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Buongiorno, grazie al Comune di Montegabbione,


all’Associazione Istanti fotografia e cultura, grazie a tutti
voi della vostra partecipazione.

Nei pochi interventi che faccio (a parte le varie occasioni


di docenza, ovviamente), ribadisco sempre che la teoria è
importante. Nel caso del paesaggio è fondamentale.
Perché? Faccio subito un esempio. Installare pale eoliche
o pannelli fotovoltaici dipende da una teoria estetica.
Certo, ci sono considerazioni economiche, finanziarie,
tecniche. Ma quelle estetiche hanno poi un gran peso.
Consentire certe costruzioni o autorizzare certe
demolizioni o realizzare alcune grandi infrastrutture è
scelta basata su teorie estetiche.
Tuttavia, anche se può suonare un po’ paradossale, non ho
oggi una teoria bell’e completa da offrirvi, quanto invece
una serie di domande, domande, domande. Tra questo
mare di domande tengo buone due o tre cose, che cerco
ora di proporvi. Devo chiedervi subito di convenire sullo
slittamento di due termini: paesaggio invece di territorio,
identità invece di memoria.

Per me il territorio è cosa diversa dal paesaggio. Il


territorio è secondo il paradigma oggi dominante,
l’hardware, se volete, ed il paesaggio il software. Il
paesaggio è una porzione di territorio a cui riconosco
(attribuisco) un particolare valore: simbolico, storico,
ecologico, sociale, ecc.
Il territorio è in sé ancora neutro: è materia di studio di
analisi in tavoli tecnici dove siedono urbanisti, esperti del
traffico, esperti di reti, ecc.
Da una parte metto il paesaggio: dall’altra il territorio o
l’ambiente.

Il paesaggio deve essere una parte di territorio. Il


paesaggio va quindi visto da una certa distanza, una giusta
distanza. Una foglia di un albero non è un paesaggio. La
vista di un bosco da 100 km di distanza non è più un
paesaggio boschivo. Senza questa distanza vi è o una
totalità che tutto assorbe o una cosa troppo settoriale che
non dice più nulla.
Paesaggio come forma del territorio. Uno stesso territorio
può offrire più paesaggi, nel corso della storia, oppure nei
diversi osservatori. La valle umbra del Tevere è stato un
paesaggio lacustre paludoso fino a non molto tempo fa.

Per godere del paesaggio dobbiamo togliere le etichette,


tornare bambini, non nominare. Questa non è una foglia di
un albero qualsiasi: è una foglia di un albero che è

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sempreverde, che cresce in luoghi assolati, di un albero


che non ama troppo l’acqua, che fa questo e quest’altro.

Esiste il paesaggio?
“Il paesaggio non esiste: è una nostra invenzione” (Paolo
Luccioni)
Nemmeno le forze esistono, come diceva Di Pasquale,
eppure per noi hanno un senso. Nemmeno le idee esistono,
eppure per loro ci battiamo fino alla morte. Tutto questo
per dire che è una posizione utile a ragionare, ma non
molto di più. Moltissime delle nostre idee più interessanti
sono convenzioni.

E’ impossibile non essere in un paesaggio. Da quando


nasciamo a quando ce ne andiamo siamo sempre immersi
in un paesaggio, almeno.

“Il polo Nord non è un paesaggio. E’ un paesaggio quando


ci metto la tenda rossa.” (F. Purini)
E tuttavia ci sono fotografie del polo nord belle da togliere
il fiato.
E’ l’arte, allora, a creare il paesaggio? Senza pittori e
senza fotografi e scrittori avremmo ancora un paesaggio?
Bisogna essere onesti e riconoscere che senza qualche
pittore o regista o fotografo, spesso non riusciremmo a
vedere un paesaggio.

Il mare visto da un punto in alto mare, è un paesaggio?

Nel paesaggio coesiste anche la dimensione del


“piacevole”come diceva Rosario Assunto. Il paesaggio dà
luogo ad un godimento alla seconda potenza: uno perché
lo possiamo decodificare come un’opera d’arte ed un altro
perché vi siamo immersi esteticamente (da sensi) dentro. Il
paesaggio è piacevole se è buono per me o se al massimo,
è lontano da me nella sua bruttura. Il sahara è bello se
visto su questa foto o dal finestrino di un aereo, ma è
brutto se siamo persi lì dentro e senza acqua.

Qual è la differenza tra giardino e paesaggio? Tra giardino


e parco? Tra parco e paesaggio? Si può progettare un
paesaggio? Solo gli architetti possono avere questa
tracotanza, questa hybris.
Un giardino è artificiale mentre un paesaggio è naturale?
Esiste ancora un paesaggio assolutamente naturale? Un
paesaggio su cui l’uomo non abbia messo le mani non
abbia influito? Se leggiamo le storie della natura (come
l’ultimo di Fulco Pratesi), ci rendiamo conto che è quasi
impossibile. Per chi crede poi alla teoria catastrofica del
riscaldamento globale e se è vero che l’ecosistema tutto è
sensibile a minime variazioni di temperatura, questa

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possibilità (di una natura incontaminata), deve essere


esclusa.

Il paesaggio è lo spazio di integrazione di diversi valori:


estetico, ambientale, sociale, economico, storico culturale.
Paesaggio come natura percepita attraverso una cultura.
Credo che questa sia una delle migliori definizioni che
sono riuscito a distillare finora.

Il paesaggio è tutto e non solo quello delle eccellenze, così


pressappoco dice la convenzione europea del paesaggio. Il
che differisce solamente il problema più in là, ma non lo
risolve. E’ infatti necessario comprendere, in un territorio,
quali siano le eccellenze, i paesaggi fondamentali,
costitutivi, statutari, e quelli invece più deboli. E qui
vengo alla pianificazione.
Sebbene anche la convenzione ribadisca il valore della
collettività nelle identificazione e qualificazione del
paesaggio, le nostre esperienze, sotto questo profilo sono
carenti. Normalmente, infatti, la pianificazione è redatta
da professori ordinari o stimatissimi professionisti, che
spesso si fanno aiutare da una squadra di validi
collaboratori, ma che altrettanto spesso, viene da fuori
regione o provincia. Spesso la definizione e
identificazione di paesaggi viene decisa con poche forme
di ascolto dal basso e di fatto la collettività si ritrova con
un piano paesaggistico calato dall’alto. Le forme di
partecipazione sono cioè a mio avviso, benché lodevoli,
ancora poco efficaci nell’intercettare dal basso le
percezioni ed i valori espressi dalla collettività locale.
La definizione di Unità di Paesaggio, Ambiti di Paesaggio,
Stanze, Zone, ecc., non produce poi effetti sulla gestione
del territorio, o almeno non produce effetti coerenti. Per
dirne una e anticipo un mio piccolo intervento sulle
commissioni edilizie: non si vede perché se c’è una Unità
di Paesaggio di area intercomunale, vi debba essere una
commissione edilizia comunale, anche e soprattutto
competente in materia di qualità architettonica e di
paesaggio. Né è facile comprendere quale possa essere il
ruolo della Soprintendenza non solo nella fase della
ricognizione o apposizione dei vincoli, ma anche nelle
procedure amministrative. Il modello procedimentale e
burocratico fin qui seguito comincia a mostrare evidenti
segni di attrito con le dinamiche ed i tempi della società.
Ritengo quindi che un grande lavoro di riassetto
istituzionale sia necessario, sia da parte del legislatore ma
anche da parte degli amministratori, prima che il sistema
collassi.

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Sulla fotografia, in realtà, posso dire ben poco, senza


apparire ingenuo.
E’ vero che in gioventù, con un mio caro amico, mi sono
divertito a fotografare Spoleto soprattutto e che grazie alle
sue possibilità avevamo anche delle belle macchine. Ma
dopo che ho scelto di andare a Firenze a studiare
architettura ho dovuto smettere questa passione e da allora
ho deciso di mantenermi sempre al di qua della
competenza mediana. Mi piace la fotografia, apprezzo le
belle foto, comprendo la ricerca dei tempi giusti, del
diaframma, della profondità di campo, del taglio, delle
esposizioni tirate, ecc. Ma preferisco non farne nulla, ed
aspetto sempre che il fotografo od altri mi spieghino od
illustrino delle cose che non avevo visto. Preferisco
considerarmi “innocente” davanti alla camera, restare
come spettatore e lasciare che a fotografare siano i
fotografi.

Il fotografo può avere due livelli di relazione con il


territorio, con la collettività e con il pianificatore.
Il primo livello è come dice il titolo, documentale.
La fotografia come catasto dei paesaggi, per riprendere
l’idea brandiana dei dipinti storici. Cesare Brandi aveva
immaginato che le migliori viste dei nostri luoghi erano
già state selezionate dai secoli da persone abituate a
valutare attentamente i punti di ripresa: i pittori. Dello
stesso luogo è possibile infatti sia avere descrizioni
letterarie sia vedute. La collazione di queste vedute
avrebbe costituito una sorta di catalogo qualitativo dei
luoghi. Il fotografo può benissimo svolgere questa
funzione. Il problema è qui semmai, di sistematizzazione
di tutto il materiale, perché è indubbio che il materiale
potrebbe essere enorme.
Il fotografo del territorio può avere una funzione
“ecologica”, per così dire, di occhio attento e di
monitoraggio.
Credo che la fotografia sia molto più eloquente di tante
tavole di zoning, che abbia la capacità di restituirci
l’anima di un luogo come pochi altri mezzi. E così di farci
intravvedere un possibile progetto.

L’altro ruolo è quello artistico, emotivo, poetico


Il fotografo del paesaggio è invece colui che ci fornisce
un’emozione un pensiero. E’ il fotografo che trasforma il
territorio in paesaggio. O meglio, il fotografo riesce forse
a distillare un paesaggio da un territorio.

Paesaggio come identità culturale.


La memoria serve è positiva solo se vista in aiuto al
concetto di identità. Altrimenti non avremmo molto

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bisogno della memoria. Il punto dolente è che la crisi è nel


concetto di identità. Se pensiamo alla clonazione genetica,
alla simulazione elettronica, alla realtà virtuale, ai flussi di
informazioni, alla possibilità di spostare uomini e mezzi in
maniera rapidissima da un punto all’altro, ci accorgiamo
che il concetto sotto pressione è quello dell’identità. Se
l’identità non è più importante, ne discendono un sacco di
cose.
Certo l’identità è a volte anche un freno. Il territorio non
può perdere tutte le sue caratteristiche e restare attraente.

Le partite più importanti dei governi a venire sono nella


dialettica tra identità dei luoghi e logiche globali.
Per ora, nel bene e nel male, Montegabbione è questa: non
ce ne sono altre, e a me questo pare una bella cosa.

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