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17 OTTOBRE 2017

Siamo al divieto di analogia, quindi al principio di tassatività che non consente


al giudice, appunto, di applicare la fattispecie criminosa (di reato) a fatti non
espressamente previsti dal legislatore. Abbiamo visto che il principio di
tassatività è solo implicitamente previsto dalla Costituzione, mentre è
espressamente previsto dall’art.1 c.p. e dall’art.14 disp. prel in particolare che
fissa espressamente questo divieto di analogia in materia penale. L’art.14 disp.
prel. dice che:
Applicazione delle leggi penali ed eccezionali
Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si
applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati.
La dottrina maggioritaria, partendo dal fatto che la ratio del principio di legalità
è una ratio di garanzia della libertà personale interpreta restrittivamente il
termine “leggi penali” come leggi penali incriminatrici o di sfavore. Quindi, per
la dottrina largamente maggioritaria il divieto di analogia in materia penale è
un divieto relativo, che fa riferimento, quindi, solo alle leggi penali
incriminatrici o di sfavore, mentre, invece, sarebbe possibile il procedimento
analogico con riferimento alle norme penali di favore che prevedano
scriminanti, cause di giustificazione, a meno che la scriminante (causa di
giustificazione) non sia stata già prevista dal legislatore nella sua massima
portata logica, come l’esercizio del diritto … Quindi, sarebbe ammissibile
l’analogia in bonam partem per quelle leggi penali di favore che prevedano
scriminanti (cause di giustificazione). Cosa sono le scriminanti e le cause di
giustificazione? Sono situazioni in presenza delle quali un fatto che
costituirebbe reato non costituisce più reato, perché c’è una norma che quel
fatto lo consente o, addirittura, lo impone e abbiamo visto che le cause di
giustificazione comuni, cioè applicabili a qualsiasi reato con il quale siano
compatibili sono previste dall’art.50 all’art.54 c.p.:

- Consenso dell’avente diritto


- Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere
- Difesa legittima
- Uso legittimo delle armi
- Stato di necessità

Mantovani è tra coloro i quali sostengono che il divieto di analogia è un divieto


relativo, solo in malam partem, mentre è possibile il procedimento analogico
con riferimento alle norme che prevedono scriminanti (cause di
giustificazione). Mantovani dice, riferendosi agli artt.52 (difesa legittima) e 54
(stato di necessità), che gli artt.52 e 54 c.p. sono estensibili analogicamente
anche alle ipotesi di legittima difesa anticipata e stato di necessità anticipato,
cioè prima che vi sia il pericolo attuale. Quindi, legittima difesa e stato di
necessità richiedono l’attualità del pericolo. Si veda l’art.52 c.p.:
Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di
difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, …

Quindi, la difesa legittima, per la sua operatività come scriminante, richiede che
vi sia l’attualità del pericolo. E così lo stato di necessità: art.54 c.p.:

Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di
salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, …

Quindi, sia la legittima difesa che lo stato di necessità richiedono l’attualità del
pericolo. Mantovani ed altri dicono: il procedimento analogico non è interdetto
rispetto a norme penali di favore come questa che prevede una scriminante.
Quindi, gli artt.52 e 54 c.p. si possono estendere analogicamente, visto che c’è
l’eadem ratio anche allo stato di necessità anticipato e alla legittima difesa
anticipata: prima che il pericolo diventi attuale.

Abbiamo visto l’esempio che fa Mantovani rispetto alla legittima difesa: la


ragazza che viene violentata, viene chiusa in camera di notte, mentre il suo
violentatore sta dormendo lo uccide, perché è stata preannunciata una seconda
violenza. Mantovani dice che, qui, l’attualità del pericolo non c’è, ma, se si
dovesse aspettare l’attualità del pericolo non ci sarebbe nessuna difesa.

L'esempio che fa Mantovani, invece, con riferimento allo stato di necessità è


quello dei senzatetto, che magari d'inverno occupano case sfitte per ragioni di
speculazione edilizia. Dice Mantovani: se si dovesse aspettare l'attualità del
pericolo, anche in questo caso, non ci sarebbe possibilità di difesa. Quindi, lui
sostiene che sia l'art. 52-difesa legittima, che l'art. 54-stato di necessità, si
possono estendere analogamente alle ipotesi di legittima difesa anticipata e di
stato necessità anticipato; quindi prima che il pericolo diventi attuale.

L'osservazione immediata e decisiva che si può fare a questa tesi è che


l'analogia presuppone l'esistenza di una lacuna legislativa. In questo caso non
esiste una lacuna legislativa, perché l'art. 52 e l'art. 54 c.p., richiedono
espressamente l'attualità del pericolo. In questo caso, non c'è il riempimento
di una lacuna legislativa – ma come direbbe Padovani – si ha il sovvertimento
di una disciplina legalmente data.

Peraltro il professore dice sempre, rispetto agli esempi che fa Mantovani, che,
in realtà, in questi due casi, l'attualità del pericolo c'è. Non si deve fare ricorso
al procedimento analogico in bonam partem per dire che, in questi casi, c'è la
scriminante della legittima difesa e dello stato di necessità, perché il pericolo è
un pericolo attuale sia nel primo, sia nel secondo esempio.

Ma se così non fosse, se mancasse l'attualità del pericolo, secondo il professore


(e non solo) non si potrebbe ricorrere al procedimento analogico, perché in
questi casi manca la lacuna legislativa e al procedimento analogico si può
ricorrere solo nel caso in cui esista una lacuna legislativa. Quindi, si dà a una
disciplina non prevista dalla legge, una disciplina prevista per un caso simile
che ha la medesima ratio (analogia legis), oppure la disciplina che si ricava dai
principi generali dell'ordinamento (analogia juris).

N.B.: anche questa parte di dottrina maggioritaria, tra cui Mantovani, ritiene,
tuttavia, che non si possa fare ricorso al procedimento analogico in bonam
partem, rispetto a quelle norme penali di favore che prevedono cause di non
punibilità in senso stretto, oppure cause di estinzione del reato o della pena,
perché le norme penali di favore che prevedono cause di non punibilità in senso
stretto, o cause di estinzione del reato o della pena, sarebbero norme di
carattere eccezionale, cioè che fanno eccezione ai principi generali, e quindi
rientrerebbero nel divieto di analogia dell'art. 14 disp. prel., in quanto leggi
eccezionali. Riprendiamo l'art. 14 disp. prel.:

Applicazione delle leggi penali ed eccezionali.

Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non
si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati.
Quindi, non si potrebbe ricorrere al procedimento analogico in bonam partem
per le norme penali di favore che prevedono cause di non punibilità, o cause di
estinzione del reato o della pena, in quanto norme eccezionali, che quindi
rientrerebbero nel divieto dell'art. 14 disp. prel., come norme che fanno
eccezione a regole e principi generali.

Facciamo un esempio di causa di non punibilità in senso stretto, rispetto alla


quale, quindi, non si può fare ricorso alla analogia in bonam partem, che non si
può, quindi, estendere analogicamente. Si veda l'art. 649 c.p. Siamo nell'ambito
dei delitti contro il patrimonio. L'art. 649 c.p. prevede una causa di non
punibilità in senso stretto, perché il fatto continua ad essere reato, ma è un
reato non punibile.

Non punibilità e querela della persona offesa, per fatti commessi a danno di
congiunti
Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti da questo titolo in
danno:
1) del coniuge non legalmente separato;
2) di un ascendente o discendente o di un affine in linea retta, ovvero
dell'adottante o dell'adottato;
3) di un fratello o di una sorella che con lui convivano.

Quindi, rubare al coniuge non legalmente separato è reato, ma non è punibile.


Anche rubare a un fratello o a una sorella è reato, ma non è punibile. Causa di
non punibilità in senso stretto.

Allora, si dice N.B.: le cause di non punibilità in senso stretto, come l'art. 649
c.p., nell'ambito dei delitti contro il patrimonio, e le norme penali di favore che
prevedono cause di estinzione del reato o della pena, non sono estensibili
analogicamente. Rispetto a queste norme penali di favore, non è consentito il
ricorso al procedimento analogico in bonam partem, perché sono norme
eccezionali, che fanno eccezione a principi generali, quindi rientrano nel divieto
di analogia di cui all'art.14 disp. prel., non in quanto leggi penali, ma in quanto
leggi eccezionali.
Quindi: per la dottrina maggioritaria: divieto di analogia relativo, solo in malam
partem per le norme penali incriminatrici o di sfavore. È consentito, invece,
perché la ratio del principio di legalità (?) è una ratio di garanzia della libertà
personale. Quindi, il termine “leggi penali” di cui all’art.14 disp. prel. va inteso
come leggi penali in senso stretto (incriminatrice di sfavore). Quindi, divieto di
analogia per le leggi penali incriminatrici o di sfavore. Sarebbe possibile,
invece, per la dottrina minoritaria il ricorso al procedimento analogico in bonam
partem, per cui le norme penali di favore prevedono scriminanti, cause di
giustificazione, cioè quelle situazioni in presenza delle quali un fatto che
normalmente costituisce reato non costituisce più reato, perché c’è una norma
che lo consente o un fatto che lo impone, ove, certo, la scriminante non sia già
stata preveduta dal legislatore nella sua massima portata logica, come
l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere. Quindi, la possibilità di
estendere analogicamente gli artt.52 e 54 c.p.: difesa legittima e stato di
necessità. Per la dottrina dominante, che segue questa tesi, tuttavia, non è
possibile l’analogia in bonam partem, il ricorso al procedimento analogico per
quelle norme penali di favore che prevedono cause di non punibilità in senso
stretto, cause di estinzione del reato, cause di estinzione della pena, in quanto
norme eccezionali.

Per la dottrina minoritaria, invece, la ratio del principio di legalità – e quindi


anche della tassatività – non è soltanto una ratio di garanzia per la libertà
personale, ma anche una ratio di certezza. Quindi, il divieto di analogia in
materia penale – per la dottrina minoritaria – è un divieto assoluto, che riguarda
sia le norme penali incriminatrici, o di sfavore, sia le norme penali di favore.
Quindi, per la dottrina minoritaria, non sarebbe ammissibile il procedimento
analogico, rispetto alle norme di favore che prevedono scriminanti o cause di
giustificazione.

Qual è il ragionamento che si fa? Il ragionamento è questo: N.B.: la norma


penale reale è composta dalla norma penale incriminatrice e dalla
scriminante. La scriminante (la causa di giustificazione) non è che una
frazione della norma penale reale. Estendendo analogicamente la
scriminante, il soggetto non è più in grado di sapere in anticipo ciò che è
vietato e ciò che è consentito, ciò che è illecito e ciò che è lecito. Quindi, il
divieto di analogia in materia penale deve essere un divieto assoluto: che
riguarda sia le norme penali incriminatrici o di sfavore, sia le norme penali di
favore. Questa resta ancora oggi, però, dottrina minoritaria.

Per la dottrina maggioritaria e anche per la giurisprudenza il divieto di analogia


in materia penale è un divieto relativo: riguarda solo le norme penali di sfavore,
in quanto la ratio è una ratio di garanzia. È possibile l’estensione analogica delle
norme che prevedono scriminanti, …

Si ricordi sempre, però, l’obbiezione del professore (e non solo la sua) rispetto
la legittima difesa anticipata e lo stato di necessità anticipato: manca la lacuna
legislativa, e alla analogia si ricorre quando esistono lacune legislative, e si dà
a un caso non previsto dalla legge la disciplina prevista per un caso simile, che
abbia la medesima eadem ratio (analogia legis) oppure si ricava la relativa
disciplina facendo riferimento ai principi generali dell'ordinamento giuridico
(analogia juris), ma mancano.
N.B.: nel diritto penale l'interpretazione estensiva è ammissibile. Non è
consentita, di sicuro, l’analogia in malam partem. Come distinguere, quindi,
l'analogia in malam partem dalla interpretazione estensiva? Non è sempre
facile. Infatti, il professore (e non solo lui) dice che in diritto penale dovrebbe
essere vietata anche l'interpretazione estensiva, ma non è vietata.
In teoria è molto facile distinguere le due ipotesi, perché nel caso di una
interpretazione estensiva noi stiamo sempre nell'ambito di una norma: diamo
alle parole della legge il significato più ampio rispetto a quello che è il
significato apparente, restando nell'ambito della norma. Nel caso di
procedimento analogico, siamo al di fuori della norma, perché ad un fatto non
previsto dalla legge si dà la disciplina prevista per un caso simile o la disciplina
che si applicherebbe stando ai principi generali dell'ordinamento. Sono, quindi,
due situazioni completamente diverse: l’analogia in malam partem è vietata,
l’interpretazione estensiva è consentita. Però, non sempre è facile distinguere
interpretazione estensiva da analogia. Quindi, il professore dice: siccome il
diritto penale ha a che fare con la libertà personale, dovrebbe essere vietata,
ma non è vietata, in diritto penale, anche l’interpretazione estensiva. Con
questo abbiamo chiuso anche l'aspetto della tassatività-determinatezza: due
aspetti dello stesso principio.

Siamo sempre nell'ambito di principio di legalità. Abbiamo visto il principio di


riserva di legge, tassatività-determinatezza, irretroattività della legge
incriminatrice o di sfavore. Adesso consideriamo il principio della

irretroattività della legge penale incriminatrice

Il principio di irretroattività della legge incriminatrice o di sfavore è previsto


espressamente nell'art. 25 Cost., comma 2 e dall'art. 2, comma 1 c.p.

art.25, comma 2 Cost.


Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore
prima del fatto commesso.

art. 2 comma 1 c.p.:


Successione di leggi penali
Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu
commesso, non costituiva reato.

Quindi, si può vedere che il principio di irretroattività della legge penale


incriminatrice o di sfavore è previsto espressamente sia dall'art. 25, comma 2
Cost. sia dall'art. 2, comma 1 c.p.
N:B.: il principio di irretroattività della legge in generale, viene previsto
dall'art. 11 disp. prel. Però, esso fa riferimento ad una irretroattività assoluta
della legge in generale.
art. 11, comma 1 disp. prel.
Efficacia della legge nel tempo
La legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo.

L'irretroattività della legge, che, in generale, ai sensi dell'art. 11 disp. prel., è


una irretroattività assoluta. L'irretroattività della legge penale incriminatrice o
di sfavore, di cui all'art. 25, comma 2 Cost. e all’art. 2, comma 1 c.p., è una
irretroattività relativa, che riguarda soltanto le leggi penali incriminatrici o di
sfavore. Questa è una prima distinzione.
Poi, l'irretroattività della legge in generale, fissata dall'art. 11 disp. prel., è un
principio fissato da una legge ordinaria, quindi derogabile da qualsiasi legge
ordinaria successiva. Il principio, invece, di irretroattività della legge penale
incriminatrice o di sfavore, è un principio costituzionale, quindi è un principio
inderogabile.

Abbiamo detto: irretroattività, però relativa, non assoluta: irretroattività che


riguarda solo le leggi penali incriminatrici o di sfavore. L'art. 25 Cost. non dice
nulla relativamente a una possibile retroattività di norme penali di favore,
mentre l'art. 2 ai 2°, 3° e 4° comma c.p., prevede espressamente il principio
della retroattività delle leggi penali di favore.

Quindi, irretroattività della legge penale incriminatrice o di sfavore per il


comma 1 dell'art. 2 c.p. e per l'art. 25, comma 2 Cost. e, invece, principio
opposto della retroattività delle leggi (norme) penali di favore stabilito, a livello
di legge ordinaria, dai 2°, 3° e 4° comma dell'art. 2 c.p.

Abbiamo detto che l'art. 25 comma 2 Cost. non dice nulla relativamente
all'eventuale retroattività di norme penali di favore. Stabilisce solo il principio
di irretroattività della legge penale incriminatrice o di sfavore. Quindi, si
ritiene, anche guardando quelli che sono i lavori preparatori, che il costituente
lasci libero il legislatore ordinario di stabilire l'eventuale retroattività o
irretroattività della legge penale di favore.

E il nostro legislatore ordinario, ai 2°, 3° e 4° comma dell'art. 2 c.p., ha stabilito


il principio della retroattività della legge penale di favore. Quindi, questa
retroattività della legge penale di favore non contrasta con la Costituzione,
perché la Costituzione prevede solo il principio della irretroattività della legge
penale incriminatrice o di sfavore e lascia libero il legislatore ordinario di
decidere come crede relativamente alla retroattività della legge penale di
favore.

Questo stesso principio di irretroattività della legge penale incriminatrice o di


sfavore viene previsto non solo dalla nostra Costituzione e dall’art. 2 comma 1
c.p., ma anche dall'art. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo del
1950 e dall'art. 15 del patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966.

Perché richiamiamo questi due articoli, essendo che il principio di


irretroattività è già posto dalla Costituzione, e quindi di problemi non c'è ne
sono? Li richiamiamo perché nell'art. 71 della CEDU nell'art. 152 del patto
internazionale sui diritti civili e politici, viene posta una deroga al principio di
irretroattività della legge penale incriminatrice o di sfavore, cioè prima
viene posto il principio e poi, subito dopo, viene posta una deroga: quando il
fatto, nel momento in cui è stato realizzato, pur non essendo previsto
formalmente come reato, costituiva un crimine (anche se non previsto
formalmente come reato) secondo i principi generali di diritto riconosciuti
dalle nazioni civili.

Problema: contrastano queste disposizioni sulla irretroattività della legge


penale incriminatrice, con il principio costituzionale dell’irretroattività della
legge penale o di sfavore? La risposta che si dà è che non c'è contrasto tra il
principio costituzionale di irretroattività della legge penale incriminatrice o di
sfavore, perché questa deroga è una deroga soltanto formale. In realtà, la legge
penale che si dovrebbe applicare è sempre quella che prevede quel fatto come
crimine secondo i principi generali del diritto riconosciuti dalle nazioni civili.
Pur non costituendo formalmente reato, quel fatto deve considerarsi reato, in

1
Articolo 7 – Nulla poena sine legge.
1. Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non
costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di
quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso.
2. Il presente articolo non ostacolerà il giudizio e la condanna di una persona colpevole di una azione o di una
omissione che, al momento in cui è stata commessa, era un crimine secondo i principi generale di diritto riconosciuti
dalle nazioni civili.
2
Articolo 15
1. Nessuno può essere condannato per azioni od omissioni che, al momento in cui venivano commesse, non
costituivano reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Così pure, non può essere inflitta una pena
superiore a quella applicabile al momento in cui il reato sia stato commesso. Se, posteriormente alla commissione
del reato, la legge prevede l'applicazione di una pena più lieve, il colpevole deve beneficiarne.
2. Nulla, nel presente articolo, preclude il deferimento a giudizio e la condanna di qualsiasi individuo per atti od
omissioni che, al momento in cui furono commessi, costituivano reati secondo i principi generali del diritto
riconosciuti dalla comunità delle nazioni.
quanto si può considerare un crimine secondo i principi generali di diritto
riconosciuti dalle nazioni civili.

Si pensi ai supremi principi di umanità, si pensi a quelle che formalmente sono


state deroghe alla irretroattività della legge penale incriminatrice alla fine delle
guerre: si pensi al tribunale di Tokio, al tribunale di Norimberga, che ha
giudicato i crimini commessi dai nazisti. Fatti che nel momento in cui sono stati
realizzati formalmente non costituivano reato, ma dovevano considerarsi
crimini secondo i supremi principi di umanità.

Quindi, questa deroga al principio di irretroattività della legge penale


incriminatrice o di sfavore è soltanto una deroga formale. In realtà, questo
principio non contrasta con il principio fissato nell'art. 25, comma 2 Cost., in
quanto la legge effettivamente in vigore nel momento del commesso reato,
doveva considerarsi quella che considerava quel fatto come crimine secondo i
principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili. Si pensi ai supremi
principi di umanità, che devono essere rispettati in qualsiasi momento, in
qualsiasi luogo del mondo.

Vediamo qual è la disciplina del codice penale relativamente alla

successione di leggi penali nel tempo


Si veda l'art. 2 c.p. Il 1° comma si riferisce alle ipotesi in cui intervengono nuove
incriminazioni e quindi il principio fissato nel 1° comma dell'art. 2 c.p. è quello
della irretroattività delle leggi penali incriminatrice o di sfavore.
Successione di leggi penali
Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in
cui fu commesso, non costituiva reato.
Ipotesi: viene approvata una legge che prevede un fatto come reato. Fatto che
prima, invece, non costituiva illecito penale. Questa nuova legge non può
applicarsi a fatti commessi prima della sua entrata in vigore. Es.: io realizzo un
fatto, oggi, che domani costituisce reato. La legge secondo cui costituisce reato
non può retroagire al fatto commesso oggi. Le leggi penali incriminatrici o di
sfavore non si possono applicare a fatti commessi prima della loro entrata in
vigore, che poi è il principio costituzionale di irretroattività della legge penale
incriminatrice o di sfavore.
Quindi, il 1° comma si riferisce al fenomeno dell'intervento di nuove
incriminazioni, che non possono retroagire. Il 2° comma dell'art. 2 si riferisce
alle ipotesi di abolitio criminis, cioè alle ipotesi di depenalizzazione.
Successione di leggi penali
Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non
costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti
penali.
Quindi, se interviene una nuova legge di depenalizzazione, che non prevede più
come reato un fatto che prima costituiva reato, questa nuova legge di
depenalizzazione, retroagisce completamente, travolgendo anche l'eventuale
giudicato penale di condanna. Quindi: completa retroattività della legge
penale di favore, cioè completa retroattività della legge penale di
depenalizzazione di quella legge penale che non prevede più un certo fatto come
reato. Questa nuova legge retroagisce e travolge anche il giudicato penale di
condanna.
Se il soggetto è stato già condannato, cessa l'esecuzione della pena e cessano gli
effetti penali. Quindi, chi si trova in carcere dovrà essere liberato. Quindi viene
travolto anche il giudicato penale di condanna. Anche si vi è stato una sentenza
definitiva di condanna, il giudicato penale di condanna viene travolto dalla
completa retroattività della legge di depenalizzazione/di favore (abolitio
criminis), dalla nuova legge di depenalizzazione che non prevede quel fatto
come reato.

Consideriamo il 4° comma. Perché il 4° e non il 3°? Perché il 4° comma era, fino


al 2006, il 3° comma. Il nuovo 3° comma non è che un’ipotesi particolare di
quanto previsto nel 4° comma, quindi noi esaminiamo prima il 4° comma. Il 4°
comma dell'art. 2 c.p. si riferisce a una successione di leggi soltanto
modificative: cioè più leggi prevedono lo stesso fatto come reato, ma lo
disciplinano in maniera diversa.
C'è una legge precedente, una legge successiva, che prevedono lo stesso fatto
come reato, ma lo disciplinano diversamente: magari una legge lo prevedeva
come delitto e l'altra come contravvenzione, una legge lo punisce con una pena
superiore mentre l'altra con una pena inferiore. Successione di leggi soltanto
modificative. Le leggi prevedono lo stesso fatto come reato ma lo disciplinano
diversamente.
Qual è il principio fissato dal 4° comma dell'art. 2 c.p.? È il principio del favor
rei, del favor libertatis: si applica sempre la legge più favorevole al reo. Se è
più favorevole la legge del tempo del commesso reato, sarà applicata quella
legge, se è più favorevole la nuova disciplina, questa avrà effetto retroattivo.
N.B., però: se è più favorevole la nuova disciplina, questa avrà effetto
retroattivo, ma con il limite, in questo caso, del giudicato penale di condanna.
Se vi è giudicato penale di condanna, rimane fermo il giudicato, in caso di
successione di leggi modificative. Tra due leggi che prevedono lo stesso fatto
come reato, disciplinandolo diversamente, si applica la legge più favorevole al
reo, ma se il giudice ritiene più favorevole la seconda legge, quella successiva,
questa potrà retroagire, ma con il limite del giudicato penale di condanna.
Mentre nel caso dell’abolitio criminis, c'è completa retroattività della legge
penale di favore successiva, che travolge anche il giudicato penale di condanna,
nel caso di successioni di leggi soltanto modificative, la nuova legge più
favorevole al reo retroagisce, ma con il limite del giudicato penale di condanna:
se il soggetto è stato già condannato con pena detentiva, questa rimane ferma.
Art. 2, comma 4 c.p.
Successione di leggi penali
Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si
applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata
pronunciata sentenza irrevocabile. (= resta fermo il giudicato di condanna)

Come fa, però, il giudice a stabilire quale è la legge più favorevole al reo? Perché
il codice ci dice che, in caso di successioni di leggi modificative, si applica la
legge più favorevole al reo. Il giudice non può guardare a quella legge che in
astratto è più favorevole al reo, ma deve vedere quale delle due leggi in
concreto è più favorevole al reo, deve individuare quale delle due leggi in
concreto, determina effetti più favorevoli o meno sfavorevoli per il reo. Quindi,
è un giudizio che va fatto in concreto e non in astratto.
Si pensi alla nuova legge che prevede lo stesso fatto come reato, ma lo disciplina
come contravvenzione non più come delitto. In astratto, dovremmo dire che la
nuova legge, quella successiva, è più favorevole al reo. Però, invece, in concreto
potrebbe non essere così. Si pensi a quel fatto che, nel momento in cui è stato
commesso, costituiva delitto, ma delitto punibile solo a titolo di dolo. Interviene
una nuova legge che quel fatto lo prevede come contravvenzione.

Sappiamo che la colpa per i delitti è titolo eccezionale di imputazione: si può


essere puniti a titolo di colpa in un delitto solo nei casi espressamente previsti
dalla legge, mentre è titolo normale di imputazione per le contravvenzioni. Non
occorre una espressa previsione legislativa per poter essere puniti a titolo di
colpa.
Il giudice accerta che il soggetto ha commesso quel reato con colpa, non con
dolo. È chiaro, quindi, che, in questo caso, il giudice dovrà applicare a questo
soggetto la prima legge, quella che prevedeva il fatto come delitto, perché quella
legge puniva quel fatto solo se commesso a titolo di dolo.
Non essendo stato commesso a titolo di dolo, se vi si dovesse applicare la
seconda legge, questa sarebbe più sfavorevole, perché punisce anche la colpa.
Quindi, il giudice riterrà, in questo caso, più favorevole la prima legge, quella
che prevedeva il fatto come delitto, rispetto alla seconda legge che prevede il
fatto come contravvenzione, perché, applicando la prima legge, quel fatto non
costituisce reato per mancanza dell'elemento soggettivo.

*Torniamo al concetto per cui per i delitti il dolo è titolo normale di


imputazione, mentre la colpa è titolo eccezionale di imputazione. Si può
rispondere di un delitto a titolo di colpa solo nei casi espressamente
previsti dalla legge. In tanto si può essere puniti per un omicidio a titolo
di colpa, in quanto esiste, nel nostro ordinamento, una fattispecie
delittuosa che punisce espressamente anche l’omicidio colposo. Il furto è
un delitto, ma è punibile solo a titolo di dolo, perché, nel nostro
ordinamento, è prevista la punibilità di questo delitto di furto solo a titolo
di dolo. Non è prevista espressamente la punibilità a titolo di colpa.
Mentre, invece, per le contravvenzioni la colpa, come il dolo, è titolo
normale di imputazione: si può essere puniti per una contravvenzione sia
se la si commette con dolo sia se la si commette con colpa.

Torniamo all’esempio … Uno stesso fatto di reato commesso da un soggetto, nel


momento in cui questo soggetto ha commesso questo fatto, il fatto era previsto
come delitto, ma delitto punibile solo a titolo di dolo. Interviene una seconda
legge, che prevede sempre lo stesso fatto come reato, ma non più come delitto,
ma come contravvenzione. Le contravvenzioni sono punibili sia a titolo di dolo
che a titolo di colpa, mentre il delitto era previsto solo come punibile a titolo di
dolo. Il giudice accerta che quel soggetto ha commesso il fatto con colpa. Se gli
applica la nuova legge, quella che prevede il fatto come contravvenzione, lo deve
punire. Se, invece, gli applica la prima legge non lo punisce, perché per la prima
legge viene punito solo il fatto commesso con dolo. Quindi, riterrà più
favorevole, in questo caso, la prima legge, quella che qualifica il reato come
delitto, perché lo punisce solo a titolo di dolo. Se gli applicasse la seconda legge,
che prevede il fatto come contravvenzione, dovrebbe punirlo, perché quel
soggetto ha realizzato quel fatto per colpa e la contravvenzione punisce sia il
fatto doloso che quello colposo.
Quindi, in questo caso, il giudice, in concreto, riterrà più favorevole la prima
legge, quella che prevedeva quel fatto come delitto. Quindi, il giudizio è un
giudizio in concreto. Non va fatto in astratto. Il giudice non deve vedere in
astratto quale delle due leggi è più favorevole al reo, perché in astratto, magari,
dovrebbe dire che è più favorevole la legge che prevede quel fatto come
contravvenzione. Il giudizio, però, è in concreto: il giudice deve stabilire quale
delle due leggi, in concreto, è più favorevole al reo. Quali delle due leggi
comporta, in concreto, effetti più favorevoli o meno sfavorevoli per il reo. In
questo caso, sarà la prima legge, quella che prevedeva quel fatto come delitto
punibile solo a titolo di dolo e non a titolo di colpa.
Quindi, nell’ipotesi previste nel 4° comma dell’art. 2 – successione di leggi
soltanto modificative – si applica la legge più favorevole al reo. Se è più
favorevole la seconda legge, questa retroagisce con il limite del giudicato penale
di condanna (che resta fermo).

Il 3° comma, introdotto nel 2006, è un’ipotesi (N.B.) particolare di successione


di leggi soltanto modificative. Per questo noi lo esaminiamo dopo il comma 4°.
Il nuovo 3° comma non è che un’ipotesi particolare di successione di leggi
soltanto modificative tra più leggi che prevedono lo stesso fatto come reato.
Art.2, comma 2 c.p.:
Successione di leggi penali
Se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede
esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte
immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, ai sensi dell'articolo 135.

Quindi, abbiamo due leggi che prevedono lo stesso fatto disciplinandolo


diversamente: una prevedeva la pena detentiva per quel fatto, la successiva la
pena pecuniaria. Allora: se vi è stata condanna a pena detentiva, e la legge
posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria per quel fatto o reato, la
pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena
pecuniaria, ai sensi dell'art. 135.
In questo caso (N.B.) viene travolto anche il giudicato penale di condanna.
Quindi, in questo caso, vi è una deroga all'intangibilità del giudicato penale di
condanna prevista dal 4° comma per l'ipotesi di successione di leggi soltanto
modificative. Quindi, nel 4° comma c’è il limite del giudicato penale di
condanna, nel 3° comma, che è un’ipotesi particolare di successioni di leggi
modificative, invece, viene travolto anche il giudicato penale di condanna.
Art.135 c.p.
Ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive
Quando, per qualsiasi effetto giuridico, si deve eseguire un ragguaglio fra
pene pecuniarie e pene detentive, il computo ha luogo calcolando euro 250,
o frazione di euro 250, di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva.
Quindi, la pena detentiva si converte in pena pecuniaria: un giorno equivale a
250 euro. In questo caso, viene travolto anche il giudicato penale di condanna.
Quindi, anche se vi è stata sentenza definitiva passata in giudicato e il soggetto
sta scontando la pena detentiva, la pena detentiva si trasforma in pena
pecuniaria.

Si veda il 5° comma dell'art. 2 c.p., che fa riferimento alla successione di leggi


eccezionali o temporanee.
Art.2, comma 5 c.p.
Successione di leggi penali
Se si tratta di leggi eccezionali o temporanee, non si applicano le disposizioni
dei capoversi precedenti. (cioè dei comma 2, 3, 4 dell’art.2 c.p.)

Significa che in caso di successione di leggi penali eccezionali o temporanee,


vale sempre e soltanto il principio generalissimo del tempus regit actum. Si
applica sempre e soltanto – in caso di successione di leggi eccezionali o
temporanee – la legge in vigore nel momento del commesso reato. Quindi, il
5° comma dell'art. 2 c.p. deroga al principio della retroattività della legge
penale più favorevole al reo stabilità nei 2°, 3° e 4° comma che prevedono il
principio dei retroattività della legge penale di favore. Quindi, in caso di
successione di leggi penali eccezionali o temporanee, si applica solo il
generalissimo principio del tempus regit actum. Se interviene una legge più
favorevole al reo, questa non può retroagire.

Dobbiamo cercare di capire cosa significa legge eccezionale o temporanea, ed il


perché di questa disciplina.

Le leggi eccezionali, di cui al 5° comma dell'art. 2 c.p. non sono le leggi


eccezionali di cui all'art. 14 disp. prel. Non sono leggi che fanno eccezione a
principi generali, ma soltanto leggi emanate per fare fronte a situazioni di
carattere eccezionale, quali, terremoti, alluvioni, emergenza rifiuti, etc.
Attenzione a questa distinzione.
N.B.: queste leggi eccezionali hanno un termine di vigenza implicito: restano in
vigore finché esiste la situazione di carattere eccezionale che sono destinate a
regolamentare. Le leggi eccezionali, di cui al 5° comma dell'art. 2 c.p., restano
in vigore per un periodo di tempo limitato. Le leggi temporanee, invece, hanno
un termine di vigenza esplicito: è il legislatore che dice: “Questa legge rimarrà
in vigore fino al 20 ottobre del 2018 …”
Sia le leggi eccezionali che le leggi temporanee hanno una vigenza limitata: per
le leggi eccezionali, il termine di vigenza è un termine implicito, mentre per le
leggi temporanee il termine di vigenza è un termine esplicito. È per questo che
con riferimento a queste leggi, il legislatore deroga alla retroattività della legge
più favorevole di cui ai 2°, 3°, e 4° comma dell'art. 2 c.p.; proprio perché queste
sono leggi destinate a rimanere in vigore per un periodo di tempo limitato.
Si comprende che, alla scadenza del termine di vigenza, se uno sapesse che c'è
una legge successiva più favorevole che poi retroagirà, potrebbe commettere
quel fatto sicuro dell'impunità o sicuro di essere punito meno gravemente. Per
questa ragione, si deroga al principio di retroattività della legge penale di
favore con riferimento alle leggi eccezionali o temporanee: proprio perché
hanno un termine di vigenza limitato (esplicito o implicito).

Proprio perché queste leggi restano in vigore per un periodo di tempo


circoscritto e allora il legislatore deroga al principio di retroattività della legge
più favorevole al reo, perché, nell’imminenza del termine di vigenza della legge,
il soggetto potrebbe commettere quel fatto sicuro dell’impunità se poi sa che
entrerà in vigore una legge più favorevole che si applica al fatto da lui
commesso, per es. una legge posteriore che quel fatto non lo prevede più come
reato. Per es.: legge che resta in vigore fino al 20 ottobre del 2018. Il soggetto,
il 15 di ottobre sa che dal 21 di ottobre entrerà in vigore una legge di
depenalizzazione di quel fatto, quindi lo commette sicuro della impunità oppure
sicuro che per quel fatto verrà punito meno gravemente.

Quindi, per questa ragione, proprio perché sono leggi che restano in vigore per
un periodo di tempo circoscritto, il legislatore fissa la regola generalissima del
tempus regit actum: si applica sempre e soltanto la legge in vigore nel tempo del
commesso reato, quindi non c’è possibilità di retroattività di leggi penali
successive più favorevoli di depenalizzazione o che prevedano una pena
inferiore rispetto a quel fatto.

Il comma 6 dell’art.2 c.p. fa riferimento al problema dei decreti legge non


convertiti.

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