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SEMINARIO «I TEOLOGI DEL CONCILIO VATICANO II» – Pontificia Università Lateranense maggio 2015

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SEMINARIO «I TEOLOGI DEL CONCILIO VATICANO II» – Pontificia Università Lateranense maggio 2015

Il contributo ecclesiologico di Umberto Betti alla costituzione Lumen gentium


Centro Vaticano II. Studi e Ricerche IX/2 (2015) 105-117

FERMINA ALVAREZ ALONSO

Si è detto che il concilio Vaticano II è stato fatto da grandi e importanti teologi – noti
all’epoca per la novità delle loro posizioni teologiche –; ma, capovolgendo l’affermazione, possiamo
dire che è stato proprio il concilio Vaticano II a rendere grandi alcuni teologi. È il caso del nostro
protagonista, il francescano Umberto Betti, chiamato a partecipare ai lavori conciliari non dall’inizio,
ma solo successivamente, divenendo un elemento chiave per alcune questioni e una figura di
riferimento nella teologia italiana del post-concilio. Occorre precisare che egli fu piuttosto uno
storico della teologia, che seppe mettere in evidenza il valore della Tradizione.

1. Note biografiche

Umberto Betti nacque a Pieve S. Stefano (Arezzo) il 7 marzo del 1922. Nel 1938 entrò
nell’Ordine dei Frati Minori della Toscana, e il 31 dicembre del 1943 fece la professione perpetua al
santuario della Verna. Fu ordinato sacerdote a Fiesole tra anni dopo, il 6 aprile del 1946.
Nel 1951 ottenne il Dottorato in Sacra Teologia presso il Pontificio Ateneo Antonianum e negli
anni 1953-54 fu uditore presso l’Università di Lovanio (Belgio). Nel 1954 divenne Professore
Ordinario di Teologia Dogmatica all’Antonianum, e nel 1961, Professore dell’Istituto Patristico
Medievale della Pontificia Università Lateranense. Il 3 ottobre dello stesso anno fu chiamato a
collaborare alla preparazione del Concilio Vaticano II come consultore della Commissione Teologica

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Preparatoria1. In quanto studioso dei concili, tra le sue principali pubblicazioni figurava il lavoro
sulla costituzione dommatica Pastor aeternus del Vaticano I2. Si tratta di un lavoro serio,
complessivo e dettagliato intorno alle vicende della costituzione, che il Betti presentò anche in
preparazione all’imminente Vaticano II, con lo scopo di mostrare l’evoluzione dei testi della
costituzione Pastor aeternus e la deduzione delle conclusioni dottrinali. A tale scopo si avvalse dalle
monografie scritte fino allora, dai diari del concilio dell’arcivescovo di Lucca, Giulio Arrigoni, OFM
e del cardinale Bilio, oltre a documenti inediti della Commissione teologica preparatoria conservati
nell’Archivio Segreto.
Conclusa la prima sessione conciliare, il 25 marzo del 1963, venne nominato perito da
Giovanni XXIII e, un anno dopo, Qualificatore della Sacra Congregazione del Sant'Uffizio. Dopo il
Vaticano II, nel 1967, fu annoverato tra i membri della Commissione per l'aggiornamento della
costituzione apostolica Deus scientiarum Dominus. Nel 1968 divenne consultore della
Congregazione per la Dottrina della Fede, e anni avanti, nel 1988, anche di quella per i Vescovi.
Negli anni 1966-69 fu Decano della Facoltà Teologia all'Antonianum, ove divenne Rettore dal
1975 al 1978. Infine, nel 1991 fu nominato Rettore della Pontificia Università Lateranense, carica che
occupò fino al 1995. Fu elevato alla dignità cardinalizia da papa Benedetto XVI nel concistoro del 24
novembre 2007; morì a Fiesole, il 1° aprile del 2009, all’età di 87 anni.
La principale fonte per conoscere da vicino il contributo del Betti al Vaticano II è costituita dal
suo Diario, scritto dal 1962 al 1965 durante la celebrazione dell’assise conciliare, e pubblicato
insieme al carteggio inedito di corrispondenza che il cardinale Florit, arcivescovo di Firenze, scrisse a
Betti dal 1962 al 19783. Nell’appendice del libro vengono riportati alcuni dei suoi articoli pubblicati
su «L'Osservatore Romano», elaborati su richiesta di papa Paolo VI con nota telegrafica autografa al
Sostituto della Segreteria di Stato: «23.8.69: P. Betti e il Vaticano I»; con essa il papa intendeva dire
che egli scrivesse sulle prerogative del Romano Pontefice definite dal Vaticano I. Si tratta
dell’articolo Il Primato, apparso nel numero dell’1-2 dicembre 1969, e dell’articolo Infallibilità del
Romano Pontefice e infallibilità della Chiesa, del 9-10 febbraio 1970; in appendice al Diario si trova
anche la relazione ufficiale sul proemio e i primi due capitoli della Dei Verbum letta dal cardinale
Florit davanti all'assemblea conciliare il 29 ottobre 1965, la cui redazione fu dovuta in grande parte a
padre Betti. Le note personali sono la testimonianza della vitalità e della fatica del lavoro nell'aula
conciliare e nelle sottocommissioni in cui intervenne per la redazione delle due principali
costituzioni, Lumen gentium e Dei Verbum. Oltre alle notizie ivi riportate, sono state consultate

1
La proposta fu presentata direttamente dal Ministro Generale al papa Giovanni XXIII nell’ambito di un’udienza il 3
settembre del 1961, cfr. ARCHIVIO SEGRETO VATICANO (=ASV), Conc. Vat. II, b. 371, fasc. 1.
2
U. BETTI, La Costituzione dogmatica “Pastor aeternus” del Concilio Vaticano I, Roma 1961.
3
U. BETTI, Diario del Concilio 11 ottobre 1962-Natale 1978, EDB, Bologna 2003, 282 pp.

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alcune carte conservate nel Fondo Concilio Vaticano II dell’Archivio Segreto, e altri scritti sulla
collegialità e l’episcopato, in particolare, il libro La dottrina sull’episcopato del Concilio Vaticano II,
pubblicato nel 1984, ove Betti percorre i lavori del capitolo III della Lumen gentium, con l’intenzione
di colmare la lacuna lasciata dall’omonimo schema del Vaticano I, ridotto poi alle questioni del
Primato del Romano Pontefice e dell’infallibilità del suo magistero.
Le pagine del Diario si aprono con la notizia di un incontro che è all’origine della relazione
Florit-Betti. Infatti, l’11 ottobre del 1962 egli scrive: «Giovanni XXIII inaugura il Concilio Vaticano
II. Io sono assente. Da Consultore della Commissione Teologica preparatoria, sebbene soltanto dal 3
ottobre 1961, ero stato, tra l’altro, redattore del cap. V dello schema De Ecclesia, sui religiosi. Non
sono però annoverato tra i Periti del Concilio. Mi dicono a causa del “numero chiuso”. Ma poco
dopo, con mia sorpresa, sono convocato da mons. Ermenegildo Florit, arcivescovo di Firenze, nella
sua residenza romana presso le suore di Santa Marta […]. Non lo conosco, né so chi gli abbia fatto il
mio nome. Senza tanti preamboli, mi chiede di accettare di essere suo teologo personale e mi invita a
prestare il giuramento de secreto servando»4.
La collaborazione tra Florit e Betti durante il periodo conciliare sarà costante e intensa sebbene
non sempre facile, come attesta il Diario. I lavori conciliari di Betti si svilupparono su tre ambiti:
quello dei Religiosi, durante la tappa preparatoria e anche dopo, collaborando dietro le quinte in
modo puntuale su richiesta di alcuni Padri. Poi, come perito di Florit durante il concilio, intervenne
direttamente nell’elaborazione della costituzione Dei Verbum sulla Divina Rivelazione; infine, il
terzo ambito, sul quale mi soffermerò, fu il suo contributo all’elaborazione della costituzione sulla
Chiesa.

2. Il contributo ecclesiologico allo schema sulla Chiesa

Com’é noto, la Commissione Teologica preparatoria aveva ricevuto tra i suoi compiti iniziali
quello di completare la costituzione sulla Chiesa del Concilio Vaticano I, facendo speciale
riferimento al Corpo Mistico, alla dottrina cattolica sull’episcopato e a quella sul laicato5. Anche se
durante la tappa preparatoria Betti collaborò nello schema iniziale De Ecclesia con la stesura del

4
U. BETTI, Diario del Concilio, cit., p. 15. Quando venne nominato perito, il 25 marzo 1963, scrisse una lettera dandone
comunicazione al cardinale Ottaviani e offrendo la sua disponibilità a collaborare nella Commissione Teologica: «Dato
che nella fase preparatoria del Concilio ero consultore della Commissione Teologica, mi è dato pensare che anche in
seguito mi sarà dato di prestare la mia pur modestissima opera nella Commissione tanto sapientemente presieduta
dall’Eminenza Vostra Reverendissima. Stimo quindi mio primo dovere dare attestato della mia più profonda gratitudine e
assoluta fedeltà, pronto ad ogni venerata direttiva che la medesima Eminenza Vostra vorrà benignarsi d’impartire», cf.
ASV, Conc. Vat. II, b. 759, fasc. 246.

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capitolo sui Religiosi, i suoi lavori, prima come consultore e dopo come perito conciliare, si
focalizzarono piuttosto sulle tematiche della collegialità e del primato, grazie alla conoscenza che
aveva su dette questioni nel Vaticano I. A nessuno sfugge con quanta cura e impegno il testo sulla
costituzione gerarchica della Chiesa fu sottoposto ad esame attento e a minuziosa revisione fino alla
definitiva approvazione, nel novembre del 1964. Seguendo la traccia delle diversi redazioni, proverò
a presentare l’apporto specifico del Betti. A tale scopo, aiuterà individuare quattro tappe come
riferimento cronologico nell’iter dello schema De Ecclesia:
1) tappa preparatoria prima della discussione conciliare in cui furono inviate per scritto le
osservazioni dei padri (giugno 1961- settembre 1962);
2) prima sessione conciliare e periodo di intersessione in cui furono fatte osservazioni orali o
scritte e rielaborato un nuovo testo (settembre 1962 – marzo 1963);
3) seconda sessione conciliare con la votazione dei quattro quesiti sui punti neuralgici della
dottrina sull’episcopato (30 ottobre 1963) e posteriore emendamento del testo ad opera delle
sottocommissioni (ottobre 1963-giugno 1964);
4) infine, deliberazioni della Plenaria della Commissione dottrinale nelle sessioni di marzo e
giugno del 1964.

2.1 Tappa preparatoria prima della discussione conciliare (giugno 1961- settembre 1962)

Fin dalla tappa preparatoria gli argomenti da elaborare in forma di capitoli o di parte di capitoli,
erano orientati a delineare la specificità dell’episcopato seguendo il seguente ordine logico:

l’episcopato come sacramento distinto dal presbiterato;


la potestà dei vescovi sia rispetto alla propria diocesi che alla Chiesa universale;
il magistero ecclesiastico;
il diritto e il dovere della Chiesa di predicare a tutti il Vangelo6.

Furono dunque costituite varie sottocommissioni, una per ciascuno dei punti segnalati. Betti, insieme
a Colombo, intervenne in quella sull’episcopato e sul magistero ecclesiastico.
Il testo sul magistero ecclesiastico fu discusso dalla sottocommissione nei mesi da settembre
1961 a gennaio 1962 in cui ebbe l’assetto definitivo. Il punto concernente il soggetto del magistero

5
ASV, Conc. Vat. II, b. 371, fasc. 1/E.
6
U. BETTI, La dottrina sull'episcopato del Concilio Vaticano II. Il capitolo III della Costituzione dommatica “Lumen
gentium”, Roma 1984, p. 26.

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autentico precisava che esso era posseduto anche dai vescovi in comunione con il pontefice;
singolarmente, in forza della missione apostolica, erano maestri autentici per i loro fedeli, e testi della
verità evangelica per tutta la Chiesa. Quando poi si adunavano in concilio, esercitavano insieme al
pontefice il supremo magistero, e i decreti da loro emessi godevano della stessa autorità delle
definizioni del papa. Oltre che in sede di concilio ecumenico, i vescovi godevano d’infallibilità anche
quando, ciascuno nella propria diocesi, concordava con il pontefice nell’insegnare la stessa dottrina
riguardante la fede o i costumi7. Betti riteneva che l'infallibilità dei vescovi avesse un'origine divina,
e che essa si comunicasse al collegio episcopale, incluso il papa. In questo caso, il papa era
compartecipe della sua infallibilità con i suoi fratelli nell'episcopato, e gli atti infallibili che
provenivano da esso erano collegiali, non solo nella forma, ma anche per natura8.
In merito al magistero dei vescovi, Betti aveva sollevato la questione se il fondamento remoto
fosse la consacrazione sacramentale o meno: egli negava quest’asserto perché, di fatto, il magistero
era esercitato anche prima e indipendentemente dalla consacrazione episcopale. La questione era
connessa con quella dei membri del concilio ecumenico: secondo il codice di diritto canonico del
19179 dovevano essere invitati al concilio anche i vescovi eletti non consacrati, e perfino i prelati non
vescovi. Secondo Betti il testo sul magistero doveva essere completato con una trattazione ex
professo sul concilio ecumenico, sulla sua natura, sui suoi membri, sulla sua autorità dottrinale e
disciplinare10, per poter comprendere meglio tutta la portata della sua dottrina come autentico
magistero della Chiesa a partire dalla potestà collegiale che in esso veniva esercitata
universalmente11.
Il testo venne esaminato dalla commissione Centrale il 19 giugno 1962, la quale introdusse due
modifiche importanti: una premessa, che affermava l’unità e l’indivisibilità del magistero istituito da
Cristo, che viene esercitato da più persone; una ulteriore spiegazione dell’infallibilità del papa,
definito in nome di Cristo e anche come capo del collegio dei vescovi, all’interno del quale egli
rimane e di cui riflette le convinzioni. Per quanto riguarda il magistero dei vescovi, si affermava che
esso era fondato sulla missione canonica e sulla consacrazione sacramentale, ma veniva anche messo
in maggior evidenza che in concilio ecumenico tale magistero era esercitato in forma propriamente
collegiale12, e non per ogni singolo vescovo membro.

7
U. BETTI, La dottrina sull'episcopato, cit., p. 39.
8
Cfr. F. ÁLVAREZ ALONSO, La posizione del Laterano sui problemi ecclesiologici, in PH. CHENAUX (a cura di),
L’Università del Laterano e la preparazione del Concilio Vaticano II. Atti del Convegno Internazionale di Studi (Città
del Vaticano, 27 gennaio 2000), Mursia, Roma 2001, p. 78.
9
CIC 1917, can. 223 attuale CIC 339, §2.
10
U. BETTI, La dottrina sull’episcopato, cit., p. 40.
11
ASV, Conc. Vat. II, b. 748, fasc. 210.
12
U. BETTI, La dottrina sull’episcopato, cit., p. 43.

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2.2 Prima sessione conciliare e periodo intersessione (ottobre 1962 – marzo 1963)

È risaputo quanto il testo iniziale sulla Chiesa preparato dalla commissione Teologica abbia
suscitato un aspro scontro in aula; quando la prima sessione conciliare stava per concludersi, il 6
dicembre del 1962, papa Giovanni XXIII decise di ritirare lo schema primitivo affinché fosse
rielaborato sotto la vigilanza di una istituenda commissione di Coordinamento, tenendo conto delle
numerose proposte fate dai padri conciliari. Alla fine del 1962, Betti scriveva sul suo Diario: «A
Firenze, invitato da Mons. Florit. Si fanno congetture sull’avvenire dello Schema De Ecclesia.
Nonostante la recente disavventura, egli pensa che possa essere salvato se sarà meglio strutturato. In
vista di tale miglioramento, mi consegna un foglio […] nel quale sono indicate alcune osservazioni
generali: lo schema è quasi un trattato, dovrebbe essere abbreviato, essere più pastorale e positivo.
Terrò presente la cosa. Ma gli dico la mia convinzione: se lo schema non sarà addirittura buttato a
mare, dovrà tuttavia esser vestito d’altri indumenti, come diceva del testo sull’infallibilità il vescovo
Losana di Biella al Vaticano I, come già sta accadendo per lo schema sulla Rivelazione»13.
Nell'intersessione lo schema sulla Chiesa ebbi dunque essere riscritto ma alla luce di direttive e
orientamenti nuovi. Il Segretario di Stato cardinale Cicognani ordinò inizialmente e per iscritto di
lavorare solo con i materiali esistenti, ma da subito il gruppo di lavoro si rivolse agli schemi
alternativi circolati in aula e ai margini dell'aula. Il testo elaborato dal belga Gérard Philips fu scelto
come base per la nuova redazione: la sua premessa era la vita intratrinitaria, da cui faceva discendere
lo sviluppo ecclesiologico.
Il 25 di marzo 1963 Betti venne nominato perito conciliare e, subito dopo, Florit lo incaricò di
«preparare al più presto qualcosa sui primi due capitoli dello schema Philips sulla Chiesa»14.

2.3 Seconda sessione conciliare ed emendamento del testo (ottobre 1963-giugno 1964)

Aperta la seconda sessione conciliare, il 2 ottobre del 1963, la commissione Dottrinale creò una
sottocommissione generale incaricata di coordinare il lavoro di revisione dello schema sulla Chiesa,
appena ne fu terminata la discussione. Essa fu presieduta dal cardinale Browne; Florit fu uno dei
quattro membri, e Betti entrò a farne parte su richiesta di Florit.
Il 28 ottobre è costituita la V sottocommissione presieduta da Parente, incaricata di rivedere i
numeri 16-21 De collegio et ministeriis Episcoporum del nuovo schema sulla Chiesa; «la più

13
U. BETTI, Diario del Concilio, cit., p. 15.

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numerosa e la più impegnata», al dire di Betti, nella quale egli prese parte con funzione di segretario
e di relatore generale15. Essa aveva il compito di esaminare le osservazioni inviate dai padri per
proporre una riformulazione del testo. Il lavoro fu complesso e venne prolungato per dieci adunanze,
dal novembre 1963 al gennaio 196416. Il 7 novembre 1963 fu celebrata la prima. Insieme a Colombo,
fu incaricato della stesura del n. 19, De Episcoporum munere docendi, sul magistero infallibile; Betti
sul magistero infallibile in specie, e Colombo sul Magistero in genere17. Dopo una settimana, il 15
novembre 1963, terminò la elazione De animadversionibus Patrum circa doctrinam de infallibilitate,
articolata in quattro punti: 1) infallibilità dei vescovi dispersi nel mondo; 2) infallibilità dei vescovi
nel concilio ecumenico; 3) infallibilità del papa; 4) l’infallibilità come oggetto nel papa e nei vescovi.
Il 23 gennaio 1964 si radunò di nuovo la sottocommissione per esaminare la relazione del testo.
Betti scrisse a proposito:
«Io sono relatore per il Magistero infallibile in particolare. In merito al magistero dei vescovi dispersi
nel mondo, a indicare la loro unione necessaria perché il loro insegnamento sia infallibile, chiedo che
non si dica collegialem nexum servantes, per non dirimere la questione se, nel caso, si tratti di atto
propriamente collegiale. Animata discussione con Rahner che difende quell’espressione. Su proposta di
Parente è deciso di dire più qualunquisticamente communionis nexum servantes. Quanto all’infallibilità
dei vescovi adunati in Concilio ecumenico, Thils si dice sorpreso del testo da me proposto, che non
sarebbe da aspettarsi da uno specialista del Vaticano I. Gli rispondo che, a parte la qualifica di
specialista che è una parola grossa, quel testo l’ho proposto proprio per la mia conoscenza di quel
Concilio. Ma non demorde: esibisce un testo suo. Interviene Philips, con una certa malizia alla quale la
voce camusa dava particolare risalto: disse che il testo di Thils differiva dal mio soltanto per il latino e
che questo non era certo migliore. Discussione anche per il testo relativo al magistero infallibile del
Romano Pontefice. Mi è chiesto di perfezionarlo, in modo che sia evitata ogni equivoca interpretazione
del Vaticano I, che dice le definizioni pontificie sono irriformabili ex sese, non autem ex consensu
Ecclesiae»18.

Allora Betti elaborò una relazione sul magistero infallibile che dava una spiegazione più
pertinente della formula del Vaticano I procedendo gradualmente nell’interpretazione19. Prima di
tutto era indicata la ragione formale di tale irreformabilità, cioè l’assistenza dello Spirito Santo,
promessa da Cristo singolarmente al pontefice nella persona di Pietro. Di conseguenza, le definizioni
papali non avevano bisogno dell’approvazione di nessun altro, né sottostavano al giudizio di nessuno,
neppure a quello del papa stesso, nel senso che egli non può dare una sentenza differente dal
contenuto di definizioni precedenti. Infine, l’infallibilità personale del papa era messa in relazione a

14
Ibidem, p. 17.
15
Ne erano membri anche Florit, Schroffer, Volk e, in seguito, Henriquez e Heuschen. I periti erano, oltre a Betti,
Colombo, Dhanis, Maccarrone, Rahner, Salaverri, Thils; ai quali si aggiunsero poco dopo D’Ercole, Gagnebet,
Lambruschini, Masi, Moeller, Ratzinger, Schauf, Semmelroth e Smulders. Cf. U. BETTI, Diario del Concilio, cit., p. 23.
16
L’incarico di raggruppare le osservazioni dei padri viene assegnato come segue: De natura Collegii Episcoporum et
relatione eius cum Primatu (N. 16) a Maccarrone, Rahner e Salaverri; De particularibus circa collegialitatem (N. 16) a
Thils e Dhanis; De relationibus Episcoporum in Collegio (N. 17) a Ratzinger; ed infine De infallibilitate (N. 19) a Betti e
Colombo. Cf. ASV, Conc. Vat. II, b. 767, fascc. 309 e 310.
17
ASV, Conc. Vat. II, b. 767, fasc. 310.
18
U. BETTI, Diario del Concilio, cit., p. 30.
19
U. BETTI, La dottrina sull’episcopato, cit., p. 192.

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quella di tutta la Chiesa. Egli infatti si definisce non come persona privata, ma come supremo
maestro della Chiesa universale che, in quanto tale, necessariamente rappresenta; e non per
delegazione da parte di essa, ma in forza del proprio stesso ufficio. Da questa relazione con la Chiesa
universale appare inevitabile che la stessa infallibilità, posseduta dal papa singolarmente, era propria
anche dell’intero corpo episcopale, e che le definizioni fatte dal medesimo godono della stessa
identica irreformabilità di quelle papali. Questi due soggetti, papato ed episcopato, non si
comunicavano reciprocamente l’infallibilità, ad entrambi essa proveniva direttamente da Dio, anche
se in modo differente: al papa in quanto singola persona, ai vescovi solo in quanto collegio che, per
essere tale, doveva necessariamente includere come capo il romano pontefice20. In questo caso, il
Papa rendeva i suoi fratelli nell’episcopato compartecipi della sua infallibilità, e i suoi atti infallibili
erano collegiali, non solo nella forma ma anche nella loro stessa natura. Era quello che avveniva nei
concili ecumenici, dove il papa rinunziava a definire da solo, perché riteneva più opportuno fare
appello all’infallibilità collegiale della Chiesa docente, e a ricorrere ad una definizione conciliare, sia
per dare maggiore solennità alla promulgazione stessa, sia perché la collaborazione di tutto
l’episcopato dava un apporto decisivo alla comprensione del deposito rivelato ed alla ricerca delle
formule più adatte per esprimerlo21. Inoltre, alle definizioni papali ed episcopali era assicurato, per
necessità intrinseca, l’assenso della Chiesa. Infatti, lo stesso Spirito Santo assiste, a suo modo, tanto il
papa da solo e l’intero corpo episcopale quanto tutto il Popolo di Dio. Egli perciò non può far
emettere definizioni infallibili e irriformabili alla Chiesa docente che non siano accettate dalla Chiesa
discente22.
Buono studioso del concilio Vaticano I, Betti spiegò come la formula adottata dall’assemblea
conciliare riconosceva un’unica infallibilità alla Chiesa con duplice soggetto, il pontefice e il
collegio. «L’infallibilità del Papa e l’infallibilità della Chiesa coincidono completamente: la prima si
verifica soltanto nel caso di una definizione vera e propria, cioè nel magistero solenne; quella della
Chiesa, invece, si manifesta sia nel magistero solenne in Concilio ecumenico, sia nel magistero
ordinario universale»23.
Anche nella stessa adunanza della sottocommissione V del 23 gennaio 1964, in merito al n. 17
che trattava dei due requisiti per diventare membro del collegio episcopale, oltre alla consacrazione
sacramentale venne precisato il testo sulla comunione interecclesiale delle chiese pienamente

20
F. ÁLVAREZ ALONSO, La posizione del Laterano…, cit., p. 73.
21
Ibidem, p. 78.
22
U. BETTI, La dottrina sull’episcopato, cit., pp. 254-255; ASV, Conc. Vat II, b. 775, fasc. 331/a.
23
Cfr. la costituzione dommatica Dei Filius, cap. III: DzS 3011; U. BETTI, Infallibilità del Romano Pontefice e
infallibilità della Chiesa, in «L’Osservatore Romano», 9-10 febbraio 1970: ID., Diario del Concilio, cit., p. 262.

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costituite, che era quindi anche comunione interepiscopale, in riferimento intenzionale ai patriarcati
orientali24.

2.4 Plenarie della commissione Dottrinale (marzo-giugno 1964)

Dal 2 al 14 marzo 1964 si radunò di nuovo la plenaria della commissione Dottrinale per
rivedere lo schema sulla Chiesa approntato dalle varie sottocommissioni. Betti fu il relatore dei nn.
22 al 27, riguardanti il Collegio e il ministero dei vescovi, secondo quanto era emerso dal lavoro della
sottocommissione V25. L’emendamento da lui proposto al n. 25, che affermava e completava la
nozione dell’infallibilità del papa e del collegio episcopale, si collocava in continuità con quanto
affermato dal Vaticano I26.
Della sua competenza come relatore generale di questa sottocommissione dà prova la
testimonianza di Carlo Colombo nelle sue Note del 2 luglio 1964: «lo storico-teologo al quale
dobbiamo fino ad oggi lo studio analitico più completo che possediamo sull'origine e tutte le fasi di
sviluppo della costituzione Pastor aeternus [...]. Egli era il segretario della nostra sottocommissione
ed interveniva nelle discussioni che si facevano in sottocommissione quando lo riteneva necessario.

24
U. BETTI, La dottrina sull’episcopato…, cit., p. 193; e ID., Diario del Concilio, cit., p. 29.
25
U. BETTI, Diario del Concilio, cit., p. 32.
26
Di seguito si riporta il commento di Betti: «Verba “in definitionibus suis… esse voluit” (p. 29 lin. 37-40) aliter
ordinantur et notabiliter complentur, ut haec duo indubitanter affirmentur:
a) Infallibilitas qua Christus Ecclesiam Instructam esse voluit prorsus identificatur cum infallibilitate Ecclesiae
docentis; et quidem: sive totius Episcopatus, sive singulariter Romani Pontificis.
b) Obiectum infallibilitatis Ecclesiae, ita explicatae, eamdem habet extensionem ac depositum revelatum; ideoque
extenditur ad ea omnia, et ad ea tantum, quae vel directe ad ipsum depositum revelatum spectant, vel quae ad
eiusdem depositi sanctam custodiam et fidelem expositionem requiruntur, ut habetur in Conc. Vat. I: DENZ.
1836, ubi de infallibilitate Romani Pontificis [cfr. relatio Betti, p. 3-4].
O) Verba “Qua ipse quoque… vel tuetur” […] post attentum et serenum Subcommissionis examen, fere ex novo excusam
sunt, his criteriis prae oculis habitis, quoque praepositionibus multorum Patrum respondent (cf. relatio Betti, p. 4-6);
videlicet:
a) de infallibiitate Romani Pontificis, quae iam in Conc. Vat I claram definitinem dogmaticam obtigerat, agitur
tantummodo iusta praeoccupatione ducti dandi de eadem congruam explicationem, praesertim quod attinet
affirmationem dogmaticam, qua creditur definitiones Romani Pontificis irreformabiles esse ex sese, et non ex
consensu Ecclesiae;
b) hae autem congrua explicatio gradatim exhibetur: primo dicitur quaenam sit ratio formalis irreformabilitatis
huismodi definitionum, videlicet assistentia Spiritus Sancti singularite Romano Pontifici in beato Petro promissa;
secundo, duae consequentiae, non adaequate distinctae, illius irreformabilitatis numerantur, quibus fit ut dictae
definitiones nulla aliorum appro batione indigeant, nec ullam ad aliud iudicium (nec quidem ad iudicium ipsius
Romani Pontificis) appellationem patiantur;
c) exclusa necessitate iuridica consensus Ecclesiae, affirmatur logica seu naturalis necessitas assensus ipsius
Ecclesiae, affirmatur logica seu naturalis necessitas assensus ipsius Ecclesiae definitionibus Romani Pontificis; quae
quidem necessitas adscribitur actioni Spiritus Sancti, qui, eadem assistentia qua definitiones Romani Pontificis ab
errore immunes servantur, id facit ut eaedem definitines, utpote veritatem fidei catholicae exprimentes, ab Ecclesia
necessario acceptentur;
d) hoc autem evenit ex eo quod Romanus Pontifex, quando ex cathedra loquitur, non ut persona privata sententiam
profert, sed tamquam magister supremus Ecclesiae docet, ratione cuius charisma infallibilitatis ipsius Ecclesiae
indissolubiliter ostenditur coniunctum et, consequenter, Ecclesia ipsi Capiti suo infallibiliter adhaerens creditur». ASV,
Conc. Vat. II, b. 775, fasc. 335.

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SEMINARIO «I TEOLOGI DEL CONCILIO VATICANO II» – Pontificia Università Lateranense maggio 2015

Ogni uomo è fallibile, tanto più i periti, ma per quanto riguarda competenza e serietà di apporto, non
v'è possibilità di discussione»27.
Ancora si doveva fare un piccolo passo. Nel mese di giugno 1964, per volontà del papa, la
commissione Teologica esaminò il capitolo III dello schema De Ecclesia. Furono presi in
considerazione gli emendamenti suggeriti, e tra questi, quello al n. 22 sulla suprema potestà del
collegio episcopale, con un’aggiunta che poteva pregiudicare, in qualche modo, il possesso
permanente della suprema potestà, quasi che questa venisse costituita nel momento del suo esercizio
e con il previo consentimento del capo del collegio28. C’erano discrepanze sulla questione del
collegio episcopale soggetto permanente oppure soggetto solo potenziale della suprema potestà. Alla
proposta di Maccarrone che riteneva il collegio episcopale soggetto della suprema potestà solo cum
collegialiter agit, Betti rispose che già al Vaticano I si era andati più in là: nella relazione Zinelli la
suprema potestà fu riconosciuta sia al papa da solo, sia all’intero episcopato tanto in concilio come
fuori; e anche Pio XII, nel discorso alla Rota del 2 ottobre 1945, riconobbe che Cristo aveva
trasmesso la sua missione ad un «collegio» di Apostoli29. Finalmente Pietro Parente, che era Relatore
dello schema, propose una soluzione che, lasciando immutata la sostanza del testo, attribuiva al
collegio la suprema potestà, e ne condizionava l’esercizio alla partecipazione attiva del papa.
Quando Parente presentò la sua relazione alla commissione di Coordinamento per i nn. 22-27
dello schema De Ecclesia, fece un’aggiunta orale al testo alludendo a Betti e al suo studio sul
Vaticano I30, spiegando che la suprema potestà del collegio episcopale non era in collisione con il
primato papale. Allo stesso Vaticano I non era estranea la sentenza secondo la quale i vescovi, uniti
al papa, erano compartecipi della piena e suprema potestà che il papa possiede da solo. Ora, nel testo
che veniva proposto, si affermava chiaramente e ripetutamente che quella potestà, il papa, oltre che
possederla, può sempre liberamente esercitarla; mentre per l’esercizio collegiale si richiede il suo
consenso. Egli è vero capo del collegio, e quindi suo elemento determinante tanto sul piano
ontologico, quanto su quello operativo. Secondo lui, bastava questo per assicurare che il primato
potesse armonicamente comporsi con la collegialità, senza pericolo di nessuna diarchia31.

27
U. BETTI, Diario del Concilio, cit., p. 50.
28
Ibidem,p. 48.
29
Acta Apostolicae Sedis (=AAS) 1945, pp. 259 e segg.
30
U. BETTI, La Costituzione dommatica “Pastor aeternus” del Concilio Vaticano I, Roma 1961; Acta Synodalia (=AS),
pars III, vol. 2, p. 211.
31
Non si trattava di dirimere la questione se il soggetto della suprema potestà fosse unico o duplice. Ammettendo che i
soggetti fossero due – distinti solo inadeguatamente, perché nel collegio è sempre compreso il capo – rimane che unica è
la potestà, cfr. U. BETTI, La dottrina sull’episcopato, cit., p. 281. Nel cap. IV del testo primitivo dello schema sulla
Chiesa del Vaticano I, De ecclesiastica hierarchia, si trovava un’affermazione che considerava i vescovi come formanti
un tutto, insieme al pontefice loro capo. Un’affermazione importante che dimostra come al Vaticano I l’idea della
collegialità episcopale non fosse assente del tutto. Questo testo proposto dal Betti sarà ripreso, quasi alla lettera, nel n. 22
dello schema, ibidem, p. 12.

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Nella sua relazione finale, Parente si appellò alla tradizione per esprimere che questa dottrina,
così intesa, era presente già nel concilio di Trento e continuò ad esser sostenuta nel periodo
posteriore32. Essa rappresenta la sopravvivenza, tra non pochi teologi, di una visione teologica
integrale, debilitata dalla visione giuridica introdotta nel secolo XI, quando la Chiesa incominciò ad
esser considerata più come una società umana che come realtà anche divina. Il testo proposto non si
fondava dunque su opinioni nuove, ma sulle pure fonti dell’ecclesiologia patristica: più aderente alla
dottrina paolina del Corpo mistico, più conforme al pensiero di Cristo. Nell’organismo ecclesiastico
nessuno era o viveva indipendentemente dall’altro: Cristo non era avulso dalla Chiesa, né Pietro da
Cristo e dal collegio episcopale, né questo da Pietro. Tutti formavano una mirabile unità ontologica e
operativa, umana e divina insieme. In questa prospettiva, la collegialità episcopale era perfettamente
al proprio posto33.
Negli ultimi mesi in cui lo schema sulla Chiesa navigava in mezzo a onde turbolente, se non
decisivo, il contributo di Betti fu rilevante per assentare il principio del rapporto Primato-collegialità
episcopale. Nel suo appunto Osservazioni sulla collegialità episcopale egli afferma che, anche se non
ci fosse nessun altro argomento in favore della dottrina dello schema, basterebbe la definizione del
Vaticano I sull'infallibilità per dare ad essa sicuro fondamento dogmatico34.
Il Vaticano II ha in tutto riconfermato il primato di Pietro come definito dalla Pastor aeternus
del Vaticano I. Lo ha però considerato più espressamente come realtà interiore al collegio apostolico,
con due affermazioni: Cristo istituì gli Apostoli come collegio35 con a capo Pietro; nell’ambito di tale
collegio, depositario in solido della suprema potestà ecclesiastica, Pietro possiede la potestà suprema
anche personalmente. Nell’articolo su Il primato pubblicato dopo il Concilio, Betti spiega che «il
Vaticano II ha cercato di penetrare nella coscienza che Pietro ebbe del suo primato, e ha dato ad essa
appropriata espressione dottrinale. Più del Vaticano I, lo ha considerato come una realtà interiore al
collegio apostolico; e non solo per sostenerlo, ma anche per esserne sostenuto. Anche qui, alla

32
A proposito della collegialità, riteneva che «questa era sì un valore da affermare, ma la condizione di membri del
collegio apostolico, comune ai singoli Apostoli ed allo stesso Pietro, non può far dimenticare che il fondamento e capo
della Chiesa è Pietro, che gode di una condizione tutta personale, ed egli è al vertice della potestas tanto all’essere quanto
all’operare. Infine, ribadisce la figura di Pietro: egli è al di sopra degli Apostoli singolarmente e collegialmente
considerati; il suo primato è veramente “giurisdizionale”, pertanto l’appartenenza del Papa al collegio nulla toglie al
carattere personale del suo primato, e tutto il collegio è a lui sottomesso. La sacramentalità dell’episcopato rende apti i
vescovi ed il loro stesso collegio a sostenere la Chiesa, ed il Papa traduce in atto la loro suddetta attitudine», F. ÁLVAREZ
ALONSO, Recensione su PIETRO PARENTE, Proposte, interventi e osservazioni nel Concilio Vaticano II, «Centro Vaticano
II. Studi e Ricerche» 1 (2013), 124. Cf. AS, pars III, vol. 2, p. 211.
33
BETTI, La dottrina sull’episcopato, cit., pp. 281-282.
34
F. ÁLVAREZ ALONSO, Umberto Betti: Diario del Concilio, cit., p. 190.
35
Betti spiega il significato del termine sulla base scritturistica. Il testo più indicativo è Mc 3,14 e 16 in greco, ove la
parola «costituì» ha un significato costitutivo, creativo; esso non indica quindi la disposizione di Cristo che dodici
stessero con lui, ma la costituzione di dodici perché stessero con lui. La consapevolezza di essere un tutt’uno si vede
anche quando Gesù li istruisce insieme per inviarli a predicare il Regno di Dio (Cf. Mt 10, 1-42), ed assegna loro la stessa
funzione escatologica di giudici alla fine dei tempi (cf. Mt. 19,28) e successivamente confermati nell’unica missione
dall’esperienza collegiale della discesa dello Spirito Santo (cf. Atti 2, 1-5 e 14), U. BETTI, Diario del Concilio, cit., p. 257.

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teologia troppo esclusivista dell’aut-aut ha preferito la teologia dell’et che unisce senza confondere».
Così per esprimere la costituzione gerarchica della Chiesa si deve dire Pietro e gli Apostoli, in modo
da armonizzare a vicenda «i due aspetti dell’unica investitura divina conferita a Pietro: quello di
essere la pietra sulla quale è edificata la Chiesa (Mt 16,18), che lo mette al di sopra degli altri; e
quello di essere il confermatore dei suoi fratelli (Lc 22,32), che reclama la sua presenza in mezzo a
loro»36.

36
Ibidem, p. 259.

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