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La Coppa del Mondo di rugby femminile (in inglese Women’s Rugby World Cup) è la massima

competizione per squadre nazionali di rugby a 15 femminile. Istituita nel 1991 e organizzata dal
1998 da World Rugby, assegna a cadenza quadriennale il titolo di campione del mondo ed è giunta
nel 2017 alla sua ottava edizione.

La sua prima edizione si svolse in Galles nel 1991 su iniziativa di un comitato di governo del rugby
femminile in Gran Bretagna; lo stesso comitato ne organizzò una seconda edizione nel 1994 in
Scozia a seguito del diniego dell’International Rugby Football Union (oggi World Rugby) ad
assumere la gestione, inizialmente ventilata, dell’evento. Tali prime due edizioni furono a lungo
considerate ufficiose.

Nel 1998 la federazione internazionale garantì l’ufficialità alla competizione e ne organizzò nei
Paesi Bassi la prima edizione sotto la sua diretta egida; anni dopo, tuttavia, in un comunicato
stampa del 2009 legittimò a posteriori anche le prime due edizioni definendole Coppa del Mondo[1]
(laddove in precedenza le aveva sempre definite Women’s Rugby World Tournament, Torneo
mondiale di rugby femminile[2]) e inserendole a pieno titolo nel palmarès del torneo[3].

Delle otto edizioni disputate, la nazionale femminile della Nuova Zelanda ne ha vinte cinque; a
seguire l’Inghilterra, due volte vincitrice del torneo e altre cinque volte finalista; l’unica altra
squadra ad avere vinto la Coppa è quella degli Stati Uniti che si aggiudicò la prima edizione di
torneo. Complessivamente solo quattro squadre hanno raggiunto la finale: le tre citate più il Canada,
finalista sconfitta nel 2014.

L’edizione più recente della Coppa del Mondo è quella del 2017 tenutasi in Irlanda e vinta dalla
Nuova Zelanda che è quindi campione in carica; la nona edizione è in programma nel 2021 in
Nuova Zelanda.

Storia
Le origini

Alla fine degli anni ottanta il rugby internazionale femminile aveva una storia breve alle sue spalle,
perché il primo test match assoluto risale al 1982 (tra Paesi Bassi e Francia); a seguire avevano
esordito Svezia (1984), Italia (1985), Belgio e Gran Bretagna (1986), Canada, Galles e Inghilterra
(1987)[4].

Benché arrivate dopo altre squadre del continente, le dirigenti del rugby femminile britannico
ebbero l’intuizione che il miglior veicolo di promozione della disciplina sarebbe stata una grande
manifestazione mondiale[5][6]. La spinta definitiva provenne dal successo del World Rugby Festival
for Women o RugbyFest[7][8], una kermesse organizzata a Christchurch nell’agosto 1990 dalle
rugbiste neozelandesi che vide invitate a confrontarsi con le Black Ferns le nazionali di Paesi Bassi,
Stati Uniti e Unione Sovietica in un torneo quadrangolare.

A farsi promotrici della istituenda competizione furono quattro dirigenti della Women’s Rugby
Football Union, federazione che all’epoca gestiva la nazionale della Gran Bretagna e più in generale
governava su tutto il rugby femminile britannico: Deborah Griffin, fondatrice e presidente, Sue
Dorrington, Alice Cooper e Mary Forsyth[9]. Ciascuna di esse, in base alle proprie capacità e
interessi professionali, curò i vari aspetti organizzativi e finanziari quali per esempio tenere i
contatti con le federazioni che schieravano squadre femminili, ricercare gli sponsor, trovare
sistemazioni a buon mercato per le atlete; in tutto questo sforzo le organizzatrici non trovarono
alcun sostegno né dalla Rugby Football Union (quantomeno ufficialmente) né dall’International
Rugby Football Board; ciononostante alcuni club gallesi offrirono ospitalità e campi e il torneo fu
messo in programma per la primavera del 1991[9].

L’esordio della competizione

La durata della neonata Coppa del Mondo, per risparmiare sui costi di soggiorno e sussistenza, fu
fissata in nove giorni, tra il 6 e il 14 aprile compresi. Diverse città gallesi ospitarono il torneo, del
quale una testata autorevole come il Times di Londra diede notizia[10], non mancando di sottolineare
che, sebbene la federazione non fosse ufficialmente coinvolta, un giocatore della nazionale inglese
maschile, Brian Moore[10], si era prestato per la circostanza a fornire consulenza tecnica e curare le
rifiniture nelle sessioni d’allenamento alle sue connazionali[10].

In Italia il rugby femminile era da pochissimo entrato sotto la giurisdizione della F.I.R.: il 19
gennaio 1991, infatti, la Federazione aveva preso in carico la disciplina, gestita nel decennio
precedente dall’UISP[11] e, benché pochissimi fossero a conoscenza di attività rugbistica femminile
nel Paese, alla vigilia del torneo il noto giornalista televisivo Paolo Rosi, in gioventù giocatore
internazionale nel ruolo di tre quarti centro, sulla Stampa di Torino esortò a coltivare il giovane
movimento e garantirgli «pieno diritto di cittadinanza»[11].

La prima partita di sempre della storia del torneo mondiale è Inghilterra — Spagna, che si tenne a
Swansea e vide una netta vittoria delle britanniche per 12-0. Più in generale, le squadre supposte
favorite (la stessa Inghilterra, gli Stati Uniti, la Francia e la Nuova Zelanda) rispettarono i pronostici
e vinsero tutti i loro incontri nella fase a gironi. Il torneo fu ricordato anche per alcuni episodi legati
alla sua natura pionieristica e, fondamentalmente, artigianale, nonostante lo sforzo organizzativo
profuso nel superare ostacoli di natura logistica e soprattutto far parzialmente fronte a quelli di
natura finanziaria: la nazionale dell’Unione Sovietica, unica formazione rugbistica di tale Paese ad
avere preso parte a una rassegna mondiale dopo il declino dell’offerta di quella maschile nel 1987
per ragioni politiche[12], giunse in Gran Bretagna a soli due giorni dall’inizio del torneo e si presentò
con fondi scarsissimi: la federazione aveva infatti garantito solo il pagamento del viaggio[13]; le
atlete sovietiche si autosostentarono con la vendita per le vie di Cardiff dei souvenir russi nonché
della vodka e del caviale passato di contrabbando all’aeroporto di Heathrow[13][14].

Scoperte le loro difficoltà, le altre atlete tentarono di provvedere in parte alla sussistenza delle
colleghe sovietiche[14], che ricevettero vitto anche da un’industria dolciaria e un ristoratore gallese,
mentre un anonimo donatore contribuì con 1 200 sterline; persino la madre di una delle giocatrici
gallesi al torneo aiutò con ulteriori 100 sterline[15].

Per quanto riguarda l’aspetto sportivo, in semifinale gli Stati Uniti batterono la Nuova Zelanda 7-0,
mentre l’Inghilterra non ebbe problemi contro la Francia; la finale si tenne all’Arms Park di Cardiff
tra inglesi e statunitensi, che prevalsero per 19-6 e portarono la Coppa in Nordamerica[9][16].

La manifestazione fu considerata un successo dal punto di vista sportivo e pubblicitario (3 000


spettatori circa assistettero alla finale di Cardiff[16]), ma non da quello economico, perché il passivo
fu di circa 30 000 sterline[9], comprensivo delle spese staordinarie per sostenere la squadra sovietica.
Deborah Griffin si rivolse a Dudley Wood, l’allora segretario della Rugby Football Union, usando
come punto di forza per ottenerne la collaborazione la diligenza impiegata nell’avere contenuto i
costi del torneo[9]. Wood convinse un fornitore noto alla RFU a non fatturare il credito vantato, che
costituiva la voce di passivo maggiore per le organizzatrici[9], e ripagò a nome della federazione gli
altri debiti[9].

La seconda edizione in Scozia


Il buon riscontro di pubblico del torneo inaugurale alimentò nelle dirigenti del comitato
organizzatore la speranza che l’IRFB assumesse la diretta gestione di una seconda edizione,
finalmente ufficiale. Vi erano stati, in effetti, contatti tra la federazione internazionale e quella
olandese per un possibile patrocinio di una manifestazione mondiale da ospitare nei Paesi Bassi,
basata su 16 squadre come la versione maschile[17]; tuttavia a ottobre 1992 l’IRFB comunicò il
diniego a tenere un torneo sotto la sua egida e gli olandesi si ritirarono sia dall’organizzazione che
dalla partecipazione insieme ad altre squadre che avevano figurato nella coppa precedente, tra le
quali Spagna e Italia[17][18]; alle giocatrici neozelandesi fu proibito dalla loro federazione di prender
parte al torneo[7], benché nel 1991 avessero ignorato tale imposizione[7] sia pure al costo di lasciare
in patria le loro migliori compagne di squadra[7].

Nel frattempo, in Gran Bretagna, era sorto l’organismo di gestione del rugby femminile scozzese: fu
proprio la neonata Scottish Women’s Rugby Union a farsi avanti per ospitare una seconda edizione
della competizione[18] avvalendosi della collaborazione organizzativa della Women’s Rugby
Football Union e della cooperazione di sette club di sei città. A guidare il tutto fu una giocatrice e
dirigente scozzese, Sue Brodie[19]. A causa delle defezioni le squadre rimaste erano 11, e per
arrivare almeno a 12 si decise quindi di invitare una formazione giovanile locale cui fu dato il nome
di Scottish Students[17]. Grazie all’iniziativa del marito di una delle giocatrici della squadra di casa,
bancario di professione a Edimburgo e tesoriere del comitato organizzatore per l’occasione, fu
possibile trovare accordi di sponsorizzazione e perfino un finanziamento di 2 500 sterline per la
nazionale di casa erogato dal consiglio scozzese per lo Sport[19].

Il torneo, di per sé, rispettò sostanzialmente i pronostici, che vedevano in Inghilterra e Stati Uniti, le
due finaliste della prima edizione, le maggiori favorite[20]. Tali due squadre vinsero i loro gironi e
furono raggiunte in semifinale da Francia e Galles. Come tre anni prima le inglesi batterono le
francesi mentre le americane ebbero la meglio di un ancora giovane e inesperto Galles[21]. La finale
tra Inghilterra e Stati Uniti, diretta da Jim Fleming, all’epoca già arbitro in due edizioni della Coppa
maschile, si tenne in un gremito Raeburn Place a Edimburgo: circa 7 000 spettatori[22] assistettero
alla vittoria per 38 a 23 delle britanniche, che così vendicarono la sconfitta della prima edizione[22].

Benché i costi a giocatrice su un torneo che durò 14 giorni, dall’11 al 24 aprile 1994, furono di circa
800-1 000 sterline, l’organizzazione riuscì a conseguire un buon risultato economico, calibrando i
prezzi su una media di 50 spettatori a gara[19]. Questo significò che i circa 4 000 spettatori che a
Edimburgo assistettero all’incontro della fase a gironi tra Scozia e Inghilterra garantirono la riuscita
economica del torneo[19], ulteriormente rafforzata dalle citate 7 000 presenze in finale.

La squadra scozzese poté restituire anzitempo il prestito di 2 500 sterline[19] e la generale buona
riuscita dell’organizzazione convinse l’allora segretario dell’International Rugby Football Board
Keith Rowlands, presente sugli spalti alla gara di finale, a prendere in considerazione
l’organizzazione in prima persona della successiva Coppa del Mondo[23], cosa che avvenne quattro
anni più tardi sollevando i comitati e le federazioni locali dalla presa in carico di qualsiasi costo di
gestione del torneo. Nel frattempo, la Women’s Rugby Football Union, seminale nella storia della
competizione, cessò di esistere come organismo di gestione del rugby femminile in Gran Bretagna
e, con il cambio di nome in Rugby Football Union for Women (RFUW) divenne la federazione
inglese di rugby a 15 femminile fino al suo inglobamento nella RFU nel 2010[23]; Galles e Irlanda
seguirono e crearono le proprie federazioni.

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