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Elena Sala Di Felice LA RETORICA TRA DRAMMATURGIA, TEATRO E PITTURA Le podme tragique a la puissante fi- nalité de dresser sur scéne une ‘image’ qui a, sur celle de peinture, l’immense avantage d’étre en mouvement, vivante, agissante par le truchement des acteurs dans les personnages qu’ils représentent', 1. Ambizioni e funzionalité della retorica Antichissimo fopos della riflessione sulle arti @ Passerita ana- logia tra pittura e teatro, fondata sul comune carattere mimetico delle due arti, che noi ora preferiamo definire rappresentative, secondo la terminologia semiotica. Un maestro di questi studi, Marc Fumaroli, ha meglio e pitt riccamente articolato il problema, commentando l’altrettanto an- tica vexata quaestio della moralita del teatro. [...] proprio come le arti plastiche, i teatro ha avuto i suoi ‘iconoclasti’ della res scaenica, che hanno potuto annoverare nelle loro fila tanti Padri ¢ Dottori della Chiesa e con una tale continuita che i loro eredi del Seicento hanno potuto rivendicare la loro appartenenza a una tradizione immutabile della Chiesa [...]. Non @ un fatto sorprendente: se le immagi- ni plastiche, per quanto immobili esse sieno, hanno potuto essere consi- derate da Platone e da tutta una tradizione teologica come uno dei pit gravi pericoli per anima, gl"‘idoli teatrali’, dotati di movimento, voce, animati dal corpo vivo degli attori, hanno una presa ben pit potente ¢ immediata sui sensi?. Lo studioso faceva riferimento all’efficacia calcolata della pro- sopopea, del dialogismo 0 sermocinatio, dell’ipotiposi, cioé di 1 L. Marin, La Téte coupée, in Id., Des pouvoirs de image, Paris, Seuil, 1993, pp. 133-153: 134. 2 "M, Fumaroli, Retorica, teologia e «moralita del teatro» da Corneille a Moliére, in Id., Eroe e oratori. Retorica e drammaturgia secentesche, Bologna, il Mulino, 1990, pp. 291-341: 291 «Musica ¢ storia», VII/2 (1999) 351 EvEna Sata Dr FELICE tutta la strumentazione retorica di cui il poeta e gli attori, media- tori verso il pubblico, si avvalevano per rendere certa e piacevole la comunicazione tra la scena e¢ la sala, rivolgendosi ai sensi dell’udito e della vista degli spettatori. E si deve insistere sul- Vazione ‘sinergica’, esercitata in ambito teatrale dalla parola e dall’azione attorica che la anima visibilmente. Lrefficacia del linguaggio iconico era stata reputata maggiore perché pit: immediata e diretta dal fondatore dell’estetica sensi- stica, Jean Baptiste Du Bos: -Jiln’y a personne qui n’ait eu occasion de remarquer plusieurs fois dans sa vie, combien il était plus facile de faire concevoir aux hommes tout ce qu’on veut leur faire comprendte ou imaginer par le moyen des yeux, que par le moyen des oreilles?, Il sensista Du Bos concedeva conseguentemente il primato dell’efficacia alle arti visuali; noi tuttavia, considerando nella sua complessa multilinearita l’arte teatrale, quanto tenendo conto dell’apporto di una disciplina ‘pervasiva’ e duttile come la retori- ca, dobbiamo convenire sulla ricchezza problematica della rela- zione fra le varie arti rappresentative. Ci @ gia occorso di riflettere sull’importanza dei rapporti, delle possibilita d’imitazione modellizzante dei codici verbali ¢ iconico messa in luce da Jury Lotman‘i cui suggerimenti sono sempre utile punto di riferimento; ora perd ci sembra importante far osservare che nella pittura gli atteggiamenti delle figure, la loro disposizione nello spazio sono paragonabili a quelle degli attori sulla scena, i quali devono servirsi, quanto gli oratori, della quinta parte della retorica |’actio; mentre le relazioni spaziali reciproche sono regolate dalla prossemica, seguendo le conven- > J.B. Du Bos, Réflexions eritiques sur la Poésie et sur la peinture (1719), ma citiamo dall’edizione Pissot, Paris 1755, Premiare partie, p. 420. Il fondatore dell’estetica sensistica offriva una spiegazione analitico-meccanicistica dell'effi- cacia pit immediata e sicura dell’immagine rispetto alla parola: «Les vers les plus touchans ne scauroient nous émouvoir que par degrés, & en faisant jouer plu- sieurs ressorts de notre machine les uns aprés les autres. Les mots doivent d’abord réveiller les idées dont ils ne sont que des signes arbitraires. Il faut ensuite que ces idées s'arrangent dans l'imagination, & qu’elles y forment ces tableaux qui nous touchent, & ces peintures qui nos interessent. Toutes ces opérations, il est vrai, sont bient6t faites; mais il est un principe incontestable dans la mécanique, C'est que la multiplicité des ressorts affaiblit toujours le mouvement [...]> (bi dem, pp. 417-418). 1 "Ci sia permesso di rinviare, anche per i riferimenti bibliografici, al nostro Us drama pictura, La muta eloquenza del Tiepolo e la facondia pittorica di Metasta- sio, in «Intersezioni», XVII/1, aprile 1998, pp. 47-66. 352 LA RETORICA TRA DRAMMATURGIA, TEATRO E PITTURA zioni epocali, che regolano anche la gestualita dei personaggi tanto dipinti quanto interpretati dagli attori?, Tenendo conto dell’ efficacia comunicativa della vista e di quanto abbiamo appena osservato dobbiamo concordare con quanto ha scritto Fumaroli a proposito dell’estrema ma irrinunciabile ambi- zione della retorica; egli parlava dell’ I//usion comique di Corneil- Je, un testo in cui si intrecciano tante riflessioni sull’arte dramma- tica, esaltata come fautrice di autoconoscenza, come strumento di moralizzazione e capace ancora di rivelare ai singoli personaggi la loro vera indole e natura ¢ le loro interazioni grazie alla retorica: [...] in questo testo sentiamo che la profonda aspirazione della retorica & quella di realizzarsi in drammaturgia. Quest’ ultima riduce e rende quasi invisibile la mediazione fra cosa evocata e destinatario dell’ evocazione - cio’ realizza l’arte dell’oratore [...] la drammaturgia @ una retorica che porta fino al suo estremo limite la sua volonta di potenza sull’uditorio% poiché l’actio renderebbe persuasivi al massimo grado gli espe- dienti della prosopopea e dell’ipotiposi ‘rappresentandole’ nel corpo, nel gesto, nella mimica dell’attore, porta-parola del dram- > Si veda a questo proposito J. J. Engel, Lettere intorno alla mimica (1785- 86), nella quarta delle quali l'autore spiega partitamente come gestualita e mimi- ca dell’attore debbano osservare tradizioni e convenzioni proprie di ogni epoca, nazione, condizioni sociali, di eti, di sesso, quantunque i sentimenti da esprime- re siano uguali per tucti gli uomini. Citiamo dalla traduzione italiana. di G. Rasori, edita col titolo Idee intorno alla mimica (Milano, Pirrotta, 1818-19), ristampa anastatica con un ottimo Saggio introduttivo di L. Mariti, Roma, E & A, 1993, pp. 22-29. Engel evidenziava ancora l’analogia sia tra poeta e attore, impe- gnati a far corrispondere «tono, fisionomia e gesti» agli afletti (cfr. Lertera Il, pp. 12-13), sia tra gli attori e i pittori, le cui arti erano analoghe per limmedia- tezza del risultato e della sua verifica quanto all’efficacia comunicativa (cfr. Lettera V, p. 30). Nella Lettera II si legge: «E, da che quest’anima non ci & dato vederla nuda cogli occhi nostri, & prezzo dell’opera scrutinare i moti e atteggia- menti da essa prodotti [sul corpo], come quelli che sono quasi suo specchio [...]> (p. 16). © 'M, Fumaroli, L’“illusion comique" di Corneille, in Id., Eroi ¢ oratori cit., pp. 105-136; 117. Cicerone lamentava invece, nel De Oratore, la durezza del- Pesercizio professionale dell’eloquenza: «In oratore autem acumen dialectico- rum, scientia philosophorum, verba prope poetarum, memoria iuris consulto- rum, vox tragoedorum, gestus paene summorum actorum est requirendus» [Al- Voratore invece si richiede l'acume dei dialettici, la profondita dei filosofi, la ricchezza verbale dei poeti, la memoria dei giureconsulti e quasi il gesto di sommi atcori]. Citiamo da Cicerone, De Oratore libri tres, con la traduzione italiana di E. Giovannetti, Roma, Reale Accademia d'Italia, 1931, LI, cap. XXVIII, I, pp. 100-101 rispettivamente. Se per i moderni la massima realizzazione della retorica si ravvisava nel teatro, per Cicerone l’oratore avrebbe potuto profittare della lezione degli attori, purché sommi (cfr. sbidem, cap. XXXIV, pp. 116-117; 1. Il, cap. XXIL, I, pp. 220-221), 353 Exena Sata Di FELICE maturgo, cosi come l’oratore che nell’antichita predisponeva per i suoi clienti-assistiti i discorsi, adeguandoli alla loro indole e condizione. Tiepolo si pud opportunamente citare, ragionando di intera- zione tra drammaturgia, pittura e retorica, facendo riferimento ad una delle sue opere giovanili: I potere dell’eloquenza, tema dell’affresco che ornava il soffitto di Ca’ Sandi’. I committenti si erano socialmente ed economicamente elevati esercitando la pro- fessione forense e conseguentemente avevano scelto quell’argo- mento, confermando implicitamente e orgogliosamente che: I soggetti delle antiche favole, o gli eroi storici, 0 i personaggi biblici servivano in quanto déi lari di una civilta [...] memoria e programma di civilta al tempo stesso®. Orfeo che libera Euridice, rappresentato mentre brandisce un violino; Ercole Gallico che affascina gli ascoltatori; Bellerofonte che vince la Chimera; Anfione che innalza le mura di Tebe al suono della cetra significavano per metafore metonimiche la forza civilizzatrice delle attivita pitt specificamente umane: le atti ver- bale e musicale, Metastasio rievocava proprio gli stessi miti nella festa teatrale I/ Parnaso accusato e difeso, attribuendo ad Apollo questa apologia delle arti in quanto civilizzatrici: «Se la cetra non era / D’Anfione e d’Orfeo, gli uomini ingrati / Vita trarrian pericolosa e dura, / Senza déi, senza leggi e senza mura. / Sariano ancor le selve / L’ortida lor dimora, / E con l’emule belve / L’esca, il covil contrasteriano ancora». E poco pit avanti ancora il Dio assegnava all’arte il compito di tramandare nei secoli le vicende storiche esemplari. Tali affermazioni sono pienamente convergenti con l’interpretazione del valore pedagogico-sociale della poesia e del teatro professata da Metastasio nell’Estratto dell’Arte Poetica di Aristotile. 7 Sull’affresco di Ca’ Sandi cfr. G. Knox, Ca’ Sandi: la forza dell’eloquenza, in «Atte/Documento», 7, 1993, pp. 135-145 * M. Fumaroli, Lo staruto del personaggio, in Id. Eroi ¢ oratori cit., pp. 29- 70, p. 53. *'P. Metastasio I! Parnaso accusato e difeso (1738), in Tutte le opere di Pietro Metastasio (poi TO), a cura di B, Brunelli, Milano, Mondadori, 1947 e ss., voll. 5, IT, p. 260, Il drammaturgo rivendicava la prioriti del diletto come scopo delle arti; esso avrebbe avuto il merito indotto di rendere moralmente utili le composizioni poetiche come le produzioni artistiche in generale. Il drammaturgo asseriva esplicitamente essere «obbligo del poeta (come buon cittadino) [...] il valersi de’ suoi talenti a vantaggio della societa [....» (Estratto dell’Arte poetica @Aristotile e considerazioni su la medesima, ibidem, p. 1089). 354 LA RETORICA TRA DRAMMATURGIA, TEATRO E PITTURA Né solo questa consonanza ci induce ad osservare in parallelo Tarte dei due maestri italiani pid acclamati nell’Europa del Settecen- to. Essi infatti furono straordinari interpreti e celebratori della civilta dell’Ancien Régime al suo tramonto: le fastose composizio- ni pittoriche dell’uno possono leggersi come memoria dell’esecuzio- ne delle opere di corte dell’altro, mentre le allegorie pittoriche tiepolesche celebrano con significativa insistenza i miti intellettua- lie morali consegnati dal poeta cesareo ad alcune delle pitt impegna- tive feste teatrali, composte ad uso dei suoi illustri committenti'®. Fumaroli ha enumerato tra gli «déi lari» della civilta, ancora omogenea prima della Rivoluzione francese, anche personaggi storici: importante, sotto questa angolatura, la presenza di situa- zioni omologhe, se non identiche, nelle prime pitture dell’uno e nei drammi dell’altro. Negli anni 1725-29 fu affidata a Tiepolo la commissione di dieci grandi tele destinate a decorare Ca’ Dolfin. La dimora ap- parteneva ad una famiglia i cui membri si erano illustrati nelle carriere ecclesiastica, militare e politica al servizio della Serenissi- ma, furono scelti argomenti di storia in cui Roma era opposta a Cartagine, per significare l’antico ruolo della Repubblica, in dife- sa dell’occidente contro i Turchi. La rievocazione giungeva ~ diremmo noi — fuori tempo massimo, ma possiamo spiegarcela come occasione d’impiego d’un altro espediente retorico, che Jacques Joly ha chiamato «inversione dei segni»', In momenti di crisi — e Venezia ne attraversava una da cui non si sarebbe pit sollevata —l’artista esaltava le glorie passate, le riattualizzava attra- verso metafore culturali facilmente riconoscibili; oppure, secondo quanto faceva Metastasio, esaltava come segno di grandezza que- ‘© Riproponiamo in parte il confronto tra il drammaturgo e il pittore, trattato nell’articolo Us drama pictura cit, Ricordiamo che il paragone tra i due artisti, in altri tempi orientato in senso limitativo, & stato, negli ultimi decenni, studiato con diverso impegno e migliore comprensione, nel quadro del pitt meditato apprezza- mento dell’ Arcadia, della cultura, delle esperienze artistiche del primo Settecento. 11 Lo studioso, nel suo tuttora fondamentale studio su Les Fétes théatrales de Métastase @ la Cour de Vienne (1731-1767), Clermont Ferrand, Faculté del Lettres et Sciences Humaines, 1978, aveva definito questo espediente come specitico del- Parte del poeta di corte che, in occasione dei rovesci militari che si erano abbattuti sulla casa d’Austria negli anni 1734-35, aveva ‘trasformato’ in segni di grandezza quelle sconfitte. L’imperatore Carlo VI appariva, grazie all’abilita del suo poeta, pitt grande per quanto rifiutava (o era in procinto di perdere) che per quanto possedeva o avrebbe potuto conquistare. A tanto valevano i congegni metaforici che reggevano le feste o azioni teatrali. Dietro le composizioni metastasiane del 1734-35 abbiamo individuato la meditazione di alcuni dialoghi morali di Seneca. Ci permettiamo di rinviare alla nostra relazione Segreti, menzogne e coatti silenzi nella «Clemenza di Tito» di Metastasio, in IJ segreto, atti del convegno di Cagliari (1-4 aprile 1998), Roma, Bulzoni, in corso di stampa. 355 Exena Sata D1 FELice gli eventi che solo in apparenza, dai non avveduti, potevano leg- gersi come segni negativi. Nel terribile biennio 1734-35 Metasta- sio compose La Clemenza di Tito, le feste teatrali I! Palladio con- servato ¢ Il sogno di Scipione, il dramma sacro Betulia liberata. Tali vicende riuscivano esemplari perché gli eroi resistevano ai disastri; con grandezza d’animo accettavano le prove della fortuna avversa e del dolore; ¢ al di la delle apparenze confidavano sull’immanca- bile benignita del cielo. Per parte sua Tiepolo aveva dipinto a meta secolo Nettuno offre doni a Venezia, quando ormai Pantica regina del mare non era pit destinataria dei tributi di quel Dio”. 2. «Lisez histoire et le tableau» I trionfi tiepoleschi potrebbero essere rimasti impressi nella memoria del giovane drammaturgo, allora a Venezia per seguire Vesecuzione di alcune opere™: cavalli o elefanti trainavano i carri dei vincitoti, attorniati dalle prede belliche, dagli schiavi in catene 2 La tela, ultimo dipinto celebrativo in Palazzo Ducale, era situata in un ambiente vasto e importante perché vi si giungeve salendo la monumentale Scala d'Oro. Chiungue accedesse alle sale dove si riunivano gli organi di governo della Serenissima: il Collegio, il Senato, il Consiglio dei Dieci e i capi del Consiglio dei Dieci, fosse membro o ospite di quelle magistrature, doveva attraversare la sala pertanto era praticamente obbligato a contemplare quella metafora mitologica di un’antica potenza. La posizione del dipinto @ paragonabile, per funzionalita della visione, a quella dell’affresco dell’Europa nella decorazione dello scalone della Residenza arcivescovile di Wiirzburg. Anche 1a Jo spettatore si trovava la rappre- sentazione del continente, sede privilegiata dell'elaborazione della civilta, giun- gendo alla fine d’una scala, su un pianerottolo, logo Favorevole alla contemplazio- ne. Sull’argomento avevamo gia rinviato, nell’articolo citato, al libro di S. Alpers - M. Baxandall, Tiepolo and the Pictorial Intelligence, London, Yale University Press, 1994, tr. it. Tiepolo e Vintelligenza figurativa, Torino, Einaudi, 1995, p. 12. 1 Questa frase di Nicolas Poussin si legge in uns lettera inviata dal pittore a Chantelou: «Au reste, si vous vous souviendrez de la premiére lettre que je vous écris touchant les mouvements des figures que je vous promettais d’y faire et que tout ensemble vous consideriez le tableau (La raccolta della manna], je crois que facilement vous reconnaitrez quelles sont celles qui languissent, qui admirent, celles qui ont pitié [....». Il passo & citato da L. Marin, Pour une sémiologie pieturale, in Id., Etudes sémiologiques. Ecritures, Peintures, Paris, Klincksieck, 1971, p. 20. "4° 'Andarono in scena a Venezia: if Siroe, musica di Leonardo Vinci (1726); VEzio, musica di Nicola Porpora (1728), che contiene un elogio della Serenissima; Semiramide riconosciuta, musica dello stesso (1729); nel medesimo anno fu rappre- sentato il Catone in Utica, musica di Leonardo Leo. In quegli anni Tiepolo eseguiva le tele commissionategli da Daniele III, e Daniele IV Dolfin, ambasciatore della repubblica l'uno, e comandante militare altro. Il ciclo traeva gli argomenti dal- VEpitoma de Tito Livio bellorum di Lucio Anneo Floro. La data, 1729, segnata sul Trionfo di Mario segna la conclusione dei lavori, che pertanto potrebbero essere stati noti al drammaturgo e da Jui lungamente ricordati. 356 LA RETORICA TRA DRAMMATURGIA, TEATRO E PITTURA e dalla moltitudine del popolo festante, come il poeta avrebbe ancora prescritto nelle didascalie della Nitteti, ambientata in Egitto (1756). Cartagine poteva rappresentare l’Oriente, con il suo fasto ele sue insidie, tanto per il pittore quanto per il drammaturgo; se questi annunciava i nomi dei Iuoghi, l’altro li evocava con i costu- mi, l’architettura, la vegetazione e gli animali: certo entrambi attingevano al medesimo patrimonio culturale, esplicitamente evocato, come spiegava Louis Marin, dai nomi propri sia di per- sona, sia di luoghi: [...] les noms [...] indiquent, pour le jalonner, un espace géographique, mai aussi, simultanément, Particulent dans un discours topique qui reléve, lui, d’un systéme culturel déterminé dans histoire et dans la tradition, c'est-a-dire en fin de compte, dans un ensemble de textes [.,.]. L’opposizione Oriente/Occidente era un fatto culturale rigo- rosamente sistematizzato i cui fondamenti ideologici erano condi- visi dal Metastasio, non foss’altro per eredita graviniana. La rigi- da magnanimita di Catone e poi I’eroismo estremo di Attilio Regolo (1740) acquistavano maggiore rilevanza di contro allo sfondo delle sponde mediterranee dell’Africa: luogo di mollezze e di crudelta, di insidiose ambiguita morali, di propensione ai tradimenti, come aveva dovuto sperimentare Pompeo, In un altro dramma giovanile, Alessandro nell’Indie, all’eroe macedone si faceva alla fine scoprire che anche nell’India «germoglia tanta virtii»; ma solo dopo che l’avversario sconfitto, Poro, aveva dato prova di irragionevole ostinazione, ispiratrice di sterili attentati, di sospettosa quanto immotivata gelosia, negative inclinazioni compensate dal fascino, esaltato dalla virtii, della regina Cleofide. La suggestione delle contrade orientali appare efficace quanto pericolosa anche nell’Adriano in Siria, la cui vicenda é collocata in Antiochia. Proprio perché @ lontano da Roma il neo-imperato- re tischia di cedere alla seduzione della bella prigioniera Emire- na, ea lei lo spiega, esibendo nomi, tempi e circostanze che lo hanno reso «diverso assai [...] da quel che fui. Veduto allora / Non avevo il tuo volto: ero privato, / Ero vicino a lei [Sabina]. Sospiro adesso / Ne’ lacci tuoi: porto I’alloro in fronte; / E Sabina @ sul Tebro, io su l’Oronte»!*. 1 _L. Marin, Sémiotique de la Passion. Topiques et figures, Aubier Montai- ane, Edition du Cerf-Delachaux & Desclée de Brouwer, 1971, p. 16. 16 P, Metastasio, Adriano in Siria (1732), I, 6, p. 539. Ricordo che i melo- drammi si leggono nel vol, I di TO; le feste nel vol. Il, Indicherd, nell’ordine, atto, scena, pagina dopo ogni citazione. Per le lettere (voll. III-V) indicheré: cortispondente, data, volume, pagina, 357 Exena Sata Di Fetice In pit tardi lavori tiepoleschi possiamo osservare l’analoga efficacia seduttiva delle atmosfere morbidamente lussuose del- POriente, favoloso quanto insidioso. Negli affreschi di palazzo Labia Cleopatra seduce Antonio fin dal primo incontro, sulla passerella che collega la nave romana alle sponde d’Egitto; gli sguardi dei due personaggi s'incrociano poi nella rappresentazio- ne del banchetto al di sopra del gesto di magnificenza o di estre- ma prodigalita della regina, che sta per lasciar cadere una perla nel ‘nappo’, dove si dissolvera: stupore ¢ seduzione agiscono sul commensale, ancora legato agli austeri costumi romani, che stan- no per essere contaminati dal fasto lussuoso. Un’altra interpreta- zione del ciclo propone Cleopatra come metafora di Venezia, capace di conquistare, abbagliando quanti si erano lusingati di averla vinta. Nel dipinto del banchetto, oltre alla sua collocazione geogra- fica, metonimicamente condensata nelle due comparse in primo piano, a lato della regina: Puno nero e l’altro inturbantato, ci preme rilevare l’efficacia dell’actio dei protagonisti e delle figure di contorno; ’opera pud leggersi come testimonianza metateatra- le della prassi esecutiva degli spettacoli pit sontuosi dell’epoca, e vi fanno allusione gli spettatori, mescolati ai musicanti, che popo- lano la loggia sovrastante la scena, mentre le alabarde alludono metonimicamente al fatto che Antonio — del resto rappresentato con l’elmo in capo ~ @ un generale, che viene dal mare, come prova la vela sullo sfondo. Certe didascalie scenografiche di Me- tastasio potrebbero essere impiegate per descrivere questa ed altre simili scene, per esempio una per il Demetrio e un’altra per Achille in Sciro: Luogo magnifico, con trono da un lato e sedili in faccia al suddetto trono, per li grandi del regno. Vista in prospetto del gran porto di Seleucia con molo. Navi illuminate per solennizzare l'elezione del nuovo te (I, 7, 428). Gran sala illuminata in tempo di notte, cortispondente a diversi apparta- menti, parimente illuminati. Tavola nel mezzo, credenze all’intorno: log- ge nell’alto, ripiene di musici e spettatori (II, 7, 779). In occasione di un’esecuzione romana del Demetrio, su richie- sta dell'amica, il drammaturgo invid alla Romanina un foglio di direzione relativo alla scena che abbiamo citata, dov’é fatto insi- stente riferimento all"altrove’ geografico, precisamente barbaro, che doveva essere curato tanto per significare il luogo, quanto per ordinare i movimenti degli attori-cantanti nel rigoroso rispetto della prossemica, cio del ‘sistema’ socio-culturale d’epoca, Que- 358 LA RETORICA TRA DRAMMATURGIA, TEATRO E PLTTURA sta concerneva con puntuale parallelismo sia i personaggi rappre- sentati sia i loro interpreti, come si evince dalla cura minuziosa delle prescrizioni metastasiane: [...] il trono deve stare, secondo il solito, a destra, ¢ deve avere da’ lati quattro sedili o sian cuscini alla barbara, cioe due per parte; ¢ questi servono per li Grandi del regno, Due altri somiglianti sedili debbono esser situati in faccia al trono, dalla parte del secondo cembalo [...] Ed appres- so a questi, altri tre sedili pur simili per Fenicio, Olinto ed Alceste'’. In un’altra occasione, nella Nitte¢i (1756), la sontuosita del trionfo del faraone Amasi, potrebbe celare un doppio valore segnico: senz’altro la specificita di un ‘sistema culturale’ geogra- ficamente definito ma, al tempo stesso, l’atmosfera da grande spettacolo poteva-doveva valere, diremmo, come ‘sostituzione’ della potenza della monarchia spagnola ormai declinante. Di contro l’austerita del Cincinnato tiepolesco, intento ai lavori campestri quando riceve l’offerta della dittatura e V’attitudine di estremo stoicismo con cui Scevola, davanti a Porsenna, protende la destra verso il braciere, sarebbero ben paragonabili al rigore con cui Regolo prigioniero rifiuta di sedere al posto gia suo in senato; 0 alle atmosfere di originaria severita e semplicita quasi rozza dei romani del Trionfo di Clelia e del Romolo ed Ersilia’’. 3. «Actio [...] quasi sermo corporis» L'efficacia espressiva degli atteggiamenti dei volti dei perso- naggi di Tiepolo da una parte, dall’altra l’attenzione minuziosa con cui Metastasio imponeva ai suoi interpreti, attraverso le dida- scalie esplicite o implicite le modalita interpretative, ci hanno suggerito di orientare l’attenzione verso l’actio; cui per altro Cicero- ne, nel libro III del De Oratore, e Quintiliano, nel IX libro dell’Institutio Oratoria, dedicano uno spazio proporzionalmente minore rispetto alle altre parti della retorica. Cicerone aveva pero affermato che «L’azione [...] € quella che domina nell’arte della parola e, senza di essa, anche il piti grande oratore sara uno zero». "7 Lettera a Marianna Bulgarelli Benti, Vienna 12 gennaio 1732, IIT, p. 60; corsivo nostro. 18 Sia La dittatura offerta a Cincinnato sia Muzio Scevola davanti a Porsenna si trovano all’Ermitage di San Pietroburgo; cfr. P. Metastasio, Attilio Regolo, I, 7, 984; I! trionfo di Clelia, U, 5, 1271 € IL, Ultima, 1290; Romolo ed Ersilia, didascalie I, 1, 1323, Cicerone, De Oratore cit., 1. II, cap, LVI, II, pp. 316-317: «Actio, in- quam, in dicendo una dominatur. Sine hac summus orator esse in numero nullo 359 Eupna Sata Di Fetice Ul corpo dell’oratore, e in particolare la sua voce, elemento fonda- mentale ~ com’é ovvio — in questo contesto, avrebbe dunque dovuto diventare eloquente per esprimere: Ogni moto dell’ animo {...] ha dalla narura un suo volto ¢ un suo suono ed un suo gesto, Tutto il corpo dell’uomo ed ogni sua espressione ed ogni sua voce, come le corde di un istrumento, suonano a seconda della passio- ne che le fa vibrare™ Tuttavia l’intellettuale latino non ha mostrato univoca fiducia nell’arte attorica. Egli ha nettamente distinto tra actor ed histrio, e solo al primo ha concesso le doti di decorosa actio, citando, com’é noto, l’esempio ammirevole di Roscio. E peré interessante leggere come ’oratore apparisse al retore da pits dell’attore, quan- tunque il parallelo tanto insistente meriti tutta la nostra attenzio- ne anche se enunciato in forma di antitesi: «gli oratori sono gli attori della stessa verita» «i commedianti [...] sono soltanto gli imitatori della verita»*!. Questa distinzione evoca la svalutazione platonica delle arti imitatrici, segnatamente della pittura, troppo lontana dall’ idea. Ai nostri occhi, a ben guardare, la pittura e la rappresentazione teatrale, cui si ispiravano i retori - 0 cui avrebbe teso, come a proprio compimento, la loro arte intellettuale — seguivano regole molto simili; prestavano il massimo dell’attenzione all’ eloguenza potest [.,.}». Nondimeno uno dei personaggi del dialogo sosteneva limpossibi- Tita, per oratore, di trovare il tempo per I’addestramento del corpo e della voce, al modo degli attori (cfr. ibidem, I. I, cap. LIX, vol. I, pp. 190 € 191). 22 «Omnis enim motus animi suum quemdam a natura habet voltum et sonum et gestum; corpusque totum hominis et eius omnis voltus omnesque voces, ut nervi in fidibus, ita sonant, ut [a] motu animi quoque sunt pulsae» (Cicerone, De Oratore cit., 1. Ill, cap. LVIL, Il, pp. 320 ¢ 321). Nel capitolo successive Cicerone procedeva analiticamente a discutere, servendosi di esempi tratti da tragedie, i modi della pronuntiatio adeguati ai diversi effetti: lira, il dolore, la pieta, il timore, Ja violenza, il piacere, il dolore che non chiede commiserazione (cfr. tbidem, cap. LVIIL, Il, pp. 320-325). Cfr. inoltre: «[..,] ne nune quidem solum de orationis modo dicam, sed etiam de actionis; [...] Quo modo autem dicatur, id est in duobus: in agendo et eloquendo. Est enim actio quasi corporis quaedam eloquentia, cum constet in yoce atque motu. Vocis mutationes totidem sunt quot animorum, qui maxime voce commoventur» (Cicerone, Orator, cap. XLIL, p. 56; citiamo dall’ed. del Romanorum Scriptorum Corpus Italicum, Mila- no, La Santa, 1928: «[...] parlerd non solamente del discorso, ma anche dell’ azio- ne [...] La maniera del dire consiste in due elementi: I'azione ¢ l'elocuzione, L’azione 2 in certo modo l’eloquenza del corpo, e consta della voce e dei movi- menti. I mutamenti della voce sono tanti quanti quelli dell'animo, sul quale appunto la voce esercita la sua efficacia» (p. 57, tr. it. A. Donati) 2 af,,.] oratores [...] sunt veritatis ipsius actores [...] imitatores autem veritatis bistriones» (De Oratore, cap. LVI, IL, pp. 318-319; corsivi nostri). 360 LA RETORICA TRA DRAMMATURGIA, TEATRO E PITTURA precisamente dei corpi che, nella pittura, avrebbe dovuto sapere comunicare compiutamente gli affetti, in assenza e in sostituzione del codice verbale. Francesco Algarotti, che abbiamo altrove indicato”, come «possibile» mediatore tra Metastasio e Tiepolo, studioso e teori- co, non a caso, sia della pittura, sia dell’opera in musica, richie- deva l’espressione degli affetii come indispensabile alla pittura: Non basta che il pittore sappia delineare le piti scelte forme, rivestirle de’ pit bei colori e bene comporle insieme, che mediante i chiari e gli scuri faccia sfondare la tela, dia a’ suoi personaggi di convenienti vestiti e di graziose positure; conviene ancora che sappia atteggiarli di dolore e di letizia, di temenza ¢ d’ira, che scriva in certo modo nella faccia loro cid che pensano, cid che sentono, che gli renda vivie parlanti, Ela veramente si esalta la pittura e diviene quasi maggiore di sé, dove sa fare intendere assai pitt di quello che un vede dipinto”. E un gesuita francese, studioso di retorica, del rapporto tra arte attorica ¢ oratoria sacra, asseriva che «C’é nei visi una sorta di eloquenza silenziosa». La richiesta che i personaggi dipinti riuscissero «vivi e parlan- ti» pud leggersi come un riferimento precisamente all’actio atto- riale, che avrebbe dovuto ‘animare’ le parole, altrimenti inerti sulla pagina di un testo drammatico. Né altrimenti chiedevano gli antichi maestri di retorica, quando insistevano circa le espressio- ni comunicabili con le diverse parti del corpo. Cicerone appunta- va l’attenzione sulle mani, sul braccio proteso «come dardo della parola», sul piede qualche volta battuto a terra per concitazione; ma soprattutto sul volto concentrava il proprio interesse. Le mani 2 2 Rinvio ancora al mio Ut drama pictura cit., pp. 47-48. Algarotti, Della pittura, in Id., Saggi, a cura di G. Da Pozzo, Bari, Later- za, 1963, p. 111. Come esempio di felice espressione degli affetti, cui & intitolato il capitolo da cui citiamo, l’Algarotti nomind un dipinto del Tiepolo: «E nel volto di una Santa Polonia, che dipinta vedesi dal Tiepolo in S. Antonio a Padova, pare che si legga chiaramente il dolore della ferita fattagli dal manigoldo misto col piacere del vedersi con cié aperto il Paradiso» (p. 114). Pessime valutazioni delle interpretazioni degli attori-cantanti contemporanei si leggono invece a proposito Della maniera del cantare e del recitare nel saggio Dell’opera in musica, nei Saggi cit., pp. 167-173. #” Louis De Cressolles, Vacationes autumnales sive de perfecta actione et pronuntiatione [1620], cit. da J.-J. Courtine - C. Harroche, Histoire du visage, Paris, Rivages, 1988, tr. it. Storia del viso, Palermo, Sellerio, 1992, p. 13. Inevita- bile @ il rinvio a M. Fumaroli, Le “Vacationes autumnale” di padre Louis De Cressolles, in Id., Erot ¢ oratori cit., pp. 249-290. Anche Engel, nelle Lettere cit. dice essere espressione di Lessing «leloquenza del gesto» (Lettera I, p. 6) ¢, in nome proprio, parla di «atteggiamento parlante» (Letlera VIII, p. 64). 361 Exena Sata Dr Fence infatti avrebbero dovuto seguire le parole, non comunicarne da sole il senso; ma gli occhi erano privilegiati: Ma tutto @ nel volto Ia cui potenza @ concentrata negli occhi [...] Ogni azione infatti emana dall’anima, il volto ¢ immagine dell’anima gli occhi ne sono gli interpreti. E questa la sola parte del corpo che possa dare tante espressioni e mutamenti quanti sono i modi dell’animo [...]°. I trattato di Quintiliano aveva un intento e uno sviluppo pit marcatamente pedagogici; anche quell’autore affronté l’argomen- to dell’actio come espressione delle passioni, e gid allora propose una questione destinata a grande fortuna: tra i sentimenti veri, 0 risentiti in prima persona dall’interprete — allarghiamo I’attenzio- ne all’attore — e quelli finti consapevolmente, con studio, preferi- va i secondi, mentre i primi gli parevano «privi dell’ausilio del- l’arte e pertanto debbon essere impiegati con un criterio raziona- le»?6, Il problema fu oggetto poi dell’atrenta considerazione di En- gel, che citava un attore tedesco Ekhoff, come particolarmente pregevole perché «non si lasciava trasportare mai dalla corrente del sentimento. [...] E qui @ dov’entra in campo Parte, la quale [...] raddrizza gli sconci di natura, menoma il pit, cresce il meno, e mira a cogliere la perfezione»’”. Lo studioso definiva assai bene il proprio ideale come ‘rappresentazione intellettuale’, dell’uomo principalmente, come la pitt attraente, e concentrava la propria 25 «Sed in ore sunt omnia. In eo autem ipso dominatus est omnis oculorum [...Janimist enim omnis actio et imago animist vultus indices oculi. Nam haec est tuna pars corporis quae, quot animi motus sunt, tot significationes {et commuta- tiones] posit efficere» (Cicerone, De Oratore cit., 1. IIT, cap. LIX, pp. 324-327). 2% “a(...J carent arte ideoque sunt disciplina et ratione formandi» (M. Fabi Quintiliani Institutionis Oratoriae, Libri XII, a cura di R, Paranda e P. Pecchiura, Torino, UTET, 1979, If, |. XI, 3, pp. 576-577. Ricordiamo che la questione fu posta al centro dell’ attenzione da Denis Diderot nel suo Paradoxe sur le Comédien: Il primo interlocutore affermava: «Le comédien de nature est souvent détestable, quelquefois excellent, [...] Et comment la nature sans Part formerait-elle un grand comédien, puisque tien ne se passe exactement sur la scéne comme en nature, et que les po’mes dramatiques sont tous composés d’aprés un certain systéme de pricipes?» (citiamo dalle Oeuvres esthériques, a cura di P. Vierniere, Paris, Garnier, 1959, p. 304). Per l'illuminista la sensibiliti non era dote suffi- ciente, talora anzi riusciva dannosa per lattore: «La sensibilité n'est jamais sans faiblesse d’organisation» (ibidem, p. 311), «Les larmes du comédien descendent de son cerveau; celles de I’homme sensible montent de son coeur: ce sont les entrailles qui troublent sans mesure la téte de homme sensible; c’est la téte du comédien qui porte quelquefois un trouble passager dans ses entrailles [...]» libidem, p. 313). 7 Engel,.Lettere cit., Lettera Il, pp. 10-11; eft. Lettera VIIL, p. 60. 362 LA RETORICA TRA DRAMMATURGIA, TEATRO E PITTURA, attenzione sul capo e sulle mani degli attori, come pit efficaci nellesprimere’ gli affetti®. A questo proposito bisogna risalire ai precetti di Quintiliano, che gia aveva considerato I’actio sotto il profilo dell’analogia tra drammaturgia e pittura: Né c’t da meravigliarsi [...] quando si vede che la pittura, opera silenziosa ¢ immutabile, penctra negli affetti pid riposti, cosi da parer superare talvolta l’efficacia stessa della parola”. Alle possibilita espressive del capo egli assegnava i sentimenti di «vergogna, dubbio, ammirazione e sdegno», mentre pit sottil- mente duttile gli appariva la capacita comunicativa del viso, col quale (...] ci atteggiamo a supplici, a minacciosi, a concilianti, a tristi, a ilari, a fiduciosi, a umili: da questo pendono gli ascoltatori, a questo guardano [...] con questo amiamo ed odiamo [...] questo vale spesso pitt di ogni parola, E cosi nei drammi teatrali i maestri della recitazione prendono in prestito gli affetti anche dai personaggi, di modo che, nella tragedia, Aero- pe é melanconica, Medea implacabile, Aiace sbalordito, Ercole truce”. Ancora una volta dunque osserviamo esplicitato il rapporto tra pittura e arte teatrale che hanno come medium la retorica; mentre poi coloro che fanno professione di eloquenza traggono dalle due arti citate esempi ¢ ammaestramenti circa le attitudini del volto in funzione espressiva. Le lezioni dei retori antichi rimasero per lungo tempo attive nella cultura, esse esercitarono un’indubbia capacita pervasiva nelle diverse attivit’ umane. Lo prova ancora la Conférence pro- 2 La specificita delle riflessioni di Engel intorno all’arte «mentale» dell’at- tore, capace di «somiglianze finissime trascendentali», consisteva nella definizio- ne, per contrasto oppositivo, tra la «contraffazione», eventualmente anche degli oggetti, riservata — forse con una punta di diffidenza se non di disdegno ~ al pantomimo, ¢ I'«espressione» delle passioni, operanti cambiamenti nel corpo del- Fattore che tuttavia non potrebbe rappresentarli tutti, Sarebbero fuori dalle pos- sibilita espressive certi effetti fisiologici, poiché la mente pud bensi governare gli arti, i muscoli, ma non il sangue (cfr. ibidene, particolarmente Lettera V, p. 32 € Lettera VI, p, 46) 2° Quintiliani Instisutionés Oratoriae cit.: «Nec micum [...] cum pictura, tacens opus et habitus semper eiusdem, sic in intimos penetret adfectus, ut ipsam vim dicendi nonnunmquam superare videatur» (XI, 3, p. 578). 39 Hoc supplices, hoc minaces, hoc blandi, hoc tristes, hoc hilares, hoc erecti, hoc summissi sumus; hoc pendent homines [...] hic spectatur [...] hoc quosdam amamus, hoc odimus [...]. Itaque in iis quae ad scaenam componuntur, fabulis artifices pronuntiandi a personis quoque adfectus mutuantur, ut sit Aéro- pe in tragoedia tristis, atrox Medea, attonitus Aiax, truculentus Hercules» (:bi- dem, p. 580) 363 Evena Sata Di Fevice nunciata da Charles Le Brun, «peintre du Roy», davanti all’Acca- demia. II libraio-editore, rivolgendosi al lettore, affermava che Lartista aveva dedicato in quella conferenza, per primo, uno stu- dio sistematico all’espressione delle passioni’ in pittura; noi ag- giungiamo che il metodo di Le Brun é analitico-didattico nei consigli sugli atteggiamenti da attribuire alle varie parti del cor- po, secondo la perentoria asserzione: L’ Expression [...] entre dans toutes les parties de la peinture, & un Tableau ne scauroit étre parfait sans I’Expression; c'est elle qui marque les veritables caracteres de chaque chose *?. Il pittore aveva studiato I’effetto fisico-corporeo delle affezio- ni dell’animo: «(...] l"Expression est aussi une partie qui marque les mouvemens de l’Ame, ce qui rend visible les effets de la passion» e ancora: «[...] la plus grande partie des passions de l’Ame produisent des actions corporelles [.,.]»°?. Le Brun ha enumerate sia le passioni semplici, sia quelle composte, spiegando come, per effetto di loro, gli angoli delle bocche si piegassero differentemente, o le labbra si aprissero pit © meno; come il capo piegasse verso il cuore o dalla parte oppo- sta; infine egli assegnava maggiori capacita espressive alle soprac- ciglia invece che agli occhi. Confrontando queste annotazioni con esempi tiepoleschi possiamo notare le sopracciglia inarcate in segno di meraviglia di Porsenna, che osserva Muzio Scevola im- passibile al dolore; lo stupore fa sgranare gli occhi al soldato che, nella stessa tela, sta in piedi a sinistra di chi guarda, mentre dei due figuranti, dietro l’eroe, si vedono solo i volti dalle sopracci- glia corrugate verso il naso, per esprimere, secondo Le Brun, «l’Estime». Severissimo appare il volto del Tempo che scopre la Verita, forse atteggiato a Mépris della menzogna; infine Briseide esprime con tutto il corpo il proprio dolore, condotta verso Aga- mennone, nell’affresco di Villa Valmarana: ella preme le braccia contro il seno, quasi a difesa; e la sua pena nell’incedere é signi- ficata dalle ginocchia un poco flesse. Gli occhi occuparono costantemente il primo posto nella con- siderazione generale, con un’aggiunta specialmente rilevante per chi si occupa di Metastasio: Quintiliano notava come la natura avesse dotato quella parte del corpo di uno straordinario ausilio 3 Charles Le Brun, Conférence de monsieur L.B. premier peintre du Roy de France, Chancellier e Directeur de VAcadémie de peinture et de sculpure. Sur L Expression generale & particuliere, Arasterdam-Paris, De Lorme et Picart, 1698, p.2. 32 Ibidem, pp. 3 € 4-5. 364 LA RETORICA TRA DRAMMATUKGIA, TEATRO E PITTURA, espressivo, o ‘elemento rivelatore’: «f...] le lacrime, le quali o erompono provocate dal dolore o sgorgano per la gioia»”, argo- mento sul quale torneremo tra poco. Vorremmo ora far notare come l’interesse per Ia retorica, mai abbandonato durante il Medioevo, abbia conosciuto un indubbio incremento nei trattati di comportamento e di buone maniere a partire dal Rinascimento; come quella disciplina fosse divenuta veramente centrale nell’eta della Controriforma, soprattutto nelle scuole gesuitiche; come lo studio — attivo e passive — dei volti, degli sguardi, facesse parte di quel complesso di costrizioni, di autocontrollo e persino di autocensura, indispensabili nelle ma- glie strette delle contraintes imposte dalla societa di corte™. Le eroine metastasiane non possono esprimere sempre i loro sentimenti: esse anzi ci appaiono frequentemente vittime esem- plari di circostanze in cui, coinvolte senza loro colpa, devono mantenere un silenzio che le affligge. Progetti di attentati, nozze segrete, pericoli incombenti su di loro, sui loro amanti o familiari ne provocano affanni che esse manifestano solo attraverso i pian- ti, che per lo pit riescono indecifrabili per gli uomini che le attorniano, e non di meno ne subiscono il fascino irresistibile. Non tenteremo di presentare un catalogo delle troppo numerose occorrenze in cui le eroine di Metastasio piangono silenziosamen- » Cfz. Quintiliani Institutionis Oratoriae cit.: «Sed in ipso vultu plurimum valent oculi, per quos maxime animus emanat, ut citra motum quoque et hilarita- te enitescant et tristitiae quoddam nubilum ducant. Quin etiam lacrimas hiis natura mentis indices dedit, quae aut erumpunt dolore aut laetitia manant», (p. 580). Anche Engel, che pure aveva indicato i gesti delle mani, del braccio, il muovere un passo avanti come mezzi per attirare ’attenzione (Lettere cit., eft. Lettera VI, p. 43), assegnava agli occhi il primato delle capacita espressive «Nello specchio della fronte sta l'immagine dell’animay, grazie alla speciale mobilita dei muscoli del volto e soprattutto dell’occhio (cfr. ibidem, p. 45) 34 A questo proposito si possono leggere interessanti osservazioni in Cour- tine-Harroche, Storia del viso cit. Lo studio trascende i limiti del rapporto tra drammaturgia e pittura, mediato dalla retorica, oggetto di queste riflessioni; tuttavia sono state utili certe considerazioni circa la rilevanza, nell’ambito dei comportamenti sociali, «del linguaggio del corpo ¢ del gesto oltre che della parola [...]», (p. 26), Il controllo su tali modalit’ comunicative avrebbe toccato Facme nell’ambito delle corti, nei secoli dell’assolutismo (p. 27). Opere seicente- sche rinnovavano gli insegnamenti dei retori antichi; é stato citato Taxil, autore di una Astrologie et la Physiognomonie en leur splendeur (Tournon, 1614) a proposito degli occhi :«Questa parte del corpo, che non a caso si nomina spec- chio dell’anima, @ uno scorcio di quadro, dove tutti i colori ingenui € i vivi lineamenti si vedono rappresentati e dove si leggono chiaramente i vizi e le virtii che la possiedono 0 che essa [anima] possiede» (p. 47). Quanto alle esigenze del controllo eft. ibidem, specialmente le pp. 69-71. Sulle costrizioni imposte anche a se stessi, per mantenere privilegi e prestigio durante Ancien Régime, cfr. N. Elias, Die bofische Gesellschaft, Darmstadt-Neuwied, Luchtethand Verlag Gam- BH, 1975, tr. it. La societa di corte, Bologna, il Mulino, 1980. 365 Etena Sata Di Fevice te, 0 sono costrette a rinunciare persino a questo sfogo del loro dolore, Ci limitiamo a segnalare che, all’inizio della carriera del drammaturgo, un’aria di Laodice comincia con un bell’ossimoro: Mi lagnero tacendo (Siroe, 1726, Ul, 1, 92); al 1754 risale Antigo- no, la cui protagonista femminile, Berenice, confessa che «V’é nel lagnarsi e piangere / V’é un’ombra di piacer./ Ma struggersi e tacer / Tutto € tormento» (I, 11, 1084). Altre volte le lacrime valgono come tichiesta di solidarieta compassionevole: «Se tutti i mali miei / Io ti potessi dir, / Divider ti farei / Per tenerezza il cor // [...] Che, se tu fossi un sasso, / Ne piangeresti ancor» (Aria di Dircea, Demofoonte, 1733, II, 6, 667); altre volte é riconosciuto alle lacrime un effettivo potere: «Ah, non é vano il pianto/ L’al- trui rigore a frangere: / Felice chi sa piangere / In faccia al caro ben» (aria di Semiramide, Semiramide riconosciuta, 1729, I, 12, 274); quell’effetto fisiologico possiede inoltre un’efficacia empa- tica sicura, non sempre confortevole nella realta, quantunque produttrice di successo nella finzione scenica: «Non é ver che sia contento / Il veder nel suo tormento / Pit: d’un ciglio lagrimar: / / Ch’é Pesempio del dolore / B uno stimolo maggiore, / Che richiama a sospirar» (atia di Semira, Artaserse, 1730, III, 6, 406- 407). Quelle lacrime erano anche un ‘segno dei tempi’, se cosi possiamo dire”’,e riconosciute dai teorici dello spettacolo come straordinario strumento di seduzione e di efficacia simpatetica. Nella Poétique del La Mesnardiére leggiamo: L...] si /’Actrice qui pousse de tristes parolles, est scavante en son mestier L...] pour peu qu’elle ait de beauté, qui est le charme universel qui donne la grace aux choses, il n’y aura guére de coeuts qui ne soient vivement touchez [...1. Est-il possible que le Poéte bien versé en Eloquence, puisse toucher accortement des choses si pitoyables sans faire arroser son Theatre par un deluge de pleurs? Et que l’Acteur intelligent, & qui ait le don des larmes, tres-necessaire en ce mesticr, n’ait pas assez de matiere pour faire retentir la Scene de mille sanglots redoublez, qui travaillent son Auditeur, et toutefois qui le ravissent parmi ces tourmens agreables?™, % Cir. A. Vincent-Buffault, Histoire des larmes, XVIIF'-XIX* siécles, Paris, Rivages, 1986. La studiosa, fin dall'introduzione, segnala la considerazione riservata alle lacrime che «coulent» tra silenzio e parole e «manifestent I’émotion» in una grande varieta di situazioni. Il libro ne illustra il ruolo a teatro (cui @ dedicato il capitolo IV): sulla scena e nella sala, dove il pianto sanciva il successo tra XVIL XVIII secolo; sarebbe poi rilevabile una specifica «rhétorique des larmes» nei pitt diversi generi di scritture, tanto pubbliche che private (a questo proposite cfr. pp. 24-25). 3” J, H.P. De La Mesnardiéze, La Poétique (1640), Genéve, Slatkine Reprints, 1972, pp. 87-88 e 94. Su questo autore ha richiamato l’attenzione J. Morel, Rhétori que et Tragédie au XVIF siécle, in «XVUF siécle», LXXX-LXXXI, 1968, pp. 89-105. 366 LA RETORICA TRA DRAMMATURGIA, TEATRO E PITTURA I testi metastasiani proponevano alle interpreti circostanze di tal fatta e a loro favorevoli, anzi le parole imposte dall’autore agli attori dichiaravano gia la capacita seduttiva di quelle lacrime, come accade nell’Issipile (1732): Giasone aveva creduto che la promessa sposa volesse attentare alla sua vita; ella — costretta al silenzio — si limitava a piangere e l’eroe, allontanandosi, confessa- va: «Vi seducea quel pianto / Durando anche un momento, affetti miei» (IL, 13, 510). Nel Temistocle (1736), Lisimaco sente vacilla- re la propria fedelta alla patria davanti ad Aspasia: «Oh dei, che dolce incanto / E d’un bel ciglio il pianto! / Chi mai, chi pud resistere? / Quel barbaro dov’é?» (II, 5, 897)”. Alle lacrime pud essere affidata secondo un’attenta retorica, anche la confessione d’una corrispondenza amorosa, invano ne- gata per orgoglio sociale; € quanto scopre Minteo negli occhi dell’amata Ulania: «Oh quanto mai son belle / Le prime in due pupille / Amabili scintille / D’amore e di pieta!» (L’eroe cinese, 1752, II, 3, 1172). E ancora un caso di ‘retorica del pianto’ possiamo ravvisare nel giovanile Ezio (1729), dove il protagonista ‘decodifica’ — letteralmente — l’atteggiamento dell’amata: «Tu mi vuoi dir col pianto / Che resti in abbandono» (I, 3, 201). Ancora a proposito di retorica va specificato che sono diverse da quelle femminili le ragioni di pianto concesse al sesso forte: gli eroi possono versare solo lacrime di ammirazione, seppure mista ad altri sentimenti; come accade ad Alceste, cui la fine abilita del drammaturgo impone di sceverare minutamente la propria com- plessa situazione psicologica, davanti all’eroismo di Cleonice. Questa @ capace di sublimare l’amore nella dedizione al dovere, pur serbando intatto il proprio sentimento e quello dell’amato, che infatti canta: «Non so frenare il pianto, / Cara, nel dirti addio: / Ma questo pianto mio / Tutto non é dolor. // E meravi- glia, é amore, / E. pentimento, & speme; / Son mille affetti insieme / Tutti raccolti al cor» (Demetrio, 1733, II, 12, 457). Anche Peroico protagonista dell’Antigono (1754), Demetrio, piange in una congiuntura di affetti contrastanti: amore e rimpianto per la rinuncia a Berenice; devozione filiale e di suddito per Antigono, cui sacrifica la passione; compiacimento per l’amicizia del nemi- % Clr. De La Mesnarditre, La Poétique cit., p. 94. Anne Vincent Buffault, in base al proprio sondaggio sui testi e sulle testimonianze, ha potuto concludere che «Les larmes sont censées procurer aux femmes une beauté charmante. Si elles ne peuvent retenir leurs pleurs, elles finissent aussi par se rendre compte du touchant effet que, dans cet état, elles produisent sur les hommes. Les femmes apprennent pour peu qu’elles soient coquettes, i présenter un visage en larmes» (Histoire de larmes cit., p. 57) 367 Etena Sata Di FEuice co-rivale Alessandro: «Piango, @ ver; ma non procede / Dall’af- fanno il pianto ognora: / Quando eccede ha pur talora / Le sue lagrime il piacer. // Bagno, é ver, di pianto il ciglio; / Ma permes- so é al cor d’un figlio / Questo tenero dover» (II, 4, 1092). Non continueremo nell’esplorazione della fenomenologia ‘la- crimogena’, che trova perd rispondenza in situazioni dolenti o pietose della pittura del Tiepolo. Basti ricordare |’ Armida abban- donata da Rinaldo, la cui persona si protende verso l’amato; forse pero il gesto pitt espressivo é affidato alla mano della donna, che veramente implora; gesto declinato al maschile nella scena in cui Rinaldo si trova stretto tra i due compagni guerrieri che |’hanno indotto alla resipiscenza: in questo caso il personaggio esprime qualche rimpianto tenendo le palpebre abbassate, il viso un po” chino; ancora Rinaldo, in un altro dipinto, manifesta infine la propria vergogna nella figura pitt contorta, quasi disegnasse una linea spezzata, mentre un braccio sembra in atto di levarsi a nascondere il viso. 4. «Le altre parti del corpo aiutano il dicitore, le mani — saret per dire — parlano da sé»*® L’azione delle mani suscitd la maggiore attenzione dello scrit- tore latino che ne enumeré con precisione le possibilita comuni- cative, offrendo tanto agli attori, quanto agli oratori, nonché ai pittori, una gamma vastissima di attitudini espressive: Non é forse con Je mani che chiediamo, promettiamo, chiamiamo, congediamo, minacciamo, scongiuriamo, malediciamo, esprimiamo timo- re, interroghiamo, neghiamo, mostriamo gioia, tristezza, dubbi, ammis- sioni, pentimento, misura, abbondanza, numero, tempo? Non sono esse, ancora, ad eccitare, a impedire, ad approvare, a mostrar meraviglia 0 rossore? Nell’indicare luoghi e persone, non tengon luogo di awverbi e di pronomi? certamente, ¢ a tal punto, che il loro linguaggio mi sembra quello universale nei rapporti tra genti ¢ popoli di lingue cosi diverse”. 98 Quintiliani Istitutionis Oratoriae cit.: «[...] ceterae partes loquentem adiuvant, [manus] propest ut dicam, ipsae locuntur» (XI, 3, pp. 584-585) 39 (pp. 31-32) 2 Cf. le ‘norme’ dettate da La Brun. Ivi, 370 LA RETORICA TRA DRAMMATURGIA, TEATRO E PITTURA due figure di vecchi barbuti: Puno, forse il mago Aristandro, puntando l’indice verso la matrona ¢ lo sguardo sul giovane vincitore, sembra consigliargli la pieta; l’altro, pitt arretrato, con la bocca semiaperta e gli occhi spalancati, potrebbe interpretare Pammirazione®. 5. «[...] une dextérité qui ne récule pas devant Vimbrication l'une dans Uautre de figures de rhétorique differentes»" Le feste teatrali di Metastasio erano piccole quanto difficili composizioni in cui dovevano intrecciarsi l’encomio discreto, il contenuto didattico-morale, l’'adeguatezza alle abilita attoriali- canore delle esecutrici ¢ degli esecutoti, membri spesso della famiglia imperiale 0 persone comunque vicine alla corte; cid no- nostante la recita doveva riuscire dilettevole. La corrispondenza del drammaturgo comprova largamente la fatica connessa all’ar- duo impegno. Jacques Joly ha analizzato con grande finezza questi componi- menti; nei quali molto spesso il poeta ha discusso la propria attivita, ne ha fatto l’apologia, ha sperimentato soluzioni poi adottate per sostenere nei pit impegnativi drammi il proprio dovere di poeta cesareo; per celebrare le virtii dei suoi «clemen- tissimi padroni», ma senza dar loro «l’incensiere sul naso». Cosi si legge in una lettera nella quale l’autore da prova di una elegante ironia che coinvolge lui stesso, ma non esclude gli illustri destina- tari-committenti?, All’ironia della lettera corrispondeva, nella pratica di una fine, quanto ‘astuta’ retorica, l’uso insistente della preterizione ¢ della litote, impiegate fino dalla giovanile Angelica, dove il poeta si finge costretto al silenzio dalla propria insuffi- cienza al compito di lodare l’imperatrice Elisabetta: «Ah so ben ch’io dovrei / Sol della gloria tua vergar le carte, / [...] Ma chi ridir potrebbe / Le lodi tue senza far onta al vero? / Forse é minor delitto / Tacere i pregi tuoi, che dirne poco» (II, 136)*. ® fr. bidem, pp. 1-2 della parte del libro che commenta le incisioni che illustrano visivamente le singole passioni. 4 Joly, Les Fétes théatrales cit., p. 65 * Il poeta scriveva al fratello a proposito del Vero omaggio: «Accenno 0 faccio pensare quanto c’é di pitt luminoso nelle lodi de’ miei augustissimi sovra- ni, senza dar loro Vincensiere sul naso, ¢ rispettando la somma loro moderazio- ne» (Vienna 22 Gennaio 1746, III, 265). 4 Come ulteriore esempio di raffinata litote si cita la Licenza della Clemen- zt di Tito, dove Vencomio, tanto piti necessario nelle difficolti di quell’anno 1734, & tanto meglio esibito quando si dichiara di volerlo tacere: «Non crederlo, 371 eNA SALA Di Fetice Icommitrenti del Tiepolo pare non nutrissero altrettanti scru- poli di modestia. Se i Sandi avevano preferito l’omaggio indiretto della celebrazione del Potere dell’eloquenza, altri signori avevano gradito le apoteosi delle loro famiglie; composizioni che ricorda- no le grandi macchine teatrali, il cui costo aveva persuaso il poeta cesareo a limitarne progressivamente l’uso, confermando anche per questa via la sua piena comprensione e consonanza con le ragioni ¢ le contingenze della famiglia imperiale. Le macchine dipinte non erano invece piti costose di altri soggetti, pur espri- mendo al massimo grado il potere suasorio dell’immagine””. Tie- polo dipinse le apoteosi dell’ammiraglio Vettor Pisani, per Ca’ Pisani Moretta (1745); della famiglia Barbaro, ora a Ca’ Rezzoni- co (1750)*; della famiglia Pisani, per la villa di Stra (1760); della Monarchia spagnola, decorazione a fresco del grande soffitto nella reggia di Madrid (1764). Il senso della teatralita fu manifesto fin dalle opere giovanili del maestro veneziano, come prova la decorazione del grande soffitto del palazzo Clerici a Milano, dove il pittore tenne accura- tamente conto del percorso degli sguardi degli spettatori*’?. Lo stesso affollarsi delle figure allegoriche o mitologiche, leggibili con piena sicurezza all’epoca, quando la cultura iconologica con- densata dal Ripa era comune possesso intellettuale, si offre come seducente spettacolo oltre che come lusinghiero encomio dei com- mittenti. E ancora una volta dobbiamo sottolineare ’uso di una grande varieta di espedienti retorici: le personificazioni dei con- tinenti, le allegorie delle virtt 0 dei vizi costituiscono espedienti messi in opera dal contemporaneo drammaturgo; il quale calcola- va coscienziosamente gli effetti delle sue moraleggianti favole, sostenendole con le attrattive della scena, per compensarne l’even- signor; te non pretesi / Ritrarre in Tito. Il rispettoso ingegno / Sa le sue forze appieno, / Né a questo segno io gli rallento il freno» (p. 750). Si confronti anche la Licenza dell’ Adriano in Siria, il quale «non osa / Somigliarsi» all’imperatore; «Fa spettacol di sé, non paragone», dove il congegno retorico serve a velare Vintento pedagogico, ottundendone {'effetto forse un poco acuto (p. 575). 4” E eloquente il titolo del libro di L. Marin, Des pouvoirs de l'image. Gloses, Paris, Seuil, 1993 48” Questa apoteosi é leggibile come encomio virile: il personaggio centrale pud intendersi come rappresentazione del Valore, attorniato dalla Prudenza, che rece il suo attributo, un serpente, attorcigliato 2 un braccio; dalla Fama, munita dell’indispensabile tromba; dalla Nobilta e dalla Virtd, recante dipinto sul petto il sole, secondo i dettami dell’Iconologia del Ripa (cfr. A. Bayer, Le decorazioni per Ca’ Barbaro, in Giambattista Tiepolo 1696-1996, a cura di Keith Christiansen, Milano, Skira, 1996, p. 156). ® 'Si veda la scheda di V. Terraroli, La corsa del carro del Sole; le quattro parti del mondo; gli dei dell’ Olimpo, in R. Bossaglia, Tiepolo a Milano. L’itinerario lombardo del pittore veneziano, Milano, Skira, 1996, pp. 29-37 372 La RETORICA TRA DRAMMATURGIA, TEATRO E PITT tuale secchezza pedagogica, come egli ha testimoniato a proposi- to dell’Alcide al bivio: tradizionale era infatti la soluzione dell’al- legoria spaziale della strada che si biforca, mentre i personaggi femminili di Edonide e di Aretea erano personificazione del pia- cere e della virtt’®. Ancora a Milano il grande telero tiepolesco, che sovrasta ora la sala consigliare della Provincia in Palazzo Isimbardi, propone- va l’apoteosi del borghese Angelo Della Vecchia, circondato dalle virti e dalle arti che fanno precipitare nell’ oscurita i vizi, secondo una soluzione iconografica cara all’artista (1750). I! contrasto tra la luminosita del cielo e Poscurita dell’abisso si ritrova in varie realizzazioni del tema La Nobiltd e la Virta che sconfiggono I’Igno- ranza. L’argomento potrebbe leggersi come presagio dell’immi- nente trionfo dei Lumi, ma a nostro parere @ ancora opportuna la prudenza, bastandoci notare come le virti evocate dal Tiepolo coincidano spesso con i personaggi allegorici, protagonisti o com- parse nelle feste teatrali metastasiane. Nel Tempio dell’Eternita (1731) agivano l’Eternita appunto, la Gloria, la Virti, il Tempo; nel Sogno di Scipione (1735) si affrontavano la Costanza e la Fortuna; la Virta, la Verita ¢ il Merito erano evocati nel Parnaso accusato e difeso (1738), notoriamente apologia delle arti e spe- cialmente della poesia drammatica; nel nome di Teresa era siglata La Pace tra la Virtit e la Bellezza (1738); nell’Astrea placata (1739) si stabiliva un’equilibrata idea di giustizia dove il Rigore era temperato dalla Clemenza. Non é difficile trovare raccordi tra queste utopie, come le chiamava Joly, ¢ le immagini del Tempo che scopre la Veri- 50 «Lo scoglio pitt pericoloso di questo componimento ere lo scabro ed il severo, che per natura del soggetto avrebbero incontrato i delicati della morale, che inevitabilmente vi regna; onde ho dovuto chiamare in soccorso tutte le Veneri della poesia e le Grazie seduttrici della rappresentazione e dello spettacolo per dissimulatlo» (A Tommaso Filipponi, Vienna, 24 Novembre 1760, IV, 171), 3 Tiepolo svolse il tema in una tela conservata al museo Poldi Pezzoli di Milano, bozzetto letto anche come La Volonta e le Virth che vincono l’ignoranza, cfr, la scheda nel citato volume Tiepolo a Milano, pp. 42-43; altre tele al museo civico di Udine (1740-43); a Ca’ Rezzonico (1744-45). Un affresco git a Villa Cordellina, si trova ora al museo civico di Vicenza (1743); un altro in Palazzo Gallarati Scotti a Milano (1740 c.). Le realizzazioni conservate a Pasadena e in Palazzo Dolfin Marin risalirebbero al 1748. 32 La féte de cour [...] n'est finalement qu'une utopie, dont le caractére nostalgique est apparent dans d'autres ceuvres de Métastase. Car l’auteur sait bien que les solutions qu'il propose n’ont guére de chances de porter leurs fruits hors de la scéne, et [quel ses fétes [...] ne se donnent jamais pour autre chose que du théatre, le songe d’un univers réconcilié le temps de la représentation» (Joly, Les fétes cit., p. 228). Riteniamo che queste parole, sage nella loro sottile malin- conia, possano adattarsi ai ‘sogni’ tiepoleschi. 373 Exena Sava D1 Fence 14°, 0 le raffigurazioni della Virti che corona il Merito, dell’Inno- cenza, della Liberalita, dell’Onore, che il giovane Tiepolo aveva dipinto nella Villa Loschi a Biron. Potremmo concludere, rievocando un titolo che ci piacerebbe credere improntato al pitt felice ottimismo: La Nobilta ¢ la Virea accompagnano il Merito verso il tempio della Gloria (Ca’ Rezzoni- co, 1757); ma tanta fiducia deve essere opportunamente ridimen- sionata, come ci suggeriva Ezio Raimondi: Il Metastasio si sempre proposto di portare sulla scena un universo fittizio di favole, immagini e sogni, lucidamente riconosciuti come tali ma capaci di muovere la vita degli affetti in una sorta di limpida musica dell’immaginazione™. ‘SUMMARY This essay looks at the relationship between a dramatic literary text, its destination as a performance, and painting, in terms of the fifth canon of rhetoric: delivery. In light of tradition - often morally distrustful of figurative as well as theatrical representations - on the one hand, and of semiological studies on the other, examples of drama by Metastasio have been chosen for comparison with some paintings by Giambattista Tiepolo which seemed probable representations of the performances of opera setia for the court, An inescapable aspect of theatre is that it is ephemeral, but Tiepolo’s great celebratory works comply with the explicit and im: plicit, scenographic and scenic stage directions with which the dramatist Metastasio, well aware of theatrical requirements, annotated his texts. As the court poet prescribed, Tiepolo produced sumptuos settings for important public events and the expressions he gave his characters were familiar to the dramatist because they followed the facial mimicry and gesture recommended by the ancient masters of rhetoric. Furthermore, each of the Italian artists, among the best-known in eighteenth-century Europe, devised allegories which complied with the most perspicuous, emblematic and expressive intellectual and moral values universally shared in the last season of the Ancien Régime. % Tl tema fu svolto nella Villa Loschi (1734); in Ca’ Barbarigo (1744-45); a Villa Cordellina (1749); in Ca’ Rezzonico (1757). 34 E, Raimondi, If teatro allo specchio, in Id., Il concerto interrotto, Pisa, Pacini, 1979, pp. 23-44: 25. 374

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