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Il trattamento integrato psicologo clinico - assistete sociale

per il reinserimento sociale di condannati:


il caso di Aichka e l’intervento sulle reti sociali

Claudio Mammini,
Università degli Studi di Pisa,
Diploma di Laurea Specialistica in
Programmazione e Politica dei Servizi Sociali

Abstract

In questo articolo tratteremo il caso di una giovane extracomunitaria di 33 anni, Aichka,


condannata a 2 anni e 1 mese di reclusione per rapina e lesione personale la cui pena è stata
convertita nell’affidamento in prova presso i servizi sociali.
Questo caso è stato scelto sia per un criterio di chiarezza espositiva (il livello di complessità
correlato alla lettura degli eventi di vita, delle relazioni sociali e dei processi di personalità risulta
di facile accesso) che per un criterio di attualità sociale (in riguardo al problema trattamentale di
extracomunitari condannati).
Esamineremo il processo di rilevazione, le modalità di analisi, la proposta trattamentale elaborata
per il Pubblico Ministero e i risultati ottenuti a distanza di un anno dal provvedimento concesso.

Il Centro Servizi Sociali Adulti

Come ben sappiamo il Centro Servizi Sociali Adulti ha la funzione di raccogliere informazioni
sulla personalità, sull’ambiente familiare e sociale di provenienza del reo al fine di inviare al
giudice competente elementi per concedere o respingere la richiesta di misura alternativa alla
detenzione.
La specificità di questo processo di osservazione non é però limitata alla mera rilevazione di dati
ma, considerato che la nostra Costituzione sottolinea la funzione rieducativa della pena, deve
contemplare anche la produzione di una proposta di reinserimento sociale.
Se consideriamo che sulla base delle indicazioni del Pubblico Ministero saranno poi gli assistenti
sociali a dover seguire il soggetto in misura alternativa, poter formulare una proposta valida che
introduca una pianificazione del reinserimento sociale e una ponderata analisi dei metodi, mezzi e
verifiche, può fornire al primo maggiori elementi di giudizio e ai secondi la possibilità di
predisporre linee d’intervento e monitoraggio a garanzia di fattibilità.
E’ evidente che sul punto del reinserimento sociale s’intrecciano aspetti sui quali il dibattito
giuridico e culturale è vivace: la prevenzione, la neutralizzazione (impedire il ripetersi di reati), la
retribuzione (il “far pagare” in qualche misura i danni provocati), etc… di cui ha competenza
valutativa il Pubblico Ministero che interviene sia sulla pertinenza dell’esercizio della misura che
sulla proposta formulata.
Nella sua formulazione originaria l’affidamento in prova veniva concesso solo in occasione di
condanne non superiori a due anni e mezzo, per reati non particolarmente gravi, espiata una pena
mai inferiore a quattro-cinque mesi (tenuto conto dei tempi necessari per la fissazione
dell'udienza e la decisione del tribunale di sorveglianza) previo osservazione di personalità
condotta in carcere per almeno tre mesi. Ora però, a seguito di modifiche normative e sentenze
della Corte costituzionale “si è pervenuti all’attuale formulazione che consente l’affidamento in
prova al servizio sociale per pene o residui di pena fino a tre anni (quattro se si tratta dello
speciale affidamento per tossicodipendenti) direttamente dallo stato di libertà. Se si considera
anche l'abbattimento del livello sanzionatorio determinato dalla scelta dei riti speciali, è evidente
che il tipo sociologico del potenziale fruitore della misura è profondamente cambiato: dal
deviante marginale a qualunque condannato (almeno per gli ultimi tre-quattro anni di pena
residua), che in molti casi (estesi fino alla rapina a mano armata) ne può beneficiare direttamente
dalla libertà, per un numero illimitato di volte” (F. Favara, inaugurazione A.G. 2005)*.
La relazione del Dott. F. Favara, Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte Suprema
di Cassazione, all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2005 ben evidenzia le condizioni in cui
opera il personale dei C.S.S.A., chiamato a rispondere ad esigenze trattamentali che intervengono
su condanne sempre più gravi.
Recentemente l'applicazione della legge 5 dicembre 2005 n. 251, nota come “legge ex Cirielli”,
appena entrata in vigore e oggetto di dure critiche, intenderebbe risolvere il problema attraverso
una logica d’inasprimento del regime sanzionatorio e di quello penitenziario per i recidivi.
“Inasprimento che si sviluppa in tre direzioni: forte aumento degli aggravamenti di pena;
riduzione del margine di discrezionalità del giudice nell'applicazione della pena; riduzione della
possibilità di fruire di misure alternative alla detenzione e più in generale, dei benefici
penitenziari” (G. F. Lo Turco, inaugurazione A.G. 2006)* .
Il Dott. Lo Turco, Presidente della Corte di Appello di Roma, all’inaugurazione dell’anno
giudiziario 2006, in relazione alla ex Cirielli afferma: “Sono condivisibili le perplessità di alcuni
autorevoli giuristi sull'efficacia di una scelta legislativa nel segno dell'equazione pene più gravi
meno delitti. La nuova legge prevede non solo meccanismi più severi nella determinazione delle
pene, ma anche maggior rigore nelle modalità di esecuzione. Peraltro, con l'esclusione della
recidiva per i delitti colposi e per le contravvenzioni, sembrerebbe determinarsi un quadro
normativo incoerente” (G. F. Lo Turco, inaugurazione A.G. 2006)*.
A questo punto, come si può notare, il ricorso a misure alternative alla detenzione non solo è
divenuto più ampio rispetto alle iniziali intenzioni, ma anche incoerente.
La situazione attuale è ben illustrata dal Dott. N. Marvulli, primo Presidente presso la Corte
Suprema di Cassazione, nella relazione d’inaugurazione dell’anno giudiziario 2006 alla presenza
del Capo dello Stato e delle massime autorità istituzionali: “l'attuale ordinamento penitenziario,
risalente al 1975, ha finito per dissolvere la certezza della pena, perché oggi vi è la certezza che
nessuna pena verrà eseguita nei termini in cui è stata dal giudice disposta, tali e tanti essendo i
benefici e le misure alternative introdotte nel pur vano tentativo di ridurre la popolazione
carceraria” (N. Marvulli, inaugurazione A.G. 2006)*.1
Non può essere trascurato che, a fronte di tali evoluzioni, le trasformazioni in atto avviano un
profondo processo di trasformazione professionale del personale del C.S.S.A. sempre più
chiamato, oltre a predisporre il rilevamento dati, a seguire nella misura alternativa soggetti
sempre più pericolosi supervisionandone il reinserimento.
E’ chiaro che, divenendo sempre più importante il ruolo di analisi e intervento, “la sfida” si
concentra sulla reale capacità di seguire in “maniera ferma” il soggetto durante l’eventuale misura
alternativa svolgendo in parallelo il ruolo di regista dell’intero processo.
E’ ovvio che si parte dall’idea, forse opinabile ma tuttavia sostenibile, che intervenire su soggetti
e contesti comporti l’annullamento del potenziale deviante (e quindi una società migliore). Da qui
l’importanza della proposta trattamentale fornita al Pubblico Ministero nella relazione di
osservazione perché, oltre che assolvere il compito inderogabile di progetto per il reinserimento
sociale del reo, ottempera quello di fornire indicazioni in riguardo alle reali possibilità di
controllo della misura.
In questo nostro articolo, partendo dallo studio di un caso realmente esistente, proporremo una
modalità d’intervento che consiste nell’interazione di due figure professionali, lo psicologo
clinico e l’assistente sociale, volta a realizzare una osservazione e una proposta trattamentale.

1
* Fonte: www.giustizia.it
Nell’ultimo paragrafo analizzeremo i risultati ottenuti ad un anno di distanza dalla misura
proposta su quella persona.

La vita di Aichka

Aichka nasce in Marocco ed è la sesta di otto figli della coppia Mostafa, terza elementare,
pensionato ex elettricista, e Zahra, analfabeta casalinga. La famiglia abita in un quartiere
periferico di Casablanca sprovvisto di strade asfaltate e illuminazione in una di quelle casette
basse, a due piani, bianche, tipiche del luogo (con tre camere e una stanza adibita a cucina).
Aichka racconta che quando era piccola, a volte, capitava che i guadagni del padre non fossero
sufficienti a garantire la cena e in quelle occasioni la madre invitava tutti a ritirarsi nel proprio
letto a pregare perché il giorno dopo fosse migliore … e in quelle occasioni tutti speravano di
addormentarsi al più presto per non sentire i crampi della fame.
I suoi genitori sono molto religiosi e il padre è un mussulmano estremamente devoto con una
lunga barba bianca che veste in modo arabo tradizionale. Aichka ci mostra la foto che lo ritrae
dominante a fianco di una moglie piccolina col suo chador bianco in testa e i figli attorno.
Mostafa in famiglia mantiene un ruolo egemone utilizzando soprattutto la forza. Picchia spesso
con un bastone, ad ogni mancanza, moglie e figli. Per questo è temuto e rispettato.
Tutte le storie infantili di Aichka si snodano intorno a questa figura autoritaria e violenta che è
stata capace d’imporsi fino a quando non ha dovuto, al crescere dei figli, confrontarsi con un
sistema di forze più ampio e articolato. Col passar del tempo, infatti, durante le liti, la parte filiale
ha iniziato a coalizzarsi intorno alla figura dell’aggredito (frequentemente la madre) ed opporsi,
più o meno attivamente, al patriarca. In quelle occasioni, le “alleanze” che ci descrive, sembrano
seguire sempre una specie di copione caratterizzato per sesso (ad es: quando Mostafa aggrediva la
moglie, tutte le figlie, urlando, l’accerchiavano per difenderla, creando una specie di zona
cuscinetto intorno a lei, mentre i maschi si occupavano di lui), per età (ai piccoli era riservato un
ruolo marginale mentre i più grandi erano protagonisti) e per rapporto di forza (i figli maschi, se
piccoli trattenevano il padre, se adolescenti si scontravano fisicamente con lui mentre alle
femmine, sia piccole che grandi, era unicamente riservato il ruolo d’interposizione).
Aichka racconta che nella sua cultura anche la parte filiale possiede una specie di propria
gerarchia caratterizzata da relazioni one-up one–down. I maschi sono considerati one-up rispetto
alle femmine ed hanno il diritto (in forma di consuetudine s’intende) di picchiare le sorelle
qualora queste tengano comportamenti giudicati scorretti (ad es.: avere un ragazzo senza aver
ufficializzato l’unione ….o guardare troppo a lungo un uomo). Tra fratelli il primogenito è
considerato one-up rispetto agli altri e di solito è quello che per primo, raggiunta l’adolescenza,
sfida il padre in un confronto verbale o fisico.
Le pene corporali sono la norma all’interno dei rapporti coniugali, tra quelli genitori–figli, tra
quelli tra fratelli maggiori e minori e tra fratelli e sorelle. Aichka ci dice che se un uomo non
riesce ad imporsi in questo modo è considerato poco virile o scarsamente autorevole.
Anche il sistema educativo scolastico prevede pene del genere sotto forma di bacchettate nel
palmo delle mani o nella pianta dei piedi. Ogni classe è generalmente composta da 45 alunni e
l’insegnante usa questi modi per garantire l’ordine e la disciplina. Benché siano miste, gli uomini
sono separati dalle donne da un corridoio mediano e il colloquio tra gli uni e le altre (breve
altrimenti può scattare la “reazione fraterna”) è ammesso solo durante la ricreazione.
Aichka dice che in Marocco una donna di città, istruita, è considerata indipendente e, anche se tra
i paesi arabi il suo si colloca tra i più moderni (…lì si possono trovare donne avvocato o
impegnate in politica), l’emancipazione femminile è ancora vista con sospetto. Riferisce che, in
genere, un uomo mal tollera l’indipendenza psicologica ed economica della moglie anche se è
disposto ad accettarla, quale segno di modernità, se vive in un contesto culturale diverso da quello
di origine (per esempio in un paese europeo). Il motivo, a suo parere, è la critica sociale che lo
colpirebbe se si comportasse in tale maniera in Marocco.
A 6 anni Aichka inizia a frequentare le elementari mantenendo un rendimento medio-alto perché
gli piace studiare. E’ contenta, motivata e si sente fortunata rispetto alle altre bambine del
quartiere perché può mangiare tutti i giorni alla mensa scolastica e ricevere i vestiti usati che
alcune associazioni caritatevoli devolvono periodicamente all’istituto.
A 10 anni ha il menarca e la madre gli spiega che è diventata donna, quindi dovrà imparare a
cucinare, preparare il pane, cucire, fare i lavori domestici etc….., insomma, dovrà darsi da fare se
vuole avere le qualità necessarie per trovare marito. Per questo motivo, da quel momento, tutte le
estati, al termine della scuola, sarà inviata a Marrakech ad aiutare nei lavori domestici una sorella
maggiore con 4 figli che vive lì con suo marito.
A 13 anni frequenta clandestinamente un ragazzo, Kamal, un compagno di classe con cui ha un
rapporto caratterizzato da sguardi intensi, brevi parole affettuose e lettere d’amore. Il rischio di
essere scoperta dai fratelli è alto e per una cosa del genere, oltre alle punizioni corporali, potrebbe
esserle imposto il ritiro dalla scuola. Ma è fortunata, in quel periodo la loro attenzione è altrove.
Said, il maggiore, un ragazzone di 17 anni, ha iniziato a sfidare il padre sul piano del potere e la
famiglia è in un periodo di turbolenza per la riorganizzazione delle relazioni reciproche.
Ci consegna un ricordo che ancora vive come drammatico.
Una volta, dopo che il patriarca aveva ripetutamente colpito la moglie col bastone nelle gambe e
nelle braccia perché lo aveva contraddetto, mentre le figlie urlando si stavano interponendo, un
pugno di Said lo fece crollare svenuto a terra. Tutti temettero che fosse morto e ancora oggi
l’immagine di quel corpo inerte scatena in lei rabbia e commozione. Il forte padre è caduto.
Racconta che fu in quel momento che nella sua mente si affacciò l’idea di emigrare.
Quell’evento, oltre ad un trauma, sembra rappresentare un punto di rottura nelle relazioni
familiari. Pare una specie di rito di passaggio oltre il quale è come se i rapporti reciproci
cessassero di essere come erano prima. E’ come se in quel momento si fosse invertito il rapporto
di reciprocità che lega i genitori alla sussistenza dei figli. Nell’arco dei successivi due anni,
infatti, 4 suoi fratelli (due maschi e due femmine) emigreranno in paesi europei per provvedere al
fabbisogno economico loro e dei genitori (attraverso l’invio di denaro). Il primo fu proprio Said.
Aichka ha 14 anni quando Said se ne va, non può uscire di casa la sera per il rischio di essere
violentata e i fratelli rimasti la sorvegliano con più o meno discrezione. La sua vita pubblica, se si
esclude la scuola, è esclusivamente collegata al rapporto con una coetanea con cui fa i compiti
tutti i giorni e con la quale si reca, la domenica, alla sauna pubblica. Il rito della sauna garantisce
l’igiene personale (solo le abitazioni di lusso possiedono un bagno in casa) e si espleta in ripetuti
lavaggi del corpo della durata di un intero pomeriggio in bagni pubblici che assolvono,
soprattutto per le donne, anche dimensioni conviviali.
Dai 14 ai 20 anni (termine della scuola media superiore) la sua vita mantiene il solito iter con
un’unica variazione, a volte, di nascosto, insieme all’amica, si reca in città per vedere le vetrine e
lì, di tanto in tanto, s’incontra con Kamal. Il rapporto con lui è esclusivamente verbale e sensuale,
mai fisico, fatto di sguardi, contatti e promesse. La verginità è considerata una sorta di “bene
materiale” che la donna porta in dote al matrimonio e che “scambia” (cioè “concede”) solo dopo
“sistemazione” coniugale. In culture povere, patriarcali, dove il lavoro femminile è ancora
ostacolato, è, in un certo senso, un’utile strategia di sopravvivenza perché spinge l’uomo a
formalizzare un rapporto che ancora gode d’inscindibilità e che implica provvedere alla consorte.
Sebbene il divorzio può essere praticato anche in Marocco, una donna divorziata, di solito, viene
considerata poco seria e inaffidabile. Se ha un compagno stabile, e non è parecchio più anziano di
lei (… giustificato perché desidera coniugarsi con una giovane): lui viene considerato “poco
normale” o “poco uomo” e lei approfittatrice. Dice Aichka: “se è un giovane tutti gli dicono: hai
lasciato una vergine per una sposata [ossia: preferisci una sposata ad una nubile] …. e viene
considerato uno scemo”. Anche un uomo che lascia la propria moglie, ossia che l’abbandona, o
meglio, che si separa da lei (ad es. divorziando), parimenti, incontra la critica sociale perchè è
giudicato scorretto o con poca dignità: “poco uomo” (per dirla con le parole di Aichka). Il motivo
è che, poiché la legge mussulmana permette di avere più mogli, potrebbe ricorrere
all’emarginazione della non più amata in seno familiare, sposandone un’altra, evitando di
umiliarla pubblicamente col divorzio o la separazione. Aichka ci racconta che sciogliere il legame
coniugale attraverso queste modalità equivale a rinnegare o ripudiare la propria moglie. Un uomo
che sceglie queste azioni senza giustificato e grave motivo è considerato riprovevole perché
dimostra di essere un cinico che solo per motivi economici (per non provvedere al suo
fabbisogno) non esita a rovinare una donna.
Terminata la scuola Aichka decide di raggiungere la sorella Malika che vive in Toscana ed è
sposata con un italiano. I genitori accolgono la sua decisione con felicità e le consegnano quel po’
di denaro risparmiato per l’eventualità.
Nel 1993 parte con uno zio e che deve recarsi a Roma e raggiunge Malika.
In Italia Aichka ha un’altra sorella maggiore, Saloua. Mentre la prima è sposata con un
agricoltore ed è casalinga, questa è fidanzata con un marocchino e lavora in un night in qualità di
p.r. (public relations - accompagnatrice), il Copacabana.
In Italia Aichka trova lavoro come badante presso un’anziana signora che però muore l’anno
successivo.
Nel 1994 non riuscendo a trovare altra occupazione accetta quella che Saloua le propone al
Copacabana. Lì, dopo 4-5 mesi, conosce Simone, un giovane marinaio siciliano di ritorno da una
missione all’estero che sta terminando il periodo di leva. Simone ha molti soldi in tasca (il
contributo maggiorativo della missione) e al Copacabana li spende tutti per lei. Lei parla coi
clienti, ordina bevande al tavolo, ma non accetta altro tipo di confidenza. Lui è curioso di sapere
perché è così riservata (le altre, per denaro, accettano maggiore intimità) e lei gli rivela che
siccome è illibata si concederà solo a chi la sposa. Simone s’innamora e, terminato il militare, nel
1995, la sposa.
I due vanno a vivere a Catania nella casa del padre di lui, titolare di una piccola officina
meccanica locale, che è un divorziato con non meglio precisati problemi psichici che parla solo in
dialetto siciliano stretto (incomprensibile per lei). Questo signore viene descritto come una
persona autoritaria, di salute cagionevole, che si comporta da despota nei confronti di entrambe i
giovani sposi.
Dopo il matrimonio Aichka ha sempre più chiaro che Simone è succube del padre e incapace di
decisioni proprie perciò un giorno gli comunica, con fare deciso, che avrà dei figli da lei solo se
riuscirà a dimostrare di “essere un uomo”, … un capofamiglia (dice: “il mio uomo deve essere
padre dei miei figli… no suo padre .. non ho sposato mio suocero”).
Simone prende tempo ed evita di decidere. I due litigano sempre più spesso e lei inizia a
minacciarlo di andarsene finché, un giorno, nel 1997, lui, in atto di rabbia, l’accompagna fuori
casa e le dice che se vuole è libera di andarsene. Dal suo punto di vista questo atto equivale ad
essere pubblicamente ripudiata. Una umiliazione sociale che non sente di meritare. Per lei ora
Simone, oltre che “poco uomo”, è anche moralmente riprovevole.
Senza soldi e, coi soli vestiti che indossa, monta sul primo treno che passa e, avventurosamente,
riesce a tornare in Toscana da Saloua. Lui non le telefona. Lei non vuole contattarlo e, dopo circa
una settimana, si considera abbandonata. Rinnegata dal marito.
Su consiglio della sorella riprende a lavorare al night.
E’ carina, giovane, capace di attrarre l’attenzione dei clienti e questa volta, un po’ per soldi un po’
per rivalsa, è disposta ad accettare maggiore intimità.
Concedendosi, inizia a guadagnare molto. I gestori del night incassano il guadagno delle
consumazioni dei clienti e lei gli extra.
Dopo poco tempo, a causa di un uomo che la preferisce ad un’altra, entra in contrasto con una
collega. Tra le due donne scoppia una lite furibonda all’uscita del Copacabana. Qualcuno chiama
la polizia. Quella con cui sta litigando è però una donna più anziana, con maggior esperienza di
vita, e all’arrivare degli agenti ha la prontezza di spirito di precipitarsi verso di loro invocando
protezione. La polizia la protegge e lei denuncia Aichka per aggressione finalizzata a sottrazione
di borsetta. Aichka nega ma non racconta tutta la verità alle forze dell’ordine per paura di essere
considerata una prostituta. Mentre lei parla con gli agenti, la contendente, prontamente, chiama
col cellulare a testimoniare alcune colleghe del Copacabana che la scagionano. Aichka invece
viene trattenuta. La vicenda le fa conoscere 20 giorni di carcere preventivo dove rimane,
disperata, rifiutando il cibo. Nell’occasione la questura avverte il marito che, al termine
dell’arresto provvisorio, va a riprenderla.
I due hanno un’apparente riappacificazione.
Nel 1998 torna in Sicilia ma il problema coniugale ancora non è risolto e l’anno dopo concordano
un procedimento di separazione legale. Nuovamente senza una casa decide di tornare dai genitori
in Marocco ma anche loro la rifiutano. Le dicono che oramai sono anziani e che deve essere lei a
provvedere loro (con un assegno di mantenimento mensile), non viceversa.
Aichka è costretta a rifare le valige per l’Italia.
Ritorna a lavorare al Copacabana.
Lì, nel 2001, conosce un imprenditore edile molto più anziano di lei. E’ una persona ricca che le
propone uno stipendio se decide di vivere in una casa di sua proprietà e cessare il lavoro al night.
Lei accetta. Lui vive coi genitori e solo i fine settimana la raggiunge nella casa dove risiede per
stare con lei. Nel 2003 le chiede di convivere con lui e i suoi genitori perché dice di amarla e
vuole un figlio.
Ancora una volta entrano in collisione due culture.
Dice Aichka: “in Marocco non abbiamo convivenza … o matrimonio o niente” e l’imprenditore,
messo alle strette, non si dimostra così innamorato come afferma. I due si lasciano, ma lei è stata
previdente: dei soldi che mensilmente le dava, una parte li usava per vivere, una parte li inviava ai
genitori e una terza l’accumulava per il futuro. Ora quei soldi risparmiati le danno la possibilità di
non rientrare nel circuito delle ragazze del night.
Comincia a fare lavori occasionali in bar, gelaterie o come collaboratrice familiare tamponando i
momenti di disoccupazione con quel denaro.
Nel 2004 conosce Adil, un giovane marocchino che lavora come cuoco presso un ristorante locale
e i due si fidanzano. A Adil Aichka non racconta il suo passato perché dice che è troppo doloroso,
e pensa che, se lo facesse, lui la lascerebbe.
Attualmente lavora come col.f. e vive con vergogna il lavoro che ha svolto al Copacabana. Dice:
“la religione mussulmana punisce chi fa quel lavoro … ci sono donne in Marocco che sono morte
per questo … se dalle mie parti ti vedono farlo [concedersi sessualmente] con un cristiano o con
un ebreo, .. uno che non crede, .. è anche peggio” e ancora, riferita all’eventualità che il proprio
partner conosca la sua storia afferma: “è come se uno [..ossia l’uomo che ne viene a conoscenza,
accettandola quale fidanzata..] portasse in casa una cosa negativa”.
Lei dice di voler bene ad Adil ma lo ha lasciato. Il motivo è che ha paura che le conseguenze
legali della sua vicenda la costringano a dirgli che lavorava come accompagnatrice in un night.
Sostiene che recentemente lui le avrebbe chiesto di convivere, … e lei naturalmente ha rifiutato.
Afferma che non vuole più vendere il proprio corpo nei night e che è stata costretta ad accettare
tale lavoro solo per sostenersi economicamente.

L’analisi dello Psicologo Clinico

Aichka è una donna a cavallo tra passato e presente che lotta per la propria identità ed
emancipazione.
Conserva in sé le tradizioni del suo popolo e, anche se si professa atea e moderna, ammira l’uomo
forte che detiene potere direttivo in famiglia e subordina con autorità la moglie. Anche se,
parallelamente, desidera essere indipendente e emancipata come una donna italiana.
Presenta in sé la tipica ambivalenza dell’immigrato che deve costruirsi un’identità in bilico tra
due mondi.
La sua storia permea di una femminilità “contrattuale” che evoca storie d’altri tempi.
Appare evidente il tradizionale uso della dimensione sessuale per fini terzi: il matrimonio, il
lavoro al night, il rifiuto della convivenza (non formalizzando l’unione, la donna perde il vincolo
sociale che la lega al compagno) etc… tutti temi “a garanzia di un preciso ritorno” (.. contratti ..)
che però devono essere analizzati con una chiave di lettura cultura-dipendente.
A nostro avviso infatti non vi sarebbe alla base di tali scelte una visione cinica o crudamente
opportunistica della vita, bensì una ricerca d’identità personale.
Se non fosse così non si sarebbe conservata vergine per il matrimonio pur lavorando al
Copacabana. E’ verosimile che abbia fatto ciò perché le tradizioni siciliane del suo ex marito, in
ambito d’illibatezza prematrimoniale, si confanno molto con quelle della sua cultura. E’
verosimile anche perché una donna marocchina, probabilmente durate tutto il suo iter scolastico –
sociale – relazionale – familiare etc.. apprende che la propria dimensione di potere è quasi
unicamente riconducibile alla sessualità.
E’ evidente che lei viene in Italia per dare un senso diverso alla vita cui sembra predestinata. E
poiché viene con la propria storia, è verosimile immaginare che ritenga quale sua maggior
ricchezza proprio l’illibatezza, non certo quei pochi danari che le hanno serbato per l’occasione i
genitori. E’ chiaro che il suo scopo è sposarsi.
In lei sembrano scontrarsi temi a maggior contenuto tradizionale (tutti quelli correlati all’identità
di moglie e di madre) con quelli più moderni di donna emancipata, indipendente e in grado di
bastare a se stessa.
Nell’uomo cerca in un certo senso la figura del proprio padre (prototipo maschile culturalmente
correlato). Si aspetta da lui un modello d’identità definito e indipendente che da una parte le
garantisca un chiaro riferimento sociale ed economico e dall’altra le permetta di determinare in
modo riflesso il proprio ruolo.
Il problema pare essere proprio questo.
Occupare un ruolo che abbia dei riferimenti per lei significativi, ossia che lei riconosca
chiaramente, cioè che conosca attraverso gli occhi della sua storia e della sua cultura, per
permettergli di assumere una identità personale. Tutti noi siamo il risultato di ciò che abbiamo
appreso durante la nostra vita, delle regole scritte e non scritte che abbiamo seguito o contestato e
su cui abbiamo costruito la nostra identità, il nostro modo di pensare e interpretare il mondo.
Il concetto d’identità femminile è, nelle culture tradizionali, fortemente ancorato al ruolo di
moglie e quindi al rapporto ufficializzato con l’uomo.
Questa considerazione diventa evidente nei motivi per cui si è prima separata e poi divorzia da
Simone.
I due si dividono probabilmente perché lui non è stato in grado di darle un ruolo che per lei fosse
chiaro. “Non ho sposato mio suocero” dice Aichka, e con questa affermazione chiarisce come
vede il proprio ruolo di donna: definito per riflesso rispetto a quello di colui che detiene maggior
potere in famiglia. Nei suoi schemi mentali, per essere donna e moglie, ha bisogno di un uomo
con il quale confrontarsi e definirsi una volta ufficializzata l’unione.
Questo problema torna alla luce anche nella posizione che assume nei confronti del successivo
compagno stabile, l’imprenditore edile. Fino a che lui la considera sua compagna, pur offrendole
vitto, alloggio e stipendio, lei assume il ruolo di sua ragazza. Nella sua testa ciò significa un
profilo d’identità stabile compatibile con quello del contesto italiano. Mentre, il fatto che questi,
ad un certo punto, le proponga di convivere e dargli dei figli, cambia radicalmente le prospettive.
Qui, ad esempio, si può notare l’assenza di un intento manipolativo o cinico volto a sfruttare le
occasioni. Se fosse stata un’opportunista avrebbe colto la palla al balzo realizzando la propria
sistemazione economica. Invece pone il problema della trasformazione del ruolo sociale
imponendogli di sposarla prima di coniugarsi ufficialmente a lui (dice Aichka: “in Marocco non
abbiamo convivenza … o matrimonio o niente”).
E’ a questo punto che si nota la discrepanza dei due modelli interpretativi di una realtà
culturalmente mediata.
Probabilmente l’imprenditore era anche sincero negli intenti ma, quasi sicuramente, anteponeva
al matrimonio e ai figli un periodo di prova coniugale, sotto forma di convivenza, in casa sua,
insieme ai suoi genitori. Forse per verificare l’accordo familiare.
Dall’altra parte, invece, per Aichka la legittimazione sociale viene prima di ogni tipo di rapporto
pseudo ufficiale perché da ciò lei ne ricava un ruolo da cui desumere il comportamento da tenere
(con gli altri, il marito e i figli).
In Marocco non esiste la convivenza, di conseguenza lei non può che interpretare tale tipo di
unione come una specie matrimonio non legittimato. O “mezzo matrimonio” come dice lei.
In sintesi, sembra che Aichka abbia bisogno d’identificarsi in un ruolo ben preciso per mantenere
la propria identità personale in modo ancora compatibile coi modelli relazionali interiorizzati.
Se pensiamo che probabilmente nella sua vita ha appreso solo a rapportarsi in maniera simmetrica
rispetto all’uomo, o one-up o one-down, nel nostro contesto culturale si trova chiusa in
un’ambivalenza. Se il compagno si pone one-down e lei è one-up, perde valore suoi occhi, si
svaluta, cede in autorevolezza e diventa “poco uomo”. Se la pone one –down, sente di assumere
quella posizione tradizionale dalla quale però sta fuggedo e che rifiuta in virtù dell’indipendenza
raggiunta. Il problema sembra essere che non ha ancora sufficientemente interiorizzato una
posizione complementare in riguardo ai rapporti coniugali tale per cui due coniugi non
necessariamente stabiliscono reciproci rapporti di forza per relazionarsi vicendevolmente.
E’ una donna in bilico tra due modi di essere.
Da una parte è tradizionale. E’ evidente ciò nella lettura che da’ al comportamento dell’ex marito
quando questi l’accompagna fuori casa. Quando le dirà che è libera di andarsene, lei interpreterà
quell’atto (probabilmente nelle intenzioni di lui solo formale e forse mediato da ira momentanea)
come sostanziale, ovvero come se l’avesse pubblicamente ripudiata. Lei, accompagnata fuori
dalla porta di casa dal marito, non può che interpretare quell’azione sulla base dei propri
riferimenti tradizionali.
Dall’altra è moderna perché dimostra di sapersi muovere per bastare a se stessa. Trova lavoro. E’
previdente, risparmia soldi etc... E’ emancipata, o almeno così afferma di essere. Critica la
subordinazione della donna nel rapporto coniugale e sente di aver maturato una posizione più
autonoma di quella di sua madre.
La personalità di Aichka è caratterizzata da una matura affettività stabilizzata e differenziata,
capacità di controllo emotivo, adeguato spettro delle espressioni emotive e sensibilità.
E’ una ragazza indipendente, che collabora, ambiziosa, introversa, modesta, decisa, concreta e
capace di portare a termine le proprie iniziative mobilitando tutte le risorse che possiede.
Sebbene non brillante sembra avere un buon grado d’intelligenza, iniziativa personale e una certa
naturalezza nell’affrontare i compiti.
Dal punto di vista relazionale è certamente un soggetto individualista, competitivo, tendente al
conformismo e capace di usare gli altri per fini propri, tuttavia possiede anche un certo grado di
disponibilità al contatto disinteressato che le permette di mantenere queste dimensioni, più di tipo
utilitaristico o manipolativo, entro i limiti del rispetto dell’altro.
Non è una donna poco intelligente, quindi stimiamo che riuscirà a produrre un proprio modo di
essere a garanzia della desiderata indipendenza senza rinunciare a costruire un rapporto affettivo.
Le vicende della colluttazione con la collega del Copacabana e gli eventuali soldi sottratti ci
sembrano decisamente temi secondari e per altro subordinati ai rapporti che si creano tra le
ragazze nei night … non sempre di facile lettura…. . In questo contesto ci pare più importante
tentare di stimare come Aichka spenderà il proprio futuro.
Lei ci sembra determinata a mantenersi emancipata e lontana da locali che le possano creare
problemi. Pensiamo che se fosse aiutata ad intraprendere una propria strada professionale
lavorativa e sostenuta in questo momento della sua vita (che vive con molta difficoltà,
preoccupazione ed apprensione) potrebbe essere in grado di costruirsi una vita nel rispetto delle
norme.

L’analisi dell’Assistente Sociale

Aichka vive in un appartamento pulito e decoroso con un fratello, da poco venuto dal Marocco,
che svolge attività di ambulante, ed un cognato che provvisoriamente ospita per motivi di lavoro
(si tratta del marito di Malika, muratore in una ditta edile che sta effettuando lavori in zona). Ha
un contratto di affitto a suo nome e paga un canone mensile di 500 € che viene diviso equamente
tra i tre.
Attualmente lavora come collaboratrice domestica con contratto a tempo determinato presso una
famiglia che ha provveduto a regolarizzarla.
Mantiene contatti telefonici e epistolari con la sua famiglia di origine alla quale invia
regolarmente parte dei soldi che riesce a risparmiare.
I rapporti coi fratelli emigrati in Italia sono buoni e, tra questi, privilegia quelli con la sorella
maggiore Malika.
Aichka è molto legata alle tradizioni del suo paese e anche l’arredamento della casa ne rende
merito. Lo stile è quello tipico marocchino.
I suoi rapporti sociali, se si escludono quelli coi familiari, sono limitati a contatti più o meno
occasionali con connazionali. E’ una donna con buone capacità di gestione del quotidiano (tempo
libero, risparmi, impegni, lavoro etc..) e delle relazioni sociali.
Con l’assistente sociale Aichka sviluppa un buon rapporto e l’operatrice preposta riesce ad entrare
in sintonia con lei attraverso quel senso di complicità femminile che è tipico delle donne che
appartengono a culture tradizionali maschili patriarcali. A lei Aichka confessa il desiderio di
staccarsi dalle consuetudini che caratterizzano il suo passato, ma anche l’inquietudine in riguardo
futuro.
Desidera costruirsi una famiglia ed avere dei figli perché sente di aver raggiunto l’età per
diventare madre.
Dice di amare Adil, il ragazzo marocchino che ha lasciato per paura di essere costretta a dirgli la
verità sulla sua vita. Vorrebbe inserirsi nella nostra società e lavorare regolarmente per garantirsi
un futuro migliore, ma teme che il retaggio del suo passato e le condizioni del presente non glielo
permettano.

Il progetto d’intervento “a quattro mani”

Che cosa possiamo dedurre dall’analisi dei dati in nostro possesso?


Sicuramente possiamo dire che Aichka è una donna “sospesa tra due mondi”.
I suoi modelli cognitivi e le sue modalità relazionali sono irriducibilmente quelli che ha appreso
nel proprio contesto culturale d’appartenenza. L’intero nostro apparato psichico si organizza nella
propria autonomia funzionale e nell’identità intorno ai significati che abbiamo scelto di
condividere con gli altri.
Per questo Aichka appare sospesa.
Da una parte sembra vincolata ad un contenitore di significati che gli garantisce una stabile
identità soggettiva, che però vorrebbe abbandonare perché non coerente con l’immagine di sé che
desidera raggiungere.
Dall’altra c’è un’identità da costruire completamente, quella di donna emancipata, pena la
disgregazione del sé e delle stesse funzioni mentali. Non è quest’ultimo un rischio apparente
perché può esprimersi sotto forma di ritiro sociale o psicopatologia. “Il mantenimento del nostro
apparato psichico è possibile solo grazie alla presenza del contenitore culturale che non solo dà
una forma alle manifestazioni dello psichico ma le rende possibili e riconoscibili come tali,
ovvero come proprietà peculiari ed esclusive di ogni soggetto umano” (T. Nathan,1996).
Se vogliamo fare qualcosa per Aichka dobbiamo chiederci: “a partire da quale sistema di pensiero
si può riuscire a stabilire dei legami nel funzionamento psichico e sociale con questa persona”?
Ossia, siamo alla ricerca di quanto di comune c’è tra il mondo psicosociale del soggetto
(Manfrida, 1998) e quello della nostra comune realtà condivisa (naturalmente in assenza di
devianza).
Per fare ciò dobbiamo immaginarci di vedere il mondo con gli occhi di Aichka.
Per quanto Aichka voglia, i suoi codici restano tradizionali. Tutte le sue maggiori scelte di vita
l’attestano.
Ma vi è in lei anche una spinta verso la modernità.
Aichka è una ragazza che ha sempre studiato volentieri, anche in Marocco, segno evidente di un
tentativo di emancipazione che in una certa misura è compatibile con una visione tradizionale
della vita.
Questo potrebbe essere il comune denominatore tra “il vecchio” e “il nuovo” che cerchiamo
perché su questo tema s’intrecciano elementi tradizionali e moderni. E’ un tema che può essere
accettato sia dalla sua dimensione tradizionale, mediata dal sistema culturale marocchino, che da
quella più moderna, rappresentata da quello italiano.
Lo studio potrebbe essere l’elemento identitario intorno cui costruire quella nuova immagine di sé
che auspica.
Poi dobbiamo cercare di entrare in quel sistema di riferimenti che strutturano i significati
relazionali su cui si basa il ruolo della donna nel contesto tradizionale marocchino. E’ evidente la
complementarità che lì assume rispetto a quello dell’uomo. Non è così, ad esempio, per le ragazze
italiane che sono in grado di sentirsi madri (o mogli) senza necessariamente formalizzare il
rapporto con un compagno o avere un riconoscimento sociale che ne ratifichi l’unione.
Inoltre bisogna considerare che ogni processo di naturalizzazione o di “acculturazione” richiede
tempo perché interviene sui processi cognitivi usati per dare i significati alla realtà, gli schemi di
tipizzazione (Berger, Luckmann, 1966).
Sinteticamente, dalle analisi emergono tre temi fondamentali da dover considerare nel nostro
progetto d’intervento: l’istruzione, il contenitore culturale d’appartenenza e un sostegno
temporalmente protratto.
Metodologicamente usiamo come “strumento” l’intervento sulle reti sociali.
L’analisi delle reti sociali veicola l’idea che la società sia basata su un intreccio complesso di
relazioni per cui ogni fenomeno sociale possa essere in ultima analisi letto in termini relazionali e
strutturali. La condizione è che ogni fenomeno possa essere espresso in termini di attori sociali e
interconnessioni. “L’approccio delle reti sociali si basa sulla nozione intuitiva che i modelli dei
legami sociali in cui gli attori sono incardinati abbiano conseguenze importanti per quegli stessi
attori” (Salvini, 2005).
Ogni scelta individuale è quindi incardinata in un processo sociale dove le interazioni tra gli
individui stabiliscono i criteri attraverso cui gli attori definiscono la situazione di scelta. Per
questo giocano un ruolo importante nei processi di crescita personale, d’integrazione sociale e di
qualità della vita.
In base al contenuto, la maggior parte delle relazioni sociali, intervengono su 5 diversi ambiti: lo
scambio di risorse, la trasmissione d’informazioni, le relazioni di potere le interpenetrazioni tra
confini (ossia la compartecipazione in obiettivi comuni) e l’attaccamento affettivo (Salvini,
2005).
L’analisi dell’assistente sociale rileva che le uniche reti sociali cui Aichka in Italia è connessa
sono quelle familiari nella fattispecie di quelle fraterne. Esaminata in rapporto alle variabili
strutturali, secondo l’ipotesi di M. Granovetter, la rete di Aichka è di piccola ampiezza, con
percentuale di parenti alta, alta multiplexity (relazione tra soggetto e l’altro), alta densità, bassa
eterogeneità, alta frequenza di contatti e alta intimità.
Il nostro progetto consiste:
- nell’allargare il numero delle reti introducendone di più grandi al fine di promuovere la
costruzione di legami deboli (caratterizzati da minor investimento affettivo, minor
frequentazione e maggiore impersonalità nel rapporto) tali da avviare un processo di
acculturazione. Per ottenere ciò le proporremo una scuola per stranieri specializzata
nell’insegnamento della lingua italiana;
- una volta iniziato il percorso di studio si tratterà di sensibilizzare il rapporto con gli
insegnanti al fine di garantirgli altri riferimenti significativi cui potersi rapportare per
suggerimenti o consigli di vita (… quelli provenienti da fonti esterne ai preposti alle
misure di sicurezza sono sempre vissuti come più disinteressati);
- attraverso colloqui, l’assistente sociale tenterà di aiutarla a ridefinire la sua relazione con
Alid.
Ovviamente il progetto ruota intorno alla posizione lavorativa di Aichka, sapere meglio l’italiano
le permette di avere maggiori chances sia in riguardo al contratto in vigore che per altri eventuali.
Il focus però non è tanto quello, pur importante, di avere maggiori competenze linguistiche,
quanto quello di inserirla in una rete sociale in grado di sostenerla e trasmettergli il senso di una
comunità che possiede finalità condivise.
Il fatto che riesca ad avere maggiori contatti sociali con persone non devianti può garantirle
ritorni a livello dei contenuti (i 5 su riportati) delle relazioni stabilite e, poiché si tratta di stranieri,
potrebbe permettergli anche di apprendere le strategie di mediazione che gli altri usano per
ritagliarsi un ruolo “moderno” senza rinunciare completamente alle proprie tradizioni.
La sensibilizzazione del rapporto con l’insegnante (per altro si tratta quasi sempre di persone
estremamente qualificate, disponibili e sensibili) può consentirgli una rielaborazione dei temi
d’integrazione più ostici oltre che assumere un punto di vista esterno rispetto alle proprie vicende.
Infine, il compito di ridefinizione del rapporto col compagno, realizzabile attraverso il canale
della complicità femminile sviluppato con l’assistente sociale, potrebbe permetterle una
elaborazione dei significati soggettivi connessi al reato oltre che consentirgli di costruire una
relazione affettiva significativa con lui.
La relazione con Adil sarebbe auspicabile perché le consentirebbe di ottenere un ruolo nel rispetto
delle tradizioni marocchine senza dover rinunciare all’autonomia raggiunta. Anche Adil è un
emigrante e quindi conserva in sé tradizione e modernità in una miscela che potrebbe essere
compatibile con quella di Aichka.

Conclusioni, “la vita di Aichka ora”

Il nostro lavoro è partito dall’analisi dei significati soggettivi dell’azione deviante. Da come
questi fossero riconducibili a determinanti di personalità ben precise (cultura dipendenti). Dal
punto di vista psicologico è stato isolato un denominatore comune in grado di essere compatibile
con le dimensioni interne soggettive. Su questo abbiamo costruito l’intervento.
Il passo iniziale consiste nell’accettare il comportamento manifesto del soggetto e nel conoscere
le sue personali strutture di riferimento.
L’assistente sociale ha analizzato le reti sociali alle quali Aichka era collegata, ha maturato una
relazione sufficientemente calda ed accogliente con lei ed ha ipotizzato la tipologia di rete
necessaria al reinserimento.
Il secondo passo è stato caratterizzato dall’analisi del contesto sociale in chiave di reti sociali
attive.
Coniugando i temi trovati si è potuti pervenire ad un intervento in grado di utilizzare le
associazioni mentali, i ricordi e le potenzialità soggettive al fine del reinserimento sociale.
Il terzo passo è consistito nel trovare l’ambito d’intersezione tra il primo e il secondo step.
A distanza di un anno dalla sentenza del Tribunale, positiva per l’affidamento in prova ai servizi
sociali, che ha accolto completamente il nostro progetto di reinserimento sociale, possiamo
sentirci soddisfatti.
Aichka continua a lavorare come collaboratrice domestica e studia con passione e dedizione.
Riferisce che è molto contenta perché ha la sensazione di continuare quel processo di
emancipazione che aveva dovuto interrompere in Marocco.
Ha molti rapporti coi compagni di classe ed una straordinaria relazione di amicizia con una
insegnante.
Si è riconciliata con Adil ed aspetta un figlio da lui. Non si è ancora sposata e ciò significa che ha
interiorizzato una dimensione di ruolo meno tradizionale.
Sebbene non sia ancora tutto rose e fiori, perché non ha ancora raccontato completamente la
verità sulla sua vita in Italia al compagno, non ha più venduto il proprio corpo nei night e
possiamo dire che si è completamente allontanata da quel giro.
Sotto il profilo della devianza siamo moderatamente ottimisti perché le reti sociali attivate
sembrano garantirle la possibilità di entrare in contatto solo con attori sociali onesti.
Permane tuttavia l’interrogativo della relazione con Adil.
Se i due riuscissero a sancire la loro unione, Aichka avrebbe la possibilità di ruolificarsi come
moglie in rapporto al compagno marocchino (soggetto ai suoi stessi codici culturali) e ciò
potrebbe significare costruirsi una identità personale sicuramente diversa da quella tradizionale
cui sembrava predestinata senza andare incontro a dolorose fratture.
Che dire, nella vita ci vuole anche un po’ di fortuna … noi, inguaribili ottimisti (altrimenti non
faremmo questo mestiere), speriamo nel lieto fine.

Bibliografia

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www.Giustizia.it

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