un fuoco sul punto di spegnersi.
della politica tua, e che mi pongo sotto la tua bandiera. Non Perché, inutile nasconderselo, questo stava succe­dendo
hai che a dirmi quel­lo che vuoi e pensi, e io vorrò e penserò all’amore di Camillo per lei.
quello che mi dirai...», «Io non credo che a te, non voglio più
vede­re che con gli occhi tuoi, non so nulla tranne che amar­ti ***
tanto, dirtelo sempre, provartelo sempre...». Così gli scrive­
va: e tuttavia qualcosa in lei resisteva, vedere con gli occhi di Nel febbraio del ’35 scoppiò un incendio al Carlo Felice.
Camillo non doveva (non poteva) im­pedirle di pensare con la Era carnevale, fra palchi e platea un tripudio di ma­scherine,
sua testa. («... Perciò, nono­stante le mie risoluzioni, nonostan­ coriandoli, lancio di stelle filanti.
te la ragione, e più ancora, nonostante i tuoi argomenti irrefra­ Nina non c’era andata, non aveva voglia di confu­sione, sto
gabili, io mi sono appassionata per qualche repubblicano, e ho a casa con Alberti – disse al marito – vai tu, poi mi racconti.
reso ad Armand Carrel tutta la mia ammirazione... Ec­co i miei È quell’Alberti che abbiamo visto a Voltri, socio di Stefano

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e ormai di casa sia a Voltri che a Genova. An­na si era seduta al toi...» non può stupirci: an­che troppo ha fatto forza su se stessa
piano – la “cavatina” della Donna del lago che Camillo amava parlandogli del più e del meno.
tanto?... – poi se ne era stancata. «Lisez-moi quelque chose». A lui
piaceva leggere, a lei piaceva ascoltare, Alberti aveva una bel­ ***
la voce, faceva le pause giuste, tanto che a volte An­na metteva
giù il ricamo, incantata, con la gugliata in mano – ma la lettura «... Camillo caro, Camillo bello, te veuggio tanto ben, ma
quella sera era noiosa, a tratti Anna si assopiva. La luce tenue, quando te ou porrò dì. Son tanto fiacca, a me existensa a le così
le tende tirate, qual­che schiamazzo per strada... Fatto è che precaria che non ho coraggio de pensà a l’àvvegnì. Però, quello che
dell’incen­dio a teatro ebbe notizia dal marito al suo ritorno posso assegurà, le che ou me coeu ou sarà sempre to, viva o morta
dal mancato veglione. Incendio doloso, incendio colpo­so?... son a to – e tanto che questa machineta a m’a apparten a sarà
Il gesto (la bravata) di uno sconsiderato guastafeste?... «Non, to – vorreivo ese bella per piaxeite, voreivo ese forte e ben stante
je ne saurais le croire» scrive Anna a Camillo: perché non era e li­bera e avei molti dinai per seguirte de lungo apreuvo. Questi
nel suo carattere concepi­re vandalismi o inalazioni gratuite, son seunni: beseugna che m’adatte ae triste circo­stanze ne’ quali
quelle con le qua­li – tra mafia, camorra, macro e micro-crimi­ me treuvo, e che segge ben contenta che ti te ricordi de mi. Te daggo
nalità – ci ritroviamo a confrontarci oggi. Piuttosto un banale tanti baxi. Tutta a to, Nina».
incidente – ci vuole così poco, un moccolotto del proscenio, il Così scriveva Anna da Genova in un imprecisato giorno
mozzicone di un sigaro, la brace di una pipa... del 1835 – sulla data esatta nessuno dei suoi biografi è d’ac­
Un incidente sarà stato – ma sì. cordo. Quasi un anno che non lo vede, presto sarà tempo di
Il distacco fra lei e Camillo non è ancora avvenuto ma è tornare a Voltri e Camillo le aveva fatto sperare che sarebbe
nell’aria, e lo dice anche questa lettera tutto sommato frivola; venuto a trovarla: Anna si aggrappava a quel­la speranza – fi­
o che frivola vorrebbe sembrare. Già troppo l’ha assillato con nora non confermata. E a chiusa di quella lettera aveva voluto
i suoi je t’aime coniugati in tutte le salse, è giusto che provi a aggiungere quelle righe in genovese.
parlar d’altro, a diffondersi su fatterelli minimi, non perché Perché in genovese? Forse uno sfogo, e una sfida nello
pensi che a lui possano interessare (certo nemmeno a lei inte­ stesso tempo. O forse l’idea che scrivere in dia­letto fosse un
ressano molto) quanto per alleggerire il tono grave, un po’ modo più intimo di comunicare. Quel «te veuggio ben» in dia­
plumbeo, delle sue lettere. «Vedi che all’occorrenza so anche letto prendeva un tono diver­so dall’italiano, si faceva carezze­
guardarmi intorno, non vivere chiusa in me stessa come tu vole, affettuoso: co­me un alitarglielo sul collo, a occhi chiusi,
tante volte mi rimproveri di fare». persa nella vicinanza di lui, calore e odore. O conteneva forse,
Che poi a fine lettera si lasci andare a un «... Sache que je a sua insaputa, un messaggio?
pense continuellement à toi... Enfin, je te vois sans cesse, je suis toute à Ma no, niente ormai poteva raggiungerlo, la distan­za fra

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loro non sarebbe più stata colmata. rêveries plus chimeriques, lorsque la crainte d’avoir perdu ton af-
A Voltri Camillo non venne, non si sarebbero rivi­sti mai più... fection s’empare de moi [...] je ne puis former un vœu, je ne puis
m’arrêter a une pensée qui ne soient inspirées à la plus tendre sym-
*** pathie pour toi. Un sentiment de rancune ou de dépit ne saurait
trouver place dans le cœur qui t’aime: je souffrirais, s’il le faut, je
Sì: Anna se lo sentiva: quell’amore si andava spe­gnendo. ne t’en voudrais, jamais...».
Era il tono delle lettere di lui – amichevole sempre, ma
– appunto – amichevole, e basta: era la leggerezza con cui toc­ ***
cava – sorvolava – su argomenti importan­ti per entrambi – era
tutto questo, e forse altro anco­ra, difficile da definire in paro­ Intanto – si è sempre nel 1835 – in Francia scoppia il co­
le. Sennonché una don­na ha antenne che sanno captare certe lera, e dalla Francia arriva in Piemonte: voci allarmiste fanno
sfumature nel­l’umore dell’amato – che le dicono: preparati, pensare che presto sarebbe dilagato in Liguria. La situazione
quello che temevi sta per avverarsi. era estremamente pericolosa, suggeriva comportamenti e de­
Lui stava per rientrare in Italia dopo quel lungo soggiorno cisioni estreme.
all’estero che l’aveva portato prima a Gine­vra poi a Parigi, in­ Fu questo a sconvolgere la mente ormai disturbata di Anna?
fine a Londra, nella campagna in­glese, e in particolare in certe Basta, dev’essersi detta. D’improvviso tutto le era diventa­
zone minerarie del Gal­les; e voci le giungevano di una donna to insopportabile, la sua vita con Stefano, l’at­teggiamento del­
di cui si sareb­be invaghito, che addirittura stava per sposare! la sua famiglia. C’era un solo modo di uscirne: dal momento
Era l’estate del ’35, Anna era nuovamente a Voltri, solito che Camillo non sarebbe venu­to a Voltri – allora andare lei da
tran tran, pranzi, partite a boccette, serate al pianoforte, in più lui. Dovunque, e per sempre. Era una donna giovane, ma non
l’angoscia per il protrarsi del silen­zio di Camillo («... en vérité, lo sarebbe stata ancora per molto. E che gioventù era stata la
Camille, je ne sais com­ment je puis soutenir si longtemps et ton ab- sua? La vita le doveva una compensazione, e ora lei questa
sence et le retard souvent renouvelé de tes lettres...») e la paura che compensazione la esigeva: balzata in piedi dal­la poltrona era
quelle voci fossero fondate. scoppiata in una risata senza allegria – l’avesse vista suo marito
Non lo erano, Camillo ebbe, allora e in seguito, un’intensa in quel momento avrebbe avuto tutti i diritti di parlare di ‘‘in­
vita amorosa, ma al matrimonio non si ar­rese mai. Anna però stabilità menta­le”... «Il faut que je te fasse part d’un projet qui me
questo non poteva saperlo: nella sua abnegazione era pronta trotte par la tête depuis hier. Dis-moi si tu serais dispo­sé à retourner
a sacrificarsi se la donna che avesse scelto fosse stata in grado en Italie par le Semplon. En ce cas, j’iras t’attendre à Arona, qui est
di renderlo felice. placée sur la route et dans une position charmante...».
«Crois-le, Camille, même lorsque mon esprit est en proie aux Era, in qualche modo, una lettera farneticante, scritta sot­

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to l’impulso di un progetto che andava svi­luppandosi via via Il 31 luglio una diligenza la porta ad Asti, ma qui viene
(«... mes idées se pressent sous ma plume...») e ora la portava a propor­ colta dalla febbre: la lettera che scrive a Camil­lo è ancor più
gli di incontrarlo ad Arona, ora a Torino: sì, dovunque lui avesse farneticante di quella scrittagli da Vol­tri. Spiega (cerca di
volu­to. Ma doveva viaggiare in incognito, nessuno dove­va sa­ spiegare) perché si trovi lì. Chi legge intuisce confusione e
pere, nessuno doveva essere in grado di ricono­scerla. E dove follia, qualcosa che gli sfugge e che forse è il vero nocciolo
poteva andare senza essere riconosciu­ta?... «Tâche de déchiffrer della questione. Mille perché, nessuna risposta. Scrivendo, dà
ce gribouillage, excuse les bêtises que je débite, je t’aime je t’aime...». per scontate cose che forse erano state scritte in lettere pre­
Parossistica in quelle proteste reiterate d’amore, amore eter­no, cedenti, intercettate dal Giustiniani. (Il quale ave­va ripreso
amore esclusivo, che sarebbe finito solo con la morte... l’abitudine di controllare la sua corrispon­denza, inoltrarla o
L’idea di rivederlo le fa passare una notte insonne. Sul distruggerla a seconda di come gli girava.) C’è la quarante­
mattino esce di casa, Voltri, l’alba sul mare. Lei che scende na, non la fanno proseguire – davvero le circostanze le sono
in spiaggia, vede arrivare dei pescatori. Questi la riconoscono, avverse – mentre lei scrive a Camillo a Torino, Camillo da To­
la invitano a unirsi a loro. «Longue promenade sur l’eau»: si alza rino scrive a lei, credendola a Voltri. Una lunga lunga lettera
il sole, spetta­colo ravissant. Poi una visita in chiesa, la prima af­fettuosa e piena di buoni consigli, anzi di raccoman­dazioni,
mes­sa, poche vecchiette, lei prega, invoca Iddio, gli chie­de – perché il colera sicuramente sarebbe arriva­to a Genova e lei
neppure lei sa cosa, qualcosa di vague et indefini. doveva as-so-lu-ta-mente lasciare la Liguria, andare in Tosca­
Dopo di che sappiamo che si è procurata un passa­porto, e na – Pisa – Lucca, non im­porta purché in un luogo (un abri)
accompagnata da una cameriera (una «vec­chia fidata camerie­ sicuro. Lui è a To­rino in qualità di ispettore sanitario e non
ra», puntualizza un biografo: e in­fatti Nina non sarebbe certo può muo­versi, dunque niente Arona, niente Genova, il loro
ricorsa alla complicità dell’Adele!) mette in atto la sua fuga. incontro è rimandato sine die. Passato il pericolo, la rassicura,
Via, via da quell’inferno che ormai è diventata la sua vita, via tutto tornerà come prima e lui verrà a Vol­tri, verrà a Genova:
da Ste­fano, via da tutti quelli che vorrebbero dividerla da Ca­ non vede l’ora di riabbracciarla. Ah cara cara Anna, gli dia ret­
millo, cioè da tutto quello che aveva di più caro al mondo – ta in nome di Dio, lo faccia per sé ma anche per lui, perché
più caro persino dei suoi figli, dal momento – è ovvio – che sapendola in pericolo non potrebbe dedicarsi ai suoi impegni
per lui è disposta a lasciarli. con la calma necessaria...
Nella sua mente ottenebrata non c’è posto che per Camillo. Ma – qui si pone la domanda. È la lettera di un amante o
la lettera di un amico?
*** Perché se è vero che Camillo sentiva ancora per Nina
un forte legame, è anche vero che ne stava vivendo un
Ma Anna ad Arona non sarebbe arrivata mai. altro, analogo, con quella contessina Clementina Guasco,

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conosciuta a Valdieri. dove, né da chi. Oppure l’Adele, quella serpe – chissà cosa gli
Ma a differenza di lei Anna era generosa, concepi­va ama­ diceva di lei? Chiaro che più che la sua compagnia, il bambino
re come veramente volere il bene dell’altro. «Je ne te demande preferiva quella delle serve.
point d’être fidèle, tu es jeune, tu aimeras d’autres femmes...». Teresa, povera piccola, nemmeno lei era del tutto norma­
«Que pourrais-tu faire d’une femme toujours malade?». le. Aveva voluto portarla a Torino dalle suore del Sacro Cuore
Perché sì, se non malata, malaticcia Anna era sem­pre sta­ ma poi Manin era andata a prender­la per portarla ad Aix, dove
ta e le sue condizioni andavano peggiorando. Di qui forse i pare ci fosse un chirurgo in grado di operare quella malforma­
pensieri neri, lo spettro della morte sempre davanti agli occhi. zione all’anca che negli ultimi tempi si era fatta più evidente.
Spettro desiderato però, non temuto. Comun­que, senza farne parte ad Anna. Derubandola dei suoi
Anna comunque non tenne conto delle raccoman­dazioni diritti di madre, oltre che dell’affetto dei figli.
di Camillo. Ma forse di questo Anna si rendeva conto solo adesso, pri­
Andò a Genova, ma da quel momento – dal ritorno da Asti ma era troppo presa dal pensiero di Ca­millo.
– non fu più lei. O piuttosto fu quella che in nuce era stata fin Ora che lui non c’era più, il vuoto che le avevano creato
dall’inizio della loro relazione. intorno si era fatto palpabile. Sono sola. Ami­ci?... Ah, ma gli
amici sono così fatti che un giorno ti colmano di belle parole,
*** l’altro ti dicono che i tuoi ge­nitori hanno ragione, che parlano
per il tuo bene, che devi promettere di rinunciare a Camillo e
Che madre sono stata?... non solo a vederlo, ma anche a scrivergli...
Se lo chiedeva a volte, e la risposta era sempre la stessa: E io a questo non posso, no, non potrò mai rinun­ziare.
una cattiva madre, dal momento che non era riuscita a guada­ E invece poco a poco la loro corrispondenza si di­radò, fino
gnarsi l’affetto dei figli. a cessare del tutto.
Giuseppe era un bambino intelligente, ma intro­verso: ca­
ratteriale, diremmo oggi; che le dava poca soddisfazione. A ***
Voltri per qualche giorno l’aveva avuto tutto per sé.
«Vuoi bene alla mamma?...». Silenzio. Anna insi­steva – ah, Sì, lo sapeva: lei e Camillo non si sarebbero più ri­visti.
mai insistere con un bambino: ma era più forte di lei. «Tu aimes Come dicevano quei versi di Byron?...
bien ta mère?...». «Peu beaucoup». «Cosa vuol dire peu beaucoup? «... So we’ll go no more a-roving...».
Ce n’est pas une réponse». Nuovo silenzio. «Poco poco», voleva Versi che aveva imparato a memoria perché Camil­lo le
dire. Rassegnarsi. Era il padre a metterlo su contro di lei: c’e­ aveva insegnato ad amare Byron, e come poteva non amare
rano giorni in cui Stefano lo portava con sé a Genova, non si sa Byron amando lui?...

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«... So we’ll go no more a-roving abbraccio – «Io sono la mosca pre­sa nella tua tela», ridendo,
so late into the night...». ma con tenerezza, perché quella sera si era sentita appagata,
Quei versi così fluidi, così struggenti... Si attaglia­vano per­ e non avrebbe vo­luto che le sue parole suonassero come un
fettamente a Voltri: le loro passeggiate in giardino, il chiar di rimprove­ro, al contrario: una cajolerie, per farlo ridere a sua vol­
luna che imbiancava la ghiaia, tut­to così romantico e appunto, ta. E difatti lui aveva riso.
diremmo oggi – byro­niano... «E io secondo te, sarei il ragno?» aveva replicato stando al
«... though the heart be still as loving gioco.
and the moon be still so bright...». «Senz’altro quello che tesse la tela» era stata pron­ta a ri­
Sì, benché il cuore – il “suo” cuore – fosse quello di sem­ battere lei.
pre, innamorato come sempre. E quelle notti a Voltri... Con Solo io, in quanto postero, posso cogliere in questo scam­
lui che le baciava le mani, affondava il viso tra le sue palme: lei bio di battute una sia pure inconsapevole antici­pazione del
che a quel contatto veniva presa come da un mancamento... termine che sarebbe stato coniato per lui. Lei no, non poteva.
«... yet we’ll go no more a-roving Ma c’era una grandezza in lui: la­tente ancora, quale solo una
by the light of the moon...». donna innamorata come lei poteva presagire.
No, si diceva, e sapeva di essere nel vero – mai più! Se no, come avrebbe fatto a scrivergli – come fece in quel­
la lettera dall’“aldilà” – «Achève ta carrière avec honneur, produis
*** tout le bien qui est en ton pouvoir?...».

Chissà se in quegli anni, gli anni dell’abbandono, in cui ***


Nina aspettava, trepidava, e forse sperava anco­ra di rive­
derlo – e lui viaggiava, osservava, faceva tesoro delle sue Solo disperazione ora: e follia.
esperienze – chissà, dico, se Nina avrà immaginato il futuro A Genova, nella sua casa di Strada Nuova, Nina an­dava,
che l’aspettava. veniva, sulla soglia di una stanza si arrestava chiedendosi cosa
Finché si erano scritti, lei aveva potuto seguirlo nei suoi ci fosse venuta a fare. Basta, si dice­va. Non ne posso più.
spostamenti, nei suoi incontri, nei suoi primi passi in quella E avrebbe voluto picchiare i pugni contro i vetri, godere di
strada che un decennio dopo l’avrebbe portato alla guida del vederne sgorgare il sangue.
Paese. Si aggrappava alle cose – i guanti che Camillo le aveva
Il Tessitore!... regalato per esempio, perché guardandoli era di nuovo nella
Non può essere solo una mia fantasia immaginare un’An­ carrozza che la portava a Vinadio, sen­tiva di nuovo quell’o­
na – a Torino, a Vinadio? – che gli dice, scio­gliendosi dal suo dore di cuoio e di cavalli sudati – oppure il ventaglio: aveva

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stecche d’avorio che, aprendosi, rivelavano un paesaggio su qu’on m’applaudisse, ma conscience, j’ose le dire, ne s’élève pas contre
seta: logoro or­mai; ne emanava un profumo leggero, e anche moi. Le témoignage des autres est nul dans ce qui touche à mes senti-
quello evocava qualcosa, l’albergo di Vinadio, il canapè dove ments intimes, et même, dans cette occasion, s’il m’était favorable je
si era coricata con lui accanto che le accarezzava il vi­so col dor­ serais probablement réduite a me mépriser comme l’être le plus abject
so della mano – la tenerezza di quel gesto, del modo con cui et le plus lâche [...] Je ne me détourne pas de la route ou je suis entrée
l’aveva guardata... ormai era tutto quello che le restava di lui. de grand cœur [...] A la vie, à la mort, je suis à toi...».
Ma in realtà quel che più le mancava non era tanto la sua Al Crocco, suo vecchio amico, si era rivolta implo­randolo
presenza fisica quanto le parole che si scambia­vano, e che di intercedere presso sua madre. Continua a dire che non vuol
creavano (avevano creato?...) fra di loro un’intimità di coppia. vedermi, che sono morta per lei – e gli si aggrappava al bavero
Osservazioni, commenti, giudi­zi su questo o su quello, incur­ della giacca con occhi da spiritata. Mia madre, maman, capi­
sioni sulla politica e su­gli uomini che la facevano – malamente sci?... Ma io non posso rinunziare a Camillo. Anche se lui mi
secondo lei, Camillo invece – non esageriamo, frenava, giac­ dimenti­casse, se amasse un’altra – perché io l’amo, e l’amerò
ché negli ultimi tempi i furori mazziniani di lei si erano riacce­ sempre...
si. («... Ho fatto tutti i miei sforzi per richia­marla a sentimenti L’amico Crocco... Era stato il primo a venirla a tro­vare dopo
più ragionevoli. Mi è stato facile mostrarle la vanità e il nessun la sua fuga ad Asti. «Ritorno improvviso di Nina», aveva scrit­
fondamento delle teorie che l’avevano sedotta. La ragione è to nel suo diario, «tratto di Provvi­denza. Suo colloquio con
onnipotente quando ha per ausiliario l’amore...».) me. Lacrime e risoluzione. Suo pensiero – sacrificio. Traviata,
Ma anche il banale quotidiano – «che temporale stanot­ non perversa. Cuore umano, abisso. Stato meritevole di som­
te!... Io poi che ho sempre avuto paura dei tuoni...». Oppure ma pietà». Poche frasi concise, lapidarie direi: il suo mo­do di
un «Stefano insiste perché rinnovi il mio guardaroba, ma a esprimersi. Ma bastano (a me) per riempire tan­ti vuoti di quel
che pro?... Forse una man­tella nuova, se proprio dovrò andare periodo. La parte avuta dal Crocco nel tentare una riconcilia­
a quella serata dalla Brignole...». zione tra lei e i genitori: il giudi­zio sulla madre – «accoglienza
Non poteva arrendersi all’idea che lui considerasse finito glaciale di Manin»: la quale era pure sua amica, una donna
il loro rapporto. amabile, spirito­sa, «ma nei confronti della figlia si mostra in­
Quando i suoi avevano preteso che lei non gli scri­vesse più flessibile, e non vorrà vederla nemmeno da morta...»
si era ribellata. Qualcuno (forse la Carlotta Parodi-Giovo) le Forse davvero sono pazza. Il pensiero dovette pro­curarle
aveva detto «Scrivi, e taci» sugge­rendo una sorta di escamotage spavento e sollievo. E allora... Sì, si sarebbe arresa al sacrifi­
al quale però, orgogliosamente, Nina si era rifiutata di sotto­ cio cui accennava il Crocco, interpre­tandolo però a modo suo.
mettersi. Non era nel suo carattere fare le cose di nascosto. «O Come sacrificio estremo, l’unico possibile.
ciel, ne point t’aimer m’est impossible. Soit qu’on me réprouve, ou «Mourir, oui... et bientôt j’espère, avant que l’année soit écou-

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lée...» «Mort, j’écris ton nom le soir sur les lèvres, je me jette dans tes chi amici che ancora aveva lassù) e parlando di lei sempre più
bras, ne me repousse pas, je t’adore...». insisteva su quelli che con un eufemismo chiamava “disturbi
Come fu che riuscì a procurarsi quella boccetta di vele­ mentali”, accompagnando le pa­role con un inarcare di soprac­
no?... Ma forse l’aveva in casa, una di quelle boc­cette di vetro ciglia eloquente quanto la parola pazzia. E stranamente, Anna
marrone col teschio e le tibie incrociate che si usavano come sembrava ac­cettarlo. Capiva che opporvisi sarebbe stato inuti­
veleno per topi, un oggetto ab­bastanza ovvio, e direi senza le, che non avrebbe fatto che aggravare la situazione.
tempo. Mani che tremano nel versarne qualche goccia nel Finché pochi mesi dopo – nel settembre 1836 – la sua
bicchiere, e poi giù, una sorsata a occhi chiusi. “salute mentale” fu messa a un’ulteriore, durissi­ma prova. A
Quella volta fu Rebizzo a salvarla. Arrivò, e poco dopo arri­ Polànesi era morto di colera suo padre, e lei ne fu informata
vò anche il Crocco, forse avvisato da lui. Salva, dunque: ma in solo a funerali avvenuti.
condizioni quasi disperate. «Conforti a Nina», scriveva il Crocco. «Sua cal­ma», «Do­
I due amici che si alternarono per mesi al suo ca­pezzale la lore represso. Desiderio di raggiungere il padre». E possiamo
vedevano deperire ogni giorno di più. immaginare il tipo di calma im­postasi da Nina, innaturale e
Stremata, non riusciva ad alzarsi dal letto. Perché non mi inquietante per chi si aspettava una qualche reazione.
avete lasciato morire? sembravano chiedere i suoi occhi quan­ Anche se aveva manifestato il desiderio di morire, dovette
do Rebizzo si chinava su di lei: il buon Rebizzo, l’amico di averlo fatto come parlando fra sé, e parlando­ne come di una
sempre, con le sue sopracciglia puntute, la faccia mal rasata: un cosa ovvia, la sola possibile, date le circostanze.
po’ pazzo anche lui, ma lucido: abbastanza da farsi carico del Se questa volta la sorte l’avesse aiutata.
patire di Nina e vegliarla come l’avrebbe vegliata un fratello.
Fos­se morta, si sfogava con lui, almeno il suo sacrificio avrebbe ***
avuto un senso: con quel sacrificio avrebbe espiato, ottenuto il
perdono di Dio, se non della fa­miglia. La quale, irremovibile Invece nemmeno questa seconda volta l’aiutò.
nel suo ostracismo, non aveva mosso un dito per soccorrerla Era il gennaio del 1838, e ancora una volta fu salva­ta in
(«... implacabile freddezza dei suoi» scriveva il Crocco). tempo. Dal solito Rebizzo, guarda caso sempre presente o co­
Mesi passarono prima che Anna bene o male po­tesse ri­ munque a tiro quando Anna metteva in atto i suoi propositi
mettersi in piedi. Smunta, senza forze, si tra­scinava tra letto suicidi.
e poltrona. Tutto, in quella casa nuo­va per lei le era ostile: lo Nuova occasione mancata per lei dunque, nuovo periodo
respingeva, e ne era a sua vol­ta respinta. Il marito continuava a di depressione fisica e morale.
controllare la sua corrispondenza (non con Camillo, ormai a lui «Visita Nina», annota Crocco nel suo diario, «il bacio
non aveva più scritto, bensì con la cugina di Milano, con i po­ dell’amico. Impressione profonda. Preghiera commossa per

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quell’infelice». lui sarebbe libero, e anche maman, an­che Stefano ne sarebbe­
A lui e al Rebizzo si aggiunse l’amica Carlotta Parodi, che ro sollevati. Averla elusa due volte, non era servito a fargliela
le fu vicina non solo in quell’occasione ma in tutti i lunghi desiderare di meno.
anni che precedettero la sua morte. Una ragazza posata, senza Ad aggravare le cose, qualcuno le fece arrivare la voce –
troppa fantasia – e quindi com­pagna ideale per una che di del tutto infondata – della morte di Camillo. Anna non volle
fantasia ne aveva anche troppa. crederci, sconvolta si rivolse a David De la Rüe, questi la ras­
Furono per Anna anni lunghi, anni vuoti. Cercò di riem­ sicurò, e di sua iniziativa pregò Cavour di farlo a sua volta, sia
pirli con la lettura, leggeva di tutto, saggi, ro­manzi, poesie: pure con un breve bi­glietto. Camillo lo fece, e Anna gliene
Dante naturalmente e Shakespeare, e poi tanti altri – Ber­ fu grata, anche se quelle poche righe affettuose ma prive del
nardin de Saint-Pierre, Guizot, Thiers... E sull’onda di quelle calore che gli era solito la confermarono sulla fine del loro rap­
letture si mise a scrive­re. Leggeva, meditava, prendeva note. porto. Pure non gliene volle: anzi, gli rispose a sua volta con
C’era disordi­ne nei suoi pensieri, quando scriveva il disordine una lettera straordinaria, perché in essa si mette a nudo con
spa­riva, i suoi saggi erano acuti, sapeva interpretare la materia estremo rigore ed estrema lucidità. L’ha amato, l’ama ancora;
di cui trattava con la lucidità di un critico consumato. se con questa lettera rompe un silenzio di anni è (anche se
Scrisse anche sul prediletto Byron, di cui aveva 1’opera non detto a chiare let­tere) per congedarsi da lui. Ma senza
completa in un’edizione pubblicata a Parigi (Baudry, Euro­ creargli rimorsi; anzi, in qualche modo, ringraziandolo per es­
pean Library) nel ’35. C’era così tanto di Ca­millo in lui – le sere esi­stito, per averla amata, per essere stata la sola vera ra­
contraddizioni (entrambi aristocratici, entrambi dalla parte gione per cui valesse vivere. E termina sciogliendolo da ogni
del popolo), l’irruenza, la passio­nalità... E scrivendone, le impegno, anche quello di risponderle: «Je ne vous engage pas à
sembrava di scrivere per lui. Quei saggi, poi, li dava da leg­ m’écrire, mais je vous remercie de l’avoir fait. Il est doux de savoir
gere agli amici. Quello su Byron venne definito da Crocco que sur la terre tout ne s’efface pas...», quasi sapesse già che, se an­
«un capolavoro». che le aves­se scritto, quella lettera lei non l’avrebbe mai letta.
Perché non volle pubblicarli?... Per un eccesso di mo­ Ma il vero congedo glielo avrebbe scritto quando ormai era
destia, o forse, anche per il timore di esporsi a un pubblico decisa a togliersi la vita.
che sapeva ostile? (Persino l’amico Rebizzo non si era fatto «La femme qui t’aimait est morte, je sais, elle n’était point belle
scrupolo di riferirle i pettegolezzi che si facevano su di lei...) – elle avait trop souffert et ce qui lui manquait elle le savait mieux
E infatti la voce della sua paz­zia anche in questo avrebbe que toi. [...] Camille adieu, au moment que je t’écris je suis dans
trovato conferma. l’inébranlable ré­solution de ne te revoir jamais. Tu le liras – j’es-
Vero è che sempre più spesso veniva colta da incu­bi e da père – mais lorsqu’une barrière insurmontable s’élevera entre nous
allucinazioni. La morte era il suo pensiero fis­so. Se morisse, – lorsque j’aurais reçu la grande initiation aux secrets de la tombe –

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lorsque peut-être (je frémis en y songeant) je t’aurai oublié». il suo grido la sveglia. Accorre la cameriera. «Signora, ha bi­
sogno?». Anna la guarda – chi è? Sem­pre qualcuno a spiarla,
*** prima l’Adele ora questa – co­me si chiama? Non importa, una
spia anche lei; se verrà Camillo sicuramente andrà a dirlo a
Senza Camillo che senso può avere, ormai, la vita? Stefano e lui la farà rinchiudere – quante volte ha minacciato
Un abisso le si spalanca davanti – è il néant, il nul­la, quello di farlo. Ma verrà Camillo?...
che la circonda, la avvolge, la avviluppa. O mon ami, je ne crois È aprile adesso, un’aria tiepida, spesso piove. Gli incubi di
plus à rien, l’existence n’est que fumée, l’être et le néant se touchent, se Anna si fanno più frequenti, sono precipizi in cui cade, e voci
confondent! che le gridano – «devi, devi, devi». Deve cosa?... Si risveglia
Di giorno, nella sua poltrona, legge o prega. Nessu­no vie­ inzuppata di sudore. Sì, as­solutamente qualcosa deve fare – se
ne a trovarmi: tutti mi fuggono. Camillo Camil­lo, dove sei?... solo sapesse cosa. Chiederlo a Camillo: lui solo può dirglielo.
Se si guarda allo specchio vede una vecchia, il viso un re­ Ma Ca­millo – ah Camillo è lontano, mesi anni una vita che
ticolo di rughe, i capelli precocemente imbian­cati. La ricono­ non ne sa più niente.
scerebbe Camillo se la vedesse?... Ah meglio che non la veda. «As-tu perdu le souvenir de cette femme qui t’aimait?», gli ha
Anni fa, quando si son cono­sciuti – eh, ma allora era giovane, scritto in quella lettera in cui parla di sé come già morta: e
bella. La beauté du diable... Perché aveva poco più di vent’anni. morta sarà davvero quando lui la leggerà. «Nina: ce nom ne dit-il
(A parte che sulla sua vera età gli aveva mentito). Voleva esser rien à ton cœur? Disparue à jamais de la terre où je te vis, mon image
giovane per lui – sempre giovane. E in salute... s’est- elle aussi tout-à-fait évanouie de ta pensée?...».
Un lungo calvario era stata invece la sua vita. Finché un mattino, dopo una notte insonne, vede fuori
Camillo, dove sei?... dalla finestra un’alba livida: e già l’alba, per lei, è un’ora tri­
Le sale del palazzo sono buie e fredde, benché fuo­ri l’aria stissima. Di sotto, le pietre del cortile luccicano – deve aver
sappia già di primavera. Anna le percorre con passi di sonnam­ piovuto. Lei guarda giù, e d’improv­viso capisce. Devi. Questo
bula, a volte perde l’orientamento, si ferma in mezzo alla stan­ le dicevano le voci, questo deve fare. Niente più veleno, col
za – Dio, dove sono? Cosa ci faccio qui?... veleno ha fallito troppe volte. È presa da una sorta di allegria.
Altre volte, la notte, ha degli incubi. Il suo ritratto – dove Sì, an­che questo può essere un modo di uscirne...
ho messo il suo ritratto. Apre, uno dopo l’al­tro, i cassetti della ... Il loggiato del cortile, i lastroni di pietra, la piog­gerellina
chiffonnière. Non c’è, non c’è, si­curamente l’ha preso Stefano. che li fa brillare... Ma non bisogna perdersi a pensare, bisogna
Io? dice lui entrando: lei indietreggia, lui tende il braccio ver­ agire, e subito. Che sarà mai?...
so di lei, ha un sorriso beffardo, che l’agghiaccia. Eccolo, il suo Non c’è che issarsi sul davanzale, ruotare il busto, sollevare
ri­tratto! E lo getta a terra, lo schiaccia col piede. Lei grida, e una gamba, poi l’altra, sì, sempre con quel senso di allegria – e

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di leggerezza, di liberazione... trovarla viva.
Perché ci vuole davvero una sorta di allegria per la­sciarsi Povero Rebizzo. La morte di Anna fu una mazzata per lui;
andare, giù, giù, leggera e pesante nello stesso tempo... conoscendolo, gli amici temevano che volesse imitare il suo
Il volo di un minuto, o di un secolo? gesto. Non lo fece, ma ebbe un modo tutto suo di elaborare
Intorno a lei la vita che vortica e si arresta con uno schian­ il lutto; cioè scrivendo a Nina quasi ogni giorno come se fosse
to di ossa e di carne, con un urlo che le resta in gola, con un viva. Le raccontava di sé, degli amici, del clima, dei piccoli fat­
bagliore che cancella tutto, il cortile, il selciato, ogni pensiero ti della sua vi­ta, incontri, bisticci, rappacificazioni; e insomma,
che possa aver pensato, e dal quale è immaginabile che si sia tut­to quello che in vita avrebbe potuto divertirla – o quanto
affrancata per sempre. meno distrarla.
Ma no... Il fagotto di ossa e di carne si è schiantato al suolo, Proprio sano di mente il Rebizzo non lo fu mai; e la morte
ma non si è rotto – che la morte ancora una volta si sia fatta di Nina – e quale morte! – non lo aiutò certo a rinsavire.
beffa di lei?...
No, ma si fa aspettare per tutt’una lunga, straziante set­ ***
timana.
Adesso, quando vado a trovare l’amica che abita l’at­tico di
*** palazzo Lercari, mi fermo nel cortile a guardar su. Quale sarà
la finestra dalla quale Nina si è gettata? Non so, e nessuno sa
In tempo non per salvarla, ma per assisterla sul let­to di dirmelo: non ha importanza.
morte ci furono, oltre al Crocco e Carlotta, la cu­gina Teresa e La vedo stagliata nel riquadro della finestra, bianco su nero
altre amiche. (forse alle spalle il bagliore di una candela?) e poi come in un
Mancava il Rebizzo, che al momento si trovava a Marsi­ film al rallentatore planare giù, le ve­sti sollevate che a terra le
glia: eppure Anna gli aveva scritto: «La farò fi­nita», o qualcosa si afflosciano intorno, come la tela di un paracadute.
del genere. È stato questo a guidarmi da lei, è per questo che ne scrivo.
Sennonché il Rebizzo – un tipo bizzarro, l’ho det­to – ave­ O forse, più semplicemente, per liberarmi di un’os­sessione?
va l’abitudine (la mania?) di non leggere subi­to le lettere che
gli arrivavano ma di lasciarle li – a de­cantare, si direbbe – ad
ammucchiarsi comunque sul suo tavolo, a volte per mesi. Ri­
sultato, anche la lettera di Anna, che pure portava sulla busta
la scritta «leggi subito ti prego!» venne aperta da lui giorni
e giorni dopo. Troppo tardi per accorrere da lei e sperare di

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