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Presentazione

Com’è possibile accrescere la propria capacità di persuasione mettendo il pubblico a disagio? Quale
errore comune genera messaggi autodistruttivi? Quando può una richiesta minima aprire una grande
prospettiva? Iniziare sottotono o con uno squillo di tromba? Che cosa induce le persone a comprare?
Chi è il miglior persuasore? L’avvocato del diavolo o chi dissente apertamente? Qualunque sia il
nostro ruolo all’interno di un processo lavorativo, sappiamo fin troppo bene quanto il successo
dipenda dalla capacità di portare gli altri a dire «sì» alle nostre richieste. Non sempre, però, siamo a
conoscenza dell’enorme quantità di studi condotti sui fattori che influenzano i processi decisionali
delle persone. Noah Goldstein, Steve Martin e Robert Cialdini, massimi esperti nell’ambito della
persuasione, riuniscono e traducono in questo libro sessant’anni di ricerche scientifiche
sull’argomento. Ricco di aneddoti, consigli pratici e vere e proprie tecniche da applicare sia in
ambito lavorativo sia nel privato, questo manuale si rivela uno strumento preziosissimo per tutti
coloro che vogliono essere persuasivi e avere successo nella vita.

«Ogni indicazione per ottenere un “sì”... è creativa e intrigante.»


The Independent

«Il libro è una miniera d’informazioni... 50 segreti dalla scienza della persuasione è una lettura
affascinante e offre una visione molto sfaccettata di come si comportano i consumatori.»
Business Life

Noah J. Goldstein è membro della Anderson School of Management dell’Università della California.
Ha pubblicato numerose ricerche e ha svolto attività di consulenza per istituzioni pubbliche e private.
Steve J. Martin è il direttore della società inglese Influence At Work. Ha una formazione nel
marketing e nella vendita e tiene numerosi seminari sull’argomento.
Robert B. Cialdini è professore di psicologia e marketing all’Università dell’Arizona. È uno degli
esperti più citati nell’ambito della persuasione e dell’influenza e ha scritto un testo fondamentale
sull’argomento, Le armi della persuasione, che ha venduto oltre un milione di copie. Nel 2003 gli è
stato riconosciuto il Donald T. Campbell Award per il suo contributo nel campo della psicologia.
tea pratica
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In copertina: iStockphoto
Grafica Rumore Bianco

Copyright © 2007 by Noah J. Goldstein,


Steve J. Martin, Robert B. Cialdini
All Rights reserved
2010 TEA S.p.A., Milano

Titolo originale
Yes! 50 secrets from the science of persuasion

ISBN 978-88-502-3277-2

Prima edizione digitale 2013


Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
50 segreti della scienza
della persuasione
Ai miei genitori e, naturalmente,
a Jenessa (NJG)
Ai miei nipoti Casie Leigh
e Riley (SJM)
A mia nipote Hailey Brooke Cialdini (RBC)
Introduzione

Se tutto il mondo è un palcoscenico,


allora anche piccoli cambiamenti
alle vostre battute
possono avere effetti decisivi.

Una vecchia battuta del comico inglese Henny Youngman su un suo soggiorno in hotel recita così:
«Che albergo! Gli asciugamani erano così grandi e morbidi che non riuscivo a chiudere la valigia».
Negli ultimi anni, tuttavia, il dilemma morale che si presenta agli ospiti d’albergo è cambiato;
attualmente, la questione se sottrarre o meno gli asciugamani dalla propria stanza è stata sostituita da
quella se riusare o meno gli asciugamani durante il soggiorno. Con l’adozione crescente da parte
degli alberghi di programmi ambientali, a un numero sempre maggiore di viaggiatori si chiede di
riusare gli asciugamani per contribuire a conservare le risorse, risparmiare energia e ridurre gli
inquinanti rilasciati dai detersivi nell’ambiente. In molti casi, la richiesta è arrivata sotto forma di un
avviso apposto nella toilette degli ospiti.
Questi avvisi forniscono notevoli squarci sul mondo spesso segreto della scienza della
persuasione.
Con una serie quasi illimitata di punti di vista da assumere e di corde incentivanti da toccare,
quali parole si sarebbero dovute scrivere sull’avviso per rendere la richiesta persuasiva agli occhi
degli ospiti d’albergo? Prima di dare una risposta, che arriverà nei prossimi due capitoli,
domandiamoci come gli ideatori di questo tipo di avvisi incoraggino generalmente gli ospiti a
partecipare a simili programmi. Una rassegna dei messaggi convogliati da decine di avvisi di
un’ampia varietà d’alberghi di tutto il mondo, mostra che in genere si cerca d’incoraggiare i clienti a
riciclare gli asciugamani indirizzandone l’attenzione soprattutto sull’importanza di proteggere
l’ambiente: gli ospiti sono quasi invariabilmente informati che, riusando gli asciugamani,
contribuiranno a preservare le risorse naturali e a evitare all’ambiente ulteriori danni e
depauperamenti. Queste informazioni sono spesso accompagnate da eloquenti immagini ambientali,
che spaziano dagli arcobaleni alle gocce di pioggia alle foreste pluviali... fino alle renne.
Tale strategia di persuasione generalmente sembra efficace; ad esempio, uno dei più grossi
produttori di avvisi riporta che molti ospiti d’albergo che hanno la possibilità di partecipare a questi
programmi, riusano gli asciugamani almeno una volta durante la loro permanenza in hotel e il livello
di partecipazione prodotto dai messaggi può essere considerato notevole.
Gli studiosi di psicologia sociale, tuttavia, sono spesso alla ricerca di nuove applicazioni della
loro conoscenza scientifica per rendere le politiche e le pratiche anche più efficaci. Proprio come
un’insegna stradale che dice «Metti qui il tuo annuncio», questi cartellini che invitavano al riuso
degli asciugamani ci chiamavano quasi pregandoci di «mettere alla prova lì» le nostre idee. Così
l’abbiamo fatto. E come spiegheremo, abbiamo dimostrato che operando un piccolo cambiamento al
modo in cui viene rivolta la richiesta, le catene di alberghi possono fare molto ma molto meglio.
Naturalmente quali espedienti siano adottabili, in particolare, per migliorare l’efficacia di questo
tipo di campagne ambientali è solo una delle questioni in gioco. In termini molto più ampi,
affermeremo che la capacità di persuadere il prossimo si alimenta imparando le strategie di
persuasione che si sono scientificamente dimostrate efficaci. Come rivelerà questo libro, piccoli e
semplici cambiamenti nei nostri messaggi possono renderli molto più persuasivi, e a riprova di
questo punto riporteremo decine di studi, alcuni condotti da noi e alcuni da altri studiosi, in molti
ambiti. Nello stesso tempo, analizzeremo i principi che sottendono tali risultati; il nostro intento
principale è offrire al lettore una comprensione migliore dei processi psicologici attraverso cui
possiamo indurre gli altri a spostare i loro atteggiamenti o comportamenti in una direzione che dia
risultati positivi per entrambe le parti. Da una parte presenteremo una serie di strategie di
persuasione etiche ed efficaci, e dall’altra esamineremo i fattori da cui guardarsi per resistere sia
alle influenze sottili sia a quelle palesi sul proprio processo decisionale.
Soprattutto, invece di affidarci alla psicologia popolare (del buon senso) o alla scontata
«esperienza personale», analizzeremo la psicologia su cui si fondano le strategie d’influenza sociale
vincenti nel contesto di rigorose evidenze scientifiche che le avvalorano, evidenziando una serie di
eventi mistificanti assolutamente comprensibili se si ha una maggiore comprensione della psicologia
dell’influenza sociale. Ad esempio perché, immediatamente dopo la notizia del decesso di uno dei
papi più popolari della storia moderna, orde di persone hanno assediato negozi lontani migliaia di
chilometri da Roma per comprare souvenir che non avevano niente a che vedere con il papa, il
Vaticano o la Chiesa cattolica? Proporremo anche alcune curiosità, ad esempio qual è il singolo
articolo da ufficio che può rendere significativamente più efficaci i tentativi di persuadere i colleghi,
quello che Luke Skywalker ha da insegnarci sulla leadership, gli errori in cui spesso cadono i
comunicatori e che provocano effetti boomerang, come trasformare i propri lati deboli in punti
persuasivi di forza e perché a volte considerare se stessi – ed essere considerati – troppo esperti
possa essere tanto pericoloso.

Persuasione come scienza, non come arte

La persuasione viene scientificamente studiata ormai da oltre mezzo secolo, eppure la ricerca sulla
persuasione resta un po’ come una scienza segreta, che spesso giace dimenticata nelle pagine dei
giornali accademici. Considerando l’ampio volume delle ricerche eseguite sul tema, può essere utile
ritagliarsi un momento per pensare a perché la ricerca sia così spesso trascurata. Non c’è da
sorprendersi se le persone che si trovano di fronte a scelte su come influenzare gli altri fondano le
loro decisioni su un pensiero che ha le sue radici in settori quali quello dell’economia, delle scienze
politiche e delle politiche pubbliche; disorienta, invece, quanto frequentemente coloro che decidono
non prendano in considerazione teorie e pratiche psicologiche ormai consolidate.
Un simile comportamento è spiegabile solo se si pensa che – contrariamente a come considerano
l’economia, le scienze politiche e le politiche pubbliche, che richiedono l’insegnamento di esperti
per raggiungere anche solo un minimo livello di competenza – tali persone credano di possedere già
una comprensione intuitiva dei principi psicologici semplicemente in virtù del loro vivere e
interagire con gli altri e, di conseguenza, non ritengano importante consultare la ricerca psicologica
prima di prendere delle decisioni. Questa eccessiva fiducia in se stesse conduce le persone a perdere
occasioni d’oro per influenzare il prossimo o – ancora peggio – a fare un cattivo uso dei principi che
regolano la psicologia a detrimento di sé e degli altri.
Inoltre, basandosi troppo sulla propria esperienza, ci si basa anche eccessivamente
sull’introspezione. Ad esempio, perché i professionisti del marketing cui è stato commissionato di
ideare i messaggi sul riuso degli asciugamani si sono concentrati quasi esclusivamente sull’impatto
di questi programmi sull’ambiente? È probabile che abbiano agito come avrebbe fatto ognuno di noi;
si sono chiesti: «Che cosa mi spingerebbe a partecipare a uno di questi programmi di riciclo degli
asciugamani?» Esaminando le proprie motivazioni, devono aver deciso che un messaggio che
insistesse sui loro valori e identità di individui preoccupati per l’ambiente sarebbe stato
particolarmente incentivante. Ma agendo così, hanno anche perso l’occasione di capire come
avrebbero potuto accrescere la partecipazione del pubblico cambiando solo poche parole nella loro
richiesta.
La persuasione è una scienza; se n’è parlato spesso come di un’arte, ma è un errore. Anche se è
possibile, sicuramente, che a certi artisti di talento siano insegnate competenze in grado di
disciplinare le loro capacità naturali, il vero artista dipende dal talento e dalla creatività che nessun
insegnante può infondere in una persona. Per fortuna, non è il caso della persuasione; anche chi si
considera negato in questo campo – chi è convinto di non essere capace nemmeno di indurre un
bambino a giocare con un peluche – può imparare a diventare un campione della persuasione
comprendendone la psicologia e usando le strategie che si sono dimostrate scientificamente efficaci.
Che siate manager, avvocati, operatori sanitari, politici, camerieri, venditori, insegnanti o
svolgiate una professione completamente diversa, questo libro è stato progettato per aiutarvi a
diventare maestri della persuasione. Esamineremo certe tecniche che si fondano sui sei principi
universali dell’influenza sociale che uno di noi, Robert Cialdini, ha illustrato nel libro Teoria e
pratica della persuasione: reciprocità (ci sentiamo obbligati a ricambiare i favori che ci sono stati
fatti), autorità (cerchiamo esperti che ci mostrino la strada), impegno/coerenza (vogliamo agire
coerentemente con il nostro impegno e i nostri valori), scarsità (meno disponibili sono le risorse, più
ne vogliamo), compiacenza (più qualcuno ci piace, più vogliamo dirgli di sì) ed evidenza sociale
(guardiamo quello che gli altri fanno come guida al nostro comportamento).
Esamineremo che cosa significano e come operano tali principi nel dettaglio, ma non ci
limiteremo a questo. Anche se sui sei principi si fonda la maggior parte delle strategie d’influenza
sociale, ci sono molte tecniche di persuasione basate su altri elementi psicologici, che andremo a
scoprire.
Faremo inoltre luce sul modus operandi di queste strategie in tutta una serie di contesti diversi, dai
luoghi di lavoro alle interazioni personali, ad esempio in quanto genitori, con i vicini di casa o gli
amici. I consigli che vi offriremo saranno pratici, orientati all’azione, all’etica e facili da seguire, e
richiederanno sforzi o costi da pagare veramente piccoli in cambio di grossi dividendi.
Henny Youngman permettendo, siamo sicuri che alla fine della lettura di questo libro la vostra
cassetta degli attrezzi di persuasione sarà piena di così tante strategie d’influenza sociale
scientificamente provate che vi sarà difficile chiuderla.
1 Com’è possibile accrescere la propria forza di
persuasione mettendo il pubblico a disagio?

I programmi a pagamento in forma di infomercial1 stanno aumentando sul sempre crescente numero di
canali televisivi attualmente a nostra disposizione. Colleen Szot è una delle sceneggiatrici di maggior
successo dell’industria dei programmi a pagamento. E per delle buone ragioni: oltre a essere
l’autrice di vari infomercial ben noti negli Stati Uniti, di recente ha ideato un programma che ha
mandato in pezzi un quasi ventennale record di vendite di un canale per gli acquisti a domicilio.
Anche se i suoi programmi usano molti degli elementi comuni alla maggior parte degli infomercial,
come slogan sensazionalistici, pubblico irrealisticamente entusiasta e la promozione da parte di
personaggi famosi, la Szot ha cambiato tre parole in una frase standard degli infomercial
determinando un enorme aumento della quantità di pubblico che compra i suoi prodotti. Circostanza
ancor più sorprendente se si pensa che queste tre parole mostrano ai potenziali clienti come il
procedimento per ordinare il prodotto possa rivelarsi un’impresa ardua. Quali sono queste tre parole
e perché hanno mandato le vendite alle stelle?
La Szot ha cambiato la superfamiliare formula «gli operatori sono in attesa, vi invitiamo a
chiamare subito» con «se gli operatori sono occupati, vi invitiamo a chiamare di nuovo».
Confrontando le due formule, la modifica sembra avventata; in fin dei conti, il messaggio sembra
suggerire che i potenziali clienti possano perdere un sacco di tempo a digitare e ridigitare il numero
finché non riescono finalmente a mettersi in contatto con un operatore. Questo punto di vista scettico,
tuttavia, ignora il potere del principio di evidenza sociale secondo cui, in breve, quando le persone
sono incerte sulle azioni da intraprendere, tendono a cercare fuori di sé e a osservare gli altri per
trovare indicazioni sul da farsi. Nell’esempio di Colleen Szot, considerate il tipo d’immagine
mentale che probabilmente viene generata quando si sente che «gli operatori sono in attesa»: decine
di impiegati annoiati che si limano le unghie o che pinzano depliant mentre aspettano davanti ai loro
telefoni silenziosi; un’immagine indicativa di scarsa domanda e poche vendite.
Ora considerate come la vostra percezione del successo di un prodotto cambierebbe se sentiste la
frase «se gli operatori sono occupati, vi invitiamo a chiamare di nuovo». Invece di quegli impiegati
annoiati e inattivi, probabilmente immaginate operatori che rispondono a una telefonata dopo l’altra
senza un attimo di tregua. Nel caso della frase modificata, i potenziali clienti avevano la percezione
dell’azione di altri anche se erano completamente anonimi. Insomma, «se le linee telefoniche sono
occupate, significa che altri come me che hanno visto l’infomercial stanno chiamando».
Molte ricerche classiche di psicologia sociale dimostrano il potere dell’evidenza sociale
d’influenzare i comportamenti. Per citarne una, in un test condotto dal ricercatore Stanley Milgram e
collaboratori, un loro assistente si è fermato su un marciapiede nell’indaffarato centro di New York a
osservare il cielo per 60 secondi. La maggior parte dei passanti hanno continuato a camminare senza
degnare neppure di uno sguardo la direzione verso cui stava guardando; ma quando i ricercatori
hanno aggiunto altri quattro uomini formando un gruppo di osservatori del cielo, il numero dei
passanti che si sono aggregati al gruppo l’hanno quadruplicato.
Malgrado sussistano pochi dubbi sulla potenza dell’influenza sociale esercitata dai comportamenti
altrui, dobbiamo sottolineare che quando chiediamo alle persone, nelle nostre ricerche, se il
comportamento altrui abbia un’influenza su di loro, rispondono assolutamente convinti del contrario.
Ma gli studiosi di psicologia sociale sperimentale lo sanno bene; sappiamo che la capacità
dell’individuo d’identificare i fattori che influenzano il suo comportamento è sorprendentemente
scarsa. Forse è per questo che gli ideatori degli avvisi in cui s’incoraggia il riutilizzo degli
asciugamani non hanno pensato di adottare il principio di evidenza sociale a proprio vantaggio;
chiedendosi «che cosa mi motiverebbe», probabilmente hanno sottovalutato il vero fattore
d’influenza esercitato dagli altri sul loro stesso comportamento. Di conseguenza, hanno concentrato
tutta la propria attenzione su come il riuso degli asciugamani avrebbe salvaguardato l’ambiente, una
motivazione che sembrava – almeno all’apparenza – essere quella decisiva per ottenere il
comportamento desiderato.
Ricordate il risultato secondo cui la maggior parte degli ospiti d’albergo che hanno visto l’avviso
con l’invito al riutilizzo degli asciugamani ne hanno seguito l’indicazione per almeno un certo
periodo del loro soggiorno? Che cosa sarebbe successo se ne avessimo semplicemente informato gli
ospiti successivi? Ne sarebbe stata influenzata la partecipazione al programma di salvaguardia
dell’ambiente? Due di noi e un altro ricercatore si sono proposti di verificare se un avviso con
l’invito al riuso degli asciugamani che comunicasse questa informazione sarebbe stata più persuasiva
dell’altra ampiamente adottata da tutta l’industria alberghiera.
Per farlo abbiamo creato i due avvisi e, con la collaborazione di un direttore, li abbiamo collocati
nelle stanze dell’albergo da lui gestito. Un avviso era la riproposizione del messaggio sulla
protezione ambientale adottato dalla maggior parte degli hotel; chiedeva agli ospiti di collaborare
alla salvaguardia dell’ambiente e a mostrare il loro rispetto per la natura partecipando al programma.
Un secondo avviso si avvaleva dell’informazione sull’evidenza sociale, comunicando il messaggio
secondo cui la maggior parte degli ospiti dell’hotel riciclavano gli asciugamani almeno una volta
durante la loro permanenza. Questi cartelli, insieme ad altri che esamineremo in seguito, furono
distribuiti a caso nelle varie camere.
Ora, per lo più, gli studiosi di psicologia sociale sperimentale sono abbastanza fortunati da avere
un’équipe di laureandi-assistenti alla ricerca che li aiuta a raccogliere i dati; ma come potete
immaginare, né loro sarebbero stati contenti di farlo né gli ospiti d’albergo avrebbero apprezzato di
trovarsi assistenti intrufolati nei bagni delle camere per raccogliere dati, né l’avrebbe apprezzato il
comitato etico della nostra università (e neppure le nostre madri, se è per questo). Per fortuna, il
personale dell’albergo è stato così gentile da offrirsi di raccogliere i dati in vece nostra; il primo
giorno di riordino della camera degli ospiti, osservavano semplicemente se avevano scelto di
riutilizzare almeno un asciugamano.
Quando abbiamo analizzato i dati, abbiamo verificato che un buon 26% in più di persone aveva
riusato gli asciugamani dopo aver recepito il messaggio che la maggior parte degli ospiti li
riutilizzava regolarmente (la richiesta in base all’evidenza sociale). Un messaggio che non avevamo
mai visto prima in nessun altro albergo e che è valsa un’adesione superiore rispetto a quella
provocata dal messaggio che faceva appello alla protezione ambientale; ciò significava un 26% in
più di partecipazione al programma, rispetto agli standard dell’industria alberghiera, ottenuto
semplicemente modificando poche parole dell’avviso per comunicare come avevano agito gli altri.
Non male, se si pensa che ci si è avvalsi di un fattore che le persone considerano del tutto ininfluente
sul loro comportamento.
Questi dati mostrano che tenendo conto del potere dell’evidenza sociale, si ottengono dividendi
molto remunerativi nel tentativo di persuadere gli altri. Naturalmente, non bisogna sottovalutare il
modo con cui si comunicano informazioni simili ed è abbastanza improbabile che il pubblico
risponda positivamente a un messaggio quale «ehi, tu! fai la pecora e segui il gregge: beeeeeh!» È
invece probabile che una formulazione strutturata in maniera più positiva come «segui tutti gli altri
per dare il tuo contributo alla salvaguardia dell’ambiente», sia accolta con molto più favore.
Oltre all’impatto sul comportamento del pubblico, l’evidenza sociale può averne uno maggiore
sulla vita lavorativa in quanto, oltre a promuovere i vostri prodotti più venduti con statistiche cogenti
che comunicano quanto siano graditi dal pubblico (pensate allo slogan pubblicitario della
McDonald’s che afferma «miliardi di persone servite in tutto il mondo»), dovreste anche cercare
sempre testimonianze di clienti soddisfatti. È importante inoltre dare rilievo a queste testimonianze
quando vi presentate ai potenziali clienti, che probabilmente hanno bisogno di rassicurazioni sui
benefici che può procurar loro la vostra organizzazione. O ancora meglio sarebbe se costruiste una
situazione in cui i vostri attuali clienti hanno l’opportunità di fornire testimonianze di prima mano ai
clienti potenziali su quanto siano soddisfatti della vostra società; ad esempio, invitando clienti attuali
e potenziali a un pranzo di lavoro o a un seminario e assegnando i posti in modo tale che si trovino
fianco a fianco. In questa situazione, è probabile che intreccino spontaneamente conversazioni in cui
emergono i vantaggi di lavorare con la vostra organizzazione. E se, prendendo le prenotazioni per il
pranzo, i potenziali ospiti vi rispondono che vi richiameranno per darvi conferma della loro
presenza, comunicategli senza esitazioni che se trovassero le linee telefoniche occupate, dovrebbero
riprovare...
2 Che cosa dà al carro del vincitore una marcia
inaspettata?

Il nostro messaggio basato sull’evidenza sociale ha incrementato il riutilizzo degli asciugamani


rispetto agli standard dell’industria alberghiera, perciò sappiamo che le persone sono motivate a
seguire i comportamenti degli altri. Ma questa constatazione pone un’ulteriore domanda: si seguono i
comportamenti di chi?
Ad esempio, gli ospiti sono più incentivati a riusare gli asciugamani in base all’evidenza sociale
che gli dice come si siano comportati quelli che hanno soggiornato nella loro stessa stanza piuttosto
che nell’albergo in generale? C’è qualche buona ragione per prevedere che non sia così. Infatti, dare
maggiore credito ai comportamenti di chi ha occupato in precedenza la stessa camera è irrazionale
per due ragioni: anzitutto da un punto di vista puramente logico, è probabile che non si vedano gli
ospiti precedenti in una luce particolarmente positiva poiché, in fin dei conti, sono le stesse persone
che, con il loro semplice soggiorno in quella camera, hanno contribuito a ridurre la qualità della
stanza e dei suoi comfort; in secondo luogo, non c’è nessuna ragione per credere che i comportamenti
degli ospiti precedenti siano più validi di quelli, tanto per dire, degli ospiti che hanno soggiornato
nella stanza accanto. Eppure come abbiamo già visto, secondo molte ricerche di psicologia spesso
valutiamo in modo errato le motivazioni che ci spingono ad adottare certi comportamenti.
Forse ricorderete che il messaggio sull’evidenza sociale usato nella ricerca all’hotel, informava
gli ospiti che altri come loro – in particolare, la maggior parte degli ospiti che avevano soggiornato
nell’albergo – avevano riusato gli asciugamani almeno una volta durante la loro permanenza.
Abbiamo in seguito deciso di spingere la similitudine percepita un passo più in là, conducendo
un’altra ricerca in cui alcuni ospiti leggevano una richiesta di riuso degli asciugamani in base
all’evidenza sociale degli ospiti che avevano occupato in precedenza la stessa stanza. Così, oltre al
messaggio che faceva appello alla protezione dell’ambiente e all’evidenza sociale della ricerca
precedente, ne abbiamo collocato uno in alcune camere che informava gli ospiti su come la maggior
parte di chi aveva occupato la stessa stanza, avesse partecipato a qualche livello al programma del
riutilizzo degli asciugamani.
Quando abbiamo analizzato i risultati della ricerca, abbiamo riscontrato che gli ospiti che
avevano ricevuto quest’ulteriore informazione avevano partecipato al programma in misura maggiore
di quelli che erano stati informati solo del comportamento in generale dei precedenti ospiti
dell’albergo. E rispetto all’appello ambientalista di base, c’era un aumento nella partecipazione del
33%. Questi risultati suggeriscono che se Henny Youngman si fosse imbattuto in un messaggio appeso
in bagno secondo cui nessun ospite precedente di quella stanza aveva mai rubato un asciugamano,
probabilmente avrebbe chiuso molto più facilmente la valigia preparandosi a lasciare la sua stanza
d’albergo.
Ma perché?
Perché in genere troviamo un tornaconto nel seguire le norme comportamentali associate ad
ambienti, situazioni o circostanze particolari che più si avvicinano alle nostre. Ad esempio quando vi
trovate in una biblioteca pubblica, seguite i comportamenti degli altri che in silenzio passano in
rassegna i titoli della fiction e solo raramente bisbigliano qualcosa agli amici o vi comportate come i
clienti del vostro bar preferito, scimmiottando i gesti dei lettori in segno di sfida e presa in giro? Se
volete evitare di essere banditi a vita dalla struttura pubblica, nel caso che il bibliotecario vi colga in
fallo mentre vi impegnate nella vostra esibizione, naturalmente è probabile che scegliate il primo
comportamento.
In precedenza abbiamo parlato dell’importanza delle testimonianze quando si vogliano orientare
le opinioni altrui nella direzione desiderata. I risultati di questo esperimento suggeriscono che più il
testimone è simile al nuovo pubblico cui ci si rivolge, più persuasivo diventa il messaggio. Ciò
significa che decidendo quali testimonianze proporre ai potenziali clienti, dovreste sbarazzarvi
decisamente dell’ego e incominciare non con quella di cui andate più fieri ma con quella del cliente
le cui condizioni siano più vicine a quelle del vostro pubblico.
Ad esempio, l’insegnante che cerchi di convincere uno studente a partecipare più spesso alle sue
lezioni, dovrebbe richiedere commenti sui benefici di una frequenza più assidua non agli studenti
delle prime file, ma a quelli che sono più simili allo studente in questione.
Altro esempio: se volete vendere un software alla proprietaria di una catena cittadina di saloni di
bellezza, sarà più influenzata dalle informazioni su come siano soddisfatti del vostro software i
proprietari degli altri saloni piuttosto che da informazioni simili provenienti dai grossi punti vendita
della British Airways. In definitiva, è probabile che l’estetista pensi: «Se altri come me hanno
ottenuto buoni risultati con questo prodotto, dovrebbe andare bene anche a me».
E se siete un leader o un manager che cerchi di persuadere i dipendenti a usare un nuovo sistema
operativo, dovreste chiedere la testimonianza di altri dello stesso reparto che hanno già accettato il
cambiamento. Ma come comportarsi nel caso in cui la transizione sia avvenuta eppure un dipendente
testardo – forse quello che ha lavorato più a lungo con il sistema precedente – non si riesce ancora a
convincere? In circostanze simili, i manager commettono l’errore molto comune di chiedere al
dipendente più spigliato di spiegare al collega testardo i vantaggi del nuovo sistema operativo, anche
se il primo impiegato è completamente diverso dal secondo e per tutta una serie di aspetti non
indifferenti. Al contrario, la migliore carta del manager sarebbe probabilmente presentare al
dipendente testardo l’opinione di un collega simile – forse qualcun altro che abbia ugualmente
lavorato a lungo con il sistema precedente – anche se è un po’ meno spigliato e popolare.
3 Quale errore comune genera messaggi autodistruttivi?

I messaggi pubblicitari sono generalmente creati per promuovere i prodotti, non per commuovere le
persone. Ma nei primi anni Settanta, la Keep America Beautiful Organization ideò un messaggio
pubblicitario così coinvolgente che molti lo considerano forse il più efficace annuncio del servizio
pubblico di tutti i tempi. Designato per infondere nella dieta televisiva quotidiana d’America una
porzione extra di fibra morale, lo spot mostrava un nativo che reagiva al vasto degrado dell’ambiente
spargendo un’unica, ma potente lacrima. Molti anni dopo, la stessa organizzazione ha riproposto quel
vecchio amico in una nuova campagna pubblicitaria. Questa volta, la telecamera mostrava diverse
persone che aspettavano l’autobus occupate in azioni quotidiane quali bere un caffè, leggere il
giornale e fumare; l’autobus arrivava, tutti vi salivano e la videocamera inquadrava l’area della
fermata rimasta vuota cosparsa di bicchieri di carta, giornali e mozziconi di sigaretta. A mano a mano
che la telecamera riprendeva il sito spostandosi da destra a sinistra, lentamente zumava su un
manifesto raffigurante un nativo americano che sovrastava la scena, ancora con una lacrima che gli
spuntava dagli occhi. Mentre l’immagine sullo schermo sfumava verso il nero, appariva il messaggio
dello spot: «Succede per la negligenza di tutti».
Succede per la negligenza di tutti: che tipo di messaggio si vuole comunicare con questa frase e
con le immagini dell’ambiente contenute nello spot pubblicitario? Dice allo spettatore che malgrado
la forte disapprovazione verso i comportamenti che provocano il degrado dell’ambiente, molti
continuano ad adottarli. Anche se comunicare una forte disapprovazione di tali comportamenti può
certamente rivelarsi motivante, diffondendo l’idea che è pratica comune si manda al contrario un
forte messaggio di evidenza sociale che spinge a perpetuare gli stessi comportamenti; poiché il
principio di evidenza sociale ci dice che le persone tendono a seguire le linee di condotta più
diffuse, questo spot può avere effetti sia dannosi sia utili.
Altri esempi abbondano nella vita di tutti i giorni. Alle pareti delle sale d’attesa in ambulatori e
ospedali, si collocano manifesti che biasimano gli innumerevoli pazienti che saltano gli
appuntamenti, e restano frustrati quando la percentuale di chi non si presenta aumenta ancora di più. I
partiti politici valutano in modo errato l’impatto della loro comunicazione quando condannano
l’aumento dell’apatia degli elettori, solo per accorgersi che sempre più cittadini disertano le urne. In
Arizona, i turisti del Petrified Forest National Park apprendono subito da segnalazioni ben in vista
che l’esistenza del parco è minacciata a causa dei troppi visitatori che si portano via pezzi di legno
pietrificato: «La vostra eredità è depredata quotidianamente da furti di legno pietrificato che
raggiungono le 14 tonnellate all’anno, in genere asportate un pezzetto alla volta».
Anche se queste informazioni rispecchiano la realtà e sono diffuse chiaramente con le migliori
intenzioni, i professionisti che progettano tali campagne forse non si rendono conto che usando
l’evidenza sociale negativa per richiamare l’attenzione del pubblico, possono inavvertitamente
indirizzarlo verso l’elemento prevalente piuttosto che sull’indesiderabilità di un certo
comportamento. Siamo venuti a conoscenza del problema dei furti del legno della foresta pietrificata
dal racconto di uno studente. Era andato in gita alla foresta pietrificata con la fidanzata, una ragazza
di cui parlava come della persona più onesta che avesse mai conosciuto e che non aveva mai preso a
prestito nemmeno una pinzatrice senza restituirla. Avevano visto nel parco l’avviso ai turisti che
vietava la sottrazione di legno pietrificato, ma mentre lo studente lo stava ancora leggendo, era
rimasto di stucco accorgendosi che la sua fidanzata, in genere rispettosissima della legge, gli stava
dando di gomito sussurrandogli: «Faremmo meglio a prendere i nostri adesso».
Per sottoporre a verifica il ruolo dell’evidenza sociale negativa (e verificare la possibilità di
elaborare un messaggio più efficace) uno di noi, insieme a un’équipe di altri studiosi del
comportamento, ha ideato due avvisi in funzione di deterrenza dei furti di legno al Petrified Forest
National Park. L’avviso con l’evidenza sociale negativa comunicava un messaggio in cui si diceva
che molti altri visitatori avevano rubato il legno. Recitava così: «Molti turisti hanno sottratto dal
parco pezzi di legno pietrificato, alterando in tal modo lo stato naturale della foresta» ed era
accompagnato dall’immagine di vari turisti che prendevano pezzi di legno. Un secondo avviso non
comunicava informazioni sull’evidenza sociale, e affermava invece semplicemente che il furto del
legno non era accettato o approvato con queste parole: «Siete pregati di non sottrarre legno
pietrificato dal parco. Salvaguardate lo stato naturale della foresta pietrificata». Questo avviso era
accompagnato dall’immagine di un turista solitario che sottraeva un pezzo di legno con un cerchio
rosso sbarrato (ossia, il simbolo universalmente noto di «vietato») sovrimpresso sulla testa. Infine
avevamo una situazione di controllo in cui non si mostrava nessuno dei due avvisi.
A insaputa dei visitatori del parco, spargemmo pezzi di legno pietrificato contrassegnati lungo i
percorsi turistici; inoltre, sostituimmo qualsiasi avviso (ove ce ne fossero) si trovasse all’ingresso di
ogni percorso. Con questo procedimento, fummo in grado di osservare come la diversa segnaletica
influenzasse i furti.
Il risultato dello studio potrebbe pietrificare la direzione del National Park. Mentre nella
situazione di controllo senza segnaletica si riscontrava il 2,92% di pezzi sottratti, in quella in cui era
stato collocato il messaggio d’evidenza sociale negativa si verificarono più furti in assoluto (il
7,92%): essenzialmente, i furti si erano triplicati. Non era quindi una strategia di prevenzione delle
infrazioni, bensì una strategia d’incoraggiamento della trasgressione. Al contrario nella situazione
in cui si trovava il messaggio che chiedeva semplicemente ai visitatori di non rubare i pezzi di legno,
si riscontrava una percentuale di furti leggermente più bassa (l’1,67%) della situazione di controllo.
Questi risultati confermano l’idea secondo cui quando l’evidenza sociale indica la presenza di un
comportamento indesiderabile con incresciosa ed elevata frequenza, diffonderne l’informazione può
in realtà provocare involontariamente un danno. Perciò piuttosto che comunicare l’informazione
sull’evidenza sociale, i pubblicitari in queste circostanze dovrebbero indirizzare l’attenzione del
pubblico sul comportamento che dovrebbe o non dovrebbe essere adottato nella situazione data;
oppure, se le circostanze lo permettono, indirizzare l’attenzione del pubblico sulle persone che
adottano il comportamento desiderato. A volte, si può fare ricontestualizzando le statistiche. Ad
esempio, anche se vengono sottratte al parco 14 tonnellate di legno ogni anno, il numero attuale di
furti è minuscolo (solo il 2,92% dei visitatori) a confronto con la stragrande maggioranza delle
persone che rispettano le regole e scelgono di salvaguardare le risorse naturali.
Quali sono le implicazioni dei tentativi di essere più persuasivi? Immaginate d’essere un dirigente
che si accorga che i partecipanti alle riunioni mensili sono calati di numero; invece di richiamare
l’attenzione sull’assenza di molte persone, potreste non solo esprimere la vostra disapprovazione, ma
anche mettere in evidenza che gli assenti rappresentano una minoranza sottolineando l’ampiezza del
numero dei presenti. Analogamente, i leader aziendali farebbero bene a rendere pubblico il numero
di reparti, dipendenti e/o colleghi che hanno già assimilato un nuovo metodo di lavoro, un nuovo
sistema operativo o un nuovo servizio ai clienti nelle loro procedure quotidiane. Adottando questo
metodo, hanno la garanzia di padroneggiare il potere dell’evidenza sociale invece di subirne i
potenziali effetti contrari lamentandosi di coloro che non partecipano.
4 Quando la persuasione può avere un effetto
boomerang: come evitare il «magnetismo della
media»?

Dalla ricerca sulla foresta pietrificata si evince che le persone hanno la tendenza naturale a seguire i
comportamenti altrui pur sapendo che sono socialmente indesiderabili. Ma anche se in questi casi
raccomandiamo di ricontestualizzare il messaggio dirigendone l’attenzione sulle persone che
adottano comportamenti più desiderabili, purtroppo non sempre è possibile; che cosa deve fare
allora il persuasore in situazioni simili?
Prendiamo in considerazione uno studio che hanno condotto due di noi e vari altri colleghi sotto la
direzione di Wes Schultz. Anzitutto, abbiamo ottenuto l’autorizzazione di circa 300 proprietari di
case di registrare il loro consumo settimanale di energia. Poi abbiamo chiesto ad alcuni assistenti
alla ricerca di andare sul retro delle case a rilevare il livello del contatore; così avevamo una misura
di base da cui partire nella registrazione del consumo settimanale di energia di ogni abitazione. Infine
sulla porta d’ingresso di ogni casa, abbiamo appeso un cartellino che riportava i dati del consumo
energetico in modo che ogni proprietario potesse confrontare i propri con quelli dei vicini.
Naturalmente, la metà dei proprietari consumava più energia della media e l’altra metà ne consumava
di meno.
Nelle settimane successive, abbiamo verificato che coloro che all’inizio utilizzavano più energia
hanno incominciato a risparmiarne il 5,7%, e non c’è molto da sorprendersi; più interessante tuttavia,
è stato verificare che coloro che in precedenza consumavano meno energia ne hanno accresciuto il
consumo dell’8,6%. Questi risultati mostrano che il comportamento medio agisce come una sorta di
«magnete», il che significa che chi si allontana dalla media tende a esserne attratto e cambia
comportamento per allinearsi alla norma indipendentemente dalla maggiore desiderabilità o
indesiderabilità sociale del proprio comportamento precedente.
Perciò, come prevenire gli effetti controproducenti che si possono produrre quando le persone che
agiscono già in modo socialmente consapevole vengono a sapere che stanno deviando dalla (meno
desiderabile) norma? Forse potrebbe essere utile mostrare un piccolo emblema simbolico di
approvazione sociale del loro comportamento, che segnalerebbe non solo la sua desiderabilità
sociale, ma darebbe anche un rinforzo positivo sotto forma di conferma dell’ego. Ma quale tipo di
simbolo bisognerebbe scegliere? Un’immagine con i pollici all’insù? Un vero e proprio marchio
d’approvazione? E se fosse solo un viso sorridente?
Per mettere questa idea alla prova, abbiamo aggiunto una variante all’interno della ricerca che
riguardava solo una parte dei proprietari: i dati sul cartellino venivano accompagnati da una faccina
sorridente (A) o corrucciata (K) secondo che, naturalmente, segnalassero un consumo di energia
minore o maggiore della media. I risultati hanno mostrato che l’aggiunta della faccina corrucciata non
è stata molto rilevante; in altre parole, i proprietari che usavano una maggiore quantità di energia ne
hanno ridotto il consumo di oltre il 5% indipendentemente dalla presenza della faccina sul cartellino.
Siamo però rimasti impressionati dall’impatto che ha avuto l’aggiunta della faccina sorridente sul
cartellino di coloro che facevano un uso relativamente minore di energia elettrica. Mentre quelli il
cui cartellino non recava il simbolo hanno aumentato l’uso di energia dell’8,6% come in precedenza,
i proprietari il cui cartellino era contrassegnato con la faccina sorridente hanno continuato a
consumare energia nelle stesse percentuali.
I risultati di questa ricerca mostrano non solo il potere della norma sociale di attrarre a sé i
comportamenti come un magnete, ma anche che possiamo ridurre le probabilità che i nostri messaggi
di promozione di comportamenti desiderabili si ripercuotano negativamente sulla metà della
popolazione che li riceve.
Per citare un altro esempio, supponiamo che un rapporto riservato di una grossa società divenga
pubblico e affermi che la media dei dipendenti arriva al lavoro in ritardo il 5,3% delle volte. C’è di
buono che i lavoratori che arrivano tardi più frequentemente di questa media con tutta probabilità
modificheranno il loro comportamento per avvicinarsi alla norma, ma c’è di cattivo che lo faranno
anche coloro che sono molto più spesso puntuali. La nostra ricerca mette in evidenza che chi tende a
essere puntuale dovrebbe essere immediatamente approvato per il suo comportamento positivo e
bisognerebbe rendere palese quanto sia apprezzata la puntualità.
Anche chi opera nei servizi pubblici dovrebbe tenere in considerazione l’impatto dei propri
messaggi. Ad esempio, anche se ci fossero percentuali crescenti di assenze nelle classi, il personale
educativo dovrebbe dichiarare pubblicamente che la maggior parte dei genitori si assicurano che i
figli frequentino la scuola con regolarità e lodarli, mostrando al contempo disapprovazione per il
ridotto numero di genitori che non lo fanno.
5 Quando una maggiore offerta deprime la domanda?

Conosciamo tutti questa sensazione. Cominciamo un nuovo lavoro e immediatamente siamo sommersi
da quintali di carte che ci chiedono di prendere ogni genere di decisioni importanti: ad esempio se
aderire o meno a un programma pensionistico, per cui parte del nostro salario sarà automaticamente
accantonata in un fondo d’investimento cui si potrà accedere una volta raggiunta l’età della pensione.
Se decidiamo di aderirvi, ci troviamo di solito davanti a molte opzioni fra cui dobbiamo trovare
quella più giusta per noi. Malgrado, però, i numerosi incentivi tesi a incoraggiare ad adottare questi
programmi – che spesso prevedono sgravi fiscali e il versamento dei contributi da parte del datore di
lavoro – molti non ne approfittano. Perché? Non potrebbe darsi che le organizzazioni
inconsapevolmente scoraggino le adesioni offrendo troppe opzioni?
La comportamentista Sheena Iyengar ne è convinta. Lei e altri colleghi hanno analizzato i
programmi pensionistici di quasi 800.000 lavoratori, registrando come variasse la percentuale di
partecipazione in funzione della maggiore o minore offerta di fondi d’investimento. I ricercatori
hanno riscontrato – con un ristretto margine di dubbio – che più aumentano le opzioni, minori sono le
probabilità che i lavoratori scelgano il programma; inoltre hanno scoperto che ogni dieci fondi
d’investimento in più offerti dall’impresa ai suoi dipendenti, la percentuale di partecipazione cala di
quasi il 2%. Per fare un semplice paragone, hanno riscontrato che quando vengono offerti solo 2
fondi, la percentuale di partecipazione è del 75% circa, ma quando ne vengono offerti 59, la
percentuale scende al 60%.
Sheena Iyengar e il collega Mark Lepper hanno verificato se gli effetti dannosi della scelta
eccessiva si producessero anche in altri settori, come ad esempio quello alimentare. Così hanno
allestito uno scomparto in un supermercato di alta qualità in cui gli avventori potevano provare una
serie di marmellate tutte della stessa marca. Durante lo studio, i ricercatori hanno variato il numero
di gusti offerti, così che ne venivano esposti 6 o 24 per volta. I risultati hanno mostrato una chiara e
sorprendente differenza fra una situazione e l’altra: solo il 3% di coloro che si trovavano di fronte
alla scelta più ampia compravano qualche marmellata mentre nel caso dell’esposizione più limitata,
la percentuale degli acquirenti saliva al 30%.
Che cosa può giustificare questa moltiplicazione delle vendite? I ricercatori sostengono che
quando sono disponibili così tante scelte, probabilmente prendere una decisione diventa frustrante
forse per il peso di dover tenere presente troppe possibilità. Perciò ne può conseguire il disimpegno
dalla situazione che porta il consumatore a una generale perdita di motivazione e interesse nel
prodotto in quanto tale. La stessa logica vale per i programmi di pensionamento.
Significa che l’offerta di molte varietà e alternative è sempre controproducente? Prima di
rispondere a questa domanda, prendiamo in considerazione una delle più famose gelaterie di
Vancouver, «La casa del gelato». Questo negozio offre gelati e sorbetti di tutti i gusti possibili,
immaginabili e inimmaginabili. L’esercizio, che ha iniziato l’attività come Sports and Pizza Bar nel
distretto commerciale di Vancouver nel 1982, è diventato – come lo chiama il proprietario, Vince
Misceo – una «ice cream wonderland», il Paese delle meraviglie del gelato. Entrando nel negozio, i
clienti trovano una serie disparata di più di duecento gusti fra cui quello all’asparago, al fico e alla
mandorla, all’aceto balsamico invecchiato, al peperone piccante, all’aglio, al rosmarino, al tarassaco
e al curry solo per citarne alcuni.
Ma considerando i risultati della ricerca che abbiamo esaminato, Vince Misceo con il suo negozio
di gelati con più di duecento gusti ha fatto un errore madornale offrendo una così vasta scelta? Il
proprietario del negozio, naturalmente, sostiene la filosofia secondo la quale più sono le scelte che
mette a disposizione della clientela, migliori saranno gli affari e, dal suo successo, sembra che abbia
ragione. Anzitutto, l’ampia varietà di gusti ha dato grande pubblicità al suo locale e l’offerta
estremamente differenziata è diventata una caratteristica unica e identificativa del suo marchio. In
secondo luogo, alla maggior parte della sua clientela sembra piacere genuinamente – sia alla lettera
sia in modo figurato – il processo di passare in rassegna e alla fine scegliere i gusti che desidera
provare. E infine, massimizzare il numero delle opzioni può essere utile in modo particolare quando
in genere i clienti sanno esattamente che cosa vogliono e sono soltatno alla ricerca di un negozio che
li soddisfi.
Tuttavia, sono poche le aziende che si ritrovano nella fortunata posizione di avere orde di
potenziali acquirenti che letteralmente sbavano davanti all’opportunità di scegliere un prodotto fra la
loro ampia varietà di beni e servizi. Al contrario, avviene spesso che i potenziali clienti non
sappiano con esattezza che cosa vogliono, finché non vedono la merce disponibile. Per molte
imprese, ciò significa che saturando il mercato con un’ampia varietà non necessaria dei loro prodotti,
rischiano inavvertitamente di danneggiare le vendite e perciò di diminuire i profitti. In questi casi,
per incentivare la motivazione dei clienti a procurarsi i loro beni e servizi, le imprese dovrebbero
revisionare la linea dei prodotti e togliere dal mercato gli articoli superflui o meno popolari.
Negli anni recenti, una serie di grandi produttori di articoli di consumo diversi hanno semplificato
l’arco di scelte, a volte come risposta a cenni di ribellione dei clienti contro l’eccessiva varietà di
opzioni che gli veniva offerta. Prendiamo il caso della Procter & Gamble, ad esempio, che propone
un’ampia scelta di prodotti, dai detersivi ai farmaci non da banco. Quando la società ha ridotto le
versioni di Head & Shoulders, uno shampoo fra i più graditi dal pubblico, da una sbalorditivo 26 a
«solo» 15, ha riscontrato una crescita nelle vendite del 10%.
Allora, che cosa può significare per voi? Supponiamo che lavoriate per un’organizzazione che
vende molte varietà di un unico prodotto. Anche se all’inizio può sembrare un controsenso, forse
varrebbe la pena di considerare una riduzione nella quantità di opzioni proposte per suscitare il
massimo interesse verso le vostre offerte; e questo può essere particolarmente vero se i clienti non
sanno bene che cosa vogliano. Naturalmente, si possono trarre ulteriori benefici dalla diminuzione
dell’offerta, quali la disponibilità di maggiore spazio nei magazzini e una riduzione della spesa per
materiali non lavorati, per il marketing e i punti vendita dovuta al ridimensionamento del portfolio.
Sarebbe senz’altro un esercizio valido riesaminare l’estensione della gamma dei vostri prodotti e
chiedervi: dove abbiamo clienti che, non avendo chiarezza sulle proprie esigenze, potrebbero essere
indotti, dal numero delle scelte che gli offriamo, a cercare altrove le alternative per soddisfarle?
Le conclusioni della nostra ricerca sono applicabili anche alla vita famigliare. Dare ai figli varie
possibilità di scelta sui libri da leggere o su che cosa mangiare a cena è indubbiamente positivo, ma
troppe opzioni rischiano di sopraffarli e alla fine di portarli alla demotivazione. È bene ricordare il
vecchio detto secondo cui la vita è bella perché è varia, ma come dimostra la ricerca scientifica, in
alcuni casi l’eccessiva varietà, come l’eccessiva aggiunta di spezie, può essere l’ingrediente che
distrugge il sapore della pietanza e, di conseguenza, i vostri sforzi di essere persuasivi.
6 Quando un omaggio diventa un oltraggio?

Un set da scrittoio. Una penna a sfera. Un beautycase. Una scatola di cioccolatini. Un campione di
profumo o di acqua di colonia. Un cambio d’olio. Sono tutti esempi di omaggi o servizi proposti
dalle aziende e a un certo punto della vostra vita di consumatori, probabilmente siete stati attratti da
questo tipo di offerte di prodotti in regalo in cambio dell’acquisto di un altro prodotto. A volte questi
piccoli extra possono essere il motivo che vi spinge a scegliere una marca piuttosto che un’altra; ma
se a tutti piacciono gli omaggi, com’è possibile che offrirli, a volte, sia invece controproducente?
La studiosa di scienze sociali Priya Raghubir ha voluto verificare l’idea secondo cui quando ai
consumatori si propone un omaggio per indurli a comprare qualche prodotto (il prodotto target), il
valore percepito e la desiderabilità dell’articolo in omaggio, come oggetto in sé, rischiano
bruscamente di declinare. La studiosa ipotizza che ciò avvenga perché i consumatori potrebbero
dedurne che il produttore non offrirebbe qualcosa di valore per niente e chiedersi: «Che cosa non
andrà in questo articolo?» Potrebbero pensare, ad esempio, che l’omaggio sia obsoleto o fuori moda,
o che la sua produzione abbia superato in modo eccessivo la domanda e che il produttore stia
semplicemente cercando di liberarsi dei fondi di magazzino.
Per dimostrare la sua ipotesi, la Raghubir ha mostrato a un campione di consumatori un catalogo
che descriveva un liquore come prodotto target con un bracciale di perle in omaggio. A un gruppo di
partecipanti è stato chiesto di stimare la desiderabilità e il valore del braccialetto in quanto omaggio
e a un altro gruppo di valutare il braccialetto di perle in sé e per sé. I risultati hanno confermato
l’ipotesi: le persone erano disposte a pagare il braccialetto circa il 35% in meno quando lo vedevano
accoppiato, in omaggio, al prodotto target di quando lo vedevano come prodotto in sé e per sé.
Questi risultati rivelano alcune conseguenze potenzialmente negative per le imprese che
promuovono una linea particolare di prodotti allegandovi beni, o servizi, gratuiti che in genere si
vendono indipendentemente sul mercato. Secondo la Raghubir, per prevenire che i beni o i servizi
offerti in omaggio si rivelino dei boomerang bisognerebbe informare i clienti sul loro vero valore, o
ricordarglielo. Immaginate di lavorare per una società di software; un modo per aumentare il volume
degli affari è offrire un prodotto gratis, ad esempio un programma di protezione, ai nuovi clienti. Se
nel vostro messaggio pubblicitario proponete tale prodotto in omaggio e non indicate quanto
costerebbe al cliente se dovesse acquistarlo, perdete un’occasione propizia per presentare la vostra
come un’offerta di valore e significativa. Infatti, se scrivete solo «gratis», numericamente vale €
0,00; non certo il messaggio che vorreste comunicare a possibili nuovi clienti sul valore dei vostri
prodotti. Per garantirvi che l’offerta sia considerata valida come infatti è, i clienti hanno bisogno di
vederne il valore reale; perciò il vostro messaggio non dovrebbe più essere «in omaggio un
programma antivirus», ma diventare «un programma antivirus del valore di € 150 in omaggio per
voi».
L’idea di dare valore a quel che si offre non si applica solo a coloro che hanno un’azienda, ma
anche a chiunque cerchi d’influenzare gli altri. Ad esempio, potete far notare a un collega che siete
felici di restare un’ora in più in ufficio ad aiutarlo a concludere la definizione di un importante
progetto perché sapete quanto significhi per i suoi progetti aziendali futuri; così valorizzate il vostro
tempo agli occhi del collega, una strategia che dovrebbe dimostrarsi più influente del semplice
silenzio.
Analogamente, se fate parte del consiglio di una scuola che promuove un circolo per il
doposcuola degli studenti, dovreste sottolineare – nel comunicare il progetto ai genitori – quanto gli
costerebbe qualora scegliessero invece un circolo privato. Agendo in questo modo, non solo
valorizzate la vostra offerta ma probabilmente accrescete anche, di conseguenza, la comprensione del
suo significato da parte dei membri del club.
Questi risultati non hanno implicazioni solo nelle transazioni d’affari e del servizio pubblico, ma
possono funzionare anche in ambito famigliare. Forse potreste utilizzarli per convincere i congiunti
che, per evitare che le loro opinioni siano sottovalutate, dovrebbero smetterla di darvi consigli
gratuiti.
7 Come può un nuovo prodotto di miglior qualità far
lievitare le vendite
di un prodotto inferiore?

Alcuni anni fa, un grande magazzino americano di vendita al dettaglio di articoli per la cucina, della
Williams-Sonoma, ha cominciato a offrire una macchina per il pane di gran lunga superiore a quella
correntemente comprata dai clienti. Eppure quando hanno esposto questo nuovo prodotto sugli
scaffali, la domanda di quello preesistente è quasi raddoppiata. Perché?
La Williams-Sonoma è una società di vendita al dettaglio di grandissimo successo, la cui storia
incominciò fra la fine degli anni Quaranta e l’inizio dei Cinquanta quando un uomo – Chuck Williams
– che lavorava come appaltatore a Sonoma in California, fece un viaggio con un paio di amici a
Parigi. Qui videro per la prima volta le attrezzature francesi da cucina specializzate come padelle per
omelette e stampi per soufflé, la cui qualità e stile non si erano mai visti negli Stati Uniti. E voilà, era
nato il Williams-Sonoma Kitchen Outlet che crebbe rapidamente, aprendo molti grandi magazzini e
incominciando a pubblicare cataloghi. Oggi l’impresa e le sue consociate hanno un fatturato annuo di
oltre 3,5 miliardi di dollari; una parte delle entrate proviene da una macchina per il pane, le cui
vendite sono quasi raddoppiate immediatamente dopo che era stata introdotta sul mercato una
macchina migliore e più costosa.
Perché? Secondo il ricercatore Itamar Simonson, quando i consumatori prendono in
considerazione una serie di opzioni in relazione a un prodotto, tendono a favorire alternative che
costituiscono «scelte di compromesso» ossia che si collocano, al minimo, fra quello di cui hanno
bisogno e, al massimo, quello che possono spendere. Quando i compratori devono decidere fra due
prodotti, spesso il compromesso significa l’acquisto della versione meno costosa. Se venisse messo
in vendita un terzo prodotto più costoso degli altri due, tuttavia, la scelta di compromesso si
sposterebbe dal prodotto più economico a quello moderatamente economico. Ed ecco che, nel caso
della macchina per il pane della Williams-Sonoma, l’introduzione della macchina più costosa ha
reso l’acquisto di quella originaria una scelta più saggia e più economica, a confronto.
In che modo le lezioni apprese da una macchina per il pane ci danno la possibilità, per così dire,
di avere le mani in pasta e approfittare della situazione? Ipotizziamo che siate un imprenditore o un
direttore alle vendite che abbia la gestione di una serie di prodotti e servizi. Dovreste essere
abbastanza avvertiti da riconoscere che i prodotti di gamma più elevata e più costosa della vostra
azienda vi offrono due vantaggi molto importanti. In primo luogo, questi prodotti di qualità superiore
potrebbero andare incontro ai bisogni di un piccolo gruppo di clienti, sia correnti sia potenziali, che
sono attratti da un tipo di proposte simili e porterebbero, di conseguenza, entrate più cospicue alla
vostra azienda. Un secondo vantaggio meno ovvio e forse sottostimato di avere una linea di prodotti
che ne comprenda una versione di gran lusso, è che il prezzo del modello appena un po’ meno
costoso probabilmente sarà considerato interessante.
Prendiamo un esempio di tutti i giorni in cui questo principio spesso non è messo in pratica nel
pieno delle sue potenzialità, un esempio familiare per molti: la scelta di una bottiglia di vino al bar o
al ristorante. Un numero consistente di enoteche e ristoranti propongono i vini più costosi in fondo
alla lista dei vini, su cui a volte non cade neppure l’occhio dei clienti quando considerano le varie
opzioni. In alcuni locali, gli champagne più pregiati sono perfino elencati in menu separati, e di
conseguenza i vini e gli champagne di medio livello non sono proposti come scelte di compromesso e
perciò possono sembrare meno attraenti. Operando semplicemente un piccolo cambiamento e
offrendo i vini e gli champagne pregiati all’inizio dei menu, il locale metterà in rilievo l’elemento
potente del compromesso.
Questa strategia può essere efficace anche nelle relazioni di lavoro. Ad esempio, supponete che la
vostra organizzazione abbia deciso di pagarvi perché assistiate a una conferenza che si svolge su una
nave da crociera e che voi vogliate soggiornare in una cabina con vista mare. Invece di chiedere
semplicemente al vostro responsabile la sua approvazione per la cabina con vista mare, potete
affiancare a questa altre due possibilità: una che non è così piacevole (una cabina interna) e un’altra
che è evidentemente migliore, ma forse troppo costosa (una cabina con terrazzino). Costruendo
questo insieme di alternative intorno alla vostra opzione preferita, accrescete le probabilità che
anche la scelta del vostro responsabile cada sull’opzione che preferite voi.
La strategia del compromesso non si applica solo alle macchine del pane, agli alcolici e al tipo di
alloggio nei viaggi di lavoro. Chiunque abbia una serie di prodotti o servizi da offrire, può scoprire
che i propri prodotti di gamma media hanno più successo offrendone all’inizio altri più costosi. È
anche importante prevedere, se la vostra azienda adotta questo approccio, che un’inaspettata caduta
nelle vendite della versione del prodotto di alta qualità potrebbe indurvi a smettere di proporlo.
Come suggerisce la ricerca sopracitata, tuttavia, toglierlo senza sostituirlo con un altro prodotto
prestigioso potrebbe provocare un effetto domino negativo che, iniziando dalla versione di alta
qualità un po’ meno costosa del prodotto, rischierebbe di farsi strada coinvolgendo rovinosamente
tutte le altre; una simile sottrazione nella scelta di compromesso dei vostri clienti finirebbe col
trascinarvi in una posizione compromessa.
8 La paura è persuasiva o paralizzante?

Nel suo discorso inaugurale, il trentaduesimo presidente degli Stati Uniti – Franklin Delano
Roosevelt – rivolse le seguenti famose parole agli americani ansiosi all’epoca della grande
depressione: «Prima di tutto, voglio comunicarvi la mia ferma convinzione che l’unica cosa di cui
dobbiamo avere paura è la paura stessa, che paralizza gli sforzi necessari a trasformare la
regressione in avanzamento». Ma aveva ragione, Roosevelt? Quando si cerca di persuadere un
pubblico, la paura paralizza, come sostiene lui, o motiva?
Nella maggior parte dei casi, la ricerca ha dimostrato che i messaggi che provocano paura
generalmente inducono coloro che li ricevono all’azione per ridurre la minaccia. Questa regola
generale, tuttavia, ha un’importante eccezione: quando il messaggio descrive il pericolo ma non
indica strumenti chiari, specifici ed efficaci, per ridurlo, si può verificare che i suoi destinatari
affrontino la paura «rimuovendo» il messaggio o negando che riguardi anche loro. Di conseguenza,
possono effettivamente restare paralizzati e non prendere nessuna iniziativa.
In uno studio condotto da Howard Leventhal e colleghi, ad alcuni studenti veniva dato da leggere
un manuale sanitario che descriveva i pericoli del tetano; su una metà delle copie erano riportate
immagini spaventose delle conseguenze del tetano e sull’altra metà, no. Inoltre, a una parte degli
studenti veniva consegnato un piano di istruzioni specifiche per preparare un’iniezione antitetanica e
a un’altra parte, no. C’era poi un gruppo di studenti di controllo a cui non venivano date avvertenze
sul tetano, ma le istruzioni su come procurarsi un’iniezione antitetanica. Il messaggio che veicolava
l’alto picco di paura induceva i suoi destinatari a fare l’antitetanica solo se includeva un piano che
indicava le azioni specifiche da intraprendere per procurarsi un’iniezione antitetanica riducendo così
la paura del tetano. Questi risultati aiutano a spiegare perché è importante accompagnare i messaggi
che comunicano paura con indicazioni specifiche di azioni tese a ridurre il pericolo: più chiaramente
le persone vedono quali comportamenti adottare per liberarsi della paura, meno è loro necessario
ricorrere a strumenti psicologici quali il diniego.
I suddetti risultati possono essere utilizzati anche dalle aziende e in molti altri settori. Ad
esempio, le campagne pubblicitarie che informano i potenziali clienti delle minacce che i vostri
prodotti e servizi hanno la prerogativa di sventare, dovrebbero sempre essere accompagnate da
indicazioni specifiche ed efficaci sulle misure da adottare per ridurre il pericolo. Spaventando
semplicemente i clienti per indurli a credere che i vostri prodotti o servizi siano utili ad affrontare un
eventuale problema, rischiate di provocare l’effetto contrario, immobilizzandoli nell’inazione.
Un’altra implicazione di questa ricerca è che, se vi capita di individuare un problema
particolarmente serio in un progetto ad ampio raggio intrapreso dalla vostra organizzazione, sarebbe
saggio accompagnare le vostre affermazioni rivolte ai responsabili con almeno un piano d’azione che
l’impresa potrebbe adottare per evitare il temuto disastro. Se decidete di avvertire la direzione prima
e di escogitare un piano dopo, il tempo che richiede a voi e ai vostri collaboratori l’elaborazione di
un piano può essere sufficiente alla direzione per trovare il modo di rimuovere il messaggio o
rifiutare di ammettere che riguardi quel particolare progetto.
I messaggi dei professionisti della salute e dei servizi pubblici dovrebbero essere particolarmente
consapevoli delle implicazioni di questa ricerca. Sarebbe utile che medici o infermieri che
desiderino convincere pazienti in sovrappeso a dimagrire e fare più esercizio fisico, indirizzassero
l’attenzione dei pazienti sui pericoli potenziali della mancata perdita di peso ma solo indicando loro
anche alcune misure chiare e incisive da adottare, magari sotto forma di diete particolari ed esercizi
specifici. Sottolineando semplicemente che si trovano di fronte a un crescente rischio di disturbo
cardiovascolare e diabete nel caso in cui non dimagrissero, infonderebbero nei pazienti soltanto
paura e diniego. Anche nel caso dei responsabili dei servizi pubblici, limitarsi a delineare un quadro
spaventoso dell’impatto dei comportamenti pericolosi – quali fumare, avere rapporti sessuali non
protetti e guidare in stato d’ebbrezza – può essere inefficace, o persino controproducente, se le
esortazioni non sono accompagnate da un buon piano d’azione.
Data la necessità di associare ai messaggi che comunicano potenziali minacce indicazioni chiare,
specifiche e facili da seguire, forse il discorso di Roosevelt dovrebbe essere corretto così: «L’unica
cosa che dobbiamo temere è la paura da sola».
9 Che cosa può insegnarci il gioco degli scacchi su
come fare mosse persuasive?

Nell’aprile 2005, malgrado la forte censura del governo degli Stati Uniti, il parlamento di una
nazione sovrana votò a stragrande maggioranza per garantire la cittadinanza all’ex campione del
mondo di scacchi Bobby Fischer, in fuga dal giro di vite legale degli Stati Uniti. Quale Paese
rischiava di guastare le sue relazioni con la nazione più potente del mondo per proteggere un
eccentrico trasgressore della legge che esprimeva ad alta voce il suo sostegno ai dirottatori dell’11
settembre? Era l’Iran o forse la Siria? O la Corea del Nord?
E invece non era nessuno di questi; il Paese il cui parlamento aveva votato all’unanimità per
garantire a Fischer la cittadinanza era l’Islanda, un fedele alleato degli Stati Uniti. Di tutti i Paesi del
mondo, perché proprio l’Islanda era così pronta ad accogliere Bobby Fischer a braccia aperte,
soprattutto dopo che aveva violato le sanzioni delle Nazioni Unite giocando una partita a scacchi per
5 milioni di dollari nella ex Jugoslavia?
Per rispondere a questa domanda, dobbiamo tornare indietro di oltre trent’anni e rievocare una
partita a scacchi di altissimo profilo nel 1972, durante il campionato mondiale di scacchi fra lo
sfidante Bobby Fischer e il campione di allora, il maestro russo Boris Spassky. Nessuna partita nella
storia degli scacchi ha ricevuto tanta pubblicità a livello mondiale e il gioco degli scacchi ne trasse
un impeto travolgente in ogni angolo del pianeta. La partita, giocata nel momento più alto della guerra
fredda, è stata chiamata la Partita a scacchi del secolo.
Con la sua tipica eccentricità, Fischer non arrivò in Islanda per la cerimonia d’apertura e per
parecchi giorni sembrò in dubbio la possibilità stessa di allestire la partita, perché si rivelò
impossibile per le autorità venire incontro alla miriade di richieste di Fischer, quali tenere lontane le
telecamere e la sua esigenza di ricevere il 30% dei proventi ricavati dall’indice di ascolto degli
spettatori. Il comportamento di Fischer era pieno di contraddizioni, come lo era sempre stato in tutta
la sua carriera di scacchista e nella vita personale. Alla fine, dopo un sorprendente raddoppio del
premio e un grande sforzo di persuasione, fra cui – sembra – una telefonata del segretario di Stato
americano Henry Kissinger, Bobby Fischer prese l’aereo per l’Islanda e si apprestò a battere
Spassky. Non appena la sfida si concluse, ebbe la prima pagina su tutti i giornali sia all’interno del
Paese che all’estero. Sta di fatto che l’Islanda tollerò la personalità controversa di Fischer poiché,
come disse un giornalista islandese: «Proietta l’Islanda sul piano internazionale».
Evidentemente, fu considerato un dono significativo che Fischer offriva all’isolata nazione. Tanto
fu significativo che, dopo più di trent’anni, gli islandesi non l’avevano dimenticato. Ad esempio, un
rappresentante islandese del Ministero degli affari esteri ha detto che Fischer «è stato protagonista di
un evento piuttosto speciale nel nostro Paese più di trent’anni fa, ma che il popolo ricorda molto
bene». Secondo l’analisi della BBC, gli islandesi erano «desiderosi di restituire il favore offrendo
asilo al signor Fischer», anche se molti lo consideravano indesiderabile.
Questo evento sottolinea l’importanza e l’universalità della regola della reciprocità, che ci spinge
a restituire agli altri quello che ne abbiamo ricevuto, ci spinge a un giusto comportamento nelle
interazioni quotidiane, negli affari e nelle relazioni personali, e ci aiuta a costruire la fiducia insieme
agli altri.
Il ricercatore Dennis Regan ha condotto uno studio classico sulla regola della reciprocità. Nel suo
esperimento, le persone che ricevevano un piccolo dono inaspettato da un estraneo di nome Joe sotto
forma di una lattina di Coca-Cola gli compravano il doppio di biglietti della lotteria di coloro che
non avevano ricevuto niente da lui. Ciò avveniva malgrado intercorresse un intervallo di tempo fra il
dono e la vendita e Joe non facesse nessun cenno al dono originario quando proponeva i biglietti
della lotteria.
Un altro aspetto dello studio di Regan chiarisce un po’ di più perché il governo islandese si sia
sentito obbligato a ricambiare Fischer per la notorietà che aveva dato al Paese anche se era una
figura tanto controversa. È interessante da osservare che, malgrado tutto quello che è stato scritto
sulla associazione generalmente forte fra il piacere e la compiacenza, Regan ha scoperto che quelli
che avevano ricevuto una lattina di Coca-Cola da Joe hanno deciso di comprargli i biglietti
indipendentemente dalla simpatia o antipatia che provavano per lui; in altre parole, dei partecipanti
che avevano ricevuto l’omaggio, quelli a cui Joe non piaceva hanno comprato la stessa quantità di
biglietti della lotteria di quelli a cui piaceva. È la dimostrazione che i sentimenti di indebitamento
indotti dal potere della reciprocità sono in grado di andare oltre gli effetti del piacere. Il fatto che la
regola della reciprocità abbia un potere reale di permanenza e trascenda il piacere è illuminante per
chiunque cerchi di essere più persuasivo; dovrebbe anche essere una buona notizia per una persona a
cui si chieda di concedere un grosso o costoso favore a un altro e per cui non sembra in vista un
guadagno a breve termine. In quanto professionisti dell’informazione e dell’etica, dovremmo quindi
essere i primi ad aiutare gli altri o a fargli concessioni. Se cerchiamo di offrire il nostro aiuto a
collaboratori, colleghi o conoscenti, iniettiamo in loro l’obbligo sociale di aiutarci o sostenerci in
futuro. Dando appoggio al nostro capo, ci poniamo ai suoi occhi in una luce collaborativa che ci
potrebbe servire quando a nostra volta avessimo bisogno di aiuto. E il manager che permette ai
collaboratori di uscire dall’ufficio un po’ in anticipo per andare dal dentista è un manager che investe
saggiamente nei colleghi, che si sentiranno in dovere di ricambiare il gesto e forse di offrirsi qualche
volta di restare più a lungo se fosse necessario per concludere un progetto.
Spesso compiamo l’errore, quando abbiamo bisogno di convincere e influenzare gli altri per
indurli ad aiutarci, di chiederci «chi mi può aiutare in questo frangente?» Questo è a volte un
approccio miope su come influenzare gli altri. Noi sosteniamo che sarebbe più produttivo chiedere a
noi stessi «a chi posso essere utile?» sapendo che la regola della reciprocità e dell’obbligo sociale
renderà le richieste future più efficaci. Se management significa l’adempimento, da parte di altri, di
compiti che ci sono necessari, una buona rete di colleghi che si sentano in debito e che abbiano tratto
beneficio da informazioni utili, concessioni e forse un orecchio amico, può far sentire un manager al
riparo per il futuro. Allo stesso modo i nostri amici, vicini, partner e persino i figli diventeranno
potenzialmente più ricettivi alle nostre richieste se ci siamo occupati di loro per primi.
Bisogna anche osservare che per una tipologia particolare di persone, un piccolo favore conta
molto: gli operatori dei servizi clienti. Se vi è mai capitato di esservi vista addebitare una spesa
sbagliata sulla carta di credito, di aver cercato di cambiare all’ultimo minuto il biglietto di un volo o
aver desiderato di restituire qualche acquisto, avrete sicuramente conosciuto – prima o poi – qualche
operatore meno che servizievole. Per ridurre le probabilità d’incorrere in questo genere di incontri,
provate questo espediente: se vi sembra, all’inizio dell’interazione, che l’operatore sia
particolarmente cordiale – educato o disponibile – forse prima che rivolgiate la vostra più ardua
richiesta, ditegli che siete talmente soddisfatti del servizio che scriverete una lettera o e-mail di
elogio al suo supervisore sull’interazione con lui appena riaggancerete. Dopo esservi fatti dare il
nome suo e del relativo supervisore, potete procedere con le richieste più complesse in questione (in
alternativa, dite al vostro interlocutore che siete così soddisfatti del servizio che vorreste mettervi in
contatto con il suo superiore quando avete concluso per felicitarvene con lui). Anche se ci sono
certamente varie ragioni psicologiche che spiegano l’efficacia di tale strategia, in questo caso la
regola della reciprocità è comunque un fattore determinante: vi siete offerti di fare un favore a quella
persona, perciò adesso si sente obbligata a ricambiarvi il favore; e, al basso prezzo di scrivere una
veloce e-mail al superiore in un secondo tempo, potete evitare di cacciarvi nella singolar tenzone di
una partita a scacchi strategica (e forse a colpi di urla) con l’operatore che alla fine può portare a
delusione e frustrazione. Perciò sempre che teniate fede alla vostra promessa, questa strategia
dovrebbe essere etica ed efficace.
10 Con quale articolo da ufficio la vostra influenza può
fare la massima presa?

Se state leggendo questo libro seduti alla scrivania, la risposta alla questione di cui sopra forse è a
portata di mano. Potrebbero essere le graffette, le penne, le matite? O il goniometro, l’agenda, il
fermacarte, la stampante? I cassetti del vostro ufficio sono pieni di oggetti pratici: con quale dei tanti
la vostra influenza può fare presa?
Il sociologo Randy Garner si è chiesto se i memo tac – meglio noti come Post-it, prodotti dalla
3M – abbiano il potere di accrescere l’assenso alle richieste scritte. In un interessante studio, ha
inviato dei questionari chiedendo ai destinatari di compilarli. Erano accompagnati: (a) da un memo
tac scritto a mano, apposto su una lettera di presentazione, con la richiesta di compilare il
questionario; (b) da un messaggio simile scritto però sulla lettera di presentazione; (c) solo dalla
lettera di presentazione.
Il quadratino giallo ha esercitato una forza assolutamente prorompente: più del 75% delle persone
che avevano ricevuto il questionario con la richiesta sul memo lo hanno compilato e restituito, contro
solo il 48% del secondo gruppo e il 36% del terzo gruppo. Ma che cosa lo aveva reso tanto
persuasivo? Potrebbe essere il semplice fatto che i memo catturano l’attenzione in tutta la loro gloria
di insegne al neon?
Garner si è posto la stessa domanda. Per verificare tale possibilità, ha distribuito un’altra serie di
questionari. Questa volta, un terzo dei questionari è stato accompagnato da una richiesta scritta a
mano su un Post-it, un terzo da un Post-it in bianco, e un ultimo terzo senza Post-it. Se la marcia in
più dei Post-it fosse semplicemente costituita dal loro colore giallo neon, che attrae lo sguardo sul
foglietto, le percentuali delle risposte avrebbero dovuto essere ugualmente elevate in entrambi i casi
di questionari con Post-it; ma non è andata così. L’avviso scritto a mano ha stravinto la competizione
con una percentuale di risposte del 69% contro il 43% dei questionari con memo in bianco e il 34%
di quelli senza memo.
Qual è dunque la spiegazione? Anche se non è necessario versare sudore e sangue per trovare
Post-it, applicarli su lettere di presentazione e scriverci sopra un messaggio, Garner sostiene che le
persone riconoscono lo sforzo in più e il tocco personale che implica il gesto e sentono il bisogno di
ricambiarli accogliendo la richiesta. In fin dei conti, la reciprocità è il collante sociale che tiene
insieme le persone in relazioni di mutua collaborazione, e potete scommettere che è più potente di
quello che si trova sui Post-it.
In realtà, l’evidenza è anche più significativa. Garner ha scoperto che il memo tac personalizzato
sui questionari non aveva semplicemente l’effetto di persuadere un maggior numero di persone a
rispondervi: coloro che hanno compilato il questionario con il Post-it scritto a mano, lo hanno anche
restituito più sollecitamente e hanno dato risposte più dettagliate e attente alle domande. E quando il
ricercatore ha reso il messaggio ancor più personale, firmandolo con le iniziali e aggiungendovi un
«grazie», la percentuale delle risposte è ancora aumentata.
In termini generali, la ricerca ci offre un’importante prospettiva del comportamento umano: ci dice
che più si personalizzano le richieste, più è probabile che si convincano gli altri ad accoglierle. In
particolare questa ricerca mostra che in ufficio, nella società o anche in famiglia, i messaggi
personalizzati possono evidenziare l’importanza delle vostre relazioni e comunicazioni ed evitare
che diventino il proverbiale ago nel pagliaio nella miriade di altri messaggi, lettere ed e-mail che
sono in cerca di visibilità; e soprattutto, la tempestività e la qualità dell’accoglienza della vostra
richiesta ne sono probabilmente accresciute.
Qual è la conclusione? Se usate messaggi personalizzati nelle vostre strategie di persuasione, non
ne trarranno profitto solo quelli della 3M.
11 Perché i ristoranti dovrebbero disfarsi dei cestini di
mentine?

A meno che non dobbiamo distruggere qualche vampiro, quando al ristorante finiamo di mangiare un
piatto all’aglio siamo contenti di vedere che vicino all’uscita molto spesso si trova un cesto di
mentine. Anche se questa soluzione lascia certamente il dolce in bocca, è possibile che tenere delle
mentine nel locale non sia esattamente la soluzione più desiderabile per il ristorante e i suoi
camerieri?
Molti ristoranti distribuiscono dolciumi in un modo diverso e molto più efficace: il cameriere li
porge in forma di piccolo omaggio alla fine del pasto. Anche se l’omaggio consiste solo in un
cioccolatino o qualcosa di simile offerto su un piatto d’argento insieme al conto, questi dolciumi
possono essere notevolmente persuasivi.
Il comportamentista David Strohmetz e colleghi hanno condotto un esperimento per determinare
quali eventuali effetti si avessero sulle mance ai camerieri offrendo ai clienti un piccolo dolciume
alla fine del pasto. In un test da loro proposto, portando il conto i camerieri offrivano un unico
dolciume a ogni cliente: che cosa è avvenuto in merito alla media delle mance che hanno distribuito
questi clienti rispetto a quelle di un gruppo di controllo che non aveva ricevuto dolciumi? I
ricercatori hanno riscontrato un aumento delle mance non eccezionale, ma costante, del 3,3%. In un
secondo test, i camerieri hanno offerto due dolciumi a testa ai clienti; malgrado fosse solo una
piccolissima caramella in più, le mance sono aumentate del 14,1% rispetto al gruppo di controllo.
Tutto questo è ragionevolmente prevedibile, considerando quanto sappiamo della regola della
reciprocità secondo cui più una persona ci dà, più ci sentiamo in dovere di ricambiarla. Ma quali
elementi rendono un dono o un favore più persuasivi di tutti? Il terzo test ci fornisce la risposta.
Al gruppo di clienti coinvolti in quest’ultimo caso, i camerieri hanno offerto in un primo tempo un
dolciume a testa; poi si sono allontanati dal tavolo come se stessero per andarsene. Prima di lasciare
completamente l’area, tuttavia, sono tornati indietro verso i clienti, e da una tasca hanno tirato fuori
un secondo dolciume per ogni cliente. Con questo gesto, era come se dicessero ai clienti: «Per voi
brava gente, ecco un omaggio speciale». Il risultato? L’aumento delle mance è stato del 23%.
Questa ricerca indica che sono tre i fattori che rendono un dono o un favore più persuasivi con la
conseguenza che saranno più probabilmente ricambiati. Il primo fattore richiede che ciò che viene
dato sia considerato significativo dal ricevente; dare ai clienti due dolciumi invece di uno ha l’effetto
d’innalzare la crescita nelle mance da un 3,3% a un 14,%. Bisogna osservare che significativo non
vuol dire costoso; due dolciumi costano solo pochi centesimi. Ma bisogna notare anche un ulteriore e
importante elemento nel terzo test; da un punto di vista economico, il secondo e terzo test si
equivalgono poiché in entrambi, ai clienti sono stati offerti due dolciumi dal cameriere alla fine del
pasto. Non c’è stata differenza nella quantità, bensì nel modo in cui è stato offerto l’omaggio e
questa differenza ci fornisce gli altri due fattori che rendono un dono più persuasivo: la sua
imprevedibilità e la sua personalizzazione. Nel terzo test i clienti probabilmente pensavano che non
ci sarebbero state altre iterazioni con il cameriere, dopo che avevano ricevuto il primo dolciume e
lui si era allontanato; ecco perché l’omaggio era inaspettato e, facendo finta di provare una simpatia
particolare per i clienti di quel tavolo, il cameriere ha reso il secondo dolciume un omaggio
personalizzato.
Naturalmente se i camerieri avessero usato la stessa tattica nei confronti di ogni tavolo, non solo
sarebbe stata considerata poco etica dai clienti, ma non avrebbe funzionato a lungo. Appena gli
avventori si fossero accorti che veniva usata per tutti, il secondo dolciume non sarebbe più stato
considerato significativo, personalizzato e inaspettato; al contrario, sarebbe stato giudicato una
furbizia che si sarebbe rivolta contro i camerieri. È possibile, tuttavia, applicare gli insegnamenti
della ricerca in modo etico. Per garantirvi che qualsiasi dono o favore da voi offerto sia apprezzato
al massimo, cercate di scoprire prima che cosa, per chi lo riceve, sarebbe considerato genuinamente
personale, significativo e inaspettato.
Anche se esaminiamo solo i risultati dei primi due test, tuttavia, possiamo verificare che un
ristorante che scelga di mettere le mentine vicino all’uscita perde un’opportunità importante di
vedere i propri camerieri dare un segno di apprezzamento ai clienti e di riceverne a loro volta uno in
cambio. Malgrado i dolciumi valgano solo pochi centesimi, i camerieri possono mostrare ai clienti
che per loro contano molto di più.
12 Quale marcia in più ci dà non porre condizioni?

In precedenza abbiamo visto come molti alberghi che adottano programmi di riutilizzo degli
asciugamani, cerchino di convincere i propri ospiti ad aderirvi ricordandogli l’importanza di
proteggere l’ambiente. Alcuni hotel, tuttavia, intraprendono un ulteriore passo per creare
un’atmosfera di collaborazione offrendo agli ospiti un incentivo. In questi messaggi, sul cartellino
che invita al riutilizzo degli asciugamani, si legge che se gli ospiti accettano la richiesta, l’albergo
donerà una percentuale del risparmio di energia così realizzato a qualche organizzazione
ambientalista no profit.
È facile capire perché gli ideatori di tali messaggi pensino che gli incentivi siano efficaci. Anche
noi intuiamo che gli incentivi funzionano: i coni gelato eccellono nel persuadere i bambini a pulire la
loro cameretta, ghiotti bocconcini elargiti oculatamente possono aiutare anche cani anziani a
imparare nuovi trucchi, e lo stipendio ha il potere di limitare le volte che mettiamo a tacere la
suoneria della sveglia prima di saltare giù dal letto per andare al lavoro. Malgrado gli incentivi che
vengono offerti non siano a diretto beneficio degli ospiti, tuttavia sembra probabile che gli ospiti
siano motivati a partecipare al programma per via dell’ulteriore beneficio che viene offerto
all’ambiente. Ma funziona davvero?
Per scoprirlo, due di noi hanno condotto un’altra ricerca nello stesso hotel. Questa volta, in alcune
stanze sono stati collocati dei cartellini per il riuso degli asciugamani con il messaggio ambientalista
standard, mentre in altre, avvisi che adottavano l’approccio basato sull’incentivo. Quando abbiamo
esaminato i risultati, abbiamo verificato che il nuovo messaggio non aveva prodotto nessun
miglioramento rispetto a quello standard. Perché?
Malgrado gli elementi che potrebbero giocare a favore di questo tipo di approccio, ci sono buone
ragioni per credere che bisogna operare un piccolo cambiamento nel messaggio per renderlo più
persuasivo di quello standard. Infatti, non si produce molto obbligo sociale chiedendo di collaborare
con chi offre qualcosa soltanto a condizione che si faccia la prima mossa. Questo tipo di scambio è
semplicemente una transazione di carattere economico; d’altro canto la regola della reciprocità, che
spinge a restituire i favori ricevuti, è portatrice di un senso molto potente di dovere. Non desta gran
meraviglia, perciò, che la richiesta di collaborazione basata sull’incentivo non fosse più efficace nel
persuadere gli ospiti a riusare gli asciugamani di quella standard; infatti nella misura in cui l’hotel
non dava niente all’inizio, non implicava nessun obbligo sociale.
Questa constatazione ci ha spinto a ipotizzare che gli alberghi che hanno adottato avvisi basati
sull’incentivo abbiano avuto l’idea giusta, ma che la sequenza fosse sbagliata. Sfruttando le nostre
conoscenze sulla regola della reciprocità, abbiamo pensato che forse invertendo la sequenza
avremmo ottenuto il risultato di accrescere la partecipazione al programma; in altre parole, l’hotel
avrebbe dovuto fare la donazione per prima senza condizioni, e poi chiedere agli ospiti di
collaborare riutilizzando gli asciugamani. Quest’idea ha costituito la base di un terzo messaggio, che
abbiamo inserito nella ricerca.
Il terzo messaggio era simile a quello basato sull’incentivo, in quanto vi si parlava di donazione a
un’organizzazione ambientalista no profit; ma invece di dire che la donazione avveniva solo a
condizione che gli ospiti facessero il primo passo nello sforzo di collaborazione, affermava che la
donazione era già avvenuta per opera dell’hotel e a nome dei suoi ospiti. Poi chiedeva ai clienti di
ricambiare il gesto riutilizzando gli asciugamani durante il loro soggiorno.
L’avviso così concepito ha prodotto una percentuale di riutilizzo degli asciugamani più alta del
45% di quella ottenuta dall’avviso basato sull’incentivo. Il risultato è particolarmente interessante se
si considera che i testi hanno quasi lo stesso contenuto, ma comunicano messaggi diversi. Anche se
entrambi i testi informavano gli ospiti che l’hotel donava del denaro a un’organizzazione
ambientalista no profit, il messaggio che faceva leva sulla reciprocità informava i clienti che l’hotel
aveva già iniziato lo sforzo congiunto, avvalendosi della forza della reciprocità e dell’obbligo
sociale per indurli a partecipare.
Insieme ai risultati di altre ricerche, questi dati chiariscono che quando cerchiamo di sollecitare la
collaborazione di altri – che siano colleghi, clienti, studenti o conoscenti – dobbiamo offrire loro un
aiuto genuinamente e completamente incondizionato. Questo approccio alle potenziali relazioni di
collaborazione dovrebbe non solo accrescere le possibilità di conquistare il consenso altrui in primo
luogo, ma anche garantire che la collaborazione che si riceve sia costruita su solide fondamenta di
fiducia e mutua stima, invece che su un più debole sistema di incentivi. Scoprirete anche che questo
approccio è molto più durevole. Altrimenti, nel momento in cui l’incentivo che promettete non può
più essere offerto o desiderato dall’altro, il fragile fondamento della relazione rischia di crollare e il
ponte che avete costruito di sgretolarsi.
13 I favori si comportano come il pane o come il vino?

In precedenza, abbiamo dimostrato che offrendo preventivamente un omaggio, un servizio o un


favore, creiamo nel destinatario un obbligo sociale che lo spinge a ricambiare; sia che l’omaggio
consista nel fornire qualche informazione utile o l’appoggio a un collega, nell’apporre un messaggio
personalizzato su una richiesta o, come nel caso di Bobby Fischer, nel dare visibilità internazionale a
un intero Paese, implica un obbligo sociale. Ma che cosa ne è dell’influenza di questi doni e favori
col passare del tempo? I favori sono come il pane, che diventa stantio nella mente del loro
destinatario, e perdono valore col tempo o assomigliano di più al vino, che migliora e si valorizza
con l’età? Secondo il ricercatore Francis Flynn, la risposta a questa domanda dipende dalla
posizione che si occupa in rapporto al favore.
Flynn ha condotto un’inchiesta fra i dipendenti del servizio clienti di una grande compagnia aerea
americana; in questo particolare contesto aziendale, i colleghi comunemente si scambiano favori per
coprire gli spostamenti reciproci. Il ricercatore ha chiesto a metà dei dipendenti di ricordare un
momento in cui avevano fatto un favore a qualche collega, e all’altra metà di ricordare una volta in
cui ne avevano ricevuto uno; a tutti gli impiegati che hanno partecipato a questa ricerca è stato poi
chiesto di indicare il valore percepito del favore e anche di specificare quanto tempo prima avesse
avuto luogo. I risultati del sondaggio hanno messo in luce come i destinatari del favore ne
percepissero in pieno il valore immediatamente dopo averlo ricevuto e come tale percezione si
affievolisse col passare del tempo mentre per i soggetti attivi, era vero l’esatto contrario:
attribuivano al favore un valore relativo immediatamente dopo averlo fatto, ma sempre maggiore col
passare del tempo.
Una spiegazione dei suddetti risultati potrebbe essere che, col passare del tempo, la memoria
dell’evento si distorce e poiché si ha la tendenza a vedersi nella luce migliore, è probabile che i
beneficiati finiscano col pensare di non essere poi stati così bisognosi di aiuto ai tempi, mentre i
donatori, di essere stati veri e propri deus ex machina.
Tali risultati hanno forti implicazioni per quanto riguarda l’efficacia della nostra forza di
persuasione sia all’interno che all’esterno del posto di lavoro. Se siete gli autori di un favore a un
collega o a un conoscente, probabilmente questa circostanza ha un forte impatto sul suo desiderio di
ricambiarvi nel breve periodo che segue l’evento; se invece siete i destinatari del favore, dovete
essere consapevoli della tendenza delle persone nella vostra posizione a sminuirne il valore col
passare del tempo. Qualora non riconosciate più in pieno il valore del favore settimane, mesi o anche
anni dopo che vi è stato fatto, alla fine questa circostanza potrebbe danneggiare la vostra relazione
con il donatore; nel caso il donatore siate voi, potreste invece tendere a pensare male del beneficiato
per la sua reticenza a restituirvi quello che gli avete dato. Allora, come agire per valorizzare al
massimo i vostri favori visto che il loro valore tende a diminuire agli occhi del beneficiato col
passare del tempo? Potreste, ad esempio, riconoscere il valore del dono o del favore che avete fatto
dicendo al suo destinatario che siete stati felici di aiutarlo poiché «se la situazione s’invertisse, sono
sicuro che faresti la stessa cosa per me».
Seguendo un’altra strategia potenzialmente più rischiosa, potreste riaffermare il valore del vostro
precedente favore prima di rivolgere una richiesta conseguente. Naturalmente, dovreste soppesare
con attenzione le parole, adottando questo approccio. Dicendo ad esempio «ricordi quando ti ho
aiutato qualche settimana fa? Be’, carissimo, è venuto il momento di ricambiare!», sareste di sicuro
votati al fallimento. Ma un gentile richiamo come «quanto ti è sembrato utile il rapporto che ti ho
mandato?» può essere un buon modo d’interloquire prima di formulare la vostra richiesta.
Anche se non esistono metodi universali per influenzare gli altri al cento per cento, siamo certi
che la comprensione di tutti gli elementi che influenzano la valutazione dei favori sia un buon inizio.
E se tutto il resto fallisce, ricordate almeno una semplice regola dello scambio di favori: come si
catturano più mosche con il miele che non con l’aceto, alla fine vi procurerete più favori con una
bottiglia di vino invecchiato che con una pagnotta della settimana scorsa.
14 In che modo, aprendo una breccia, si può arrivare
molto lontano?

Immaginate che la vostra casa si trovi in un quartiere benestante e pittoresco, il tipo di ambiente in
cui le persone sono molto fiere delle loro siepi impeccabili, dei loro prati perfetti e delle loro
recinzioni appena dipinte di bianco; una zona dove gli agenti immobiliari non avranno mai problemi
a vendere case ma per cui, al contrario, dispongono molto probabilmente di una lunga lista d’attesa
di persone che vi si vogliono trasferire. Immaginate, inoltre, che un giorno qualcuno del locale
Comitato per la sicurezza del traffico bussi alla vostra porta e vi chieda se volete sostenere la
campagna «Guida con prudenza nel nostro quartiere» collocando sul vostro prato un grande manifesto
di 180 × 90 cm su cui c’è scritto «GUIDA CON PRUDENZA». La sua assicurazione che degl
operai, e non voi, scaveranno le buche su cui verrà innalzato il cartellone non dà molto sollievo al
vostro disagio.
Quante persone pensate che accettino di soddisfare una richiesta simile? Secondo un esperimento
condotto dagli studiosi di psicologia sociale Jonathan Freedman e Scott Fraser, il 17% dei
proprietari di case di un quartiere di lusso simile a quello sopradescritto hanno acconsentito alla
richiesta ma, sorprendentemente, i ricercatori sono stati capaci di ottenere un consenso del 76% da
parte di un campione diverso di residenti con un’aggiunta, all’apparenza insignificante, alla loro
richiesta. Qual è stata l’aggiunta e che cosa ci dice su come formulare messaggi incisivi?
Un assistente dei ricercatori aveva contattato il campione di residenti due settimane prima di
questa gravosa richiesta e gli aveva domandato di poter collocare alla loro finestra un manifesto
molto piccolo, relativamente discreto, con su scritto «SII PRUDENTE AL VOLANTE». Poiché er
una richiesta così poco invasiva, quasi tutti i residenti avevano acconsentito. Due settimane dopo,
quando un altro assistente si era recato a casa loro chiedendogli se volessero accettare di mettere
quel brutto cartellone sui loro prati perfettamente curati, erano stati molto più propensi ad accettare.
Ma perché un’aggiunta così semplice alla richiesta, una strategia che i ricercatori definiscono
«tecnica della breccia», produce questa sorprendente crescita del consenso verso la richiesta più
impegnativa? L’evidenza suggerisce che dopo aver accettato la prima richiesta, i residenti devono
essersi sentiti impegnati in una causa importante come quella della guida sicura e quando sono stati
contattati due settimane dopo, erano probabilmente motivati ad agire in coerenza con questa
percezione di sé.
Ci sono innumerevoli applicazioni della tecnica della breccia, fra cui quella nel settore vendite.
Ad esempio, un acuto esperto di tale settore afferma: «L’idea generale è di aprire la strada alla
distribuzione su vasta scala iniziando da un piccolo ordine... Considerate la situazione in questi
termini: quando una persona firma un ordine d’acquisto della vostra merce, anche se il profitto è così
limitato che a malapena compensa il tempo e lo sforzo della telefonata, non è più un cliente
potenziale, ma un cliente a tutti gli effetti».
Nei casi in cui un’azienda non riesca a garantirsi neppure un piccolo acquisto iniziale, questa
strategia basata su impegno e coerenza può essere applicata in altri modi. Ad esempio, se viene
inizialmente chiesto a dei potenziali clienti riluttanti all’uso del vostro servizio di fare un piccolo
passo come acconsentire a un primo appuntamento di dieci minuti, magari diventano poi più
disponibili.
Analogamente, un ufficio marketing ha più probabilità di convincere le persone a rispondere a un
gran numero di domande su lunghi questionari chiedendo loro inizialmente di rispondere a un breve
sondaggio.
E infatti, Freedman e Fraser hanno condotto un’altra ricerca i cui risultati confermano quest’ultimo
punto. Per iniziare l’esperimento, un assistente alla ricerca ha telefonato ad alcuni proprietari di casa
e gli ha chiesto se accettassero di partecipare a un sondaggio. In particolare, ha detto le cose
seguenti:

Il sondaggio prevede che cinque o sei membri del nostro staff vengano a casa sua una di queste
mattine e ci restino due ore circa per annotare e classificare tutti gli oggetti e i prodotti
presenti nella sua casa. Dovranno avere piena libertà di esaminare armadi e dispense. Poi
tutte queste informazioni saranno usate per redigere i rapporti che compariranno sulla nostra
pubblicazione «The Guide».

In risposta a questa richiesta veramente inopportuna, il 22% dei proprietari hanno acconsentito, un
risultato quasi stupefacente, considerando che questo tipo di comportamenti invasivi richiedono, in
genere, un mandato di perquisizione!
I ricercatori hanno telefonato a un altro campione tre giorni prima di formulare la stessa richiesta
invasiva; durante la prima telefonata, è stato rivolto ai condomini il seguente invito, cui hanno
acconsentito in maggioranza:

Questa mattina le telefoniamo per chiederle se vuole rispondere a una serie di domande sui
prodotti per la casa che usa e pubblicare le informazioni sulla nostra rivista «The Guide».
Vuole rispondere alle domande del nostro sondaggio?

Che cosa è successo tre giorni dopo? Quasi il 53% di questi condomini hanno acconsentito alla
richiesta più impegnativa.
Un simile approccio può essere applicato a due dei target più recalcitranti che si abbia la
probabilità d’incontrare nella vita: i figli e voi stessi. È più facile convincere un bambino riluttante
che trova tutte le scuse per non fare i compiti o mettere in ordine la propria camera se gli si chiede
all’inizio solo un piccolo passo in quella direzione, ad esempio in forma di richiesta di passare un
po’ di tempo con voi sui compiti o di rimettere nell’apposita scatola un giocattolo molto amato
quando non ci gioca più; a mano a mano che dice di sì volontariamente – piuttosto che attraverso
mezzi coercitivi – alle prime piccole richieste, sullo slancio psicologico potrebbe sentirsi spinto
verso il successo scolastico e a vivere in ambienti più ordinati.
Nel caso si debba influenzare se stessi, invece di porsi obiettivi probabilmente irraggiungibili, ad
esempio dei livelli di forma fisica, sarebbe più saggio assegnarsi un compito abbastanza piccolo da
non avere scuse per non portarlo a termine: ad esempio, almeno un breve giro intorno all’isolato. In
teoria, dovremmo ritrovarci ad accrescere gradualmente il nostro livello di impegno per raggiungere
obiettivi più elevati di benessere. Confucio ha detto: «Un viaggio di mille miglia comincia con un
passo». Forse non c’è modo migliore per indurci a lasciare la poltrona e iniziare il percorso che ci
porterà lontano.
15 Come diventare un maestro Jedi d’influenza sociale?

Molto tempo fa (circa un quarto di secolo fa, per essere esatti) in una galassia molto, molto lontana,
Luke Skywalker acquisì la forza di persuasione decisiva: convinse Darth Vader a rivoltarsi contro
l’imperatore del male, salvandosi così la vita e riportando pace e speranza nella galassia. Quale
principio d’influenza sociale adottò per garantirsi una forza di persuasione simile, e come questo
principio può essere usato per sostenere i vostri tentativi di diventare una Forza trainante nel settore
industriale in cui operate?
Nel film Il ritorno dello Jedi, l’episodio finale della serie Guerre stellari, c’è una scena in cui
Luke Skywalker si rivolge a Darth Vader e gli dice: «So che c’è ancora il bene in te, c’è il bene in te.
Riesco a percepirlo». È possibile che queste semplici parole abbiano avuto una forza di persuasione
tale su Vader – o almeno, ne abbiano inoculato in lui i semi – da indurlo a schierarsi con il Lato
luminoso? Se consultiamo la ricerca psicologica, sembra che la risposta sia sì.
La strategia insita nelle parole di Luke, nota come labelling technique, tecnica dell’etichettatura,
implica l’assegnazione di una caratteristica, un atteggiamento, una credenza o altro a una persona
seguita da una richiesta coerente con l’etichetta stessa. In un’efficace dimostrazione di questa
strategia, i ricercatori Alice Tybout e Richard Yalch hanno dimostrato come questa tecnica possa
essere usata per accrescere l’affluenza al voto durante le elezioni. Hanno intervistato un vasto
numero di potenziali elettori e detto a caso a metà di questi che, sulla base delle loro risposte,
potevano essere definiti «cittadini che appartenevano a un’alta media di partecipanti al voto e a
eventi politici». L’altra metà degli intervistati è stata invece informata che avevano caratteristiche –
riguardo ai loro interessi, convinzioni e comportamenti politici – appartenenti alla media. Gli
intervistati cui era stata attribuita l’etichetta di buoni cittadini con alte probabilità di votare, non solo
hanno cominciato a considerarsi cittadini migliori di quelli etichettati come appartenenti alla media,
ma fra di loro si è riscontrato il 15% in più di probabilità di voto a un’elezione che si sarebbe svolta
una settimana dopo.
Naturalmente, l’uso della labelling technique non si limita a campi della politica quali la scelta
del prossimo leader o, nel caso di Luke Skywalker, la destituzione dell’imperatore; ne esiste al
contrario tutta una serie di applicazioni nella gestione degli affari e di altre interazioni. Ad esempio,
poniamo che nel vostro gruppo di lavoro qualcuno si stia rompendo la testa su un particolare progetto
di cui gli avete chiesto di occuparsi; forse questo collaboratore sta perdendo fiducia nelle proprie
capacità di affrontare ciò che il progetto richiede. Un approccio utile, ipotizzando che crediate
ancora che sia all’altezza del compito, potrebbe essere quello di ricordargli la sua resistenza
indefessa e la sua costanza; dovreste anche rammentargli le esperienze in cui è uscito vincitore da
prove simili portandole a termine con successo. Insegnanti, addestratori e genitori possono mettere in
pratica questa strategia per plasmare i comportamenti desiderati, mostrando ai propri interlocutori
che li considerano persone in grado di crescere di fronte a un certo tipo di sfide. Questa strategia
funziona con gli adulti e coi bambini. Ad esempio, la ricerca condotta da uno di noi con diversi
colleghi ha dimostrato che quando gli insegnanti dicono agli alunni che sembrano scolari cui sta a
cuore avere una bella calligrafia, i bambini dedicano più tempo libero alla pratica anche quando
pensano che non ci sia nessuno a sorvegliarli.
Le relazioni delle aziende con i clienti sono ugualmente consolidabili in questo modo e voi
potreste imitare le molte compagnie aeree che si avvalgono dello stesso principio: quando il
comandante dice ai passeggeri alla fine del volo: «Sappiamo che ci sono molte aviolinee fra cui
scegliere, perciò vi ringraziamo per avere optato per la nostra», usa una variante della labelling
technique, ricordando implicitamente ai viaggiatori che, date le tante opzioni, devono aver scelto
quella compagnia per qualche ragione. Dopo essersi visti assegnare l’etichetta di clienti che hanno
fiducia in quella compagnia aerea, è probabile che i passeggeri siano indotti ad avere ancora più
fiducia nella propria scelta (e in quella compagnia). Analogamente, potreste usare la tecnica per
rammentare ai clienti che, decidendo di entrare in affari con la vostra azienda, hanno dimostrato la
loro fiducia nell’azienda stessa e in voi, e che voi l’apprezzate e ne farete tesoro.
Ricordate solo che, per quanto sia allettante questa strategia, come tutte le tecniche rivolte a
influenzare il prossimo, dovrebbe essere usata solo in termini etici; in altre parole solo quando la
caratteristica, l’atteggiamento, la convinzione che gli attribuite rispecchiano proprio le capacità
naturali, le esperienze o la personalità, degli interlocutori. Com’è ovvio, sappiamo che non pensate
neppure lontanamente di usare questa strategia in modo meno che etico: tutto sommato, percepiamo in
voi la presenza di molto bene.
16 Come può una semplice domanda accrescere
drasticamente il sostegno a voi e alle vostre idee?

Come vi direbbe qualsiasi uomo politico, in tempi di elezioni i candidati vivono sotto un’enorme
pressione alla ricerca sia di modi per convincere gli elettori delle loro qualità, sia per attrarli alle
urne il giorno delle elezioni. Mentre, almeno negli Stati Uniti, alcuni candidati verseranno sempre più
soldi in messaggi pubblicitari televisivi, postali, e apparizioni sui media, il candidato veramente
avveduto – e probabilmente il vincitore – cercherà di sfruttare non solo l’arte della persuasione, ma
anche la scienza della persuasione.
Il desolante esempio delle elezioni presidenziali del 2000 negli Stati Uniti, in cui solo 537 voti
sono stati decisivi, ci dice che siamo più consapevoli che mai che anche un singolo voto conta.
Durante quelle scellerate elezioni, con i media e gli Stati Uniti concentrati all’unisono su una miriade
di controversie, anche il più infinitesimo aumento nel numero dei votanti in una direzione o nell’altra
avrebbe avuto un forte impatto sui risultati. Quale strategia si sarebbe potuta usare per attrarre alle
urne i sostenitori di entrambi gli schieramenti?
La risposta implica semplicemente di chiedere ai potenziali votanti di dichiarare in anticipo se
hanno intenzione di andare a votare il giorno delle elezioni e per quale ragione. Quando lo studioso
di scienze sociali Anthony Greenwald e i suoi colleghi hanno provato questa tecnica sui potenziali
elettori alla vigilia di una elezione, la percentuale d’affluenza alle urne di coloro cui è stato chiesto
di dichiarare la propria intenzione di andare a votare è stata del 25% più elevata di quella di coloro
che non erano stati intervistati (l’86,7% contro il 61,5%).
In questa tecnica, sono coinvolti due importanti lati psicologici. Anzitutto, quando alle persone si
chiede di dichiarare se adotteranno in futuro un comportamento socialmente desiderabile, si sentono
spinte a rispondere di sì per conquistarsi, in quella circostanza, l’approvazione sociale;
considerando l’importanza che la società attribuisce al voto, sarebbe molto difficile per gli
intervistati tirarsi indietro dicendo che stanno pensando invece di restare a casa a guardare alla TV
una trasmissione sulle responsabilità civiche. Non c’è da sorprendersi perciò che, in questa indagine,
il 100% degli intervistati cui è stato chiesto di anticipare la propria intenzione di recarsi alle urne
abbiano affermato che sarebbero andati a votare.
In secondo luogo, dopo che quasi tutti (se non tutti) gli intervistati hanno dichiarato pubblicamente
che adotteranno il comportamento socialmente desiderabile, si sentiranno motivati a comportarsi in
coerenza con l’impegno che si sono assunti. Per citare un altro esempio, un proprietario di ristorante
ha ridotto moltissimo la percentuale degli inadempienti (le persone che prenotano un tavolo ma non
rispettano la prenotazione e nemmeno telefonano per disdirla) modificando le parole della
receptionist durante le prenotazioni da «siete pregati di telefonare se intendete disdire» in «sareste
così gentili da telefonare qualora doveste disdire?» Naturalmente, quasi tutti i clienti si sono
impegnati a telefonare rispondendo un bel «sì» alla domanda e, soprattutto, hanno poi sentito il
bisogno di tenere fede al proprio impegno: la percentuale degli inadempienti è caduta dal 30% al
10%.
Di conseguenza, un facile metodo per i candidati di attirare alle urne un maggior numero di elettori
è arruolare volontari che telefonino agli autodichiarati sostenitori, chiedergli se voteranno alle
prossime elezioni e aspettare che dicano «sì». Se chi telefona poi aggiunge: «Allora lo annotiamo
come “sì” e lo diffonderemo pubblicamente», l’impegno assume tre connotati che potenzialmente
cementificano l’impegno della persona poiché diventa volontario, attivo e dichiarato pubblicamente.
Quali insegnamenti possiamo trarne e impiegare con efficacia sul posto di lavoro e in settori
sociali più ampi? Ipotizziamo che stiate pensando di avviare una campagna per sostenere la vostra
organizzazione no profit preferita ma che non la vogliate iniziare fino a che non avete la certezza di
raccogliere molte donazioni; chiedendo ai famigliari, agli amici e ai colleghi se pensano di farne una,
non solo avrete un’idea del loro sostegno iniziale alla vostra impresa, ma accrescerete anche le
probabilità effettive che ve lo daranno, spingendovi così a decidere d’iniziare la campagna.
Per citare un altro esempio di questa strategia, immaginate di dirigere un’équipe e di essere
consapevoli che il successo di una nuova iniziativa non dipenda tanto dal consenso verbale dei
componenti del gruppo, ma soprattutto dalla traduzione di tale consenso in azioni significative.
Invece di spiegare ai collaboratori quali benefici potrebbero trarre appoggiando questa iniziativa, è
consigliabile chiedergli se intendono sostenerla e aspettare che vi rispondano di sì; dopodiché,
dovreste farvene spiegare le ragioni.
Quale che sia il vostro ruolo – di manager, insegnante, venditore, uomo politico o raccoglitore di
fondi –, pensiamo che se adotterete questa strategia probabilmente solleciterete un altro importante
voto, un forte voto di fiducia verso il vostro lavoro.
17 Qual è il principio attivo dell’impegno durevole?

L’Amway Corporation, una delle più redditizie società di vendita diretta, incoraggia gli addetti alle
vendite a raggiungere vette più levate dandogli il seguente consiglio:

Un’indicazione finale prima d’iniziare: prefiggetevi un obiettivo e annotatevelo. Quale che sia,
l’importante è stabilirlo in modo da avere una meta da raggiungere formulata per iscritto. C’è
qualcosa di magico nella scrittura. Perciò stabilite un obiettivo e annotatevelo. Una volta che
l’avete raggiunto, fissatene un altro e annotate anche questo. Sarà il vostro decollo e
prenderete il volo.

Perché formulando per iscritto i nostri obiettivi rafforziamo tanto efficacemente il nostro impegno
anche quando il contenuto di quello che scriviamo resta privato?
Molto semplicemente, l’impegno preso attivamente ha più potere di permanenza di quello preso
passivamente. In una recente dimostrazione del potere e dell’azione sottile dell’impegno attivo, i
sociologi Delia Cioffi e Randy Garner hanno chiesto la collaborazione volontaria di alcuni studenti
di college per un progetto educativo sull’AIDS da svolgere nelle scuole locali. I ricercatori hanno
organizzato la ricerca dando agli studenti due tipi diversi di istruzioni. Le istruzioni di tipo attivo
prevedevano, se i giovani volevano proporsi come volontari, di compilare un modulo in cui
affermavano la loro volontà di partecipare; al contrario, a quelli che hanno ricevuto le istruzioni di
tipo passivo, è stato detto che se avessero lasciato il formulario in bianco significava che non
volevano proporsi come volontari.
I ricercatori hanno riscontrato che la differenza di percentuale degli studenti che hanno aderito alla
proposta di volontariato non dipendeva dal tipo di istruzioni ricevute. Vi è stata invece una
sorprendente differenza nella percentuale degli studenti che si sono effettivamente presentati per
partecipare al progetto vari giorni dopo: di quelli la cui adesione era passiva, solo il 17% ha
mantenuto la promessa. E quelli che hanno dato l’adesione a partecipare attraverso istruzioni di tipo
attivo? Di questi, il 49% ha mantenuto la promessa. In tutto, la maggioranza di coloro che figuravano
iscritti (il 74%) erano gli studenti che avevano aderito al programma in modo attivo.
Perché l’impegno scritto (e perciò attivo) ha la peculiare prerogativa di stimolare la
partecipazione? Perché le persone emettono giudizi su di sé in base all’osservazione dei propri
comportamenti e apprendono di più su di sé in base alle proprie azioni piuttosto che dalle non azioni.
A sostegno di questa spiegazione, Cioffi e Garner hanno verificato che fra gli studenti che avevano
aderito attivamente al programma era maggiore la percentuale di chi attribuiva la sua decisione ai
propri tratti, preferenze e ideali personali, che non fra quelli che avevano aderito passivamente.
Nell’ambito dei vostri tentativi di influenzare il prossimo, quale contributo può darvi l’impegno
attivo? Poniamo il caso che sia il periodo dell’anno in cui molti di noi fanno tradizionalmente buoni
propositi, prendono le famose decisioni per l’anno nuovo; annotare e descrivere nel dettaglio le
decisioni su cui vi impegnate, invece che semplicemente pensarle, descrivendo inoltre le iniziative
da intraprendere per portare a termine i vostri obiettivi, può esservi d’aiuto soprattutto se poi
mostrate ad amici e famigliari l’impegno scritto.
Se siete direttori di vendita, chiedendo ai membri del vostro team di scrivere i propri obiettivi li
aiuterete a rafforzare il loro impegno a raggiungerli e in definitiva a innalzare gli standard di tutti.
Analogamente è consigliabile, durante le riunioni, incoraggiarne i partecipanti ad annotare e
condividere pubblicamente le azioni che hanno deciso di intraprendere.
Un esempio nel settore della vendita al dettaglio illustra ulteriormente il potere dello scrivere i
buoni propositi. Molti negozi offrono ai clienti l’opportunità di spalmare il costo dei prodotti
acquistati pagandoli a rate per vari mesi o anche per anni sottoscrivendo una carta di credito offerta
dal negozio stesso o qualche altro prodotto finanziario. I negozianti riscontrano che i clienti recedono
con minore frequenza dall’accordo se, invece che impegnarsi verbalmente con i venditori, compilano
il modulo di richiesta. Questi dati dimostrano che, per ottimizzare l’impegno verso le iniziative che
intraprendete insieme ai clienti e ai soci, dovete coinvolgere tutte le parti in un ruolo attivo in
qualsiasi trattativa d’affari.
L’impegno attivo ha la prerogativa di poter essere adottato con grande efficacia nei servizi
sanitari. Negli anni recenti, il servizio sanitario ha riscontrato che più pazienti che mai non hanno
rispettato gli appuntamenti ambulatoriali precedentemente presi. Una ricerca del National Health
Service, il Servizio Sanitario Nazionale, indica che 7 milioni di visite sono andate a vuoto in un solo
anno, un numero strabiliante che ha importanti ricadute finanziarie e sanitarie. In che modo l’impegno
attivo può contribuire a risolvere il problema? Quando prendiamo l’appuntamento per una visita –
che sia per un controllo di routine o per un’operazione di rilievo – è pratica standard di chi registra
l’appuntamento annotarne la data e l’orario su un cartoncino; adottando questa prassi, tuttavia, il
ruolo del paziente è passivo piuttosto che attivo. Al contrario, chiedere ai pazienti di compilare il
cartoncino si dovrebbe rivelare una strategia più efficace e a basso costo per ridurre la percentuale
delle visite mancate.
Infine, come si è visto nel caso di altri approcci descritti in questo libro, l’impegno attivo può
essere utile per generare consenso anche nella nostra vita personale. Una piccola azione, ma
psicologicamente significativa, come quella di ottenere un impegno scritto da parte dei figli, dei
vicini, degli amici, dei partner o anche di noi stessi può spesso essere discriminante fra essere in
grado d’influenzare gli altri efficacemente e sollecitarne invece un impegno che hanno tutte le
intenzioni di rispettare ma per cui non troveranno mai, per un motivo o per l’altro, il momento buono
di farlo.
18 Come si può contrastare coerentemente la
coerenza?

Secondo Oscar Wilde: «La coerenza è l’ultimo rifugio di chi non ha immaginazione». Un
analogamente sdegnoso Ralph Waldo Emerson ha detto: «Una coerenza sconsiderata è l’abbaglio
tipico delle menti meschine». E infine Aldous Huxley ha osservato: «Le uniche persone davvero
coerenti sono morte». Perché è molto probabile che questi autori famosi si siano arrischiati in simili
affermazioni da giovani iperpresuntuosi e non quando erano vecchi saggi, e che cosa potrebbe voler
dire per i vostri tentativi d’influenzare il prossimo?
Malgrado l’opinione di tali autori, come abbiamo già osservato, generalmente si preferisce che i
propri comportamenti siano coerenti con atteggiamenti, affermazioni, valori e azioni adottati in
precedenza. Ma come può il processo d’invecchiamento influire su questa propensione? Insieme alla
studiosa Stephanie Brown e a un altro collega, uno di noi ha condotto una ricerca che ha dimostrato
come la predisposizione per la coerenza cresca fortemente con l’età; probabilmente perché
l’incoerenza è spiazzante dal punto di vista emotivo, e le persone di una certa età hanno una
motivazione maggiore a evitare le esperienze emotivamente problematiche.
Questo risultato ha implicazioni importanti sugli strumenti che adottiamo per influenzare le
persone più anziane di noi. Ad esempio, supponiamo di lavorare per una società che stia cercando di
lanciare sul mercato dei nuovi prodotti adatti a un pubblico maturo. La ricerca in questione
suggerisce che questa particolare fascia demografica ha maggiori resistenze a cambiare di altre,
poiché il cambiamento può dare alle persone anziane l’impressione che le loro azioni siano
incoerenti con gli impegni presi precedentemente. In casi simili, sarebbe consigliabile concentrare
gli sforzi su messaggi che comunichino come l’acquisto e l’uso del prodotto siano azioni coerenti con
valori, convinzioni e pratiche, acquisiti dei potenziali clienti. Lo stesso insegnamento può essere
applicato in altri campi, ad esempio per convincere in un gruppo di lavoro un anziano collaboratore
ad adottare un nuovo sistema o anche per convincere degli anziani genitori a prendere un farmaco.
Ma siamo davvero sicuri che le persone rinuncino ai loro comportamenti usuali così facilmente,
soltanto informandole che i nuovi comportamenti che stiamo loro proponendo sono coerenti con
valori, idee e pratiche già acquisite? Dal loro punto di vista, restare coerenti con le passate decisioni
è positivo. E tutti noi sappiamo quanto possa essere frustrante avere a che fare con persone incoerenti
per abitudine, che cambiano parere in continuazione, che sono facilmente influenzabili dal primo
messaggio che sentono.
Per metterci in relazione con persone di una certa età, dobbiamo dotarci di ulteriori argomenti
oltre a evidenziare che la nostra proposta è coerente con quello che hanno finora considerato
importante per loro. Per garantirci che il nostro messaggio sia davvero persuasivo, dobbiamo non
solo liberarle dagli impegni presi in precedenza, ma anche evitare di collocarle in un contesto in cui
sembrino sbagliati. Forse il modo più produttivo sarebbe lodare le decisioni precedenti e definirle
corrette «al tempo in cui sono state prese»; sottolineando che le scelte precedenti erano giuste «date
le evidenze e le informazioni che si avevano all’epoca», possiamo liberarle dal loro impegno e
permettere loro di concentrarsi sulla nostra proposta senza sentire di perdere la faccia o di essere
incoerenti.
Quindi dopo una simile premessa «prepersuasiva» il messaggio successivo, ancora coerente con i
loro valori, idee e pratiche, ha le gambe su cui reggersi. Come un pittore prepara la tela prima di
dipingerla, un chirurgo gli strumenti prima di operare e l’allenatore la squadra prima di una partita,
anche un messaggio persuasivo richiede preparazione. E a volte tale preparazione richiede non solo
di considerare come lanciare il messaggio, ma anche di fare attenzione ai messaggi e alle reazioni del
contesto precedente. Dice il proverbio che il modo migliore per guidare un cavallo è nella direzione
che ha preso. Soltanto seguendo, all’inizio, la direzione del cavallo è possibile in seguito,
lentamente e deliberatamente, dirigerlo dove volete andare voi; cercando semplicemente di tirarlo
subito nelle direzione desiderata sarebbe inutile ed è probabile che, facendolo, finireste solo con
l’innervosire l’animale.
19 Quale idea di persuasione si può prendere a prestito
da Benjamin Franklin?

Nato nel 1706, Benjamin Franklin è famoso come scrittore, politico, diplomatico, scienziato, editore,
filosofo e inventore d’avanguardia. In quanto uomo politico, forse più di qualsiasi altro ha inventato
l’idea della nazione americana; in quanto diplomatico durante la Rivoluzione americana, si è
garantito l’alleanza con i francesi che ha reso possibile l’indipendenza; in quanto scienziato, è stato
una figura di spicco per le sue scoperte e teorie sull’elettricità; e in quanto inventore, a lui si deve la
creazione delle lenti bifocali, del contachilometri e del parafulmine. Ma la sua scoperta più
elettrizzante fu il modo con cui si conquistò il rispetto degli oppositori, mettendoli in difficoltà.
Quando Franklin faceva parte dell’assemblea legislativa in Pennsylvania, era profondamente
disturbato dall’indefettibile opposizione politica e ostilità di un altro legislatore. Lo stesso Franklin
ci spiega come tentò di ottenere il rispetto di quest’uomo e persino la sua amicizia:

Non puntai, tuttavia, a conquistarmi il suo favore mostrandogli una deferenza servile ma, dopo
qualche tempo, scelsi il seguente metodo. Avendo sentito dire che nella sua biblioteca aveva un
certo libro molto raro e curioso, gli scrissi un biglietto esprimendo il mio desiderio di
esaminare quel libro e chiedendogli se volesse usarmi la cortesia di prestarmelo per qualche
giorno. Me lo mandò immediatamente e io glielo restituii nel giro di una settimana con un altro
biglietto, manifestandogli la mia forte gratitudine per la sua cortesia. Quando c’incontrammo
di nuovo in assemblea, mi rivolse la parola (cosa che non aveva mai fatto prima di allora) e
con grande civiltà; e da quel momento mostrò una grande sollecitudine di servirmi in ogni
occasione tanto che diventammo grandi amici, e la nostra amicizia durò fino alla sua morte. È
un altro esempio della verità di un’antica massima che ho imparato, che dice: «Chi vi ha fatto
una volta una gentilezza, sarà più propenso a ripetere il gesto di chi abbiate voi stessi
vincolato».

Molti anni dopo, i comportamentisti Jon Jecker e David Landy cercarono di verificare se Franklin
avesse ragione. In uno studio che prevedeva una scommessa di denaro fra i partecipanti e il
ricercatore, i primi vincevano; dopodiché, un gruppo di partecipanti veniva avvicinato dal
ricercatore che gli chiedeva se volessero restituirgli i soldi perché stava usando i propri fondi e non
gli era rimasto quasi più niente (quasi tutti hanno acconsentito); a un altro gruppo di partecipanti non
veniva fatta nessuna richiesta. Poi tutti i partecipanti sono stati anonimamente intervistati su quanta
simpatia provassero per il ricercatore.
Si è dimostrata l’efficacia della strategia di Franklin, per quanto illogica sembrasse, con questo
esperimento? Ebbene, sì. Jecker e Landy hanno verificato che coloro a cui era stato richiesto il
favore, valutavano il ricercatore in maniera più favorevole di coloro a cui non era stato chiesto di
restituire il denaro.
Perché? Sappiamo da altri studi che le persone sono fortemente motivate a cambiare atteggiamento
in coerenza con i loro comportamenti. Quando l’oppositore di Franklin si ritrovò a fare un favore a
qualcuno che non gli andava a genio, probabilmente dovette chiedersi: «Perché mi sto scomodando
per questa persona che nemmeno mi piace? Forse Franklin non è poi così male, in fin dei conti.
Pensaci, forse ha qualche qualità che lo riscatta...»
La strategia di Franklin si adatta alla gestione delle relazioni negli ambienti più disparati. Ad
esempio, abbiamo spesso bisogno dell’aiuto di collaboratori, colleghi o vicini, che per una ragione o
per l’altra non ci giudicano in una luce particolarmente favorevole. In questi casi, potremmo essere
riluttanti a chieder loro un favore per paura di piacergli anche di meno; piuttosto che chiedere, è
tendenza generale accantonare la richiesta rimandando a tempo indeterminato la realizzazione o il
compito che abbiamo per le mani. I risultati della ricerca sopracitata indicano che tale esitazione è
infondata.
Ora nel caso di una persona che ci disapprovi, chiederle un favore può sembrare un gesto
piuttosto temerario. Ma fate la seguente considerazione: se al momento non avete nulla da guadagnare
dalle comunicazioni (o non comunicazioni) con questa persona, il peggio che vi possa capitare è che
restiate con lo stesso nulla. Provateci: non avete niente da perdere.
20 Quando una richiesta minima può aprire una grande
prospettiva?

Probabilmente, è stato un essere molto svantaggiato che ha detto per primo: «Le cose buone arrivano
a piccole dosi». Chiunque abbia coniato questa frase, ha compreso chiaramente il potere di pensare
in grande a partire dal piccolo.
In questo libro, abbiamo cercato di dimostrare l’affermazione che abbiamo le capacità d’indurre
gli altri, con successo e secondo principi etici, a dire di sì. Ma in certe situazioni e ambienti, è anche
importante capire perché le persone dicono di no a richieste ragionevoli come quella di fare una
donazione a qualche legittima associazione benefica.
Insieme ad altri colleghi, uno di noi ha cercato di trovare una risposta. Abbiamo ipotizzato che
quando gli si chiede una donazione, anche coloro che sono ben disposti dicono di no perché non
possono dare molto e presumono che la piccola somma che sono in grado di sborsare non sarebbe
abbastanza per sostenere la causa in questione. Sulla base di questo ragionamento, abbiamo pensato
che per sollecitare le persone a donare in queste situazioni si potrebbe informarle che anche una
somma estremamente piccola sarebbe la benvenuta, legittimando così i piccoli contributi.
Per verificare questa ipotesi, i nostri assistenti alla ricerca sono andati porta a porta a chiedere
donazioni per l’American Cancer Society. Dopo essersi presentati, hanno chiesto agli inquilini:
«Volete sostenerci con una donazione?» In metà dei casi, la richiesta finiva lì; nell’altra metà, invece,
il ricercatore aggiungeva: «Anche un centesimo sarebbe il benvenuto».
Quando abbiamo analizzato i risultati, abbiamo riscontrato che questa minuscola moneta di rame e
zinco aveva il valore persuasivo dell’oro. Confermando la nostra ipotesi, il gruppo di persone a cui
erano state rivolte le parole «anche un centesimo sarebbe il benvenuto» aveva quasi raddoppiato le
donazioni rispetto all’altro (il 50% contro il 28,6%).
Di fronte a un simile risultato, lo studio suggerisce che quando si vuole l’aiuto altrui,
sottolineando che anche una piccola offerta sarebbe accettabile e degna di rispetto, si adotta
probabilmente una strategia efficace. È invece possibile che la strategia di «anche un centesimo
sarebbe il benvenuto» si riveli controproducente in certi casi? Per verificare questo potenziale
rovescio, abbiamo esaminato l’ammontare delle donazioni e siamo stati contenti di constatare che
non c’era nessuna differenza nella media individuale dei contributi. Ciò significa che la richiesta
seguita da «anche un centesimo sarebbe il benvenuto» sembra rivelarsi la migliore di ogni richiesta
standard non solo in termini del numero di persone che hanno fatto la donazione, ma anche per
l’ammontare complessivo dei contributi raccolti a ogni richiesta. Nella nostra ricerca, ad esempio,
per ogni cento persone a cui abbiamo chiesto il contributo, abbiamo raccolto 72 dollari nella seconda
metà del campione contro i 44 dollari raccolti nella prima.
Le applicazioni dell’approccio in ambito lavorativo sono diverse: nei confronti dei collaboratori
coinvolti in progetti comuni, «anche solo un’ora del vostro tempo sarebbe la benvenuta»; nei
confronti di un collega la cui scrittura è illeggibile, «anche solo un po’ più di chiarezza sarebbe la
benvenuta»; nei confronti di un potenziale cliente i cui bisogni non sono ancora stati pienamente
compresi, «anche una breve telefonata iniziale sarebbe la benvenuta ». Ci sono molte probabilità che
questo piccolo passo nella direzione giusta non si riveli poi così piccolo, tutto sommato.
21 Iniziare sottotono o con le fanfare? Che cosa induce
le persone a comprare?

Che cosa ci insegnano su come vendere efficacemente beni e servizi, in un mercato di offerte
altamente competitivo, articoli quali una gomma masticata da Britney Spears, un piatto kitsch che
commemora il papa o un puntatore laser rotto? Un’analisi degli oggetti che le persone cercano su
eBay come «tesori» può essere molto rivelatrice.
eBay Inc. è la società che gestisce ebay.com, il sito Internet di vendite e aste online in cui i singoli
e le aziende acquistano e vendono beni e servizi a livello mondiale. È stata fondata nel 1995 a San
José, in California, da un programmatore di computer, Pierre Omidyar, che gestiva un’impresa di
consulenze, l’Echo Bay Technology Group. Quando si è apprestato a registrare il sito Internet del suo
gruppo, ha scoperto che una echobay.com era già stata registrata dalla compagnia mineraria di
estrazione dell’oro Echo Bay Mines, e così ha accorciato il nome della sua impresa ed è nata
l’ebay.com. Il primo articolo apparso su eBay è stato il puntatore laser rotto di Omidyar, venduto per
14,83 dollari. Stupito dal fatto che qualcuno avesse comprato un oggetto simile, ha contattato il
vincitore dell’offerta e gli ha chiesto se avesse capito che il puntatore laser era rotto. Rispondendo
alla sua e-mail, il compratore ha spiegato: «Sono un collezionista di puntatori laser rotti».
Nel 2006, eBay ha registrato circa 6 miliardi di vendite in un sito in cui è adesso possibile
comprare quasi qualsiasi cosa si possa immaginare, e a volte anche oggetti che vanno al di là
dell’immaginabile. Negli anni recenti, l’insegna originaria di Hollywood e una delle macchine che
hanno scavato il tunnel sotto la Manica sono state entrambe vendute su eBay. Un cittadino
dell’Arizona è riuscito a vendere la sua fantomatica chitarra per 5,50 dollari anche se ha
preventivamente informato i compratori che stavano comprando il nulla, e nel 2005 la moglie
chiaramente offesa di un disc jockey di una radio inglese ha venduto l’amatissima auto sportiva Lotus
Esprit del marito, con un’offerta lampo di 50 centesimi, dopo averlo sentito flirtare sulle onde radio
con una nota modella. L’auto è stata venduta in cinque minuti.
Chiaramente, ebay.com ha identificato un modello di business di vastissimo successo la cui base è
la vendita all’asta online. Infatti, molte società hanno adottato modelli simili usando i procedimenti e
i sistemi del mercato online per garantirsi le offerte e scegliere i venditori. A causa delle similitudini
insite fra i meccanismi di offerte d’asta online e quelli di competitività dell’offerta del mercato
aziendale, osservando la grande efficacia con cui i venditori vendono le loro merci su siti web come
eBay possiamo imparare molto su come gestire con la massima efficienza la competitività delle
offerte di un’azienda.
Il comportamentista Gillian Ku e colleghi hanno ipotizzato che quando il prezzo iniziale di un
prodotto è alto, il potenziale compratore probabilmente pensa che valga di più di un prodotto il cui
prezzo iniziale è minore. Si sono seriamente chiesti, tuttavia, se l’aumento del valore percepito che si
accompagna al prezzo iniziale elevato porti davvero, in pratica, a un prezzo finale di vendita
maggiore e hanno concluso che, al contrario, prezzi iniziali più bassi portano a un prezzo finale di
vendita più elevato per tre ragioni.
In primo luogo, perché i prezzi d’asta iniziali operano come una sorta di barriera d’ingresso, e
prezzi iniziali bassi sono più adatti a incoraggiare la partecipazione da parte di più persone possibili
all’offerta di un prodotto. In secondo luogo, l’aumento di traffico – che si riflette sia nel numero
totale delle offerte sia nel numero dei partecipanti – procurato dai bassi prezzi iniziali agisce come
evidenza sociale verso nuovi potenziali compratori; in altre parole, potenziali acquirenti che
prendono in considerazione un prodotto la cui offerta iniziale è bassa, troveranno la conferma sociale
che l’oggetto ha valore dato che è conteso da tante persone, e questa convalida li spingerà a unirsi
all’offerta. In terzo luogo, i partecipanti all’asta di articoli con bassi prezzi iniziali, soprattutto quelli
che sono entrati all’inizio, probabilmente non risparmieranno tempo e sforzi per aggiornare le
proprie offerte; perciò nel tentativo di giustificare il tempo e l’energia che hanno già impiegato nel
processo d’asta, tali compratori hanno più probabilità di restarvi coinvolti per vincere la gara
continuando a fare offerte e a rilanciarle.
Questi risultati della ricerca suggeriscono che se siete impegnati nell’offerta di beni e servizi in
qualsiasi tipo di mercato competitivo, cominciare l’offerta con un prezzo moderatamente basso può
essere un modo per innalzare il prezzo di vendita finale. Però, con un’avvertenza da non
sottovalutare: i ricercatori hanno riscontrato che la componente evidenza sociale è un fattore critico
nell’efficacia del basso prezzo iniziale. Infatti quando il traffico per un prodotto particolare è inibito
(ad esempio, a causa di una scrittura errata del nome del prodotto su eBay, che limita il numero degli
offerenti che hanno la probabilità di trovare l’oggetto attraverso una ricerca di tipo standard), il
prezzo iniziale basso ha meno efficacia. Se ne trae perciò la seguente implicazione: il basso prezzo
iniziale del prodotto è più efficace quando la possibilità di partecipare all’offerta è aperta a molti
potenziali acquirenti ma lo è meno quando l’offerta è limitata a due soli contendenti.
Anche se mettendo in pratica questa strategia non incasserete cifre esorbitanti con i gadget della
vostra azienda o la collezione di ditali antichi di famiglia, almeno potrete guadagnare abbastanza da
competere nell’offerta di quella chitarra fantasma se dovesse di nuovo essere messa in vendita.
22 Come mettersi in mostra senza essere considerati
boriosi?

Se siete come la maggior parte degli esseri umani, quando sapete bene qualcosa volete dirlo a tutti.
Ma anche quando si hanno le credenziali per presentarsi come un’autorità in un certo campo, c’è un
dilemma da superare: cercando di comunicare la propria esperienza e di conquistarsi l’attenzione
altrui, si può essere considerati boriosi e presuntuosi. In questo caso, gli altri vi apprezzerebbero di
meno e forse sarebbero anche meno propensi a seguire i vostri consigli. Scartando decisamente
l’autopromozione sfrontata, che cosa deve fare una persona davvero esperta?
Un’opzione è affidare ad altri il compito di parlare in vece vostra; quest’approccio è stato
ampiamente accettato da conferenzieri, scrittori, performer e altri comunicatori per molti anni. La
descrizione al pubblico delle vostre competenze e credenziali, da parte di terzi, fa meraviglie nel
convincere gli interlocutori che dovrebbero ascoltare quel che avete da dire e nello stesso tempo vi
evita il danno che può arrecarvi una palese autopromozione. Idealmente, l’incaricato dovrebbe
essere un sostenitore convinto delle vostre capacità e conoscenze, e offrirsi volontariamente di dire a
tutti quanto siate in gamba, certi che farete del mondo un posto migliore. In mancanza di una persona
simile, dovreste trovare un rappresentante a pagamento.
Ma il pubblico non resterà sconcertato sapendo che il presentatore viene pagato per cantare le
vostre lodi? No, se commetterà uno degli errori più diffusi, che gli studiosi di psicologia sociale
spesso chiamano errore fondamentale di attribuzione: osservando il comportamento altrui, tendiamo a
non dare sufficiente peso al ruolo che hanno i fattori situazionali (ad esempio, il denaro) nel plasmare
il comportamento in questione.
In una serie di studi che uno di noi ha condotto con Jeffrey Pfeffer responsabile della ricerca e
altri due colleghi, abbiamo sostenuto che le persone non tengono conto di questo tipo di fattori quanto
dovrebbero, e di conseguenza pagare un intermediario che si faccia carico di avvalorare le vostre
capacità dovrebbe essere ancora una forma efficace di persuasione. In una di queste ricerche, ai
partecipanti è stato chiesto d’immaginarsi nel ruolo di direttori di collana di una casa editrice di
fronte al compito di gestire le relazioni d’affari con un abile autore di successo e di leggere dei
passaggi tratti dalla presentazione di un libro importante. Un gruppo ne ha letto alcuni in cui il suo
agente lodava le realizzazioni dello scrittore, mentre un secondo gruppo ha letto commenti identici
formulati dall’autore stesso. I dati hanno confermato la nostra ipotesi: i partecipanti hanno valutato
più favorevolmente lo scrittore su quasi ogni scala – soprattutto su quella delle capacità di scrittura –
quando l’agente ne cantava le lodi rispetto a quando i commenti provenivano direttamente dall’autore
che si autoincensava.
Questa ricerca conferma che avvalersi di un abile esperto che parla delle vostre competenze può
essere una strategia molto produttiva e valida per comunicarle (e dove è possibile, lo stesso esperto
dovrebbe anche gestire in vostra vece le trattative su clausole contrattuali e remunerazioni).
Vogliamo anche ricordarvi che per proporvi a persone che vi conoscono poco, dovreste trovare
qualcuno che vi presenti al pubblico. Uno dei modi più efficaci di farlo è preparare una breve
autobiografia; non occorre che si dilunghi, ma dovrebbe almeno contenere alcune informazioni su
background, esperienze e studi, che rendano evidente la vostra qualifica a parlare di un certo
argomento. Potete anche aggiungervi degli esempi di successi raggiunti nel campo di cui parlerete.
Di recente, uno di noi ha avuto l’opportunità di lavorare con un’agenzia immobiliare che ha
adottato questo approccio per un effetto immediato e di grande impatto. L’agenzia in questione
dispone di un settore vendite e locazioni; ciò significa che i clienti che telefonano in genere parlano
anzitutto con una centralinista che, dopo aver identificato di quale area abbiano bisogno, dice ad
esempio: «Ah, in affitto, deve parlare con Sandra», oppure: «Deve rivolgersi al reparto vendite, la
metto in comunicazione con Peter».
In risposta al nostro consiglio secondo cui avrebbe dovuto presentare i colleghi con le loro
credenziali, la centralinista adesso non solo comunica ai clienti il nome del collega con cui
dovrebbero parlare, ma dà anche alcune indicazioni sulle sue competenze. Ai clienti che vogliono
ulteriori informazioni sugli affitti, adesso viene detto: «Ah, in affitto, deve parlare con Sandra, che ha
oltre quindici anni di esperienza nel campo delle locazioni in questo quartiere; la metto in
comunicazione con lei». Analogamente, ai clienti che vogliono informazioni su come vendere la
proprietà viene detto: «Le passo Peter, il responsabile dell’ufficio vendite. Peter ha vent’anni di
esperienza nel settore della vendita immobiliare; proprio di recente, ha venduto una proprietà molto
simile alla sua».
Questo cambiamento ha quattro importanti caratteristiche. In primo luogo, tutto quello che la
centralinista dice ai clienti sull’esperienza dei suoi colleghi corrisponde a verità; Sandra ha quindici
anni di esperienza e Peter è uno dei venditori più in gamba dell’agenzia, ma se Sandra o Peter lo
dicessero ai clienti in prima persona, sarebbero considerati boriosi e vanitosi con il risultato di
essere poco persuasivi. In secondo luogo, non sembra sia controproducente che la presentazione
provenga da parte di qualcuno che è chiaramente in relazione con Sandra e Peter e che trarrà
beneficio da una simile presentazione. La terza importante caratteristica è la sua efficacia; Sandra,
Peter e i loro colleghi testimoniano una crescita significativa nel numero degli appuntamenti che
prendono in rapporto a quando non venivano presentati. Punto numero quattro: l’intervento non costa
niente; tutti conoscono l’ampia competenza ed esperienza di cui gode l’ufficio. Tutti, ovvero, a
eccezione delle persone più importanti: i potenziali clienti dell’agenzia.
Ma che cosa si può fare se non si hanno a disposizione collaboratori che cantino le nostre lodi?
C’è un modo più sottile per dimostrare le proprie competenze senza gridarle ai quattro venti? Ebbene
sì. Ad esempio, uno di noi è stato avvicinato da un gruppo di fisioterapisti frustrati dalla non
collaborazione dei pazienti che non praticavano gli esercizi di cui avrebbero avuto bisogno per la
propria salute; per quanti sforzi avessero fatto per comunicarne l’urgenza, i pazienti solo raramente
seguivano i loro consigli. Quando abbiamo chiesto di vedere l’ambulatorio, un particolare ci ha
colpito immediatamente: non c’erano credenziali di nessun tipo affisse alle pareti o da qualsiasi altra
parte. Dopo avergli consigliato di mettere in evidenza le proprie credenziali nei luoghi accessibili ai
pazienti, gli assistenti hanno riscontrato un grosso miglioramento nel loro spirito di collaborazione.
La lezione? Mostrate i vostri diplomi, attestati e premi a coloro che volete persuadere; ve li siete
conquistati e, per questo, vi aiuteranno a conquistarvi la fiducia del vostro pubblico.
23 Qual è il pericolo insito nell’essere il migliore?

Fra un drink e l’altro, i gestori dei pub raccontano spesso delle storie. «Ho avuto un feeling con la tal
supermodella prima che diventasse famosa.» Ma certo. «Avrei potuto vincere la sfida, ma non
volevo offendere l’avversario.» Senti senti. O anche: «Avrei potuto giocare nella nazionale inglese
di calcio, ma una borsite all’alluce ha messo fine alla mia carriera». Meno male!
Però in una fredda e uggiosa sera di febbraio del 1953 due signori andarono all’Eagle, locale
pubblico di Cambridge, e dopo aver ordinato da bere, uno di loro annunciò ai presenti una notizia
che dev’essere sembrata la più grande balla della storia: «Abbiamo scoperto il segreto della vita».
Anche se la loro affermazione poteva apparire boriosa e arrogante, in realtà era vera. Quella
mattina gli scienziati James Watson e Francis Crick avevano davvero scoperto il segreto della vita,
ovvero la struttura a doppia elica del DNA, il materiale biologico che porta in sé le informazioni
genetiche sulla vita.
Nel cinquantenario della scoperta scientifica che può forse essere considerata la più importante
dei nostri tempi, Watson ha partecipato a un’intervista in proposito; l’intervista aveva lo scopo di
esaminare gli aspetti del lavoro di Watson e Crick che li avevano condotti a rivelare la struttura del
DNA prima di tutta una serie di scienziati altrettanto competenti.
Prima di tutto, Watson elencò una serie di fattori convergenti ampiamente scontati: era stato
decisivo che lui e Crick avessero identificato il problema più importante da risolvere; entrambi
avevano una gran passione per il loro lavoro, si dedicavano con determinazione ai compiti che si
trovavano di fronte e adottavano approcci che cercavano in aree diverse da quelle a loro familiari.
Poi per spiegare il loro successo, aggiunse un’altra ragione che sembrò assolutamente strabiliante:
lui e Crick avevano fatto breccia prima degli altri nell’elusivo codice del DNA, disse, proprio
perché non erano gli scienziati più intelligenti alla ricerca della risposta.
Che cosa? Perché, come Watson affermava, a volte considerarsi il leader più intelligente, la
persona più in gamba, vuol dire mettersi in una delle situazioni più imbarazzanti e pericolose? Quali
sono i pericoli insiti nel presentarsi come «il migliore»?
Watson proseguì spiegando, in questa intervista, che la persona più intelligente che lavorava al
progetto all’epoca era Rosalind Franklin, una scienziata inglese residente a Parigi. «Rosalind era
talmente intelligente che di rado chiedeva consigli. E se si è la più in gamba di tutti, a un certo punto
ci si trova in difficoltà.»
I commenti di Watson fanno luce su un errore comune che si riscontra nelle azioni di molti leader
ben intenzionati. I leader che nelle organizzazioni affrontano problemi o questioni specifiche – ad
esempio, come prospettare a un possibile cliente il picco di vendite più efficace, o progettare la
campagna più incisiva per raccogliere fondi a favore di qualche associazione genitori-insegnanti –,
dovrebbero garantirsi la collaborazione di un team per raggiungere i propri obiettivi anche se sono
meglio informati, più esperti e più capaci di tutti. Non farlo, può rivelarsi molto avventato. Il
comportamentista Patrick Laughlin e colleghi hanno dimostrato che gli approcci e i risultati del
gruppo i cui membri congiungono gli sforzi per trovare una soluzione non solo sono migliori di quelli
di ogni quadro medio che lavori da solo, ma anche di quelli che raggiunge il più competente del
gruppo se lavora in autonomia. Troppo spesso i leader che, in virtù della loro maggiore esperienza,
capacità e conoscenza, considerano se stessi come i più abili del gruppo, non chiedono consigli agli
altri membri del team.
Lo studio condotto da Laughlin e colleghi ci dice perché il leader migliore che operi
individualmente sarà sconfitto nella ricerca di una soluzione da un gruppo meno esperto, ma più
collaborativo. Infatti anzitutto, i leader solitari non possono competere con la diversità delle
conoscenze e dei punti di vista di un gruppo formato da tante persone; il contributo degli altri ha la
prerogativa di stimolare processi creativi che non possono essere sviluppati lavorando da soli. Tutti
noi abbiamo il ricordo di essere arrivati a una felice intuizione attraverso il commento di qualche
collega che, pur non suggerendola esplicitamente, ha messo in moto l’associazione. In secondo luogo,
il ricercatore solitario perde un altro significativo vantaggio, il potere dell’elaborazione parallela;
mentre un gruppo che collabora può distribuire molti compiti secondari ai suoi membri, l’operatore
solitario deve affrontare ogni compito in sequenza.
Ma non è rischiosa la piena collaborazione? In fin dei conti, le decisioni prese collettivamente
sono note per le loro performance poco ottimali. Memori di questo problema, il nostro consiglio è di
non usare una strategia per alzata di mano per raggiungere una conclusione; in realtà, non consigliamo
affatto di prendere decisioni congiunte. La scelta finale dovrebbe essere sempre appannaggio del
leader, ma è nel processo di ricerca di indicazioni che il leader dovrebbe impegnarsi più
collettivamente. E coloro che incoraggiano input regolari da parte del gruppo possono aspettarsi non
solo di raggiungere risultati migliori, ma oltretutto di costruire relazioni e rapporti più stretti con i
suoi membri che migliorano le future collaborazioni e l’influenza del gruppo stesso.
Altra obiezione: non c’è il rischio di ego feriti e perdita di motivazione se l’idea di un membro
del gruppo venisse alla fine scartata? Nella misura in cui un leader garantisce al team che ogni punto
di vista – pur non costituendo forse il fattore decisivo – viene preso in considerazione, non dovrebbe
accadere. E chissà, anche se la costruzione di un gruppo di persone incoraggiate a collaborare le une
con le altre non vi metterà nelle condizioni di dichiarare, come Watson e Crick, che avete «scoperto
il segreto della vita», può ben aiutarvi a scoprire il segreto per sbloccare il potenziale genuino vostro
e del vostro gruppo.
24 Che cosa si può imparare dalla «sindrome da
capitano»?

Oltre al pericolo di considerarsi il migliore, un’altra circostanza può essere ugualmente (se non più)
pericolosa: essere considerati dagli altri il più brillante o il più esperto di tutti. Questa situazione
diventa criticamente importante quando la circostanza si produce nella cabina di un aereo e il leader
in questione è il pilota.
Prendiamo ad esempio il seguente scambio registrato sull’Air Florida Flight 90 proprio prima che
si schiantasse nel Potomac ghiacciato, vicino a Washington, nel 1982.

COPILOTA: «Controlliamo il ghiaccio sulla superficie [delle ali] di nuovo dal momento che
dovremmo restare qui per un po’.»
CAPITANO: «No; penso che riusciremo a prendere il volo in un minuto.»
COPILOTA: [Riferendosi a uno strumento mentre si preparano a decollare] «Sembra che non funzioni,
non credi? No, non va bene.»
CAPITANO: «Sì che va...»
COPILOTA: «Be’, forse sì.»

[Rumori dell’aereo che cerca invano di prendere quota]


COPILOTA: «Larry, stiamo precipitando.»
CAPITANO: «Lo so.»

[Rumore dell’impatto dell’aereo in cui morirono il capitano, il copilota e altre 76 persone]


Questo è solo un tragico esempio di come i membri di una squadra spesso demandino le decisioni a
chi ha lo status di leader come autorità legittima e infallibile; mostra anche come i leader spesso non
riescano a rendersi conto dell’influenza che la percezione del loro status e competenza ha sugli altri.
Chiamato in inglese captainitis, questo tipo di comportamenti trae il suo nome dalla passività a volte
mortale mostrata dai membri dell’equipaggio quando il capitano prende chiaramente una decisione
sbagliata. Chi indaga sugli incidenti ha ripetutamente registrato esempi disastrosi di palesi errori
compiuti dal capitano che non sono stati corretti da altri membri dell’equipaggio.
La captainitis non si trova solo nell’aviazione. In una serie di studi, i ricercatori hanno verificato
la volontà di infermiere qualificate di rinunciare alla responsabilità verso il paziente dopo che il
«boss» responsabile del caso – il medico di reparto – ha espresso la diagnosi. Per condurre
l’esperimento, lo psicologo e ricercatore Charles Hofling ha telefonato singolarmente a 22 infermiere
di reparti ospedalieri diversi; lo psicologo si presentava come medico dell’ospedale e dava
istruzioni alle infermiere di dare 20 mg di Astrogen a un certo paziente. Nel 95% dei casi,
l’infermiera andava senza esitazioni nella farmacia dell’ospedale a prendere il farmaco e poi dal
paziente per somministrarglielo anche se il farmaco in questione non era abilitato all’uso ospedaliero
e la prescrizione di 20 mg era il doppio della dose giornaliera consigliata.
Riassumendo questi risultati, i ricercatori sono arrivati a una conclusione: che in équipe mediche
al completo di personale, è naturale supporre che le molteplici «intelligenze professionali» (medici,
infermieri, farmacisti) lavorino insieme per garantire che siano prese le decisioni migliori, ma a un
esame più ravvicinato solo una di queste intelligenze si può chiamare funzionante. Nella ricerca
emerge che le infermiere mettono da parte la loro considerevole esperienza e competenza e si
rimettono nella mani del medico. In una simile situazione, le azioni delle infermiere sono
comprensibili. Il medico è sia in carica sia la carica; in altre parole, ha la responsabilità e di
conseguenza il potere di penalizzare i membri dello staff non compiacenti e inoltre, possiede le
competenze mediche superiori che inducono coloro che lo circondano a demandare le decisioni al
suo statuto di esperto. Considerata questa percezione, non dovremmo stupirci se le équipe
ospedaliere sono riluttanti a mettere in discussione una prescrizione consigliata dai medici.
I leader dovrebbero essere consapevoli di questi risultati, non necessariamente per proteggersi la
prossima volta che si ritroveranno in ospedale ma la prossima volta che si ritroveranno nel loro
ufficio o in sala di consiglio per prendere importanti decisioni. Quando i leader trascurano di
chiedere suggerimenti ai membri del gruppo e quando questi rinunciano ad affermare le proprie
opinioni davanti ai leader, si può creare un circolo vizioso che porta a processi decisionali scadenti,
scelte sbagliate e spesso a errori altrimenti evitabili. Che siate allenatori di una squadra sportiva,
responsabili di qualche club, titolari di una piccola impresa o presidenti di una multinazionale, la
leadership collaborativa, in cui il dissenso di uno staff consapevole sia il benvenuto, può essere la
chiave per spezzare il circolo vizioso. E non farebbe male neppure un po’ di umiltà da parte dei
leader. Ricordate perciò di controllare il vostro ego durante le riunioni di lavoro, in ospedale o in
cabina piloti.
25 Come può la natura degli scambi di gruppo
provocare disastri molto poco naturali?

Nell’esplorazione dello spazio, due giorni di lutto nazionale si sono impressi nella storia per sempre:
il 1º febbraio 2003, la navicella spaziale americana Columbia fu distrutta al suo rientro
nell’atmosfera terrestre e il 28 gennaio 1986, lo shuttle americano Challenger esplose durante la fase
di decollo. In entrambi i disastri trovarono la morte tutti i sette membri dell’equipaggio. Anche se le
cause di ciascuna tragedia – in un caso il danneggiamento del bordo anteriore dell’ala sinistra della
navicella e nell’altro una guarnizione mal sigillata sul razzo propulsivo della navicella – sono
apparentemente diverse, un più accurato esame di questi errori induce a ipotizzarne una stessa causa
di fondo: la cultura scarsamente cooperativa nelle decisioni della NASA. Quali insegnamenti si
possono trarre da simili tragedie e come possiamo creare una cultura nei posti di lavoro che permetta
agli altri di persuaderci che siamo in errore?
Per cercare di capire come siano avvenuti questi incidenti, consideriamo il seguente scambio fra
un investigatore del disastro della Columbia e la direttrice della missione:

INVESTIGATORE: «In quanto direttrice, come cerca le opinioni discordanti?»


DIRETTRICE: «Be’, quando mi arrivano all’orecchio...»
INVESTIGATORE: «Forse non le ha ascoltate nella loro natura intrinseca... quali tecniche adotta per
sollecitarle?»

La direttrice non ha saputo rispondere.


Nel caso del disastro della Columbia, i dirigenti hanno ignorato la richiesta dei membri
subordinati dello staff di rivolgersi al Ministero della difesa per autorizzare l’uso dei satelliti spia al
fine di fotografare le aree potenzialmente danneggiate della navicella. Nel caso del Challenger, i
dirigenti hanno ignorato gli avvertimenti degli ingegneri secondo cui il freddo durante la giornata del
lancio poteva provocare il guasto della guarnizione. Quali elementi possono portare a carenze simili
nei processi decisionali?
Esaminando le carenze nei processi decisionali verificatesi storicamente, come quella
dell’invasione da parte di Kennedy della Baia dei porci e lo scandalo del Watergate che travolse
Nixon, lo studioso di psicologia sociale Irving Janis ha elaborato una teoria su come i gruppi
pervengano a decisioni sbagliate, sul cosiddetto groupthink (pensiero di gruppo), un termine coniato
dal giornalista William H. Whyte. Il groupthink è uno stile decisionale in cui i membri del gruppo
sentono maggiormente il bisogno di procedere insieme e in accordo gli uni con gli altri piuttosto che
di cercare e valutare criticamente idee e punti di vista alternativi. È spesso provocato dal desiderio
di coesione del gruppo, di isolamento difensivo dalle influenze degli altri e da leader autoritari che
rendono note le loro opinioni, tutti fattori presenti a vari livelli in molte organizzazioni. Questi fattori
creano spesso un’atmosfera carica di pressioni a conformarsi al punto di vista del leader, a censurare
punti di vista contrari e a tenere al riparo i leader da tali punti di vista, provocando a loro volta la
falsa percezione che i membri del gruppo siano d’accordo all’unanimità e che i punti di vista
espressi all’esterno del gruppo stesso siano meno validi. Ne risulta una discussione e un processo
decisionale difettosi, spesso caratterizzati da una disamina incompleta di idee alternative, un
processo di ricerca delle informazioni distorto e la mancata valutazione dei rischi delle opzioni
scelte dai leader del gruppo.
Come correre ai ripari per evitare simili processi decisionali di scarsa qualità? I processi
decisionali dei gruppi possono essere migliorati incoraggiando lo spirito critico e lo scetticismo
verso tutti i punti di vista, soprattutto verso quelli favoriti dai leader del gruppo. Leader intelligenti
dovrebbero sempre chiedere l’opinione dei collaboratori prima di rendere note le proprie posizioni,
garantendosi così l’accesso alle idee, opinioni e intuizioni effettive del gruppo invece che a quelle
che vengono espresse solo a uso e consumo del leader.
Per mettere in pratica efficacemente questa strategia, i leader dovrebbero creare un ambiente leale
e aperto dove le opinioni individuali sono benvenute e prese in considerazione senza paura di
ritorsioni; e soprattutto anche dopo aver preso una decisione, il gruppo dovrebbe riunirsi di nuovo
per discutere qualsiasi dubbio possa emergere sulla decisione presa. Inoltre, è essenziale chiedere il
contributo di esperti esterni che sono meno influenzati nella valutazione delle idee del gruppo.
Questo tipo di intervento è particolarmente efficace quando si considera che le visioni all’interno di
un’organizzazioni sono a volta miopi e che portano i gruppi a scoprire il già noto. Per avere una
comprensione migliore di quello che non è noto ma che potrebbe essere utile e significativo, è
necessario un punto di vista esterno.
In breve, a volte è importante sentirsi dire un «no» da parte del proprio gruppo per aumentare le
probabilità di sentirsi dire un «sì» da parte di coloro che si sta cercando di persuadere ad adottare le
decisioni del gruppo.
26 Chi è il miglior persuasore? L’avvocato del diavolo o
chi dissente apertamente?

Per quasi quattro secoli, la Chiesa cattolica romana ha affidato all’advocatus diaboli, o avvocato del
diavolo, il compito d’indagare e d’informare la Chiesa su tutti gli eventuali aspetti negativi della vita
e del lavoro dei candidati alla santificazione. In quella che può essere considerata una forma di
diligenza dovuta all’istituto della santità, l’idea era che, scoprendo tutte le informazioni sfavorevoli
sul candidato e presentandole alla leadership ecclesiastica, il processo decisionale sarebbe stato più
informato e notevolmente favorito dalla diversità delle idee, punti di vista e informazioni.
Chiunque lavori nel mondo degli affari sa che i termini «affari» e «santità» non si accompagnano
facilmente; eppure i manager potrebbero trarre validi insegnamenti dai procedimenti dell’avvocato
del diavolo. Quando in un gruppo di lavoro sembra che all’inizio tutti siano d’accordo su una
questione, può essere spesso fruttuoso incoraggiare punti di vista alternativi; questo incoraggiamento
diventa anche più importante quando si considerano gli effetti potenzialmente devastanti del
groupthink e della polarizzazione di gruppo, in cui più si discute l’opinione prevalente e più diventa
estrema.
I sociologi sanno da tempo che anche un solo dissidente in un gruppo altrimenti unanime può
bastare a generare un pensiero più complesso e creativo. Ma fino a tempi recenti, è stata scarsa la
ricerca sulla natura del dissidente: gli avvocati del diavolo, cioè gli pseudodissidenti, sono migliori
o peggiori dei dissidenti autentici ai fini di accrescere le capacità di problem-solving di un gruppo di
persone altrimenti omogenee?
I risultati di una ricerca condotta dallo studioso di psicologia sociale Charlan Nemeth e colleghi
mostrano che, paragonato con un dissidente autentico, la persona cui si chiede di rivestire il ruolo di
avvocato del diavolo è meno efficiente nella promozione del problem-solving creativo fra i membri
di un gruppo. I ricercatori sostengono che per la maggior parte dei membri del gruppo, gli argomenti
e le posizioni del dissidente autentico sono più fondate e quindi più valide; le posizioni
dell’avvocato del diavolo, invece, sembrano discordi solo per il piacere di esserlo. Quando i
membri di un gruppo sono messi di fronte a una persona che sembra opporsi con sincerità alle loro
posizioni, cercano di capire perché il dissidente è così impegnato a sostenere le proprie idee; in
questo percorso, pervengono a una comprensione migliore del problema e lo considerano a partire da
una prospettiva più ampia.
Tali risultati implicano che l’avvocato del diavolo è una figura obsoleta? Negli anni Ottanta, papa
Giovanni Paolo II ha messo ufficialmente fine all’uso di questa pratica all’interno della Chiesa
cattolica. In realtà, c’è qualche indizio che l’esperienza dell’avvocato del diavolo abbia il potenziale
d i rafforzare, invece che indebolire, la fiducia della maggioranza nelle posizioni originali,
presumibilmente perché si crede di aver preso in considerazione – e di conseguenza scartato – tutte
le alternative disponibili. Tuttavia ciò non significa che la figura dell’avvocato del diavolo sia ormai
inservibile; al contrario, può essere utile nel richiamare l’attenzione su idee, prospettive e
informazioni alternative nella misura in cui la maggioranza le consideri con mente aperta.
Ma esaminando i risultati della suddetta ricerca, si può trarne la conclusione che forse per i leader
la strategia migliore da adottare è quella di creare e promuovere un ambiente di lavoro in cui i
collaboratori e i subordinati siano incoraggiati a dissentire apertamente con il punto di vista della
maggioranza. Questo atteggiamento potrebbe tradursi in soluzioni più innovative dei problemi
complessi e in una serenità maggiore dei dipendenti (sempre che il dissenso rimanga a livello
professionale e non diventi personale), e alla fine condurre a una crescita nei profitti. In situazioni in
cui le decisioni abbiano implicazioni durevoli e di ampia portata, bisognerebbe prendere in
considerazione l’eventualità di cercare dissidenti autentici. Incoraggiando persone competenti a
persuaderci con passione che forse ci stiamo rivolgendo verso la direzione sbagliata, ci mettiamo
nelle condizioni di trarre una maggiore comprensione del problema da un argomento autentico
piuttosto che da uno simulato, permettendoci così di prendere le decisioni ottimali e di creare
messaggi massimamente efficaci.
27 Quando indicare la strada giusta può rivelarsi
sbagliato?

Forza. Coraggio. Determinazione. Impegno. Altruismo. Alcuni potrebbero dire che i nostri pompieri
dovrebbero essere per noi dei modelli esemplari di comportamento sia fuori che dentro le nostre
organizzazioni.
Anche se salvare vite umane e recuperare gatti dagli alberi non rientra nel profilo della nostra
professione, imparando il modo in cui i pompieri si allenano a compiere il proprio lavoro potremmo
diventare, nel nostro piccolo, eroi di tutti i giorni.
La comportamentista Wendy Joung e collaboratori erano interessati a esaminare se certi
programmi d’addestramento fossero più efficaci di altri ai fini di ridurre al minimo gli errori di
giudizio in ambito lavorativo. In particolare volevano capire se concentrando l’addestramento sugli
errori, invece che sulle decisioni proficue, compiuti da altri in passato, ne sarebbe nato un training
migliore. Pensavano che l’addestramento che mirava agli errori fosse più efficace a causa di diversi
elementi, fra cui una maggiore attenzione verso esperienze più memorabili.
I ricercatori intendevano verificare la loro ipotesi su un gruppo di persone le cui capacità
decisionali sotto stress fossero d’importanza vitale, e le cui decisioni avessero conseguenze di
grande portata; perciò non c’è da sorprendersi che per la ricerca abbiano scelto i pompieri, cui è
stato proposto un seminario che comprendeva lo studio di diversi casi. La natura dei casi in esame,
tuttavia, era diversa per i due gruppi di partecipanti: un gruppo esaminava casi che descrivevano
situazioni pratiche in cui altri pompieri avevano preso decisioni errate che avevano portato a esiti
negativi; l’altro, casi in cui i pompieri avevano evitato esiti negativi attraverso decisioni giuste.
Quando i ricercatori hanno analizzato i risultati, hanno riscontrato un miglioramento maggiore nel
giudizio dei pompieri che avevano esaminato i casi di scelte errate rispetto a coloro che avevano
esaminato i casi di decisioni giuste.
L’addestramento è sempre teso a influenzare gli altri, perciò se si vuole ottimizzare la propria
influenza sul futuro comportamento dei dipendenti, le implicazioni per l’organizzazione dei
programmi di training sono evidenti. Anche se molte imprese generalmente indirizzano il training
solo verso gli esiti positivi – in altre parole, su come prendere decisioni ottimali –, i risultati di
questa ricerca suggeriscono che una parte non indifferente del training dovrebbe essere rivolta agli
errori commessi da altri in passato e a come tali errori si sarebbero potuti (e si possano) evitare. In
particolare l’esame di casi, video, esempi e testimonianze che riportano simili errori, dovrebbe
essere seguito da una discussione su quali azioni sarebbe stato giusto intraprendere in queste
situazioni e altre analoghe.
Naturalmente, il management non dovrebbe additare al disprezzo altrui gli individui specifici per
le loro precedenti scelte sbagliate, e le esperienze fondate su tali scelte dovrebbero essere
completamente anonime.
Potreste scoprire, tuttavia, che qualcuno dei più esperti e rispettati dipendenti è più che felice di
consegnare agli archivi della società la sua testimonianza su «storie di guerra» cariche di errori.
Quest’approccio non dovrebbe essere adottato solo con i dipendenti aziendali; insegnanti,
allenatori – e quasi qualsiasi altro si occupi di addestramento ed educazione – possono beneficiare
di una simile strategia, genitori compresi naturalmente.
Ad esempio, per insegnare ai figli a stare lontani da chi non conoscono i genitori possono
descrivere scenari ipotetici in cui un bambino sia stato ingannato da un estraneo; evidenziando quello
che il bambino dell’esempio avrebbe potuto fare per sottrarsi all’estraneo in quella particolare
situazione, si agisce in modo che il bambino sia più preparato ad affrontare scenari simili in futuro.
28 Come trasformare una debolezza in un punto di
forza?

Quasi mezzo secolo fa, la società pubblicitaria Doyle, Dane, & Bernbach si trovò ad affrontare
l’impresa quasi insormontabile d’introdurre una piccola automobile tedesca nel mercato americano
in cui fino ad allora avevano prevalso solo grandi auto familiari. In breve, il maggiolino Volkswagen
fu trasformato da un fondo relativamente ridicolo di magazzino a uno status symbol popolare. Il
successo del maggiolino può essere ampiamente attribuito all’elaborazione e alla messa a punto di
una delle più grandi campagne nella storia della pubblicità. Forse ancora più sorprendente è il modo
in cui la società affrontò l’impresa: nel promuovere il marchio, non enfatizzò i punti forza del
prodotto – come la sua relativa economicità o il suo modico consumo di carburante – bensì, le sue
debolezze. Perché?
La campagna pubblicitaria certamente infranse le regole convenzionali dell’industria di allora. Si
concentrò sul fatto che la Volkswagen non aveva una carrozzeria piacevole come le auto americane
tipiche dell’epoca. Il genere di slogan che si leggevano in quegli annunci pubblicitari erano «brutta è
solo in superficie» e «resterà brutta più a lungo». È facile capire perché questi slogan attraessero
l’attenzione e perché tutta la campagna fosse molto piacevole. Ma questi fattori da soli non possono
spiegare il grande volume di vendite che accompagnò il lancio e la gran durata di questa campagna:
quali elementi di questi annunci pubblicitari fecero vendere tante automobili?
Citando un piccolo difetto del prodotto, si crea la percezione che la società che lo pubblicizza sia
onesta e degna di fiducia, dandole così la possibilità di essere più persuasiva quando promuove i
punti di forza genuini del prodotto; nel caso del maggiolino, come già detto, il basso consumo di
benzina e un prezzo abbordabile. Analogamente Avis, la seconda società mondiale nel campo del
noleggio d’automobili, si è avvalsa di questo principio col suo memorabile slogan «Avis, siamo la
numero 2, ma ci stiamo lavorando (quando non si è la numero 1, si deve)». Altri esempi sono:
«Listerine: il gusto che odiate tre volte al giorno» e «L’Oréal: siamo cari, ma voi valete».
Altre prove del successo di questa strategia sono state riscontrate anche in campi diversi da
quello della pubblicità. Prendiamo in considerazione un esempio del suo impiego in ambito legale: in
uno studio condotto dal comportamentista Kip Williams e colleghi, quando i giurati hanno sentito un
avvocato parlare di una debolezza nella sua difesa prima che il pubblico ministero la citasse, lo
hanno giudicato più degno di fiducia e sono stati più favorevoli verso tutta la sua difesa e nel
verdetto a causa della percezione di questa onestà. Inoltre, chiunque stia valutando la possibilità di
un cambiamento nella propria carriera potrebbe avere interesse a sapere che una ricerca sulle
assunzioni ha verificato che i candidati il cui curriculum conteneva solo referenze positive
ottenevano meno colloqui di lavoro di coloro il cui curriculum evidenziava all’inizio qualche
debolezza o piccolo limite prima di passare a descrivere le caratteristiche positive.
Esiste una serie di applicazioni di questa tecnica di persuasione. Ad esempio se volete vendere la
vostra auto, quando un potenziale compratore chiede di fare un giro di prova, dando volontariamente
informazioni negative sulla macchina, in particolare su quelle che il potenziale cliente probabilmente
non scoprirebbe da solo (ad esempio, che la luce all’interno del cofano è un po’ instabile o che il
consumo di carburante è un po’ elevato) farete miracoli per la sua fiducia in voi e nel veicolo.
La strategia può anche essere adottata al tavolo delle trattative. Ad esempio, se in qualche limitato
settore il vostro potenziale è debole, è probabile che il vostro interlocutore vi consideri più degno di
fiducia se gliene parlate subito piuttosto che lasciarglielo scoprire in un secondo tempo. Lo stesso
dicasi per la vendita diretta: se vendete una fotocopiatrice a colori a un’azienda e la macchina ha un
contenitore per la carta con una capacità minore di quella del vostro concorrente, può essere utile
dirlo al cliente all’inizio per conquistarsene la fiducia; poi sarà più facile convincerlo che le
caratteristiche superiori della vostra fotocopiatrice non hanno pari in questo settore.
Osserviamo, tuttavia, che potete usare questa strategia in modo efficace solo se le vostre
debolezze sono di ordine minore. Per questo raramente vediamo campagne pubblicitarie con slogan
del tipo: «Classificati ultimi da J. D. Power and Associates, ma dopo aver affrontato questi processi
per morte accidentale, cercheremo di fare meglio».
29 Quali torti convincono il prossimo ad aprire le
casseforti?

François de La Rochefoucauld, lo scrittore e moralista francese del diciassettesimo secolo, anticipò


il sorprendente successo della famosa campagna pubblicitaria del maggiolino Volkswagen quando
scrisse: «Confessiamo i nostri piccoli difetti solo per convincere gli altri che non ne abbiamo di
grandi». Anche se nella campagna si gestivano abilmente i difetti del prodotto, il tentativo di usare
questo tipo di messaggi solleva in noi un dilemma: quali piccoli difetti dovremmo scegliere di
ammettere?
La ricerca condotta dal sociologo Gerd Bohner e collaboratori mostra che questi messaggi
persuasivi «double-face» hanno efficacia ottimale solo se esiste un chiaro legame fra le
caratteristiche negative e positive comunicate. In uno studio, Bohner ha creato tre versioni diverse di
un annuncio pubblicitario per un ristorante. La prima ne descriveva solo le caratteristiche positive;
ad esempio, caldeggiava l’atmosfera intima del ristorante. La seconda indicava le stesse
caratteristiche positive oltre ad altre negative non correlate; ad esempio oltre a menzionare
l’atmosfera intima, il messaggio diceva che il ristorante non offriva un parcheggio attiguo. La terza
descriveva certe caratteristiche negative e ne aggiungeva altre positive correlate alle prime; ad
esempio, descriveva le dimensioni molto ridotte del ristorante ma ne caldeggiava l’atmosfera intima.
Così, i partecipanti che hanno visto il terzo messaggio pubblicitario sono stati in grado di
collegare gli aspetti negativi del ristorante con quelli positivi («è un piccolo spazio, ma proprio
questo ne rende intima l’atmosfera»). In breve, anche se entrambi i tipi di messaggi a valenza doppia
producevano un incremento nella credibilità percepita del proprietario del ristorante, il giudizio sul
ristorante stesso era più positivo nel caso del messaggio in cui le caratteristiche positive e negative
erano correlate.
Questi risultati indicano che se volete accrescere soprattutto la vostra credibilità agli occhi di
altri, non ha molta importanza il particolare tipo di debolezze che comunicate coi vostri doppi
messaggi; se tuttavia cercate anche di accrescere i sentimenti positivi altrui verso l’oggetto in
questione – che sia un ristorante, un prodotto o le vostre credenziali –, fareste bene a stare attenti che
ogni nube scura da voi descritta sia accompagnata da un contorno argenteo. Per citare un esempio
storico, quando il presidente americano Ronald Reagan correva per il secondo mandato nel 1984,
alcuni elettori temevano che fosse troppo vecchio per esserne all’altezza. Durante il dibattito
presidenziale con l’antagonista, Walter Mondale, Reagan riconobbe d’essere molto anziano, ma
affermò: «Voglio che sappiate che di questa campagna, non ne farò una questione d’età. Non sfrutterò
a fini politici la giovinezza e l’inesperienza del mio sfidante». Anche se la risposta immediata di
Mondale fu una risata, certamente non rise quando in seguito fu surclassato dalla più schiacciante
vittoria alle elezioni presidenziali nella storia degli Stati Uniti.
Questa ricerca ha anche molte applicazioni nel mondo degli affari. Ad esempio, poniamo che
stiate presentando un prodotto che la vostra società ha lanciato di recente presso un nuovo cliente; ha
alcune notevoli caratteristiche e vantaggi migliori di quelli della concorrenza, ma ha costi più
elevati; di conseguenza, è circa il 20% più caro del prodotto che il nuovo cliente usa di solito.
Sapete anche, tuttavia, che questo iniziale 20% in più è compensato dalla maggiore durevolezza del
vostro prodotto e dalla sua manutenzione meno costosa. È anche più rapido e compatto, poiché
occupa uno spazio significativamente minore di quello della concorrenza.
Secondo i risultati della ricerca, subito dopo aver accennato al punto debole costituito dal
maggior prezzo del prodotto, dovreste descriverne un beneficio relativo ai costi e non a qualsiasi
altra caratteristica del prodotto. Un’affermazione del tipo «a confronto con quello da lei usato
abitualmente, il nostro nuovo prodotto ha un prezzo superiore del 20%, ma è più che compensato se
si considera quanto dura e il più basso costo di mantenimento», è senz’altro più persuasiva di
un’altra del tipo «a confronto con quello da lei usato abitualmente, il nostro nuovo prodotto ha un
prezzo superiore del 20%, ma è molto più veloce e occupa anche minor spazio».
In altre parole, dovreste sempre accompagnare la presentazione di qualche difetto con una virtù ad
esso correlata e che lo neutralizzi. Quando il destino ci manda dei limoni, dovremmo fare una
limonata e non un succo di mela.
30 Quando è giusto ammettere d’aver sbagliato?

Nel febbraio 2007 la JetBlue Airways, la compagnia aerea americana low cost, ha deluso le
aspettative di migliaia di passeggeri a causa della mancanza di preparazione e incapacità decisionale
di fronte a condizioni del tempo invernali molto critiche nel nordest degli Stati Uniti. Quasi senza
eccezioni, tutte le altre compagnie aeree che fornivano servizi di linea nella regione avevano
cancellato voli su voli in previsione della tempesta; invece, la JetBlue assicurava a molti dei suoi
passeggeri che i loro aeroplani avrebbero viaggiato. La tempesta tuttavia non perse intensità e perciò
moltissimi clienti della JetBlue rimasero a terra.
Dopo aver lasciato migliaia di passeggeri allo sbando negli aeroporti e sulle piste in questo
incubo organizzativo, la JetBlue si trovò ad affrontare una difficile decisione di pubbliche relazioni:
a chi o a che cosa darne la colpa? Dovevano chiamare in causa fattori esterni come le condizioni
estreme del tempo, o rammaricarsi per fattori interni relativi all’operatività della compagnia? La
compagnia scelse la seconda soluzione, ammettendo che le manchevolezze della JetBlue durante la
situazione disastrosa erano state provocate da problemi interni più che esterni. Ci vuole coraggio e
umiltà per ammettere i propri errori, ed è forse per questo che è così raro vedere le organizzazioni e
le persone assumersi la responsabilità di un passo falso o di una valutazione sbagliata. Come valuta
la ricerca sull’influenza sociale, la decisione della JetBlue di fare quello che molte compagnie, in
simili frangenti, non avrebbero probabilmente mai preso in considerazione?
La sociologa Fiona Lee e i suoi collaboratori sostengono che le organizzazioni che attribuiscono
le proprie manchevolezze a cause interne hanno non solo successo di pubblico, ma anche in termini
di profitti; gli studiosi ritengono che attribuendo le manchevolezze a cause interne, in teoria
controllabili, l’organizzazione appare in possesso di maggiore padronanza sulle sue risorse e sul
futuro; e che probabilmente il pubblico presume che l’organizzazione abbia un piano per modificare
le caratteristiche che hanno portato ai problemi.
Per verificare queste idee, Fiona Lee e collaboratori hanno condotto una breve ricerca in cui i
partecipanti hanno letto i due rapporti annuali di una società fittizia, che spiegavano entrambi perché
la compagnia avesse avuto performance insoddisfacenti durante l’ultimo anno. A metà dei
partecipanti, è stato dato il rapporto annuale che ne attribuiva la responsabilità a fattori interni (ma
potenzialmente controllabili).

Relazione A della società fittizia


L’inaspettata caduta nelle entrate di quest’anno è principalmente attribuibile a qualche decisione
strategica che abbiamo preso l’anno scorso: la decisione di acquisire una nuova azienda e diversi
nuovi farmaci sul mercato internazionale ha influenzato la decrescita a breve delle entrate. Per
quanto riguarda la gestione aziendale, non eravamo pienamente pronti ad affrontare le condizioni
sfavorevoli che sono emerse sia nel mercato interno sia in quello internazionale.
All’altra metà dei partecipanti, è stato dato il rapporto annuale che attribuiva la responsabilità delle
performance insoddisfacenti a fattori esterni (e non controllabili).

Relazione B della società fittizia


La caduta nelle entrate di quest’anno è principalmente attribuibile a un inaspettato rovescio delle
condizioni economiche in ambito nazionale e internazionale e a una più agguerrita concorrenza
internazionale. Queste sfavorevoli condizioni del mercato hanno influenzato direttamente il crollo
delle vendite a breve e portato a difficoltà nell’introduzione di diversi farmaci chiave sul mercato.
Queste condizioni inaspettate dipendono dalla legislazione federale e sfuggono completamente al
nostro controllo.

I partecipanti che hanno letto la Relazione A hanno considerato più positivamente la società su
diversi piani di quanto non abbiano fatto quelli che hanno letto la Relazione B.
Ma i ricercatori non si sono fermati qui, volevano verificare la loro ipotesi in una situazione
reale. Per farlo, hanno raccolto centinaia di relazioni annuali simili di 14 società lungo un periodo di
21 anni. Hanno riscontrato che quando tali società spiegavano i risultati non raggiunti nelle relazioni
annuali, quelle che indicavano fattori interni e controllabili, l’anno dopo avevano prezzi di vendita
più elevati di quelle che indicavano fattori esterni e incontrollabili. Perciò, se prendersi la
responsabilità dei propri errori e ammettere di aver sbagliato non solo è giusto per sé ma anche per
la propria impresa, perché questo comportamento è tanto raro? Spesso si reagisce a un errore costoso
e imbarazzante, indipendentemente dal fatto che l’abbia commesso un’organizzazione o una persona,
biasimando qualcun altro o fattori esterni per spostare l’attenzione dall’origine del problema.
Adottando un simile approccio, ci creiamo due problemi anche più grossi: anzitutto come mostra la
ricerca, è probabile che questa strategia sia inefficace perché non si preoccupa di dimostrare agli
scettici che controlliamo il problema e abbiamo la capacità di porvi rimedio; in secondo luogo,
anche se riusciamo a distrarre l’attenzione dal nostro errore nel breve periodo, i riflettori – o forse
più precisamente il centro del bersaglio – si sposteranno di nuovo su di noi nel lungo periodo,
evidenziando potenzialmente non solo il nostro errore ma anche la nostra propensione all’inganno.
Simili conclusioni dovrebbero essere considerate valide non solo per le aziende, ma anche per gli
individui. Se avete compiuto un errore, dovreste ammetterlo e adottare immediatamente dopo tale
ammissione da un piano che dimostri che avete il controllo della situazione e siete in grado di
raddrizzarla. Attraverso queste misure, alla fine vi ritroverete in una posizione di maggiore influenza
perché sarete percepiti non solo come persone capaci, ma anche oneste.
Insomma, i risultati della ricerca sopracitata suggeriscono che se giocate la carta dei rimproveri –
puntando il dito su fattori esterni invece che verso voi stessi –, voi e la vostra organizzazione
probabilmente finirete con l’essere perdenti.
31 Quando dovreste essere contenti se il server è fuori
servizio?

Le disfunzioni del computer hanno il potere di rendere l’ambiente di lavoro un posto frustrante di
gestione della nostra attività. Ricerche recenti, tuttavia, mostrano che in certi casi i problemi legati al
computer possono invece diventare un vantaggio più che un danno per i nostri affari.
I sociologi Charles Naquin e Terri Kurtzberg hanno ipotizzato che quando un’organizzazione
identifica nella tecnologia – invece che nell’errore umano – la causa principale di un incidente, i
clienti e altri soggetti esterni all’organizzazione la ritengono meno responsabile. Per verificare
quest’ipotesi, in una ricerca è stato chiesto ad alcuni studenti di contabilità di leggere l’articolo di un
giornale fittizio che riportava il resoconto di un incidente vero avvenuto fra due treni di pendolari
della Chicago Transit Authority in cui alcuni erano rimasti feriti e molti altri avevano subito gravi
disagi. A metà dei partecipanti è stato detto che il problema era stato provocato da un errore
tecnologico; in particolare, sono stati informati che si era verificato un errore nel programma del
computer del treno, che gli aveva dato via libera quando avrebbe dovuto fermarsi. All’altra metà di
partecipanti è stato detto che il problema era dovuto a un errore umano, che il conducente aveva
semplicemente continuato a mandare avanti il treno mentre avrebbe dovuto fermarsi. I ricercatori
hanno riscontrato che i partecipanti hanno rimproverato di meno la Chicago Transit Authority nel
caso in cui gli era stato comunicato che l’incidente era dovuto a un errore tecnologico.
In un altro studio, i ricercatori hanno usato un incidente avvenuto in un campus universitario.
Durante l’incidente, il sistema di posta elettronica dell’università aveva consentito agli utenti di
inviare e-mail solo agli indirizzi interni al campus, un problema che era durato per tutta la giornata
lavorativa. I ricercatori hanno distribuito dei questionari agli studenti dell’MBA, il master in
amministrazione aziendale, chiedendogli in quale misura credessero che l’OIT (Office of Information
Technology, Servizio di tecnologia informatica), che gestiva il network dell’università, dovesse
essere ritenuto responsabile di questo disguido. Prima di rispondere al questionario, a metà degli
studenti dell’MBA era stato detto che si credeva che il guasto «fosse dovuto a un errore del computer
che aveva fatto saltare il server», mentre all’altra metà era stato detto che il guasto «era dovuto a un
errore umano che aveva fatto saltare il server». I risultati mostrarono che i partecipanti
rimproveravano maggiormente l’OIT, e suggerivano di penalizzarlo con multe più forti, quando
credevano che il guasto fosse stato provocato da un errore umano invece che tecnologico.
Perché? Dai risultati di questo studio si deduce che quando apprendiamo la causa di un problema
nell’ambito di un’organizzazione, ci affiorano alla mente pensieri su come sia evitabile; e gli
incidenti provocati da errori umani semplicemente producono una quantità maggiore di tali pensieri
degli incidenti provocati da ragioni tecnologiche, probabilmente perché è percepita la possibilità di
un maggiore controllo degli incidenti associati a inefficienze umane.
Come abbiamo visto nel capitolo precedente, in genere si ha la tendenza a sottovalutare o anche a
nascondersi gli errori che si sono provocati soprattutto quando le conseguenze potrebbero avere un
impatto negativo su qualche cliente o collega; ma quando ci si trova a essere danneggiati
dall’incidente e di fronte ai possibili tentativi altrui di non ammettere le proprie negligenze, si tende
ad attribuire il problema a errori umani che si sarebbero potuti facilmente evitare. E anche se
abbiamo sostenuto la necessità di assumersi la responsabilità dei propri errori, nel caso in cui i
problemi siano realmente dovuti a disguidi tecnici – invece che a errore umano – bisognerebbe
diffondere fra tutte le persone coinvolte questa piccola ma importante informazione. Dovete solo
dimostrare che avete individuato il problema, segnalando così che avete il controllo della situazione
e siete capaci di prevenirne il ripetersi.
I ritardi dovuti a problemi tecnologici sembrano un problema in progressiva crescita nella nostra
vita quotidiana. Infatti, si è valutato che la media dei cittadini britannici impiegheranno più di 18 ore
all’anno per affrontare i ritardi provocati da difficoltà tecniche nel trasporto pubblico, che
equivalgono a 55 giorni nell’arco della vita di una persona. Anche se i ritardi di qualsiasi genere
sono senz’altro un aspetto frustrante della vita, quello che può spesso essere anche più irritante è la
mancanza di informazioni sulla causa del ritardo. Perciò se vi trovate nella poco invidiabile
posizione di dover annunciare qualche problema di ritardo a causa di difficoltà tecniche, è
consigliabile comunicarne l’informazione il più rapidamente possibile a coloro che ne sono
coinvolti. Agendo così, la vostra efficacia sarà duplice: anzitutto, vi presentate come una persona
servizievole, informata e che sta dalla parte dei clienti; in secondo luogo, mostrate di conoscere
l’origine del guasto e perciò di poterne avere maggior controllo in futuro.
32 Quando le somiglianze sono decisive?

Nell’estate del 1993, le acque del Mississippi minacciarono di devastare diverse città del Midwest,
fra cui la città di Quincy, in Illinois. In risposta al pericolo imminente, centinaia di abitanti della città
lavorarono notte e giorno per difendere le aree più vulnerabili con migliaia di sacchi di sabbia. Gli
eventi sembravano prendere una piega preoccupante; le provviste e le fonti di rifornimento di cibo
stavano diminuendo rapidamente mentre la fatica, il pessimismo e – peggio ancora – il livello delle
acque erano in progressivo aumento. L’umore fra i volontari si ravvivò notevolmente, tuttavia,
quando vennero a sapere che gli abitanti di una cittadina del Massachusetts avevano donato una
grande quantità di provviste che erano già in arrivo.
Che cosa aveva spinto gli abitanti di una città all’apparenza casuale ad agire tanto generosamente
verso una cittadina che ne distava 1.000 miglia? E perché, in particolare, aiutare Quincy invece di
qualsiasi altra delle molte città e cittadine minacciate dalle acque?
Una grossa mole di ricerche psicologiche hanno mostrato che tendiamo a seguire il
comportamento di coloro con i quali condividiamo delle caratteristiche personali come valori, idee,
età e genere; ma la risposta a questa particolare domanda risiede in un’analogia sottile e a prima
vista irrilevante fra le due municipalità. Semplicemente in base al nome, gli abitanti di Quincy in
Massachusetts si sono sentiti vincolati agli abitanti di Quincy in Illinois da un legame abbastanza
forte da motivarne la generosità.
Che cosa può spiegarlo? Gli studiosi di psicologia sociale hanno rilevato che siamo propensi ad
avere sentimenti particolarmente positivi verso alcuni imponderabili elementi che associamo a noi
stessi, come il nostro nome. Questa tendenza si manifesta a volte in modo davvero potente. Le
evidenze indicano, ad esempio, che si è più propensi ad acconsentire alla richiesta di un estraneo
quando si ha la stessa data di nascita.
In un’altra serie di studi, il ricercatore Randy Garner ha inviato dei questionari a dei perfetti
sconosciuti via e-mail; il questionario era accompagnato dalla richiesta di completarlo e rinviarlo
rivolta da una persona il cui nome era in alcuni casi simile, in altri diverso dal nome di chi riceveva
il questionario. Ad esempio nei casi di nome simile, una persona che si chiamasse Robert Greer
poteva ricevere il questionario da parte di qualcuno che si chiamava Bob Gregar o una donna di
nome Cynthia Johnston ricevere il questionario da un’altra donna che si chiamava Cindy Johanson. I
nomi usati nei casi di nominativi diversi, erano quelli dei cinque assistenti alla ricerca coinvolti
nello studio.
I questionari compilati e rispediti da coloro che li hanno ricevuti da parte di chi aveva un nome
simile, sono stati quasi il doppio di quelli compilati e rispediti da coloro che li hanno ricevuti da
parte di chi aveva un nome diverso (il 56% contro il 30%). Inoltre dopo che è stata completata la
prima fase dello studio, a tutti quelli che avevano restituito il primo questionario ne è stato spedito un
altro per valutare quali fossero stati i fattori decisivi che li avevano indotti a restituire
l’incartamento. Al secondo sondaggio ha risposto circa la metà del campione, ma nessuno dei
partecipanti ha indicato nel nome del mittente l’elemento decisivo della loro scelta di rispondere al
questionario. Tali risultati mostrano sia il potere sia l’imponderabilità delle analogie cui le persone
ricorrono per decidere chi aiutare.
Un’implicazione di questi e simili risultati psicosociologici è che i clienti potenziali possono
essere più ricettivi al discorso promozionale di un venditore con cui hanno le analogie più disparate
come nel nome, le idee, la città d’origine e l’università; evidenziando queste somiglianze, possiamo
anche fare il primo passo per risolvere aspri conflitti con i colleghi o con i vicini. Naturalmente, non
stiamo sostenendo che ci si debbano inventare caratteristiche o attributi condivisi per conquistarsi il
consenso altrui, bensì che se si condividono genuine somiglianze con il prossimo, le si dovrebbero
portare alla luce nel corso dei colloqui prima di fare le proprie richieste o presentazioni.
33 Quando nomen ome2
?

In un episodio della versione americana della sit-com inglese The Office, il responsabile di settore
Michael Scott scopre che il servile subalterno, Dwight Schrute, sta cercando alle sue spalle di
convincere la direzione ad affidargli il suo posto. Per giustificare la propria assenza, Dwight dice a
Michael di aver bisogno di andare dal dentista per farsi incapsulare un dente. Quando Dwight ritorna
in ufficio, Michael gli chiede della seduta dal dentista. Non sapendo che Michael è a conoscenza
della sua manovra, Dwight cerca di bluffare:

MICHAEL: «Ehi, pensavo che non si potesse mangiare niente per un paio d’ore dopo essersi messi una
capsula!»
DWIGHT: [masticando un croccantino] «... Hanno un nuovo tipo di collante a presa rapida.»
MICHAEL: «Davvero? Sembra un buon dentista.»
DWIGHT: «Be’, certo.»
MICHAEL: «E come si chiama?»
DWIGHT: [lunga pausa] «Crentist.»
MICHAEL: «Il nome del tuo dentista è Crentist?»
DWIGHT: «Sì.»
MICHAEL: «Mmm... suona un po’ come “dentista”.»
DWIGHT: «Forse è per questo che lo è diventato.»

Malgrado la spiegazione di Dwight sul perché il «dottor Crentist» sia stato attratto dall’odontoiatria
sembri ridicola, se non completamente idiota, recenti ricerche mettono in luce che affermazioni come
quelle di Dwight possono avere invece una base di realtà. Nel capitolo precedente, abbiamo
esaminato come le persone tendano a provare sentimenti più positivi – e siano più propense a
compiacerne le richieste – nei confronti di chi è in qualche modo simile a loro anche per aspetti
superficiali quali l’assonanza del nome con il proprio. Ma è possibile che il nostro nome possa avere
influenza su scelte determinanti e incisive della nostra vita come il tipo di carriera che decidiamo di
seguire o il luogo in cui decidiamo di vivere?
La ricerca condotta dal comportamentista Brett Pelham e dai suoi collaboratori suggerisce che la
risposta sia sì. Gli studiosi, infatti, affermano che la propensione a favorire elementi che associamo
al nostro nome ha una sottile ma potente influenza sulle più importanti decisioni della vita; secondo i
ricercatori, c’è una ragione per cui Susie sceglie un lavoro in cui può vendere conchiglie in spiaggia
e Peter Piper opta per una professione che gli offre il destro di trattare quintali di peperoni
sott’aceto, non altro: si è attratti da professioni con nomi simili al proprio.
Per verificare questa idea, Pelham ha redatto una lista di nomi che hanno assonanze con la parola
dentista, come Dennis. Secondo i dati del censimento, Dennis era al 40º posto fra i nomi maschili
più diffusi fra la popolazione degli USA all’epoca, insieme a Jerry e Walter che si collocavano
rispettivamente al 39º e 41º posto. Forte di quest’informazione, Pelham ha cercato il registro degli
iscritti all’American Dental Association, esaminando il numero di dentisti che si chiamassero con
uno dei tre nomi; se il nome non ha nessuna influenza sul tipo di carriera che si sceglie, ci si
dovrebbe aspettare che questi tre nomi compaiano all’incirca con la stessa frequenza nel campo
dell’odontoiatria.
Ma non è questo ciò che hanno riscontrato Pelham e i suoi collaboratori. La ricerca a livello
nazionale ha messo in luce che 257 dentisti si chiamavano Walter, 270 Jerry e 482 Dennis. Ciò
significa che probabilmente circa l’82% dei dentisti si chiama Dennis contrariamente alle aspettative
di chi è convinto che le assonanze col nome non abbia nessun effetto sulla scelta della professione.
Analogamente, le persone il cui nome comincia con Geo (ad esempio George, Geoffrey) hanno
enormi possibilità di essere ricercatori nelle geoscienze (come la geologia). In realtà, anche solo la
prima lettera del nome di una persona influenza la scelta della sua carriera professionale. Ad
esempio, i ricercatori hanno verificato che l’80% dei proprietari di negozi di hardware hanno nomi
che iniziano con l’H piuttosto che con la R, ma il 70% dei riparatori di tetti hanno nomi che
cominciano con la R di roof, piuttosto che con l’H.3 Naturalmente, se chiedeste a mille riparatori di
tetti il cui nome cominci con la R se tale circostanza abbia avuto un’influenza nella scelta della loro
professione, è probabile che la metà di essi vi considererebbe pazzi e l’altra metà, degli stupidi.
Si è scoperto che la tendenza a essere attratti da circostanze che sono a noi associate è presente
anche in altri importanti settori della vita, fra cui il posto in cui decidiamo di vivere. Per citare solo
alcuni dati, Pelham e i suoi collaboratori hanno dimostrato che in percentuali esorbitanti:

• Le persone si trasferiscono in Stati che hanno nomi simili al proprio. Ad esempio, chi si chiama
Florence ha enormi probabilità di trasferirsi in Florida, e chi si chiama Louise ha enormi probabilità
di stabilirsi in Louisiana.
• Le persone si trasferiscono in città il cui nome contiene numeri che coincidono con la loro data di
nascita. Ad esempio città con il 2 nel nome come Two Harbors, in Minnesota, hanno una quantità
eccezionale di abitanti nati il 2 febbraio (02/02) mentre città nel cui nome compare il numero 3 come
Three Forks, nel Montana, hanno una quantità enorme di abitanti nati il 3 marzo (03/03).
• Le persone scelgono di vivere in strade il cui nome assomiglia al proprio. In altre parole, chi si
chiama Washington, è più probabile che scelga di vivere in Washington Street di chi si chiama
Jefferson.
• Le persone scelgono di sposarsi con chi ha nomi simili al proprio. A pari condizioni se Eric, Erica,
Charles e Charlotte s’incontrano, è più probabile che Erica s’innamori di Eric che non di Charles, e
che lo stesso succeda a Charlotte.
• Quando si chiede alle persone di seguire – in quanto consumatori – i loro impulsi e intuizioni, in
genere danno la preferenza a prodotti o servizi la cui prima lettera corrisponde a quella del proprio
nome. Perciò chi si chiama Arielle, è più probabile che opti per la cioccolateria Aero di chi si
chiama Larry, che probabilmente preferirà il Lion Bar.

Alle società che devono dare il nome a nuovi prodotti destinati al mercato di massa, questa ricerca
può suggerire solo che dovrebbero evitare appellativi che iniziano con lettere poco comuni come Z,
X e Q; ma se state progettando un programma, un’iniziativa o un prodotto, destinato a un cliente
specifico, avete la prerogativa di usare – nel nome che scegliete – il potere dell’attrazione naturale
delle persone verso elementi che ricordano loro qualcosa di sé. In particolare, dovreste fare
riferimento al nome del cliente stesso o anche solo alla prima lettera del suo nome. Ad esempio se
state prendendo in considerazione di promuovere una strategia per la Pepsi, chiamandola Pepsi
Proposal (proposta per la Pepsi) o anche Peterson Plan (progetto Peterson) la rendereste ugualmente
efficace. E se il programma è veramente personalizzato, la strategia sarà non solo vincente ma anche
a costo zero.
Analogamente, se vostro figlio è riluttante verso la lettura, un libro che abbia qualcosa in comune
con il suo nome (ad esempio, Harry Potter per Harold e Harriet) potrebbe essere la chiave per
coinvolgerlo. O anche, se il piccolo Craig o la piccola Crystal sono spaventati a morte all’idea di
andare dal dentista, potete sempre consultare le Pagine gialle per verificare se c’è qualche dentista
che si chiama Crentist...
34 Quali gratifiche può darci chi le riceve per mestiere?

Dai pranzi d’affari con i clienti alle esperienze più coinvolgenti con i nostri amici e famigliari, i
ristoranti ricoprono un ruolo vitale nel successo della nostra vita personale e professionale. Anche se
non c’è molto da guadagnare interagendo con i nostri convitati in simili situazioni, da una seduta al
ristorante possiamo riceve preziose gratifiche da parte di un gruppo diverso di persone, che sperano
d’intascarne per tutto il giorno ma alle quali si chiede raramente di dispensarne.
Questo gruppo è costituito dai camerieri, che possono insegnarci moltissimo su come essere più
convincenti. Ad esempio, molti camerieri hanno verificato che ricevono mance più sostanziose
quando ripetono gli ordini dei clienti esattamente come li hanno chiesti. Molti di noi, infatti, hanno
già avuto esperienza di camerieri che annotano quello che ordiniamo e dicono passivamente «ok» o,
peggio ancora, non si ricordano nemmeno delle nostre ordinazioni e non c’è forse da sorprendersi se
preferiamo il servizio di chi non ci lascia a chiederci se il cheeseburger che abbiamo ordinato
arriverà al nostro tavolo trasformato in un sandwich di pollo.
Una ricerca di Rick van Baaren ha sottoposto a verifica l’idea secondo la quale i camerieri che
verbalizzano le ordinazioni dei clienti dopo averle ricevute vedono aumentare la dimensione delle
mance; non parafrasando, non assentendo, non dicendo solo «ok», ma ripetendo parola per parola
l’ordinazione del cliente. In uno studio, si è riscontrato che con il solo uso di questo espediente, i
camerieri di un ristorante hanno visto aumentare le mance di quasi il 70%.
Perché riflettendo l’immagine dell’altro, se ne sollecita una reazione così generosa? Forse
dipende dalla nostra naturale inclinazione a preferire le persone simili a noi. Infatti, i ricercatori
Tanya Chartrand e John Bargh sostengono che andando incontro ai comportamenti altrui, si creano
sentimenti di simpatia e si rafforzano i legami col prossimo. In un esperimento, i ricercatori hanno
creato una serie di situazioni in cui due persone erano protagoniste di una breve interazione; uno dei
partecipanti, tuttavia, era un assistente alla ricerca. Nella metà dei casi, l’assistente rifletteva la
postura e i comportamenti dell’altro; ossia, se il partecipante sedeva con le braccia incrociate e
batteva un piede, l’assistente sedeva con le braccia incrociate e batteva un piede. Nell’altra metà dei
casi, l’assistente non imitava il comportamento dell’altro.
I ricercatori hanno riscontrato che i partecipanti che erano stati imitati avevano più simpatia per
l’assistente e pensavano che l’interazione fosse stata più gradevole di quanto non pensassero i
partecipanti il cui comportamento non era stato imitato. Analogamente, i camerieri che ripetono le
ordinazioni dei clienti, probabilmente raccolgono più mance a causa del principio di piacere,
secondo cui vogliamo offrire cose buone e dire di «sì» alle persone che ci piacciono.
Di recente, il ricercatore William Maddux e i suoi collaboratori hanno condotto una serie di
esperimenti per esaminare questi meccanismi in un settore diverso, quello della contrattazione.
Hanno ipotizzato che, adottando un comportamento a specchio durante le trattative, si potrebbero
produrre esiti migliori non solo per la persona che imita il comportamento dell’altro, ma per
entrambe le parti. Ad esempio in un esperimento con gli studenti dell’MBA, a una prima metà è stata
data l’indicazione di rispecchiare il comportamento del partner (ad esempio, appoggiandosi allo
schienale della sedia se l’altro lo avesse fatto) durante una trattativa, e a una seconda metà di non
farlo. Nella prima situazione, le parti contendenti hanno raggiunto un accordo nel 67% dei casi; nella
seconda, in un misero 12,5%. In base a ulteriori dati sull’esperimento, i ricercatori hanno concluso
che il comportamento a specchio porta ad accrescere la fiducia, con il risultato di mettere l’altro
negoziatore a proprio agio e a rivelare dettagli che sono in definitiva necessari a infrangere i
momenti di stallo e creare una situazione vantaggiosa per entrambe le parti.
Forse vi è già capitato di trovarvi a colloquio con un membro del vostro gruppo di lavoro o a una
trattativa con qualche avversario e di notare che la vostra postura stava rispecchiando quella
dell’altro; una reazione tipica in tali circostanze è cambiare postura, ossia vi comportate come se in
questo atteggiamento ci fosse qualcosa di sbagliato. La ricerca sostiene l’esatto opposto: l’imitazione
della postura dell’altro dovrebbe provocare risultati migliori per entrambi, o comunque il beneficio
per voi non sarà a discapito dell’altro.
Ci sono altre applicazioni di questo metodo. Ad esempio se lavorate nel settore delle vendite,
potete coltivare rapporti migliori con la clientela ripetendone anzitutto le parole, anche se
l’espressione verbale del cliente è costituita da una domanda, lamentela o ordinazione (ad esempio:
«Dunque, mi sta dicendo che adesso vuole acquistare dieci pezzi con la possibilità di aumentare
l’ordine a venti pezzi in maggio»).
La prospettiva aperta da questa ricerca è stata confermata in modo non molto auspicabile quando
di recente a uno di noi è stato chiesto di esaminare la registrazione di una serie di conversazioni
telefoniche intercorse presso un servizio clienti: una persona piuttosto arrabbiata ha chiamato e
chiesto di parlare con un responsabile perché la società non aveva mantenuto una particolare
promessa.
«Mi dispiace, lei è fuori di sé», è stata la risposta dell’operatore.
«Non sono fuori di me, sono arrabbiata», ha replicato la cliente, alzando in crescendo la voce.
«Sì, capisco che è turbata.»
«Turbata? Turbata? Non sono turbata, sono arrabbiata», ha urlato la cliente.
Rapidamente la conversazione si è avvitata in uno scontro in cui la cliente s’irritava sempre di più
davanti alla riluttanza dell’operatore a riconoscere che era arrabbiata. La semplice ripetizione delle
parole della cliente avrebbe portato a un esito diverso. «Mi dispiace sentire che è arrabbiata. Che
cosa possiamo fare per risolvere insieme la situazione?» sarebbe stata una risposta migliore e
ognuno di noi potrebbe adottarla con benefici effetti nel caso in cui cerchiamo di costruire rapporti e
relazioni migliori.
La morale di questa storia? Possiamo imparare molto su come influenzare gli altri osservando
come i camerieri interagiscono con i clienti. Si sa che l’imitazione è la forma più elevata di
adulazione, ma queste strategie indicano che l’imitazione è anche una forma fondamentale di
persuasione.
35 Quale sorriso viene ricambiato?

«Non aprite un negozio a meno che non vi piaccia sorridere», avverte un proverbio cinese semplice
ma istruttivo. Abbiamo tutti sentito parlare dell’importanza di servire gli altri con un sorriso, ma i
sorrisi sono tutti uguali? Può il modo con cui si sorride avere un effetto positivo sul prossimo?
La sociologa Alicia Grandey e i suoi collaboratori si sono chiesti se tutti i tipi di sorriso sono
ugualmente efficaci per quanto riguarda la soddisfazione dei clienti. In base a una ricerca precedente
che dimostrava che le persone spesso sono in grado di distinguere fra sorrisi autentici e non autentici,
il gruppo di ricercatori ha ipotizzato che l’autenticità del sorriso degli operatori dei servizi clienti
possa avere un’influenza sulla soddisfazione del cliente anche se la differenza fra i due tipi di sorriso
è molto sottile.
In uno studio teso a verificare questa possibilità, i ricercatori hanno reclutato dei partecipanti
perché guardassero vari video di una conversazione fra un’impiegata alla reception di un hotel e un
ospite che si stava registrando; ai partecipanti è stato chiesto di dire quanto si sarebbero sentiti
soddisfatti dell’interazione se fossero stati nei panni del cliente. All’insaputa dei partecipanti, i
video erano stati prodotti dai ricercatori che avevano assunto degli attori per interpretare sia il ruolo
dell’impiegata sia quello del cliente. Anche se il copione degli attori rimaneva uguale, i ricercatori
avevano variato le istruzioni date all’attrice che interpretava il ruolo d’impiegata: in un caso,
chiedendole di generare sentimenti positivi nell’ospite e di pensare il modo in cui poteva farlo
sentire a proprio agio, la situazione di sorriso autentico; nell’altro caso, chiedendole di sorridere in
modo forzato durante l’interazione, la situazione di sorriso non autentico. I ricercatori avevano
apportato variazioni anche sul modo in cui l’impiegata svolgeva il proprio compito, con sollecitudine
oppure con svogliatezza. Come primo risultato, gli osservatori hanno ovviamente registrato una
maggiore soddisfazione quando la receptionist ha svolto con sollecitudine il suo compito di quando
l’ha svolto con svogliatezza; come secondo risultato, che quando il compito è stato portato avanti
svogliatamente, l’autenticità del sorriso non aveva molta influenza sul grado di soddisfazione del
cliente. Quando il compito veniva svolto con sollecitudine tuttavia, i partecipanti che hanno guardato
il video che mostrava il «sorriso autentico» hanno espresso maggiore soddisfazione verso il servizio
clienti di quelli che hanno guardato il video che mostrava il «sorriso poco autentico».
In un altro studio, che si è svolto in un ambiente più naturale, i ricercatori hanno intervistato a
caso dei titolari di ristoranti su quanto fossero soddisfatti del servizio dei camerieri; ai titolari è stato
chiesto anche di valutare il grado di autenticità che percepivano da parte dei camerieri nei loro
confronti. Coerentemente con i risultati dello studio precedente, i titolari che percepivano che le
manifestazioni positive dei camerieri nei loro confronti erano autentiche, erano più soddisfatti del
loro servizio.
I risultati di questa ricerca suggerisce una revisione del vecchio adagio che dice «sorridi e il
mondo ti sorriderà». Se il vostro sorriso è falso, è probabile che quelli con cui vi relazionate
aggrottino, in risposta, la fronte. Perciò come possiamo avere, e incoraggiare gli altri ad avere,
esperienze positive più autentiche?
Una possibilità per i dirigenti delle società di servizi è organizzare a sostegno dei lavoratori
training tesi a esercitare le capacità di gestione delle emozioni per aiutarli a regolare e migliorare il
proprio umore; infatti se degli operatori infelici sono costretti a sorridere, produrranno interazioni di
scarsa qualità che in definitiva porteranno a ridurre la soddisfazione dei clienti. Ma questo tipo di
training emotivo spesso richiede molto tempo e denaro.
Un secondo, più generale approccio che possiamo adottare tutti è quello che ci suggeriscono le
sagge parole di Benjamin Franklin: «Cerca negli altri le loro virtù». Molti di noi sprecano troppo
tempo a cercare i difetti negli individui con cui si relazionano; se, invece, cercassimo in loro quello
che ci piace, naturalmente ci piacerebbero di più e, di conseguenza, anche noi piaceremmo di più a
loro. In breve, ne resteremmo tutti soddisfatti. Questo approccio può rivelarsi fruttuoso anche nei
confronti dei nostri superiori. Ad esempio, uno di noi ha un’amica che aveva gravi difficoltà con il
suo capo e per questo si vedevano molto raramente a quattr’occhi ma, soprattutto, non le piaceva
proprio come persona. Un giorno tuttavia, decise che avrebbe seguito il consiglio di Franklin; anche
se il suo responsabile non era una persona piacevole in ambito lavorativo, aveva il merito d’essere
molto devoto alla famiglia, un lato del suo carattere che lei ammirava genuinamente. Tenendo sempre
in considerazione questa qualità, un po’ alla volta ha cominciato ad apprezzarlo e un giorno gli ha
detto, in tutta onestà, che provava una vera ammirazione per la sua deferenza verso la famiglia. Con
sua grande sorpresa, il giorno dopo lui è andato a trovarla in ufficio per darle alcune anticipazioni
che le sono state molto utili, un’iniziativa che la nostra amica era sicura che il suo capo non avrebbe
mai preso prima.
36 Che cosa si può imparare dall’incetta dei tovagliolini
da tè?

Immediatamente dopo l’annuncio della morte di Giovanni Paolo II la sera del 2 aprile del 2005,
accadde qualcosa di strano. Senza nessuna spiegazione apparente, orde di persone incominciarono a
entrare nei negozi di souvenir per comprare qualsiasi tipo di oggetto commemorativo, come tazzine
di caffè e cucchiaini d’argento. Ora, un simile comportamento sarebbe immediatamente spiegabile se
le persone avessero colto l’opportunità di comprare qualche ninnolo che raffigurasse il viso di
Giovanni Paolo II per avere un ricordo che commemorasse il suo pontificato nella Chiesa cattolica;
ma quei souvenir non raffiguravano affatto il papa appena deceduto. In realtà, tale corsa sfrenata non
avvenne nella Città del Vaticano o a Roma e nemmeno in Italia, se è per questo; avvenne lontano più
di mille miglia, ma non ci sono dubbi sull’influenza che la morte del papa ebbe sullo strano
comportamento di acquisto.
Spesso accreditato come una forza decisiva nel processo che ha portato alla caduta del
comunismo, Giovanni Paolo II ebbe anche un’influenza significativa su tutta una serie di questioni,
dal consumismo all’aborto... ma che cosa c’entravano con lui le tazzine da caffè commemorative?
Non tazzine di caffè commemorative qualsiasi ma reali per essere precisi, che celebravano le nozze
di Carlo, principe di Galles, con Camilla Parker Bowles avvenute venerdì 8 aprile 2005 a Windsor.
Per la verità, non fu solo verso le tazzine da caffè che si scatenò l’incetta: servizi e tovagliolini da tè,
cucchiaini d’argento, tappetini per il mouse, portachiavi furono l’obiettivo di molti cacciatori di
souvenir. Che cosa provocò una corsa tanto sfrenata?
Lunedì 4 aprile 2005, la Città del Vaticano annunciò che i funerali di Giovanni Paolo II si
sarebbero svolti a Roma il venerdì successivo, lo stesso giorno in cui erano previste le nozze reali.
In segno di rispetto, e perché il principe di Galles potesse assistere alla cerimonia funebre, la
famiglia reale spostò in fretta e furia la data delle nozze che si sarebbero svolte così il giorno dopo i
funerali, sabato 9 aprile. Di conseguenza, tutti i negozi di souvenir di Windsor si ritrovarono con una
quantità esorbitante di oggetti commemorativi delle nozze contrassegnati con la data sbagliata.
Cogliendo la potenziale opportunità di guadagno finanziario, la gente cominciò a comprare tutti i
souvenir con la data sbagliata pensando invariabilmente che avrebbero potuto rivendere, in un
secondo momento, forse su eBay o a qualche collezionista, quelle che sarebbero presto diventate
merci rare.
I souvenir con la data sbagliata divennero dei moderni e mal stampati Penny Black;4 e a mano a
mano che si diffondeva la notizia della corsa all’acquisto, il numero di cacciatori di souvenir
aumentava in modo esponenziale. Presto i negozi ne rimasero privi. Alcuni giornalisti che si
trovavano già a Windsor per seguire le nozze regali, fermarono le persone mentre uscivano dai
negozi con le borse piene di souvenir per sapere se si considerassero appassionati cultori di quel
tipo di oggetti; con loro grande sorpresa, la maggior parte rispose di no. I cacciatori di souvenir non
erano spinti all’acquisto dal bisogno di tazzine da caffè o dalla qualità dei prodotti e nemmeno dal
loro legame con l’evento delle nozze; erano stati persuasi all’acquisto dal semplice fatto che erano
contrassegnati con una data sbagliata e di conseguenza avrebbero potuto avere un qualche valore in
futuro.
Durante le cinque decadi passate, gli studi scientifici sulla persuasione più volte hanno concluso
che gli oggetti rari e unici hanno per noi grande valore; li desideriamo di più quando apprendiamo
che sono rari, disponibili solo in quantità limitate e per un ridotto periodo di tempo. Nel caso dei
souvenir regali, si è probabilmente diffusa la convinzione che i proprietari dei negozi li avrebbero
gettati via a causa dell’errore di data. Paradossalmente allora, visto che il matrimonio del principe di
Galles non era uno degli eventi più popolari degli ultimi anni, un paio di giorni dopo, quando i
negozi si rifornirono dei nuovi souvenir, erano di più le persone in possesso dei souvenir con la data
sbagliata di quelli in possesso dei souvenir con la data corretta. I souvenir con la data sbagliata, che
si presumeva fossero rari, divennero invece più comuni e persero perciò valore.
Ci furono però degli acquirenti più accorti, che ritornarono nei negozi pochi giorni dopo e
comprarono i souvenir con la data corretta. Sapevano che alla luce della corsa precipitosa, sarebbe
stato l’insieme completo a costituire l’oggetto più raro; ad esempio, una tazza con la data sbagliata e
la copia con quella corretta.
Allora, che cosa ci dice questo episodio sulla capacità di persuasione? Se dirigete un’attività
commerciale, dovreste comunicare ai clienti le caratteristiche veramente rare e uniche dei vostri
prodotti e servizi. Evidenziando le qualità che hanno i vostri prodotti e che non hanno quelli della
concorrenza, potreste avvalervi di un efficace mezzo per indurre i clienti ad accettare la vostra
offerta e non quella degli avversari. Analogamente, potreste persuadere i colleghi a collaborare a un
vostro progetto o iniziativa, se li informate della sua unicità: «Non capita spesso l’opportunità di
essere coinvolti in una iniziativa simile»; anche per quanto riguarda i famigliari, è probabile che vi
apprezzino di più se gli dite che il vostro tempo e aiuto sono rari e limitati. Sottolineando
semplicemente e lealmente che i vostri prodotti e servizi – tempo e aiuto – sono limitati, conferite un
maggior valore alla vostra disponibilità e le persone l’apprezzeranno di più; e, in generale, siamo
più propensi a dire di sì a coloro che apprezziamo.
Una serie non indifferente di ricerche scientifiche evidenziano come la rarità abbia il potere
d’influenzare le nostre decisioni. Possiamo vedere il principio di rarità all’opera anche nella vita di
tutti i giorni. Negli ultimi anni, per esempio, lo «spirito delle feste» è diventato una rarità, con i
genitori che si contendono l’un l’altro, a Natale, le ultime console delle playstation ancora
disponibili nei negozi. E nel Regno Unito, la carenza di scorte di petrolio nell’estate 2000 diede vita
a un comportamento desueto, con le persone che si precipitavano ad acquistare il carburante così
limitatamente disponibile. Per citare un altro esempio, immediatamente dopo l’annuncio della British
Airways, nel febbraio 2003, che da allora in poi la compagnia non avrebbe più fatto volare il
Concorde, le prenotazioni sull’aeroplano ebbero l’andamento opposto: «decollarono». E nell’ottobre
2003, la percezione di perdere per sempre qualcosa indusse molte migliaia di persone a fermare
l’automobile e a bloccare una delle principali autostrade inglesi solo per vedere l’ultimo decollo del
Concorde; un’immagine, bisogna sottolineare, che era stata visibile ogni giorno nei precedenti
trent’anni.
Tutti noi abbiamo sperimentato gli effetti psicologici del principio di rarità nella vita quotidiana.
C’è, tuttavia, un settore meno tangibile in cui opera sottilmente e potentemente il principio: quello
dell’informazione. Varie ricerche hanno dimostrato che l’informazione in esclusiva è considerata sia
più valida sia più incisiva. Ad esempio in uno studio condotto dal ricercatore Amram Knishinsky, i
compratori di carne di manzo all’ingrosso hanno più che raddoppiato gli ordini quando hanno saputo
che si prevedeva una carenza di carne bovina proveniente dall’Australia a causa delle condizioni del
tempo in quel Paese. È una chiara dimostrazione degli effetti della rarità delle merci in sé e per sé,
ma quando i grossisti hanno saputo che l’informazione veniva da una fonte riservata e non era
disponibile al grande pubblico (entrambe le notizie erano vere), la quantità di ordini è aumentata
addirittura del 600%!
Questi dati ci offrono chiare indicazioni teoriche e pratiche per rendere le vostre richieste più
persuasive, inducendo così un maggior numero di persone ad accettarle. Se comunicate delle
informazioni che sono unicamente in vostro possesso ma non ne sottolineate l’esclusività, quasi
certamente perdete un’ottima occasione di usare una tecnica d’influenza etica ed efficace.
37 Che cosa c’è da guadagnare dal senso di perdita?

Il 23 aprile 1985, la Coca-Cola prese una decisione che la rivista «Time» soprannominò in seguito
«il fiasco commerciale più clamoroso del decennio»: in risposta ai dati che dimostravano come la
maggior parte del pubblico preferisse il gusto più dolce della Pepsi, decise di togliere dal mercato la
formula tradizionale della Coca-Cola e di sostituirla con la più dolce «New Coke». Molti di noi
ricordano quel giorno. Secondo un servizio giornalistico di allora: «La Coca-Cola non ha previsto la
profonda frustrazione e rabbia che avrebbe provocato il suo gesto. Da Bangor a Burbank, da Detroit
a Dallas, decine di migliaia di amanti della Coca si sono sollevati come un sol uomo per attaccare il
gusto della nuova Coca e chiedere il ritorno della loro vecchia, cara Coca-Cola».
Forse l’esempio più estremo di questa combinazione di senso d’offesa e desiderio ce l’offre la
storia di un investitore in pensione di Seattle, Gay Mullins, che divenne una specie di celebrità
nazionale fondando una società chiamata Old Cola Drinkers of America (Vecchi bevitori americani
di Coca-Cola). Era un gruppo di persone che – con l’ausilio di tutti i mezzi civili, giudiziari o
legislativi disponibili – lavorò senza risparmiarsi per riportare sul mercato la vecchia formula della
bevanda. Ad esempio, Mullins istituì una linea telefonica attraverso la quale i cittadini potevano dare
sfogo alla loro rabbia e comunicare i propri sentimenti e che registrò più di 60.000 telefonate;
distribuì bottoni e T-shirt anti New Coke a migliaia e cercò anche d’intentare una causa di class
action contro la Coca-Cola, che fu rapidamente respinta da un giudice federale. Quello che è più
sorprendente del comportamento di Mullins è che non gli importava che in un test anonimo, o aveva
preferito il gusto della New Coke o non era riuscito a distinguerlo da quello della Coca-Cola.
Bisogna osservare che quel che piaceva di più a Mullins valeva di meno ai suoi occhi di ciò che
sentiva di avere perso. Ritorneremo su questo concetto più avanti. Nel frattempo tuttavia, vale la
pena di notare che anche dopo essere venuti incontro alla richiesta dei clienti e aver riportato sugli
scaffali dei negozi la Coca originale, i dirigenti della società rimasero irritati e un po’ perplessi di
fronte agli eventi che li avevano coinvolti. Come disse Donald Keough, l’allora presidente della
Coca-Cola, a proposito dell’ostinata lealtà alla formula originaria: «È un sorprendente mistero
americano, un amabile enigma dell’America, e non lo si può misurare più di quanto non si possa
misurare l’amore, l’orgoglio o il patriottismo».
Non siamo d’accordo. Prima di tutto, non è un mistero se si capisce la psicologia del principio di
rarità e in particolare come sia legata alla sensibilità del pubblico verso la perdita di qualcosa che
ha già, soprattutto nel caso di un prodotto così radicato nella storia e nelle tradizioni quale è sempre
stata la Coca-Cola in tutto il mondo.
In secondo luogo, questa propensione naturale da parte dei bevitori di Coca-Cola non solo può
essere misurata, ma pensiamo che la Coca-Cola l’abbia effettivamente misurata nelle sue ricerche di
mercato, altroché; e queste misurazioni erano proprio di fronte ai suoi dirigenti prima che
prendessero la disgraziata decisione di cambiare, senza affiancare a questi dati quelli relativi ai
fattori d’influenza sociale.
I dirigenti della Coca-Cola non badano a spese quando si tratta di ricerche di mercato; investono
milioni di dollari per garantirsi analisi corrette del mercato e decidere se sia pronto ad accogliere
nuovi prodotti. Prima di optare per la New Coke, dal 1981 al 1984 avevano testato la nuova e la
vecchia formula su quasi 200.000 persone in 25 città; nei loro test sul gusto, la maggior parte dei
quali erano blind test, ovvero test in cui i prodotti venivano presentati in forma anonima, avevano
riscontrato una chiara preferenza, del 55% contro il 45%, per la nuova Cola. Alcuni dei test, tuttavia,
non erano stati condotti con campioni senza marchio e in questi casi, ai partecipanti era stato detto
preliminarmente quale fosse la vecchia e quale la nuova Cola; in tali condizioni, la preferenza per la
nuova Cola era ulteriormente cresciuta del 6%.
Come si spiega allora che il pubblico espresse una chiara preferenza per la vecchia Cola quando
la compagnia si decise a introdurre sul mercato il nuovo prodotto? Lo si può spiegare solo
applicando al complicato rompicapo il principio di rarità: durante i test sul gusto, era la nuova Cola
a non essere disponibile sul mercato e perciò, quando i partecipanti seppero quale campione
corrispondesse a che cosa, mostrarono una particolare e decisa preferenza per ciò che altrimenti non
avrebbero potuto avere; ma in seguito, quando la società sostituì la ricetta tradizionale con quella
nuova, fu la vecchia Cola che il pubblico non poteva più comprare e così divenne il prodotto
preferito.
Perciò, una crescita del 6% nelle preferenze per la nuova Cola era coerente nelle ricerche di
mercato quando i dirigenti della società esaminarono la differenza fra i risultati dei blind test e quelli
in cui il prodotto era identificabile. Il problema è che li interpretarono scorrettamente. È probabile
che si dissero: «Bene, significa che quando le persone sanno che stanno provando qualcosa di nuovo,
il loro desiderio di averlo cresce». E invece quell’incremento del 6% significava che quando le
persone sanno che cosa non possono avere, il desiderio di averlo aumenta.
Elemento anche più potente della semplice indisponibilità di un prodotto, la rimozione della Cola
originaria dal mercato significò che i consumatori quotidiani di Coca-Cola perdevano un bene al cui
accesso erano abituati regolarmente; e la tendenza a essere più sensibili alle possibili perdite che
non ai possibili guadagni è uno dei dati più dimostrati dalle scienze sociali. I comportamentisti
Daniel Kahneman e Amos Tversky sono stati i primi a testare e documentare la nozione di
«avversione per la perdita». Ciò può spiegare gran parte dei comportamenti umani in settori come la
finanza, i processi decisionali, le trattative e la persuasione.
Ad esempio, l’avversione per la perdita motiva spesso gli investitori inesperti a vendere
prematuramente le azioni in rialzo poiché non vogliono perdere quello che hanno già guadagnato.
Analogamente, il desiderio di evitare qualsiasi perdita potenziale spinge gli stessi investitori a non
vendere le azioni il cui valore si è abbassato dalla data di acquisto. Poiché vendere le azioni a quel
punto vorrebbe dire ammettere formalmente e irrevocabilmente che l’investimento è in perdita, molti
investitori sono riluttanti a farlo; una decisione che spesso li porta a ulteriori perdite a causa del
progressivo calo del prezzo delle azioni.
L’avversione per la perdita è importante anche dal punto di vista del marketing. Generalmente
parlando, gli operatori del marketing e della pubblicità concentrano gli sforzi su come comunicare i
benefici del loro prodotto per i potenziali consumatori; impostano perciò il messaggio in termini di
guadagno che i potenziali clienti possono ricevere dal prodotto. In questi casi, tuttavia, è possibile
che sprechino l’opportunità di comunicare messaggi molto più persuasivi su quello che il pubblico
rischia di perdere. Invece di usare una formula quale «cogli l’opportunità di provare la nostra nuova
linea di prodotti con il 20% di sconto», forse sarebbe più convincente usarne una del tipo «non
perdere l’opportunità di provare la nostra nuova linea di prodotti con il 20% di sconto». In
quest’ultimo esempio, si sottolinea al pubblico dei consumatori che a causa della disponibilità
dell’offerta relativamente scarsa (ad esempio, solo per un periodo di tempo limitato), rischiano di
perdere l’opportunità di acquistare il prodotto con lo sconto corrente.
Allo stesso modo, se desiderate convincere i colleghi a lavorare con voi su un particolare
progetto, è importante sottolineare non solo quello che possono guadagnare in termini di opportunità
ed esperienza ma anche quello che rischiano di perdere. Infatti, la ricerca condotta dalla sociologa
Marjorie Shelley ha dimostrato che le perdite potenziali pesano molto di più sulle decisioni dei
manager di quando gli stessi elementi vengono presentati come potenziali guadagni. Ad esempio nel
caso aveste un’idea che, qualora adottata, produrrebbe un risparmio di 100.000 sterline all’anno per
il vostro reparto, sareste probabilmente più convincenti se invece di presentare l’idea come
produttrice di un possibile risparmio, la inquadraste in termini di perdita della stessa cifra nel caso
in cui venisse scartata.
La nozione di perdita è convincente anche in relazione ai messaggi che riceviamo. Quando si sono
presentati come rappresentanti di una società di servizi locale, alcuni ricercatori della University of
California hanno riscontrato che i proprietari di case cui veniva detto che avrebbero continuato a
perdere in media 50 centesimi al giorno, erano fino al 300% più propensi a fare miglioramenti per il
risparmio di energia nei loro appartamenti di coloro ai quali veniva detto che avrebbero risparmiato
50 centesimi al giorno. Bisogna osservare che in quest’esempio non c’è differenza economica nei
messaggi; i 50 centesimi restano in entrambi ma, psicologicamente, il messaggio nel contesto della
perdita ha triplicato il potere di persuasione.
È anche essenziale ricordare che si corre il rischio d’essere indebitamente influenzati da questa
strategia. Ad esempio, alcuni negoziatori subdoli – o anche i venditori di automobili – aspettano
proprio fino ad appena prima che un accordo appaia a portata di mano per lanciarsi in
un’inaccettabile richiesta del tipo «prendere o lasciare» sapendo molto bene che la controparte è
riluttante a mollare tutto; infatti, significherebbe aver perso un sacco di tempo, sforzi e opportunità
(chiamati anche «costi sommersi»), per niente. Se credete che un venditore stia manipolando così la
vostra avversione per la perdita, dovreste ribaltare il gioco in modo che sia lui a temere la perdita.
38 Quale parola ha il potere di rafforzare i vostri tentativi
di persuasione?

Tratto dal famoso romanzo per bambini di L. Frank Baum, il filmIl mago di Oz del 1939 resta ancor
oggi uno dei più tradizionalmente preferiti dalle famiglie. Molti di noi conoscono bene le
vicissitudini di Dorothy e dei suoi amici – lo Spaventapasseri, l’Uomo di latta e il Leone – durante il
loro avventuroso viaggio lungo il Sentiero di mattoni gialli. Chiaramente, il mago di Oz era riuscito a
convincerli di essere benevolo e potente; ma che cosa può dirci il ritornello che i quattro viaggiatori
cantano lungo la via – «Perché, perché, perché, perché, perché! Perché fa cose meravigliose» – su
come possiamo convincere con successo gli altri a seguire la strada che abbiamo lastricato per loro?
Pensiamo alle code. In banca, al supermercato o al parco dei divertimenti, è possibile che fare la
coda non corrisponda esattamente alla vostra idea di divertimento; considerando la motivazione
quasi universale di arrivare in testa alla fila il più presto possibile, in quali circostanze fareste
passare avanti un altro? Un tema centrale di questo libro è che piccoli cambiamenti nel modo di
formulare le richieste possano spesso portare a risultati sorprendenti. Ma è possibile che una sola
parola di chi chiede sia in grado di accrescere le probabilità che diciate «ok, vada pure avanti»?
Sì, e la parola è poiché ed espressioni correlate. La comportamentista Ellen Langer e
collaboratori hanno deciso di sottoporre a verifica il potere persuasivo di questa parola. La studiosa
ha costruito una situazione in cui un estraneo si avvicina a qualcuno che sta facendo la fila davanti a
una fotocopiatrice e semplicemente gli chiede: «Mi scusi, ho solo 5 pagine; posso usare la Xerox
prima di lei?» Di fronte a questa domanda diretta, il 60% delle persone accettano di cedere il passo
all’estraneo. Quando però l’estraneo accompagna la richiesta con una ragione («Posso usare la
Xerox prima di lei, dato che ho fretta?»), quasi tutti (il 94%) accettano. Quest’impennata può non
essere così sorprendente; in fin dei conti, fornire una ragione valida giustifica la richiesta di passare
avanti.
A questo punto la ricerca diventa veramente interessante: la Langer ha testato un’ulteriore
versione della richiesta. Questa volta, l’estraneo ha ancora usato l’espressione dato che, ma l’ha
fatta seguire da una ragione completamente senza senso. In particolare, l’estraneo ha detto: «Posso
usare la Xerox prima di lei, dato che devo fare delle fotocopie?» Dato che deve fare delle
fotocopie? Naturalmente, la fotocopiatrice serve a fare fotocopie, non la si usa per temperare le
matite, no? Malgrado la vanità tautologica della «ragione» addotta dall’estraneo, ha generato quasi la
stessa percentuale di accettazione di quando la ragione era assolutamente legittima (il 93%).
Lo studio sulla Xerox dimostra che l’unica influenza motivazionale risiede nell’espressione dato
che, che trae il suo potere di persuasione dall’associazione continuamente rinforzata nel corso della
nostra vita di dato che e i buoni motivi che in genere seguono l’espressione (ad esempio «... dato che
mi sarebbe utile ottenere quella promozione», «... dato che non ho più tempo», «... dato che la
squadra nazionale inglese ha i migliori battitori del mondo»).
Naturalmente come per la maggior parte delle cose, il potere di dato che ha i suoi limiti. Nello
studio sulla Xerox, l’assenso era altrettanto elevato indipendentemente dalla scarsa consequenzialità
del dato che; ma in quei casi, la richiesta era limitata e il richiedente voleva solo fare 5 fotocopie.
Per verificare che cosa sarebbe successo nel caso di un favore più grande, la Langer ha introdotto un
altro insieme di condizioni sperimentali. Il richiedente diceva al gruppo dei partecipanti che aveva
bisogno di fare 20 fotocopie; chiunque abbia mai usato una fotocopiatrice, sa che per ogni pagina che
si aggiunge, le possibilità che la macchina s’inceppi salgono in maniera esponenziale. In altre parole,
la risposta dei partecipanti a questa richiesta avrebbe avuto un impatto più grande su di loro della
risposta alla richiesta precedente.
Questa volta, quando l’estraneo ha rivolto la sua richiesta senza aggiungere dato che, solo il 24%
ha accettato. Ma che cosa è successo quando è stata addotta una ragione senza senso, quando ai
partecipanti è stato detto: «... dato che devo fare delle fotocopie?» La frase non ha provocato nessuna
crescita nella percentuale delle accettazioni. Quando la richiesta più impegnativa è stata formulata
per una buona ragione, tuttavia («... dato che ho fretta»), le risposte positive sono raddoppiate. Nel
complesso, i risultati di questa ricerca indicano che quando la posta in gioco è bassa, si tende a
decidere più rapidamente come comportarsi piuttosto che riflettere sulla questione; d’altro canto
quando la posta in gioco è più alta, si valuta il peso delle ragioni del richiedente per decidere come
rispondere.
Tali risultati servono a ricordarci di accompagnare sempre le nostre richieste con forti
motivazioni anche quando pensiamo che le ragioni dovrebbero essere assolutamente chiare. Ad
esempio, quando a un cliente si chiede un appuntamento o a un collaboratore di cooperare a qualche
nuovo progetto, bisogna sempre spiegarne il perché. Può sembrare ovvio, ma troppo spesso
supponiamo erroneamente che gli altri capiscano le ragioni che motivano le nostre richieste.
È probabile che questa strategia sia remunerativa anche in casa propria. Invece di chiedere ai figli
di «venire a tavola subito» o «andare a letto immediatamente», una strategia più efficace può essere
quella di fornire una ragione alla vostra richiesta e non soltanto «dato che te lo dico io!»
È importante osservare che l’espressione dato che funziona su un doppio binario e dovreste anche
cercare sempre di ottenere che gli altri dicano a voi dato che. Ad esempio, supponiamo che lavoriate
per una società d’informatica; i clienti di lunga data sono probabilmente abituati a rivolgersi alla
vostra società ma con il passare degli anni, le ragioni per restare fedeli all’azienda possono
diventare meno cogenti o, peggio, venire completamente dimenticate. Di conseguenza, la vostra
azienda rischia d’essere vulnerabile davanti alla concorrenza. Un modo efficace per rafforzare i
legami d’affari e la fiducia dei clienti nella vostra impresa, è indurre in chi prende le decisioni nella
ditta dei clienti buone ragioni per continuare a rivolgersi alla vostra. Ad esempio, attraverso
questionari di feedback in cui si chiede ai clienti di spiegare le ragioni per le quali gradiscono avere
rapporti d’affari con la vostra società. Una ricerca condotta da Gregory Maio e dai suoi collaboratori
indica che questo procedimento rafforza l’impegno dei clienti verso le società cui si rivolgono
ricordandogli che la continuità della relazione ha ragioni che vanno al di là della semplice abitudine.
In altre parole, convincete le persone a dirvi il perché e come Dorothy e i suoi compagni di viaggio,
anche loro finiranno col cantare le vostre lodi.
39 Quando chiedendo tutte le ragioni si cade in errore?

«Primo, non nuocere.» Anche se il giuramento d’Ippocrate riguarda anzitutto e soprattutto il dovere
dei medici verso i loro pazienti, sicuramente si addice anche al dovere dei pubblicitari verso i
prodotti che cercano di vendere; come minimo, non dovrebbero nuocere ai beni e servizi che cercano
di vendere. Ma come può succedere che un copywriter in buona fede spinga invece i clienti verso la
concorrenza?
Nel capitolo precedente, abbiamo visto che generare nelle persone buone ragioni a favore di una
certa posizione, può essere una strategia molto efficace per rafforzare la loro fiducia in quella
posizione. Se applichiamo questo pensiero agli annunci pubblicitari, allora sembra saggio
incoraggiare i consumatori a trovare tutte le ragioni possibili per usare i nostri prodotti e servizi.
Recenti ricerche mostrano, tuttavia, che in alcune circostanze questa strategia può rivelarsi
controproducente.
Immaginate di voler acquistare una nuova automobile di lusso e di aver ristretto la scelta fino a
optare o per la BMW o per la Mercedes. Aprite una rivista e vedete un annuncio pubblicitario che
dice così: «BMW o Mercedes? Ci sono molte ragioni per scegliere una BMW: riuscite a trovarne
dieci?»
In uno studio condotto da Michaela Wänke e i suoi collaboratori, a un gruppo di studenti di
economia è stato mostrato un annuncio di questo tipo insieme a diversi altri annunci; a un altro
gruppo di studenti di economia della stessa università, è stato mostrato un annuncio un po’ diverso,
che diceva: «BMW o Mercedes? Ci sono molte ragioni per scegliere una BMW: riuscite a trovarne
una?» (Il corsivo è mio.)
In seguito, ai partecipanti è stato chiesto di esprimere la loro opinione su BMW e Mercedes e
anche quale fosse il loro interesse a comprare un domani un’automobile di queste marche. I risultati
sono stati chiari: l’annuncio che chiedeva ai lettori di citare dieci ragioni per scegliere una BMW, li
portava a valutare meno la BMW e di più la Mercedes dell’annuncio che chiedeva ai lettori di citare
un’unica ragione per scegliere la BMW.
Qual è il motivo di questo effetto boomerang? I ricercatori spiegano che i partecipanti alla ricerca
hanno fondato il proprio giudizio sulla BMW in base alla facilità di trovare le ragioni a sostegno
della marca; quando gli è stato chiesto di citare un’unica ragione, per i partecipanti è stato abbastanza
facile, ma di fronte a dieci ragioni, il compito era troppo difficile. Perciò invece di considerare il
numero delle ragioni da loro trovate come il miglior indicatore della valutazione, i partecipanti
hanno fondato il proprio giudizio sulla facilità o difficoltà del processo di individuazione delle
ragioni. Più in generale, gli psicologi chiamano la facilità o difficoltà di sperimentazione «fluidità»
dell’esperienza stessa, un concetto su cui ritorneremo.
I risultati di questo studio indicano che prima di chiedere al pubblico di trovare molteplici ragioni
a vostro sostegno, è importante tenere in considerazione quanto facilmente siano in grado di farlo; se
il compito sembra relativamente difficile, chiedete al pubblico di trovare poche ragioni. I risultati
suggeriscono anche una strategia un po’ paradossale: la possibilità, cioè, di mostrarvi più
competitivi chiedendo ai potenziali clienti di trovare molte ragioni a favore dell’offerta del vostro
rivale; più difficile sarà per loro individuarle, migliori sembreranno i vostri beni, servizi o
iniziative, a confronto.
Un’altra ricerca ha mostrato che anche soltanto la facilità, o difficoltà, d’immaginare di usare un
prodotto influenza le decisioni dei consumatori. La ricerca condotta dalla sociologa Petia Petrova ha
dimostrato che incoraggiando i consumatori a immaginare di godere i piaceri di un ristorante o di una
meta di vacanze, se ne accresce il desiderio di visitarli solo se gli è facile immaginarlo.
Queste considerazioni potrebbero esservi utili a valutare in quale misura il vostro prodotto, o più
generalmente la vostra richiesta di adottare un certo comportamento da parte dei potenziali clienti,
implichi per loro azioni nuove o estranee. Ad esempio, ipotizziamo che vogliate persuadere un
gruppo di consumatori a comprare un nuovissimo prodotto lanciato dalla vostra azienda; se ha
caratteristiche tecniche complicate con cui i consumatori hanno poca dimestichezza e non gli sono già
state spiegate, può essere difficile per loro immaginare di usare il prodotto ed è poco probabile che
lo scelgano.
Un settore per cui questi dati sono chiaramente importanti è la produzione pubblicitaria. Agli art
director viene spesso data carta bianca nella creazione di immagini che colpiscono lo sguardo o la
memoria, ma è possibile che creino immagini astratte e che tengono in scarsa considerazione la
capacità del pubblico di vedersi usare i prodotti pubblicizzati. La ricerca mostra che immagini
realistiche sono più efficaci di quelle astratte; inoltre, i processi decisionali in simili casi possono
essere migliorati attraverso una maggior collaborazione con i copywriter, sottoponendo prima a test
gli annunci su gruppi-campione specificamente mirati alla comprensione di come sia facile o difficile
per un pubblico immaginarsi nelle situazioni rappresentate.
40 Come può la semplicità di un nome conferirgli
maggior valore?

Quando un giorno gli hanno posto la complessa questione sul prossimo andamento del mercato
azionario, dicono che J. P. Morgan abbia dato una risposta semplice: «Sarà fluttuante». Ma come può
il potere della semplicità – soprattutto del nome di prodotti, progetti o anche società – aiutarvi ad
amplificare la vostra influenza?
Secondo i sociologi Adam Alter e Daniel Oppenheimer, si tende ad avere più simpatia per le
parole e i nomi facili da pronunciare – parole e nomi con un alto grado di fluidità – che non per
quelli difficili da pronunciare. Gli studiosi sostengono che le persone hanno sentimenti più positivi
verso le società con nomi e sigle facili da leggere e pronunciare che non verso quelle con nomi e
sigle difficili. Come conseguenza psicologica di questa tendenza, più facile è il nome o la sigla di
una società, più sembrerà alto il suo valore, una percezione che porterà a un aumento delle sue
quotazioni.
Per verificare questa ipotesi in uno studio controllato, i sociologi hanno creato dei nomi fittizi di
titoli azionari sia di facile che di difficile pronuncia. Hanno poi detto ai partecipanti che
appartenevano ad aziende reali e gli hanno chiesto di valutare le performance future di ognuna. I
risultati sono stati chiari: non solo i partecipanti hanno previsto che le società con nomi ben
pronunciabili (ad esempio Slingerman, Vander, Tanley) avrebbero superato le altre (ad esempio
Sagxter, Frurio, Xagibdan), ma hanno anche previsto che il valore di borsa delle prime sarebbe
aumentato mentre quello delle seconde sarebbe crollato.
Per capire se la stessa circostanza si produce anche nella realtà, Alter e Oppenheimer hanno
scelto a caso 89 aziende le cui azioni erano quotate sulla borsa di New York e la cui pubblica offerta
era iniziata fra il 1990 e il 2004; poi hanno osservato la relazione fra la fluidità del nome della
società e le sue performance un giorno, una settimana, sei mesi e un anno dopo la pubblica offerta
iniziale. I ricercatori hanno riscontrato che se una persona avesse investito 1.000 dollari sulle dieci
società della lista con i nomi più semplici, l’investimento avrebbe superato le controparti nel gruppo
delle dieci società con i nomi più difficili in ognuno dei periodi di tempo designati, fino a una
differenza di 333 dollari esattamente un anno dopo la pubblica offerta iniziale. Oltretutto, in una
ricerca diversa gli autori hanno diviso più di 750 società elencate sul mercato azionario di New
York o sul mercato azionario americano secondo la pronunciabilità (ad esempio, KAR) o
impronunciabilità (ad esempio, RDO) della loro sigla che compariva sui display e hanno riscontrato
risultati simili.
Allora, vi stiamo forse consigliando di precipitarvi a scambiare le vostre azioni della Mxyzptlk
Holding Corp. con un pacchetto equivalente di Yahoo, di licenziare il vostro consulente finanziario o
di organizzare una vendita sotto casa per disfarvi dei vostri titoli spazzatura? Assolutamente no. Vi
stiamo, tuttavia, consigliando di non sottovalutare il potere della semplicità anche nel nome che date
alla vostra azienda, prodotto o iniziativa. Spesso si è così concentrati su aspetti apparentemente più
importanti del proprio progetto che si sorvola sull’informazione prioritaria che sarà veicolata al
pubblico, il nome del progetto in questione; infatti a parità di condizioni, più è facile da leggere e
pronunciare, più è probabile che i consumatori, i potenziali azionisti o altri operatori lo considerino
positivamente.
Nella stessa logica, i ricercatori hanno verificato che la forza persuasiva di un messaggio scritto a
mano è influenzata dalla qualità della calligrafia: peggiore è, meno persuasivo sarà il messaggio. Con
un processo mentale analogo a quelli descritti negli ultimi due capitoli, i lettori interpreteranno
erroneamente il senso di difficoltà che provano quando leggono un messaggio scritto con una brutta
calligrafia come difficoltà a credere al contenuto del messaggio. Almeno in superficie, a questo punto
s i presenta una soluzione semplice e accessibile a chi fra noi ha difficoltà di calligrafia: non
possiamo scrivere al computer i messaggi che vogliamo siano persuasivi? Sì, ma anche questo
consiglio va accompagnato da un’avvertenza: la ricerca ha dimostrato che le nostre argomentazioni
sono più persuasive se sono scritte con un carattere di facile lettura.
I risultati di questa ricerca hanno anche implicazioni più generali sui mezzi che si scelgono per
comunicare. Ad esempio, i comunicatori cercano di frequente di veicolare la loro erudizione
attraverso verbosi discorsi magniloquenti e ultrapedanti; in altre parole, cercano di sembrare
intelligenti usando lunghe parole non necessarie o un gergo tecnico eccessivo.5 Prendiamo in
considerazione la seguente comunicazione inviata da un manager al suo team, come riportato dal
«New York Post» nell’ottobre 2006: «Stiamo potenziando le nostre risorse e allacciando alleanze
strategiche per creare un grosso centro di conoscenze, con una struttura di servizi al cliente dotata di
tecnologie di marketing d’avanguardia per ottimizzare i sistemi umani».
Che? A occhio e croce, dovrebbe significare «Offriamo consulenze». La ricerca di recente ha
dimostrato che, usando un linguaggio eccessivamente complesso come questo, si può provocare la
reazione esattamente opposta a quella desiderata: dato che il pubblico ha difficoltà a interpretare il
linguaggio, il messaggio è considerato meno convincente e il suo autore è percepito come meno
intelligente.
Purtroppo, questo tipo di messaggi sono presenti troppo spesso ogni giorno nel mondo delle
comunicazioni aziendali, sanitarie, o nei saggi degli studiosi. Ad esempio, in un sondaggio svolto alla
Stanford University si è riscontrato che l’86,4% degli studenti intervistati hanno ammesso di aver
usato un linguaggio complicato nelle loro tesi per cercare di sembrare più esperti. Ancor più
sconcertanti, tuttavia, sono i risultati provenienti da un’impresa di consulenza del Regno Unito
secondo cui il 56% dei dipendenti pensa che i loro manager e responsabili non comunichino
chiaramente con loro e spesso usino un linguaggio incomprensibile che rende i messaggi confusi. Un
modo per evitare questi problemi è condividere questi messaggi per verificarne l’efficacia, prima
d’inviarli, chiedendo un feedback ai colleghi non direttamente coinvolti nel progetto.
41 Come può la rima spingere la vostra influenza in
cima?

«Dallo Stato del Michigan direttamente sul vostro piatto.» Quale società ha usato questo slogan e a
che cosa si riferiva? Era lo slogan scelto dalla Heinz Corporation per la pubblicità dei fagioli al
forno. Fondata nel 1869 da Henry John Heinz a Sharpsburg, in Pennsylvania, l’azienda cominciò
l’attività come fornitrice di condimenti per le drogherie locali distribuendo con carri trainati dai
cavalli prima rafano, poi sottaceti e poi ancora ketchup. Nel 1896, Heinz vide un avviso
pubblicitario che reclamizzava «21 stili di scarpe» e decise che i suoi prodotti non avevano stili ma
varietà, e anche se a quel punto aveva in produzione più di sessanta alimenti, adottò lo slogan che
vantava «57 varietà» perché gli piacevano il numero 5 e il numero 7. Così, era nata una nuova
campagna pubblicitaria. Lo slogan delle 57 varietà della Heinz è usato ancor oggi insieme a tutta
un’altra serie di famosi annunci pubblicitari della Heinz, fra cui quello in rima per i suoi fagioli al
forno.
Lanciato negli anni Sessanta, una versione inglese di questo spot televisivo mostrava una madre
che preparava la cena ai due figli, i quali inaspettatamente arrivavano a casa con un gruppo di amici
affamati solo per chiedere: «Mamma, possono rimanere a cena Sally, Robin, Jeffrey e Debbie, per
favore?» Dopo una breve ed esasperata occhiata, l’accogliente mamma andava alla credenza e tirava
fuori alcune scatole di fagioli al forno. Poi iniziava la canzoncina che faceva così: «Un milione di
casalinghe ogni giorno prendono una scatola di fagioli e dicono Beanz Meanz Heinz.6»
L’impatto di questi spot fu considerato talmente grande che la Heinz Corporation continuò ad
adottarli per oltre trent’anni. Infatti all’epoca in cui gli annunci comparivano sugli schermi televisivi
del Regno Unito, un numero significativo di persone fermate a caso per strada e a cui veniva chiesto
di finire la frase «un milione di casalinghe ogni giorno prendono una scatola di fagioli e dicono...»,
rispondevano senza esitazione: «Beanz Meanz Heinz».
Particolarmente affascinante di questo slogan pubblicitario, uno dei più famosi della Heinz, è che
non si preoccupa d’informare il consumatore di nessuna specifica caratteristica o beneficio del
prodotto ma si limita semplicemente a metterne il nome in rima. Fra tutte le potenziali strategie
pubblicitarie a disposizione, perché la Heinz ha scelto di creare un messaggio in rima? Forse perché
gli annunci pubblicitari in rima sono più piacevoli, facili da memorizzare e da ripetere; ma potrebbe
anche essere perché le frasi in rima sono considerate più precise e veritiere?
Osservando la pervasività di proverbi in rima come Birds of a fethear flock together,7 i sociologi
Matthew McGlone e Jessica Tofighbakhsh hanno cercato di capire se le frasi in rima siano
considerate più autentiche di quelle che non lo sono. Per il loro studio, hanno scelto una serie di detti
in rima sconosciuti ai partecipanti alla ricerca e ne hanno creato versioni parallele ma non in rima.
Ad esempio, hanno preso il detto relativamente sconosciuto Caution and measure will win you
treasure [«Cautela e pacatezza ti varranno ricchezza»] e lo hanno modificato in Caution and
measure will win you riches [«Cautela e misura ti faranno ricco»]. Per citare un altro esempio, hanno
preso il detto What sobriety conceals, alcohol reveals [«Quel che la sobrietà cela, l’alcol lo
rivela»] e lo hanno cambiato in What sobriety conceals, alcohol unmasks [«Quel che la sobrietà
cela, l’alcol lo smaschera»].
I partecipanti hanno letto alcuni di questi detti e li hanno valutati uno per uno in relazione alla loro
capacità di rispecchiare effettivamente come va il mondo. I ricercatori hanno verificato che,
malgrado tutti i partecipanti fossero fermamente convinti che la rima non era affatto un indicatore di
veridicità, percepivano nei detti in rima maggiori analogie con la realtà che in quelli che non lo
erano.
I ricercatori hanno spiegato che le frasi in rima sono caratterizzate da una maggiore fluidità, il che
significa che vengono elaborate mentalmente con più facilità delle frasi non in rima. Dato che le
persone tendono a valutare, almeno parzialmente, la veridicità di un’affermazione in base alla fluidità
percepita delle informazioni veicolate, le frasi in rima sono giudicate più autentiche.
Questi risultati hanno molte applicazioni nella vita di tutti i giorni. Ad esempio e prima di tutto,
indicano che quando gli operatori di marketing e del mondo aziendale pensano a quali slogan, detti,
marchi commerciali e ritornelli pubblicitari ricorrere, dovrebbero essere tanto accorti da
considerare che l’uso della rima ha la prerogativa non solo di accrescere la piacevolezza del
messaggio, ma anche la sua credibilità. Forse è per questo che quando a un navigato pubblicitario
hanno chiesto che cosa una società dovrebbe dire sui propri prodotti quando non c’è più niente di
nuovo da dire, lui ha risposto: «Be’, se non si ha più niente da dire su un prodotto, penso che ci si
possa sempre fare una canzoncina».
In secondo luogo, i genitori dovrebbero essere così accorti da usare la rima a proprio vantaggio di
fronte a un compito comune e frustrante, quello di convincere i bambini ad andare a dormire. Dopo
aver trascorso qualche momento piacevole a leggere versi della buonanotte con loro, forse l’invito a
ripetere con voi una rima del tipo It’s off to bed for sleepy head [«È ora di andare a nanna, ognun
con la sua mamma»] può essere un metodo persuasivo.
Infine, il potere della rima è applicabile anche in contesti legali. Infatti, gli autori della ricerca
hanno citato una rima scellerata così influente da essere stata decisiva in una corte di giustizia.
Durante il processo per omicidio intentato contro O. J. Simpson, Johnnie Cochran, il suo avvocato
difensore, ha detto alla giuria: If the gloves don’t fit, you must acquit! [«Se non son suoi i guanti,
assolvetelo tutti quanti!»] Considerando la sottile influenza della rima, gli autori dello studio hanno
forse ragione a chiedersi quanto il verdetto sarebbe stato diverso se Cochran avesse invece
implorato: If the gloves don’t fit, you must find him not guilty! [«Se i guanti non sono suoi, dovete
dichiararlo non colpevole!»]
42 Che cosa può dirci sulla persuasione la battuta nel
baseball?

Gli sport sono un terreno d’allenamento potenzialmente utile per coloro che vogliono diventare più
persuasivi. Nel baseball, ad esempio, è abbastanza comune vedere i giocatori appesantire il bastone
con un anello prima di eseguire le battute di riscaldamento; secondo loro, esercitandosi a lungo con
un bastone appesantito, quello normale al confronto gli sembrerà leggero.
Il principio sotteso a questo effetto è conosciuto nelle scienze sociali come contrasto percettivo; in
parole povere, le caratteristiche degli oggetti non sono percepite in un vuoto ma in paragone con altri
oggetti. Ad esempio, qualora in palestra vi chiedano di sollevare 10 kg, vi sembreranno meno pesanti
se in precedenza avete sollevato un peso di 20 kg e più pesanti se in precedenza ne avete sollevato
uno di 5 kg; i 10 kg sono sempre 10 kg, ma la vostra percezione cambia. Questo meccanismo
psicologico non si limita al peso, ma vale per quasi tutti i tipi di giudizio. In ogni caso, il pattern è lo
stesso: l’esperienza precedente determina la percezione dell’esperienza successiva.
Gli studiosi di psicologia sociale Zakary Tormala e Richard Petty hanno recentemente applicato
tale principio per dimostrare che gli effetti di contrasto hanno la prerogativa d’influenzare la
persuasione e, in particolare, hanno esaminato come il giudizio sulla quantità di informazioni che le
persone pensano di avere su un argomento, possa essere influenzato dalla quantità di nozioni apprese
su qualcos’altro. I ricercatori hanno chiesto a un gruppo di persone di leggere un messaggio con
intenti persuasivi di un grande magazzino fittizio di nome Brown’s (il «messaggio target»), ma solo
dopo aver letto il messaggio con gli stessi intenti di un diverso grande magazzino fittizio di nome
Smith’s (il «messaggio precedente»). Il messaggio target era lo stesso per tutti i partecipanti:
descriveva tre reparti di Brown’s. I ricercatori hanno invece cambiato la quantità di informazioni che
conteneva il messaggio precedente su Smith’s da una quantità minima (su un reparto) a una massima
(su sei reparti). Hanno riscontrato che quando il messaggio precedente conteneva una gran quantità
d’informazioni, il messaggio target veniva considerato meno persuasivo e creava atteggiamenti meno
favorevoli verso il grande magazzino, mentre il contrario succedeva quando il messaggio precedente
conteneva informazioni molto scarse. Sembra che i partecipanti si siano sentiti più informati su
Brown’s dopo aver appreso relativamente poco su Smith’s e viceversa: è l’effetto del contrasto
percettivo in azione.
Per ampliare i loro risultati, i ricercatori hanno condotto uno studio simile; la sola differenza era
che, prima di ricevere il messaggio persuasivo su Brown’s, i partecipanti ricevevano poche o molte
informazioni persuasive su un’automobile (la Mini Cooper). I risultati sono stati coerenti con quelli
della prima ricerca, mostrando che non è nemmeno necessario che l’informazione precedente sia
omogenea con la successiva per esercitarvi un impatto.
Questa idea può essere applicata alle vendite. Immaginate che la vostra azienda venda una linea di
prodotti e che confidate che un particolare prodotto avrà un impatto migliore sulla vostra potenziale
clientela; dovreste allora dilungarvi a elogiarne i meriti dopo aver dedicato molto meno tempo alla
presentazione di un altro prodotto. Questa idea, come abbiamo già visto con i vini nel capitolo 7, si
applica anche ai prezzi.
È interessante notare che il contrasto percettivo ci offre uno strumento molto efficace di
persuasione. Spesso non ci permettiamo il lusso di cambiare i nostri prodotti, servizi o richieste,
perché sarebbe troppo costoso in termini di tempo e denaro; però possiamo cambiarne i termini di
paragone. Per proporvene un esempio reale, una società di arredi d’esterni era in grado
d’incrementare del 500% le vendite di uno dei modelli di alta gamma dei suoi idromassaggi da
giardino semplicemente (a) dicendo ai potenziali clienti che, davvero, molti acquirenti affermavano
che averle era come aggiungere una stanza alla casa e poi (b) chiedendogli di considerare quanto
avrebbero speso per aggiungere una stanza a casa loro. In fine dei conti, un idromassaggio da 7.000
sterline sembra molto meno caro se si paragona con la costruzione di una stanza che costerebbe
almeno il doppio.
43 Come procurarsi un vantaggio nella ricerca della
fedeltà?

Che siano tazzine di caffè in regalo, buoni acquisto, voli scontati o buoni da spendere per le prossime
vacanze, molte società cercano d’incrementare la fedeltà dei clienti offrendo incentivi. I risultati di
alcune recenti ricerche offrono indicazioni importanti su come accrescere la fedeltà degli altri verso
di voi e il loro interesse in quello che avete da offrire.
I ricercatori Joseph Nunes e Xavier Dreze hanno ipotizzato che i clienti coinvolti in programmi
d’incentivi avrebbero mostrato più fedeltà alle aziende e raggiunto più rapidamente il traguardo per
ottenere il premio promesso se la società gli avesse dato un vantaggio in partenza, anche senza
diminuire il numero degli acquisti necessari per ottenere il premio in questione.
In uno studio, sono state distribuite 300 tessere fedeltà ad altrettanti clienti di un autolavaggio
locale. Ai clienti è stato detto che ogni volta che avessero utilizzato l’autolavaggio, la tessera
l’avrebbe registrato. C’erano, tuttavia, due tipi di tessera: con il primo, dopo otto lavaggi se ne
riceveva uno gratis ma la tessera non prevedeva buoni iniziali; con il secondo, erano necessari dieci
lavaggi per riceverne uno gratis ma la tessera offriva due buoni iniziali. Questo significava che in
entrambi i casi, era richiesto di pagare otto lavaggi per riceverne uno in premio, ma il secondo
gruppo sembrò gradire di più l’offerta.
In seguito ogni volta che un cliente andava all’autolavaggio, un dipendente apponeva un timbro
alla tessera e annotava la data del servizio. Dopo vari mesi, quando i ricercatori hanno chiuso il
programma e hanno esaminato i dati, la loro ipotesi è stata confermata: solo il 19% dei clienti del
primo gruppo avevano fatto lavaggi a sufficienza da richiedere il lavaggio gratuito contro il 34% del
secondo gruppo. Inoltre, i clienti del gruppo con il vantaggio iniziale avevano impiegato meno tempo
per completare gli otto lavaggi, con una media di 2,9% di giorni inferiore fra un lavaggio e l’altro.
Secondo Nunes e Dreze, presentando il programma come già iniziato ma incompleto invece che
come non ancora iniziato, si spingono le persone a sentirsi più motivate a completarlo; inoltre
evidenziano come la ricerca mostri che più le persone si sentono vicine all’attuazione di un obiettivo,
più si sforzano di raggiungerlo e a sostegno di quest’idea, i dati mettono in luce che l’intervallo di
tempo fra un lavaggio e l’altro diminuiva di circa mezza giornata dopo ogni lavaggio.
Oltre all’ovvia applicazione di questi risultati ai programmi fedeltà di tutti i tipi, lo studio indica
che quando si sollecita la collaborazione di altri per lo svolgimento di qualche compito, bisogna
cercare di mettere in evidenza come abbiano già le competenze necessarie a portarlo a termine. Ad
esempio, se si ha bisogno di aiuto per sviluppare un progetto simile a quello cui il potenziale
collaboratore si è già dedicato, bisognerebbe sottolineare come, essenzialmente, abbia le capacità
per superare le complessità del compito; e se non è questo il caso ma siete voi ad aver già svolto un
bel po’ di lavoro intorno al progetto, dovreste evidenziare come il compito sia già avviato al
completamento per quasi il 30%.
Per citare un altro esempio, supponiamo che siate direttore di vendita e che il vostro team abbia
un obiettivo da raggiungere ma che non stia funzionando troppo bene nelle prime fasi. Se veniste a
sapere che è prevista a breve una grossa vendita gestita a livello centrale, invece di tenervi
l’informazione per voi pensando di potervi ricorrere qualora il vostro team non raggiungesse il suo
obiettivo, dovreste pubblicizzarla dando l’impressione, in tal modo, di un avanzamento verso
l’obiettivo stesso.
Anche insegnanti e genitori possono trarre beneficio da una simile strategia. Immaginate che
vostro figlio sia particolarmente restio allo svolgimento dei compiti e vi sentiate costretti a offrirgli
degli incentivi; qualora decidiate di proporgli un weekend di libertà ogni sei, potrebbe essere
particolarmente motivato ad accettare se iniziate a offrirgli il «buono» di un weekend libero prima di
cominciare ufficialmente il programma.
Il messaggio è chiaro: si è più propensi ad attenersi a programmi e compiti nel caso si abbia una
prova che stanno già progredendo verso il completamento. Se adottate questa strategia, la vostra
influenza luccicherà come le auto all’autolavaggio.
44 Che cosa può dirci sulla persuasione una scatola di
pastelli?

Sono finiti i tempi in cui i nomi dei colori erano semplici. Chiunque oggi apra una scatola nuova di
pastelli nota subito che i nomi vecchi e comuni (come verde, giallo, marrone) sono stati sostituiti da
termini quali verde foresta pluviale tropicale, giallo limone laser e marrone papua della Nuova
Guinea. Come può il color fiordaliso o lustrini e paillettes aiutarvi a mantenere in cassa bei dollari
verdi e il conto in banca non in rosso?
Le ricercatrici Elizabeth Miller e Barbara Kahn hanno colto questa particolarità dei pastelli e
d’innumerevoli altri prodotti e cercato di capire meglio come tali differenze di nomi influenzino le
preferenze del consumatore. Nella ricerca, hanno individuato quattro categorie di nomi di colori e
sapori:

(1) comuni, ossia generici e non specifici (ad esempio, blu);


(2) comuni e descrittivi, ossia generici e specifici (ad esempio, azzurro cielo);
(3) inaspettati e descrittivi, ossia non generici e specifici (ad esempio, verde Kermit, del Muppet
Show);
(4) ambigui, ossia non generici e non specifici (ad esempio, arancione del millennio).

Le ricercatrici ritengono che il nome dei colori e sapori inaspettati, descrittivi (3) e ambigui (4)
dovrebbero sollecitare sensazioni più positive verso un prodotto che verso un altro designato con il
nome di colore appartenente alle prime due categorie (la 1 e la 2). I due tipi di nomi in questione
sono, tuttavia, efficaci per ragioni diverse: i nomi inaspettati e descrittivi come verde Kermit sono
efficaci perché funzionano come una specie di rompicapo da risolvere che generalmente induce a
considerare più aspetti del prodotto, in particolare quelli positivi. Anche se risolvendo questi piccoli
enigmi i consumatori non si qualificheranno come candidati al Mensa,8 possono però avere un
momento di sorpresa improvvisa e perciò associare al prodotto emozioni piacevoli. I nomi ambigui
come arancione del millennio, invece, predispongono il consumatore a cercare di scoprire, in
assenza di qualsiasi informazione sul significato, quello che gli inventori del prodotto tentano di
comunicare con quel nome; anche questo espediente porta il consumatore a pensare agli aspetti
positivi che la società cerca di evidenziare con il nome. Le due studiose hanno trovato conferma alla
loro ipotesi attribuendo una serie diversificata di nomi al sapore delle caramelle gelatinose e al
colore dei maglioni.
Quali sono le implicazioni della ricerca per le aziende? Una prima risposta è che le aziende non
dovrebbero essere troppo timide nell’impiego di nomi un po’ meno semplici per certe caratteristiche
dei loro prodotti.9 Ma questo approccio non funziona solo per i prodotti e i servizi. Ad esempio, se
state cercando di conquistarvi la collaborazione dei colleghi perché vi aiutino a sostenere un nuovo
progetto o una proposta di training, adottando per l’iniziativa un titolo o un nome imprevedibile, o
anche ambiguo, conferirete un alone di fascino e attrazione all’iniziativa stessa.
Possiamo anche mettere in pratica gli insegnamenti di questa ricerca in famiglia. Ad esempio,
quando i ragazzi stanno decidendo se andare fuori a cena con gli amici o mangiare a casa, tirando
fuori dal cilindro un nome nuovo per il piatto che gli offriamo a cena (ad esempio, «sorpresa di
pollo» invece del vecchio e poco eccitante «pollo arrosto») possiamo convincerli a restare a casa
per quella sera. Naturalmente se volessimo passare una serata a casa in tutta tranquillità, proporre
invece un piatto a base di «broccoli e cavolini di Bruxelles» è sempre un’opzione...
45 Come confezionare i messaggi in modo che durino
«ancora e ancora e ancora»?

Chi sono? Sono rosa. Sono un coniglietto di peluche; ho un tamburo e sono potenziato da una marca
di batterie che durano più di quelle della concorrenza: chi sono?
A seconda di dove viviate, sono o un Bunny Energizer o un Bunny Duracell. Confusi? Non siete
gli unici.
Per fare un po’ di chiarezza e capire meglio che cosa questa confusione può dirci sull’efficacia
della persuasione e sul marketing, è utile una breve lezione di storia. Il primo coniglietto rosa a
batterie pubblicizzato con un bombardamento continuo alla televisione, è stato il Bunny Duracell. Per
essere più precisi, non era un singolo coniglietto di peluche ma un’intera specie – i Bunny Duracell –
con, si diceva, le batterie più durevoli di quelle di qualsiasi altra marca. In uno spot pubblicitario, ad
esempio, una serie di coniglietti con il tamburo, ognuno con una marca diversa di batterie, si
esaurivano lentamente meno uno – quello con le Duracell – che era ancora pieno di energia.
Più di quindici anni fa, tuttavia, la Duracell non rinnovò il contratto di esclusiva del marchio
Bunny negli Stati Uniti dando così la possibilità alla sua concorrente, la Energizer, di avventarsi sul
marchio e introdurre sul mercato il suo coniglietto rosa con il tamburo, alcalinamente potenziato,
nello sforzo di denigrare la campagna della Duracell e proclamare la superiorità dei propri prodotti.
È per questo che oggi i telespettatori nordamericani sono abituati a vedere i loro coniglietti muoversi
con le Energizer invece che con le Duracell come in tutto il resto del mondo.
Negli spot televisivi della Energizer, i telespettatori all’inizio vedono lo spot pubblicitario di un
altro prodotto (ad esempio, quella del Sit-again Haemorrhoid Ointment – Siediti di nuovo-unguento
lenitivo per le emorroidi), che viene interrotto dalla Energizer con lo slogan «... va ancora e ancora e
ancora... niente dura come le Energizer». Malgrado le prime approvazioni entusiastiche del pubblico
e della critica per questi spot imprevisti e incursioni beffarde dentro altri spot pubblicitari, c’era un
problema: molti, anche coloro a cui gli spot piacevano, non riuscivano a ricordare il nome della
società che pubblicizzava le batterie. Infatti un’indagine evidenziò che, anche fra gli spettatori che
consideravano gli spot sul coniglietto i migliori dell’anno, un sorprendente 40% era convinto che
fossero della Duracell pur in presenza di molte caratteristiche che distinguevano il coniglietto
Energizer da quello della sua concorrente: le orecchie più grandi, gli occhiali da sole, un tamburo
più grande e il pelo che aveva una sfumatura di rosa più brillante; e senza dimenticare che mentre il
coniglietto della Duracell cammina a piedi nudi, quello più grosso della Energizer porta ciabattine
infradito.
Certamente, in quel contesto entrò in gioco la confusione fra le due società produttrici di
coniglietti; tuttavia, anche molte persone che non avevano mai visto gli spot della Duracell non
ricordavano quale fosse lo sponsor di questi nuovi spot e lo identificavano con la Duracell. E infatti
subito dopo essere diventati popolari, fu il mercato della Duracell a crescere mentre quello
dell’Energizer registrò una certa contrazione.
Quale azione avrebbe dovuto intraprendere la Energizer per prevenire un problema simile, e quali
insegnamenti possiamo trarre da questo episodio? La ricerca in campo psicologico è chiara:
collocando un richiamo allo slogan televisivo sugli scaffali dei negozi e sulla confezione del
prodotto – ad esempio, un’immagine del coniglietto Energizer con il testo «... va ancora e ancora e
ancora...» –, avrebbe inciso molto sul ricordo errato dei consumatori e sulla scelta dell’acquisto in
base a tale ricordo. Ed è proprio quello che infine fece la società, con grande successo.
Quali sono le implicazioni della vicenda per la pubblicità in generale? Si registra, nelle società,
una tendenza crescente a rappresentare il proprio marchio con estese campagne sui media che ne
enfatizzano gli elementi chiave (ad esempio la durata, o la qualità o l’economicità) attraverso
un’epitome e si suppone che il pubblico colleghi i prodotti con l’elemento del marchio esposto dalla
pubblicità; un’ipotesi ragionevole, sempre che gli spot siano costruiti correttamente. Si suppone
anche che il pubblico ricordi l’associazione al momento dell’acquisto del prodotto, e questa è
un’ingenuità. La memoria dei consumatori, sottoposti a centinaia di migliaia di associazioni simili
ogni giorno, non è all’altezza del compito, almeno non senza l’aiuto di indicazioni sul luogo
dell’acquisto che rivivifichi l’associazione desiderata. Per questa ragione, ogni grande campagna
pubblicitaria deve integrare le immagini, caratteristiche o slogan essenziali degli spot con le
immagini pubblicitarie del prodotto sugli scaffali dei negozi e con la confezione che il consumatore
vede quando deve fare una scelta d’acquisto. Anche se cambiare tipo d’immagine e di confezione
perché corrisponda alle caratteristiche della campagna pubblicitaria sui media può essere costoso
nel breve termine, è però essenziale.
Questa strategia non è valida solo per i prodotti commerciali, ma anche per il mercato delle
informazioni e delle idee. Consideriamo, infatti, l’enorme compito che si dovrebbe affrontare se si
facesse parte di un’associazione sanitaria tesa a ridurre l’abuso di alcol nei campus universitari.
Anche se si fosse in grado di creare una campagna pubblicitaria convincente nel momento in cui gli
studenti ne leggono il messaggio, come garantirsi che resti impresso nella loro mente quando gli è più
necessario?
Ad esempio, una campagna di persuasione che è diventata sempre più popolare fra coloro che si
occupano della salute nelle università e che cercano di lottare contro l’abuso di alcol da parte degli
studenti è stata chiamata «marketing delle norme sociali». I ricercatori hanno riscontrato che gli
studenti, in genere, sopravvalutano il numero dei drink che i loro compagni consumano; e, come
sappiamo dalla nostra analisi sull’evidenza sociale, le persone tendono a comportarsi in sintonia con
le regole sociali percepite. L’obiettivo di queste campagne è ridurre la frequenza dell’abuso di alcol
fra gli studenti di college correggendo la loro percezione. Ad esempio, un poster del marketing sulle
norme sociali può affermare che secondo un sondaggio, «il 65% degli studenti universitari bevono 3
bicchieri o anche meno ai party». Si pensa che fornendo ai lettori dell’avviso dati più precisi sulla
quantità di drink bevuti dai loro compagni, si riduca la quantità di alcol che assumono durante i party.
Anche se i suddetti programmi mostrano segnali promettenti, attualmente le prove della loro
efficacia sono controverse. Infatti pur essendo questi poster persuasivi quando gli studenti li leggono,
forse una delle ragioni per cui le campagne non sono abbastanza efficaci è che quando si trovano in
situazioni in cui si beve, gli studenti o li dimenticano o non pensano a quell’informazione. Infatti i
poster, gli slogan e altre forme di messaggi contro l’assunzione di alcol delle campagne normative si
trovano comunemente (e incomprensibilmente, da un punto di vista pratico) in biblioteche, classi,
associazioni studentesche, centri sanitari e nelle aree residenziali comuni invece che nei luoghi in cui
di solito si beve. Purtroppo, la mancanza di connessione fra i luoghi in cui gli studenti vedono le
informazioni e quelli in cui bevono significa che la voce lontana del messaggio viene probabilmente
sommersa dal fragore qui e ora delle bottiglie che tintinnano e dalle risate ebbre che si sentono nei
bar, nei club, ai party e nei ritrovi dei college.
La ricerca sulla memoria pubblicitaria indica che gli studenti ricorderebbero con maggiori
probabilità le informazioni sulle norme sociali nelle situazioni appropriate se si collocasse sui
materiali che vi si trovano (ad esempio su sottocoppe, braccialetti d’ingresso, timbri) il logo delle
campagne. In alternativa, il campus potrebbe distribuire oggetti recanti il logo della campagna, come
i frisbee. Allora gli studenti li porterebbero con sé negli alloggi e nei luoghi comuni del college,
dove avrebbero davanti agli occhi l’oggetto che gli ricorda lo spot (paradossalmente, questa strategia
può essere anche più efficace qualora gli studenti vi portassero dell’alcol, poiché alcune ricerche
mostrano che semplici messaggi persuasivi hanno maggiore efficacia quando si sta bevendo).
Analogamente, alcune comunità hanno cercato di contrastare la guida in stato di ebbrezza
convincendo i proprietari dei bar a mettere nei drink della casa i cosiddetti «cubetti luminosi»,
piccole luci a elettrodo avvolte nella plastica in forma di cubetto di ghiaccio. Emettendo impulsi
luminosi rossi e blu, questi piccoli spot hanno in genere l’effetto di ricordare le luci delle macchine
della polizia, servendo così da estensione persuasiva del lungo braccio della legge.
E soprattutto, indipendentemente che siano a sostegno di campagne pubbliche o private, questi
memospot garantiscono che il vostro messaggio non sbiadisca, ma continui ancora, e ancora e
ancora...
46 Quale oggetto ha la capacità di persuaderci a
riflettere sui nostri valori?

Specchio, specchio delle mie brame, qual è l’oggetto più persuasivo del reame? In realtà, specchio,
sei tu.
Nessuno dubita che scopo primario di uno specchio sia di mostrarci come appariamo all’esterno,
ma gli specchi fungono anche da finestra su come appariamo – e forse soprattutto su come vogliamo
apparire – a noi stessi; di conseguenza, vedendoci allo specchio, agiamo in modo socialmente più
desiderabile.
Prendiamo, ad esempio, uno studio condotto dal sociologo Arthur Beaman e dai suoi collaboratori
su Halloween. Invece di condurre la ricerca in un laboratorio universitario o in strada, Beaman ha
temporaneamente trasformato diciotto case in altrettante strutture di ricerca improvvisate. Quando i
bambini suonavano il campanello di una delle case per il tradizionale «dolcetto o scherzetto»,
venivano accolti da un assistente alla ricerca che gli chiedeva il nome e gli mostrava una grande
ciotola di dolci che si trovava su un tavolo. Dopo aver comunicato ai bambini che ognuno di loro
poteva prendere solo un dolcetto a testa, diceva di avere delle faccende da sbrigare e se ne andava
frettolosamente dalla stanza. Era la parte «dolcetto» dell’esperimento. Ed ecco che subentrava lo
«scherzetto»: i bambini non sapevano, oltre al fatto di partecipare a un esperimento mirato, che
qualcuno li osservava da uno spioncino nascosto, un altro assistente alla ricerca che aveva il compito
di registrare se si comportassero in modo sleale e prendessero più di un dolce a testa.
Quando sono stati esaminati i risultati, i dati hanno mostrato che più di un terzo dei bambini aveva
preso più dolci del dovuto, il 33,7% per l’esattezza. Ma i ricercatori hanno voluto verificare se
potevano ridurre la percentuale dei furti di dolci attraverso l’uso di uno specchio. In questo caso,
prima che il campanello suonasse, l’assistente alla ricerca collocava un grande specchio accanto alla
ciotola dei dolci, in modo che i bambini fossero costretti a vedersi allo specchio quando prendevano
i dolci. Qual è stata la percentuale dei furti in presenza dello specchio? Solo dell’8,9%.
Seguendo la stessa logica, uno di noi ha condotto uno studio per verificare se, concentrate su se
stesse e la loro immagine, le persone agiscano più in coerenza con i propri valori. Guidati dal
comportamentista Carl Kallgren, abbiamo anzitutto valutato l’atteggiamento dei partecipanti a un
corso accademico nei confronti della negligenza ambientale. Verso la fine del corso, quando i
corsisti arrivavano al laboratorio, una metà di loro veniva ripresa da una televisione a circuito
chiuso che ne rimandava l’immagine (perciò, era quasi come vedersi allo specchio), mentre l’altra
metà guardava una televisione a circuito chiuso che rimandava immagini di forme geometriche. Gli è
poi stato detto che sarebbero stati sottoposti a un test che richiedeva di rilevargli la percentuale dei
battiti del cuore e che implicava l’uso di un gel da applicare a una mano. Quando i soggetti
credevano che la loro parte nella ricerca fosse finita, un assistente gli tendeva un fazzoletto di carta
per pulirsi la mano e gli chiedeva di uscire scendendo le scale. Noi li osservavamo per verificare se
i partecipanti gettassero o meno il fazzoletto di carta per le scale o sul pavimento incamminandosi
verso l’uscita.
Abbiamo scoperto che quando non si vedevano alla televisione prima di avere l’opportunità di
gettare via il fazzoletto di carta, circa il 46% dei partecipanti lo buttavano a terra ma quando
vedevano la propria immagine, si comportavano così solo nel 24% dei casi. Se questa ricerca ha un
merito, è quello di servire a rispondere alla domanda: «Come è possibile mostrare tutti i giorni la
loro immagine alle persone che sporcano?» E la risposta sembra essere che non si può.
Nella vita di tutti i giorni, abbiamo l’opportunità di usare gli specchi per persuadere gli altri, con
la massima discrezione, a comportarsi in modi socialmente più desiderabili. Oltre a dirci come
organizzare il ricevimento di Halloween, questa ricerca ci indica che gli specchi – collocati in punti
strategici – incoraggiano i bambini ad agire più gentilmente gli uni verso gli altri. Inoltre, i manager
che abbiano subito dei furti da parte dei dipendenti – ad esempio dal magazzino degli stoccaggi –
potrebbero scoprire che gli specchi fanno meraviglie nel campo della prevenzione. In questo caso, lo
specchio agisce come valida alternativa alla videosorveglianza che non solo è costosa, ma manda ai
dipendenti un segnale di sfiducia, uno scenario che alla lunga può portare a furti più frequenti invece
che a diminuirli.
Se la collocazione di specchi in luoghi specifici non è praticabile, ci sono altre due opzioni che
producono lo stesso effetto. Anzitutto, lo studioso di psicologia sociale Ed Diener e i suoi
collaboratori hanno verificato che chiedendo alle persone il loro nome, si può ottenere un effetto
simile; ciò significa che invitando i bambini e i dipendenti a portare targhette con il proprio nome, si
gettano le basi per comportamenti più desiderabili. In secondo luogo, la recente ricerca della
studiosa Melissa Bateson e collaboratori indica che anche una semplice foto di occhi alla parete ha
l’effetto d’indurre il prossimo ad agire in modi socialmente più consapevoli. Ad esempio in uno
studio, i ricercatori hanno collocato una fotografia in uno spazio comune dove in genere i dipendenti
inserivano, in un apposito recipiente, i soldi per pagare il consumo di tè o caffè. L’immagine però
cambiava ogni settimana: una settimana vi si vedevano dei fiori, la successiva degli occhi, poi dei
fiori diversi, poi degli occhi diversi e così via. I risultati hanno mostrato che i consumatori di tè e
caffè pagavano con una frequenza maggiore di 2,5 volte le bevande quando l’immagine rappresentava
degli occhi rispetto a quando raffigurava dei fiori.
Insomma che siano vostri o di altri, non può far male la presenza di un altro paio d’occhi che
sorvegli la situazione.
47 La tristezza ha effetti negativi sulle transazioni
commerciali?

In un episodio della serie televisiva di gran successo Sex and the City, il personaggio principale –
Carrie Bradshaw – passeggia in una via di New York con la sua amica Samantha Jones, che le
racconta perché si senta tanto triste negli ultimi tempi. A un certo punto della conversazione la Jones,
che procede zoppicando, esclama: «Ohi!» In risposta, un’empatica Carrie chiede: «Tesoro, se ti fa
tanto male, perché andiamo per negozi?» e Samantha di rimando: «Ho un dito rotto, non lo spirito».
Ogni anno, milioni di persone che si sentono giù di corda cercano di alleviare la loro tristezza con
lo shopping. Un recente studio condotto dalla sociologa Jennifer Lerner e collaboratori ha indagato
su come emozioni quali la tristezza possano influenzare profondamente i comportamenti di acquisto e
di vendita delle persone, e ha fornito alcuni spunti interessanti per la comprensione del fenomeno.
I ricercatori hanno ipotizzato che la tristezza motivi le persone ad alterare il contesto in cui si
trovano come mezzo per cambiare umore. Hanno anche ipotizzato che, per lo stesso motivo, i
compratori e i venditori si comportino in modi diversi: che gli acquirenti tristi siano propensi a
pagare un prezzo più alto per un determinato oggetto degli acquirenti normali, mentre i venditori tristi
si separino da un determinato oggetto a un prezzo minore dei venditori normali.
In un esperimento mirato a verificare queste ipotesi, i ricercatori hanno provocato in metà dei
partecipanti la tristezza e nell’altra nessuna emozione mostrando loro due videoclip diversi. I primi
hanno visto un frammento del film Il campione che mostrava la morte del mentore di un ragazzo;
dopodiché, gli veniva chiesto di scrivere un breve passo su come si sarebbero sentiti se si fossero
trovati nella situazione rappresentata. I secondi hanno visto un videoclip emotivamente neutrale che
mostrava del pesce e poi hanno scritto un passo sulle loro attività di tutti i giorni. Quindi, a tutti è
stato detto che avrebbero preso parte a un secondo studio non correlato: a metà dei partecipanti è
stata data una partita di evidenziatori e gli è stato chiesto di fissare un prezzo per la loro vendita;
all’altra metà è stato chiesto di fissare un prezzo per il loro acquisto.
I risultati hanno confermato le ipotesi della Lerner: gli acquirenti tristi erano propensi a comprare
gli articoli a un prezzo più alto del 30% di quelli emotivamente neutrali; e i venditori tristi erano
propensi a cederli a un prezzo più basso del 33% di quelli emotivamente neutrali. Oltretutto, i
ricercatori hanno verificato che la trasposizione dell’emozione dal film sulle decisioni di carattere
economico avveniva nella completa inconsapevolezza delle persone, che non avevano idea d’essere
state così profondamente influenzate da quei residui sentimenti di tristezza.
In che modo la ricerca vi riguarda? È estremamente importante sapere in quale stato d’animo ci si
trovi prima di prendere qualche decisione importante, iniziare transazioni essenziali o anche solo
rispondere a un’e-mail poco cordiale. Ad esempio, supponiamo che dobbiate negoziare i termini
finanziari del contratto con un venditore; se avete appena vissuto qualche esperienza emotiva e anche
se pensate che la vostra capacità decisionale non ne sia stata influenzata, sarebbe meglio prendere in
considerazione l’idea di rimandare la trattativa. Una breve dilazione permette alle emozioni di
affievolirsi e a voi di fare scelte più razionali.
Quale che sia lo stato dei vostri sentimenti, è generalmente una buona prassi in qualsiasi
situazione che richieda di prendere decisioni, quella di concedersi un tempo per ricomporsi. Spesso
si prende un appuntamento dietro l’altro per ragioni di convenienza; concedendovi un breve
intervallo fra un incontro e l’altro, tuttavia, ridurrete le probabilità che i sentimenti provocati da un
incontro particolarmente carico di emozioni si ripercuotano sul successivo, soprattutto se il secondo
incontro implica l’assunzione d’importanti decisioni.
Lo stesso dicasi per quanto riguarda eventuali progetti per il vostro appartamento qualora stiate
pensando di comprare un mobile o apparecchio nuovo, di apportare qualche miglioria o anche di
cercarvi una casa nuova; o la fissazione del prezzo degli articoli che volete vendere online. In simili
situazioni, è sempre saggio fare un passo indietro, analizzare il proprio stato d’animo e rimandare
l’attività in questione finché non ci si senta emotivamente neutrali.
Infine, anche coloro che cercano d’influenzare le decisioni degli altri dovrebbero essere
consapevoli del ruolo che gioca l’umore. Naturalmente, sarebbe poco saggio e sbagliato tentare di
persuadere qualcuno che sia stato appena rattristato da qualche informazione o, peggio, sollevare
argomenti che mettano l’altro di cattivo umore (ad esempio, dicendo: «Ehi, ho saputo che il tuo cane
sta male. Comunque, ecco il prezzo che ti posso proporre per il nostro affare»). Decisioni simili sono
spesso da rimpiangere e non valgono a costruire relazioni durevoli. Per contro, proponendo a chi
abbia appena avuto un’esperienza emotiva dolorosa di rimandare le trattative in corso, rafforzate la
relazione mostrandovi nobili, premurosi e saggi, caratteristiche che non hanno prezzo per chi desideri
essere più persuasivo.
48 Come può l’emozione mettere in moto la
persuasione?

Nel 2002, il manifestarsi improvviso della SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome), la sindrome
acuta dell’apparato respiratorio, in Asia provocò un’ondata di panico e portò ad azzerare i viaggi in
quella regione, anche se le probabilità di contrarre la SARS – e non parliamo di morire a causa del
virus – erano estremamente ridotte. Ma che cosa possono insegnarci le reazioni a questo evento su
come fatti emotivamente carichi modifichino i percorsi decisionali delle persone e condizionino i
modi della loro influenzabilità?
I ricercatori Christopher Hsee e Yuval Rottenstreich hanno ipotizzato che il giudizio e la capacità
decisionale delle persone possano essere indeboliti da eventi come la comparsa improvvisa della
SARS non perché inducano sentimenti negativi ma perché sono accompagnati da una forte carica
emotiva indipendentemente dalla natura dei sentimenti che produce. Nello specifico sostengono che
le emozioni diminuiscono, negli individui, la sensibilità verso la dimensione dei numeri e ne
accrescono, invece, l’attenzione verso la semplice presenza o assenza di un evento. Tradotto in
termini commerciali significa che se un’offerta ha una carica emotiva, si è più propensi a prestare
attenzione alla sua semplice presenza o assenza piuttosto che alla quantità specifica degli oggetti che
propone.
Per verificare quest’idea, i ricercatori hanno chiesto a una metà di partecipanti a un test di pensare
per un po’ a qualche questione emotivamente coinvolgente e a un’altra di pensare invece a una
questione neutra dal punto di vista emotivo. Subito dopo, i soggetti della ricerca sono stati invitati a
immaginare che una persona di loro conoscenza vendesse una serie di CD di Madonna; a metà di loro
è stato detto che nel cofanetto c’erano cinque CD, mentre all’altra metà che ce n’erano dieci. Poi gli è
stato chiesto di fissare l’importo massimo che erano disposti a pagare per il cofanetto.
Coloro che all’inizio avevano pensato a situazioni emotivamente neutre, erano propensi a pagare
di più per il cofanetto con dieci CD che non per quello con cinque CD, che è un atteggiamento del
tutto razionale. È interessante tuttavia notare che i partecipanti al test che all’inizio avevano pensato a
situazioni emotivamente coinvolgenti, erano meno sensibili alla differenza di numero dei CD e
avrebbero pagato più o meno lo stesso importo per entrambi i cofanetti.
I risultati di questa ricerca mostrano che l’esperienza emotiva può avere un impatto che va a
detrimento dei processi decisionali, mettendovi in condizioni di lasciarvi persuadere da un’offerta
che non dovrebbe convincervi. Supponiamo che stiate trattando con un fornitore di materie prime e
che ci sia una differenza di 10.000 sterline fra l’importo di denaro che offrite e la quantità di beni che
il fornitore è disposto a darvi per quell’importo. Riconoscendo tale differenza ma non volendo
vendervi più merce per la cifra che offrite, il fornitore potrebbe proporvi di aggiungere all’ordine 50
pezzi di un nuovo prodotto, suscitando così a tal punto il vostro entusiasmo da nascondervi il fatto
che 100 pezzi, e non 50, valgono 10.000 sterline. La suddetta ricerca ci insegna che offerte
emotivamente coinvolgenti come questa hanno le potenzialità d’indurre l’acquirente a sovrastimare il
valore della merce e perciò a prendere decisioni sbagliate e poco vantaggiose.
Come possiamo prevenire l’influenza di fattori simili? I risultati degli esperimenti da noi citati
indicano che concentrandoci semplicemente sui numeri prima delle trattative, dovremmo riuscire a
ripristinare la capacità di fare distinzioni fra le grandezze. Rimuovete le emozioni che possono
offuscare la vostra attenzione e sarete in grado di trattare gli affari in base a informazioni reali e
pertinenti e di prendere le migliori decisioni possibili.
49 Che cosa ci spinge a credere a qualsiasi cosa ci
propinino?

Un ex prigioniero politico cinese una volta ha descritto la sua esperienza di soggetto sottoposto al
lavaggio del cervello: «Cercano di annichilirti, esaurirti; non puoi controllare te stesso o ricordare
che cosa hai detto due minuti prima. Senti che tutto è perduto. Da quel momento sei in balia del
giudice e accetti qualsiasi cosa dica (il corsivo è mio)».
A quale tecnica si riferisce e che cosa può dirci sugli strumenti che consentono agli altri di
persuaderci?
Anche se l’ex prigioniero era probabilmente vittima di svariate tecniche di manipolazione del
pensiero, la strategia cui si riferisce è la privazione del sonno. Naturalmente, non dovrebbe
sorprenderci l’idea che siamo più efficienti quando abbiamo dormito bene; tutti noi sappiamo per
esperienza che quando siamo riposati siamo anche più attenti, più vigili e comunichiamo meglio. Ma
il lavoro svolto dallo studioso di psicologia sociale Daniel Gilbert propone un punto di vista meno
ovvio, eppure in completa coerenza con l’esperienza del prigioniero politico: è possibile che siamo
più suscettibili alle tattiche ingannevoli dell’influenza altrui quando siamo affaticati. Gilbert ha infatti
trovato alcune prove a sostegno dell’ipotesi secondo la quale ascoltando l’affermazione di qualcuno
in condizioni di stanchezza, chi riceve il messaggio immediatamente l’accetta per vero
indipendentemente dal fatto che sia reale; solo con uno sforzo mentale, una frazione di secondo dopo,
chi ascolta riconosce la falsità dell’affermazione e la respinge.
Quando la posta in gioco è alta, si hanno in genere abbastanza risorse cognitive e determinazione
da rifiutare le affermazioni che suonano false. Ma quando si è stanchi, è più probabile che ci si trovi
in uno stato più elevato di credulità a causa della minore energia cognitiva e determinazione che
induce la stanchezza. Secondo i risultati trovati da Gilbert, di conseguenza il processo di
comprensione del messaggio s’interrompe, se mai ha la possibilità di avere luogo, prima di poter
arrivare alla fase di rigetto; questo rende le persone più propense a credere agli argomenti altrui, per
quanto deboli, o anche alle loro falsità. Ad esempio, un manager che stia cercando le migliori offerte
per firmare un grosso contratto di distribuzione, ha minori chance d’interrogarsi su un’improbabile
affermazione del distributore quale: «I nostri sistemi sono i più apprezzati a livello globale» se sta
operando in modo un po’ assonnato; al contrario, rischia di considerare acriticamente valida
quest’affermazione.
La privazione del sonno e la stanchezza non sono gli unici fattori che ci rendono più facilmente
preda della persuasione altrui. Alcuni studi hanno dimostrato che la distrazione ha effetti simili,
anche se ha la peculiarità d’essere solo momentanea. Ad esempio, i ricercatori Barbara Davis ed
Eric Knowles hanno riscontrato che gli inquilini erano doppiamente disposti a comprare cartoline di
Natale da un venditore porta a porta quando lui li distraeva annunciando inaspettatamente il prezzo
delle cartoline in centesimi, invece che in dollari come di consueto, prima di affermare: «È un
affare!» I loro studi mostrano che non è solo il prezzo espresso in centesimi a influenzare la
percentuale delle vendite: il picco di compiacenza verso le vendite era più alto di quello raggiunto
da qualsiasi richiesta standard solo quando l’annuncio del prezzo era seguito da un’affermazione
persuasiva quale «È un affare!» I risultati mostrano che proprio approfittando dell’istante di
momentanea distrazione, il venditore faceva scivolare la sua asserzione persuasiva sotto il radar.
In un altro studio condotto dallo stesso team di ricercatori, chi passava vicino a un banchetto di
vendita di cibi cotti si lasciava convincere più facilmente a comprare ciambelle quando il venditore
le chiamava «ciambelline» invece che «ciambelle», ma solo quando questa espressione era seguita
da «sono deliziose».
Che cosa ci dicono questi studi su come non soccombere a fattori che ci rendono più facilmente
influenzabili? L’ovvio consiglio è di dormire di più; naturalmente, a noi tutti piacerebbe farlo e
sappiamo anche che è più facile dirlo che farlo. Se vi capita di essere particolarmente distratti o a
corto di sonno, tuttavia, cercate di stare lontani da programmi come gli infomercial, che spesso fanno
affermazioni dubbie; altrimenti, potreste lasciarvi convincere di avere veramente bisogno di una
cyclette che, mentre pedalate, è anche in grado di sparare popcorn. Invece, cercate di prendere le
decisioni importanti quando vi sentite più svegli e in base a una ponderata valutazione della
veridicità delle affermazioni altrui.
Inoltre se avete un compito da svolgere – diciamo, ad esempio, che dobbiate scegliere un nuovo
fornitore –, è bene che sappiate d’essere più inclini a credere a quello che leggete su un sito Internet
o a un’offerta formale se siete distratti, ad esempio state parlando al telefono. Tenete quindi
generalmente conto che valuterete con più accuratezza le affermazioni altrui e sarete più resistenti
alle tattiche ingannevoli di persuasione, se riducete al minimo le distrazioni. Potete, ad esempio,
scegliere d’avere uno «spazio decisionale» vostro in ufficio o a casa libero da distrazioni e rumori di
fondo in modo da concentrarvi sul compito del momento. Per prevenire la possibilità di essere prima
di tutto vittime (di qualche persuasore con lingua biforcuta) e poi scaricati (dalla vostra società
insoddisfatta), è meglio evitare di svolgere più attività alla volta quando la posta in gioco è alta.
50 Le caffetterie hanno la prerogativa di potenziare la
nostra influenza?

Enuresi, secchezza della bocca e anche la sindrome delle gambe senza riposo. Oggigiorno, sembra
che ci sia un farmaco per ogni disturbo che appaia sotto il sole. Si può restare sorpresi di
apprendere, tuttavia, che c’è un farmaco che si chiama 1,3,7-trimetilxantina che è in grado di rendervi
più malleabili se lo prendete e più persuasivi se lo somministrate agli altri. Forse anche più
sbalorditivo è il fatto che questo farmaco è adesso ampiamente disponibile presso «trimeth-lab» che
spuntano un po’ dappertutto.
Il farmaco è più comunemente conosciuto come caffeina e questi «trimeth-lab» sono più
comunemente chiamati caffetterie. Solo la Starbucks Corporation possiede più di novemila punti
vendita in 38 paesi, anche se dubitiamo che il suo presidente, Howard Schultz, abbia mai sognato che
la bevanda che mette a disposizione a ogni angolo di strada e in ogni centro commerciale avrebbe
potuto essere un potenziale strumento di persuasione. Abbiamo tutti sentito dire – e molti di noi ne
hanno esperienza – che la caffeina può farci sentire più svegli, ma in base a quale principio può
renderci più persuasivi?
Per indagare su tale questione, lo studioso Pearl Martin e collaboratori hanno anzitutto chiesto a
tutti i partecipanti a un test di bere un prodotto simile a succo d’arancia. Come un ragazzino
dispettoso che aggiunge il contenuto della sua borraccia alla bottiglia di punch nella discoteca della
scuola, i ricercatori hanno «corretto» il succo d’arancia prima di servirlo a una metà dei partecipanti
alla loro ricerca. Però, invece di trasformarlo in una tequila sunrise, i ricercatori hanno aggiunto alla
bevanda della caffeina in una quantità simile a quella che si può trovare in due tazzine di caffè
espresso.
Subito dopo aver bevuto il succo, tutti i partecipanti hanno letto una serie di messaggi che
comunicavano delle argomentazioni favorevoli a sostegno di una certa posizione in merito a una
questione controversa. Coloro che avevano consumato la bevanda con la caffeina, prima ancora di
leggere le argomentazioni erano per il 35% più ben disposti verso la suddetta posizione di coloro
che avevano bevuto il succo d’arancia inalterato.
Ciò significa che potreste andare alla più vicina caffetteria nell’intervallo del pranzo e comprare
il ponte di Brooklyn da qualsiasi avventore ve lo proponga? Diremmo proprio di no. In un secondo
studio, i ricercatori hanno sottoposto a verifica anche gli effetti della caffeina quando i partecipanti al
test hanno letto messaggi con argomentazioni deboli; i risultati hanno mostrato che, in queste
circostanze, la caffeina ha scarso potere di persuasione.
Questi dati hanno implicazioni importanti sulle vostre presentazioni, comprese quelle ai potenziali
clienti o collaboratori; ad esempio, dovreste scegliere con molta cura il momento del giorno in cui
decidete di eseguirla. Prendiamo il caso in cui dobbiate proporre una vendita a un nuovo cliente; non
è assolutamente consigliabile farlo subito dopo pranzo o alla fine della giornata, bensì all’inizio
della giornata, ossia quando è probabile che il cliente abbia appena preso la sua mattutina dose di
caffè. E nel caso non possiate scegliere il momento più propizio del giorno, offrendo al pubblico del
caffè o qualche bevanda a base di caffeina è possibile renderlo più ricettivo al vostro messaggio
sempre che, come indica la ricerca, le vostre argomentazioni siano ben fondate; e, naturalmente, non
lo mettiamo in dubbio!
La scienza della persuasione
nel ventunesimo secolo

Con l’ingresso nel ventunesimo secolo, i rapporti d’affari all’interno e all’esterno delle nostre
organizzazioni sono cambiati fondamentalmente in due modi, che a loro volta condizionano gli
strumenti che adottiamo per influenzare gli altri. In primo luogo, l’utilizzo ampiamente diffuso di
Internet nella vita famigliare e in quasi tutti i campi aziendali ha provocato un cambiamento
massiccio nelle modalità quotidiane di comunicazione con gli altri. In secondo luogo, è più facile che
mai conoscere persone sia negli ambienti di lavoro sia nelle interazioni aziendali che appartengono a
culture diverse dalla nostra. Le più recenti ricerche relative a queste rapide trasformazioni vi
forniranno ulteriori, inestimabili approfondimenti sulla scienza della persuasione.

E-influence

Come in qualsiasi altra società delle comunicazioni, la struttura portante degli affari di US Cellular –
un grosso operatore di telefonia mobile con sede nel Midwest – si fonda quasi esclusivamente sulla
tecnologia. Per questo una politica che la compagnia ha adottato diversi anni fa sembra veramente
paradossale, se non completamente folle: a più di cinquemila dipendenti venne detto che, il venerdì,
non gli era più concesso di relazionarsi gli uni con gli altri via e-mail.
Com’è stato possibile? In un’epoca in cui siamo tutti così dipendenti dagli invii elettronici per
comunicare in fretta – efficacemente e accuratamente – con i collaboratori, vietare l’e-mail è quasi
come proibire l’uso delle calcolatrici a favore del calcolo con le dita. Perché il vicepresidente
dell’US Cellular, Jay Ellison, emanò un simile decreto? Era forse un piano malefico escogitato dalla
direzione per costringere i dipendenti a spendere più soldi usando i cellulari personali e accrescere
così i profitti a breve della compagnia?
Si scoprì poi che, essendo bombardato ogni giorno da più e-mail di quante non riuscisse a
leggere, Ellison cominciò a pensare che l’infinito flusso di comunicazioni elettroniche impersonali
potesse danneggiare il lavoro dei dipendenti e la produttività nel suo insieme invece che favorirli.
Secondo un servizio dell’ABCNews.com, il suo messaggio diceva ai dipendenti: «Uscite dagli uffici
e incontrate i colleghi di persona, prendete il telefono e chiamate qualcuno... Mi auguro di non
ricevere notizie da parte vostra via e-mail, ma venite a trovarmi in ufficio ogni volta che volete».
Il servizio proseguiva descrivendo alcune conseguenze della nuova politica. Ad esempio, due
collaboratori che in precedenza avevano solo una relazione via e-mail, furono costretti a parlarsi al
telefono scoprendo così, con loro grande sorpresa, che non si trovavano ai lati opposti del Paese, ma
soltanto ai due capi del corridoio! Questa scoperta li spinse a incontrarsi di persona, rafforzando
così il loro legame.
Anche se indubbiamente c’è voluto un po’ di tempo per abituarsi al nuovo corso, oggi si è tutti
d’accordo con la US Cellular che la politica dei venerdì senza e-mail ha avuto un gran successo e
funge da importante memento sul ruolo che le interazioni personali hanno nel rafforzare le relazioni
con gli altri. Ma l’episodio, prima di tutto, descrive bene l’impatto delle interazioni elettroniche sulle
relazioni in ambito lavorativo: in che modo le interazioni elettroniche modificano il nostro potere di
persuasione?
Ad esempio, come può una trattativa essere influenzata dalla possibilità di svolgersi online
piuttosto che di persona? Ormai sono passati i tempi in cui le trattative si svolgevano esclusivamente
di persona o al telefono; oggigiorno avvengono sempre di più online, sia che riguardino i termini di
contratti multimiliardari sia il tipo di pizze per il party aziendale.
Anche se si parla spesso di Internet come dell’autostrada informatica, può la mancanza di contatti
personali fra parti negoziatrici funzionare più da blocco stradale che da via che conduce a risultati di
successo? Per verificare quest’ipotesi, il sociologo Michael Morris e collaboratori hanno condotto
un esperimento in cui alcuni studenti dell’MBA intraprendevano delle trattative o di persona o via e-
mail. I ricercatori hanno riscontrato che, comunicando via e-mail, difficilmente i negoziatori si
scambiavano il tipo di informazioni personali che in genere aiutano a stabilire rapporti migliori e
questa circostanza potrebbe alla fine portare a risultati della trattativa meno soddisfacenti.
Il ricercatore comportamentista Don Moore e collaboratori hanno pensato di trovare una soluzione
piuttosto semplice a questo problema potenzialmente non tanto semplice: e se prima della trattativa le
parti contraenti s’impegnassero in qualche forma di confidenza reciproca? In altre parole, potrebbero
cercare di conoscere un po’ di più della storia dell’altro oltre a scambiare qualche battuta per pochi
minuti su argomenti non legati alla trattativa stessa. Per verificare quest’idea, i ricercatori hanno
arruolato gli studenti di due scuole aziendali statunitensi d’élite e gli hanno proposto di negoziare un
contratto via e-mail. Mentre a una metà di loro è stata data semplicemente l’indicazione di trattare,
all’altra metà è stata data una foto del partner, alcune sue brevi notizie biografiche (ad esempio in
quale facoltà si fosse laureato, gli interessi) e l’indicazione di dedicare un po’ di tempo, prima della
trattativa, a conoscersi l’un l’altro scambiandosi qualche e-mail.
I risultati dell’esperimento hanno mostrato che quando ai partecipanti non veniva data nessuna
informazione aggiuntiva, il 29% delle coppie di contraenti non raggiungevano un accordo; per contro,
solo il 6% delle coppie più «personalizzate» arrivavano a un’impasse. Adottando un’altra misura per
valutare il successo della trattativa, i ricercatori hanno riscontrato anche che quando le coppie
coinvolte nell’esperimento riuscivano ad arrivare a una soluzione concordata insieme, il risultato
congiunto dell’accordo – ossia l’ammontare che si portava a casa ogni partecipante alla
contrattazione – era del 18% più elevato nei gruppi personalizzati rispetto a quello dei gruppi non
personalizzati. Perciò, dedicando un po’ di tempo a conoscere qualcosa di personale sulla
controparte e rivelando qualcosa di personale di voi stessi, avrete maggiori probabilità di accrescere
le dimensioni della torta da spartire.
Questi esperimenti ci dicono qualcosa sul ruolo delle comunicazioni elettroniche nelle
contrattazioni, ma che cosa ci dicono sulla persuasione diretta in cui un comunicatore cerca di
modificare le opinioni di un altro in merito a una determinata idea o questione? In un esperimento
condotto da uno di noi insieme a Rosanna Guadagno, responsabile della ricerca, abbiamo cercato di
rispondere a tale domanda. Ai partecipanti è stato detto che avrebbero discusso con un estraneo delle
questioni legate al campus, e che avrebbero potuto farlo o in un incontro personale o via e-mail;
senza che lo sapessero, l’estraneo era un assistente alla ricerca in incognito. Seguendo un copione
prestabilito, l’assistente cercava di persuadere il partecipante che l’università avrebbe dovuto
istituire una politica di valutazione complessa secondo cui gli studenti non avrebbero ricevuto la
laurea senza aver superato un lungo e difficile esame che giudicasse la loro conoscenza di una vasta
gamma di argomenti. Dobbiamo osservare che è difficile trovare una questione su cui gli studenti
universitari sono più unanimi: chiedere agli studenti, a eccezione delle rare teste d’uovo, se sono
favorevoli a superare esami onnicomprensivi prima della laurea, è come chiedergli se sono
favorevoli a fissare a 25 anni la soglia di età dopo la quale è consentito bere alcolici. Anche se in un
primo tempo gli studenti tendono dunque a essere quasi universalmente contrari all’idea di esami
onnicomprensivi, tuttavia si è scoperto che la contrarietà può essere aggirata: ma c’è una differenza
nella forza persuasiva del messaggio qualora venga comunicato di persona o via e-mail?
La risposta dipende dal sesso delle persone coinvolte. Poiché le donne sono generalmente più
propense degli uomini a costruire relazioni intime fra loro, e gli incontri faccia a faccia facilitano
questo tipo di rapporti, abbiamo ipotizzato che interagendo con partner dello stesso sesso, le donne
sarebbero state più facilmente malleabili nelle interazioni faccia a faccia che non via e-mail, mentre
la forma della comunicazione sarebbe stata meno importante per i maschi. Ed è più o meno quello
che abbiamo riscontrato: le ragazze si sono lasciate persuadere più facilmente di persona, ma i
ragazzi si sono lasciati persuadere nella stessa misura indipendentemente dal mezzo di
comunicazione usato. Purtroppo, non abbiamo esaminato le differenze di capacità persuasiva nelle
coppie di sesso opposto ma va bene così, poiché la persuasione fra i sessi opposti è argomento di un
libro completamente diverso!
Finora, abbiamo analizzato come certi aspetti della comunicazione online agiscano da blocco
nella costruzione e gestione delle relazioni personali, ma l’e-mailing può andare a detrimento della
forza di persuasione per un altro motivo: ci sono maggiori probabilità che s’instaurino dei malintesi.
E malauguratamente, tutti gli argomenti più forti e le strategie di persuasione più efficaci del mondo
non varranno niente se il ricevente malintende il vostro messaggio, le intenzioni del vostro messaggio
o, ancora peggio, entrambi.
La ricerca condotta dal comportamentista Justin Kruger e collaboratori aiuta a spiegare perché i
malintesi via e-mail siano tanto comuni. Gli studiosi sostengono che l’inflessione della voce e i gesti,
indizi non verbali assenti nella comunicazione via e-mail, agiscano generalmente come importanti
indicatori del vero significato della comunicazione quando il contenuto del messaggio è in qualche
modo ambiguo. Ad esempio, in risposta al messaggio di un collega sui contratti dei venditori, magari
scrivete «è una priorità assoluta». Anche se siete serissimi, è possibile che il collega interpreti
questa frase come carica di sarcasmo se in passato siete stati contrari a mettere in primo piano tali
contratti; nel caso l’aveste detto di persona naturalmente, l’inflessione della voce, l’espressione del
viso e il linguaggio del corpo avrebbero reso chiaro che eravate seri. Questo aspetto da solo
basterebbe a gettare una luce problematica sulla comunicazione via e-mail ma secondo Kruger e i
suoi collaboratori, la rende ancor più pericolosa la quasi completa inconsapevolezza, da parte di chi
spedisce tali messaggi, della possibilità che i suoi messaggi vengano malintesi. Poiché chi li invia ha
pieno accesso alle proprie intenzioni quando li crea, spesso dà per scontato che siano evidenti anche
per il ricevente.
I ricercatori hanno condotto tutta una serie di esperimenti per verificare le suddette ipotesi. In uno
di questi, i partecipanti sono stati suddivisi in coppie e a ognuno è stata assegnata la posizione di
mittente o di destinatario di vari messaggi. Il compito di chi inviava era creare diverse frasi che
dovevano comunicare una delle seguenti emozioni: sarcasmo, serietà, rabbia o tristezza. Ai
partecipanti veniva anche assegnato a caso uno dei seguenti tre mezzi di comunicazione: l’e-mail, la
voce o l’incontro faccia a faccia. Dopo la ricezione di ogni frase, il destinatario cercava di
indovinarne l’intenzione; inoltre prima di svolgere il suo compito, chi inviava il messaggio valutava
se il destinatario avrebbe interpretato correttamente o meno l’intenzione del messaggio.
I risultati dello studio hanno mostrato chiaramente che, anche se chi inviava i messaggi in tutti i
gruppi sperimentali sopravvalutava la capacità di comprensione dei riceventi, lo scarto era più
grande nel gruppo che aveva usato l’e-mail. Indipendentemente dal tipo di gruppo sperimentale, chi
inviava i messaggi prevedeva che il destinatario avrebbe individuato il tono in maniera corretta in
circa l’89% dei casi; mentre nei gruppi che comunicavano solo con la voce o faccia a faccia
indovinava il tono dei messaggi il 74% dei riceventi, nel gruppo che comunicava via e-mail
succedeva in circa il 63% dei casi. Questi risultati sembrano indicare che è più difficile interpretare
i messaggi scritti in genere, visto che il destinatario non può sentire l’inflessione della voce di chi
glieli spedisce.
Forse state pensando che simili risultati non siano così sorprendenti, considerando che tali
esperimenti quasi sempre coinvolgono estranei che non hanno esperienza gli uni degli altri. Siete così
sicuri che gli amici siano più precisi nell’interpretazione del tono delle e-mail che si scambiano? I
ricercatori hanno preso in considerazione anche questo tipo di situazioni, ed è interessante osservare
che i dati sono esattamente uguali. Il fatto che le comunicazioni scritte non possano essere decifrate
nella loro totalità anche da parte di coloro che ci sono più vicini, indica che i vostri amici si
sbagliano quando dicono che possono leggere in voi come su un libro aperto a meno che,
naturalmente, non vi ascoltino su una versione audio o DVD del libro stesso.
Perciò, che cosa può fare chi comunica di fronte a questo rischio? Forse usare le «faccine», che
dovrebbero servire a veicolare le emozioni in modo figurato (ad esempio :-()). Come si vede
nell’esempio, tuttavia, le faccine possono anche interferire col resto del messaggio o essere poco
chiare in altri termini, provocando ulteriore confusione. E se eliminassimo completamente l’e-mail,
scegliendo di comunicare solo attraverso il telefono o in interazioni faccia a faccia? Una decisione
simile potrebbe funzionare una volta alla settimana come alla US Cellular, ma non abbiamo sempre il
tempo o la capacità d’impegnarci in questo genere d’interazioni.
Per una potenziale soluzione, ritorniamo a una delle spiegazioni psicologiche essenziali di questi
malintesi. Come abbiamo accennato in precedenza, chi invia i messaggi si trova nella posizione di
sapere precisamente che cosa desidera comunicare, ma non si pone naturalmente nella prospettiva
del destinatario. In base a questo ragionamento, i ricercatori hanno condotto un altro esperimento per
verificare se fosse possibile eliminare la fiducia eccessiva del mittente nella capacità del
destinatario di capire il messaggio come lui l’intende. Questo esperimento era progettualmente simile
a quello sopradescritto, con alcune variazioni. Anzitutto, tutti i partecipanti comunicavano l’un l’altro
unicamente via e-mail; in secondo luogo, ad alcuni partecipanti sono state date istruzioni che gli
suggerivano come le loro affermazioni sarebbero potute essere male interpretate. I ricercatori hanno
riscontrato che in questo gruppo cresceva l’accuratezza delle previsioni sulle probabilità di
comprensione corretta dei messaggi.
In base ai risultati di quest’esperimento, come possiamo rendere più efficaci le comunicazioni
elettroniche e accrescere così le nostre capacità persuasive online? Prima di mandare e-mail su
qualsiasi argomento di una certa importanza, sarebbe saggio dedicare qualche istante alla lettura del
messaggio, facendo attenzione agli aspetti che ne potrebbero essere interpretati differentemente dalla
nostra intenzione, così da modificarlo perché sia più chiaro. Ovvero, come si usa controllare la
corretta digitazione delle parole e la correttezza grammaticale delle frasi per accrescere la chiarezza
del messaggio prima di cliccare irrevocabilmente su «Invia», anche rileggendolo in maniera più
distaccata si può renderlo più comprensibile. Se stai leggendo queste righe, Bill Gates, è troppo
tardi: stiamo già ottenendo il brevetto.
Infine dobbiamo osservare che, a volte, nemmeno la piena comprensione del messaggio da parte
del destinatario ci garantisce il suo consenso alle nostre richieste o il suo aiuto nel caso in cui glielo
chiediamo. Ad esempio un medico che conosciamo, e che era stato invitato a un matrimonio, ha avuto
grandi difficoltà a trovare un collega che lo sostituisse. Questa circostanza ci ha lasciato perplessi,
perché è una persona molto piacevole e rispettata, e sappiamo che si è prestato a sostituire diversi
colleghi in passato. Ma quando abbiamo indagato su come avesse chiesto aiuto ai colleghi, abbiamo
capito subito quale sia stato il problema: ci ha detto che aveva rivolto la richiesta con un’e-mail di
massa in cui ognuno poteva vedere il nome di tutti gli altri destinatari.
Questo tipo di strategia genera il cosiddetto problema della dispersione della responsabilità.
Mandando e-mail di massa che rendano visibili i nomi dei colleghi a cui si rivolge la stessa
richiesta, nessuno si sente personalmente responsabile di rispondere; infatti, probabilmente tutti
suppongono che qualcun altro della mailing-list accetterà di farlo. In una dimostrazione classica di
dispersione della responsabilità, gli studiosi di psicologia sociale John Darley e Bibb Latané hanno
riprodotto una situazione in cui uno studente simulava un attacco epilettico; quando era presente un
unico spettatore, questi correva in aiuto dello studente nell’85% circa dei casi, ma quando c’erano 5
spettatori, che si trovavano tutti in stanze separate e che non potevano sapere se la vittima
dell’attacco epilettico stesse ricevendo aiuto, solo il 31% degli spettatori andava in soccorso.
Che cosa avrebbe dunque potuto fare il nostro amico per accrescere le probabilità che qualcuno si
offrisse di sostituirlo? Se ne avesse avuto il tempo, avrebbe potuto scegliere le persone che gli
sembravano più propense a dirgli di sì – magari fra coloro che aveva sostituito in passato – e
rivolgere loro la richiesta di persona o tramite e-mail personalizzate. O se queste non fossero state
opzioni percorribili per qualsiasi ragione, avrebbe almeno dovuto inviare una e-mail in copia senza
mostrare i nominativi, così che i destinatari non potessero vedere a quante persone veniva rivolta la
stessa richiesta.
Finora abbiamo esaminato come il processo di comunicazione e persuasione sia influenzato
dall’uso dell’e-mail a confronto con le forme tradizionali di comunicazione. Ma che cosa dire degli
altri aspetti della persuasione con mezzi elettronici? Ad esempio, quali ricadute potrebbe avere la
ricerca psicologica sulla progettazione dei vostri siti web? Iniziamo con un esempio.
Supponiamo che, un giorno, dopo aver letto questo libro decidiate di procurarvene altre due
copie, così da averne una in casa, una in ufficio e una da tenere nel vano portaoggetti dell’auto in
caso di emergenza.
Dopo esservi impossessati delle ultime due copie dei 50 segreti della scienza della persuasione
rimaste in libreria e averle portate alla cassa, rimanete sorpresi da qualcosa che dice il commesso
del negozio. «È sicuro di voler comprare da noi queste due copie?» vi chiede. «So che il nostro
prezzo è molto conveniente, ma la libreria che si trova nell’isolato accanto vende il libro a circa il
15% in meno. Se vuole, le posso indicare come arrivarci.» Con un servizio clienti di questo genere –
o, più precisamente, con un disservizio clienti di questo genere – c’è da chiedersi come mai quella
libreria sia ancora aperta.
Anche se quest’esempio può sembrarvi un po’ assurdo, alcune aziende hanno adottato la stessa
pratica apparentemente suicida. Ad esempio la Progressive Auto Insurance, la terza compagnia di
assicurazioni auto degli Stati Uniti, è sempre andata fiera di sé per le innovazioni che la
contraddistinguono rispetto alla concorrenza, fra cui quella di essere stata la prima compagnia di
assicurazioni a livello mondiale ad avere aperto un sito Internet nel 1995. Un anno dopo, gli
automobilisti che cercavano informazioni sul premio dell’assicurazione, potevano consultare il sito
non solo per conoscere il listino prezzi della Progressive, ma anche quello offerto dalle maggiori
compagnie concorrenti. Oggi l’homepage ha addirittura un «indice dei premi», una schermata in cui si
elencano tutte le più recenti quotazioni. Anche se chiaramente la Progressive ha il premio migliore in
molti casi, non sempre è così. Ad esempio, quando siamo andati a consultarne il sito poco prima di
scrivere questo passo, l’indice mostrava come un certo C. M. che abitava nel Wisconsin, avesse
risparmiato quasi 942 dollari all’anno sottoscrivendo un’assicurazione per la sua Toyota con una
compagnia concorrente della Progressive.
Con questa strategia, allora, la Progressive si assicura più clienti o si garantisce l’estinzione?
L’enorme crescita della società a partire dal momento in cui ha realizzato questa innovazione – in
media del 17% l’anno, con un premio annuo che è aumentato da 3,4 miliardi di dollari a 14 miliardi
di dollari – indica che sta funzionando. La ricerca di Valerie Trifts e Gerald Häubl ci spiega perché.
Nel loro esperimento, la Trifts e Häubl hanno comunicato ai partecipanti al test che la loro
università stava considerando la possibilità di stringere un rapporto di convenzione con una delle
tante società di vendita di libri online, e che avevano il compito di fare una ricerca in rete di un
elenco prestabilito di libri, paragonare il prezzo proposto da ciascun venditore e decidere quale
società scegliere. Da notare che metà dei partecipanti è stata orientata verso venditori che non
elencavano solo il proprio prezzo per un certo libro, ma anche quello di una serie di concorrenti,
mentre il paragone non veniva proposto all’altra metà dei partecipanti. I ricercatori hanno anche
diversificato la posizione di mercato dei venditori in modo che alcuni partecipanti potessero vedere
che i loro prezzi, in media, erano relativamente bassi mentre altri vedevano che i prezzi erano
relativamente alti e altri ancora che erano più o meno gli stessi di quelli dei vari venditori.
I risultati convalidano la pratica della Progressive? In larga misura sì, ma è importante osservare
che dipendevano dal fattore determinante della posizione di mercato. Quando i prezzi del venditore
che si comportava come la Progressive erano chiaramente e coerentemente al di sotto o al di sopra di
quelli degli altri, era indifferente che venisse fornito o meno il confronto fra i prezzi; quando,
tuttavia, i prezzi del venditore erano più alti per alcuni libri e più bassi per altri – circostanza che è
più simile a come operano le aziende in realtà – fornire un confronto fra i prezzi era determinante: in
questa situazione, i partecipanti erano più propensi a comprare dal venditore che aveva adottato il
comportamento della Progressive. Oltre a sembrargli più degno di fiducia – in fin dei conti, come
abbiamo visto in precedenza, le persone e le organizzazioni disoneste raramente vanno contro i
propri interessi –, i consumatori probabilmente apprezzano che gli si fornisca un termine di confronto
sulla stessa schermata, poiché così risparmiano tempo e lavoro.
Insomma per tornare allo scenario iniziale dell’acquisto di libri, secondo i risultati dello studio –
e del successo della scelta della Progressive finora – le società che informano i potenziali clienti sui
prezzi della concorrenza possono qualche volta perdere una battaglia, ma in definitiva si mettono in
una posizione tale da vincere la guerra dei prezzi.
La ricerca sul confronto online ha mostrato come certe caratteristiche dei siti web aziendali
possano essere costruite per convincere i potenziali clienti a usare i loro servizi. Ma esistono lati
meno evidenti delle pagine web che sono tuttavia in grado d’influenzare i comportamenti del
consumatore? Ad esempio, potrebbe un aspetto apparentemente marginale come lo sfondo della
pagina web trasformare i consumatori potenziali da internauti in acquirenti?
Diversi test condotti dai ricercatori Naomi Mandel ed Eric Johnson sui comportamenti del
consumatore indicano che la risposta è sì. In uno di questi esperimenti, i partecipanti visitavano una
pagina web che ospitava un ipotetico sito di acquisto in cui potevano scegliere fra due tipi di divani:
un tipo era molto comodo ma anche molto costoso, mentre l’altro era solo abbastanza comodo ma
poco costoso. I ricercatori hanno variato anche lo sfondo della pagina web, per cercare di orientare
la decisione dei partecipanti o verso il risparmio o verso la comodità. Per la scelta degli sfondi, si
sono basati su alcuni dati di uno studio precedente, in cui ai partecipanti veniva mostrata l’immagine
pubblicitaria di un divano che si stagliava su una pioggia di monetine contro uno sfondo verde o su
soffici nubi contro uno sfondo blu. Dopo aver chiesto ai partecipanti di elencare gli aspetti più
importanti da prendere in considerazione nell’acquisto di un divano, coloro che l’avevano visto con
lo sfondo di monetine davano maggiore importanza al fattore costo di quelli che l’avevano visto con
lo sfondo di nubi; nella stessa logica, questi ultimi davano più importanza alla comodità.
A partire da questi risultati preliminari, la Mandel e Johnson hanno ipotizzato che se nell’acquisto
di un divano online i partecipanti al test l’avessero visto su uno sfondo di nubi, avrebbero optato per
il tipo più comodo (ma più costoso), mentre il contrario sarebbe successo se l’avessero visto su uno
sfondo di monetine: ed è esattamente quello che hanno verificato. Questi risultati non erano
applicabili a un solo tipo di prodotto: ad esempio, i partecipanti al test sceglievano l’auto più sicura
(ma più costosa) invece di un’altra meno sicura (ma meno costosa) quando lo sfondo raffigurava
un’immagine rossa e arancione che ricordava le fiamme visibili dopo un grave incidente stradale.
Particolarmente interessante di questi risultati è osservare con quale potenza queste caratteristiche
dell’immagine influenzino i comportamenti senza che ce ne rendiamo conto. Infatti, quasi tutti i
partecipanti a tali esperimenti erano convinti che lo sfondo non avesse nessun effetto sulle loro
scelte; eppure, come abbiamo verificato, questa opinione non rispecchia la realtà.
Forse i suddetti risultati possono avere, per voi, un’implicazione fondamentale: indicano che certe
caratteristiche della pagina web della vostra attività, come le immagini che appaiono sullo sfondo,
hanno un’influenza molto più grande sui comportamenti dei consumatori di quanto non abbiate mai
pensato; indicano inoltre che avete l’opportunità di operare una scelta strategica sugli sfondi e altre
immagini del sito Internet in base alle qualità dei beni e servizi che offrite. In altre parole
selezionando accuratamente lo sfondo del vostro sito, potete portare in primo piano i punti forza del
prodotto e forse anche quelli della vostra organizzazione.

Influenza globale

Hai, hao, da, ja, yes, oui. Le persone nel mondo dicono sì in modi molto diversi, ma ciò significa
che le strategie di persuasione che usiamo per conquistarne l’assenso devono essere diverse in
funzione del retaggio culturale dei destinatari? O esiste un approccio standard ugualmente efficace
indipendentemente dalla provenienza delle persone? Anche se i principi fondamentali dell’influenza
sociale e di molte strategie che abbiamo esaminato sono potenti strumenti di persuasione in tutte le
culture, ricerche recenti indicano che dovreste operare alcune sottili differenze nelle tattiche e nei
messaggi in relazione all’ambiente culturale delle persone che cercate d’influenzare. Essenzialmente,
queste differenze dipendono dalle norme culturali e tradizioni vigenti in società diverse i cui membri
tendono, di conseguenza, a dare maggior peso ad alcuni aspetti dei messaggi piuttosto che ad altri.
Prendiamo la ricerca condotta da Michael Morris e collaboratori sui dipendenti della Citibank,
una delle più grandi multinazionali della finanza. Morris e collaboratori hanno intervistato i
dipendenti della multinazionale in quattro Paesi diversi – Stati Uniti, Germania, Spagna e Cina (Hong
Kong) – valutandone la volontà di collaborazione in caso di richiesta da parte dei colleghi. Anche se
i partecipanti al sondaggio erano influenzati da molti fattori comuni, alcuni di questi erano più
influenti di altri secondo l’area geografica di appartenenza.
I dipendenti degli Stati Uniti, ad esempio, avevano un approccio più basato sulla reciprocità e si
chiedevano: «Che cosa ha fatto questa persona per me?» sentendo l’obbligo di aiutarla se le
dovevano un favore. I dipendenti tedeschi, d’altro canto, erano più influenzati dalla conformità o
meno della richiesta alle regole dell’organizzazione e decidevano se acconsentire domandandosi:
«Secondo il regolamento e le categorie ufficiali, sono tenuto a rispondere a questa richiesta?» Il
personale spagnolo della Citibank fondava, invece, la propria decisione più sulle regole
dell’amicizia che spingono alla lealtà indipendentemente dalla posizione o dallo statuto. Si
chiedevano: «Questa persona ha legami con i miei amici?» E infine, i cinesi rispondevano
primariamente all’autorità in forma di lealtà verso coloro che avevano uno statuto superiore
all’interno del gruppo, chiedendosi: «Questa persona ha legami con qualche esponente della mia
unità, soprattutto con qualche esponente di grado elevato?»
Come Morris e collaboratori hanno evidenziato, la ricerca ha diverse e importanti applicazioni.
Anzitutto le aziende che vogliono trasferire pratiche, politiche e strutture organizzative da un
ambiente culturale all’altro devono essere sensibili alle norme che regolano i rapporti di reciprocità
nel nuovo ambiente, o rischiano di trasformare quella che in una determinata società è una macchina
ben oliata, in una carretta ingolfata.
I risultati della ricerca indicano anche che i dirigenti che vengono trasferiti da un contesto
culturale a un altro, hanno spesso bisogno di aggiustare le loro strategie per garantirsi il consenso
nella nuova sede. Ad esempio, un manager che venga trasferito da un ufficio di Monaco a una sede di
Madrid scoprirà che lo sviluppo di relazioni personali di amicizia è un aspetto di maggior
importanza per conquistare il consenso nel nuovo posto di lavoro; un manager che faccia il percorso
inverso invece, probabilmente scoprirà che le richieste che esulano dalle linee guida formali
dell’organizzazione – ad esempio, l’invito ai collaboratori di trascurare qualche documento, magari
una pratica accettata nell’ambiente di lavoro precedente – non sono considerate corrette nella nuova
sede.
Anche se la ricerca presso la Citibank sulle quattro culture esaminate mette in luce varie e
importanti dimensioni psicologiche, i ricercatori dell’influenza sociale hanno indirizzato la propria
attenzione su come una dimensione in particolare, ovvero quella dell’individualismo-collettivismo,
influenzi il processo di persuasione. In breve, l’individualismo è un orientamento che dà la più alta
priorità alle preferenze e ai diritti dell’individuo; il collettivismo, d’altro canto, dà la più alta
priorità alle preferenze e ai diritti del gruppo. Malgrado sia un’esemplificazione un po’ eccesiva, si
può dire che nelle culture individualistiche si dà la precedenza all’io, mentre nelle culture
collettivistiche si dà la precedenza al noi. Le popolazioni in Paesi come gli Stati Uniti, il Regno
Unito e altre nazioni occidentali tendono a essere più individualiste mentre quelle di molti altri Paesi
del mondo, fra cui le aree oggi emergenti sul mercato internazionale – come alcuni stati asiatici,
sudamericani, africani e dell’Europa orientale – sono più collettivisti.
Sang-Pil Han e Sharon Shavitt hanno esaminato le implicazioni, per i processi di persuasione, di
tali orientamenti culturali diversi in contesti di mercato. Secondo la loro ipotesi, nelle culture
collettiviste gli spot pubblicitari che indirizzano l’attenzione dei consumatori verso i benefici di un
prodotto per i membri del gruppo di riferimento (gli amici, la famiglia o i colleghi) dovrebbero
essere più efficaci degli spot che mettono unicamente in luce i benefici del prodotto per il
consumatore stesso. Le ricercatrici hanno anche ipotizzato che fosse soprattutto vero in relazione ai
prodotti che in genere si condividono con altri, come i climatizzatori o i dentifrici.
La Han e la Shavitt hanno prima di tutto cercato le evidenze a sostegno delle loro ipotesi. Hanno
preso due riviste statunitensi e due sudcoreane con lo stesso livello di gradimento e tipo di
argomenti; poi ne hanno selezionato a caso degli annunci pubblicitari e hanno addestrato
intervistatori nativi dei due Paesi, e bilingui, perché ne valutassero l’orientamento verso i benefici
del prodotto pubblicizzato per i lettori o il loro gruppo. I ricercatori hanno riscontrato che gli annunci
statunitensi tendevano a evidenziare i benefici del prodotto per l’individuo molto più di quelli
coreani, soprattutto se erano prodotti condivisi. Mentre gli annunci statunitensi facevano in genere
appello all’individualità del lettore (ad esempio, con slogan tipo «l’arte di essere unici»), alla
motivazione per il miglioramento di sé («tu, il migliore») e agli obiettivi personali («con questo
nuovo look, sono pronto per il nuovo ruolo»), gli annunci sudcoreani si appellavano più al senso di
responsabilità del lettore verso il gruppo (ad esempio, con slogan tipo «un nuovo, stimolante modo di
provvedere alla tua famiglia»), alla motivazione a migliorare il gruppo («un sogno di prosperità per
tutti noi») e alla considerazione delle opinioni del gruppo («tutta la famiglia è d’accordo per la scelta
del nostro arredo»).
Dopo aver avuto conferma che i messaggi persuasivi di cui erano permeati questi annunci erano
diretti a motivazioni del consumatore differenziate in base all’orientamento culturale della loro
società di appartenenza, le ricercatrici hanno voluto rispondere a una domanda psicologicamente più
importante: i messaggi orientati collettivamente e individualmente sono davvero più persuasivi nelle
rispettive culture? Infatti a volte, come abbiamo visto nell’Introduzione, anche se gli operatori del
mercato pensano che certi tipi di messaggio siano più efficaci, ciò non significa che lo siano
davvero.
Per rispondere a questa domanda, la Han e la Shavitt hanno elaborato due versioni diverse di
annunci su una serie di prodotti: una versione più orientata individualmente e una più orientata
collettivamente. Ad esempio, la versione individualista dell’annuncio di una marca di chewing gum
diceva: «Concediti una boccata d’aria fresca». Osservate che questo messaggio si concentra sui
benefici dell’alito fresco come se riguardassero solo il consumatore ma, come tutti noi sappiamo per
esperienza, l’alito di ognuno non è soltanto una questione personale; riguarda anche chi gli sta
intorno. Comprensibilmente allora, la versione collettiva di quest’annuncio afferma: «Condividi una
boccata d’aria fresca» (naturalmente, gli annunci erano scritti in inglese per i partecipanti statunitensi
e in coreano per i partecipanti sudcoreani).
I risultati hanno mostrato che i partecipanti sudcoreani erano più influenzati dall’annuncio
collettivista, mentre era vero il contrario per i partecipanti statunitensi; e coerentemente con il primo
studio, questo effetto era potente soprattutto in relazione ai prodotti che si tende a condividere con gli
altri. Tali risultati dovrebbero far riflettere qualsiasi operatore di mercato che stia prendendo in
considerazione l’idea di azzerare le differenze fra i vari Paesi con una campagna buona per tutti i
mercati. Al contrario, queste campagne dovrebbero essere elaborate in modo da andare incontro
all’orientamento culturale delle società cui sono rivolte; può dipenderne l’alito di un’intera nazione.
La ricerca della Han e della Shavitt mostra, dunque, come le popolazioni che appartengono a
culture individualiste tendano a dare maggiore importanza alle proprie esperienze mentre le
popolazioni che appartengono a culture collettiviste, a darne di più alle esperienze del prossimo. In
che modo queste differenze culturali possono modificare il peso relativo che si attribuisce ai principi
fondamentali dell’influenza sociale?
Per affrontare tale questione, ci avvaliamo di un esempio; e chi può illustrare meglio le tendenze
della popolazione di una cultura individualmente orientata di una figura di spicco del Paese più
individualista del mondo – gli Stati Uniti – e che pratica il più individualista degli sport, il golf?
Diversi anni fa, il leggendario golfista statunitense Jack Nicklaus assistette alla morte straziante del
suo nipotino. Alcuni giorni dopo, Nicklaus dichiarò in un’intervista che le sue possibilità di essere
fra i giocatori di uno dei più prestigiosi tornei di golf, i Masters, erano «minime se non nulle»,
eppure con grande sorpresa di molti, annunciò anche che avrebbe partecipato a due altre gare di golf
nel futuro prossimo. Quale potente fattore ha avuto la forza di convincere un uomo in lutto a
partecipare a questi eventi dopo essere stato colpito da una simile tragedia? Si dà il caso che
Nicklaus avesse promesso al nipote, prima della sua morte, che avrebbe giocato nelle due gare. Ha
detto il golfista: «Se ci si prende un impegno, bisogna rispettarlo».
Come abbiamo visto, la motivazione a essere coerenti con un impegno preso in precedenza ha
spesso un grosso potere sulle azioni delle persone; ma ha la stessa forza in tutte le culture? Ossia date
le stesse condizioni e la stessa situazione, un golfista di un diverso ambiente culturale si sarebbe
sentito altrettanto vincolato da azioni e impegni precedenti?
Per avere una migliore comprensione della risposta a questa domanda, consideriamo un
esperimento che uno di noi ha condotto con Stephen Sills e Petia Petrova. In questostudio, alcuni
studenti statunitensi e asiatici internazionali hanno ricevuto un’e-mail in cui gli si chiedeva di
rispondere a un sondaggio online. Un mese dopo aver ricevuto la prima richiesta, ognuno di loro ha
ricevuto una seconda e-mail che gli chiedeva di partecipare a un altro sondaggio online legato al
primo, la cui compilazione gli avrebbe richiesto il doppio del tempo del primo.
Che cosa abbiamo scoperto? Prima di tutto, che gli studenti statunitensi erano un po’ meno
consenzienti dei colleghi asiatici di fronte alla richiesta iniziale; però fra quelli che avevano
accettato la richiesta iniziale, i partecipanti statunitensi erano più disponibili verso la seconda
richiesta (il 22% circa) dei partecipanti asiatici (circa il 10%). In altri termini, abbiamo verificato
che l’accettazione della richiesta iniziale ha avuto un’influenza molto maggiore sulla successiva fra i
partecipanti statunitensi che non fra i partecipanti asiatici.
Perché? Forse un altro studio, che uno di noi ha condotto con diversi colleghi, può fare luce sulla
complessa questione. In questa ricerca quando abbiamo chiesto a degli studenti statunitensi di
partecipare gratuitamente a un’indagine di mercato, abbiamo riscontrato che erano più influenzati
dalla propria passata adesione a richieste simili – ossia, dal proprio impegno precedente – che non
dal grado di adesione dei loro pari. Ma in Polonia, un Paese più improntato al collettivismo,
succedeva il contrario; in questo caso, il comportamento precedente del gruppo era il fattore
motivante decisivo dell’adesione corrente.
Questi risultati sono la logica conseguenza delle differenze culturali fra individualismo e
collettivismo. Dato che le persone che appartengono a culture individualiste tendono a dare maggior
peso alle esperienze personali, la coerenza con le proprie esperienze precedenti è spesso un potente
fattore motivante; e poiché le persone che appartengono a culture collettiviste tendono a dare
maggiore peso alle esperienze del prossimo, il comportamento degli altri è un fattore motivante
altrettanto potente. Ciò significa che quando si chiede un favore a un inglese, un americano o un
canadese, si avrà più successo sottolineando che è coerente con le sue azioni passate; ma quando lo
si chiede alle persone appartenenti a Paesi più collettivisti, si avrà maggior successo sottolineando
che è coerente con le azioni passate del gruppo di pari.
Per fare riferimento a un esempio specifico, supponiamo che la vostra impresa sia in affari da due
anni con una ditta dell’Europa orientale; che durante questo periodo di tempo, vi sia spesso capitato
di chiedere ai partner europei di fornirvi informazioni commerciali regolarmente aggiornate e che il
vostro principale contatto, Slawek, con i suoi collaboratori si sia spesso fatto in quattro per aiutarvi.
Supponiamo ancora che abbiate bisogno di ulteriori aggiornamenti e che in una conversazione
telefonica rivolgiate la richiesta nel modo seguente: «Slawek, mi sei stato finora così d’aiuto che
spero tu possa fornirci di nuovo delle informazioni commerciali aggiornate». Pronunciando queste
parole, fareste un errore. Infatti i risultati dello studio suggeriscono che avreste avuto maggior
successo se aveste detto: «Slawek, tu e i tuoi collaboratori mi siete stati finora così d’aiuto che
spero possiate fornirci di nuovo delle informazioni commerciali aggiornate». Per un inglese, un
europeo occidentale o un nordamericano è un facile errore, perché questi essendo individualisti,
suppongono che ognuno preferisca operare in accordo col principio di coerenza personale, la
tendenza a decidere che cosa fare in base a ciò che si è precedentemente fatto. Ma come dimostrano
le suddette ricerche, in molti Paesi collettivisti la coerenza personale con le azioni precedenti è
superata dal principio di evidenza sociale, ossia la tendenza a decidere che cosa fare in base a quello
che il proprio gruppo ha fatto in precedenza.
Le popolazioni appartenenti alle due diverse culture tendono a differenziarsi anche rispetto al
peso relativo che attribuiscono a due funzioni centrali della comunicazione. In breve, una funzione
della comunicazione è di tipo informativo: quando comunichiamo, veicoliamo informazioni ad altri.
Una seconda e meno ovvia funzione è di tipo relazionale. Anche se entrambe le funzioni sono
ovviamente importanti in tutte le culture, i ricercatori Yuri Miyamoto e Norbert Schwarz hanno
assunto che quelle individualiste diano maggiore enfasi alla funzione di tipo informativo e quelle
collettiviste alla funzione di tipo relazionale.
Benché queste differenze culturali abbiano ricadute su tutta una serie di questioni legate alla
comunicazione, Miyamoto e Schwarz ne hanno esaminato un aspetto che permea la nostra vita
quotidiana sia in famiglia che sul posto di lavoro: i messaggi che lasciamo alle segreterie
telefoniche. I ricercatori hanno ipotizzato che a causa delle tendenze collettiviste dei giapponesi e
della loro conseguente attenzione alla forma e al mantenimento delle relazioni sociali, essi abbiano
maggiori difficoltà a registrare richieste un po’ complesse su una segreteria telefonica; e che se i
giapponesi si preoccupano più degli americani di come i loro messaggi influenzino le relazioni con il
destinatario, lasciare messaggi di cui non hanno feedback potrebbe provocargli un maggiore stress.
Per verificare questa ipotesi, in un test Miyamoto e Schwarz hanno chiesto ai partecipanti americani
e giapponesi di registrare una richiesta piuttosto dettagliata di aiuto su una segreteria telefonica
usando la propria madrelingua; mentre gli americani sono andati dritti al cuore dell’informazione, i
giapponesi hanno lasciato messaggi più lunghi, mostrandosi più preoccupati di come il messaggio
avrebbe influenzato la loro relazione con il destinatario.
I ricercatori hanno anche intervistato i giapponesi e gli americani sulla propria relazione con le
segreterie telefoniche; mentre gli americani rispondevano che circa la metà delle volte riattaccavano
quando s’imbattevano in una segreteria telefonica, i giapponesi rispondevano che riattaccavano un
sorprendente 85% delle volte. E in coerenza con la spiegazione dei ricercatori dei risultati del loro
studio, quando gli è stato chiesto che cosa non gli piacesse delle segreterie, i giapponesi
accennavano in genere ad aspetti legati a questioni relazionali (ad esempio «è difficile usare un tono
confidenziale con una segreteria») più degli americani, mentre il pattern era inverso per quanto
riguardava gli aspetti legati a questioni di tipo informativo (ad esempio «a volte le persone non
l’ascoltano»).
Che cosa ci dicono questi risultati sull’influenza in genere? Come abbiamo visto in precedenza in
questo capitolo, le relazioni sono una componente chiave del processo di persuasione, ma è
soprattutto vero per le popolazioni di Paesi con orientamento collettivista. Lasciando messaggi si può
essere tentati, se soprattutto si appartiene a una cultura di tipo individualista, a concentrare
l’attenzione interamente sulla necessità di comunicare in modo efficiente un’informazione ignorando
la relazione con il destinatario del messaggio. Questi risultati indicano che, negli interscambi con
persone di culture collettiviste, è particolarmente importante essere attenti alla relazione e in
particolare agli aspetti che genuinamente si condividono.
Lo stesso metodo dovrebbe essere seguito nella conversazione. Infatti, in base a una ricerca che
mostra come gli ascoltatori giapponesi tendano a fornire più feedback degli americani durante la
conversazione (come «capisco», «certo»), Miyamoto e Schwarz ipotizzano che a un giapponese
parlare con un americano possa sembrare un po’ come parlare con una segreteria telefonica. Questa
idea è in sintonia con un ulteriore sondaggio in cui si è verificato che ai giapponesi non piace
lasciare messaggi nelle segreterie telefoniche perché «è difficile parlare dato che non ci sono
risposte». I risultati in esame indicano che dovremmo sforzarci di offrire dei feedback alle persone
di cultura collettivista, dai quali possano capire che teniamo alla relazione con loro come alle
informazioni che ci stanno comunicando.
Questi risultati servono anche ad avvertirci che lasciare che risponda la segreteria telefonica può
essere una decisione azzardata, specialmente quando chi chiama appartiene a una cultura di tipo
collettivista. Se pensate che alla peggio state ingaggiando un semplice gioco a «nascondino
telefonico», potreste scoprire che rischia presto di diventare un «solitario».
Influenza etica

In questo libro, abbiamo descritto le strategie d’influenza sociale come strumenti della vostra
cassetta degli attrezzi di persuasione; ed è proprio così che dovrebbero essere usate, come arnesi
costruttivi utili a intrecciare relazioni autentiche, a evidenziare i punti forza genuini dei propri
messaggi, iniziative o prodotti, e in definitiva a creare risultati nell’interesse e con la soddisfazione
di tutte le parti. Quando questi strumenti sono invece impugnati in modo non etico, come armi – ad
esempio, per applicare disonestamente o artificiosamente i principi dell’influenza sociale a
situazioni improprie –, il tornaconto a breve è quasi invariabilmente seguito da perdite sul lungo
periodo. Anche se l’uso disonesto di strategie di persuasione funziona a volte nel breve termine –
forse qualcuno potrebbe essere persuaso con una serie di cattivi argomenti, o con l’inganno, a
comprare un prodotto difettoso –, le conseguenze a lungo termine sulla reputazione sono letali quando
una disonestà simile viene infine scoperta.
L’uso disonesto di strumenti di persuasione, che sarebbe saggio evitare, non è neppure semplice;
esistono inoltre pericoli intrinseci nel tentativo di sfruttare le applicazioni di alcuni degli strumenti
che abbiamo descritto. Ad esempio, nella primavera del 2000 il Regno Unito si ritrovò in una crisi
seria; le aziende di tutto il Paese erano in preda alla disperazione; le scuole erano deserte, i negozi si
contendevano gli ultimi clienti e i servizi pubblici erano a rischio di collasso. Quali erano le ragioni
di questa crisi? Non c’era più benzina. In realtà, quest’affermazione è solo parzialmente vera; infatti
c’era abbondanza di benzina, solo che le stazioni di servizio non avevano rifornimenti a causa del
blocco di una serie di raffinerie di petrolio da parte di cittadini arrabbiati per il prezzo della benzina.
La scarsità di carburante ebbe rapide conseguenze; decine di migliaia di automobilisti formarono
lunghe code davanti alle stazioni di servizio in attesa di fare l’agognato pieno. Quando la penuria di
benzina cominciò a far sentire la sua morsa, il comportamento degli automobilisti cambiò. I giornali
locali e nazionali, le radio e le TV raccontavano come gli automobilisti si mettessero in coda per
riempire le taniche di benzina solo per poi spostarsi qualche chilometro più avanti e rimettersi in
coda per riempirle di nuovo; altri automobilisti dormivano di notte in macchina sul piazzale delle
stazioni di servizio nella speranza d’essere i fortunati destinatari di uno dei rari trasporti di benzina
che riuscivano a eludere i blocchi. Questo è il potere della penuria in azione.
All’apice della crisi, circolò la voce che il proprietario di una stazione di servizio avesse
ricevuto una fornitura dell’agognato carburante; era l’unico distributore che ne fosse dotato nell’area
di molti chilometri, e la notizia si diffuse in un baleno. Comprendendo di trovarsi in una posizione
straordinaria e vedendo la lunghezza della fila che si stava formando davanti alla sua stazione di
servizio, questo intraprendente uomo d’affari, forse prevedibilmente, pensò di avvantaggiarsi della
propria posizione vendendo la benzina sovrapprezzo; ma invece di accontentarsi di un piccolo
aumento, ne moltiplicò il costo per dieci, portandolo a più di 6 sterline al litro!
Credete che gli automobilisti arrabbiati ma ancora affamati di benzina abbiano rifiutato in massa
di pagare questo prezzo, simile a un’estorsione? Quasi nessuno. Pur arrabbiati, restarono in fila per
rifornirsi di tutta la benzina che poterono e nel giro di poche ore, ne fu versata dalla cisterna l’ultima
goccia; il proprietario intascò in un unico giorno una somma per cui normalmente avrebbe dovuto
lavorare due settimane.
Ma che cosa accadde a questa stazione di servizio due settimane dopo, quando la crisi finì? In una
parola, le conseguenze furono disastrose. Sfruttando la penuria di benzina e costringendo gli
automobilisti disperati a pagarla a un prezzo ridicolmente dilatato, il proprietario della stazione si
era procurato dei profitti a breve termine ma perse tutto sul lungo periodo. I clienti, molto
semplicemente, boicottarono la sua stazione di servizio. Anzi, alcuni andarono anche oltre, facendosi
un punto d’onore d’informare gli amici, i vicini e i colleghi, delle azioni del benzinaio; la sua
stazione di servizio perse quasi tutti i clienti e in breve la sua reputazione danneggiata lo costrinse a
chiudere. Questo evento è coerente con tutta una serie di ricerche che mostrano come coloro che si
comportano in modo inaffidabile, difficilmente riescono a riconquistare la fiducia del pubblico.
Se il benzinaio avesse passato in rassegna l’insieme dei potenti strumenti d’influenza sociale
disponibili nella sua cassetta degli attrezzi di persuasione, avrebbe scoperto d’avere scelte
sicuramente migliori e che gli avrebbero arrecato profitti a lungo termine molto maggiori. Anzitutto,
avrebbe potuto scegliere di distribuire le sue scorte di benzina in primo luogo ai suoi clienti locali o
regolari, premurandosi d’informarli che agiva così perché stimava la loro fedeltà; o avrebbe potuto
affiggere un cartello in cui diceva che rifiutava di approfittarsi degli automobilisti in stato di bisogno
in tempi di crisi; andando contro i propri interessi (almeno, quelli a breve) si sarebbe di sicuro reso,
agli occhi dei clienti, più gentile, generoso e affidabile; una mossa che lo avrebbe certo ripagato con
grossi dividendi in futuro. Anche se non avesse fatto niente di tutto questo ma avesse mantenuto
ragionevole il prezzo della benzina, i clienti sarebbero stati probabilmente più che felici di comprare
qualche articolo extra nel negozio della stazione di servizio solo perché gli erano grati per non
essersi approfittato di loro in quelle difficili circostanze.
Per certi versi tuttavia, le azioni del benzinaio sono comprensibili. Come molte persone che
desideriamo influenzare sono il più delle volte costrette a prendere rapide decisioni dal mondo
vorticoso in cui sono immerse, lo stesso accade a noi persuasori e spesso la prima strategia che ci
viene in mente non è anche la più etica. Ma facendo uno sforzo in più e prendendo in considerazione
tutte le opzioni al momento disponibili – usando la cassetta degli attrezzi – possiamo convincere gli
altri in modo genuino, onesto e durevole, ad adottare la nostra prospettiva, prodotto o iniziativa. E
allo stesso tempo in quanto persuasori con valori etici, possiamo trovare conforto nel sapere che
coloro che scelgono di brandire l’influenza sociale come un’arma invece che come uno strumento,
finiranno inevitabilmente con lo spararsi sui piedi.
La persuasione sociale in azione

In questo libro abbiamo cercato di esaminare una serie di aspetti del funzionamento, dal punto di
vista scientifico, del processo di persuasione. È stata nostra premura proporvi solo le strategie di
persuasione che si sono dimostrate efficaci attraverso ricerche e studi rigorosamente controllati, e
abbiamo scelto deliberatamente di non basare i nostri consigli su intuizioni o aneddoti personali. Al
contrario, ci siamo basati interamente sulla significativa mole di ricerche proveniente dallo studio
dell’influenza e della persuasione sociale. Perciò potete avere fiducia, poiché i vostri tentativi
d’influenzare e persuadere gli altri non si fonderanno più, d’ora in poi, unicamente sulla vostra
intuizione ed esperienza; adesso avete anche una scienza che vi sostiene.
Veniamo spesso contattati da persone che ci raccontano le loro esperienze nel campo della
scienza della persuasione. Queste persone vengono dai più svariati ambienti di lavoro: alcune
lavorano per multinazionali, altre in ambito governativo o educativo, altre lavorano autonomamente e
altre ancora sono soltanto persone interessate a quel che ci insegna la scienza della persuasione.
Ecco alcune testimonianze a questo proposito:

Nick Pope, direttore di training per gli addetti alle vendite (Europa, Medioriente, Africa) della
Bausch and Lomb:

Per sviluppare le relazioni con i clienti, spesso li invitiamo a presentazioni informative ed eventi. Ai
nostri giorni, i clienti sono bombardati da centinaia di richieste di partecipare a eventi e a giornate di
studio sponsorizzate da diverse società; non c’è quindi da meravigliarsi se a volte molti di coloro
che inizialmente si dicono disponibili, poi non si fanno vedere al meeting e quest’assenza può avere
un impatto significativo sulla nostra azienda.
Usando il principio d’impegno e coerenza, prima d’invitare i clienti a un incontro importante gli
chiediamo (a) d’indicare il loro interesse per un particolare argomento e poi (b) di formulare alcune
domande su cui vorrebbero avere una risposta in merito all’argomento in questione.
Quando ricevono l’invito, gli spieghiamo che ad alcune delle domande risponderanno i nostri
ospiti ed esperti.
L’aspettativa di una risposta alle loro domande (che si sono impegnati a formulare) in un incontro
pubblico ha nettamente innalzato il livello del numero di partecipanti.

Dan Norris, direttore di training del personale agli Holt Development Services di San Antonio,
Texas:
Gli omaggi sono una caratteristica del mondo del franchising sportivo; che siano distintivi per
cappellini, T-shirt o posti gratuiti, molte squadre come le nostre li usano per attirare i fan alle partite.
Il proprietario della nostra impresa possiede diverse squadre sportive, fra cui un club di una società
minore di hockey.
Dopo un periodo di scarse vendite di biglietti, siamo stati costretti a dire ai nostri abbonati che
dovevamo ridurre drasticamente gli omaggi promozionali. Abbiamo programmato l’incontro con
diversi gruppi di fan e il primo gruppo ha reagito molto negativamente alla notizia; consideravano gli
omaggi quasi come una promessa più che come un dono e gli avevamo maldestramente prospettato la
possibilità di perdere quello che si aspettavano di ricevere. L’incontro rapidamente si è avvitato su
se stesso e molti fan sono tornati a casa arrabbiati.
A seguito di quell’incontro, ci siamo riuniti per formulare una strategia diversa e abbiamo pensato
di potenziare la nostra efficacia applicando il principio di reciprocità. Al successivo incontro con un
gruppo di fan, abbiamo iniziato chiedendo loro il nome dei vari omaggi che gli avevamo offerto
durante l’anno; così hanno incominciato a evocare maglie, biglietti omaggio, mazze da hockey
autografate, ecc. Allora, abbiamo detto loro: «Siamo felici di avervi offerto questi doni, e ci
piacerebbe continuare a distribuirveli anche in futuro; tuttavia, le vendite dei biglietti stanno
crollando e sarà difficile offrirveli ancora. Che cosa possiamo fare insieme per portare più spettatori
alle partite?» Le reazioni di questo gruppo di fan non sono nemmeno lontanamente paragonabili a
quelle del primo gruppo: hanno cominciato a collaborare chiedendosi come avrebbero potuto portare
alle partite più amici e familiari, e alcuni hanno anche osservato: «È il minimo che possiamo fare per
voi, dopo tutto quello che ci avete dato».

John Fisher di Preston, Regno Unito:

Mia moglie aveva una sua attività di confezione e vendita di abiti per bambini. Quando iniziò,
conosceva solo pochi tagli e tipi di tessuto da proporre ai clienti. Poi la sua attività si sviluppò e
cominciò ad attrarre nuovi clienti; decise perciò di diversificare l’offerta sia in termine di modelli
sia in termini di varietà dei tessuti ma verificammo che maggiore era la scelta che avevano i clienti,
minori erano le vendite. Mentre, come molti, saremmo propensi a considerare positiva la possibilità
di una più ampia scelta, mia moglie ha scoperto che l’offerta di tante opzioni per i suoi clienti spesso
significava minori affari per lei.

Brian F. Ahearn, State Auto Insurance Companies di Columbus, Ohio:

Uno dei miei compiti è reclutare nuove agenzie indipendenti che rappresentino la nostra società e a
questo scopo, mandiamo materiale pubblicitario alle agenzie potenzialmente interessate per mettere a
loro disposizione quante più informazioni utili su di noi. Mentre ci auguriamo che in genere leggano
le nostre comunicazioni, difficilmente riceviamo risposte dirette. Dopo aver capito come funziona il
principio di rarità, ci siamo resi conto che stavamo perdendo un’opportunità che ci era sempre stata
davanti agli occhi!
Non abbiamo attività in tutti gli stati e ogni anno ci poniamo un obiettivo abbastanza contenuto di
nuovi reclutamenti nelle nostre aree operative. Non abbiamo mai pensato di aggiungere informazioni
simili, o sul presente stato dell’arte, al materiale che mandiamo. Comprendendo come la rarità possa
funzionare da stimolo all’azione, abbiamo deciso di concludere le nostre comunicazioni con formule
di questo tipo: «Ogni anno abbiamo l’obiettivo di selezionare poche nuove agenzie che si affianchino
a noi. Nel 2006, il loro numero è stato fissato a 42 su 28 stati operativi, e finora ne abbiamo già
trovate oltre 35. È nostro sincero augurio che la vostra agenzia sia fra quelle che ci restano da
reclutare prima della fine dell’anno».
La differenza è stata immediatamente notevole! In pochi giorni, abbiamo iniziato a ricevere
domande di maggiori informazioni: senza costi extra, senza nuove campagne pubblicitarie, senza
cambiamenti di prodotto o di sistema. L’unico cambiamento è stato l’aggiunta di tre frasi che
contengono delle affermazioni veritiere.

Kathy Fragnoli, Resolutions Group di Dallas e San Diego:

Sono un procuratore che ha lasciato la professione tredici anni fa per diventare giudice di pace a
tempo pieno. Il mio lavoro consiste nell’incontrare le parti coinvolte in contenziosi e aiutarle a
comporre la disputa; spesso sono rappresentate da avvocati. Una mediazione tipica inizia con la
presenza di tutte le parti. A ognuna si chiede di fare una dichiarazione sul caso. Dopo le loro
dichiarazioni, accompagno ogni parte nelle rispettive stanze e vado avanti e indietro fra le due nello
sforzo di persuadere ogni contendente a modificare la sua posizione precedente se vuole che il caso
si componga. Spesso fornisco osservazioni in privato sui punti di forza e di debolezza di ogni caso
per facilitare l’avvicinamento fra le parti.
Prima di conoscere la psicologia della persuasione, permettevo ai contendenti di formulare le loro
richieste o offerte di risarcimento in sedute aperte. Una volta capito il principio di coerenza, tuttavia,
ho cominciato a chiedere alle parti di astenersi dal fare le proprie richieste o offerte finché non le
avessi incontrate in privato. La percentuale degli accordi raggiunti è cresciuta sensibilmente dopo
aver verificato che l’impegno preso in pubblico su una cifra ostacolava il raggiungimento di un
compromesso. Mi sono resa rapidamente conto che se le persone udivano le offerte e richieste
iniziali, era più difficile indurle a cambiare posizione!

Dil Sidhu, vicedirettore della London Borough of Lambeth:

Quando sono stato trasferito in questa posizione, la Borough aveva dei grossi problemi di
operatività, di cambiamento di leadership e personale dirigente e stava affrontando un importante
programma di risanamento. Adottando il principio di autorità (secondo cui si fa riferimento a coloro
che hanno una conoscenza o saggezza superiore per trarne una guida alle proprie azioni), ho trovato
modi utili a garantire che il consiglio direttivo e amministrativo accettasse il tipo e la velocità del
cambiamento in atto. Ho garantito che le credenziali dei nuovi assunti chiamati a operare l’inversione
di tendenza fossero ben pubblicizzate insieme al nome delle altre organizzazioni in cui avevano
operato per migliorarne le performance. Una piccola cosa, ma che ha modificato l’atteggiamento nel
consiglio di amministrazione e ci ha dato la libertà di proseguire il lavoro di risanamento.

Christy Farnbauch della Hilliard City School di Hilliard, Ohio:

Ho avuto l’opportunità di sottoporre a test alcuni dei principi base della persuasione sociale durante
una campagna di finanziamento per la scuola. Lavoro per un distretto scolastico che, per dimensioni,
è il nono dell’Ohio e abbiamo cercato tre volte, senza riuscirci, di far passare una tassa per
finanziare una terza scuola superiore e una quattordicesima scuola elementare. Durante l’ultima
campagna (dal febbraio al maggio 2006), ho proposto di usare nuove tattiche fondate sulla scienza
della persuasione.
Abbiamo scelto uno slogan formulato in negativo: «I nostri ragazzi non possono aspettare». In
passato, gli slogan erano sempre stati in termini positivi (ad esempio, Insieme per i ragazzi,
Costruiamo oggi il domani ecc.). Abbiamo cercato di comunicare un senso di urgenza per limiti di
tempo entro i quali attivarsi e di fare leva sull’avversione verso la perdita; la frase da noi scelta
implicava che i nostri ragazzi (e la comunità) avrebbero perso irreparabilmente qualcosa se non
avessimo agito subito. Abbiamo sviluppato con chiarezza tre messaggi elaborati sulla base di
ricerche svolte nella comunità, e li abbiamo articolati ripetutamente con altrettanta chiarezza (una
comprovata strategia politica). Abbiamo costruito anche una rete sociale di oltre 10.000 votanti
usando una strategia di «caccia al voto» chiamata «Il mio + altri 9». Attraverso un sondaggio
telefonico, sono stati individuati i votanti più collaborativi e a 1.000 volontari è stato chiesto di
scegliere nove persone, amici e/o colleghi, da mobilitare e spronare durante le oltre tre settimane che
precedevano le elezioni. I volontari erano ben informati; molti avevano votato contro i decreti
precedenti e si erano «convertiti». Ai potenziali votanti è stato chiesto di prendersi l’impegno di
votare sulla questione della scuola, con amici o colleghi che se ne facevano garanti; inoltre, hanno
ricevuto dei memo sulle elezioni finché non si sono chiuse le urne. Abbiamo anche lanciato una
campagna con cartoline e altri mezzi di comunicazione mirati ad aree specifiche del distretto.
Malgrado non possa dimostrare scientificamente che qualcuna di queste iniziative ci abbia aiutati
a vincere le elezioni, la tassa è stata votata con ampio margine. Credo che tali tattiche siano state di
valore inestimabile per il nostro successo e le useremo di nuovo nelle campagne future.

Tim Batchelor, training manager del Surrey:

In quanto responsabile del training di una grossa casa farmaceutica, ho avuto l’incarico di
promuovere un nuovo programma per accrescere le capacità di presentazione rivolto ai nostri 400
addetti alla vendita del Regno Unito; mentre i miei collaboratori e io sapevamo che il programma era
veramente innovativo, sapevamo anche che nessuno ci avrebbe creduto. Molto del personale
lavorava nell’organizzazione da diversi anni e probabilmente avrebbe pensato di conoscerlo già. In
base all’idea secondo cui si ha la tendenza a seguire i comportamenti dei propri simili, durante i due
primi workshop abbiamo chiesto ai presenti di scrivere una caratteristica che gli piaceva
genuinamente del workshop. Poi abbiamo preso quei feedback positivi e stampato le frasi su grandi
poster che abbiamo appeso alle pareti in vista degli incontri successivi. Prima di iniziare il training,
chiedevamo ai delegati di passare in rassegna i poster e vedere che cosa dicessero i colleghi in
merito al programma. All’inizio ero un po’ scettico sulla possibilità che un espediente così semplice
funzionasse, ma l’impatto è stato incredibile. Alla fine del programma avevamo ricevuto più di 200
e-mail di persone che avevano frequentato i workshop (un numero senza precedenti). È interessante
notare che questo catalogo di riconoscimenti mi ha aiutato a influenzare i dirigenti più anziani a
sostenere i miei progetti futuri; in fin dei conti, non ero solo io a dirgli quanto valesse il mio settore;
ora ne avevo le testimonianze scritte di 200 dipendenti.
Bibliografia

Introduzione
I riferimenti bibliografici completi del libro di Robert Cialdini sono: Cialdini R. B.,Capire la persuasione per esercitarla positivamente
e difendersi dai manipolatori, Roberti Editore, Cesena 2009.

1. Com’è possibile accrescere la propria forza di persuasione mettendo il pubblico a disagio?


Lo studio sull’osservazione del cielo si trova in Milgram S., Bickman L., Berkowitz L.,Note on the drawing power of crowds of
different size, «Journal of Personality and Social Psychology», 13, 1969, pp. 79-82.

I risultati dello studio sugli alberghi sono tratti da un documento attualmente in fase di revisione: Goldstein N. J., Cialdini R. B.,
Griskevicius V., «A room with a viewpoint: the role of situational similarity in motivating conservation behaviours» (2007).

Per sapere di più sul perché ci siano buoni motivi per seguire i comportamenti di massa, vedi Surowiecki J., La saggezza della folla,
Fusi Orari, Roma 2007.

2. Che cosa dà al carro del vincitore una marcia inaspettata?


Per un’interessante serie di esperimenti che prendono in esame come associamo automaticamente certi comportamenti ad ambienti e
situazioni specifiche, vedi Aarts H., Dijksterhuis A., The silence of the library: environment, situational norm, and social behaviour,
«Journal of Personality and Social Psychology», 84, 2003, pp. 18-28.

I risultati dello studio all’albergo riportati in questo capitolo sono tratti dalla stessa ricerca su manoscritto cui ci riferiamo nel precedente
capitolo.

3. Quale errore comune genera messaggi autodistruttivi?


Potete vedere questi due annunci del servizio pubblico sul sito Internet di Keep America Beautiful Organisation, www.kab.org.

I risultati della ricerca sul parco nazionale sono stati pubblicati in Cialdini R. B.,Crafting normative messages to protect the
environment, «Current Directions in Psychological Science», 12, 2003, pp. 105-109.

Per saperne di più sullo studio sulla foresta pietrificata, vedi Cialdini R. B., Demaine L. J., Sagarin B. J., Barrett D. W., Rhoads K.
Winter P. L., Managing social norms for persuasive impact, «Social Influence», 1, 2006, pp. 3-15.

4. Quando la persuasione può avere un effetto boomerang: come evitare il «magnetismo della
media»?
La ricerca sul risparmio di energia da parte dei proprietari di case si può consultare in Schultz P. W., Nolan J. M., Cialdini R. B.,
Goldstein N. J., Griskevicius V., The constructive, destructive, and reconstructive power of social norms, «Psychological Science»,
18, 2007, pp. 429-434.

5. Quando una maggiore offerta deprime la domanda?


L’analisi sui fondi pensione si può trovare in Iyengar S., Huberman G., Jiang W., How much choice is too much? Contributions to
401 (k) retirement plans , in Mitchell O., Utkus S. (a cura di),Pension Design and Structure: New Lessons from Behavioural
Finance, Oxford University Press 2004, pp. 83-96.
Lo studio sulla scelta delle marmellate si può trovare in Iyengar S., Lepper M. R.,When choice is demotivating: can one desire too
much of a good thing?, «Journal of Personality and Social Psychology», 79, 2000, pp. 995-1006.

Per saperne di più sulla decisione delle imprese di ridurre il numero di opzioni che offrono, vedi Osnos E., Too many choices? Firms cut
back on new products, «Philadelphia Inquirer», 27 settembre 1997, pp. D1, D7.

Per saperne di più su perché l’offerta di più opzioni può avere effetti paralizzanti o distruttivi, vedi Schwartz B., The Paradoxe of
Choice, Ecco, New York 2004.

6. Quando un omaggio diventa un oltraggio?


Lo studio sull’effetto boomerang degli omaggi si trova in Raghubir P., Free gift with purchase: promoting or discounting the brand? ,
«Journal of Consumer Psychology», 14, 2004, pp. 181-186.

7. Come può un nuovo prodotto di miglior qualità far lievitare le vendite di un prodotto
inferiore?
L’esempio della macchina del pane e la ricerca presentata in questo capitolo si trovano in Simonson I., Get closer to your customers by
understanding how they make choices, «California Management Review», 35, 1993, pp. 68-84.

8. La paura è persuasiva o paralizzante?


Lo studio sulla sanità pubblica si trova in Leventhal H., Singer R., Jones S.,Effects of fear and specificity of recomandation upon
attitudes and behaviour, «Journal of Personality and Social Psychology», 2, 1965, pp. 20-29.

9. Che cosa può insegnarci il gioco degli scacchi su come fare mosse persuasive?
L’articolo che descrive le reazioni in Islanda all’arrivo di Bobby Fischer è di Smith-Spark L.,Fischer «put Iceland on the map», 23
marzo 2005, e si può trovare sul sito Internet della BBC.

Lo studio sulla lattina di Coca di Regan si trova in Regan D. T.,Effects of a favour and liking on compliance, «Journal of
Experimental Social Psychology», 7, 1971, pp. 627-639.

10. Con quale articolo da ufficio la vostra influenza può fare la massima presa?
La ricerca sui Post-it si trova in Garner R.,Post-it Note persuasion: a sticky influence, «Journal of Consumer Psychology», 15, 2005,
pp. 230-237.

11. Perché i ristoranti dovrebbero sbarazzarsi dei cestini di mentine?


Lo studio sulle mance si trova in Strohmetz D. B., Rind B., Fisher R., Lynn M.,Sweetening the till: the use of candy to increase
restaurant tipping, «Journal of Applied Social Psychology», 32, 2002, pp. 300-309.

12. Quale marcia in più ci dà non porre condizioni?


I risultati dello studio sugli alberghi sono tratti da uno studio, non ancora pubblicato: Goldstein N. J., Cialdini R. B., Griskevicius V.,
Maximizing motivation to cooperate toward the fulfillment of a shared goal: initiation is everything.

13. I favori si comportano come il pane o come il vino?


Lo studio che esamina l’effetto tempo sul valore dei favori si trova in Flynn F. J., What have you done for me lately? Temporal
adjustments to favour evaluations, «Organisational Behaviour and Human Decision Processes», 91, 2003, pp. 38-50.

14. In che modo, aprendo una breccia, si può arrivare molto lontano?
Lo studio sul tabellone pubblicitario e l’invasione domestica si trova in Freedman J. L., Fraser C.,Compliance without pressure: the
foot-in-the-door technique, «Journal of Personality and Social Psychology», 4, 1996, pp. 195-203.

15. Come diventare un maestro Jedi d’influenza sociale?


Lo studio sulle implicazioni che la labelling technique ha sul voto si trova in Tybout A. M., Yalch R. F., The effect of experience: a
matter of salience?, «Journal of Consumer Research», 6, 1980, pp. 406-413.

Lo studio sugli effetti della labelling technique sui bambini si trova in Cialdini R. B., Eisenberg N., Green B. L., Rhoads K., Bator R.
Undermining the undermining effect of reward on sustained interest: when unnecessary condictions are sufficient , «Journal of
Applied Social Psychology», 28, 1998, pp. 249-263.

16. Come può una semplice domanda accrescere drasticamente il sostegno a voi e alle vostre
idee?
Lo studio sul voto si trova in Greenwald A. G., Carnot C. G., Beach R., Young B.,Increasing voting behaviour by asking people if
they expect to vote, «Journal of Applied Social Psychology», 72, 1987, pp. 315-318.

17. Qual è il principio attivo dell’impegno durevole?


Questo passaggio sull’obiettivo delle vendite viene esaminato in Cialdini R. B.,Influence: Science and Practice (4º ed.), Allyn &
Bacon, Boston, MA 2001.

Lo studio sull’impegno attivo/passivo si trova in Cioffi D., Garner R.,On doing the decision: effects of active versus passive
commitment and self-perception, «Personality and Social Psychology Bulletin», 22, 1996, pp. 133-144.

Il riferimento agli appuntamenti mancati si trova in un sondaggio del DP P: Developing Patient Partnership (la fondazione dell’UK
Department of Health), agosto 2006.

18. Come si può contrastare coerentemente la coerenza?


La ricerca che analizza come la preferenza verso la coerenza aumenti con l’età, si trova in Brown S. L., Asher T., Cialdini R. B.,
Evidence of a positive relationship between age and preference for consistency , «Journal of Research in Personality», 39, 2005, pp.
517-533.

19. Quale idea di persuasione si può prendere a prestito da Benjamin Franklin?


Il nesso fra la strategia di Ben Franklin e la persuasione è descritto estremamente bene in Aronson E., Wilson T. D., Akert R. M.,
Psicologia sociale, Il Mulino, Bologna 2006.

La citazione di Ben Franklin si trova in Franklin B., The Autobiography of Ben Franklin (a cura di Bigelow J.), Lippincott, Philadelphia,
PA 1900 (originariamente pubblicato nel 1868).

Lo studio che ha testato l’effetto Benjamin Franklin si trova in Jecker J., Landy D.,Liking a person as a function of doing him a
favour, «Human Relations», 22, 1969, pp. 371-378.

20. Quando una richiesta minima può aprire una grande prospettiva?
Lo studio su «anche un centesimo sarebbe il benvenuto» si trova in Cialdini R. B., Schroeder D. A.,Increasing compliance by
legitimizing paltry contributions: when even a penny helps, «Journal of Personality and Social Psychology», 34, 1976, pp. 599-604.

21. Iniziare sottotono o con le fanfare? Che cosa induce le persone a comprare?
Lo studio su eBay si trova in Ku G., Galinsky A. D., Murnigham J. K.,Starting low but ending high: a reversal of the anchoring
effect in auctions, «Journal of Personality and Social Psychology», 90, 2006, pp. 975-986.
22. Come mettersi in mostra senza essere considerati boriosi?
Lo studio su come avvalersi degli altri per legittimarsi si trova in Pfeffer J., Fong C. T., Cialdini R. B., Portnoy R. R.,Overcoming the
self-promotion dilemma: interpersonal attraction and extra help as a consequence of who sings one’s praises , «Personality and
Social Psychology Bulletin», 32, 2006, pp. 1362-1374.

23. Qual è il pericolo insito nell’essere il migliore?


Lo studio sulla superiorità dei gruppi rispetto agli individui si trova in Laughlin P. R., Bonner B., Minor A.,Groups perform better than
the best individuals on letters-to- numbers problems, «Organisational Behaviour and Human Decision Processes», 88, 2002, pp. 605-
620.

24. Che cosa si può imparare dalla «sindrome da capitano»?


Maggiori informazioni sul disastro aereo del volo n. 90 si trovano sul sito Internet del «Time Magazine».

Lo studio sull’ubbidienza delle infermiere si trova in Hofling C. K., Brotzman E., Dalrymple S., Graves N., Pierce C. M.,
An
experimental study of nurse-phisician relationships, «Journal of Nervous and Mental Disease», 141, 1966, pp. 171-180.

25. Come può la natura degli scambi di gruppo provocare disastri molto poco naturali?
Per saperne di più sul groupthink, vedi Janis I. L., Groupthink: Psychological Studies of Policy Decisions and Fiascoes(2a ed.),
Houghton Mifflin, Boston, MA 1983.
La fonte delle trascrizioni investigative sul Columbia è Langewiesche W., Columbia’s last flight, «Atlantic Monthly», 292, 2003, pp. 58-
87.

26. Chi è il miglior persuasore? L’avvocato del diavolo o chi dissente apertamente?
Lo studio sull’avvocato del diavolo in opposizione a chi dissente con lealtà si trova in Nemeth C., Brown K., Rogers J.,Devil’s advocate
versus authentic dissent: stimulating quantity and quality, «European Journal of Social Psychology», 31, 2001, pp. 707-720.

La dimostrazione che l’uso di un avvocato del diavolo può rafforzare la fiducia dei membri della maggioranza nelle proprie posizioni
originarie si trova in Nemeth C., Connell J., Rogers J., Brown K., Improving decision making by means of dissent, «Journal of Applied
Social Psychology», 31, 2001, pp. 48-58.

27. Quando indicare la strada giusta può rivelarsi sbagliato?


La ricerca sull’addestramento dei pompieri si trova in Joung W., Hesketh B., Neal A.,Using «war stories» to train for adaptive
performance: is it better to learn from error or success?, «Applied Psychology: An International Review», 55, 2006, pp. 282-302.

28. Come trasformare una debolezza in un punto di forza?


Lo studio che dimostra gli effetti dell’ammissione delle debolezze in ambito legale si trova in Williams K. D., Bourgeois M., Croyle R. T.,
The effects of stealing thunder in criminal and civil trials, «Law and Human Behaviour», 17, 1993, pp. 597-609.

29. Quali torti convincono il prossimo ad aprire le casseforti?


Lo studio su «piccolo ma intimo» si trova in Bohner G., Einwiller S., Erb H.-P., Siebler F.,When small means comfortable: relations
between product attributes in two-sided advertising, «Journal of Consumer Psychology», 13, 2003, pp. 454-463.

Un altro studio informativo su questo argomento si trova in Pechmann C., Predicting when two-sided ads will be more effective than
one-sided ads: the role of correlational and correspondent inferences, «Journal of Marketing Research», 29, 1992, pp. 441-453.

30. Quando è giusto ammettere d’aver sbagliato?


La ricerca sull’ammissione degli errori si trova in Lee F., Peterson C., Tiedens L. A.,Mea culpa: predicting stock prices from
organisational attributions, «Personality and Social Psychology Bulletin», 30, 2004, pp. 1636-1649.

31. Quando dovreste essere contenti se il server è fuori servizio?


Lo studio sui problemi di computer si trova in Naquin C. R., Kurtzberg T. R.,Human reactions to technological failure: how
accidents rooted in technology vs. human error influence judgements of organisational accountability, «Organisational Behaviour
and Human Decision Processes», 93, 2004, pp. 129-141.

Le informazioni su quanto tempo il cittadino medio inglese perde a causa di problemi tecnici sono tratte dal sito Internet delle National
Statistics: www.statistics.gov.uk.

32. Quando le somiglianze sono decisive?


Lo studio sulle analogie nei nomi si trova in Garner R., Post-it Note persuasion: a sticky influence, «Journal of Consumer Psychology»,
15, 2005, pp. 230-237.

33. Quando . nomen omen. ?


Le citazioni della versione americana di The Office sono tratte dall’episodio intitolato The Coup.
La ricerca che esamina gli effetti del nome sulle decisioni importanti della vita, come sulla carriera e i luoghi abitativi, si trova in Pelham
B. W., Mirenberg M. C., Jones J. T., Why Susie sells seashelles by the seashore: implicit egotism and major life decisions, «Journal
of Personality and Social Psychology», 82, 2002, pp. 469-487.

Lo studio che mostra come si tenda a sposare coloro il cui nome ha un’assonanza col proprio si trova in Jones J. T., Pelham B. W.,
Carvallo M., Mirenberg M. C.,How do I love three? Let me count the Js: implicit egotism and interpersonal attraction, «Journal of
Personality and Social Psychology», 87, 2004, pp. 665-683.

Lo studio che esamina gli effetti del nome sulle preferenze nei consumi si trova in Brendl M. C., Chattopadhyay A., Pelham B. W.,
Carvallo M., Name letter branding: valence transfers when product specific needs are active, «Journal of Consumer Research», 32,
2005, pp. 405-415.

34. Quali gratifiche può darci chi le riceve per mestiere?


Lo studio sui comportamenti relativi alle mance si trova in van Baaren R. B., Holland R. W., Steenaert B., van Knippenberg A.,Mimicry
for money: behavioural consequences of imitation, «Journal of Experimental Social Psychology», 39, 2003, pp. 393-398.

Il primo studio sulla postura a specchio si trova in Chartrand T. K., Bargh J. A.,The Chameleon effect: the perception-behaviour link
and social interaction, «Journal of Personality and Social Psychology», 76, 1999, pp. 893-910.

Lo studio che esamina le conseguenze della postura a specchio nelle trattative si trova in Maddux W. W., Mullen E., Galinsky A. D.,
Chameleon bake bigger pies and take bigger pieces: strategic behavioural mimicry facilitates negotiation outcomes, «Journal of
Experimental Social Psychology», 44, 2008, pp. 461-468.

35. Quale sorriso viene ricambiato?


La ricerca sui modi di sorridere si trova in Grandey A. A., Fisk G. M., Mattila A. S., Jansen K. J., Sideman L. A.,
Is «service with a
smile» enough? Authenticity of positive displays during service encounters, «Organisational Behaviour and Human Decision
Processes», 96, 2005, pp. 38-55.

36. Che cosa si può imparare dall’incetta dei tovagliolini da tè?


Per una buona fonte d’informazioni su come lo spostamento delle nozze regali abbia influenzato il comportamento dei consumatori, vedi
Dear P., Fans «panic buy» 8 April mementos, 5 aprile 2005, pubblicato sul sito Internet della BBC.

La fonte dello studio sul manzo australiano è Knishinsky A., The effects of scarcity of material and exclusivity of information on
industrial buyer perceived risk in provoking a purchase decision, tesi di laurea non pubblicata, Arizona State University, Tempe
1982.

37. Che cosa c’è da guadagnare dal senso di perdita?


La citazione iniziale si trova in Greenwald J., Coca-Cola big fizzle, «Time», 22 luglio 1985, p. 48.

Un eccellente resoconto della débâcle della New Coke si trova in Thomas O.,The Real Coke, the Real Story, Random House, New
York 1986. Una diversa sfaccettatura dello stesso argomento viene esaminata in Gladwell M., Blink: The Power of Thinking Without
Thinking, Little, Brown and Co., New York 2005.

Il lavoro originario sull’avversione verso la perdita si trova in Kahneman D., Tversky A.,Prospect theory: an analysis of decision
under risk, «Econometrica», 47, 1979, pp. 263-291.

Gli effetti dell’avversione per la perdita sul comportamento sono esaminati in profondità in Shell G. R.,Il vantaggio di negoziare,
Giuffré, Milano 2005.

Una ricerca che dimostra l’avversione per la perdita nelle decisioni manageriali si trova in Shelley M. K.,Gain/loss asymmetry in risky
intertemporal choice, «Organisational Behaviour and Human Decision Processes», 59, 1994, pp. 124-159.

38. Quale parola ha il potere di rafforzare i vostri tentativi di persuasione?


Gli studi sulla «fila davanti alla fotocopiatrice» si trovano in Langer E., Blank A., Chanowitz B.,The mindlessness of ostensibly
thoughtful action: the role of «placebic» information in interpersonal interaction, «Journal of Personality and Social Psychology»,
36, 1978, pp. 639-642.

Gli studi che mostrano il potere di addurre ragioni a sostegno di una richiesta sono in Maio G. R., Olson J. M., Allen L., Bernard M. M.
Addressing discrepancies between values and behaviour: the motivating effect of reasons, «Journal of Experimental Social
Psychology», 37, 2001, pp. 104-117.

39. Quando chiedendo tutte le ragioni si cade in errore?


Lo studio sulla BMW a confronto con la Mercedes si trova in Wänke M., Bohner G., Jurkowitsch A.,There are many reasons to drive
a BMW: does immagine ease of argument generation influence attitude?, «Journal of Consumer Research», 24, 1997, pp. 170-177.

Due studi che corroborano il nostro parere sull’immaginario sono di Gregory L. W., Cialdini R. B., Carpentar K. M.,Self-relevant
scenarios as mediators of likelihood estimates and compliance: does imagining make it so?, «Journal of Personality and Social
Psychology», 43, 1982, pp. 89-99; Petrova P. K., Cialdini R. B., Fluency of consumption imagery and the backfire effects of imagery
appeals, «Journal of Consumer Research», 32, 2005, pp. 442-452.

40. Come può la semplicità di un nome conferirgli maggior valore?


Lo studio sui nomi si trova in Alter A. L., Oppenheimer D. M.,Predicting short-term stock fluctuations by using processing fluency,
«Proceeding of the National Academy of Sciences», 103, 2006, pp. 9369-9372.

La fonte della citazione gergale è Moore B.,The towers of babble: the worst excesses of workplace jargon can leave one begging
for a translator – and a return to plain English, 9 ottobre 2006, ripreso dal sito Internet del «New York Post».
La ricerca sugli effetti dell’uso di parole roboanti si trova in Oppenheimer D. M.,Consequences of erudite vernacular utilized
irrespective of necessity: problems with using long words needlessly, «Applied Cognitive Psychology», 20, 2006, pp. 139-156.

41. Come può la rima spingere la vostra influenza in cima?


La ricerca sulle rime si trova in McGlone M. S., Tofighbakhsh J.,Birds of a feather flock conjointly: rhyme as reason in aphorisms,
«Psychological Science», 11, 2000, pp. 424-428.

42. Che cosa può dirci sulla persuasione la battuta nel baseball?
La ricerca sul contrasto percettivo si trova in Tormala Z. L., Petty R. E.,Contextual contrast and perceived knowledge: exploring
the implications for persuasion, «Journal of Experimental Social Psychology», 43, 2007, pp. 17-30.

43. Come procurarsi un vantaggio nella ricerca della fedeltà?


Lo studio sull’autolavaggio si trova in Nunes J. C., Dreze X.,The endowed progress effect: how artificial advancement increases
effort, «Journal of Consumer Research», 32, 2006, pp. 504-512.

44. Che cosa può dirci sulla persuasione una scatola di pastelli?
La ricerca sul nome dei colori si trova in Miller E. G., Kahn B. E.,Shades of meaning: the effect of colour and flavour names on
consumer choice, «Journal of Consumer Research», 32, 2005, pp. 86-92.

45. Come confezionare i messaggi in modo che durino «ancora e ancora e ancora»?
Un’importante fonte d’informazioni sulla confusione dei consumatori fra Energizer e Duracell si trova in Lipman J.,Too Many Think the
Bunny is Duracell’s, not Eveready’s, «Wall Street Journal», 31 luglio 1990, p. B1.

Un’eccellente rassegna delle ricerche sul ruolo della memoria in pubblicità si trova in Keller K. L.,Memory factors in advertising: the
effect of retrieval cues on brand evaluations, in Mitchell A. A. (a cura di), Advertising Exposure, Memory, and Choice, Erlbaum,
Mahwah, NJ 1991, pp. 11-48.

Una rassegna più generale sugli slogan facilmente rammentabili si trova in Tulving E., Thompson D. M.,Encoding specificity and
retrieval processes in episodic memory, «Psychological Review», 80, 1973, pp. 352-373.

Abbiamo in precedenza articolato i nostri consigli sulle campagne per la sanità pubblica in Goldstein N. J., Cialdini R. B.,Using social
norms as a lever of social influence, in Pratkanis A. (a cura di), The Science of Social Influence: Advances and Future Progress,
Psychology Press, Philadelphia, PA 2007. Il libro è una risorsa accademica eccellente che ci aggiorna sulle più recenti ricerche relative
all’influenza sociale.

Uno studio che mostra come l’alcol possa rendere i messaggi persuasivi più efficaci si trova in Macdonald T., Fong G., Zanna M.,
Matrineau A., Alcohol, myopia and condom use: can alcohol intoxication be associated with more prudent behaviour?, «Journal
of Personality and Social Psychology», 78, 2000, pp. 605-619.

46. Quale oggetto ha la capacità di persuaderci a riflettere sui nostri valori?


La ricerca sullo sguardo si trova in Bateson M., Nettle D., Roberts G.,Cues of being watched enhance cooperation in a real-world
setting, «Biology Letters», 2, 2006, pp. 412-414.

Lo studio su Halloween che esamina gli effetti dello specchio si trova in Beaman A. L., Klentz B., Diener E., Svanum S.,Self-
awareness and transgression in children: two field studies, «Journal of Personality and Social Psychology», 37, 1979, pp. 1835-1846.

La ricerca sullo spargimento di rifiuti si trova in Kallgren C. A., Reno R. R., Cialdini R. B., A focus theory of normative conduct: when
norms do and do not affect behaviour, «Personality and Social Psychology Bulletin», 26, 2000, pp. 1002-1012.

La ricerca sull’efficacia di chiedere alle persone il loro nome si trova in Diener E., Fraser S. C., Beaman A. L., Kelem R. T.,Effects of
deindividuation variables on stealing among Halloween trick-or-treaters, «Journal of Personality and Social Psychology», 33, 1976,
pp. 178-183.

Per un maggiore approfondimento dei problemi di sorveglianza, vedi Cialdini R. B., Petrova P. K., Goldstein N. J.,The hidden costs of
organizational dishonesty, «Sloan Management Review», 45, 2004, pp. 67-73.

47. La tristezza ha effetti negativi sulle transazioni commerciali?


Le citazioni da Sex and the City sono tratte dall’episodio The Domino Effect.

La ricerca sulla tristezza si trova in Lerner J. S., Small D. A., Loewenstein G.,Heart strings and purse strings: carryover effects of
emotions on economic decisions, «Psychological Science», 15, 2004, pp. 337-341.

48. Come può l’emozione mettere in moto la persuasione?


La ricerca su come le emozioni riducano la capacità di discernere la diversa grandezza dei numeri si trova in Hsee C. K., Rottenstreich
Y., Music, pandas, and muggers: on the affective psychology of value, «Journal of Experimental Psychology: General», 133, 2004,
pp. 23-30.

49. Che cosa ci spinge a credere a qualsiasi cosa ci propinino?


La citazione del prigioniero cinese si trova in Lifton R. J.,Thought Reform and the Psychology of Totalism, Norton, New York 1961,
p. 23. Troviamo questa citazione anche in Gilbert D. T., How mental systems believe, «American Psychologist», 46, 1991, pp. 107-119.

La ricerca che mostra la tendenza a credere alle affermazioni altrui quando si hanno scarse risorse cognitive si trova in Gilbert D. T.,
Krull D. S., Malone P. S.,Unbelieving the unbelievable: some problems in the rejection of false information , «Journal of
Personality and Social Psychology», 59, 1990, pp. 601-613; Gilbert D. T., Tafarodi R. W., Malone P. S.,You can’t not believe
everything you read, «Journal of Personality and Social Psychology», 65, 1993, pp. 221-233. Il titolo del nostro capitolo s’ispira a questo
documento.

Per saperne di più sulle idee affascinanti di Gilbert e la ricerca su questo argomento, vedi Gilbert D. T., Stumbling on Happiness,
Knopf, New York 2006.

La ricerca che mostra come disgregando la capacità di pensare delle persone si possa accrescerne il consenso, si trova in Davis B. P.,
Knowles E. S., A disrupt-then-reframe technique of social influence, «Journal of Personality and Social Psychology», 76, 1999, pp.
192-199; Knowles E. S., Linn J. A., «Approach-avoidance model of persuasion: alpha and omegastrategies for change», in Knowles E.
S., Linn J. A. (a cura di), Resistance and Persuasion, Erlbaum, Mahwah, NJ 2004.

50. Le caffetterie hanno la prerogativa di potenziare la vostra influenza?


La ricerca sulla caffeina si trova in Martin P. Y., Laing J., Martin R., Mitchell M.,Caffeine, cognition and persuasion: evidence for
caffeine increasing the systematic processing of persuasive messages, «Journal of Applied Social Psychology», 35, 2005, pp. 160-
182.

La scienza della persuasione nel ventunesimo secolo


La fonte dell’aneddoto e le citazioni su «Nessuna e-mail il venerdì» si trovano in Horng E.,No e-mail Fridays transforms office,
pubblicato sul sito Internet www.abcnews.go.com, 10 marzo 2007.

La ricerca che esamina le differenze fra le trattative online e in incontri faccia a faccia si trova in Morris M., Nadler J., Kurtzberg T.,
Thompson L., Schmooze or lose: social friction and lubrication in e-mail negotiations, «Group Dynamics: Theory, Research and
Practice», 6, 2002, pp. 89-100.

Lo studio che esamina le soluzioni alle difficoltà delle trattative online si trova in Moore D. A., Kurtzberg T. R., Thompson L., Morris M.,
Long and short routes to success in electronically mediated negotiations: group affiliations and good vibrations , «Organisational
Behaviour and Human Decision Processes», 77, 1999, pp. 22-43.

La ricerca sulla persuasione online che coinvolge le differenze di genere si trova in Guadagno R. E., Cialdini R. B.,Online persuasion:
an examination of gender differences in computer-mediated interpersonal influence, «Group Dynamics: Theory, Research and
Practice», 6, 2002, pp. 38-51.

Gli studi che dimostrano la nostra eccessiva fiducia sulla comprensibilità delle comunicazioni online si trovano in Kruger J., Epley N.,
Parker J., Ng Z.,Egocentrism over e-mail: can we communicate as well as we think?, «Journal of Personality and Social
Psychology», 89, 2005, pp. 925-936.

Lo studio sulla dispersione della responsabilità si trova in Darley J. M., Latané B.,Bystander intervention in emergencies: diffusion of
responsibility, «Journal of Personality and Social Psychology», 8, 1968, pp. 377-383.
La ricerca che illustra i benefici di mostrare i prezzi della concorrenza sulle pagine web delle società si trova in Trifts V., Haubl G.,
Information availability and consumer preference: can online retailers benefit from providing access to competitor price
information?, «Journal of Consumer Psychology», 13, 2003, pp. 149-159.

La descrizione dei sottili ma potenti effetti delle immagini sullo sfondo delle pagine web si trova in Mandel N., Johnson E. J.,When web
pages influence choice: effects of visual primes on experts and novices, «Journal of Consumer Research», 29, 2002, pp. 235-245.

La ricerca su come la cultura di appartenenza influenzi le pratiche di management si trova in Morris M., Podolny J., Ariel S.,Culture,
norms, and obligations: cross-national differences in patterns of interpersonal norms and felt obligations toward co-workers , in
Wosinska W., Cialdini R. B., Barrett D. W., Reykowski J. (a cura di), The Practice of Social Influence in Multiple Cultures, Erlbaum,
Mahwah, NJ 2001, pp. 97-123.

Gli studi che mostrano come l’efficacia della pubblicità cambi in relazione alle culture si trovano in Han S., Shavitt S.,Persuasion and
culture: advertising appeals in individualistic and collectivist societies, «Journal of Experimental Social Psychology», 30, 1994, pp.
326-350.

La storia di Jack Nicklaus, comprese le citazioni, si trova in Ferguson D.,Grieving Nicklaus meets press, articolo pubblicato sul sito
Internet www.thegolfgazette.com, 7 marzo 2005.

La ricerca sulla coerenza nelle culture con soggetti americani e asiatici si trova in Petrova P. K., Cialdini R. B., Sills S. J.,Consistency-
based compliance across cultures, «Journal of Experimental Social Psychology», 43, 2007, pp. 104-111.

La ricerca sulla coerenza indotta dall’appartenenza culturale versus quella influenzata dall’evidenza sociale che ha coinvolto soggetti
americani e polacchi si trova in Cialdini R. B., Wosinska W., Barrett D. W., Butner J., Gornik-Durose M.,Compliance with a request
in two cultures: the differential influence of social proof and commitment/consistency on collectivists and individualists,
«Personality and Social Psychology Bulletin», 25, 1999, pp. 1242-1253.

Lo studio sulla segreteria telefonica si trova in Miyamoto Y., Schwarz N., When conveying a message may hurt the relationship:
cultural differences in the difficulty of using an answering machine, «Journal of Experimental Social Psychology», 42, 2006, pp. 540-
547.

L’idea secondo cui nelle culture collettiviste si tenda a dare maggiore importanza alla funzione relazionale della comunicazione che non
nelle culture individualiste è esaminata in profondità in Scollon R., Scollon S. W.,Intercultural Communication: A Discourse
Approach, Blackwell, Cambridge 1995.

La ricerca che mostra come i giapponesi, nelle conversazioni, siano più propensi a fornire feedback si trova in White S.,Backchannels
across cultures: a study of Americans and Japanese, «Language in Society», 18, 1989, pp. 59-76.

Influenza etica
I lettori possono saperne di più sulla mancanza di rifornimenti di benzina del 2000 in Inghilterra consultando il sito Internet della BBC.
Ringraziamenti

50 Segreti della scienza della persuasione è essenzialmente una raccolta di punti di vista
sull’affascinante scienza dell’influenza sociale. Siamo estremamente grati alla miriade di studiosi che
hanno condotto le ricerche da noi riportate nel testo; senza il loro lavoro, questo non sarebbe stato un
libro, ma solo un pamphlet.
Scrivendo i 50 Segreti della scienza della persuasione abbiamo avuto la fortuna di avere accesso
anche a tutta un’altra serie di punti di vista, quelli dei nostri colleghi, partner e studenti. In
particolare, vogliamo ringraziare Vladas Griskevicius, Leah Combs, Jennifer Ottolino, Miguel
Prietto, Stuart Shoen e Chaundra Wong per aver revisionato i vari capitoli nelle prime fasi di
scrittura dandoci il loro parere. Grazie anche a Dan Norris, Nick Pope, Dil Sidhu, Brian Ahearn,
Kathy Fragnoli, Christy Farnbauch, John Fisher e Tim Batchelor per averci messo a disposizione gli
esempi di come abbiano usato loro stessi la scienza della persuasione con buoni risultati.
Inoltre, vogliamo esprimere la nostra gratitudine a Daniel Crewe, il nostro curatore della Profile
Books, per la sua energia, il suo entusiasmo verso il libro in tutte le sue fasi, e i suoi utili
suggerimenti dall’inizio alla fine.
Siamo anche stati così fortunati da avere al nostro fianco Bobette Gordon, che ci ha reso la vita
molto più facile in ogni circostanza permettendoci di concentrarci sulla stesura del libro invece di
preoccuparci delle incombenze secondarie che comunque comportava; la sua intensa attività e
dedizione al successo di questo progetto sono state impagabili. Apprezziamo moltissimo il continuo
sostegno e lavoro di squadra di Gary Colleran e Anne Buckingham del nostro ufficio inglese e infine,
siamo veramente grati a Jenessa Shapiro e Bernie Goldstein per i loro apporti critici su tutti gli
aspetti del libro e, soprattutto, per il loro instancabile sostegno.
NOAH J. GOLDSTEIN
STEVE J. MARTIN
ROBERT B. CIALDINI
Indice dei nomi

Ahearn, Brian F.
Alter, Adam
American Cancer Society
American Dental Association
Amway Corporation
Avis
Bargh, John
Batchelor, Tim
Bateson, Melissa
Baum, L. Frank
Bausch and Lomb
BBC
Beaman, Arthur
Bohner, Gerd
BMW
British Airways
Brown, Stephanie
Carlo, principe di Galles
Challenger, navicella spaziale
Chartrand, Tanya
Chicago Transit Authority
Cialdini B., Robert
Cioffi, Delia
Citibank
Coca-Cola Company
Cochran, Johnnie
Columbia, navicella spaziale
Concorde
Confucio
Crick, Francis
Darley, John
Davis, Barbara
Diener, Ed
Doyle, Dane & Bernbach
Dreze, Xavier
Duracell
eBay, 85-
Echo Bay Mines
Echo Bay Technology Group
Ellison, Jay
Emerson, Ralph Waldo
Energizer
Farnbauch Christy
Fischer, Bobby
Fisher, John
Flynn, Francis
Fragnoli, Kathy
Franklin, Benjamin
Franklin, Rosalind
Fraser, Scott
Freedman, Jonathan
Garner, Randy
Gates, Bill
Gilbert, Daniel
Giovanni Paolo II
Grandey, Alicia
Greenwald, Anthony
Guadagno, Rosanna
Han, Sang-Pil
Häubl, Gerald
Heinz, Henry John
Heinz Corporation
Hofling, Charles
Hsee, Christopher
Huxley, Aldous
Iyengar, Sheena
Janis, Irving
Jecker, Jon
JetBlue Airways
Johnson, Eric
Joung, Wendy
Kahn, Barbara
Kahneman, Daniel
Kallgren, Carl
Keep America Beautiful Organisation
Kennedy, John F.
Keough, Donald
Kissinger, Henry
Knishinsky, Amram
Knowles, Eric
Kruger, Justin
Ku, Gillian
Kurtzberg, Terri
La Rochefoucauld, François
Landy, David
Langer, Ellen
Latané, Bibb
Laughlin, Patrick
Lee, Fiona
Lerner, Jennifer
Lepper, Mark
Leventhal, Howard
Listerine
L’Oréal
Luke Skywalker
Maddux, William
Maio, Gregory
Mandel, Naomi
Martin, Pearl
McDonald’s
McGlone, Matthew
Mercedes
Milgram, Stanley
Miller, Elizabeth
Misceo, Vince
Mississippi
Miyamoto, Yuri
Mondale, Walter
Moore, Don
Morgan, J. P.
Morris, Michael
Mullins, Gay
Naquin, Charles
NASA
National Health Service
Nemeth, Charlan
Nicklaus, Jack
Nixon, Richard
Norris, Dan
Nunes, Joseph
Office of Information Technology (OIT)
Old Cola Drinkers of America
Omidyar, Pierre
Oppenheimer, Daniel
Parker Bowles, Camilla
Pelham, Brett
Petrified Forest National Park, Arizona
Petrova, Petia
Petty, Richard
Pfeffer, Jeffrey
Pope, Nick
Procter & Gamble
Progressive Auto Insurance
Quincy, Illinois
Quincy, Massachusetts
Raghubir, Priya
Reagan, Ronald
Regan, Dennis
Roosevelt, Franklin Delano
Rottenstreich, Yuval
SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome)
Schultz, Howard
Schultz, Wes
Schwarz, Norbert
Shavitt, Sharon
Shelley, Marjorie
Sidhu, Dil
Sills, Stephen
Simonson, Itamar
Simpson, O. J.
Spassky, Boris
Spears, Britney
Stanford University
Starbucks Corporation
Strohmetz, David
Szot, Colleen
Tofighbakhsh, Jessica
Tormala, Zakary
Trifts, Valerie
Tversky, Amos
Tybout, Alice
University of California
van Baaren, Rick
Volkswagen maggiolino
Wänke, Michaela
Watson, James
Whyte, William H.
Wilde, Oscar
William, Chuck
Williams, Kip
Williams-Sonoma Kitchen Outlet
Yalch, Richard
Youngman, Henny
Note

1.
Neologismo americano composto da «information» e «commercial» per indicare lo spot televisivo strutturato come un brano
di notiziario.
2.
L’argomento di questo capitolo sono i giochi di parole. Dato che il capitolo si fonda su ricerche svolte negli Stati Uniti,
abbiamo ritenuto opportuno rimanere fedeli agli esempi citati.(N.d.r.)
3.
Questo dato è stato messo in luce in una recente conferenza in cui uno di noi era relatore. Ansioso di mostrare una
situazione in cui non c’erano assonanze fra nome e professione, un delegato ha detto: «Ho un amico che si chiama Dennis e
non fa il dentista». Quando un altro delegato gli ha chiesto quale fosse il mestiere di Dennis, lui ha emesso un gran sospiro:
«In effetti», ha risposto, «è un addetto alle demolizioni».
4.
Il più antico e raro francobollo inglese.
5.
Qualcosa che noi, naturalmente, non faremmo mai.
6.
Si tratta di un gioco di parole con il nome della marca Heinz. In inglese,bean significa fagiolo, mentre means sta per
«significa», alla 3a persona singolare.
7.
**Alla lettera, «la gente con gli stessi interessi procede a stormi» un equivalente di «Dio li fa e poi li accoppia».
8.
Associazione internazionale di cui possono essere membri le persone che abbiano raggiunto o superato il 98o percentile del
QI, il Quoziente d’Intelligenza.
9.
**Da notare che questi nomi un po’ meno semplici dovrebbero tuttavia essere facilmente leggibili e pronunciabili, come
abbiamo già visto nel capitolo 40.
Indice

Presentazione

Frontespizio

Pagina di copyright

Introduzione

1. Com’è possibile accrescere la propria forza di persuasione mettendo il pubblico a disagio?

2. Che cosa dà al carro del vincitore una marcia inaspettata?

3. Quale errore comune genera messaggi autodistruttivi?

4. Quando la persuasione può avere un effetto boomerang: come evitare il «magnetismo della
media»?

5. Quando una maggiore offerta deprime la domanda?

6. Quando un omaggio diventa un oltraggio?

7. Come può un nuovo prodotto di miglior qualità far lievitare le vendite di un prodotto
inferiore?

8. La paura è persuasiva o paralizzante?

9. Che cosa può insegnarci il gioco degli scacchi su come fare mosse persuasive?

10. Con quale articolo da ufficio la vostra influenza può fare la massima presa?

11. Perché i ristoranti dovrebbero disfarsi dei cestini di mentine?

12. Quale marcia in più ci dà non porre condizioni?

13. I favori si comportano come il pane o come il vino?

14. In che modo, aprendo una breccia, si può arrivare molto lontano?
15. Come diventare un maestro Jedi d’influenza sociale?

16. Come può una semplice domanda accrescere drasticamente il sostegno a voi e alle vostre
idee?

17. Qual è il principio attivo dell’impegno durevole?

18. Come si può contrastare coerentemente la coerenza?

19. Quale idea di persuasione si può prendere a prestito da Benjamin Franklin?

20. Quando una richiesta minima può aprire una grande prospettiva?

21. Iniziare sottotono o con le fanfare? Che cosa induce le persone a comprare?

22. Come mettersi in mostra senza essere considerati boriosi?

23. Qual è il pericolo insito nell’essere il migliore?

24. Che cosa si può imparare dalla «sindrome da capitano»?

25. Come può la natura degli scambi di gruppo provocare disastri molto poco naturali?

26. Chi è il miglior persuasore? L’avvocato del diavolo o chi dissente apertamente?

27. Quando indicare la strada giusta può rivelarsi sbagliato?

28. Come trasformare una debolezza in un punto di forza?

29. Quali torti convincono il prossimo ad aprire le casseforti?

30. Quando è giusto ammettere d’aver sbagliato?

31. Quando dovreste essere contenti se il server è fuori servizio?

32. Quando le somiglianze sono decisive?

33. Quando nomen ome2?

34. Quali gratifiche può darci chi le riceve per mestiere?

35. Quale sorriso viene ricambiato?

36. Che cosa si può imparare dall’incetta dei tovagliolini da tè?

37. Che cosa c’è da guadagnare dal senso di perdita?


38. Quale parola ha il potere di rafforzare i vostri tentativi di persuasione?

39. Quando chiedendo tutte le ragioni si cade in errore?

40. Come può la semplicità di un nome conferirgli maggior valore?

41. Come può la rima spingere la vostra influenza in cima?

42. Che cosa può dirci sulla persuasione la battuta nel baseball?

43. Come procurarsi un vantaggio nella ricerca della fedeltà?

44. Che cosa può dirci sulla persuasione una scatola di pastelli?

45. Come confezionare i messaggi in modo che durino «ancora e ancora e ancora»?

46. Quale oggetto ha la capacità di persuaderci a riflettere sui nostri valori?

47. La tristezza ha effetti negativi sulle transazioni commerciali?

48. Come può l’emozione mettere in moto la persuasione?

49. Che cosa ci spinge a credere a qualsiasi cosa ci propinino?

50. Le caffetterie hanno la prerogativa di potenziare la nostra influenza?

La scienza della persuasione nel ventunesimo secolo


E-influence

Influenza globale

Influenza etica

La persuasione sociale in azione

Bibliografia
Introduzione

1 Com’è possibile accrescere la propria forza di persuasione mettendo il pubblico a disagio?

2 Che cosa dà al carro del vincitore una marcia inaspettata?

3 Quale errore comune genera messaggi autodistruttivi?

4 Quando la persuasione può avere un effetto boomerang: come evitare il «magnetismo della media»?

5 Quando una maggiore offerta deprime la domanda?

6 Quando un omaggio diventa un oltraggio?


7 Come può un nuovo prodotto di miglior qualità far lievitare le vendite di un prodotto inferiore?

8 La paura è persuasiva o paralizzante?

9 Che cosa può insegnarci il gioco degli scacchi su come fare mosse persuasive?

10 Con quale articolo da ufficio la vostra influenza può fare la massima presa?

11 Perché i ristoranti dovrebbero sbarazzarsi dei cestini di mentine?

12 Quale marcia in più ci dà non porre condizioni?

13 I favori si comportano come il pane o come il vino?

14 In che modo, aprendo una breccia, si può arrivare molto lontano?

15 Come diventare un maestro Jedi d’influenza sociale?

16 Come può una semplice domanda accrescere drasticamente il sostegno a voi e alle vostre idee?

17 Qual è il principio attivo dell’impegno durevole?

18 Come si può contrastare coerentemente la coerenza?

19 Quale idea di persuasione si può prendere a prestito da Benjamin Franklin?

20 Quando una richiesta minima può aprire una grande prospettiva?

21 Iniziare sottotono o con le fanfare? Che cosa induce le persone a comprare?

[h3 class="titopara2">22 Come mettersi in mostra senza essere considerati boriosi?

23 Qual è il pericolo insito nell’essere il migliore?

24 Che cosa si può imparare dalla «sindrome da capitano»?

25 Come può la natura degli scambi di gruppo provocare disastri molto poco naturali?

26 Chi è il miglior persuasore? L’avvocato del diavolo o chi dissente apertamente?

27 Quando indicare la strada giusta può rivelarsi sbagliato?

28 Come trasformare una debolezza in un punto di forza?

29 Quali torti convincono il prossimo ad aprire le casseforti?

30 Quando è giusto ammettere d’aver sbagliato?

31 Quando dovreste essere contenti se il server è fuori servizio?

32 Quando le somiglianze sono decisive?

33 Quando nomen omen ?

34 Quali gratifiche può darci chi le riceve per mestiere?

35 Quale sorriso viene ricambiato?

36 Che cosa si può imparare dall’incetta dei tovagliolini da tè?

37 Che cosa c’è da guadagnare dal senso di perdita?

38 Quale parola ha il potere di rafforzare i vostri tentativi di persuasione?


39 Quando chiedendo tutte le ragioni si cade in errore?

40 Come può la semplicità di un nome conferirgli maggior valore?

41 Come può la rima spingere la vostra influenza in cima?

42 Che cosa può dirci sulla persuasione la battuta nel baseball?

43 Come procurarsi un vantaggio nella ricerca della fedeltà?

44 Che cosa può dirci sulla persuasione una scatola di pastelli?

45 Come confezionare i messaggi in modo che durino «ancora e ancora e ancora»?

46 Quale oggetto ha la capacità di persuaderci a riflettere sui nostri valori?

47 La tristezza ha effetti negativi sulle transazioni commerciali?

48 Come può l’emozione mettere in moto la persuasione?

49 Che cosa ci spinge a credere a qualsiasi cosa ci propinino?

50 Le caffetterie hanno la prerogativa di potenziare la vostra influenza?

La scienza della persuasione nel ventunesimo secolo

Influenza etica

Ringraziamenti

Indice dei nomi

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