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DIRITTO COMMERCIALE 7.03.

2019

art. 2195 → norma interpretata secondo un criterio estensivo, per non assoggettare le altre imprese
ad impresa civile.

FATTISPECIE IMPRESA AGRICOLA art. 2135: individuando le attività agricole essenziali (sfruttamento di
un ciclo biologico) e le attività connesse (connesse soggettivamente e oggettivamente, quest'ultimo
secondo un criterio di prevalente connessione con l’attività principale).

FATTISPECIE DI PICCOLA IMPRESA/IMPRENDITORE


fattispecie del 2083 che definisce il piccolo imprenditore (soggetto alla sola pubblicità notizia nel
registro delle imprese e non a quella legale come all'attività agricola).
Tuttavia oggi a questa fattispecie di esonero se ne affianca un’altra che delinea il medesimo esonero
per dimensione dell’impresa agli specifici fini della disciplina della crisi e dell'insolvenza.
Abbiamo quindi 2 fattispecie di esonero dal punto di vista della dimensione dallo statuto dell’impresa
commerciale, perchè lo statuto è formato da più gruppi di norme: norme sulla pubblicità, sulla
rappresentanza commerciale, sulle scritture contabili obbligatorie, e sulla disciplina fallimentare
(disciplina della crisi e dell'insolvenza dell'impresa secondo anche il nuovo codice dell'insolvenza
adottato con decreto legislativo n. 14 del 2019).
Rispetto al perimetro dello statuto dell'impresa commerciale, l’esenzione per caratteristiche
dimensionali è delineata in modo diversa dalla disciplina del gruppo di norme dello statuto
considerate. non abbiamo un unica fattispecie di esonero per dimensione ma due.
La prima fattispecie è quella delineata dall’art. 2083, e quindi dal cc e quindi dalla nozione di piccolo
imprenditore (piccola impresa). Questa nozione di piccolo imprenditore è funzionale all'esonero da
tutta la disciplina dello statuto dell'impresa commerciale eccetto quella sulla crisi sull'insolvenza.
Quindi è funzionale alla disapplicazione della disciplina sulle scritture contabili, sulla pubblciità
commerciale, ecc...
Quindi il 2083 è una nozione codicistica di piccola impresa che non ha più oggi rilevanza generale, ma
rileva per la disapplicazione di tutta la disciplina alle piccole imprese esclusa la disciplina della crisi e
delle insolvenze.
Accanto a questa fattispecie ne abbiamo un’altra delineata dalla disciplina della crisi e funzionale a
disapplicare quella disciplina e non le restanti parti dello statuto dell'impresa commerciale.
Un’impresa è piccola guardando alla fattispecie del 2083 e quindi esonerata ai fini dell'iscrizione nel
registro e delle altre discipline codicistiche dello statuto dell'impresa commerciale, se invece mi chiedo
se l’impresa può essere esonerata dal fallimento (liquidazione giudiziale) è necessario guardare la
nozione delineata dalla disciplina della crisi.
Il 2083 non rileva per la disciplina delle crisi e dell'insolvenza. La nozione di piccola impresa o
impresa minore non necessariamente è una nozione assoluta, i criteri per valutare la dimesione di
un'impresa e definire un’impresa piccola cambiano radicaalmente in tutto il sistema a seconda della
disciplina considerata. Abbiamo il 2083 per lo statuto dell'impresa commerciale eccetto la disciplina
della crisi, la nozione data dalla legge fallimentare e dal codice della crisi che oggi la chiama impresa
minore ai fine della disciplina della crisi, fuori ci sono altri criteri per misurare la dimensione
dell'impresa diversi da questi. Quindi la nozione di piccola impresa è necessariamente una nozione
relativa, non sorprende che essa cambi nella sua struttura a seconda del contesto considerato.
Dobbiamo parlare distintamente delle due fattispecie, non sono fattispecie sovrapponibili.
La nozione codicistica del 2083 di piccola impresa per tutte le nrome escluso la disciplina della crisi e la
nozione futura di impresa minore che serve per l’esonero dalla disciplina del fallimento (esonero
giudiziale).

NOZIONE DI PICCOLO IMPRENDITORE DELINEATO DALL’ARTICOLO 2083


nozione non ancorata a criteri quantitativi.
Distingue 2 categorie: prima delinea alcune categorie tipiche quali il coltivatore diretto del fondo,
l’artigiano e il piccolo commerciante. Accanto a queste figure tipiche c’è anche un criterio elastico che
consente di individuare figure innominata, che è il criterio della prevalenza del lavoro proprio e della
propria famiglia. (La prevalenza del lavoro proprio e familiare costituisce il carattere distintivo di tutti i
piccoli imprenditori).
In realtà l’unico criterio per qualificare un’impresa piccola è il secondo. Perché il primo punto non
esprime una portata precettiva.
COLTIVATORE:
Il coltivatore diretto del fondo sarebbe il piccolo imprenditore che svolge attività agricola, ma solo
all’art. 2697 si trova la definizione di tale coltivatore.
Ai nostri fini è necessario chiedersi se il coltivatore è piccolo o no? NO, perché il coltivatore fa già parte
di attività agricola e quindi NON è impresa commerciale e quindi non gli viene applicato lo statuto.
ARTIGIANO:
L’artigiano è ritenuto da chi crede nell’impresa civile un’impresa civile, perché NON svolge attività in
serie, quindi non industriale, quindi non commerciale, né agricola perchè non produce prodotti
agricoli.
Ho una nozione di artigiano tale da rientrare in questa fattispecie? Non la trovo nel codice civile, ma
trovo l’impresa artigiano in una legge speciale del 1985.
Definizione basata a) sull'oggetto dell'impresa che oggi può essere costituito da qualsiasi attività di
produzione di beni, anche semilavorati o di prestazione di servizi, sia pure con alcune limitazioni ed
esclusioni e b) sul ruolo dell'artigiano nell'impresa che deve svolgere "in misura prevalente il proprio
lavoro, anche manuale, nel processo produttivo", ma non è richiesto che il suo lavoro prevalga sugli
altri fattori produttivi.
Inoltre l'imprenditore artigiano può essere titolare di UNA sola impresa artigiana.

Tuttavia la legge 1985 definisce l’attività artigiano NON ai fini codicistici, ma è data per una funzione
normativa totalmente diversa. Infatti la legge definisce queste figure per dargli particolari agevolazioni.
Questa fattispecie non produce alcun effetto al di fuori del contesto tributario, quindi non può essere
utilizzata per integrare l’art. 2083 → c’è una ragione storica → legge quadro 1985 e la precedente legge
sull’artigianato 1956. La legge del 1956 definiva anch’essa l’impresa artigiana ma stabiliva all’art. 1 che
la definizione stabilita è prevista a tutti gli effetti di legge. Quella nozione aveva un effetto anche al di
fuori delle agevolazioni fiscali.
Mentre la legge del 1985 prevede che:
1. sia stabilita ai soli fine della presente legge
2. la nozione non è presentata ad ogni effetto di legge.
Infatti adesso con la legge quadro 1985 il riconoscimento della qualifica artigiana non basta per
sottrarre l'artigiano allo statuto dell'imprenditore commerciale, ma deve essere rispettato il criterio
della prevalenza fissato dall'articolo 2083 e ai fini fallimentari non deve superare le soglie indicate dal
decreto legge del 2007. Nemmeno l'iscrizione all'albo delle imprese artigiane preclude l'esposizione al
fallimento.
Quindi quella parola artigiano del 2083 non è suscettibile di essere riempita di significato dalla legge
del 1985.
Quindi anche questa parola è PRIVA DI CONTENUTO.
PICCOLO COMMERCIANTE:
Infine c’è la figura di piccolo commerciante, che non è altro che un residuo del precedente codice del
commercio dove si parlava di commercianti e non di imprenditori. Il commerciante è il piccolo
imprenditore commerciale, che viene definito con il criterio atipico del 2083.
Le prime SONO NOZIONI VUOTE DI SIGNIFICATO PRECETTIVO.
Quindi la selezione del 2083 avviene tramite un determinato requisito del 2082, ovvero il requisito
dell’organizzazione (pone il problema giuridico di minimo di coordinamento di fattori produttivi per
aversi impresa, c’è sempre etero organizzazione, se non c’è un minimo di essa c’è un lavoro autonomo
e non si porrebbe nemmeno il problema di impresa piccola o non piccola perché semplicemente non
ci sarebbe impresa). Quindi il 2083 presuppone che ci sia un minimo di etero organizzazione.
Superata questa base minima, si pone il problema se l’impresa sia piccola o no → viene fatto tramite il
criterio della prevalenza.
Fattori per capire se vi è prevalenza: se uno si limita ad organizzare il lavoro proprio non sarebbe
impresa, ma se organizza anche il lavoro dei componenti della proprio famiglia allora è piccolo
imprenditore. Il lavoro della famiglia è un lavoro altrui rispetto all'imprenditore.
Altri fattori produttivi: capitale e lavoro altrui non familiare che misurano la prevalenza.
QUANDO SI HA PREVALENZA? QUINDI IL LAVORO PROPRIO E DELLA PROPRIA FAMIGLIA E’ SUPERIORE
DEL CAPITALE E DEL LAVORO ALTRUI e quindi si ha un'impresa ma piccola dal punto di vista
dell'organizzazione?
Questa misurazione non è puramente quantitativa, non è sufficiente misurare il lavoro proprio e della
propria rispetto ai fattori produttivi, ma occorre andare a vedere l’incidenza sull’attività.
Criterio elastico che comporta un’incertezza applicativa: motivo per cui abbiamo una seconda
nozione.
Il criterio della prevalenza è applicabile a tutte le forme di impresa? In teoria sì.
Il 2083 per misurare il carattere piccolo presuppone che l’impresa sia imputata ad una persona fisica.
Quindi è un criterio che non solo è incerto, ma è un criterio di esenzione che non potrà mai applicarsi
alle imprese non individuali, quindi non alle società → problema di potenziale discriminazione perchè
non consente l'esonero per le imprese diverse dalle imprese individuali.
QUINDI per aversi piccola impresa è necessario che:
1. l'imprenditore presti il proprio lavoro nell'impresa
2. il suo lavoro e quello degli eventuali familiari che collaborano nell'impresa PREVALGONO sia rispetto
al lavoro altrui sia rispetto al capitale investito nell'impresa. E' una prevalenza QUALITATIVA-
FUNZIONALE e non quantitativa aritmetica (apporto di rilievo preminente nell'organizzazione
dell'impresa caratterizzino i beni o i servizi prodotti).
IMPRESA FAMILIARE: DA NON SOVRAPPORSI ALLA DISCIPLINA DEL PICCOLO IMPRENDITORE.
IMPRESA FAMILIARE: è impresa familiare l'impresa nella quale collaborano il coniuge, i parenti entro il
terzo grado (fino ai nipoti) e gli affini entro il secondo grado (fino ai cognati) dell'imprenditore: la
cosidetta FAMIGLIA NUCLEARE.
E' un istituto, una disciplina che non è contenuta nella disciplina dell’impresa ma è contenuta nel
diritto della famiglia, articolo 230bis “impresa familiare”. Essa ha alla base un fatto che è lo
svolgimento da parte di un componente della famiglia di un’attività in modo continuativo.
N.B.: non va comunque confusa con la piccola impresa, è frequente che la piccola impresa sia anche
familiare ma fra le due fattispecie non vi è coincidenza.
Questo articolo detta alcune regole minime e stabilisce delle prerogative di ordine patrimoniale e di
ordine amministrativo. Dal punto di vista patrimoniale → diritto di partecipazione agli utilizzi secondo
l'impegno lavorativo(diritti riconosciuti a chi lavora in modo continuato nell'impresa).
Dal punto di vista amministrativo → le decisioni più importanti relative alla gestione straordinaria sono
adottate non individualmente dal "capo" ma a maggioranza da tutti i componenti della famiglia.
(La fattispecie è un fatto → lavoro → con regole protettive di chi svolge il lavoro).

art. 203bis “Salvo che sia configurabile un diverso rapporto”: si applica solo laddove le parti non
abbiano optato per regolare i loro rapporti all’interno dell'impresa per altri titoli. Ad se viene costituito
un rapporto societario fra i componenti della famiglia, il lavoro familiare non è assoggettato all'art.
230bis ma si applica la disciplina societaria. Se fra il componente della famiglia e l'imprenditore viene
costituito un contratto di lavoro subordinato i rapporti sono regolati da questo titolo e non dalla
disposizione del 230bis.
Quindi questo articolo è riferibile all’esercizio di fatto, perchè se il contributo dato all'attività da
ciascun componente della famiglia è regolato da un altro titolo per volontà delle parti si applica la
disciplina tipica di quei rapporti e non il 230bis.
Questo è importante per capire come Il 230bis si colloca all’interno della disciplina dell’impresa.
I DOMANDA: l’impresa familiare (def. 230bis) integra un’autonoma forma di impresa? La volontà del
230bis è quella di tipizzare una nuova fattispecie di impresa? Evidentemente NO, poiché è una
disciplina che si applica solo laddove le parti non abbiano optato per titoli diversi. Si vuole proteggere
la famiglia in mancanza di altro titolo.
E' una disciplina che regola un FATTO: la partecipazione all'attività dei componenti della famiglia in
mancanza di un altro rapporto con funzione protettiva.
II DOMANDA: preso atto che non siamo di fronte ad una nuova forma tipica di impresa, che forma ha
l’impresa delineata dall’articolo 230bis? L’impresa familiare è individuale o collettiva ovvero imputata
ai vari componenti della famiglia? È una forma atipica di forma collettiva societaria cioè imputata ai
vari componenti della famiglia? O è imputata ad un capo famiglia?
Si potrebbe essere indotti che sia collettiva per i diritti patrimoniali dei soggetti e a votazione di
maggioranza, ma la funzione del 230bis non è creare una nuova fattispecie di impresa sia essa
individuale o collettiva ma di proteggere in mancanza di diverso rapporto il lavoro familiare
nell'impresa dando una serie di prerogative, quindi alla fine l’impresa familiare è UN’IMPRESA
INDIVIDUALE IMPUTATA AL CAPO FAMIGLIA, tant’è che vi è la necessità (rispetto alla posizione del
capo) di stabilire una serie di prorogazioni e di limiti, con il presupposto di TITOLARITA’ INDIVIDUALE.
L'impresa familiare non è una forma tipica di impresa, nè una nuova forma atipica di impresa
collettiva, ma è una disciplina diretta a tutelare i componenti della famiglia nell'ambito di un'impresa
che rimane individuale in capo al capofamiglia.
È una disciplina che non ha niente a che vedere con la disciplina dell’impresa.
Disciplina i rapporti della famiglia in mancanza di diverso rapporto.
Che rapporti ci sono quindi fra la fattispecie di impresa familiare e la nozione di piccola impresa del
2083?
III DOMANDA: La fattispecie familiare integra necessariamente una piccola impresa? NO, perché si
tratta di una fattispecie NON sovrapponibile al 2083. L'impresa familiare presuppone che ci sia il lavoro
della famiglia ma non presuppone la prevalenza del lavoro familiare e proprio.
• Impresa individuali organizzate prevalentemente il lavoro familiare: piccolo imprenditore.
• Imprese individuale organizzate prevalentemete con altri fattori: non piccoli imprendotori.
La qualificazione di un'impresa come familiare è neutra perchè non integra una forma di impresa, non
integra una nuova forma di impresa collettiva ed è soggetta come ogni altra impresa ad una
valutazione dimensionale.

SECONDA FATTISPECIE DI ESENZIONE PER DIMENSIONE


quella dettata dalla disciplina della crisi e dell’insolvenza.
Passaggi fondamentali di questa disciplina.
Prima era contenuta nella legge fallimentare del 1942 → questa a parte riforme minori ha subìto una
riforma organica (anticipata da alcune piccole riforme precedenti) nel 2006, che non ha abrogato la
vecchia legge del 1942, ma l’ha solo modificata/aggiornata. Viene novellata da questo interno del
2006.
Dopo la riforma del 2006 abbiamo avuto dei decreti correttivi.
2019: nuovo codice della crisi e dell’insolvenza. La gran parte delle disposizioni entrano 18 mesi dopo.
Sono norme che virtualmente ci sono già ma che entreranno in vigore tra 16/17 mesi.
Nozione di impresa minore, definita dall’articolo 2 lettera D del codice della crisi 2019 -> non è
assoggettato alla liquidazione giudiziale (fallimento, non fallisce), non accede alle procedure di
regolazione delle crisi minori, salvo quelle da sovraindebitamento che sono un'altra cosa che
riguardano anche il consumatore.
Quindi non può accedere al concordato preventivo.
Chi esercita impresa come un'impresa minore si vede disapplicata la disciplina della crisi applicata
all'imprenditore commerciale, concordato preventivo e liquidazione giudiziale.

LEGGE FALLIMENTARE 1942: dettava già una nozione speciale di piccolo imprenditore richiamando il
2083.
art. 1: si presumevano piccoli imprenditori coloro che non superassero due soglie quantitative
coordinate fra loro.
Prima soglia: è piccolo chi non avesse un reddito ai fini dell’imposta di ricchezza mobile.
Secondo criterio sussidiario al primo (applicativo solo se il primo non era applicabile): fondato sulla
nozione di capitale investito nell’azienda, ovvero un capitale inferiore a 900000 Lire.
Ma il 2083 trovava ancora applicazione? Alcuni sostengono che l’art. 1 dettava una sorta di
presunzione di piccola impresa. Ma non diceva niente su quelli al di sopra delle soglie → erano
automaticamente imprenditori non piccoli? DIPENDE. L’unico rinvio possibile era al 2083.
L’evoluzione normativa ha di fatto negli anni ‘70 soppresso i due criteri quantitativi.
Il primo criterio (quello fondato sull'accertamento del reddito ai fini dell'imposta della ricchezza
mobile) è stato abrogato implicitamente quando è stata soppressa l'imposta di ricchezza mobile.
Abrogato il primo criterio rimaneva il secondo, capitale investito in azienda non superiore a
900.000Lire. Questa somma fa capire che era un criterio inapplicabile per l'inflazione del periodo.
Il secondo criterio che di fatto non era operativo è stato poi dichiarato incostituzionale.

Così dagli anni ‘70 l’unico criterio utile era il 2083. Ha comportato vari problemi.
Innanzitutto l'incertezza applicativa: ogni tribunale aveva i suoi parametri per stabilire la prevalenza
del lavoro proprio e della propria famiglia, inoltre la discriminazione tra imprenditori individuali e
imprenditori collettivi, perchè questi ultimi erano necessariamente soggetti a fallimento perchè non
potevano esonerarsi per la prevalenza del lavoro proprio e della propria famiglia.
Problemi che sono durati fino al 2006 decreto legislativo numero 5. Ha modificato anche l’articolo 1 e
quindi la nozione di piccolo imprenditore ai fini fallimentari.
Innanzitutto ha eliminato la distinzione tra imprenditori individuali e collettivi. Quindi ha dettato una
nozione specifica per questa funzione.
Infatti la riforma del 2006 definiva l’imprenditore NON piccolo, non si considera piccolo imprenditore
colui che superi alternativamente una delle seguenti soglie:
1. capitale investito > 300.000€
2. ricavi lordi > 200.000€
Se un’impresa avesse superato anche solo uno dei due criteri era considerata non piccola e quindi
assoggettata alla disciplina del fallimento e delle procedure concorsuali. Tuttavia il 2083 era sempre
presente, perché la riforma del 2006 dà la definizione di chi NON è piccolo imprenditore.
Chi le supera non è piccolo.
Ma chi non le supera è necessariamente piccolo? Anche sul punto la legge fallimentare si è
dimenticata di intervenire nella riforma del 2006.
C’è chi ha sostenuto che sotto soglia tornasse ad applicarsi il 2083: chi era sottosoglia poteva
considerarsi non piccolo applicando il criterio della prevalenza, cosicchè il 2083 che in origine si è
voluto eliminare dalla legge fallimentare nonostante i vari interventi continua a riaffacciarsi con tutte
le incertezze che comporta.

DECRETO CORRETTIVO DEL 2007: ha modificato l’art.1 sopprimendo ogni riferimento alla nozione
piccolo imprenditore. Si è limitato a dire che NON sono soggetti a fallimento o a concordato
preventivo (quindi sono piccole imprese) le imprese che NON superino le 3 soglie seguenti:

1. attivo patrimoniale degli ultimi 3 esercizi < 300.000€ (capitale investito)


2. ricavi in ciascuno degli ultimi 3 esercizi < 200.000
3. indebitamento, debiti anche non scaduti > 500.000€.
Basta superare una sola delle precedenti tre soglie per essere soggetti a fallimento.
Si è esonerati per dimensione dalla legge fallimentare in base alla riforma del 2007 se si integrano tutti
e 3 questi requisiti.
Anche questa riforma si è dimenticata di abrogare una norma del codice civile che avrebbe segnato la
fine del 2083 ai fini fallimentari, ovvero l'articolo 2221, che è ancora per pochi giorni in vigore: "gli
imprenditori che esercitano un'attività commerciale esclusi gli enti pubblici e i piccoli imprenditori
sono soggetti in caso d'insolvenza alle procedure del fallimento e del concordato preventivo, salve le
disposizioni delle leggi speciali".

Quindi la correzione del 2007 ha eliminato la nozione di piccolo imprenditore, ma non ha abrogato
l'articolo 2221 con la conseguenza che questo articolo continuava a poter interessare in astratto la
materia fallimentare. Con il 2019 (codice della crisi e dell'insolvenza) hanno posto fine a questo
percorso con il concetto di impresa minore che non è assoggettata alla liquidiazione giudiziale e non
può accedere al concordato preventivo quindi esonerata dalla disciplina della crisi e dell'insolvenza
delle imprese commerciale. (art. 2 lettera D, nozione identica a quella che era derivata dalla riforma
del 2007, ovvero quella che non supera nessuna delle tre soglie dette precedentemente).
DIFFERENZA CON L'ATTUALE LEGGE: una disposizione finale del codice della crisi e dell'0insolvenza
abroga anche il 2221 c.c.
Quindi la riforma del 2019 chiude la strada ad ogni possibilità di reinserire la nozione incerta e di
difficile applicazione del 2083 all'interno della disciplina della crisi e dell'insolvenza.
Oggi è sicuramente inapplicabile il 2083 ai fini dell'esenzione dalla legge fallimentare per dimensione,
esenzione ad oggi è sempre fondata sull'articolo 1 della legge fallimentare così come risultante dal
decreto correttivo del 2007.
Fra 16 mesi entrarà in vigore il codice della crisi e dell'insolvenza -> la medesima fattispecie si
chiamerà impresa minore ai fini dell'esenzione dalla disciplina della crisi e dell'insolvenza.

NATURA GIURIDICA DEL SOGGETTO TITOLARE DELL'IMPRESA


Solo gli imprenditori commerciali non piccoli e tutti gli imprenditori commerciali non piccoli sono
esposti all'applicazione degli istituti del registro delle imprese con effetti di pubblicità legale, delle
scritture contabili e delle procedure concorsuali QUANDO TITOLARE DELL'IMPRESA E' UNA PERSONA
FISICA (impresa individuale). Principi diversi valgono per gli altri tipi di imprese.
1. IMPRESA INDIVIDUALE: quando il titolare dell'impresa è una persona sola.
2. IMPRESA SOCIETARIA: la società semplice è l'UNICO tipo di società inabilitata all'esercizio
dell'attività commerciale.
Le società commerciali si distinguono fra società di tipo commerciale con oggetto agricolo e di tipo
commerciale con oggetto commerciale.
L'applicazione degli istituti dell'imprenditore commerciale segue regole diverse da quelle previste per
l'imprenditore individuale:
a. l'imprenditore commerciale si applica alle società commerciali qualunque sia l'attività svolta
(iscrizione e scritture contabili). Mentre le società che gestiscono un'impresa agricola sono esonerate
dal fallimento e dalle procedure concorsuali, sono esonerate anche se non superano le soglie previste
dalla riforma del diritto fallimentare del 2006.
b. nelle società in nome collettivo (SNC) o nelle società in accomandita semplice (SAS) la disciplina
trova applicazione solo verso la categoria di soci responsabili illimitatamente (tutti per SNC, solo gli
accomandatari nella SAS).
3. IMPRESA PUBBLICA: (art. 2093)

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