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Carlos Petit, Culto e cultura della storiografia giuridica in Italia, in Il Contributo italiano alla storia
del Pensiero – Diritto (2012), risorsa disponibile on line:
http://www.treccani.it/enciclopedia/culto-e-cultura-della-storiografia-giuridica-in-
italia_(Il_Contributo_italiano_alla_storia_del_Pensiero:_Diritto)/
CARTOGRAFIA
http://www.itinerarimedievali.unipr.it/v2/www/main/html/cartine.htm
Canoni conciliari
a) Concilio di Nicea (325)
4. Sull’ordinazione dei vescovi. Si abbia la massima cura che un vescovo sia istituito da tutti i
vescovi della provincia. Ma se ciò fosse difficile o per sopravvenute difficoltà, o per la distanza,
almeno tre, radunandosi nello stesso luogo, e non senza aver avuto prima per iscritto il senso degli
assenti, celebrino la consacrazione. La conferma di quanto è stato compiuto è riservata in ciascuna
provincia al vescovo metropolita.
5. Sugli scomunicati. Quanto agli scomunicati, sia ecclesiastici che laici, la sentenza dei vescovi di
ciascuna provincia abbia forza di legge e sia rispettata la norma secondo la quale chi è stato cacciato
da alcuni non sia accolto da altri. È necessario tuttavia assicurarsi che questi non siano stati
allontanati dalla comunità solo per grettezza d’animo o per rivalità del vescovo o per altro
sentimento di odio. Perché poi questo punto abbia la dovuta considerazione, è sembrato bene che in
ogni provincia, due volte all’anno si tengano dei sinodi, affinché tutti i vescovi della stessa
provincia riuniti al medesimo scopo discutano questi problemi, e così sia chiaro a tutti i vescovi che
quelli che hanno mancato in modo evidente contro il proprio vescovo sono stati opportunamente
scomunicati, fino a che l’assemblea dei vescovi non ritenga di mostrare verso costoro una più
umana comprensione. I sinodi siano celebrati uno prima della Quaresima perché, superato ogni
dissenso, possa esser offerto a Dio un dono purissimo; l’altro in autunno.
6. Sul primato dei vescovi. In Egitto, nella Libia e nella Pentapoli siano mantenute le antiche
consuetudini per cui il vescovo di Alessandria abbia autorità su tutte queste province; anche al
vescovo di Roma infatti è riconosciuta una simile autorità. Ugualmente ad Antiochia e nelle altre
province siano conservati alle chiese gli antichi privilegi. Inoltre sia chiaro che, se qualcuno è fatto
vescovo senza il consenso del metropolita, questo grande sinodo stabilisce che costui non debba
esser vescovo. Qualora poi due o tre, per questioni loro personali, dissentano dal voto ben meditato
e conforme alle norme ecclesiastiche degli altri, prevalga l’opinione della maggioranza.
7. Sulla carica del vescovo di Elia, ossia di Gerusalemme. Poiché è invalsa la consuetudine e
l’antica tradizione che il vescovo di Elia riceva particolare onore, abbia quanto questo onore
comporta, salva sempre la dignità propria della metropoli.
FONTE: I° Concilio di Nicea, capitoli 4-7.
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Sarebbe stato, dunque, già sufficiente alla piena conoscenza e conferma della pietà questo sapiente e
salutare simbolo della divina grazia. Insegna, infatti, quanto di più perfetto si possa pensare intorno
al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, e presenta, a chi l’accoglie con fede, l’inumazione del
Signore.
Ma poiché quelli che tentano di respingere l’annuncio della verità, con le loro eresie hanno coniato
nuove espressioni: alcuni cercando di alterare il mistero dell’economia dell’incarnazione del
Signore per noi, e rifiutando l’espressione Theotocos per la Vergine; altri introducendo confusione e
mescolanza e immaginando scioccamente che unica sia la natura della carne e della divinità, e
sostenendo assurdamente che la natura divina dell’Unigenito per la confusione possa soffrire, per
questo il presente, santo, grande e universale sinodo, volendo impedire ad essi ogni raggiro contro
la verità, insegna che il contenuto di questa predicazione è sempre stato identico; e stabilisce prima
di tutto che la fede dei 318 santi padri dev’essere intangibile […].
Seguendo, quindi, i santi padri, all’unanimità noi insegnamo a confessare un solo e medesimo
Figlio: il Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero
Dio e vero uomo, [composto] di anima razionale e del corpo, consustanziale al Padre per la divinità,
e consustanziale a noi per l’umanità, simile in tutto a noi, fuorché nel peccato, generato dal Padre
prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza da
Maria vergine e madre di Dio, secondo l’umanità, uno e medesimo Cristo signore unigenito; da
riconoscersi in due nature, senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili, non essendo venuta
meno la differenza delle nature a causa della loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la
proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipostasi. Egli non è diviso
o separato in due persone, ma è un unico e medesimo Figlio, unigenito, Dio, verbo e Signore Gesù
Cristo, come prima i profeti e poi lo stesso Gesù Cristo ci hanno insegnato di lui, e come ci ha
trasmesso il simbolo dei padri.
Stabilito ciò da noi con ogni possibile diligenza, definisce il santo e universale sinodo, che a
nessuno sia lecito presentare, o anche scrivere, o comporre una [formula di] fede diversa, o credere,
o insegnare in altro modo. Quelli poi che osassero o comporre una diversa formula di fede, o
presentarla, o insegnarla, o tramandare un diverso simbolo a quelli che intendono convertirsi
dall’Ellenismo alla conoscenza della verità, o dal Giudaismo o da un’eresia qualsiasi, costoro, se
sono vescovi o chierici, siano considerati decaduti: il vescovo dal suo episcopato, i chierici dal
clero; se poi fossero monaci o laici, dovranno essere scomunicati.
FONTE: Concilio di Calcedonia, Definizione della fede, (451).
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FONTE: Leone I, Lettere, PL 54, 104.
Monachesimo
a) Regola di S. Benedetto (534)
L’ozio è nemico dell’anima, e perciò i fratelli in certe ore devono essere occupati nel lavoro
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manuale, in altre ore nella lettura divina. Di conseguenza riteniamo che entrambe le occupazioni
siano ripartite nel tempo con il seguente ordinamento: da Pasqua fino alle calende di ottobre,
uscendo al mattino facciano i lavori necessari dalla prima fin quasi all’ora quarta. Poi, dall’ora
quarta fino all’ora in cui faranno la sesta, attendano alla lettura. Dopo la sesta, alzandosi da tavola si
riposino nei loro letti in assoluto silenzio o, se qualcuno vorrà leggere per conto suo, legga in modo
da non disturbare nessuno. Si faccia nona un poco in anticipo, verso la metà dell’ora ottava, e di
nuovo lavorino a quello che c’è da fare sino al vespro. Se le esigenze del luogo o la povertà
richiedono che essi si occupino personalmente di raccogliere le messi, non se ne affliggano, giacché
allora sono veramente monaci, se vivono del lavoro delle proprie mani, come i nostri padri e gli
apostoli. Tutto però sia fatto con misura, avendo riguardo per i deboli. Invece dalle calende di
ottobre all’inizio della quaresima attendano alla lettura fino a tutta l’ora seconda. Dopo l’ora
seconda si faccia terza e fino a nona tutti eseguano il lavoro ché viene loro assegnato. Dato poi il
primo segnale dell’ora nona, ciascuno si stacchi dal proprio lavoro e stia pronto finché suonerà il
secondo segnale. Dopo il pasto attendano alle proprie letture o ai salmi. Nei giorni di quaresima, dal
mattino sino a tutta l’ora terza attendano alle proprie letture e sino a tutta l’ora decima eseguano il
lavoro che è loro assegnato. In questi giorni di quaresima tutti ricevano dalla biblioteca un libro a
testa e lo leggano ordinatamente per intero. Questi libri devono essere dati all’inizio della
Quaresima.
FONTE: Benedetto da Norcia, Regola, FV, 48.
b) Libri penitenziali
- Penitenziale di Finnian [Finnian di Clonard, m. 549, o Finnian di Mag-Bile, m. 579] (VI
secolo)
35. Per quel che riguarda i laici, se qualcuno, allontanandosi dalle cattive azioni, si sarà convertito al Signore dopo
aver però compiuto ogni sorta di malvagità, ad esempio fornicando od uccidendo, faccia penitenza per tre anni, e
vada senza armi, eccettuato un bastone, e non stia con sua moglie, e nel primo anno faccia penitenza a pane ed
acqua, e non stia con sua moglie. Dopo una penitenza di tre anni offra del denaro nelle mani del sacerdote, per la
redenzione della sua anima e come frutto della penitenza, e imbandisca una cena per i servi di Dio, e nella cena sia
riammesso alla comunione; e dopo aver portato integralmente a termine la penitenza potrà unirsi a sua moglie.
36. Se un laico avrà contaminato la moglie di un altro, o una vergine, faccia penitenza per un anno intero a pane
ed acqua e non si unisca a sua moglie, e dopo un anno di penitenza sia riammesso alla comunione, e dia
un’elemosina per la propria anima, e non commetta più fornicazione con un’estranea, finché avrà vita. […]
37. Se un laico avrà contaminato una vergine consacrata a Dio, privandola del suo merito, e avrà generato da lei
un figlio, faccia penitenza per tre anni: nel primo anno stia a pane ed acqua, e vada senza armi, e non si unisca a
sua moglie; negli altri due si astenga dal vino e dalla carne, e non si unisca a sua moglie.
38. Se però non avrà generato da lei, ma l’avrà soltanto contaminata, stia un anno intero a pane ed acqua, e per
metà anno poi si astenga dal vino e dalla carne, e non si unisca a sua moglie fino al termine della penitenza.
39. Se un laico ammogliato si sarà unito ad una sua schiava, si deve procedere così: che la schiava sia venduta, ed
egli per un anno intero non si unisca a sua moglie.
40. Se però avrà generato dalla schiava uno o due o tre figli, è giusto che egli liberi la schiava, e se volesse
venderla non deve essergli consentito; ma si separino, ed egli faccia penitenza per un anno intero a pane ed acqua,
e non si accosti più alla sua concubina ma si unisca a sua moglie.
41. Qualora uno abbia una moglie sterile, non la mandi via a causa della sua sterilità; ma devono vivere entrambi
nella continenza, e beati se persevereranno casti nel corpo fino a quando Dio non pronuncerà per loro un giudizio
vero e giusto. Credo, infatti, che se tali saranno stati quali furono Abramo e Sara, Isacco e Rebecca, e Anna,
madre di Samuele, o Elisabetta, madre di Giovanni, andrà bene per loro nel giorno del giudizio. Dice infatti san
Paolo: E quelli che hanno moglie sia come se non l’avessero. Passa, infatti, l’apparenza di questo mondo. Se poi
rimarremo fedeli, qualunque cosa Dio ci avrà inviato, favorevole o contraria, sempre accoglieremo la gloria di Dio
con gioia.
42. Affermiamo che la moglie non debba separarsi dal marito; ma se si sarà separata deve rimanere senza nozze,
o riconciliarsi con il proprio marito secondo quanto dice l’Apostolo.
43. Se la moglie avrà commesso adulterio, ed abita con un altro uomo, il marito non deve prendere un’altra donna,
finché la moglie sarà viva.
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44. Se quest’ultima si sarà volta a penitenza, e se proprio lo chiederà con buona disposizione, bisogna
riaccoglierla; ma non porterà dote e servirà il marito; finché avrà vita compia le funzioni di servo o di schiava
interamente e devotamente sottomessa.
45. Così se una moglie sarà stata mandata via del marito, non deve unirsi ad altro uomo finché il marito avrà vita;
ma dovrà invece attenderlo senza nozze, con pazienza e castità, nell’eventualità che Dio induca la penitenza nel
cuore del marito. E la penitenza dell’uomo adultero e della donna adultera è questa: facciano penitenza per un
anno intero a pane ed acqua, e non stiano nello stesso letto [con il proprio coniuge].
II.
III.
Cambridge, Corpus Christi College, MS 190, p. 404.
G ýf hwýlc bisceop man ofslea · þolige his hades · & fæste ·
xii · gear · þa · vii · on hláfe & on þa · v · þrý dagas
on wucan · & þa oþre bruce his metes ·
6
If any bishop slays someone, he is to forfeit his orders and fast 12 years, 7 on bread and water, and
for 5 years 3 days each week, and on the others partake of his food.
Se un vescovo uccide qualcuno, sia privato dei suoi ordini e digiuni 12 anni, 7 a pane e acqua, e per
5 anni 3 giorni alla settimana, e gli altri dividano il suo cibo.
Amministrando col favore divino gli interessi del nostro popolo, correggiamo con migliore
meditazione anche ciò che nelle leggi appariva iniquo, sì che ogni oscurità delle leggi romane e
dell’antico ius, ricondotta con l’impiego di sacerdoti e nobili uomini alla luce di una migliore
comprensione, risplenda e nulla si abbia di ambiguo, onde combatta se stesso il durevole e
incostante contrastarsi dei litiganti. Il tutto posto in chiaro e raccolto in un solo libro dalla scelta
degli esperti, quanto è stato escerpito e composto con più chiara interpretazione lo ha rafforzato
l’approvazione dei venerandi vescovi e anche dei nostri provinciali insigni. …
GIUSTINIANO
Corpus iuris
1. Ut omni firma sint, quae Amalasuinta vel Atalaricus 1. Che rimangano valide tutte quelle cose che avevano
vel Theodatus concesserunt. Pro petitione Vigilii concesso Amalasunta, Atalarico e Teodato. Dietro
venerabilis antiquioris Romae episcopi quaedam richiesta del venerabile Vigilio vescovo della Roma più
disponenda esse censuimus ad utilitatem omnium antica, abbiamo ritenuto fossero da stabilire alcune
pertinentia. Qui per occidentales partes habitare cose che riguardavano l’utilità di tutti quelli che
noscuntur. In primis itaque iubemus, ut omnia quae abitano le parti occidentali [dell’impero]. Prima di
Atalaricus vel Amalasuinta regia mater eius vel etiam tutto stabiliamo e ordiniamo che tutto ciò che
Theodatus Romanis vel senatu poscente concesserunt, concessero Atalarico, o Amalasunta madre del re, o
inviolabiter conserventum. Sed et ea quae a nobis vel a anche Teodato ai Romani o al Senato che lo richiedeva
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piae memoriae Theodora augusta quondam coniuge siano mantenute inviolabili. Ma anche quelle cose che
nostra conlata sunt, volumus illibata servari, nulla sono state concesse da noi o dalla augusta Teodora di
quicumque danda licentia contra ea venire, quae a pia memoria, un tempo nostra moglie, vogliamo che
praedictis personis pro quibuscumque rebus vel titulis siano conservate intatte, senza che ad alcuno sia data
data vel concessa esse noscuntur; excepta videlicet licenza di andare contro di esse […].
donatione a Theodato in Maximum pro rebus habita
Marciani, ex quibus dimidiam portionem Liberio viro
gloriosissimo dedisse meminimus, reliqua dimidia
Maximo viro magnifico relicta; quas apud utrumque
firmiter manere censemus.
2. Ut per Totilanem factae donationes omnes irritae 2. Che le donazioni fatte da Totila siano tutte annullate.
sint. Si quid a Totilane tyrannum factum vel donatum Se si trova qualcosa che è stato fatto o donato dal
esse invenitur cuicumque Romano seu cuicumque alio, tiranno Totila ad un Romano o a chiunque altro, non
servari vel in sua firmitate manere nullo modo concediamo assolutamente che sia conservato e che
concedimus. Sed res ablatas ab huiusmodi rimango saldo, ma stabiliamo che i beni, tolti a tali
detentatoribus antiquis dominis reformari praecipimus. possessori siano restituiti agli antichi padroni. Ciò
Quod enim per illum tyrannidis eius tempore factum infatti che si trova fatto da quello al tempo della sua
esse invenitur, hoc legitima nostra notare tempora non tirannide, non concediamo abbia valore nei tempi del
concedimus. nostro legittimo governo.
11. Ut leges imperatorum per provincias ipsorum 11. Che le leggi degli imperatori si spandano su tutte le
dilatentur. Iura insuper vel leges codicibus nostris province dell’impero. Il diritto e le leggi inoltre inseriti
insertas, quas iam sub edictali programmate in Italiam nei nostri codici, che subito abbiamo trasmesso in Italia
dudum misimus, obtinere sancimus. Sed et eas, quas con un editto, stabiliamo che abbiano un valore. Ma
postea promulgavimus constitutiones, iubemus sub anche quelle costituzioni che abbiamo promulgato
edictali propositione vulgari, (et) ex eo tempore, quo successivamente ordiniamo che siano divulgate
sub edictali programmate vulgatae fuerint, etiam per mediante un editto, e che da quel momento nel quale
partes Italiae obtinere, ut una Deo volente facta saranno state rese note abbiano valore anche in Italia,
republica legum etiam nostrarum ubique prolatetur affinché, essendo stato con il volere di Dio riunito
auctoritas. l’impero, anche l’autorità delle nostre leggi si spanda
ovunque.
DOCUMENTARI
http://www.sibriumlangobardorum.org/litalia-dei-longobardi oppure
https://www.youtube.com/watch?v=S2tl0-BO8lY
ancora meglio
https://www.raiplay.it/video/2018/02/Italia-longobarda---b40a8406-8de7-45aa-bd05-
3642d562474e.html
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A. PROLOGO DI ROTARI (643) E DI LIUTPRANDO (721)
INCIPIT EDICTVM QVEM RENOVAVIT DOMINVS Inizia l’Editto che ha rinnovato Rotari signore,
ROTHARI VIR EXCELLENTISSIMO REX GENTI uomo eccellentissimo, re della stirpe dei Longobardi,
LANGOBARDORVM CVM PRIMATOS IVDICES con i suoi giudici preminenti
SVOS
Ego in dei nomine rotari, vir excellentissimus, et Nel nome del Signore, io Rotari, uomo eccellentissimo
septimo decimum rex gentis langobardorum, anno deo e diciassettesimo re della stirpe dei Longobardi,
propitiante regni mei octabo, aetatisque tricesimo nell’ottavo anno del mio regno col favore di Dio, nel
octabo, indictione secunda, et post adventum in trentottesimo anno d’età, nella seconda indizione e
provincia italiae langobardorum, ex quo alboin tunc nell’anno settantaseiesimo dopo la venuta nella
temporis regem precedentem divina potentia adducti provincia d’Italia dei Longobardi, dove furono condotti
sunt, anno septuagesimo sexto feliciter. Dato ticino dalla potenza divina, essendo in quel tempo re Alboino,
in palatio. [mio] predecessore, salute. Dato a Pavia, nel palazzo.
Quanta pro subiectorum nostrorum commodo nostrae Quanta è stata, ed è, la nostra sollecitudine per la
fuit sollicitudinis cura, et est, subter adnexa tenor prosperità dei nostri sudditi lo dimostra il tenore di
declarat; precipue tam propter adsiduas fatigationes quanto è aggiunto sotto, principalmente per le continue
pauperum, quam etiam superfluas exactiones ab his qui fatiche dei poveri, così come anche per le eccessive
maiore virtute habentur; quos vim pati cognovimus. Ob esazioni da parte di coloro che hanno maggior potere, a
hoc considerantes dei omnipotentis gratiam, causa dei quali abbiamo saputo che subiscono violenza.
necessarium esse prospeximus presentem corregere Per questo, confidando nella grazia di Dio onnipotente,
legem, quae priores omnes renovet et emendet, et quod ci è parso necessario promulgare migliorata la presente
deest adiciat, et quod superfluum est abscidat. In unum legge, che rinnova ed emenda tutte le precedenti ed
previdimus volumine conplectendum, quatinus liceat aggiunge ciò che manca e toglie ciò che è superfluo.
unicuique salua lege et iustitia quiete vivere, et propter Vogliamo che sia riunito tutto in un volume, perché sia
opinionem contra inimicos laborare, seque sousque consentito a ciascuno vivere in pace nella legge e nella
defendere fines. Tamen quamquam haec ita se habeant, giustizia e con questa consapevolezza impegnarsi
utilem prospeximus propter futuris temporis contro i nemici e difendere se stesso e il proprio paese.
memoriam, nomina regum antecessorum nostrorum, ex Tuttavia, sebbene le cose stiano così, ci è parso utile per
quo in gente nostra langobardorum reges nominati la memoria dei tempi futuri ordinare che siano annotati
coeperunt esse, in quantum per antiquos homines in questa pergamena i nomi dei re nostri predecessori,
didicimus, in hoc membranum adnotari iussimus. da quando i re cominciarono ad essere nominati nella
Fuit primus rex agilmund, ex genere gugingus. nostra stirpe dei Longobardi, così come lo abbiamo
Secundus laamisio. appreso tramite gli anziani.
Tertius leth. Il primo re fu Agilmundo, del lignaggio dei Gugingi.
Quartus kildeoch, filius leth. Il secondo Lamissione.
Quintus godeoch, filius kildeoch. Il terzo Leth.
Sextus claffo, filius godeoch. Il quarto Childeoch, figlio di Leth.
Septimus tato, filius glaffoni. Tato et winigis filii Il quinto Godeoch, figlio di Childeoch.
claffoni. Il sesto Claffone, figlio di Godeoch.
Octabus wacho, filius winigis, nepus tatoni. Il settimo Tatone, figlio di Claffone. Tatone e Winigis
Nonus walthari. erano figli
Decimus audoin, ex genere gausus. di Claffone.
Undecimus alboin, filius audoin, qui exercitum, ut L’ottavo Wachone, figlio di Winigis, nipote di Tatone.
supra, in Il nono Walthari.
italia adduxit. Il decimo Audoino, del lignaggio dei Gausi 4.
Duodecimus clep, ex genere beleos. L’undicesimo Alboino, figlio di Audoino, che, come
detto sopra,
condusse l’esercito in Italia 5.
Il dodicesimo Clefi, del lignaggio dei Belei.
ITEM CAPITVLA QVOD ADDIDIT Seguono i capitoli che ha aggiunto il signore re
DOMNVS LIVTPRANT REX Liutprando
Incipit Causas a Cominciano i casi
Legis quas christianus hac catholicus princeps Le leggi che un principe cristiano e cattolico ha deciso
instituere et prudenter cinsire disponit, non sua di stabilire e di valutare con saggezza non le ha
providentia, sed dei notu et inspiratione eas animo concepite nell’animo, ponderate nella mente e rese
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concepit, mente petractat et salubriter opere conplit, proficuamente compiute con le opere per la propria
quia cor regis in mano dei est, atestante sapientissimo previdenza, ma per volontà e ispirazione di Dio, perché
salomonem, qui ait: Sicut impitus aquae, ita cor regis in il cuore del re è nelle mani di Dio, come attesta il
mano dei; si tenuerit eas, omnia siccabuntur, si autem saggissimo Salomone, che dice: “Come lo scorrere
clementer eas demiserit, universa inrigantur et replentur dell’acqua, così il cuore del re è nelle mani di Dio; se le
suavitatem. trattiene, tutte le cose seccano, ma se per la Sua
Quidem et apostulus domini iacobus in epistola sua clemenza le lascia andare, tutte le cose sono irrigate e si
ededit dicens: Omnem donum optimum et omnem colmano di dolcezza”. Certamente anche Giacomo,
datum perfectum desursum est, discendens a patre apostolo del Signore, lo ha dichiarato nella sua lettera,
luminum. His ergo expletis recolimus, quoniam dicendo: “Ogni ottimo regalo e ogni dono perfetto
rovustissimus decessor noster atque emenentissimus vengono dall’alto, discendendo dal Padre della luce”.
rothari rex, sicut ipse est in scriptis affatus suis Osservate quindi queste cose, abbiamo ricordato che il
superius, in langobardis edictum renovavit atque nostro fortissimo ed assai insigne predecessore re
instituit: ubi et prudenter hoc inserere curavit, dicens, ut Rotari, proprio come egli stesso dice sopra nei suoi
quis ille langobardorum princeps eius successor scritti, ha rinnovato ed istituito un editto per i
superfluum quid inibi reperit, ex eo sapienter auferret, Longobardi in cui ha avuto cura di introdurre con
et quod minus invenerit, deo sibi inspirante adicerit. saggezza anche questo, che quel principe dei
Post hoc enim gloriosissimus grimoald rex, quae illi Longobardi, suo successore, che vi avesse trovato
secundum deo placita fuerunt, minuit et ampliavit. qualcosa di superfluo, accortamente lo togliesse; e ciò
Cuius nos normam sequentes, divinitus ut credimus che vi avesse notato mancare, lo aggiungesse sotto
inspirati, simili modo ea quae iuxta dei legem nobis l’ispirazione di Dio. E difatti, dopo di questo, il
congrua paruerunt, subtrahere et addere previdemus, gloriosisimo re Grimoaldo ha levato ed accresciuto,
sicut et in presentem paginam scrivere iussimus. Ob come gli è piaciuto secondo Dio. Noi, seguendo la sua
hoc ego in dei nomine liutprand excellentissimus norma, ispirati, come crediamo, dalla volontà divina,
christianus langobardorum rex, anno deo protegente abbiamo analogamente provveduto a levare ed
regni mei primo, pridiae kalendarum martiarum, aggiungere quelle cose che ci sono parse conformi alla
indictione undecima, una cum omnibus iudicibus tam legge di Dio, come abbiamo ordinato di scrivere nella
de austriae et neustriae partibus, necnon et de tusciae presente pagina. Per questo io, Liutprando, in nome di
finibus, vel cum reliquis fedelibus meis langobardis et Dio eccellentissimo cristiano re dei Longobardi, nel
cuncto populo adsistente, haec nobis commune primo anno del mio regno con la protezione di Dio, nel
consilio, iuxta ob dei timore atquae amore ac sancta giorno precedente le calende di marzo, nell’undicesima
conparuerunt et placuerunt. indizione, assieme a tutti i giudici, sia delle parti
dell’Austria e della Neustria sia anche dei territori della
Tuscia, e con tutti gli altri Longobardi miei fedeli, alla
presenza di tutto il popolo, queste cose con consiglio
comune ci sono parse e piaciute sante e conformi al
timore ed all’amore di Dio.
Praesentem vero dispositionis nostrae edictum, quem Il presente editto delle nostre disposizioni, che
Deo propitio cum summo studio et summis vigilis a abbiamo composto con il favore di Dio, con il massimo
celestem faborem praestitis inquirentes et zelo e con le massime veglie concesseci dalla
rememorantes antiquas legis patrum nostrorum, quae benevolenza celeste, ricercando e ricordando le antiche
scriptae non erant, condedimus, et quod pro commune leggi dei nostri padri che non erano scritte, e che
omnium gentis nostrae utilitatibus expediunt, pari abbiamo istituito, ampliandolo, con pari consiglio e
consilio parique consensum cum primatos iudices consenso con i principali giudici e con tutto il nostro
cunctosque felicissimus exercitum nostrum augentes felicissimo esercito, quanto giova al comune interesse
constituimus, in hoc membranum scribere iussimus; di tutta la nostra stirpe, abbiamo ordinato che sia scritto
pertractantes et sub hoc tamen capitulo reservantes, ut, su questa pergamena, esaminandolo attentamente e
quod adhuc annuentem divinam clementiam per tuttavia riservandoci questa [sola] condizione di dover
subtilem inquisitionem de antiquas legis aggiungere a questo editto quanto ancora saremo in
Langobardorum, tam per nosmetipsos quam per grado di ricordare, consentendolo la divina clemenza,
antiquos homines, memorare potuerimus, in hoc con un'accurata ricerca delle antiche leggi longobarde,
edictum subiungere debeamus; addentes, quin etiam et sia da noi stessi sia grazie a uomini anziani; e inoltre
per gairethinx secundum ritus gentis nostrae anche confermandolo con il gairethinx, secondo l'uso
confirmantes, ut sit haec lex firma et stabilis, quatinus della nostra stirpe, in modo tale che questa legge sia
nostris felicissimis et futuris temporibus firmiter et stabile e sicura, perché nei nostri felicissimi tempi e in
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inviolabiIiter ab omnibus nostris subiectis costodiatur. quelli futuri sia conservata in modo stabile ed
inviolabile da tutti i nostri sudditi.
R. 204. Nulli mulieri liberae sub regni nostri ditionem 204. A nessuna donna libera che viva sotto la
legis langobardorum viventem liceat in sui potestatem giurisdizione del nostro regno secondo la legge dei
arbitrium, id est selbmundia, vivere, nisi semper sub Longobardi sia consentito vivere sotto la potestà del
potestatem virorum aut certe regis debeat permanere; proprio arbitrio, cioè selpmundia, ma al contrario debba
nec aliquid de res mobiles aut inmobiles sine voluntate sempre restare sotto la potestà degli uomini o del re; e
illius, in cuius mundium fuerit, habeat potestatem non abbia facoltà di donare o alienare alcunché dei beni
donandi aut alienandi. mobili o immobili senza il consenso di colui sotto il cui
mundio si trova.
L. 22. Si mulier res suas consentiente viro suo, aut 22. Se una donna vuole vendere i suoi beni [o
communiter venundare voluerit, ipse qui emere vult, semplicemente] con il consenso di suo marito o in
vel illi qui vindunt, faciant noditiam ad duos vel tres comune [con lui], colui che vuole comperare o coloro
parentes ipsius mulieris, qui propinquiores sunt. Et si in che vendono ne diano comunicazione a due o tre
presentia parenti della donna, di quelli che le sono più prossimi.
de ipsis parentibus suis mulier illa violentias aliquas se Se in presenza dei suoi parenti la donna dice di subire
dixerit pati, non sit stabilem quod vindederit. Nam si in una qualche costrizione, ciò che ha venduto non
presentia parentuum suorum vel iudici, qui in loco rimanga stabile. Se invece alla presenza dei suoi parenti
fuerit, violentias se pati non reclamaverit, nisi volontate o del giudice che è preposto a quel luogo afferma di
sua ipsas res se dixerit venundare, tunc ab illo diae non aver subito alcuna costrizione, ma anzi dice di
omni tempore, quod vindederit, stabile deveat vendere quei beni di sua volontà, allora ciò che ha
permanere, ita tamen, ut ipsi parentes, qui inter fuerent, venduto deve rimanere stabile da quel giorno, in ogni
aut iudex in cartola ipsa manum ponant. Et si contegerit tempo, purché i parenti, che hanno presenziato, o il
casus, giudice sottoscrivano quel documento. Se occorre
ut ille maritus moriatur, et ad alium ambolaverit, il caso che il marito muore e [costei] va ad un altro,
stabiles permaneat ipsa vinditio. Scriva autem, qui quella vendita rimanga stabile. Inoltre lo scriba che
cartola ipsa scripserit, non aliter presumat scrivere, nisi scrive quel documento non osi scrivere se non con
cum notitia parentum vel iudicis, sicut supra dictum est; l’autorizzazione dei parenti o del giudice, come si è
et detto sopra;
si aliter fecerit, sit ipsa vinditio vacua, et prefatus scriva se fa altrimenti, quella vendita sia senza validità e il
sit culpavelis, sicut qui cartola falsa scrivit. predetto scriba sia colpevole come chi scrive un
documento falso.
Rotari:
367. Del waregang (=straniero immigrato nel territorio del regno). Tutti i waregang che da territori
stranieri
vengono nei territori del nostro regno e si pongono sotto lo scudo della nostra potestà devono vivere
12
secondo le nostre leggi dei Longobardi, a meno che non abbiano meritato un’altra legge per nostra
grazia. Se hanno
figli legittimi, questi siano loro eredi come anche i figli dei Longobardi [lo sono]; se non hanno figli
legittimi, non sia loro facoltà donare a chicchessia i loro beni senza ordine del re o alienarli a
qualsivoglia titolo.
Liutprando:
91. Riguardo agli scrivani stabiliamo questo, che coloro che scrivono documenti lo facciano o
secondo la legge dei Longobardi, che è chiarissima e nota pressoché a tutti, o secondo [quella] dei
Romani e non facciano altrimenti, ma solo come è contenuto in queste leggi; e non scrivano contro
la legge dei Longobardi o dei romani. Se non sanno, chiedano ad altri e se non possono conoscere
pienamente tali leggi, non scrivano i documenti. Chi osa fare diversamente, paghi come
composizione il proprio guidrigildo, a meno che non ci si accordi su qualcosa tra colliberti; perché
se alcuni vogliono allontanarsi dalla loro legge e fanno degli accordi o delle convenzioni tra di loro
ed entrambe le parti sono d’accordo, ciò non sia considerato contro la legge, poiché entrambe le
parti lo fanno volontariamente. E coloro che scrivono questi documenti non siano riconosciuti
colpevoli. Invece, scrivano secondo la legge per quanto riguarda le eredità. Quanto è inserito nel
precedente editto circa i documenti falsi, rimanga così.
Cartula venditionis, Piacenza, 14 novembre 1033 (Archivio délia cattedrale di Piacenza, Cassetta
16, Vendite, n° 98. 270x540 mm). Cunegonda/Cuniza, figlia del defunto Ansaldo e moglie di
Rotofredo, vivente sotto la legge longobarda, vende a Patéric/Amizo, figlio del defunto Gandolfo, il
castello di Ponciano con le sue dipendenze, per la somma di centro libre d’argento.
In nomine Domini Dei et salvatoris nostri Iesu Christi. Chuunradus gracia Dei inperator agusstus,
anno hinpirii eius Deo | propicio septimo, decimo die mense novemb(ris), ind(icione) secunda.
Constad me Cuniza, filia q(uon)da(m) Ansaldi et conius Rotefredi qui et Rozo, qui profesa sum ex
nacione mea legem vivere Lango-bardorum, ipso namque iugale et mundoaldo meo m(ihi)
conseciente et | subter confirmante et iusta legem una cum nuticia donni Adelberti cornes comitatu
Pla-centino, in cuius presencia vel testi|um certa facio profesione quod nulam me pati violencia
adque per iam ominum nec ab ipso iugale et mundoaldo meo nisi | mea bona expontanea
voluntatem, accepisem sicuti et in presencia testium accepi ad te Patericus qui et Amizo, filius
q(uon)da(m) | Gandulfi per misso tuo Savinus qui et Gariardus argentum denarios bonos libras
centum, finitum precium pro cuntis casis et omni|busa) rébus illis iuris mei quam abere viso sum in
loco et fundo Pon-ciano, cum Castro et turris seu muros circumdatum et capella | una infra eodem
Castro consecrata in noreb) sancte Dei genetricis Marie et sanctorum Martini et Georgic)
118. incerti sumus de iudicio dei, et multos audivimus Questo perché siamo insicuri riguardo il giudizio di
per pugnam sine justitia causam suam perdere; sed Dio, ed abbiamo sentito che molti hanno ingiustamente
propter consuetudinem genits nostrae Langobardorum perso la loro causa in duello, ma per la consuetudine
legem ipsam vetare non possumus. della nostra stirpe dei Longobardi non possiamo vietare
questa legge.
2. De illos homines, qui possunt loricam habere et minime habent, vel minores homines, qui possunt
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habere cavallum et scutum et lanceam et minime habent, vel illi homines qui non possunt habere nec habent
unde congregare, debeant habere scutum et coccura. Et stetit ut ille homo, qui habet septem casas massarias,
habeat loricam suam cum reliqua conciatura sua, debeat habere et cavallos; et si super habuerit, per isto
numero debeat habere caballos et reliqua armatura. Item placuit, ut illi homines, qui non habent casas
massarias et habent quadraginta iugis terrae, habeant cavallum et scutum et lanceam; item de minoribus
hominibus principi placuit, ut, si possunt habere scutum, habeant coccora cum sagittas et arcum.
3. Item de illis hominibus, qui negotiantes sunt et pecunias non habent: qui sunt maiores et potentes,
habeant loricam et cavallos, scutum et lanceam; qui sunt sequentes, habeant caballos, scutum et lanceam; et
qui sunt minores, habeant coccoras cum sagittas et arcum.
2. Circa quegli uomini che possono avere una corazza e pure non ce l'hanno affatto, o quegli uomini
minori che possono avere cavallo, scudo e lancia e pure non li hanno affatto, oppure quegli uomini che non
possono avere, né hanno, di che mettere assieme, [stabiliamo] che debbano avere scudo e faretra. Resta
fermo che quell'uomo che ha sette case massaricie abbia la sua corazza con il restante equipaggiamento e
debba avere anche cavalli; e se ne ha di più, per questo numero deve avere i cavalli ed il restante armamento.
Piace inoltre che quegli uomini che non hanno case massaricie ed hanno 40 iugeri di terra abbiano cavallo,
scudo e lancia; così inoltre piace al principe circa gli uomini minori, che, se possono avere lo scudo, abbiano
la faretra con le frecce e l'arco.
3. Inoltre, circa quegli uomini che sono mercanti e che non hanno bestiame, quelli che sono maggiori e
potenti abbiano corazza e cavalli, scudo e lancia; quelli che vengono dopo abbiano cavalli, scudo e lancia;
quelli che sono minori abbiano faretre con le frecce e l’arco.
Fonti: C. Azzara – S. Gasparri (a cura di), Le leggi dei Longobardi. Storia, memoria e diritto di un popolo
germanico, Roma, Viella, 2005
CAPITOLARI CAROLINGI
Disposizioni emanate dall’Imperatore nel sesto anno del suo impero nel placito generale a
Corteolona.
Quanto all’istruzione, che per l’eccessiva incuria e il disinteresse di alcuni vescovi è dappertutto in
completo abbandono, questo da noi è stato stabilito, e questo da tutti sia osservato: coloro che per
nostra disposizione sono stati collocati in determinate località per istruire altri pongano la massima
cura a che gli scolari loro affidati traggano profitto dall’insegnamento e si applichino allo studio,
come la necessità del momento richiede. Tuttavia per la comodità di tutti abbiamo provveduto a
stabilire alcune località opportunamente distinte per l’esercizio degli studi, affinché l’impedimento
della distanza e la mancanza di mezzi non siano di scusa per nessuno.
Queste località sono le seguenti. A Pavia, presso il maestro Dungalo, converranno gli studenti di
Milano, Brescia, Lodi, Bergamo, Novara, Vercelli, Tortona, Acqui, Genova, Asti, Como. Ad Ivrea
il vescovo provvederà egli stesso alle scuole. A Torino converranno gli studenti di Ventimiglia,
Albenga, Vado, Alba. A Cremona andranno a scuola quelli di Reggio, Piacenza, Parma, Modena.
Firenze raccoglierà quelli della Tuscia. A Fermo converranno anche gli studenti delle città del
ducato di Spoleto. A Verona si recheranno da Mantova, da Trento. A Vicenza, da Padova, Treviso,
Feltre, Ceneda, Asolo. Gli studenti delle rimanenti città si raduneranno a Forlì.
Dato a Corteolona, nel dodicesimo anno dell’impero dell’imperatore Ludovico e nel sesto
dell’imperatore Lotario, nel mese di maggio.
FONTE: http://www.rm.unina.it/didattica/fonti/frova/sez1/par7.htm
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Anche questo insistentemente chiediamo alla vostra benignità, che i ministri dell’altare del Signore adornino il
proprio ministero di buoni costumi; scongiuriamo perciò tutti coloro che seguono l’osservanza canonicale o la
regola monastica che tengano una condotta di vita retta ed esemplare, ottemperando al precetto evangelico:
«Risplenda la vostra luce di fronte agli uomini; in modo che vedano le vostre buone opere, e rendano gloria al
padre vostro che è nei cieli». Riuniscano e tengano presso di sé non solo i bambini di condizione servile ma anche i
figli dei liberi. Organizzino scuole di lettura per i ragazzi in ogni monastero o vescovado, dove si possano
apprendere i salmi, le note, il canto, il computo, la grammatica e trovare i libri canonici accuratamente corretti;
poiché spesso molti, desiderosi di pregare Dio rettamente, lo pregano male a causa della scorrettezza dei testi. Non
permettete che i fanciulli a voi affidati, leggendoli o copiandoli, ne traggano danno. E se è necessario copiare un
messale o un salterio, siano incaricati uomini esperti, che si dedichino al lavoro con ogni cura.
FONTE: http://www.rm.unina.it/didattica/fonti/frova/sez1/par2.htm
FONTE: http://www.rm.unina.it/didattica/fonti/anto_ame/cap_VIII/VIII_5_it.htm#C
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A vantaggio dei tempi futuri si deve tener ben saldo il ricordo e viva la memoria della maniera in
cui alla presenza di Nordillo, messo di Beatrice, signora e marchesa, e di Giovanni visconte, nel
corso di un giudizio con alcuni residenti , cui parteciparono il giurista Pepone e il giudice
Guglielmo, unitamente a Rodolfo figlio di Signore, Rolando figlio di Rustico, Adilberto figlio di
Baroncello, Stefano figlio di Petronio, Benzo figlio di Benzo e Signorotto figlio di Bonito, ed
alcuni altri, Giovanni, avvocato della chiesa e del monastero di San Michele sito nel castello (che
è chiamato) di Martuli, insieme con Gerardo, preposto della stessa chiesa e del medesimo
monastero, si scontrò ed ottenne sentenza favorevole ai danni di Sigizone da Firenze a
proposito di alcune terre e della chiesa di Sant‘Andrea, situate nel luogo di Papiano che erano
state cedute al monastero dal marchese Ugo, cui, a sua volta erano state cedute da Vuinizio,
dandone prova attraverso una chartula.
Contro questa tesi il citato Sigizone fece obiezione, opponendo l‘intervenuta prescrizione e
dicendo che su quelle terre per le quali era causa era stato esercitato un possesso che fra lui e
suo padre ammontava a oltre quarant‘anni.
La difesa del cenobio, dopo aver replicato, confutò l‘eccezione di Sigizone, sostenendo che nel
periodo intercorso, durante la lite, i beni erano stati rivendicati. E prodotti tre testi adeguati,
nelle persone di Giovanni avvocato della citata chiesa, Stefano figlio di Petronio e Adilberto figlio
di Baroncello, tutti dissero che l‘Abate Giovanni aveva rivendicato quelle terre al marchese
Bonifacio e l‘abate Guidrico al duca Gotofredo ed alla contessa Beatrice: e giurarono in tal
senso.
E, proprio in questo modo, l‘avvocato Giovanni, con la mano sui vangeli fece giuramento; anche
Stefano e Adilberto volevano giurare, ma entrambe le parti furono d‘accordo che il giuramento
del solo avvocato fosse sufficiente.
Esposte le prove, il citato Nordillo, messo della signora Beatrice più volte nominata, considerata
con attenzione la normativa contenuta nei libri dei Digesta, per la quale il pretore sanciva la
restitutio in integrum a favore di quei soggetti che non avevano potuto far valere i loro diritti
per mancanza di giudici, dispose la restitutio in integrum a favore del monastero di San Michele
e della chiesa, concedendogli ogni diritto e l‘azione che aveva perduto in ordine alle terre ed ai
beni che furono di Vuinizo e che lo stesso marchese Ugo attribuì e conferì alla chiesa di San
Michele.
Atto redatto nell‘anno 1075 di nostro Signore Gesù Cristo, mese di marzo, nel borgo di Martuli,
nel territorio fiorentino.
Io Nordillo, in qualità di scrivente, confermo quanto detto.
Fonti: trad. B. Pasciuta
Fonte: www.historia.unimi.it/sezione/fonti/corsodiritto1/o-z/garfagnoloit.pdf
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Abbazia di Nonantola
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IRNERIO
a) Testimonianze su Irnerio
- Odofredo: «Irnerio fu tra noi la lucerna del diritto (lucerna iuris), fu il primo ad avere
insegnato in questa città. Una volta, a Bologna, esisteva uno studio di arti liberali. Quando lo
Studium di diritto fu distrutto a Roma, i libri legali furono portati a Ravenna e poi a Bologna.
Così i libri legali finirono per essere studiati nella scuola di arti liberali. Pepo cominciò con la
sua autorità ad insegnare diritto (cepit auctoritate sua legere in legibus) ma, qualunque fosse la
sua scienza, non ebbe alcuna fama. Irnerio insegnava arti liberali a Bologna quando vi furono
trasferiti i libri legali. Cominciò a studiare per conto suo nei nostri testi e studiando cominciò a
insegnare le leggi (cepit per se studere in libris nostris et studendo cepit legere in legibus),
conseguì una grandissima fama e fu la prima luce (primus illuminator) della scienza giuridica.
Poiché fu il primo a fare glosse sui libri di Giustiniano, lo ricordiamo come lucerna del diritto
(lucerna iuris)».
- Landolfo di S. Paolo: «Al tempo della morte di Pasquale II, udita l’ambasciata dei Romani, l’im-
peratore dalle parti di Torino si affrettò a recarsi a Roma. Il 4 marzo, da questa città insieme ai
Romani inviò dei legati a Gaeta, ordinando a Giovanni di Gaeta – che era stato eletto papa –, e
parimenti ai cardinali e ai vescovi che erano con lui a Gaeta, di tornare a Roma e di compiere
con loro in modo giusto e cattolico ciò che doveva essere fatto per la sostituzione del pontefice.
Ma il 9 marzo, nella chiesa del Beato Pietro, al cospetto dell’imperatore Enrico e presenti alcuni
rappresentanti del popolo e del clero romano, fu riferita la risposta che i legati dell’imperatore e
dei Romani avevano udito e raccolto dall’eletto: che nel settembre seguente questi insieme ai
cardinali e ai vescovi delle province si sarebbe recato a Milano o Cremona, e allora i Romani e
l’imperatore avrebbero saputo che cosa si dovesse fare di lui a riguardo dell’elezione a papa e
dell’eventuale sostituzione, secondo la dottrina dei cardinali e dei vescovi. I Romani, pensando
che tale risposta non fosse sufficiente né conveniente alle leggi, ai canoni e alle loro richieste,
turbati gridarono: ‘Forse vogliono trasferire a Cremona l’onore di Roma? Che ciò non avvenga!
Ma per riuscire a sconfiggere l’astuzia di coloro che ci hanno abbandonati e sono fuggiti a Gaeta,
eleggiamoci un papa prudente e buono, secondo l’autorità delle leggi e dei canoni’. Dopo tali e
altre simili parole dei Romani il maestro Guarnerio di Bologna e molti esperti di legge (leges
periti) si mostrarono d’accordo sull’elezione del papa; e un lettore ben preparato dal pulpito di
San Pietro con una prolissa lezione chiarì i decreti dei pontefici circa la sostituzione del papa.
Terminate la lettura e la spiegazione, una gran quantità di popolo elesse papa un vescovo della
Spagna, lì presente insieme all’imperatore».
Fonte: Andrea Piazza
La lex regia (glossa a D.1.3.32): «Questa legge [D. 1.3.32] è conforme ai propri tempi, nei
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quali il popolo aveva la potestà di fare leggi, e perciò per tacito consenso di tutti esse erano
abrogate per consuetudine. Ma poiché oggi la potestà è stata trasferita all’imperatore, nulla
potrebbe fare la desuetudine [ossia l’inosservanza continuata della legge] del popolo».
Le Novelle: glossa alla costituzione Cordi. «Le costituzioni nuove [novelle], delle quali si parla
qui [cioè nella costituzione Cordi, che ordina la compilazione della seconda edizione del Codex],
sono promesse soltanto su questioni nuove, che non siano mai state regolate con i lacci delle
leggi. Ma quelle leggi [quelle raccolte nell’Authenticum], se mai si dovesse chiamarle ‘leggi’, si
occupano soltanto di questioni che sono già regolate dal Codice, e per di più lo contraddicono su
molti punti. E dunque non è verosimile che Giustiniano, una volta terminato il suo lavoro a
prezzo di tanta fatica e di tanta attenzione, abbia immediatamente cominciato a promulgare
leggi contrarie, consentendo di trovare tra le leggi norme opposte al suo volere».
Fonte: E. Conte, Diritto comune, p. 79.
LIBRI LEGALES
- Littera fiorentina: Una pagina del Codex di Giustiniano, nel testimone del Codex Florentinus
(Italia, seconda metà del sec. VI)
20
La Glossa:
Digesto, Libro 31, con la Glossa di Accursio, Bologna, Collegio di Spagna, ms. 284, fol. 109v
(per concessione del Collegio di Spagna)
21
Una pagina del Digestum Vetus con la glossa accursiana, nel testimone dell’edizione a stampa
Venezia 1584
22
23
SCUOLA DI BOLOGNA E UNIVERSITA’ MEDIEVALI
1) Costituzione «Habita» di Federico I Barbarossa (novembre 1158)
Consultati con ogni diligenza su questo problema abati, duchi, conti, giudici e altre personalità
della nostra corte, concediamo per nostra magnanimità a tutti gli scolari che a motivo dello
studio si spostano da una località all’altra, e soprattutto ai professori di diritto canonico e civile,
questo privilegio, affinché sia essi sia i loro inviati possano recarsi ad abitare in piena sicurezza
nelle località nelle quali si praticano gli studi delle lettere. Riteniamo giusto infatti che,
esercitando una così lodevole attività, siano protetti dalla nostra approvazione e tutela, che siano
preservati da ogni offesa, per così dire, con uno speciale affetto, dal momento che illuminano il
mondo con la loro scienza ed educano i sudditi a vivere in obbedienza a Dio e a noi, suoi
ministri. E chi non proverebbe compassione di loro, quando, fatti esuli dall’amore della scienza,
volontariamente abbandonano la ricchezza per la povertà, espongono la vita ad ogni sorta di
pericoli, e, quel che è peggio, spesso sono costretti a subire senza motivo offese corporali dagli
uomini più vili! Pertanto con questa legge avente valore generale e perpetuo, stabiliamo quanto
segue: ci si guardi bene, d’ora in poi, dal recare a scolari qualsivoglia offesa; non si
sottopongano a condanna di alcun genere per delitti commessi in altra provincia, come – a
quanto abbiamo udito – accade talvolta per una esecrabile consuetudine; si sappia che ai
trasgressori di questa costituzione, e, qualora trascurino di farla applicare, agli amministratori
locali a quel tempo in carica, sarà richiesta la restituzione del quadruplo dei beni sottratti, e
decretata ipso iure la nota d’infamia, con la decadenza perpetua dal loro ufficio. Inoltre, qualora
gli scolari siano chiamati in causa da chiunque per qualsiasi motivo, potranno essere giudicati a
loro scelta dal signore, dal loro maestro o dal vescovo della città; ai quali concediamo la relativa
giurisdizione. Qualora si tenti di portarli di fronte a un altro giudice, anche se l’imputazione
fosse validissima, per questo solo tentativo cadrà. Comandiamo che questa legge sia inserita tra
le costituzioni imperiali sotto il titolo ne filius pro patre. Dato a Roncaglia, nell’anno del Signore
1158, nel mese di Novembre.
FONTE: http://www.rm.unina.it/didattica/fonti/frova/sez1/par9.htm
2) Statuti comunali di Parma (1347): immunità concessa ai giudici del collegio dei
giudici della città di Parma e agli scolari che studiano diritto civile e canonico.
Tutti i giudici che sono e 'à suo tempo saranno iscritti nel Collegio dei giudici della città di Parma
e tutti gli studenti di diritto civile e canonico non siano tenuti a partecipare a nessun esercito o
cavalcata né a fare alcun turno di guardia di giorno o di notte, ma siano immuni da tutti gli oneri
personali, questa immunità viene loro concessa affinché con bontà e misericordia, per amor di
Dio e in spirito di pietà prestino e offrano gratis e senza ricompensa alcuna il loro patrocinio ai
poveri, alle vedove, agli orfani e alle persone misere che ricorreranno a loro, e diano loro un
buon consiglio circa le questioni sulle quali saranno consultati. Siano anche tenuti e obbligati,
ogni qualvolta si alzeranno a parlare nell'arengo intorno a problemi relativi al comune, a dare
sempre il parere che riterranno giusto, ragionevole ed equo; e, in tutti i consigli e assemblee ad
attenersi sempre al partito che riterranno migliore, più equo, giusto e ragionevole.
FONTE: http://www.rm.unina.it/didattica/fonti/frova/sez6/par3.htm
24
IL METODO DELLA GLOSSA E IL METODO DEL COMMENTO.
1.La Glossa magna di Accursio
D 1. 1. 1 Proemio
...... Emaniamo in
conclusione quello che è
stato ritenuto necessario
perché, né in questa
splendidissima città, né
nella bellissima città di
Berito [oggi Beirut],
nessuno, tra colorof che
svolgono studi legali, osi f. glossa alle parole Ex iis.
esercitare giochi e (a coloro): cioè agli
perpetrare altri criminig ‘scholares’ (gli studenti
pessimi, anzi, di più, della ‘Scuola’) o ai
g. glossa alla parola servili e tali che il loro ‘doctores’ (i professori)
Crimina. (crimini) infatti effetto è un’ ingiuria, o
il gioco è vietato etc. contro i professori stessi,
i. glossa Prius animas. o contro i loro ‘soci’ [gli
(prima le anime) cioè il allievi] e soprattutto
senso naturale del fare il contro coloroh che,
bene ed evitare il male ‘rudes’ [cioè semplici,
ignoranti] pervengono a h. glossa In eos. (contro
recitare le leggi. Chi coloro) cioè i novizi, che
infatti potrebbe sempre credono di
chiamare giochi, quei essere presi in giro e fatti
comportamenti da cui oggetto di ingiurie.
originano crimini? Non Accursio.
sopportiamo infatti che
ciò si faccia in alcun
modo, ma consegniamo
in ottimo ordine questa
zona nei nostri tempi e la
trasmettiamo a tutto il
prossimo secolo: poiché
è necessario che prima le
animei e poi le lingue
siano eruditek. E
quell’uomo eccelso che è
il prefetto di questa
nobile città [il
‘praefectus urbis’] curerà
che tutte queste cose k. glossa Eruditas.
siano osservate in questa (erudite)
fiorentissima città e cioè ‘nel parlare’
curerà pure di punire i
delitti ed esigerà la
‘qualità’ tanto dei giovani
che degli scrittori. A
Berito se ne
25
occuperanno tanto
l’illustrissimo ‘praeses’
[presidente, autorità di
governo della regione]
della Fenicia Marittima,
quanto il santissimo
vescovo di quella città e i
professoril
di legge...
l. glossa Professores
(professori) si fa così
notare che gli ‘scholares’
hanno tre giudici: il
podestà, il vescovo e il
‘doctor’ e possono
scegliere quello che
vogliono, come (si legge)
nel Codex, titolo. Nec
filius pro patre. Legge
finale, e nell’authentica
‘Habita’ che è
dell’imperatore
Federico; e poiché
secondo questa legge (gli
studenti) sono
demandati specialmente
ai ‘doctores legum’ (i
professori di diritto), che
sono più importanti degli
altri insegnanti, non pare
che possano delegare ad
altri, come si legge in
detta legge finale. Ma
oggi sembra che questo
compito spetti per diritto
di ‘magistrato’ (cioè per
il fatto di essere
Maestro), dato che la
stessa facoltà viene
concessa a qualunque
Maestro, per cui, in
materia civile, si può
delegare, come si legge
infra, nel titolo de officiis
eius cui mandata est
iurisdictio, legge 1, §. 1
2. Lo schema del metodo del Commento esposto da Matteo Gribaldi Mofa nel
26
Cinquecento.
1. RIFORMA GREGORIANA
«Dei precetti e delle proibizioni, alcuni sono mutevoli (mobiles), altri immutabili (immobiles). I
precetti immutabili sono quelli che la legge eterna ha sancito: essi, se osservati arrecano la
salvezza, se non osservati, la tolgono ... I precetti mutevoli sono quelli che non sono stati sanciti
dalla legge eterna: piuttosto la diligenza degli uomini li ha escogitati non principalmente per
ottenere la salvezza, quanto per rafforzarla».
2. GRAZIANO
«Le diverse costituzioni e decretali dei nostri predecessori, dispersi in diversi volumi, essendo
alcune somiglianti tra loro, altre contraddittorie, altre ancora prolisse, generavano confusione.
Alcune, poi, si trovavano vaganti fuori di quei volumi ed erano pertanto usate in giudizio fra
grandi incertezze per il loro dubbio valore. Ora, per l’utilità di tutti e specialmente degli studiosi
[...], abbiamo voluto che quelle fossero riunite in un solo volume, eliminate quelle superflue, con
l’aggiunta delle nostre, nelle quali sia chiarito quanto nelle precedenti era dubbio. Vogliamo,
inoltre, che nei tribunali e nelle scuole si faccia uso solo di questa compilazione e proibiamo
29
severamente che alcuno presuma di farne un’altra senza speciale autorizzazione della Sede
Apostolica.»
Fonte: A. Padovani, Gregorio IX, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Diritto (on line:
http://www.treccani.it/enciclopedia/gregorio-
ix_(Il_Contributo_italiano_alla_storia_del_Pensiero:_Diritto)/)
4. Decretisto e decretalisti
Fonti della sezione, ove non specificato diversamente: Il Secolo XII: la Renovatio dell'Europa
cristiana. Fatti, documenti, interpretazioni, dossier a cura di Andrea Piazza (on line:
http://www.rm.unina.it/didattica/strumenti/Piazza.htm)
IUS PROPRIUM
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II. I diritti regi secondo la dieta di Roncaglia (1158)
«Sono diritti regi le arimannie [censo reale e personale dovuto al sovrano in segno di
sudditanza], le vie pubbliche, i fiumi navigabili e le loro derivazioni navigabili, i porti, i
pedaggi sugli attracchi e quelli normalmente chiamati telonei [dazi in natura o moneta che
colpiscono le merci di consumo in entrata o in transito], la monetazione, gli utili derivanti dal
pagamento di multe e pene pecuniarie, i patrimoni rimasti senza legittimo proprietario e
quelli che per legge sono sottratti ai rei di colpe infamanti, se non sono specificamente
concessi ad altre persone, i patrimoni di coloro che contraggono nozze incestuose, dei
condannati e dei proscritti, secondo quanto è stabilito dalle nuove leggi, le angarie e le
perangarie [prestazioni straordinarie], i servizi di trasporto con carri e navi, i contributi
straordinari per la buona riuscita delle campagne militari regie, la potestà di nominare
magistrati per l’amministrazione della giustizia, il controllo delle miniere d’argento e il
dominio dei palazzi regi nelle città in cui il sovrano è solito recarsi, i redditi derivanti dalla
pesca e dalle saline, i beni dei rei del delitto di lesa maestà, la metà del tesoro rinvenuto in
territorio demaniale o in luoghi sacri. Là dove si danno, tutti questi diritti siano di pertinenza
regia».
In nome della santa individua Trinità. Federico per divina clemenza Imperatore dei Romani
Augusto e suo figlio Enrico Re dei Romani Augusto…
E però sappiano tutti i fedeli dell'Impero presenti e futuri, che noi per consueta benignità della
nostra grazia, aprendo le viscere della nostra innata pietà alla fede ed all'ossequio dei
Lombardi, i quali s'erano levati contro di noi e dell'Impero, li abbiamo ricevuti nella nostra
grazia colla Società loro ed i loro fautori; che noi clementi condoniamo loro tutte le offese e
le colpe colle quali avevano provocata la nostra indignazione, e che, avuto riguardo ai
servigi di leale affetto che noi speriamo da loro, giudichiamo di annoverarli tra i nostri diletti e
fedeli sudditi.
Per tanto abbiamo comandato di sottoscrivere e di confermare col sigillo della nostra autorità
la pace che nella presente pagina abbiamo loro benignamente accordata. Tale ne è il tenore e
la serie.
Noi Federico imperatore dei Romani ed il nostro figlio Enrico re dei Romani concediamo a
voi città, terre e persone della Lega le regalìe e le consuetudini vostre tanto in città che
fuori… Che nella città abbiate ogni cosa come avete avuto sin qui ed avete, fuori poi
esercitiate senza nostra contraddizione tutte le consuetudini come avete sino ad oggi
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esercitate. Ciò sul fodro, sui boschi, sui pascoli, sui ponti, sulle acque e molini come usaste ab
antico o fate ora nel formare esercito, nelle fortificazioni delle città, nella giurisdizione, così
nelle cause criminali come pecuniarie entro e fuori, ed in tutte l'altre cose che
appartengono agli utili delle città…
In quella città dove il vescovo ha giurisdizione di conte per privilegio imperiale o reale, se i
consoli sogliono ricevere l'investitura della loro carica dal vescovo, continuino quell'uso. In
caso diverso ciascuna città riceverà da noi il consolato, ed ogni volta che in alcuna città siano
costituiti i consoli riceveranno l'investitura dal nostro nunzio che sarà nella città o nella
diocesi. Ciò vale per un quinquennio, finito il quale ciascuna città mandi un nunzio a ricevere
l'investitura da noi, e così di seguito in modo che ogni quinquennio ricevano l'investitura da
noi o dal nostro nunzio, se non fossimo noi in Lombardia, perché allora da noi la devono
ricevere. Quest'ordine sia osservato col nostro successore, e tutte le investiture devono farsi
gratuitamente… Dopo che fossimo morti od avessimo ceduto il regno a nostro figlio, da lui o
dal suo successore riceverete le investiture.
Si faccia appello a noi nelle cause che sorpassano la somma di venticinque lire… pure nessuno
deve essere costretto ad andare in Germania, ma noi avremo un nostro nunzio nella città o
diocesi che conosca degli appelli e giuri che in buona fede esaminerà e definirà le cause
secondo i costumi e le leggi di quella città, ed entro due mesi dalla contestazione della lite,
cioè dal tempo che ricevette la causa, se non rimanga per giusto impedimento o per consenso
delle parti… Non faremo dimora non necessaria nelle città e nelle diocesi a danno di nessuna
città.
E potranno conservare la Lega che ora hanno, e revocarla quando loro piaccia…
Quei possessi che qualsiasi della Lega teneva legittimamente prima del tempo della guerra, e
che furono violentemente rapiti da quelli che non sono della Lega, siano restituiti senza
compenso di frutti e danni, e se vennero ricuperati non ne sia inquietato il possessore, ad
eccezione che gli arbitri eletti al riconoscimento delle regalìe non li assegnino a noi…
Tutti quelli della Lega che ci giureranno fedeltà aggiungeranno fedelmente nel giuramento,
che ci aiuteranno a mantenere i possedimenti e diritti che abbiamo e teniamo in Lombardia
fuori della Lega, ed a ricuperarli se li avessimo perduti, e ciò se sarà necessario, e saranno
richiesti da noi per mezzo di un nostro messo sicuro. Con tale ordine, però, che le città più
vicine al luogo dove occorre l'aiuto sieno le prime obbligate a prestarlo, le altre all'uopo
mandino competente soccorso. Le città della Lega fuori di Lombardia abbiano il medesimo
obbligo nei loro confini.
Se qualche città non osserverà quelle cose che nella convenzione di pace furono
convenute a nostro favore, sarà costretta in buona fede all'osservanza dalle altre città,
e, ciò non ostante, la pace resterà nel suo pieno vigore.
Quando noi entreremo in Lombardia quegli che sogliono e devono ci daranno nel tempo che
sogliono e devono il consueto fodro reale, e ci riatteranno sufficientemente le vie, e ci
appresteranno sufficiente vettovaglia in buona fede e senza frode per l'andata e il ritorno.
Richiedendolo noi o direttamente o per nostri nunzii ci rinnoveranno ogni dieci anni le fedeltà
per quelle cose che non ci avessero fatte…
32
- D 1. 1. 9 l. Omnes populi: Gaio, dal primo libro delle Istituzioni
Tutti i popoli che si reggono con leggi (leges) e consuetudini (mores), in parte usano un diritto
loro proprio, in parte un diritto comune a tutti gli uomini. Infatti ciò che ciascun popolo, da se
stesso, costituì come diritto per sé è proprio di quella stessa cittadinanza (civitas) e si chiama
ius civile, quasi sia diritto proprio (ius proprium) di quella città; ciò che invece la ragione
naturale ha costituito [diritto] tra tutti gli uomini, è custodito in modo assai equo presso tutti ed
è chiamato diritto delle genti (ius gentium), quasi che tutte le genti usino quel diritto.
Gaius, Libro primo Institutionum
Omnes populi qui legibus et moribus reguntur, partim suo proprio, partim communi omnium
hominum iure utuntur. Nam quod quisque populus ipse sibi ius constituit, id ipsius proprium
civitatis est vocaturque ius civile, quasi ius proprium ipsius civitatis: quod vero naturalis ratio
inter omnes homines constituit, id apud omnes peraeque custoditur vocaturque ius gentium,
quasi quo iure omnes gentes utuntur.
1.
2. Il diritto delle città
È giusto e doveroso, o proceri, se non ascriviamo a merito ciò che riguarda la nostra persona e
le condizioni di tutto il nostro regno. Abbiamo ricevuto dalla generosità divina, per atto di
benevolenza, le cose che abbiamo conseguito; per non essere del tutto irriconoscenti verso
tanta benevolenza ricambiamo con la devozione i benefici divini grazie ai quali esiste il nostro
potere. Se dunque per Sua misericordia verso di noi il buon Dio, debellati i nemici, ha ridato la
pace ed ha ristabilito l’integrità del regno, con gratissima tranquillità, tanto nelle cose
materiali che nelle spirituali, noi ci sentiamo obbligati a ristabilire il corso ad un tempo della
giustizia e dell’equità (iustitie simul et pietatis itinera) quando lo vediamo
sorprendentemente deviato. Infatti accogliamo, come ispirazione, dalla generosità dello stesso
Benefattore proprio ciò che Egli dice, quando afferma: Per me reges regnant et conditores
legum decernunt iustitiam. Riteniamo infatti che nulla sia più gradito a Dio che se mostriamo
semplicemente questo, il sapere cioè che Egli è misericordia e giustizia. E in questa offerta il
compito di regnare rivendica a sé un certo privilegio sacerdo tale. Perciò chiunque sia
sapiente ed esperto di legge definisce gli interpreti del diritto sacerdoti del diritto. Così, a
giusto titolo, noi che otteniamo per Sua grazia l’autorità di emanare leggi le dobbiamo in parte
migliorare ed in parte riformare, e proprio noi che abbiamo ottenuto misericordia dobbiamo
applicarle sempre in modo più misericordioso ed interpretarle in modo più benigno,
soprattutto quando la loro severità comporta una certa crudeltà ...
Ordiniamo che siano osservate in via generale e da tutti le leggi testé promul gate dalla nostra
maestà, per mitigare con senso di equità (pietatis intuitu) l’eccessiva asprezza, per inasprire
con un certo equilibrio la mitezza, per chia rire i punti oscuri, senza che, per la molteplicità dei
popoli soggetti al nostro regno, si abbiano per annullati usi, consuetudini e leggi, così come
sinora si è ottenuto presso di loro, a meno che qualcosa in esse non risulti in evidentissimo
contrasto con queste nostre disposizioni.
“Ho sentito dal signor Benedetto [d’Isernia] che dispiacque molto al signor Imperatore il
sapere che fosse punito allo stesso modo chi camminasse armato [...] e chi fosse
responsabile di omicidio. E allora [l'Imperatore] interrogò lui ed altri giuristi presenti,
tra i quali v'era il giudice Mambro de Baro, per chiedere quale fosse la ratio che
presiedeva alla scelta del legislatore. Ed il predetto Mambro de Baro rispose che era
quella di prevenire azioni delittuose. Poiché la risposta non lo soddisfece ordinò che, sulla
base di questi elementi, fosse formulata una Costituzione nella quale fosse prevista una
35
punizione diversa per chi portasse l'arma, per chi la estraesse e per chi la usasse".
Fonte: O. Zecchino, Liber Constitutionum, in Enciclopedia federiciana (on line:
http://www.treccani.it/enciclopedia/liber-constitutionum_%28Federiciana%29/)
Proemio
Dopo che la divina provvidenza ebbe formato l'ordinato sistema dell'universo e distribuito la
materia nella forma delle cose per realizzare una più perfetta natura, Colui che aveva
preconosciuto ciò che doveva essere fatto, considerando quanto aveva creato e apprezzato ciò
che considerava, dispose con maturo consiglio di preporre l'uomo, ch'egli aveva formato a
propria immagine e somiglianza, a tutte le altre creature come la più degna tra quelle poste sotto
la sfera della Luna e che di poco aveva fatto inferiore agli angeli [cfr. Salmo 8]. Trattolo dal limo
della terra, lo vivificò nello spirito e, coronatolo col diadema dell'onore e della gloria, gli pose
accanto una moglie e compagna, parte dello stesso suo corpo, adornando tutti e due con la forza
d'una tanto grande capacità da renderli entrambi in principio immortali. Li pose però sotto una
legge, e poichè essi pervicacemente rifiutarono d'osservarla, li condannò alla pena meritata per
la loro trasgressione e li privò di quell'immortalità che prima aveva loro concessa. Perché,
tuttavia, non avesse a distruggere in tutto, tanto rovinosamente e tanto improvvisamente, ciò
che prima aveva formato e perché, una volta distrutta la forma dell'uomo, non ne derivasse di
conseguenza la distruzione di quella di tutte le altre creature, venendo loro a mancare il soggetto
preposto e la propria funzione, non servendo esse più all'uso dell'uomo, la divina clemenza fe-
condò col seme d'entrambi la terra di mortali e questa stessa diede loro in potestà. Essi, non
ignari della scelta paterna, ma avendo in se stessi propagato il male della disobbedienza,
concepirono vicendevoli odi e distinsero il possesso delle cose che per diritto di natura era
comune...
Così per la stessa necessità naturale, non meno che per ispirazione della provvidenza divina,
furono creati i prìncipi secolari, per cui mezzo potesse esser punita la sfrenatezza dei delitti e
che, arbitri della vita e della morte dei popoli, stabilissero, come - in certo modo - esecutori dei
decreti della provvidenza, quale stato, condizione e posizione dovesse avere ciascuno. Dalle loro
mani, affinché possano rendere buon conto dell'amministrazione loro commessa, il re dei re e
principe dei principi richiede soprattutto che essi non permettano che la sacrosanta chiesa,
madre della religione cristiana, venga macchiata dalla subdola perfidia dei detrattori della fede;
che la difendano dagli attacchi dei pubblici nemici con la potenza della spada materiale; che,
infine, per quanto possono, conservino ai popoli la pace e - una volta pacificatili - la giustizia,
che, come due sorelle, vicendevolmente si abbracciano.
Noi dunque, che solo la potenza della mano di Dio, al di là d'ogni umana speranza, ha sublimato
ai fastigi dell'impero romano e alla testa degli altri regni, volendo rendere raddoppiati al Dio
vivente i talenti affidatici, per reverenza verso Gesù Cristo - dal quale tutto quanto possediamo
abbiamo ricevuto - osservando la giustizia e stabilendo le leggi vogliamo immolare l'offerta delle
nostre labbra provvedendo in primo luogo a quella parte delle terre sottoposte al nostro
dominio, la quale al presente sembra avere il maggior bisogno del nostro intervento circa la
giustizia. Pertanto, poiché il regno di Sicilia - preziosa eredità della maestà nostra e che sempre
abbiamo trovato pronto e devoto all'ossequio della nostra serenità, nonostante la resistenza di
taluni che non facevano neppur parte dell'ovile del regno stesso né dell'impero - sia per la de-
bolezza della nostra età, sia per la nostra assenza, è stato finora lacerato dall'impeto delle passate
turbolenze, abbiamo ritenuto degno provvedere con ogni cura alla sua pace e all'osservanza
della giustizia. Perciò disponiamo che solo le presenti disposizioni emanate in nostro nome
abbiano vigore nel nostro regno di Sicilia ed ordiniamo che - cassata ogni altra legge e
consuetudine in contrasto con queste nostre costituzioni, come ormai superata - esse siano
d'ora innanzi da tutti inviolabilmente osservate. Nelle presenti disposizioni abbiamo ordinato
che fossero incluse le norme vigenti in precedenza nel regno di Sicilia e quelle da noi
promulgate, affinché non abbiano alcun vigore né alcuna autorità, in giudizio e non in; giudizio,
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quelle che non sono comprese nel presente corpo delle nostre costituzioni.
[I, 4] CHE NESSUNO SI OCCUPI DELLE AZIONI O DELLE DECISIONI DEL RE.
Non bisogna discutere del giudizio, delle decisioni e delle disposizioni del re. Rientra infatti nella
fattispecie. del reato di lesa maestà discutere dei suoi giudizi, delle sue azioni, delle sue decisioni
e delle sue disposizioni e se chi egli ha scelto e nominato sia degno o no.
maestro giustiziere: alto ufficiale del regno svevo che presiedeva il tribunale supremo,
esercitando altresì il controllo sui giudici inferiori (giustizieri).
camerari: pubblici ufficiali preposti al Fisco regio, e ai quali era anche demandata la risoluzione
delle controversie connesse alle finanze. Al vertice si situava il maestro camerario, presidente
del tribunale supremo delle finanze.
bàili: pubblici ufficiali con attribuzioni molto varie, a seconda dei luoghi. In età normanna, per
quanto concerne il Regno di Sicilia, stavano a capo delle città e dei territori limitrofi. Federico II
ne rafforzò i poteri, che rimasero a lungo preminenti, specie nel campo giudiziario. [La parola
ha in altri contesti anche il significato di ambasciatore]
signori: i feudatari maggiori.
[I, 9] DI COLORO CHE ABBIANO MOSSO GUERRA NEL TERRITORIO DEL REGNO E DELLA
PUNIZIONE DELLE RAPPRESAGLIE.
Il conte, il barone, il cavaliere e chiunque altro avrà mosso pubblica guerra nel regno, abbia
confiscati i suoi beni e sia punito con la morte. Chi poi avrà compiuto presaglie o rappresaglie,
sia condannato alla perdita di metà di tutti i suoi beni.
IL DIRITTO FEUDALE
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I. L’ereditarietà dei comitati nel Capitolare di Quierzy di Carlo il Calvo (877)
9. Se sarà morto un conte, il cui figlio sia con noi, nostro figlio, insieme con gli altri nostri fedeli
disponga di coloro che furono tra i più familiari e più vicini al defunto, i quali insieme con i
ministeriali della stessa contea e col vescovo amministrino la contea fino quando ciò sarà
riferito a noi. Se invero [il defunto] avrà un figlio piccolo, questo stesso insieme con i
ministeriali della contea e il vescovo, nella cui diocesi si trova, amministri la medesima contea,
finché non ce ne giunga notizia. Se invece non avrà figli, nostro figlio, insieme con i rimanenti
nostri fedeli, decida chi, insieme con i ministeriali della stessa contea con il vescovo, debba
amministrare la stessa contea, finché non arriverà la nostra decisione. E a causa di ciò nessuno
si irriti se affideremo la medesima contea a un altro, che a noi piaccia, piuttosto che a colui il
quale fino ad allora la amministrò. Ugualmente, dovrà essere fatto anche dai nostri vassalli. E
vogliamo ed espressamente ordiniamo che tanto i vescovi, quanto gli abati e i conti, o anche gli
altri nostri fedeli cerchino di applicare le stesse regole nei confronti dei loro uomini.
10. Se qualcuno dei nostri fedeli, dopo la nostra morte, […] vorrà rinunciare al mondo, lasciando
un figlio o un parente capace di servire lo stato, egli sia autorizzato a trasmettergli i suoi onores
[…]. E se vorrà vivere tranquillamente sul suo allodio, nessuno osi ostacolarlo in alcun modo né
si esiga da lui null’altro che l’impegno di difendere la patria.
Fonte: http://fermi.univr.it/RM/didattica/fonti/anto_ame/cap_IX/IX_5_or.htm#A
Nel nome della santa ed indivisibile Trinità, Corrado II per grazia di Dio augusto imperatore dei
Romani. Vogliamo sia reso noto ai fedeli della Santa Chiesa di Dio e ai nostri sudditi, così
presenti come futuri, che noi, al fine di riconciliare gli animi dei signori e dei milites. sì che si
possano vedere sempre gli uni concordi con gli altri e servano devotamente con fedeltà e
perseveranza noi ed i loro seniores, ordiniamo e decidiamo con fermezza:
1) che nessuno, milite di vescovi, abati e abbadesse, di marchesi o conti o chiunque altro che
abbia un beneficio dai nostri beni pubblici o dalle proprietà ecclesiastiche o che lo abbia avuto,
anche se adesso lo abbia perso per ingiustizia, sia che appartenga ai nostri vassalli maggiori,
sia ai loro militi, non perda il suo beneficio senza colpa certa e dimostrata e se non secondo le
costituzioni dei nostri predecessori e il giudizio dei loro pari.
2) Se avverranno contese fra signori e militi, benché i loro pari abbiano giudicato che il milite
debba essere privato del beneficio, se egli dirà che ciò fu deciso ingiustamente e per odio, terrà
il beneficio stesso sino a che il signore e chi ha fatto l'accusa coi pari suoi si porteranno alla
nostra presenza e qui la causa sarà decisa secondo giustizia. Se tuttavia i pari dell'incolpato
verranno meno ai signori, egli manterrà il beneficio sino a quando verrà in nostra presenza col
suo signore ed i pari. Invece il signore o il milite incolpato che deciderà di venire da noi, renderà
nota la sua decisione con quello con cui ha la contesa sei settimane prima di mettersi in viaggio.
E ciò sarà rispettato dai vassalli maggiori.
3) Per i minori, invece, nel regno le cause saranno discusse di fronte al signore o al nostro
messo.
4) Comandiamo inoltre che quando un milite maggiore o minore muoia, suo figlio ne erediterà
il beneficio. Se il milite non avrà figli ma lascerà un nipote dal figlio, questi avrà parimenti il
beneficio con l'osservanza dell'uso seguito dai vassalli maggiori, per quanto attiene la consegna
dei cavalli e delle armi ai loro signori. Se egli non lascerà un nipote ma un fratello legittimo e
consanguineo, se questi avesse offeso il signore e volesse fare ammenda diventando suo milite,
avrà il beneficio che fu già di suo fratello.
5) Proibiamo inoltre che alcuno dei signori compia permute o precaria o livello dei benefici dei
suoi militi senza il loro consenso. Nessuno poi spogli ingiustamente il milite dei beni da lui
detenuti come proprietà o per ordine legale o per legittimo livello o precaria.
6) Noi anche pretendiamo il fodro riscosso dai nostri predecessori sui castelli e però non
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esigeremo in alcun modo tributi che essi non godettero.
7) Chiunque andrà contro quest'ordine pagherà un'ammenda di cento libbre d'oro, metà alla
camera regia e metà a colui al quale avrà fatto danno.
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