Sono nata a Napoli, anzi con precisione a Torre Annunziata.
Qui da anni, fortunatamente, la pioggia non
purifica l’aria dall’odore che proviene dal “cibo di strada” ma senza fortuna non lava nemmeno la grande PESTE che ormai l’affligge da tempo. I miei ricordi sono nitidi, come la voglia di ritornarci per vivere quel teatro a cielo aperto che mi causa infinita appocundria. Dove abitavo, sarà l’eccessiva apprensione di mia madre, non mi era possibile andare a scuola da sola e nemmeno raggiungere casa della mia amica, però rimanevo ore sul balcone ad ammirare gli orizzonti, tracciati da quei gabbiani che guardavo con occhi grandi sulla linea lontana del mare e girandomi dall’altra parte c’era sua Maestà che domina il golfo, sempre chiaro e sempre prepotente. Per me era infinita poesia. Ricordo che avevo voglia di allontanarmi verso la periferia, ma mi dicevano che non bisognava oltrepassare un certo confine, non era consigliato ed in genere era quello riconoscibile da un mucchio di case abusive, addossate l’una sull’altra, consumate dal tempo. Così rimanevo a debita distanza ma con una curiosità infinita di allungare la gamba, di percorrere tutti i vicoletti lontani dal frastuono e dai negozi del corso. Al porticciolo…mi legava l’entusiasmo . Qui prendevano vita infinite passeggiate con nonno, odori, suoni ma con gli anni ho iniziato a vederli con altri occhi, come posti controversi : mentre tu sei impegnata a sognare qualcun’ altro inizia a tramare per calpestare i sogni. Iniziai danza, come anelito di libertà, come possibilità di amore da alternare ai libri. Non andai avanti, certo, perché la mia povera maestra mi diceva che dovevo divorare qualche merendina in meno, ma io non volevo proprio. Intanto la danza mi diede una prima percezione di sacrificio, disciplina, di cambiamento, di stato di grazia. Tra case degradate, movimenti furtivi, c’era quell’ angolo che avrebbe potuto risollevare le sorti di tutti. Negli anni i miei occhi scivolavano su notizie tristi, di scarso riscatto sociale ed era rimasta divorata una persona a me vicina, lì dove da piccola mi dicevano di non andare. Allora ho riflettuto, mi sono chiesta cosa sarebbe successo se quella persona si fosse data delle possibilità, se avesse iniziato a SGRIDARE, ad urlare un NO! Vivere al servizio della bellezza si può e si deve per far sentire la merda sempre più sola e sempre più priva di forze. L’arte educa alla speranza e se sogniamo bene, come gli incubi…quelle pesti muoiono. Ieri nel guardare “In punta di piedi” ho pianto, ho pianto tanto colpa anche delle musiche di un grande compositore che fa tanto per una realtà bella, difficile e controversa. Non ho mai visto Gomorra e mai lo vedrò, preferisco guardare ed incantarmi davanti agli esempi positivi, ho bisogno di sperare e di commuovermi.
Dopo tempo ho scattato questa foto, ma stavolta nelle mie piene decisioni ho osservato i gabbiani non da un balcone ma da quel punto dove mi suggerivano di non andare.