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2019
art. 2195 → norma interpretata secondo un criterio estensivo, per non assoggettare le altre imprese
ad impresa civile.
FATTISPECIE IMPRESA AGRICOLA art. 2135: individuando le attività agricole essenziali (sfruttamento di
un ciclo biologico) e le attività connesse (connesse soggettivamente e oggettivamente, quest'ultimo
secondo un criterio di prevalente connessione con l’attività principale).
Tuttavia la legge 1985 definisce l’attività artigiano NON ai fini codicistici, ma è data per una funzione
normativa totalmente diversa. Infatti la legge definisce queste figure per dargli particolari agevolazioni.
Questa fattispecie non produce alcun effetto al di fuori del contesto tributario, quindi non può essere
utilizzata per integrare l’art. 2083 → c’è una ragione storica → legge quadro 1985 e la precedente legge
sull’artigianato 1956. La legge del 1956 definiva anch’essa l’impresa artigiana ma stabiliva all’art. 1 che
la definizione stabilita è prevista a tutti gli effetti di legge. Quella nozione aveva un effetto anche al di
fuori delle agevolazioni fiscali.
Mentre la legge del 1985 prevede che:
1. sia stabilita ai soli fine della presente legge
2. la nozione non è presentata ad ogni effetto di legge.
Infatti adesso con la legge quadro 1985 il riconoscimento della qualifica artigiana non basta per
sottrarre l'artigiano allo statuto dell'imprenditore commerciale, ma deve essere rispettato il criterio
della prevalenza fissato dall'articolo 2083 e ai fini fallimentari non deve superare le soglie indicate dal
decreto legge del 2007. Nemmeno l'iscrizione all'albo delle imprese artigiane preclude l'esposizione al
fallimento.
Quindi quella parola artigiano del 2083 non è suscettibile di essere riempita di significato dalla legge
del 1985.
Quindi anche questa parola è PRIVA DI CONTENUTO.
PICCOLO COMMERCIANTE:
Infine c’è la figura di piccolo commerciante, che non è altro che un residuo del precedente codice del
commercio dove si parlava di commercianti e non di imprenditori. Il commerciante è il piccolo
imprenditore commerciale, che viene definito con il criterio atipico del 2083.
Le prime SONO NOZIONI VUOTE DI SIGNIFICATO PRECETTIVO.
Quindi la selezione del 2083 avviene tramite un determinato requisito del 2082, ovvero il requisito
dell’organizzazione (pone il problema giuridico di minimo di coordinamento di fattori produttivi per
aversi impresa, c’è sempre etero organizzazione, se non c’è un minimo di essa c’è un lavoro autonomo
e non si porrebbe nemmeno il problema di impresa piccola o non piccola perché semplicemente non
ci sarebbe impresa). Quindi il 2083 presuppone che ci sia un minimo di etero organizzazione.
Superata questa base minima, si pone il problema se l’impresa sia piccola o no → viene fatto tramite il
criterio della prevalenza.
Fattori per capire se vi è prevalenza: se uno si limita ad organizzare il lavoro proprio non sarebbe
impresa, ma se organizza anche il lavoro dei componenti della proprio famiglia allora è piccolo
imprenditore. Il lavoro della famiglia è un lavoro altrui rispetto all'imprenditore.
Altri fattori produttivi: capitale e lavoro altrui non familiare che misurano la prevalenza.
QUANDO SI HA PREVALENZA? QUINDI IL LAVORO PROPRIO E DELLA PROPRIA FAMIGLIA E’ SUPERIORE
DEL CAPITALE E DEL LAVORO ALTRUI e quindi si ha un'impresa ma piccola dal punto di vista
dell'organizzazione?
Questa misurazione non è puramente quantitativa, non è sufficiente misurare il lavoro proprio e della
propria rispetto ai fattori produttivi, ma occorre andare a vedere l’incidenza sull’attività.
Criterio elastico che comporta un’incertezza applicativa: motivo per cui abbiamo una seconda
nozione.
Il criterio della prevalenza è applicabile a tutte le forme di impresa? In teoria sì.
Il 2083 per misurare il carattere piccolo presuppone che l’impresa sia imputata ad una persona fisica.
Quindi è un criterio che non solo è incerto, ma è un criterio di esenzione che non potrà mai applicarsi
alle imprese non individuali, quindi non alle società → problema di potenziale discriminazione perchè
non consente l'esonero per le imprese diverse dalle imprese individuali.
QUINDI per aversi piccola impresa è necessario che:
1. l'imprenditore presti il proprio lavoro nell'impresa
2. il suo lavoro e quello degli eventuali familiari che collaborano nell'impresa PREVALGONO sia rispetto
al lavoro altrui sia rispetto al capitale investito nell'impresa. E' una prevalenza QUALITATIVA-
FUNZIONALE e non quantitativa aritmetica (apporto di rilievo preminente nell'organizzazione
dell'impresa caratterizzino i beni o i servizi prodotti).
IMPRESA FAMILIARE: DA NON SOVRAPPORSI ALLA DISCIPLINA DEL PICCOLO IMPRENDITORE.
IMPRESA FAMILIARE: è impresa familiare l'impresa nella quale collaborano il coniuge, i parenti entro il
terzo grado (fino ai nipoti) e gli affini entro il secondo grado (fino ai cognati) dell'imprenditore: la
cosidetta FAMIGLIA NUCLEARE.
E' un istituto, una disciplina che non è contenuta nella disciplina dell’impresa ma è contenuta nel
diritto della famiglia, articolo 230bis “impresa familiare”. Essa ha alla base un fatto che è lo
svolgimento da parte di un componente della famiglia di un’attività in modo continuativo.
N.B.: non va comunque confusa con la piccola impresa, è frequente che la piccola impresa sia anche
familiare ma fra le due fattispecie non vi è coincidenza.
Questo articolo detta alcune regole minime e stabilisce delle prerogative di ordine patrimoniale e di
ordine amministrativo. Dal punto di vista patrimoniale → diritto di partecipazione agli utilizzi secondo
l'impegno lavorativo(diritti riconosciuti a chi lavora in modo continuato nell'impresa).
Dal punto di vista amministrativo → le decisioni più importanti relative alla gestione straordinaria sono
adottate non individualmente dal "capo" ma a maggioranza da tutti i componenti della famiglia.
(La fattispecie è un fatto → lavoro → con regole protettive di chi svolge il lavoro).
art. 203bis “Salvo che sia configurabile un diverso rapporto”: si applica solo laddove le parti non
abbiano optato per regolare i loro rapporti all’interno dell'impresa per altri titoli. Ad se viene costituito
un rapporto societario fra i componenti della famiglia, il lavoro familiare non è assoggettato all'art.
230bis ma si applica la disciplina societaria. Se fra il componente della famiglia e l'imprenditore viene
costituito un contratto di lavoro subordinato i rapporti sono regolati da questo titolo e non dalla
disposizione del 230bis.
Quindi questo articolo è riferibile all’esercizio di fatto, perchè se il contributo dato all'attività da
ciascun componente della famiglia è regolato da un altro titolo per volontà delle parti si applica la
disciplina tipica di quei rapporti e non il 230bis.
Questo è importante per capire come Il 230bis si colloca all’interno della disciplina dell’impresa.
I DOMANDA: l’impresa familiare (def. 230bis) integra un’autonoma forma di impresa? La volontà del
230bis è quella di tipizzare una nuova fattispecie di impresa? Evidentemente NO, poiché è una
disciplina che si applica solo laddove le parti non abbiano optato per titoli diversi. Si vuole proteggere
la famiglia in mancanza di altro titolo.
E' una disciplina che regola un FATTO: la partecipazione all'attività dei componenti della famiglia in
mancanza di un altro rapporto con funzione protettiva.
II DOMANDA: preso atto che non siamo di fronte ad una nuova forma tipica di impresa, che forma ha
l’impresa delineata dall’articolo 230bis? L’impresa familiare è individuale o collettiva ovvero imputata
ai vari componenti della famiglia? È una forma atipica di forma collettiva societaria cioè imputata ai
vari componenti della famiglia? O è imputata ad un capo famiglia?
Si potrebbe essere indotti che sia collettiva per i diritti patrimoniali dei soggetti e a votazione di
maggioranza, ma la funzione del 230bis non è creare una nuova fattispecie di impresa sia essa
individuale o collettiva ma di proteggere in mancanza di diverso rapporto il lavoro familiare
nell'impresa dando una serie di prerogative, quindi alla fine l’impresa familiare è UN’IMPRESA
INDIVIDUALE IMPUTATA AL CAPO FAMIGLIA, tant’è che vi è la necessità (rispetto alla posizione del
capo) di stabilire una serie di prorogazioni e di limiti, con il presupposto di TITOLARITA’ INDIVIDUALE.
L'impresa familiare non è una forma tipica di impresa, nè una nuova forma atipica di impresa
collettiva, ma è una disciplina diretta a tutelare i componenti della famiglia nell'ambito di un'impresa
che rimane individuale in capo al capofamiglia.
È una disciplina che non ha niente a che vedere con la disciplina dell’impresa.
Disciplina i rapporti della famiglia in mancanza di diverso rapporto.
Che rapporti ci sono quindi fra la fattispecie di impresa familiare e la nozione di piccola impresa del
2083?
III DOMANDA: La fattispecie familiare integra necessariamente una piccola impresa? NO, perché si
tratta di una fattispecie NON sovrapponibile al 2083. L'impresa familiare presuppone che ci sia il lavoro
della famiglia ma non presuppone la prevalenza del lavoro familiare e proprio.
• Impresa individuali organizzate prevalentemente il lavoro familiare: piccolo imprenditore.
• Imprese individuale organizzate prevalentemete con altri fattori: non piccoli imprendotori.
La qualificazione di un'impresa come familiare è neutra perchè non integra una forma di impresa, non
integra una nuova forma di impresa collettiva ed è soggetta come ogni altra impresa ad una
valutazione dimensionale.
LEGGE FALLIMENTARE 1942: dettava già una nozione speciale di piccolo imprenditore richiamando il
2083.
art. 1: si presumevano piccoli imprenditori coloro che non superassero due soglie quantitative
coordinate fra loro.
Prima soglia: è piccolo chi non avesse un reddito ai fini dell’imposta di ricchezza mobile.
Secondo criterio sussidiario al primo (applicativo solo se il primo non era applicabile): fondato sulla
nozione di capitale investito nell’azienda, ovvero un capitale inferiore a 900000 Lire.
Ma il 2083 trovava ancora applicazione? Alcuni sostengono che l’art. 1 dettava una sorta di
presunzione di piccola impresa. Ma non diceva niente su quelli al di sopra delle soglie → erano
automaticamente imprenditori non piccoli? DIPENDE. L’unico rinvio possibile era al 2083.
L’evoluzione normativa ha di fatto negli anni ‘70 soppresso i due criteri quantitativi.
Il primo criterio (quello fondato sull'accertamento del reddito ai fini dell'imposta della ricchezza
mobile) è stato abrogato implicitamente quando è stata soppressa l'imposta di ricchezza mobile.
Abrogato il primo criterio rimaneva il secondo, capitale investito in azienda non superiore a
900.000Lire. Questa somma fa capire che era un criterio inapplicabile per l'inflazione del periodo.
Il secondo criterio che di fatto non era operativo è stato poi dichiarato incostituzionale.
Così dagli anni ‘70 l’unico criterio utile era il 2083. Ha comportato vari problemi.
Innanzitutto l'incertezza applicativa: ogni tribunale aveva i suoi parametri per stabilire la prevalenza
del lavoro proprio e della propria famiglia, inoltre la discriminazione tra imprenditori individuali e
imprenditori collettivi, perchè questi ultimi erano necessariamente soggetti a fallimento perchè non
potevano esonerarsi per la prevalenza del lavoro proprio e della propria famiglia.
Problemi che sono durati fino al 2006 decreto legislativo numero 5. Ha modificato anche l’articolo 1 e
quindi la nozione di piccolo imprenditore ai fini fallimentari.
Innanzitutto ha eliminato la distinzione tra imprenditori individuali e collettivi. Quindi ha dettato una
nozione specifica per questa funzione.
Infatti la riforma del 2006 definiva l’imprenditore NON piccolo, non si considera piccolo imprenditore
colui che superi alternativamente una delle seguenti soglie:
1. capitale investito > 300.000€
2. ricavi lordi > 200.000€
Se un’impresa avesse superato anche solo uno dei due criteri era considerata non piccola e quindi
assoggettata alla disciplina del fallimento e delle procedure concorsuali. Tuttavia il 2083 era sempre
presente, perché la riforma del 2006 dà la definizione di chi NON è piccolo imprenditore.
Chi le supera non è piccolo.
Ma chi non le supera è necessariamente piccolo? Anche sul punto la legge fallimentare si è
dimenticata di intervenire nella riforma del 2006.
C’è chi ha sostenuto che sotto soglia tornasse ad applicarsi il 2083: chi era sottosoglia poteva
considerarsi non piccolo applicando il criterio della prevalenza, cosicchè il 2083 che in origine si è
voluto eliminare dalla legge fallimentare nonostante i vari interventi continua a riaffacciarsi con tutte
le incertezze che comporta.
DECRETO CORRETTIVO DEL 2007: ha modificato l’art.1 sopprimendo ogni riferimento alla nozione
piccolo imprenditore. Si è limitato a dire che NON sono soggetti a fallimento o a concordato
preventivo (quindi sono piccole imprese) le imprese che NON superino le 3 soglie seguenti:
Quindi la correzione del 2007 ha eliminato la nozione di piccolo imprenditore, ma non ha abrogato
l'articolo 2221 con la conseguenza che questo articolo continuava a poter interessare in astratto la
materia fallimentare. Con il 2019 (codice della crisi e dell'insolvenza) hanno posto fine a questo
percorso con il concetto di impresa minore che non è assoggettata alla liquidiazione giudiziale e non
può accedere al concordato preventivo quindi esonerata dalla disciplina della crisi e dell'insolvenza
delle imprese commerciale. (art. 2 lettera D, nozione identica a quella che era derivata dalla riforma
del 2007, ovvero quella che non supera nessuna delle tre soglie dette precedentemente).
DIFFERENZA CON L'ATTUALE LEGGE: una disposizione finale del codice della crisi e dell'0insolvenza
abroga anche il 2221 c.c.
Quindi la riforma del 2019 chiude la strada ad ogni possibilità di reinserire la nozione incerta e di
difficile applicazione del 2083 all'interno della disciplina della crisi e dell'insolvenza.
Oggi è sicuramente inapplicabile il 2083 ai fini dell'esenzione dalla legge fallimentare per dimensione,
esenzione ad oggi è sempre fondata sull'articolo 1 della legge fallimentare così come risultante dal
decreto correttivo del 2007.
Fra 16 mesi entrarà in vigore il codice della crisi e dell'insolvenza -> la medesima fattispecie si
chiamerà impresa minore ai fini dell'esenzione dalla disciplina della crisi e dell'insolvenza.